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Frontino - Provincia di Pesaro e Urbino
Frontino Il senso del luogo Frontino Frontino Frontino È 98 scheda 16 scheda 16 Veduta di Frontino. bello giungere a Frontino scendendo da Carpegna , per la strada di Montefiorentino. Lasciata prima alla propria destra, e poi alle proprie spalle, la città oggi famosa per i suoi prosciutti, ma un tempo per i suoi Principi, la via si pone parallela ai Sassi Simone e Simoncello che sbarrano la vista alla Toscana medicea e di lì a poco prende a scendere punteggiata, qua e là, dai carpini che danno il nome a questa zona. Curva dopo curva la via discende in una valle ombrosa e soleggiata, vegliata dalla mole austera del monte Carpegna e dei due Sassi. Frontino… il toponimo pare un diminutivo: il nome di un paese forse defilato, piccolo, decentrato e anonimo. Niente di tutto questo. Scende ancora la strada e scivolando per questa erta feretrana viene il dubbio che il paese forse non esista, rapiti dal paesaggio. Poi, oasi, compare un campanile, magari tra le nebbie autunnali o tra il rigoglioso esplodere delle fronde primaverili e poi due brevi filari di cipressi paralleli che si rincorrono: è il convento di Montefiorentino. Simbiosi di gotico e romanico marchigiano che annunciano l’appropinquarsi della civiltà. Scende ancora la strada, corre, e s’infittiscono le curve in una campagna che ha il sapore della tradizione e della fertilità. Dalle colline circostanti spuntano piccoli agglomerati e case simili a torri, oggi più o meno sapientemente restaurate. È proprio in questo istante che ci si accorge del mutare delle cose. Qualche cosa sta decisamente cambiando: un convento, delle case torri, la strada che corre e serpeggia più velocemente. Una momentanea e curiosa ansia assale il viaggiatore, poi un colle, che sale dal fondo della valle. Un colle all’apparenza dolce, ma che austero si stacca dal piano vallivo sostenendo una bomboniera di pietra e laterizio. Ecco la piccola, grande Frontino (315 m s.l.m.) tranquillamente aggrappata al suo rilievo che i seri geologi definiscono “marnoso – arenaceo”. Superato un minuscolo cimitero alle porte del paese, una torre poligonale (originariamente pentagonale) molto simile a quella presente nella frazione di Cerignano di Macerata Feltria , accoglie il visitatore curioso. La torre è databile alla seconda metà del XV secolo ed alcuni 99 Frontino Frontino sostengono che la paternità del manufatto sia del senese Francesco di Giorgio Martini, che per il duca di Urbino restaurò un importante numero di fortificazioni, ma la costruzione presenterebbe anche delle analogie con altre, sicuramente malatestiane. 100 Inizialmente la “Massa Trabaria” era un cantone forestale, un territorio situato attorno alle sorgenti del fiume Metauro, esclusivo possedimento della Santa Sede, dei pontefici romani. Qui i papi, all’occorrenza, tagliavano enormi alberi per ricavarne le travi (di qui “Trabaria”) da utilizzare nelle immense basiliche romane. È curioso ma, un tempo, gli alberi di Frontino sorreggevano la stessa basilica di San Pietro. In questo antico “comune della Massa Trabaria”, dipendente direttamente da Roma, è nato, nella prima metà del XII secolo, il castello di Frontino. Ma per quale motivo? S’immagini il Montefeltro nei primi secoli del bassomedioevo. Le famiglie di tradizione feudale Carpegna e Montefeltro controllavano gran parte del territorio ed erano strenuamente fedeli e legate all’imperatore che, notoriamente, avversava il papato. A pochi passi da Carpegna v’era invece la Massa Trabaria, controllata direttamente dal Papa, un ghiotto boccone per i seguaci dell’impero. Frontino sorse proprio come caposaldo papale, un sigillo posto su un confine piuttosto caldo, contro le malcelate mire dei signori locali. scheda 16 scheda 16 Antico palazzo all’interno del castello. Ora si sale, controllati dalle mura ellittiche e si gira attorno al paese sino a trovare un varco d’accesso al corso cittadino. Le case sono ancora in pietra con inserti in laterizio che impreziosiscono le strutture, molte delle quali con le murature contraffortate originali di epoca medievale. Malgrado dei restauri piuttosto liberi e invasivi, si riescono a cogliere le strutture essenziali del castello come le mura (in parte ricostruite) e la torre civica, situata proprio al centro del tessuto urbano. Sul fondo del paese il palazzo dei Vandini, di periodo umanistico, famiglia che ebbe modo di legare inscindibilmente il suo nome a questo castello e agli stessi Montefeltro, per la sua fedeltà al ducato. Ma quale è il senso di Frontino? 101 Frontino Frontino Frontino si troverà a suo agio nelle mani della famiglia Montefeltro che, sino a qualche anno prima, aveva così intensamente avversato. Questo castello infatti si dimostrerà fedele al casato feltrio in più occasioni. Oggi Frontino è un paese defilato e tenacemente aggrappato al suo sasso che purtroppo, in alcuni punti, minaccia rovina. scheda 16 scheda 16 Un senso percepibile affacciandosi, con pazienza, dalle sue mura. Il paese odierno, come la maggior parte dei centri della provincia di Pesaro e Urbino, trova la sua origine nei secoli di mezzo. Il nome completo di questo castello è “Frontino di Massa” e già da solo spiega il perché dell’intero agglomerato. Ad essere puntigliosi il castello non farebbe parte del Montefeltro storico. Il territorio di Frontino, infatti faceva parte, originariamente, della storica “Massa Trabaria” o Massa Beati Petri. Ecco allora il senso di questo castello perso nella valle del torrente Mutino, sorto a poca distanza dal centro di Carpegna , ma che, con questo, non ha niente da spartire. Il confine tra papato e impero, in questa epoca di conflitti, correva proprio lungo il torrente Mutino. S’immagini allora questo lembo di provincia tra XII e XIII secolo. I Carpegna e i Montefeltro vantavano possedimenti che, praticamente, quasi circondavano la piccola Frontino. Il torrente costituiva un confine talmente labile da essere attraversato, da ambo le parti, in continuazione. Le scaramucce tra le due fazioni erano all’ordine del giorno; queste, di tanto in tanto, potevano trasformarsi in vere e proprie lotte che giungevano sino all’orecchio dei pontefici, creando legittima apprensione alla Santa Sede. Il castello comunque resse bene agli urti derivanti dalla sua posizione di confine ed assolse al suo originale dovere sino al XIV secolo. Poi un po’ a causa della prolungata assenza dei papi da Roma , nel periodo Avignonese, un po’ per il sempre maggiore potere acquisito dai conti di Urbino, i Montefeltro, per Frontino iniziarono i guai. Il castello fu devastato dai ghibellini il 4 giugno del 1332. Il delegato papale nella Marca , cardinale Egidio Albornoz, riuscirà comunque a recuperare i territori di San Pietro, ma li terrà per poco. Nell’anno 1378 infatti, un ormai prostrato papa Urbano IV, incapace di arginare o eliminare definitivamente la piaga delle famiglie nobili feretrane, scelse la via del compromesso e concesse al conte Antonio di Montefeltro il definitivo dominio sul castello di Frontino (oltre che su altri centri del Montefeltro). Ora si può affermare che il castello diviene parte integrante del Montefeltro. 102 Scorcio del castello. 103 ti, meno ponderato del signore di Urbino, decise di attaccare comunque briga nel Montefeltro tentando la presa del castello di Frontino. Una scelta alquanto infelice e piuttosto maldestra. Il freddo, che accompagnava la stagione invernale, non intimorì il prode capitano riminese; diversi uomini, così, incuranti dell’inverno e della neve che poteva già ricoprire il Montefeltro, furono inviati sotto le coste del Monte Carpegna , nella valle ombrosa e piuttosto rigida dove si trova il castello di Frontino. Li comandava, si dice, Antonello da Narni, coadiuvato dal fido “Babuccio”, personaggio misterioso. Si decise di dare l’assalto alla città di notte. Prendendo i cittadini nel sonno la resa del castello sarebbe stata immediata. Così, tentando di fare il minimo rumore, nelle tenebre cupe di una notte d’inverno, i malatestiani giunsero sotto le mura nemiche e appoggiarono i loro scaloni ad esse. Non notati dalle poche guardie, alcuni soldati riuscirono, salendo per le scale, a penetrare nell’abitato, pronti ad aprire il portone del castello ai compagni che li attendevano di fuori, sotto le mura; un vecchio espediente utilizzato, nel medioevo, in mille occasioni. Una volta dentro, questo primo nucleo di “arditi”, iniziò a sprangare all’interno delle proprie abitazioni i cittadini di Frontino bloccando, dall’esterno, i catenacci delle case. I lucchetti erano posti all’esterno delle porte affinché, quando un proprietario usciva dalla propria abitazione, potesse chiudere l’uscio e andarsene con tranquillità. All’interno delle case invece, durante la notte, per proteggersi, veniva posta una trave orizzontale a sbarramento del portone. Tutto pareva filare liscio ai malatestiani, le scale non erano state notate, diversi uomini d’arme erano già penetrati nel castello, avevano serrato la maggior parte dei frontinesi dentro le loro abitazioni e il portone del castello era ormai stato aperto. Come vuole un vecchio proverbio locale che punisce chi tenta di fare il furbo contravvenendo alla regole (“San Giovanni scopre gli inganni”), così il più improbabile personaggio di Frontino riuscì ad accorgersi dell’inghippo e dare l’allarme. Una tutt’altro che temibile vecchietta parecchio in là con l’età e molto apprensiva, era da poco uscita dalla sua abitazione (ancora non scheda 1 uel che segue è il racconto di un evento realmente accaduto a Frontino nell’autunno dell’anno del Signore 1451, un evento che ancora i frontinesi raccontano colmi d’orgoglio, con una fierezza che affonda le sue radici nella brillante epoca di santi e cavalieri, il Medioevo. Una storia che tutti conoscono ed ognuno racconta mettendoci del suo, ma questo è il bello della tradizione popolare. In pieno medioevo forte s’era fatta ormai, in questa terra di confine tra Marche, Toscana e Romagna , la guerra tra le due casate nobiliari più blasonate del centro Italia . Montefeltro e Malatesti, proprio qui, nel Montefeltro, da un secolo si contendevano ogni castello, ogni torre, ogni remoto e sconosciuto pertugio di questa terra. Un infinito conflitto che trovò la sua massima espressione al tempo di Federico di Montefeltro e Sigismondo Pandolfo Malatesti, l’uno signore di Urbino e, l’altro, di Rimini. Ci fu un periodo, nella seconda metà del XIV secolo, in cui i Malatesti possedettero più castelli nel Montefeltro degli stessi Montefeltro. Comunque… era l’autunno dell’anno del Signore 1451, la stagione volgeva ormai irrimediabilmente verso i rigori invernali e le buie giornate invitavano più al riposo che alla belligeranza. Come era in uso in passato, spesso, in occasione dei periodi invernali, gli eserciti rivali (sin dal tempo dei romani) solevano stipulare delle tregue armate sino alla successiva primavera. Risultava infatti difficile e quantomeno sconveniente mobilitarsi tra cumuli di neve, guadare fiumi e torrenti in piena (o ghiacciati) e assediare castelli che ormai, dall’estate, avevano già incamerate al loro interno tutte le derrate di cibo necessarie per il sostentamento. Federico di Montefeltro, duca di Urbino, rinomato uomo d’arme, decise così di chiedere al rivale, Sigismondo, un’auspicabile tregua per l’immediato periodo invernale. Il riminese acconsentì e così le ville e i castelli del ducato poterono tirare un sospiro di sollievo e lo stesso duca poté godersi i rigori invernali al caldo degli enormi camini del palazzo urbinate. Il Malatesti però, alquanto subdolo e, come dimostreranno gli even- scheda 17 104 Sogno di una notte di mezzo autunno Miracolo! Piovono coppi! Frontino Frontino Q Frontino 105 quelle appoggiate alle mura, ma alla base di queste vi era ora un comitato di benvenuto composto dai frontinesi del contado armati di forche e “scorcelli”, accorsi al castello per aiutare gli amici cittadini. Gli strepiti erano udibili sin dalle campagne! La battaglia, come narra la cronaca, fece tra i malatestiani due morti e quaranta feriti. Sei nemici vennero presi vivi dai frontinesi, cinque di questi furono crocifissi ed esposti al pubblico ludibrio, il sesto fu incaprettato e trascinato sin ad Urbino di fronte al duca Federico in persona, per raccontare le nefandezze delle proprie schiere. Una giustizia casereccia, ma efficace. Federico, profondamente impressionato dalla scorrettezza dell’avversario e dalla reazione impavida dei frontinesi, volle esentare questo suo castello, per dieci anni, dalla riscossione dei tributi, onorando i feretrani con sincere parole d’elogio. Sigismondo Pandolfo Malatesti, cornuto e mazziato, nei giorni seguenti, inviò un messo al duca di Urbino, richiedendo la restituzione dei suoi, vivi o morti, minacciando che se ciò non avesse avuto luogo egli avrebbe fatto scempio dei feretrani caduti nelle sue mani. Questa vittoria divenne simbolica per gli abitanti di Frontino. Ogni anno, il 9 novembre, giorno di San Salvatore, nella chiesa di San Paolo, si indissero grandi festeggiamenti per ricordare la notte in cui una fitta pioggia di coppi salvò la vita al castello! scheda 17 scheda 17 106 Frontino Frontino serrata!) per recarsi, nel pieno della notte, dalla figlia gravida. Quando si accorse che in paese v’erano degli strani rumori e, soprattutto, degli strani personaggi che armeggiavano, imprecando, con i catenacci delle porte, corse ancor più velocemente verso casa della figlia. Si fece aprire (altro catenaccio ancora non serrato!), raccontò tutto ciò che aveva visto e chiese se, in paese, il capitano avesse raddoppiato le guardie, dato che aveva visto un sospetto via vai di parecchi uomini armati. Il genero, compresa subito la situazione, si gettò giù per le scale della propria abitazione per scendere in strada ad avvisare i paesani, ma trovò la sua porta sbarrata! Affacciatosi ad una finestra vide con i suoi stessi occhi che il nemico si era ormai impadronito del castello. La porta sbarrata non impedì di dare l’allarme gridando come un ossesso, allarme subito captato dai vicini ed esteso a tutto il castello. I frontinesi, popolo coraggioso, impossibilitati ad uscire in strada non si fecero cogliere dal panico: poste le mani a tutto ciò che avevano in casa rassomigliante ad un’arma, salirono sui tetti delle loro case e diedero inizio al finimondo. Urlando come belve, facendo uno strepito demoniaco, lasciarono cadere, sui poveri malatestiani, già tronfi per la vittoria, l’ira di Dio. Quando terminarono le forche e le zappe, i frontinesi iniziarono a tirare letteralmente di tutto sul capo dei riminesi. Tegole, coppi, travi, pianelle e quanto altro si frantumarono sulle teste degli assalitori. La battaglia durò tutta la notte, i nemici non volevano demordere, troppa sarebbe stata la vergogna di perdere un castello già conquistato soltanto per una pioggia di coppi, ma neanche i frontinesi, completamente infuriati, avevano intenzione di consegnarsi al più acerrimo nemico del loro amato duca, per altro in tempo di pace, durante una tregua non rispettata! Sul far del mattino i malatestiani, atterriti, dovettero cedere. La pioggia di oggetti, le grida sovrumane e gli strepiti belluini dei frontinesi avevano letteralmente sconvolto gli invasori che presero così a fuggire, disordinatamente, per le vie del castello. Una sola era la porta d’uscita e i cittadini, ora fuori dalle proprie abitazioni, attendevano il nemico al varco. Alcuni malatestiani tentarono di scendere per le scale in legno, Frontino nelle nebbie di mezzo autunno. 107 Quella fortezza chiamata mulino e la villa dei contadini Montefiorentino – Mulino del Mutino – Ca Tomassone – San Girolamo D iscendendo da Carpegna per la via che, serpeggiante, corre verso Frontino è possibile notare, alla propria sinistra, tra gli alberi, una costruzione vegliata da un possente campanile. Si tratta del complesso monastico di Montefiorentino. Un viale alberato, bordato di cipressi, conduce alla costruzione. Il luogo è piuttosto silenzioso e, ancora oggi, incline alla meditazione; vi risiede, al suo interno, una comunità di frati francescani. Avvicinandosi all’edificio si è subito attratti dal portale gotico della chiesa edificata tra XIII e XIV secolo, impreziosito dal suo portone in legno con il caratteristico catenaccio in ferro battuto. L’edificio ecclesiastico conserva al suo interno una perla di rara bellezza aperta, nel 1484, sul suo fianco destro: è una cappella quattrocentesca gentilizia. Qui riposano, in eleganti sarcofagi, Gianfrancesco Oliva , conte di Piandimeleto e Marsibilia Trinci, sua moglie. Sull’altare è posta una grande tavola di Giovanni Santi che raffigura una Madonna con il Bambino affiancata da angeli e santi e, in basso, sulla destra, lo stesso committente, il conte Carlo Oliva figlio di Gianfrancesco. Osservare attentamente i visi pietrificati delle due figure infonde sensazioni profonde, acuite dalla vista della spada scolpita al fianco di Gianfrancesco, capitano tardomedievale. Il convento custodisce anche un suo chiostro porticato con, al centro, i pozzi. Lasciato Montefiorentino e continuando a discendere verso Frontino si notano, alla propria sinistra, antiche abitazioni di sapore medievale e rinascimentale, aggrappate al fianco del colle. Scende la via, conduce a Frontino, oltrepassa il castello e riprende di nuovo a scendere. Dove vorrà arrivare questa discesa iniziata da Carpegna e ancora lungi dal terminare? Al torrente Mutino e, più precisamente, al “Mulino del Ponte”. Difficile immaginare che questa struttura, posta nel più profondo della valle, circondato da ombrosi monti, sia un mulino. L’edificio infatti è assai grande e composto da diversi corpi di fabbrica, ma quel che desta maggiore attenzione è che, al di sopra d’esso, s’impenna un’alta torretta a pianta quadrata. Scambiarlo per l’ennesima casa torre è facile, tanto più che sulle coste del monte che sovrasta il mulino è presente una costruzione del genere. Questo invece è proprio un mulino, ma non il solito mulino: si tratta infatti di un edificio che raramente si trova ancora in opera nel territorio provinciale. È un mulino fortificato. Una chiusa a guardia di un ponte. L’ingresso del Convento. L’edificio si trova presso il scheda 18 scheda 18 La via per Montefiorentino. 108 Frontino Frontino Frontino 109 Frontino Frontino greto del torrente Mutino. In questo punto della corte del castello di Frontino, nel medioevo, era presente probabilmente (come oggi del resto) un ponte o un guado che permetteva di superare il corso d’acqua. Il mulino sorse, non a Particolare della porta di ingresso. caso, in questo punto, per sfruttare la confluenza di un fosso che qui si getta nel torrente (il fosso alimenta tutt’oggi l’invaso a monte del mulino) e per difendere questo importante passaggio. Ecco spiegata, con tutta probabilità, la presenza della torre, necessaria guardia e vedetta di un significativo mulino nel cui interno sono presenti due macine perfettamente funzionanti grazie all’acqua lasciata cadere una volta aperte le chiuse. Formidabile è assistere alla violenza dell’acqua che cozza contro le pale e lascia girare vorticosamente la macina in pietra e udire il rumore della pietra che stride. La struttura è dotata di due macine, una per il grano ed una per le biade, anticamente possedeva anche una gualchiera per la follatura dei panni, recentemente restaurata. Ancora oggi, nei pressi del mulino, una azienda a conduzione familiare panifica con metodi antichi e biologici, coltivando personalmente il grano tenero e cocendo nel forno a legna soltanto con legname scelto. Proseguendo oltre il mulino, verso il convento di San Girolamo, proprio sul culmine di un dosso posto di fronte ad esso, troneggia una casa, è Ca Tomassone. scheda 18 scheda 18 Il “Mulino Torre” di Frontino. 110 Ca Tomassone. 111 Frontino Frontino Ca Tomassone, particolare. È strana questa abitazione. Una miscela di stili inganna il visitatore. Si tratta della classica “antica casa del contadino” o di una vera e propria “casa signorile”? Salendo per l’erta ghiaiosa che conduce ad essa si nota- 112 scheda 18 scheda 18 Il loggiato al pianterreno. no dei portici aperti sul piano terra ed una loggia al primo piano composta da suggestivi archi a tutto sesto di sapore rinascimentale; finestre con conci in arenaria ingentiliscono la facciata in uno spiccio tentativo di eleganza. Ma la casa ha anche finestre piccole e mura spesse e scarpate, di tipico sapore medievale e rustico. Probabilmente, su questo colle sorgeva, nel medioevo, una casa fortificata. Agli esordi del rinascimento i suoi proprietari (la famiglia nobile dei Vandini) ingentilirono, il corpo avanzato di Ca Tomassone con questo porticato e con l’apertura della loggia al primo piano. Tra quattro e cinquecento la campagna attorno Frontino dovette trovare un notevole impulso, visto il tentativo di abbellire una casa che nella terra e nel sudore aveva posto le proprie radici. È bello allora pensare, immaginare, osservando Ca Tomassone, un periodo relativamente tranquillo, quello che vede, dopo la seconda metà del ‘400 la fine del medioevo e l’inizio della gentile epoca rinascimentale. Una rinata serenità ed un utilizzo più consapevole della campagna, rende ora il contado, in alcuni casi, un vero e proprio luogo di delizia, dimora per piccoli signori locali, dove trovare quiete (anche un tempo le città erano chiassose!) e amministrare comunque le attività della campagna. Ecco il senso di Ca Tomassone, dai cui archi trasuda una vista unica sulla campagna frontinese che oggi non si discosta poi tanto da quella ammirabile dalle logge del ‘400. E proprio da qui, in un’infinita curiosità accesa dal frontinese, l’occhio Particolare delle logge. cade su un secondo colle, 113 Frontino Frontino scheda 1 scheda 1 La mole compatta della residenza gentilizia. 114 115 Frontino Gli affreschi del San Girolamo. scheda 18 posto proprio di rimpetto a quello che sorregge il rustico palazzotto. Da questo colle si eleva un campanile e si scorge un complesso piuttosto grande. Via, giù veloci da Ca Tomassone, si sale un poco per vicina strada e dopo pochi metri si è al cospetto del Convento di San Girolamo, ultima meraviglia di questo piccolo comune. L’Ultima Cena. 116