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Abile, disabile, opinabile
Un’estate Barbara Garlaschelli Abile, disabile, opinabile artiamo dalle parole, dal loro significato perché, come si sa: chi scrive male, parla male, pensa male (potete cambiare anche l’ordine, il significato non cambia). Le parole sono importanti perché definiscono, veicolano significati, spiegano, delimitano. Ma c’è una parte del vivere che nemmeno la precisione delle parole può rendere. Per me, questa parte indefinibile, immaginifica, talvolta spaventosa, sempre stupefacente, è legata al corpo e alla mente. Scritto, questo, definiamo le parole attorno a cui farò danzare le mie riflessioni future che, chi vorrà, leggerà e commenterà. § Abile: dal verbo latino habere, cioè avere, deriva habilis nel significato di maneggevole, adatto. L’origine di abile ricopre una vasta gamma di significati, da “capace” a “provetto”. Il contrario di abile è inabile, cioè “incapace”. Quando l’incapacità deriva da limitazioni fisiche abbiamo disabile. C’è chi dice diversamente abile, ritenendo che dis-abile crei una dis-criminazione. E questo secondo l’etimologia, dal tardo latino discriminatio, vorrebbe dire distinzione, separazione, e peggio ancora, esclusione. Opinabile, dal latino opinabilis, derivato da opinari cioè credere. Che comporta un’opinione personale. Discutibile, controvertibile. La prima riflessione: è opinabile la definizione di abile e disabile (e volendo comprendere nella “categoria”, corpo e mente, ci stanno: inabile, handicappato, diversamente abile, paralitico, matto, folle, incapace, menomato, bizzarro, e chi più ne ha più ne metta. Ma un aggettivo li accoglie tutti in grembo come un’infinita madre: diverso). § Qualcuno di voi è così sicuro di sapere chi sia abile e chi sia disabile? Basta un’apparenza, anche oggettiva (io sono disabile, non ci sono dubbi al riguardo) a definire un essere umano? La domanda è retorica, ovvio. Il coro di «Noooooo, siamo tutti uguali», l’ho sentito molte volte. E invece no, non lo siamo (e secondo me è solo un bene tutta questa diversità). Ma il punto resta: chi è abile e chi disabile? Opinabile... § Vi racconto una storia. C’è una ragazza di 15 anni: bella, sana, piena di vita. Il suo corpo è ben tornito, è molto alta per la sua età. Appassionata di lettura, ha un sacco di amici, dei genitori fantastici con i quali va molto d’accordo, un accordo che è intesa e sintonia, amore e rispetto. È impegnata a vivere e a divertirsi, a crogiolarsi talvolta in una malinconia sottile ma perché una vita adolescente senza lacrime e piccoli dolori interiori, che vita adolescente è? La ragazza è un corpo vitale e una mente vorace. La ragazza è energia allo stato puro. Da poco ha cominciato a comprendere i richiami del suo corpo, ad apprezzare l’armonia delle sue curve pur sentendosi troppo abbondante (ma è un’adolescente e solo nella maturità una donna riesce ad apprezzare le curve sinuose del panorama di se stessa). La ragazza è viva. Poi succede che la ragazza incontri il mare che ha sempre amato, e forse quel giorno è un poco più distratta del solito (e di solito è molto distratta) e si butta in acqua, e nell’acqua la sua seppur dura testa si schianta con la solidità imperturbabile di una pietra. Barbara Garlaschelli. Sul profilo Twitter si definisce «scrittrice vivente, leggente e scrivente. Ma soprattutto, leggente». Paraplegica dall’età di 15 anni a causa della rottura di una vertebra, laureata in Lettere moderne, esordisce nel ’95 con il volume O ridere o morire (Marcos y Marcos). I suoi libri – fra cui Non ti voglio vicino (Frassinelli) e Sirena (Laurana) sono tradotti in francese, castigliano, portoghese, olandese e serbo. Questo racconto è stato pubblicato sulla sua pagina Facebook. SuperAbile INAIL 32 Agosto-Settembre 2015