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Il fumo di un camino a legna danneggia il vicino di

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Il fumo di un camino a legna danneggia il vicino di
Proposta di articolo per rivista ARTIGIANATO
Inoltrato il 3 febbraio 2014
Rosa Bertuzzi
Il fumo di un camino a legna danneggia il vicino di casa
Vi riporto, lettori, una sentenza molto simpatica, la quale ha riconosciuto, in primo grado, presso il
Tribunale di Trento, la possibilità di accendere il camino all’interno di una privata abitazione. Tale
sentenza è stata confermata in secondo grado, in Corte d’appello, ma, poiché il vicino di casa,
disturbato dai fumi che fuoriuscivano dal camino , proponeva ricorso presso la Corte di Cassazione, a
Roma, la Suprema Corte ha dovuto analizzare il caso specifico. Il tutto perché un signore che, in Trento
accendeva un normale camino a legna all’interno della propria abitazione, con legname non
contaminato, ma il fumo disturbava il vicino di casa. La Corte di Cassazione, a differenza di quanto
sostenuto dai giudici di primo e di secondo grado, ha riconosciuto la colpevolezza del proprietario del
camino, in quanto il fumo che usciva dallo stesso fuoriusciva dalla normale tollerabilità. Ovviamente
l’iniziativa di tale attività giurisdizionale è stata attivata dallo stesso vicino di casa, il quale, disturbato
dal fumo del vicino, è ricorso al Tribunale civilmente, sollevando che l’art. 844 del codice civile vieta le
immissioni quando queste superano la normale tollerabilità. Infatti, l’art. del codice civile sancisce
espressamente : “Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le
esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la
normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi.”.
La Cassazione civile , sez. II, sentenza 09.01.2013 n° 309 ha stabilito che l'art. 844 c.c., comma 2,
alla luce di un'interpretazione costituzionalmente orientata, ponendo alle immissioni il limite della
normale tollerabilità ha inteso tutelare il diritto alla salute ed il diritto ad un ambiente salubre. E’ questo
il principio di diritto a cui fa riferimento la Suprema Corte per risolvere una controversia in tema di
tollerabilità di immissioni. Nel caso di specie la comproprietaria di una palazzina conveniva in giudizio
il vicino che, nell’ambito di una ristrutturazione dell’edificio antistante al suo, aveva modificato la
posizione di due camini.
Si riportano gli estratti della sentenza, allo scopo di illustrare ai lettori che, anche in una città delle
nostre Alpi, accendere il camino a legna, all’interno della propria abitazione, con ottimo legname
trentino, potrebbe causare una condanna nei confronti di chi si voleva riscaldare.
Il vicino di casa, nell’esporre la denuncia, assumeva che una volta attivati i camini il fumo che
fuoriusciva da quello più vicino all'abitazione dell'attrice aveva invaso in modo insopportabile il
terrazzo e le camere di quest'ultima. Chiedeva, pertanto, che previo accertamento dell'insufficiente
distanza dalla canna fumaria dalla proprietà dell'attrice e l'intollerabilità delle immissioni di fumo fosse
disposto l'arretramento di tale manufatto con la condanna del convenuto al risarcimento dei danni.
Si costituiva il C., vicino di casa, proprietario del camino, contestava la mancanza di presupposti
normativi ed osservava che la canna fumaria veniva utilizzata in modo assolutamente normale e,
comunque, eccepiva la prescrizione dei diritti azionati dall'attrice e l'usucapione della servitù
corrispondente alla situazione in essere.
Il Tribunale di Trento con sentenza n. 394 del 2004 respingeva le domande attoree e condannava
l'attrice al pagamento delle spese di lite.
Avverso tale sentenza proponeva appello la solita vicina di casa, lamentando che, erroneamente il
giudice di primo grado aveva ritenuto: a) che non fossero regolamentate le distanze dei camini dalle
costruzioni; b) che le immissioni di fumo fossero tollerabili; c) che, ove i camini fossero rimasti nella
posizione originaria, avrebbero emesso fumi che avrebbero, comunque invaso la proprietà
dell'appellante.
Si costituiva C. chiedendo il rigetto dell'appello. La Corte di Appello di Trento con sentenza n. 201 del
2006 rigettava l'appello. Secondo la Corte trentina: a) posto che i fondi di entrambi le parti non erano
confinanti in quanto tra essi vi è una strada pubblica, il C. non era tenuto al rispetto delle norme sulle
distanze di cui all'art. 873 c.c.; b) correttamente il giudice di primo grado aveva escluso che lo
spostamento del manufatto in altro punto del tetto potesse portare qualche vantaggio all'appellante, nè
andava dimenticato che la stessa parte appellante aveva riconosciuto il diritto del C. al mantenimento
dei camini nella posizione preesistente.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta dalla vicina disturbata per due motivi, illustrati con
memoria. Il proprietario del camino ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione della Corte di Cassazione
Con il primo motivo P.C. lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 879 c.c., e del D.P.R. n.
1931 del 1970, art. 6, comma 15, oggi sostituito dall'art. 2, comma 9, dell'Allegato IX a Parte V del
D.Lgs. n. 152 del 2006 "Norme in materia ambientale" che regola le distanze dei camini dalle
costruzioni vicine (art. 360 c.p.c., n. 3). Avrebbe errato la Corte di Trento, secondo la ricorrente, per
aver applicato alla fattispecie in esame la norma di cui all'art. 879 c.c. laddove prevede che le norme
relative alle distanze non si applicano alle costruzioni che si fanno in confine con le piazze e le vie
pubbliche, anche alle distanze dettate dal D.P.R. n. 1391 del 1970, relative alle distanze a salvaguardia
dell'inquinamento atmosferico. Piuttosto, ritiene la ricorrente, sia il D.P.R. n. 1391 del 1979 che il
D.Lgs. n. 152 del 2006, dettano norme in materia ambientale che non subiscono il limite posto dall'art.
879 c.c., considerato che la normativa di cui all'art. 879 c.c., riguarda esclusivamente le distanze previste
dall'art. 873 c.c.. La Cassazione ritiene che il motivo è infondato.
Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione
riguardo alla tollerabilità dei fumi e delle immissioni provenienti dal camino di casa C. (art. 360 c.p.c.,
n. 5). Secondo la ricorrente, la Corte di Appello di Trento non avrebbe risposto alla doglianza della
signora P. circa la tollerabilità delle immissioni di fumo.
Con l'atto di appello - chiarisce la ricorrente - essa stessa ricorrente aveva lamentato che l'accertamento
sulla tollerabilità dei fumi non fosse stato in realtà compiuto dal CTU, il quale in sostanza si era limitato
ad affermare che le immissioni erano inevitabili, ma non aveva chiarito se fossero anche tollerabili,
epperò, la Corte trentina a tale lamentela non avrebbe dato la benchè minima risposta.
La Suprema Corte di Cassazione sostiene che il motivo è fondato.
La Corte di Trento, richiamandosi alla CTU, ha chiarito che i fumi emessi dal camino in oggetto, al
servizio di una stufa, che viene alimentata a legna non erano idonei per la parte in cui invadevano
per la presenza di vento la proprietà della sig.ra P. ad arrecare danno alla salubrità e alla
sicurezza. Tuttavia, la Corte trentina non ha tenuto conto che in primis avrebbe dovuto accertare la
denunciata intollerabilità delle immissioni rapportate al diritto alla salute nonchè al diritto ad un
ambiente salubre della persona che subiva le immissione di cui si dice. Come insegna questa Suprema
Corte cui fa eco la dottrina più avvertita, l'art. 844 c.c., comma 2, alla luce di un'interpretazione
costituzionalmente orientata, ponendo alle immissioni il limite della normale tollerabilità ha inteso
tutelare il diritto alla salute ed il diritto ad un ambiente salubre. La Corte di merito, avrebbe dovuto,
pertanto, effettuare una valutazione concreta e media tra i contrastanti diritti dei proprietari dei fondi
oggetto di controversia, tenendo conto delle condizioni dei luoghi, della natura, dell'entità e della causa
delle immissioni, delle necessità generali ed assolute, quotidiane e civili, della umana coesistenza e,
sussidiariamente, anche della priorità dell'uso. Nè esaustive sono le affermazioni contenute nella
sentenza impugnate secondo cui il Tribunale aveva dichiarato che le immissioni di fumo di cui si dice
erano inevitabili, ma anche tollerabili o l'espressione secondo cui "orbene l'art. 844 c.c., prevede che
nella valutazione della normale tollerabilità si tenga conto delle condizioni dei luoghi e del c.d. preuso"
perchè sono (affermazioni) generiche non rapportate alla situazione concreta posta all'attenzione del
Giudice.
In definitiva, va rigettato il primo motivo del ricorso e accolto il secondo primo motivo, la sentenza
impugnata va cassata e la causa rinviata ad altra sezione della Corte di appello di Trento, anche per il
regolamento delle spese relativo al presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo del ricorso e accoglie il secondo motivo, cassa la sentenza
impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di Appello di Trento anche per il
regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione.
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