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Frontino - Provincia di Pesaro e Urbino

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Frontino - Provincia di Pesaro e Urbino
Frontino
Il senso del luogo
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È
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Veduta di Frontino.
bello giungere a Frontino scendendo da Carpegna , per la strada
di Montefiorentino. Lasciata prima alla propria destra, e poi alle
proprie spalle, la città oggi famosa per i suoi prosciutti, ma un
tempo per i suoi Principi, la via si pone parallela ai Sassi Simone e
Simoncello che sbarrano la vista alla Toscana medicea e di lì a poco prende a scendere punteggiata, qua e là, dai carpini che danno il nome a questa zona.
Curva dopo curva la via discende in una valle ombrosa e soleggiata,
vegliata dalla mole austera del monte Carpegna e dei due Sassi.
Frontino… il toponimo pare un diminutivo: il nome di un paese
forse defilato, piccolo, decentrato e anonimo. Niente di tutto questo.
Scende ancora la strada e scivolando per questa erta feretrana viene
il dubbio che il paese forse non esista, rapiti dal paesaggio. Poi, oasi,
compare un campanile, magari tra le nebbie autunnali o tra il rigoglioso esplodere delle fronde primaverili e poi due brevi filari di cipressi
paralleli che si rincorrono: è il convento di Montefiorentino. Simbiosi di
gotico e romanico marchigiano che annunciano l’appropinquarsi della
civiltà.
Scende ancora la strada, corre, e s’infittiscono le curve in una campagna che ha il sapore della tradizione e della fertilità. Dalle colline circostanti spuntano piccoli agglomerati e case simili a torri, oggi più o
meno sapientemente restaurate.
È proprio in questo istante che ci si accorge del mutare delle cose.
Qualche cosa sta decisamente cambiando: un convento, delle case torri,
la strada che corre e serpeggia più velocemente. Una momentanea e
curiosa ansia assale il viaggiatore, poi un colle, che sale dal fondo della
valle. Un colle all’apparenza dolce, ma che austero si stacca dal piano
vallivo sostenendo una bomboniera di pietra e laterizio.
Ecco la piccola, grande Frontino (315 m s.l.m.) tranquillamente
aggrappata al suo rilievo che i seri geologi definiscono “marnoso – arenaceo”. Superato un minuscolo cimitero alle porte del paese, una torre
poligonale (originariamente pentagonale) molto simile a quella presente nella frazione di Cerignano di Macerata Feltria , accoglie il visitatore
curioso. La torre è databile alla seconda metà del XV secolo ed alcuni
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sostengono che la paternità del manufatto sia del senese Francesco di
Giorgio Martini, che per il duca di Urbino restaurò un importante
numero di fortificazioni, ma la costruzione presenterebbe anche delle
analogie con altre, sicuramente malatestiane.
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Inizialmente la “Massa
Trabaria” era un cantone
forestale, un territorio situato attorno alle sorgenti del
fiume Metauro, esclusivo
possedimento della Santa
Sede, dei pontefici romani.
Qui i papi, all’occorrenza,
tagliavano enormi alberi per
ricavarne le travi (di qui
“Trabaria”) da utilizzare nelle
immense basiliche romane. È
curioso ma, un tempo, gli
alberi di Frontino sorreggevano la stessa basilica di San
Pietro. In questo antico
“comune
della
Massa
Trabaria”, dipendente direttamente da Roma, è nato,
nella prima metà del XII secolo, il castello di Frontino. Ma
per quale motivo?
S’immagini il Montefeltro
nei primi secoli del bassomedioevo. Le famiglie di tradizione feudale Carpegna e
Montefeltro controllavano
gran parte del territorio ed
erano strenuamente fedeli e
legate all’imperatore che,
notoriamente, avversava il
papato. A pochi passi da
Carpegna v’era invece la
Massa Trabaria, controllata
direttamente dal Papa, un
ghiotto boccone per i seguaci
dell’impero.
Frontino sorse proprio
come caposaldo papale, un
sigillo posto su un confine
piuttosto caldo, contro le
malcelate mire dei signori
locali.
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Antico palazzo all’interno del castello.
Ora si sale, controllati dalle mura ellittiche e si gira attorno al paese
sino a trovare un varco d’accesso al corso cittadino. Le case sono ancora
in pietra con inserti in laterizio che impreziosiscono le strutture, molte
delle quali con le murature contraffortate originali di epoca medievale.
Malgrado dei restauri piuttosto liberi e invasivi, si riescono a cogliere le
strutture essenziali del castello come le mura (in parte ricostruite) e la
torre civica, situata proprio al centro del tessuto urbano. Sul fondo del
paese il palazzo dei Vandini, di periodo umanistico, famiglia che ebbe
modo di legare inscindibilmente il suo nome a questo castello e agli stessi Montefeltro, per la sua fedeltà al ducato.
Ma quale è il senso di Frontino?
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Frontino si troverà a suo agio nelle mani della famiglia Montefeltro
che, sino a qualche anno prima, aveva così intensamente avversato.
Questo castello infatti si dimostrerà fedele al casato feltrio in più occasioni.
Oggi Frontino è un paese defilato e tenacemente aggrappato al suo
sasso che purtroppo, in alcuni punti, minaccia rovina.
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Un senso percepibile affacciandosi, con pazienza, dalle sue mura. Il
paese odierno, come la maggior parte dei centri della provincia di Pesaro
e Urbino, trova la sua origine nei secoli di mezzo.
Il nome completo di questo castello è “Frontino di Massa” e già da
solo spiega il perché dell’intero agglomerato. Ad essere puntigliosi il
castello non farebbe parte del Montefeltro storico. Il territorio di
Frontino, infatti faceva parte, originariamente, della storica “Massa
Trabaria” o Massa Beati Petri.
Ecco allora il senso di questo castello perso nella valle del torrente
Mutino, sorto a poca distanza dal centro di Carpegna , ma che, con questo, non ha niente da spartire. Il confine tra papato e impero, in questa
epoca di conflitti, correva proprio lungo il torrente Mutino.
S’immagini allora questo lembo di provincia tra XII e XIII secolo. I
Carpegna e i Montefeltro vantavano possedimenti che, praticamente,
quasi circondavano la piccola Frontino. Il torrente costituiva un confine
talmente labile da essere attraversato, da ambo le parti, in continuazione. Le scaramucce tra le due fazioni erano all’ordine del giorno; queste,
di tanto in tanto, potevano trasformarsi in vere e proprie lotte che giungevano sino all’orecchio dei pontefici, creando legittima apprensione
alla Santa Sede.
Il castello comunque resse bene agli urti derivanti dalla sua posizione di confine ed assolse al suo originale dovere sino al XIV secolo. Poi
un po’ a causa della prolungata assenza dei papi da Roma , nel periodo
Avignonese, un po’ per il sempre maggiore potere acquisito dai conti di
Urbino, i Montefeltro, per Frontino iniziarono i guai.
Il castello fu devastato dai ghibellini il 4 giugno del 1332. Il delegato papale nella Marca , cardinale Egidio Albornoz, riuscirà comunque a
recuperare i territori di San Pietro, ma li terrà per poco. Nell’anno 1378
infatti, un ormai prostrato papa Urbano IV, incapace di arginare o eliminare definitivamente la piaga delle famiglie nobili feretrane, scelse la
via del compromesso e concesse al conte Antonio di Montefeltro il definitivo dominio sul castello di Frontino (oltre che su altri centri del
Montefeltro). Ora si può affermare che il castello diviene parte integrante del Montefeltro.
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Scorcio del castello.
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ti, meno ponderato del signore di Urbino, decise di attaccare comunque
briga nel Montefeltro tentando la presa del castello di Frontino. Una scelta alquanto infelice e piuttosto maldestra.
Il freddo, che accompagnava la stagione invernale, non intimorì il
prode capitano riminese; diversi uomini, così, incuranti dell’inverno e
della neve che poteva già ricoprire il Montefeltro, furono inviati sotto le
coste del Monte Carpegna , nella valle ombrosa e piuttosto rigida dove si
trova il castello di Frontino.
Li comandava, si dice, Antonello da Narni, coadiuvato dal fido
“Babuccio”, personaggio misterioso. Si decise di dare l’assalto alla città
di notte. Prendendo i cittadini nel sonno la resa del castello sarebbe stata
immediata. Così, tentando di fare il minimo rumore, nelle tenebre cupe
di una notte d’inverno, i malatestiani giunsero sotto le mura nemiche e
appoggiarono i loro scaloni ad esse. Non notati dalle poche guardie,
alcuni soldati riuscirono, salendo per le scale, a penetrare nell’abitato,
pronti ad aprire il portone del castello ai compagni che li attendevano
di fuori, sotto le mura; un vecchio espediente utilizzato, nel medioevo,
in mille occasioni.
Una volta dentro, questo primo nucleo di “arditi”, iniziò a sprangare all’interno delle proprie abitazioni i cittadini di Frontino bloccando,
dall’esterno, i catenacci delle case. I lucchetti erano posti all’esterno delle
porte affinché, quando un proprietario usciva dalla propria abitazione,
potesse chiudere l’uscio e andarsene con tranquillità. All’interno delle
case invece, durante la notte, per proteggersi, veniva posta una trave
orizzontale a sbarramento del portone.
Tutto pareva filare liscio ai malatestiani, le scale non erano state
notate, diversi uomini d’arme erano già penetrati nel castello, avevano
serrato la maggior parte dei frontinesi dentro le loro abitazioni e il portone del castello era ormai stato aperto. Come vuole un vecchio proverbio locale che punisce chi tenta di fare il furbo contravvenendo alla
regole (“San Giovanni scopre gli inganni”), così il più improbabile personaggio di Frontino riuscì ad accorgersi dell’inghippo e dare l’allarme.
Una tutt’altro che temibile vecchietta parecchio in là con l’età e
molto apprensiva, era da poco uscita dalla sua abitazione (ancora non
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uel che segue è il racconto di un evento realmente accaduto a
Frontino nell’autunno dell’anno del Signore 1451, un evento
che ancora i frontinesi raccontano colmi d’orgoglio, con una
fierezza che affonda le sue radici nella brillante epoca di santi e cavalieri, il Medioevo. Una storia che tutti conoscono ed ognuno racconta
mettendoci del suo, ma questo è il bello della tradizione popolare.
In pieno medioevo forte s’era fatta ormai, in questa terra di confine
tra Marche, Toscana e Romagna , la guerra tra le due casate nobiliari più
blasonate del centro Italia .
Montefeltro e Malatesti, proprio qui, nel Montefeltro, da un secolo si
contendevano ogni castello, ogni torre, ogni remoto e sconosciuto pertugio di questa terra. Un infinito conflitto che trovò la sua massima
espressione al tempo di Federico di Montefeltro e Sigismondo Pandolfo
Malatesti, l’uno signore di Urbino e, l’altro, di Rimini.
Ci fu un periodo, nella seconda metà del XIV secolo, in cui i
Malatesti possedettero più castelli nel Montefeltro degli stessi
Montefeltro.
Comunque… era l’autunno dell’anno del Signore 1451, la stagione
volgeva ormai irrimediabilmente verso i rigori invernali e le buie giornate
invitavano più al riposo che alla belligeranza. Come era in uso in passato,
spesso, in occasione dei periodi invernali, gli eserciti rivali (sin dal tempo
dei romani) solevano stipulare delle tregue armate sino alla successiva primavera. Risultava infatti difficile e quantomeno sconveniente mobilitarsi
tra cumuli di neve, guadare fiumi e torrenti in piena (o ghiacciati) e assediare castelli che ormai, dall’estate, avevano già incamerate al loro interno
tutte le derrate di cibo necessarie per il sostentamento.
Federico di Montefeltro, duca di Urbino, rinomato uomo d’arme,
decise così di chiedere al rivale, Sigismondo, un’auspicabile tregua per
l’immediato periodo invernale. Il riminese acconsentì e così le ville e i
castelli del ducato poterono tirare un sospiro di sollievo e lo stesso duca
poté godersi i rigori invernali al caldo degli enormi camini del palazzo
urbinate.
Il Malatesti però, alquanto subdolo e, come dimostreranno gli even-
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Sogno di una notte di mezzo autunno
Miracolo! Piovono coppi!
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quelle appoggiate alle mura, ma alla base di queste vi era ora un comitato di benvenuto composto dai frontinesi del contado armati di forche
e “scorcelli”, accorsi al castello per aiutare gli amici cittadini. Gli strepiti erano udibili sin dalle campagne!
La battaglia, come narra la cronaca, fece tra i malatestiani due morti
e quaranta feriti. Sei nemici vennero presi vivi dai frontinesi, cinque di
questi furono crocifissi ed esposti al pubblico ludibrio, il sesto fu incaprettato e trascinato sin ad Urbino di fronte al duca Federico in persona,
per raccontare le nefandezze delle proprie schiere. Una giustizia casereccia, ma efficace.
Federico, profondamente impressionato dalla scorrettezza dell’avversario e dalla reazione impavida dei frontinesi, volle esentare questo suo
castello, per dieci anni, dalla riscossione dei tributi, onorando i feretrani con sincere parole d’elogio.
Sigismondo Pandolfo Malatesti, cornuto e mazziato, nei giorni
seguenti, inviò un messo al duca di Urbino, richiedendo la restituzione
dei suoi, vivi o morti, minacciando che se ciò non avesse avuto luogo
egli avrebbe fatto scempio dei feretrani caduti nelle sue mani.
Questa vittoria divenne simbolica per gli abitanti di Frontino. Ogni
anno, il 9 novembre, giorno di San Salvatore, nella chiesa di San Paolo,
si indissero grandi festeggiamenti per ricordare la notte in cui una fitta
pioggia di coppi salvò la vita al castello!
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serrata!) per recarsi, nel pieno della notte, dalla figlia gravida. Quando si
accorse che in paese v’erano degli strani rumori e, soprattutto, degli strani personaggi che armeggiavano, imprecando, con i catenacci delle
porte, corse ancor più velocemente verso casa della figlia. Si fece aprire
(altro catenaccio ancora non serrato!), raccontò tutto ciò che aveva visto
e chiese se, in paese, il capitano avesse raddoppiato le guardie, dato che
aveva visto un sospetto via vai di parecchi uomini armati.
Il genero, compresa subito la situazione, si gettò giù per le scale della
propria abitazione per scendere in strada ad avvisare i paesani, ma trovò
la sua porta sbarrata! Affacciatosi ad una finestra vide con i suoi stessi
occhi che il nemico si era ormai impadronito del castello.
La porta sbarrata non impedì di dare l’allarme gridando come un
ossesso, allarme subito captato dai vicini ed esteso a tutto il castello. I
frontinesi, popolo coraggioso, impossibilitati ad uscire in strada non si
fecero cogliere dal panico: poste le mani a tutto ciò che avevano in casa
rassomigliante ad un’arma, salirono sui tetti delle loro case e diedero inizio al finimondo.
Urlando come belve, facendo uno strepito demoniaco, lasciarono
cadere, sui poveri malatestiani, già tronfi per la vittoria, l’ira di Dio.
Quando terminarono le forche e le zappe, i frontinesi iniziarono a tirare letteralmente di tutto sul capo dei riminesi. Tegole, coppi, travi, pianelle e quanto altro si frantumarono sulle teste degli assalitori.
La battaglia durò tutta la notte, i nemici non volevano demordere,
troppa sarebbe stata la vergogna di perdere un castello già conquistato
soltanto per una pioggia di coppi, ma neanche i frontinesi, completamente infuriati, avevano intenzione di consegnarsi al più acerrimo
nemico del loro amato duca, per altro in tempo di pace, durante una
tregua non rispettata!
Sul far del mattino i malatestiani, atterriti, dovettero cedere. La
pioggia di oggetti, le grida sovrumane e gli strepiti belluini dei frontinesi avevano letteralmente sconvolto gli invasori che presero così a fuggire, disordinatamente, per le vie del castello. Una sola era la porta d’uscita e i cittadini, ora fuori dalle proprie abitazioni, attendevano il nemico
al varco. Alcuni malatestiani tentarono di scendere per le scale in legno,
Frontino nelle nebbie di mezzo autunno.
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Quella fortezza chiamata mulino e la villa dei contadini
Montefiorentino – Mulino del Mutino – Ca Tomassone –
San Girolamo
D
iscendendo da Carpegna per la via che, serpeggiante, corre
verso Frontino è possibile notare, alla propria sinistra, tra gli
alberi, una costruzione vegliata da un possente campanile. Si
tratta del complesso monastico di Montefiorentino.
Un viale alberato, bordato di cipressi, conduce alla costruzione. Il
luogo è piuttosto silenzioso e, ancora oggi, incline alla meditazione; vi
risiede, al suo interno, una comunità di frati francescani.
Avvicinandosi all’edificio si è subito attratti dal portale gotico della
chiesa edificata tra XIII e XIV secolo, impreziosito dal suo portone in
legno con il caratteristico catenaccio in ferro battuto. L’edificio ecclesiastico conserva al suo interno una perla di rara bellezza aperta, nel 1484,
sul suo fianco destro: è una cappella quattrocentesca gentilizia. Qui
riposano, in eleganti sarcofagi, Gianfrancesco Oliva , conte di
Piandimeleto e Marsibilia Trinci, sua moglie. Sull’altare è posta una
grande tavola di Giovanni Santi che raffigura una Madonna con il
Bambino affiancata da angeli e santi e, in basso, sulla destra, lo stesso
committente, il conte Carlo Oliva figlio di Gianfrancesco. Osservare
attentamente i visi pietrificati delle due figure infonde sensazioni
profonde, acuite dalla vista della spada scolpita al fianco di
Gianfrancesco, capitano tardomedievale. Il convento custodisce anche
un suo chiostro porticato con, al centro, i pozzi.
Lasciato Montefiorentino e continuando a discendere verso Frontino
si notano, alla propria sinistra, antiche abitazioni di sapore medievale e
rinascimentale, aggrappate al fianco del colle.
Scende la via, conduce a Frontino, oltrepassa il castello e riprende di
nuovo a scendere. Dove vorrà arrivare questa discesa iniziata da
Carpegna e ancora lungi dal terminare?
Al torrente Mutino e, più precisamente, al “Mulino del Ponte”.
Difficile immaginare che questa struttura, posta nel più profondo della
valle, circondato da ombrosi monti, sia un mulino. L’edificio infatti è
assai grande e composto da diversi corpi di fabbrica, ma quel che desta
maggiore attenzione è che, al di sopra d’esso, s’impenna un’alta torretta
a pianta quadrata.
Scambiarlo per l’ennesima casa torre è facile,
tanto più che sulle coste
del monte che sovrasta il
mulino è presente una
costruzione del genere.
Questo invece è proprio un mulino, ma non il
solito mulino: si tratta
infatti di un edificio che
raramente si trova ancora
in opera nel territorio
provinciale. È un mulino
fortificato. Una chiusa a
guardia di un ponte.
L’ingresso del Convento.
L’edificio si trova presso il
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La via per Montefiorentino.
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greto del torrente Mutino.
In questo punto della
corte del castello di
Frontino, nel medioevo,
era presente probabilmente (come oggi del
resto) un ponte o un
guado che permetteva di
superare il corso d’acqua.
Il mulino sorse, non a
Particolare della porta di ingresso.
caso, in questo punto, per
sfruttare la confluenza di un fosso che qui si getta nel torrente (il fosso
alimenta tutt’oggi l’invaso a monte del mulino) e per difendere questo
importante passaggio.
Ecco spiegata, con tutta probabilità, la presenza della torre, necessaria guardia e vedetta di un significativo mulino nel cui interno sono presenti due macine perfettamente funzionanti grazie all’acqua lasciata
cadere una volta aperte le chiuse. Formidabile è assistere alla violenza
dell’acqua che cozza contro le pale e lascia girare vorticosamente la
macina in pietra e udire il rumore della pietra che stride.
La struttura è dotata di due macine, una per il grano ed una per le
biade, anticamente possedeva anche una gualchiera per la follatura dei
panni, recentemente restaurata. Ancora oggi, nei pressi del mulino, una
azienda a conduzione familiare panifica con metodi antichi e biologici,
coltivando personalmente il grano tenero e cocendo nel forno a legna
soltanto con legname scelto.
Proseguendo oltre il mulino, verso il convento di San Girolamo, proprio sul culmine di un dosso posto di fronte ad esso, troneggia una casa,
è Ca Tomassone.
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Il “Mulino Torre” di Frontino.
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Ca Tomassone.
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Ca Tomassone, particolare.
È strana questa abitazione. Una miscela di stili inganna il visitatore.
Si tratta della classica “antica casa del contadino” o di una vera e propria
“casa signorile”? Salendo per l’erta ghiaiosa che conduce ad essa si nota-
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Il loggiato al pianterreno.
no dei portici aperti sul piano terra ed una loggia al primo piano composta da suggestivi archi a tutto sesto di sapore rinascimentale; finestre
con conci in arenaria ingentiliscono la facciata in uno spiccio tentativo
di eleganza.
Ma la casa ha anche finestre piccole e mura spesse e scarpate, di tipico sapore medievale e rustico. Probabilmente, su questo colle sorgeva,
nel medioevo, una casa fortificata. Agli esordi del rinascimento i suoi
proprietari (la famiglia nobile dei Vandini) ingentilirono, il corpo avanzato di Ca Tomassone con questo porticato e con l’apertura della loggia
al primo piano. Tra quattro e cinquecento la campagna attorno Frontino
dovette trovare un notevole impulso, visto il tentativo di abbellire una
casa che nella terra e nel sudore aveva posto le proprie radici.
È bello allora pensare, immaginare, osservando Ca Tomassone, un
periodo relativamente tranquillo, quello che vede, dopo la seconda metà
del ‘400 la fine del medioevo e l’inizio della gentile epoca rinascimentale. Una rinata serenità ed un utilizzo più consapevole della campagna,
rende ora il contado, in alcuni casi, un vero e proprio luogo di delizia,
dimora per piccoli signori
locali, dove trovare quiete
(anche un tempo le città
erano chiassose!) e amministrare comunque le attività della campagna. Ecco
il senso di Ca Tomassone,
dai cui archi trasuda una
vista unica sulla campagna frontinese che oggi
non si discosta poi tanto
da quella ammirabile
dalle logge del ‘400.
E proprio da qui, in
un’infinita curiosità accesa dal frontinese, l’occhio
Particolare delle logge.
cade su un secondo colle,
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La mole compatta della residenza gentilizia.
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Gli affreschi del San Girolamo.
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posto proprio di rimpetto a quello che sorregge il rustico palazzotto. Da
questo colle si eleva un campanile e si scorge un complesso piuttosto
grande.
Via, giù veloci da Ca Tomassone, si sale un poco per vicina strada e
dopo pochi metri si è al cospetto del Convento di San Girolamo, ultima
meraviglia di questo piccolo comune.
L’Ultima Cena.
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