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Come cadendo da cavallo

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Come cadendo da cavallo
KI – Kendo iaido..on Line
Numero 31 – Settembre 2010
Come cadendo da cavallo
di Enrico Salvi (Tai-A no Kai)
Curiosando negli anfratti della mia biblioteca, mi è tornato sotto gli occhi un volume di
estremo interesse della monaca giapponese Shundô Aoyama, intitolato La voce del fiume
(Fabbri Editori 1997), il cui suggestivo titolo originale è Utsukushiki Hito Ni: “Voglio
diventare una bella persona”. Ebbene, sfogliandolo con calma e rinnovata curiosità, ho
ritrovato un brano che già a suo tempo mi parve adatto ad illustrare l’essenza della Ken no
Michi e quindi il carattere del Bushi, e che ora, dopo ulteriori numerosi anni di pratica, risulta,
almeno per il sottoscritto, di un’importanza fondamentale.
Senza indugiare oltre, lascio la parola all’Autrice:
«Non c’è nulla che non si possa portare a compimento con il coraggio che scaturisce dalla
disperazione. Anche il maestro Dôgen ha affermato la stessa cosa nello Shôbô genzô
zuimon-ki: “Quando un uomo cade da cavallo, fino al momento in cui tocca terra pensa
rapidamente, nella concentrazione di quel breve lasso di tempo. Si dovrebbe vivere ogni
giorno e ogni ora con lo stesso stato d’animo”.
In quel fugace intervallo di attimi che intercorre tra la caduta da cavallo e il momento in cui
il corpo raggiunge il suolo non c’è tempo per pensare al superfluo. Ogni conoscenza ed
esperienza diventano inutili, e non si ha tempo nemmeno per i sogni a occhi aperti o per
rimproverarsi. Quando si fronteggia una questione decisiva, di vita o di morte, tutto dipende
dalla nostra prontezza. Il maestro Dôgen diceva che dovremmo vivere la nostra intera
esistenza in questo stato di vigile attenzione».
È assai probabile che coloro che stanno leggendo abbiano avuto l’occasione di trovarsi
in una situazione di emergenza pericolosa simile ad una caduta da cavallo (come ad esempio
un automezzo che sta per investirci), oppure, appassionati di equitazione, siano davvero caduti
da cavallo, e possono quindi ricordare la loro reazione nel “fugace intervallo di attimi”, per il
quale “non hanno avuto tempo per pensare al superfluo” ed hanno messo in atto la
“prontezza” richiesta da tale situazione “decisiva di vita o di morte”.
A questo punto, a mio avviso, è opportuno evidenziare la differenza radicale tra
reazione ed interazione: la prima, totalmente istintiva, è quella della persona comune, mentre
la seconda, pienamente consapevole, compete al Bushi. Di più, è vero che l’evento pericoloso
improvviso può risultare esiziale tanto per la persona comune quanto per il Bushi, ma ciò che
fa la differenza è lo stato di mente-corpo: Shintai, in cui si trova il soggetto nel momento
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Numero 31 – Settembre 2010
dell’improvviso irrompere dell’evento pericoloso: per la mentecorpo della persona comune tale
evento è del tutto inaspettato, e pertanto, sollecitandone irresistibilmente l’istinto di
conservazione, la induce a re-agire per “salvare la pelle”; non così per il Bushi, al quale nulla
accade di veramente inaspettato, posto che la sua mente-corpo è permeata di consapevolezza,
ovvero si trova nello “stato di vigile attenzione”: Zanshin, sfericamente irradiante, grazie al
quale, essendo ormai “senza-ego”: Muga, ed avendo perciò definitivamente trasceso l’istinto
di conservazione, egli può armonicamente inter-agire con la circostanza in atto, poiché
assolutamente libero dalla preoccupazione dell’esito, sia esso di vita o di morte. Interagire, si
noti, con logica decisione: Riai, ciò che è precluso alla persona comune, “scavalcata”, è il caso
di dirlo, dalla re-azione tesa esclusivamente a mantenere la propria incolumità.
Il fatto è che dalla persona comune, rinchiusa nella (illusoria) roccaforte del proprio
ego, l’evento pericoloso improvviso è percepito come minaccia proveniente dall’esterno e
quindi richiedente (istintivamente) una reazione, mentre dal Bushi tale evento è percepito con
coscienza integrata, senza discriminazione tra interno ed esterno, ossia tra me e non-me, ciò
che lo mette in grado di attuare (consapevolmente) l’interazione. Dunque, altro è la reazione
istintiva e altro l’interazione consapevole, possibile grazie all’interrelazione senza intervalli:
Suki, che il Bushi, essendo Ishin, “un solo cuore”, mantiene tra (e con) sé e ciò che lo
circonda.
Una precisazione: non a caso diciamo prima Zanshin-Ishin e poi Muga, datosi che
nella pratica consapevole (e non nell’incidente improvviso dal quale la persona comune tenta
istintivamente di salvarsi), è lo stato di vigile attenzione sferica – e quindi interiore ed
esteriore insieme – a disinserire l’ego, e quindi a realizzare l’Uno-Tutto simboleggiato appunto
dalla Sfera, nella quale l’unico tempo in cui tutto accade è il presente, cioè qui ed ora, passato
e futuro essendo frutto del pensiero e dell’immaginazione, peraltro anch’essi possibili soltanto
nel presente: soltanto qui ed ora possiamo ricordare, soltanto qui ed ora possiamo
immaginare.
Con linguaggio fiabesco (e realistico!) diciamo allora che Zanshin-Ishin “apre” la
conchiglia dell’ego e quindi della “pseudopersonalità”: Kega, ove è nascosta la Perla di Luce,
ossia la Persona Vera, o, per dirla con Takuan, il “Volto Originario”.
Stando a quanto appena osservato, risulta chiaro come l’Arte della Spada acquisti il suo
senso spirituale (l’unico vero senso!) grazie al repentino pericolo mortale rappresentato
dall’avversario-maestro invisibile: Kasso teki, e come, di conseguenza, si debba imparare a
“produrre” nella propria mentecorpo lo stato di Zanshin-Ishin / Muga, essendo il verace
addestramento orientato verso il superamento di Shoji no mayoi: l“Errore-illusione di vita e
morte”.
«La pratica dello iai è diventata una Via di allenamento spirituale in cui
nell’attimo dell’estrazione della spada si rischia la vita o la morte fino a
superarne il confine, focalizzando la propria concentrazione fino a
raggiungere lo stato d’animo in cui mente e corpo diventano una sola cosa, e
le loro capacità si manifestano nella migliore condizione possibile».
Ide Katsuhico hanshi, Considerazioni sullo Iaido”
Sintetizzando, e per finire, la pratica dell’Arte della Spada non consiste in altro (si fa per
dire!) che nel cercare di “dilazionare”, consapevolmente, quel tempo speciale (o forse sarebbe
meglio dire quel non-tempo?) in cui, evaporato il pensiero discorsivo, che cristallizza la mente
in pensieri ed immagini, “mente e corpo diventano una sola cosa” nella loro sospensione fra
cielo e terra. Come cadendo da cavallo.
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