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Chi non vede, come un cavallo cadendo da un'altezza di tre
braccia o quattro si romperà l'ossa, ma un cane da una tale, e
un gatto da una di otto o dieci, non si farà mal nessuno, come
né un grillo da una torre, né una formica precipitandosi dall'orbe lunare? I piccoli fanciulli cadere illesi in caduta, dove i provetti si rompono gli stinchi o la resta? E come gli animali più
piccoli sono a proporzione, più robusti e forti de i maggiori,
così le piante minori meglio si sostentano…1
Il principio di similitudine
Se cerchi nel web "principio di similitudine" trovi una miriade di voci che riguardano
per lo più l'omeopatia, la pseudo-scienza basata sull'antico (e falso) principio del similia similibus curantur (o curentur)2. Niente o quasi trovi riguardo al principio enormemente più significativo di cui tratto in questo capitolo e che fu espresso per la prima
volta in modo efficace da Galileo Galilei.
Cosa afferma, questo principio? Una cosa apparentemente ovvia: se aumentiamo le
misure lineari di una cosa qualsiasi (un essere vivente, un oggetto, un elemento costruttivo), le superfici e il volume di quella "cosa" cresceranno rispettivamente con il
quadrato e il cubo delle dimensioni lineari. Tutto qui? direte voi. Ma lo sappiamo fin
dalla scuola elementare! Eppure, come vedrete leggendo il capitolo, le importantissime
conseguenze di quell'elementare principio sfuggono ai più. Come sono sfuggite a tutti,
Leonardo compreso, finché non è arrivato Galileo Galilei.
Or vegghino - scrive nel 1638 - l'impossibilità di poter non solamente l'arte, ma la
natura stessa, crescer le sue macchine a vastità immensa: sì che impossibil sarebbe
fabbricar navilii, palazzi o templi vastissimi, li cui remi, antenne, travamenti, catene di
ferro, ed in somma le altre lor parti, consistessero; come anco non potrebbe la natura
far alberi di smisurata grandezza, poiché i rami loro, gravati dal proprio peso, finalmente si fiaccherebbero; e parimente sarebbe impossibile far strutture di ossa per uomini, cavalli o altri animali, che potessero sussistere e far proporzionatamente gli uffizii loro, mentre tali animali si dovesser agumentare ad altezze immense, se già non si
togliesse [=prendesse] materia molto più dura e resistente della consueta, o non si deformassero tali ossi, sproporzionatamente ingrossandogli, onde poi la figura ed aspetto dell'animale ne riuscisse mostruosamente grosso.
E per un breve esempio di questo che dico, disegnai già la figura di un osso allungato solamente tre volte, ed ingrossato in tal proporzione, che potesse nel suo animale
1 Galileo Galilei, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, a cura di Adriano Carugo e Ludovico Geymonat, Boringhieri, Torino 1958, pp. 52-53.
2 Con curantur si sostiene che "i simili curano i simili" (Ippocrate, III sec. a. C.; Paracelso, XVI sec.), con
curentur si prescrive che "i simili curino i simili" (Samuel Hahnemann, 1755-1843), somministrando al malato, diluite all'inverosimile, sostanze che a una persona sana procurerebbero sintomi simili a quelli osservati
nel malato.
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grande far l'uffizio proporzionale a quel dell'osso minore nell'animal più piccolo, e le
figure sono queste: dove vedete sproporzionata figura che diviene quella dell'osso ingrandito. Dal che è manifesto, che chi volesse mantener in un vastissimo gigante le
proporzioni che hanno le membra di un uomo ordinario, bisognerebbe o trovar materia molto più dura e resistente, per formarne l'ossa, o vero ammettere che la robustezza sua fusse a proporzione assai più fiacca che ne gli uomini di statura mediocre; altrimente, crescendogli a smisurata altezza, si vedrebbono dal proprio peso opprimere
e cadere. Dove che, all'incontro, si vede, nel diminuire i corpi non si diminuir con la
medesima proporzione le forze, anzi ne i minimi crescer la gagliardia con proporzion
maggiore: onde io credo che un piccolo cane porterebbe addosso due o tre cani eguali
a sé, ma non penso già che un cavallo portasse né anco un solo cavallo, a se stesso
eguale.3
Galileo mostra di aver capito perfettamente che la forma e le >proporzioni del "nobile animale", tanto amate dagli artisti (fig. 1) e dagli storici dell'arte4, non possono essere quelle dell'elefante, alto il doppio. Capisce che le zampe diverrebbero ben più
corte e grosse, ma non ci dice di quanto. Ma è facile calcolarlo: raddoppiando le misure lineari dell'animale, il peso aumenta di 8 volte (2 al cubo). E dunque le zampe, se
vogliono reggerlo, dovranno avere una sezione resistente 8 volte maggiore, costringendo l'animale a cambiar forma in modo drastico: a diventare, appunto, un elefante.
1 - Analisi proporzionale del cavallo secondo Rob Krier (Architectural Composition, Rizzoli, New York &
Academy, London 1988, p. 224).
Se crescesse ancora, non potrebbe comunque superare la dimensione dei dinosauri
più grandi5, oltre la quale che non ci sarebbero più gambe per reggerlo e per consen3 Galilei, cit., pp. 143–144.
4 Ad es. Erwin Panofsky ha dedicato alle proporzioni del cavallo secondo Leonardo un intero saggio: «The
Codex Huygens and Leonardo da Vinci's Art Theory», in Studies of the Warburg Institute, Londra 1940, pp.
51 segg.
5 Il dinosauro più alto di cui possediamo lo scheletro completo è tuttora il brachiosauro scavato in Tanzania nel 1907-12 e ora al Museo Humboldt di Berlino, alto da vivo 12 m e pesante tra le 30 e le 60 tonnellate. Il più lungo è il diplodoco di 27 m scoperto nel Wyoming e rimontato nel Carnegie Natural History Museum di Pittsburgh nel 1907. Di sauropodi ancora più grandi sono state recuperate solo poche ossa: il più
pesante (80–100 t) è l'Argentinosaurus, il più lungo (40 m) il Supersaurus e il più alto (18 m) il Sauroposeidon.
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tirgli la deambulazione6. Per crescere ancora, l'animale deve cambiare modo di sostenersi: la balena (quella azzurra arriva a 190 tonn per 33,5 m di lunghezza) ha dovuto
abbandonare la terraferma e affidarsi alla spinta idrostatica. L'aveva ben capito Galileo:
Ne gli aquatici – nota a p. 146 – avverrà l'opposto di quel che accade negli animali terrestri, cioè che in questi tocchi all'ossa a sostenere il peso proprio e quel della carne, e
in quelli la carne regga la gravezza propria e quella dell'ossa.
Fuori scala
Chiediamoci ora: se gli animali non si possono ingrandire a piacimento, perché innumerevoli libri, fumetti e film ce li propongono disinvoltamente ingigantiti? La risposta è semplice: perché il principio di similitudine è contro-intuitivo. Non ci arriviamo
automaticamente, abbiamo bisogno di qualcuno che ce lo spieghi. E poi facciamo fatica a tenerlo a mente, a coglierne le implicazioni, che sono come vedremo notevolissime pure per i progettisti.
2 – Il gigantesco re di Brobdingnag (con le sembianze di re Giorgio III d'Inghilterra) osserva un GulliverNapoleone. Incisione del caricaturista inglese James Gillray (1756-1815).
Ad esempio quanti di noi, leggendo I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift (1726), si
rendono immediatamente conto che i lillipuziani potrebbero esistere, ma non i giganti
di Brobdingnag (fig. 2)? Lo spiego per chi non l'avesse capito da solo. Sull'isola di Lilli6 La struttura articolata della gamba ci permette di usarla, nelle sue oscillazioni, come la leva più corta
possibile, e come la leva più lunga possibile quando debba esercitare la sua forza propulsiva (D'Arcy W.
Thompson, Crescita e forma, Boringhieri, Torino 1969, p. 39). Il prezioso libro di Thompson, pubblicato per
la prima volta nel 1917, descrive ampiamente il principio di similitudine nel primo capitolo dedicato proprio
a «La grandezza», pp. 21-61.
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put gli abitanti sono 12 volte più piccoli di Gulliver e quando lui sbarca gli scienziati
locali scoprono subito che per fargli un vestito servirà tanta stoffa quanta per 144 lillipuziani (12 al quadrato) e che mangerà quanto 1.728 lillipuziani (cioè dodici al cubo).
Comunque i lillipuziani, per quanto sovradimensionati in molti loro organi (ad es. i
polmoni), erano possibili.
Non così gli esseri viventi ingranditi dodici volte che popolano l'impronunciabile penisola di Brobdingnag, dove Gulliver si reca successivamente. Perché quegli esseri umani, i topi, le vespe contro cui Gulliver dovrà combattere e l'aquila che alla fine lo rapirà sono semplicemente impossibili? Perché la sezione delle loro gambe, aumentata di
solo 122=144 volte, non poteva reggere un peso aumentato di ben 123=1.728 volte.
Mentre la superficie alare delle vespe e dell'aquila, per quanto allargata 144 volte, non
avrebbe potuto sostenere in volo animali appesantiti ben 1.728 volte. Di più: uomini e
animali 12x, prima ancora di rompersi le gambe e di non riuscire a levarsi in volo, sarebbero soffocati alla nascita, ritrovandosi una superficie polmonare aumentata solo
144 volte, dunque assolutamente non in grado di ossigenare un volume di sangue cresciuto 1.728 volte.
Invece Swift trova uomini e animali ingigantiti perfettamente plausibili. Esattamente
come noi, ogni volta che film e fumetti di fantascienza ci mostrano – per impaurirci animali cresciuti a dismisura in seguito a radiazioni, passaggio di meteoriti, inquinamento, esperimenti di scienziati pazzi, criminali o maldestri (fig. 3).
3 – Copertine di Edward V. Brown per Thrilling Wonder Stories, dicembre 1939.
Quanti ne abbiamo visti, di quei "mostri"? In Assalto alla Terra (Them!, di Gordon
Douglas, USA 1954) ci sono formiche ingigantite a causa di radiazioni atomiche. Ne Il
cibo degli dei (The Food of the Gods, di Bert J. Gordon, USA 1976) una misteriosa sostanza sgorgata dal sottosuolo di una fattoria fa crescere mostruosamente vespe, polli
e topi. Ne L'impero delle termiti giganti (Empire of the Ants, di Bert J. Gordon, USA
1977), su un'isola alcuni turisti vengono assaliti e sterminati da insetti trasformati in
mostri giganteschi per una mutazione radioattiva. Ne La tarantola (Tarantula, di Jack
Arnold, USA 1955), sottoposta a radiazioni … una tarantola si ingrandisce fino a trasformarsi in uno spaventoso e pericoloso insettone.7
7 Paolo Mereghetti, Dizionario dei film 1996, Baldini & Castoldi, Milano 1995.
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Ci sono poi gli scarafaggi giganti che invadono i sotterranei di New York in Mimic di
Guillermo Del Toro; altri scarafaggi giganti che ossessionano il protagonista de Il pasto
nudo di Cronenberg (1992), portandolo a uccidere la moglie; gli enormi insetti disegnati dal mago degli effetti speciali Phil Tippett – quello di Jurassic Park – combattuti
dalla Fanteria dello spazio (Starship Troopers) di Paul Verhoeven, 1997; le formiche
che uccidono a fini ecologici in Fase IV: distruzione Terra (Saul Bass, 1973); i ragni che
seminano morte e terrore in Aracnophobia (Frank Marshall, 1990); gli insettacci capaci
di autocombustione in Bug insetto di fuoco (Jeannot Szwarc, 1975); le api assassine
della Invasione delle api regine; i vermi famelici de I carnivori venuti dalla savana ecc.
Le "temibili" bestiacce ci vengono inevitabilmente mostrate mentre rincorrono e ingoiano persone urlanti, distruggono grattacieli, saltano a enormi altezze e afferrano
elicotteri in volo. E invece quegli impossibili animali non dovrebbero farci paura, ma
solo pena. O farci ridere.
Qui ci sarebbe da aprire – ma non l'apriremo - una finestra sull'interessante questione del cambio di scala, analizzando la presa sull'immaginario popolare esercitato da
persone, animali, oggetti miniaturizzati o ingigantiti, come dimostrano oltre agli esempi già visti i tantissimi altri reperibili nel design (fig. 4), nell'arte (grandi mollette,
cazzuole, ago e filo, ecc. di Oldenburg, fig. 5) e nell'architettura stessa (l'ordine gigante, oppure le "papere" care a Venturi, di cui parlo in >comunicazione).
4 – Divani come bocche ingigantite: Labbra di Mae West, Dalì 1935 e Labbra dello Studio 65 per Gufram,
1971.
5 – Claes Oldenburg, binocolone di ingresso alla sede della Chiat-Day-Mojo Advertising a Venice CA, di
Frank Gehry, 1985-91.
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Evoluzione e similitudine
Il principio di similitudine svolge un ruolo fondamentale nell'evoluzione degli esseri
viventi. Infatti negli organismi più semplici, sotto il millimetro di spessore, tutte le funzioni possono essere svolte da ciascuna cellula. I primi organismi viventi avevano, si
presume, una forma globulare, la cui superficie esterna era sufficiente per la respirazione e la nutrizione, esattamente come accade per gli invertebrati unicellulari odierni.
Ma evolvendosi verso dimensioni maggiori, gli animali hanno raggiunto rapidamente
il punto in cui la superficie esterna non era più sufficiente per svolgere quelle funzioni.
Come si è comportata la >natura? In due modi diversi. Quasi tutti i grossi animali moderni hanno conservato la forma globulare e arrotondata, ma hanno sviluppato organi
interni per aumentare la superficie totale: si pensi per es. alla ricca ramificazione delle
vie respiratorie nel polmone e alla superficie ripiegata in modo così complesso nell'intestino tenue. Un'altra possibile soluzione, seguita raramente oggi, ma sfruttata da alcuni grandi parassiti tra cui le tenie, permette di raggiungere notevoli dimensioni senza una corrispondente complessità interna, modificando la forma del corpo in qualcosa
di molto sottile (un nastro o un piatto), in modo che nessuna parte interna sia distante
dalla superficie esterna, che è, in assenza di organi interni, l'unica sede per la respirazione e l'assorbimento degli alimenti.8
Attiro la vostra attenzione sul fatto che quando l'organismo aumenta di dimensioni,
inevitabilmente ci dev'essere una progressiva divisione del lavoro fra cellule che si differenziano l'una dall'altra. Per essere ancora più precisi si può dire che con l'aumento
della dimensione degli organismi, le parti (e i processi associati) che crescono con il
quadrato delle dimensioni lineari mostreranno un corrispondente incremento di divisione del lavoro … Avremo dunque una differenziazione in tutte le strutture associate
con lo scambio gassoso: polmoni, branchie, trachea, sistema circolatorio, mesofillo
spugnoso delle foglie delle piante, ecc. … Per l'assorbimento e la distribuzione delle
sostanze nutritive ci sono complessi canali intestinali, di nuovo un sistema di circolazione, il sistema vascolare delle piante; perfino i meccanismi del mangiare sono coinvolti. Infine è probabile che le cellule nervose e la progressiva centralizzazione del sistema nervoso abbiano a che fare con le dimensioni dell'organismo. Non è che l'attività
nervosa o la sua centralizzazione varino col quadrato: è che il sistema nervoso coordina processi che variano col quadrato. La diversificazione che cresce con le dimensioni
dell'organismo richiede un maggior coordinamento fra le parti funzionali e per questo
è più efficiente un sistema centralizzato che diffuso.9 Perfino il nostro cervello si è sviluppato come conseguenza del principio di similitudine!
Sculture e similitudine
Venendo alle opere dell'uomo, il principio di similitudine spiega perché le sculture
più grandi, il mitico Colosso di Rodi, il San Carlùn di Arona, la Statua della Libertà - di
cui parlo più estesamente in >costruzione -, quanto più sono grandi, tanto più s'appoggiano a tronchi d'albero, cippi, pile di libri (come il Tommaseo, nel suo monumento
a Venezia detto "El Cagalibri", fig. 6), o alla provvidenziale clava se si tratta di Ercoli. E
tengono le braccia aderenti al corpo, o levate sopra la testa, per sottoporle a sforzo
assiale anziché al momento flettente che cresce pericolosamente col quadrato del
braccio.
E gli architetti? Devo dire che purtroppo hanno per lo più ignorato l'importante principio, o l'hanno inteso confusamente. Perfino un tecnico come Viollet–le–Duc, secoli
dopo Galileo può uscirsene con questa frase: nell'architettura non si potrebbe stabilire
questa formula: 2 sta a 4 come 200 sta a 400. Infatti se su due pilastri di 2 metri di altezza si può porre un'architrave di quattro metri di lunghezza, non si può porre su due
piloni di 200 metri di altezza una piattabanda di 400 metri. Cambiando scala, l'architetto deve cambiare modo e lo stile consiste precisamente nello scegliere il modo che
8 Stephen J. Gould, Il sorriso del fenicottero, Feltrinelli, Milano 2007, p. 187.
9 John Tyler Bonner, Morphogenesis, Atheneum, New York 1963, p. 16. Molti anni dopo il medesimo autore scriverà uno dei libri più importanti sul principio di similitudine: Why Size Matters: From Bacteria to Blue
Whales, Princeton Univ. Press 2006, che troverete citato nel capitolo sulle >proporzioni.
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conviene alla scala, prendendo questa parola nella sua più larga accezione.10 Qualcosa
hai capito, ma non è una questione di "stile", caro Viollet! Il trilite, cioè la trave su due
pilastri, come ogni altro tipo strutturale ha una precisa dimensione limite, oltre la quale non porta più nulla, neppure il proprio peso. Talché non possiamo verificarne la resistenza sottoponendo a prove di carico un suo modello in scala.
E ora un paio di esempi più recenti di cosa comporta la mancata presa in conto del
principio di similitudine.
6 – Francesco Barzaghi (1839-92), monumento a Niccolò Tommaseo (1882) in campo S. Stefano a Venezia, soprannominato "El cagalibri". Non potendo ovviamente ingrossare le gambe di marmo (di Carrara), lo
scultore ha dovuto aggiungere la pila di libri, collegandoli in modo sicuro alla falda del pastrano.
7 – Il progetto del ponte sullo stretto di Messina. L'avvio dei lavori era previsto dal governo Berlusconi entro il gennaio 2010, l'apertura al traffico sette anni dopo, nel gennaio 2017. Per fortuna il primo marzo
del 2013 il progetto è stato definitivamente accantonato dal governo Monti.
Il primo è l'ipotizzato ponte sullo stretto di Messina (fig. 7): a parte ogni altra considerazione11, pare che superi abbondantemente la lunghezza limite per i ponti strallati
realizzabili con gli acciai attualmente disponibili: il professor Mazzolani, tra i massimi
esperti in acciaio, ha scritto, dopo un'analisi dell'evoluzione della tecnologia applicata
10 Eugéne E. Viollet–le–Duc, L'architettura ragionata, Jaca Book, Milano 1981, p. 310.
11 Un riassunto di com'è andata avanti negli anni la "pazza idea" (in realtà una brillante idea per rubare
una quantità ingente di denaro pubblico) lo trovate in tre successivi articoli di Luca Silenzi, cui si accede dal
primo: http://spacelab.it/theblog/2011/01/08/forma-e-sostanza-a-proposito-di-libeskind-e-del-pontesospeso-atto-primo/. Nell'"atto terzo" mi fa la cortesia di citare una precedente stesura di questo capitolo.
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ai ponti, che "una luce di 3.300 metri potrà essere realizzata soltanto fra circa 100 anni se il corrente sviluppo tecnologico rimane inalterato".12
E infatti accogliamo "con viva e vibrante soddisfazione" (direbbe Crozza) la notizia
che il primo marzo del 2013 il Governo ha decretato la fine dell'insensato progetto, facendo decadere i contratti stipulati per la realizzazione dell’opera tra la concessionaria
pubblica società Stretto di Messina SpA e il contraente generale Eurolink, anche se non
escludo colpi di coda da parte dei parassiti che sul progetto del ponte hanno lucrato
generosamente denaro pubblico nel corso degli ultimi decenni.
Il secondo esempio che voglio mostrare di sfida – perdente – al principio di similitudine è il modello in scala 1:250 e della laguna di Venezia (fig. 8), realizzato a Voltabarozzo, nella periferia padovana, sull'onda emotiva causata dalla disastrosa acqua alta
del 1966, con lo scopo di indagare il movimento delle maree lagunari. Costruito dopo
interminabili discussioni sulla sua effettiva utilità, l'enorme modello di ben 8.500 mq è
entrato finalmente in funzione nel 1980. Da allora è servito a poco o a nulla e giace attualmente abbandonato. Si pensa di demolirlo, oppure di riconvertirlo in un parco a
tema per visite guidate13.
8 – L'enorme modello della laguna veneta costruito a Padova-Voltabarozzo.
12 «Ponte dei sogni e miserie reali», in: Repubblica, 9/10/2004. Il testo di Federico Mazzolani si può leggere in: gabrielemartufi.altervista.org/ponte_sullo_stretto_di_messina.pdf.
13 Attilio Adami, Alfredo Caielli, Maurizio Pozzato, Alfredo Riondino (a cura di), Il Centro Sperimentale di
Voltabarozzo. L'evoluzione della modellistica idraulica e le nuove tecnologie per il controllo del territorio,
Marsilio, Venezia 2007, pp. 130-133.
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Il fatto è che il fondo del modello, che è una superficie, influenza il movimento
dell'acqua di marea, che è un volume. Per cui occorre tener conto del principio di similitudine e i risultati degli esperimenti richiedono complicati calcoli matematici di correzione: tanto valeva lavorare direttamente su di un modello matematico della laguna,
anziché su di un enormemente più costoso modello fisico!
Proporzioni e similitudine
Concludo osservando che, alla luce del principio di similitudine, rivelano tutta la loro
ingenuità e inadeguatezza pure le famose >proporzioni "scoperte" dagli architetti del
Rinascimento14.
Secondo costoro (ma anche secondo il Le Cobusier del >modulor) i medesimi rapporti lineari dovrebbero andar bene per tutto: per l'uomo come per l'architettura, per la
musica, per le "armonie celesti" ecc., indipendentemente dalla grandezza della cosa da
proporzionare. È invece evidente che perfino la forma di una colonna non può essere
indipendente dall'altezza, dal materiale e dal carico che deve sostenere (fig. 9).
9 – Corrette proporzioni delle colonne in relazione ai pesi imposti, da Percy Erskine Nobbs, Design. A Treatise on the Discovery of Form, Oxford Univ. Press, London-New York 1937 (riportato in Philip Steadman,
L'evoluzione del design, Liguori, Napoli 1988, p. 76).
Il colmo è che i trattatisti, nel dare alle colonne le medesime proporzioni di un uomo
(ideale), sostenevano di voler imitare la >natura, "somma e divina maestra di tutte le
cose". Niente di più falso: la natura (cioè l'>evoluzione) non dà mai, né può dare, la
medesima forma al grande e al piccolo. Alla faccia dei trattatisti, le forme naturali sono
corrette proprio quando hanno proporzioni diverse a seconda della dimensione complessiva, come accade per l'elefante e il cavallo.
14 Se ne accorge anche Koolhaas quando, nel suo troppo famoso scritto intitolato «Bigness, or the problem of large» (pubblicato in anteprima su Domus 764, ottobre 1994, pp. 87-90, e il mese successivo nel
libro S, M, L, XL, The Monacelli Press, New York 1994, pp. 494-517), osserva che alcuni vecchi "arnesi" cari ai
critici non valgono più quando l'edificio supera "certe" dimensioni. Ma ne attribuisce la "colpa", udite udite,
all'invenzione dell'ascensore, il quale, col suo potenziale di istituire collegamenti meccanici anziché architettonici, annulla e svuota il repertorio classico dell'architettura, rendendo discutibili i concetti di composizione,
scala, proporzione, dettaglio. L'"arte" dell'architettura è inutile nella Bigness. Se Koolhaas avesse avuto presente il Principio di Similitudine, avrebbe potuto sviluppare a ben altro livello le sue considerazioni sui problemi degli edifici "grandi" rispetto a quelli "piccoli".
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