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Da Donna a Femme Fatale
la figura femminile nella storia Da Donna a Femme Fatale l’evoluzione femminile nella storia recente Sara Oliva V C, Liceo Artistico Cardarelli - La Spezia Esame di Stato a.s. 2011-2012 Da Donna a Femme Fatale l’evoluzione della figura femminile nella storia recente Sara Oliva V C, Liceo Artistico Cardarelli - La Spezia Esame di Stato a.s. 2011-2012 Da Donna a Femme Fatale la figura femminile nella storia Durante il corso della storia, molti artisti hanno trattato in diversi e soggettivi aspetti la figura della donna: al centro di questo lavoro, vi è il mio interesse per il suo mutamento attraverso il periodo che sta tra l’Ottocento e il Novecento, seguendo l’emancipazione e il diverso ruolo del genere femminile, le sue caratteristiche, il rapporto particolare che lega questa figura all’artista, I profondi mutamenti sociali che hanno accompagnato questa evoluzione.. Da Donna a Femme Fatale la figura femminile nella storia Prefazione L’espressione “femme fatale” nasce in Francia: è molto diffusa nella letteratura europea e spesso rappresentata in molti spettacoli teatrali o cinematografici. La sua figura nei secoli si è trasformata ed evoluta passando da ninfe ed eroine mitologiche a donne dal fascino oscuro, passando dalla storia, alla letteratura, alla storia dell’arte alla filosofia. Nel clima europeo compreso fra gli ultimi decenni dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento si afferma la corrente artistica del “Decadentismo”. L’intellettuale decadente è colui che dall’alto della sua superiorità culturale, guarda con disprezzo la società contemporanea, criticandone apertamente la decadenza, mascherata per di più da un falso moralismo dei costumi, assumendo atteggiamenti controcorrente e spesso volutamente eccentrici. Il caratteristico atteggiamento di questa corrente è l’Estetismo: l’artista trova il fine della sua opera in se stessa e nella sua bellezza, al di là dei valori simbolici che essa possiede; anche questo è un atteggiamento di forte critica al pensiero convenzionale, che tende a dare dignità all’arte per il suo valore pedagogico o filosofico mettendo in secondo piano l’aspetto puramente esteriore. Non bisogna però considerare la corrente estetista come una poetica superficiale, i decadenti non rinunciano a esprimere nelle loro opere il loro dissenso verso i contemporanei (pensiamo ad esempio ai racconti di Wilde - “Il principe felice e altre storie”, “La casa dei Melograni”, ecc…) ma semplicemente non rinunciano al piacere esteriore che un’opera d’arte ha il diritto di suscitare e che diventa un elemento fon- Da Donna a Femme Fatale damentale per ogni artista. In questo clima di disprezzo del pensiero contemporaneo, è rovesciata anche la concezione classica della figura femminile: dalla donna angelicata, incarnazione dell’amore platonico e allegoria delle virtù, dalla Venere, rappresentazione dell’amore vero e della passione onesta, si passa alla “Donna Fatale”, simbolo della passione perversa e sfrenata che porta alla rovina intellettuale e fisica di chi è ghermito dalla sua voluttà. E come la donna angelicata, che affascinò poeti del calibro di Dante Alighieri e Petrarca, la donna fatale cattura l’attenzione dei poeti di questo scorcio di secolo come Verga e D’Annunzio. Da mogli a seduttrici Il ruolo della donna, fino alla metà dell’Ottocento, era sempre stato delimitato dalla Chiesa e dalla famiglia; la donna trascorreva dunque un esistenza difficile, costretta in una vita monotona, senza alcun stimolo o aspirazione. Per i lunghi e bui secoli del medioevo è rimasta sempre accomunata all’idea di peccato, e nemmeno l’epoca dei lumi ha saputo liberarla dal suo destino. Solo il grande mutamento sociale che la rivoluzione industriale ha creato nella rigida società patriarcale, sconvolgendo quel rigido sistema di valori che la società rurale aveva preservato nei secoli, ha dato alla donna la possibilità di ritagliarsi un ruolo da protagonista. Il decadimento e il sovvertimento dei ruoli tradizionali aprono quindi alla donna piccoli spiragli di libertà, subito utilizzati da alcune pioniere per affermare culturalmente e socialmente la propria posizione. L’allargata base di questa femminilità emancipata identifica quasi da subito il divieto di partecipazione al suffragio come l’apice dell’oppressione maschilista ancora forte nella società. Nasce allora, almeno nelle embrionali democrazie liberali dell’occidente, il movimento delle suffragette, che in seguito unirà le sue rivendicazioni femministe alle grandi lotte sociali che caratterizzeranno il nostro tempo. Il personaggio della “Femme fatale” si colloca in questa mutevole epoca come parte di questa spinta femminista. Ha appunto caratteristiche alquanto insolite per l’epoca; la donna non attira più l’uomo soltanto con la sua bellezza, ma con il suo fascino, il suo carattere e le sue movenze. Questa donna la figura femminile nella storia ha in sè tutte le caratteristiche più comuni nel suo genere: bellezza e femminilità, ma dalla sua parte ha anche aspetti più rari come la malizia, la lussuria, l’intelligenza e la furbizia. Doti che le consentono di affascinare l’uomo, in modo da ottenere ciò che vuole, anche con l’inganno, non concedendo- si mai. E’ una figura misteriosa e affascinante, che nasce in antiche credenze e ritroviamo in miti e leggende popolari. Il termine Femme Fatale nasce in Francia, ma è un concetto che si diffonde in poco tempo in tutta la letteratura europea ed è spesso ripreso in molti spettacoli teatrali o cinematografici. Il personaggio della femme fatale è affine per certi versi a quello della dark lady, sebbene le due figure non coincidano, completamente: entrambe celano una personalità maliziosa e disinvolta, ma che nel secondo caso nasconde però malvagità e desiderio di annientamento. Nel corso della storia si è evoluto quindi il mito della donna fatale che, con il tempo, è mutato, come già detto, passando dal luogo comune di una donna, vista come sottomessa e meschina fonte del peccato, ad una figura forte e risoluta, come quelle di Giuditta, Salomè o Lilith, tre donne dotate di forte personalità, consapevoli della propria bellezza e del proprio fascino, e della maniera più fruttuosa in cui utilizzarli per raggiungere i loro scopi, capaci così di avere la meglio su condottieri valorosi. Da Donna a Femme Fatale Le eroine del passato affascinavano condottieri valorosi, le donne decadenti catturano invece i cuori dei poeti. E’ qui che si crea il rapporto unico che lega l’artista alla sua musa, spesso una prostituta, ed è in questo contesto che entra in gioco la figura di Baudelaire, che attraverso il tentativo di distruggere l’idealizzazione romantica della donna, inaugura una serie di figure letterarie che avranno vasta espressione nella cultura ottocentesca: “ la prostituta”, “la ballerina”, “ la donna – vampiro” e “la donna cadavere”. Il disagio fondamentale che prova l’artista di fronte al corpo femminile definisce l’origine, tanto dell’utilizzo di queste tematiche macabre, riprese in Italia dagli “Scapigliati”, quanto della tematica della perdizione e dell’artificio, e della riduzione della figura H.Toulouse-Lautrec,Ballo al Moulin Rouge,Filadelfia-Collezione-McIlhenny femminile da donna ad oggetto, e quindi a gioiello prezioso. Insito nella donna vi è un enigma fatale, che la rende così affascinante e irresistibile. Questa duplicità femminile è accomunata da Baudelaire alla figura della passante, cioè la scissione particolare della donna in due caratteri opposti: “dolcezza che affascina” cioè il ruolo della madre buona, e la parte appartenente all’amante perversa, “il piacere che uccide“. Questo corrisponde simbolicamente al senso più acuto di lacerazione tra ideale e reale, che caratterizza quest’epoca. La tensione che prova il poeta verso il sublime non è più romanticamente sostenuta dalla figura della donna, ma continuamente contraddetta da una realtà difficile in cui la donna è corpo, è sesso, è male. Questo nuovo universo parallelo, completamente al femminile, diverso da quello della propria immaginazione e quindi percepito in modo negativo, apre un nuovo, tormentato capitolo nell’immaginario artistico di fine ‘800. Si diffonde in questo periodo nell’immaginario collettivo degli artisti il tema 10 la figura femminile nella storia dell’adulterio, che ispira la storia di tre eroine emblematiche nella letteratura del secondo Ottocento: Madame Bovary di G. Flaubert, Effi Bries di T. Fontane e Anna Karenina di Tolstoj. Questi personaggi cercano un alternativa allo squallore della loro monotona vita coniugale, cercano all’interno della passione amorosa l’autorealizzazione, purtroppo però sono destinate alla sconfitta. Le tre eroine non riescono a modificare i rapporti di forza che si fondano su secoli di rapporti inter-coniugali a loro sfavorevoli. Questo però non toglie valore alla denuncia di disagio, che sgretola l’istituzione familiare e la volontà di cambiamento implicita nella loro testimonianza. Da Femme Fatales a Suffragette Con la fine del Decadentismo, che culmina con la pubblicazione de “Il Santo” di Fogazzaro nel 1905, abbiamo un ulteriore evoluzione della figura femminile che prende nuovamente consapevolezza di sè, non solo per quanto riguarda le sue caratteristiche fisiche, ma come donna, e quindi come altra dall’uomo. Questo passaggio appare chiaro soprattutto nel’opera di Ibsen, “Casa di bambola” del 1897, che provocò grande scandalo in Europa e anticipò il femminismo e il movimento delle suffragette. Come già all’epoca osservò Gramsci nelle “Cronache teatrali” dall’ Avanti!, 19161920: Il costume della borghesia latina grossa e piccola si rivolta, non comprenHenri de Toulouse-Lautrec, La Goulue at the Moulin Rouge de un mondo così fatto. L’unica forma di (La Goulue al Moulin Rouge) Museum of Modern Art, New liberazione femminile che è consentito York comprendere al nostro costume, è quella della donna che diventa cocotte. La pochade è davvero l’unica azione drammatica femminileche il nostro costume comprenda; il raggiungimento della liberta fisiologica e sessuale. Non si esce fuori dal circolo morto dei nervi, dei muscoli e dell’epidermide sensibile. Nora infatti in quest’opera è una donna che se ne va, abbandona i figli e il marito per un valore nuovo, la libertà di crescere e autodeterminarsi come persona, si ribella, non vuole più essere una sposa bambina, una bambola, nè cerca più la salvezza nell’amore romantico, ma in un percorso autonomo di emancipazione e tutela dalla dipendenza maschile. Infatti Da Donna a Femme Fatale l’industrializzazione, digregando le istituzioni della società patriarcale, libera le donne dalla schiavitù e dall’isolamento per inserisrle nel mondo del lavoro, dove tuttavia continua a protrarsi l’inferiorità economica, giuridica e sociale rispetto all’uomo. Per questo cominciano a sorgere movimenti femministi, in tutti i paesi, che lottano per l’ugualianza dei sessi. Cominciano le lotte per: l’accesso all’istruzione superiore, la parità salariale, il diritto al voto, contro l’asservimento sessuale della donna e per la sua indipendenza matrimoniale. Così il femminismo ottocentensco, che ebbe un effetto dirompente, nonostante la limitazione in ambito giuridico imposta, invenste tutte le strutture psicologiche e culturali su cui si basava da secoli l’identita maschile, fino al punto da mettere in crisi la tradizionale identita femminile, modellata durante i secoli dall’immaginario maschile. Minava di conseguenza il sistema di certezze su cui si basava il sesso forte, accentuando il senso di emarginazione e di angoscia sperimentato dall’individuo di fronte alle trasformazioni della società. Insomma in questo clima di forte cambiamento, la ribellione della donna è percepita dal popolo maschile come un attacco all’integrità del proprio io e di conseguenza la cultura maschile rispose con una vera e propria crociata misogina. A rafforzare questa ideologia la scienza positivista, dominante in questo periodo, afferma l’inferiorità naturale della donna, per ribadirne il ruolo di madre e tutore della famiglia. Medici, psichiatri e fisolofi da Nietzsche a Freud, confermano una visione negativa del femminile, che emerge all’inizio del Novecento nel saggio di Otto Weininger “Sesso e Carattere”, che tentò di fondare una filosofia dei sessi, considerando il sesso maschile come momento costruttivo del buono, del bello e del vero, e quello femminile come momento opposto, quindi negativo. Vero e proprio manifesto dell’antifemminismo dell’ epoca, questa teorizzazione del diverso come inferiore associa pericolosamente la donna, alle persone di colore e agli ebrei. 12 la figura femminile nella storia La figura femminile nella letteratura Spesso temi e personaggi sono lo specchio di avvenimenti, storici e sociali, che cambiano il percorso culturale di poeti e artisti direttamente coinvolti in essi. La rivoluzione culturale femminile porta l’artista uomo a cambiare la sua visione del mondo, trasformando nelle sue opere la concezione di donna, che muta, evolvendosi da donna-oggetto a seduttrice. Questa trasformazione appare chiara nei romanzi giovanili di Verga, scritti tra il 1865 e il 1875, che risentono fortemente degli autori francesi di grande popolarità in quegli anni: Dumas, Feuillet e dell’ambiente della scapigliatura con il quale viene in contatto a Firenze e Milano. Da un lato, dunque, ritroviamo il gusto per storie sentimentali, dall’altro la rappresentazione del mondo borghese. E proprio il Verismo contribuisce in modo essenziale al mutamento della raffigurazione della donna e dell’erotismo accentuando la scissione tra spiritualità romantica e fisicità del desiderio: l’amore diventa una spinta dei sensi, istinto cieco ed elementare, violento e delittuoso, la parte dionisiaca insita in ogni essere umano. Qui nascono le nuove tematiche, come quella dello strupro presente anche in una novella scritta da Verga: “Tentazione”, che indagano la fisiologia amorosa nei suoi versanti patologici, dall’isteria all’epilessia alla follia, che il simbolismo decadente eredita ed affina. Eva: una donna dai mille volti Tema ricorrente nelle opere di Verga è appunto il mistero dell’innamoramento, legato al fascino della lontananza, all’illusione che si nasconde dietro la figura femminile, al mito dell’appartenenza: una volta caduti gli apparati scenici, la donna si rivela in tutta la sua povertà. Verga vuole analizzare le passioni per raggiungere il fine dell’arte, cioè il vero. Questo è spiegato nella prefazione di Eva, romanzo che racconta la passione di Enrico Lantieri, un giovane pittore privo di mezzi, per la ballerina Eva; una passione che conduce il giovane, abbandonato dall’amante, alla morte. Eva è la donna fatale, ora inerme e fragile come una “capinera”, ora crudele e aggressiva come una “Tigre Reale“; è una “peccatrice”, ed Eros che consuma e distrugge l’uomo perché non sa lottare, nè reagire ai colpi della sorte. Nel romanzo Eva vi è un notevole realismo nello studio della psicologia della protagonista: ciò che prevale in lei è la motivazione economica che interferirà fortemente nella vicenda amorosa. La seduzione femminile è associata molto spesso a un particolare stato sociale: si tratta di una donna di lusso, per la quale l’artificio è alla base della sua bellezza e del- Da Donna a Femme Fatale l’ambiente in cui vive. Il corpo femminile non è più sublimato, simbolo dell’armonia della natura, ma il suo fascino dipende solo dagli artifici (trucco, abbigliamento), che la trasformano in una fata, ma una volta caduta la maschera si rivela in tutta la sua miseria. Il carattere eccezionale della donna diventa per l’uomo uno strumento per raggiungere il successo e integrarsi nella società mondana. Quando ella perde questa funzione o cessa di essere puro oggetto del desiderio maschile, perde fascino e quindi fugge dall’uomo come Eva dopo essersi accorta che i sentimenti del suo amante si erano affievoliti. E’ nelle novelle di “Vita dei campi” che Verga riscopre l’energia e l’autenticità dei sentimenti scomparsi nella società borghese. La lupa: una donna bestiale Motivi romantici e caratteri naturalistici si fondono nella nuova figura della donna contadina, rappresentata dalla “Lupa”, che viene descritta da Verga come un insieme di passioni, di bestialità e violenza. E’ una donna con occhi neri e labbra rosse il cui vagare solitario nelle ore più calde della giornata è un elemento che prelude la sua relegazione nell’ambito demoniaco. Isolata dalla comunità, la lupa s’integra perfettamente nella natura selvaggia del luogo, manifestazione estrema di sensualità panica e demoniaca. Lei appare dunque, non solo proiezione degli aspetti femminili più inquietanti e oscuri, ma come donna-bestia-demone perché la sua passione, la sua ossessione e la sua sensualità aggressiva è associata alla distruzione, l’attributo animale fa della lupa l’archetipo dell’Eros insaziabile. La Lupa è l’incarnazione di una sessualità istintiva e animalesca, immagine di una femminilità primitiva al di sopra di ogni legge sociale, inquietante e incontrollabile. Anna Magnani è La lupa di Zeffirelli - 1965 14 la figura femminile nella storia La donna per D’Annunzio Nel 1889, quando il Naturalismo e il Positivismo sembrano ormai conquistare pienamente la cultura italiana; e Verga pubblica il volume “ Il Mastro Don Gesualdo” , D’Annunzio da alle stampe il romanzo attraverso cui entra nella nostra letteratura il personaggio dell’eroe decadente. Così come quasi un secolo prima l’eroe dalle passioni sconvolgenti e assolute aveva diffuso la cultura e la sensibilità romantica in Italia, ora il protagonista de “Il Piacere”, Andrea Sperelli, si fa propulsore e mediatore della tendenza più recente e raffinata dalla cultura decadente europea tramite il movimento dell’Estetismo. “L’arte per se stessa”: qui è racchiuso il concetto di culto dell’arte, la risoluzione della vita stessa nell’arte, la ricerca del bello e di tutto ciò che è prezioso nel più assoluto distacco da ogni convenzione morale, il disprezzo per la volgarità del mondo borghese, accomuna l’Andrea Sperelli di D’Annunzio al Dorian Gray di Oscar Wilde e ne fa la versione Italiana dell’esteta decadente. Non solo, ma “l’anima camaleontica, mutabile, fluida, virtuale” di Andrea Sperelli rivela quella mancanza di autenticità, di forza morale e di volontà che si ritroverà in tanti personaggio decadenti, crepuscolari inetti e indifferenti che affollano la letteratura di questo secolo. Duplice e ambigua appare dunque questa figura in cui convivono il grandioso e il meschino; e in modo altrettanto duplice, D’Annunzio si immedesima e si distacca da essa. L’Estetismo dannunziano, inoltre, abbagliando e incantando il lettore, trionfa nell’elencazione e nella descrizione delle opere d’arte, degli oggetti raffinati preziosi di cui ama circondarsi la frivola e mondana Roma degli anni Ottanta, nuova capitale, centro del nuovo giornalismo e della nuova editoria. La crisi trova la sua cartina di tornasole nel rapporto con la donna. L’eroe è diviso tra due immagini femminili: Elena Muti, la donna fatale, che incarna l’erotismo lussurioso, e Maria Ferres, la donna pura, che rappresenta l’occasione di un riscatto e di un’elevazione spirituale. Ma in realtà l’esteta libertino mente a se stesso: la figura della donna angelo è solo oggetto di un gioco erotico più sottile e perverso, fungendo da sostituta di Elena, che Andrea continua a desiderare e che lo rifiuta. Andrea finisce per tradire la sua menzogna con Maria, ed è abbandonato da lei restando solo con il suo vuoto e la sua sconfitta. Da Donna a Femme Fatale Seduzione: caratteristica femminile o umana La donna è spesso accomunata al peccato, perché adultera, lussuriosa e maliziosa, come arma preferita la seduzione. Ma cos’è la seduzione? La seduzione non è altro che un attitudine umana, insita in alcuni soggetti piuttosto che in altri. Infatti nella teorizzazione della vita estetica del filosofo e teologo danese Soren Aabye Kierkegaard (Copenaghen, 5 maggio 1813 – Copenaghen, 11 novembre 1885), considerato da alcuni studiosi il padre dell’esistenzialismo, parla del seduttore, omonimo della Femme fatale, riferendosi all’esteta e allo stato estetico. Lo stadio estetico è quello in cui l’uomo manifesta indifferenza nei confronti dei princìpi e dei valori morali. L’esteta non crede nelle leggi etiche tradizionali. Ritiene invece fondamentali e primari i valori della bellezza e del piacere e a essi subordina tutti gli altri valori anche quelli morali. L’esteta è teso solo al soddisfacimento di sempre nuovi desideri e considera il mondo come uno spettacolo da godere. Si lascia Olympia di Édouard Manet, 1863. Musée d’Orsay di Parigi vivere momento per momento. Si abbandona al presente fuggendo legami con il passato rinunciando al ricordo, e con i futuri, non avendo speranza. Vive nell’istante, cioè vive per cogliere tutto ciò che vi è d’interesse nella vita trascurando tutto ciò che è banale, ripetitivo e meschino. Il tipo dell’esteta è per Kierkegaard il “seduttore” rappresen- 16 la figura femminile nella storia tato dal personaggio di Don Giovanni, il leggendario cavaliere spagnolo prototipo del libertino, immortalato nell’omonima opera di Mozart. Don Giovanni non si lega a nessuna donna particolare perché vuole poter non scegliere: il seduttore è sciolto da ogni impegno o legame e vive nell’attimo, cercando unicamente la novità del piacere. Don Giovanni seduce migliaia di donne senza riuscire ad amarne nessuna. Don Giovanni è la figura maschile che incarna la sensualità, l’erotico. Non a caso, questo personaggio è immortalato dalla musica, la più sensuale delle arti, perché si rivolge direttamente ai sensi, senza passare attraverso il concetto, la parola. Kierkegaard esprime un giudizio negativo sull’esteta. Infatti, chi non sceglie e si dedica solo al piacere, cade ben presto nella noia, cioè nell’indifferenza nei confronti di tutto, perché, non impegnandosi mai, non vuole profondamente e sentitamente nulla. Infatti, la noia è uno stato esistenziale che sorge quando una persona è effettivamente o progettualmente demotivata. Inoltre l’esteta, se si ferma, cioè se smette di ricercare il piacere e riflette lucidamente su se stesso, è assalito dalla disperazione. Poiché ha scelto di non scegliere, poiché non ha accettato di fare delle scelte, non si è impegnato in un programma di vita, egli non è nessuno. E’ nulla. Ha rinunciato a costruirsi un’identità, una personalità definita. Avverte così, con disperazione, il vuoto della propria esistenza, senza senso e senza Edouard Manet, Colazione sull’erba (Le déjeuner sur l’herbe), centro. La disperazione è il 1862-1863 Musée d’Orsay di Parigi. terrore del vuoto, del non essere altro che niente. L’evoluzione della donna attraverso gli occhi dell’artista Nei capitoli precedenti è stato spiegato come, attraverso gli avvenimenti storici, il mutamento del pensiero e degli ideali culturali, si sia ripercosso sulla figura femminile, al punto da cambiare in modo consistente il suo ruolo all’interno di una Da Donna a Femme Fatale società prevalentemente maschile. In tal modo il mutamento della donna si ripercuote sull’arte. Il motivo è facile da inturire; la donna ha sempre influenzato gli artisti e l’arte stessa, da dee a muse, da modelle ad amanti. Il rapporto fra donna e artista si è sempre basato sull’ossessione del pittore o dello scultura per il corpo. Ritornando all’evoluzione della figura femminile all’interno delle opere d’arte, ci appare chiaro soprattutto nelle opere di Manet; “La colazione sull’erba” e “L’Olympia” entrambe del 1863. Questi dipinti suscitarono scandalo e disdegno nella Parigi benpensate dell’epoca. Nel primo dipinto, in primo piano sono rappresentati una donna nuda e due uomini abbigliati, in basso a destra possiamo notare un cestino con della frutta e altri cibi e delle lenzuola. A suscitare scandalo non fu di certo il nudo di cui erano pieni anche i dipinti accademici, ma il fatto che quel nudo rappresentasse una donna del tempo e non una dea o una figura mitologica come pretendeva l’arte accademica, a rafforzare questa teoria i due uomini sulla destra che non indossavano vesti classiche, ma gli abiti e i costumi moderni francesi. Si rimproverava Manet di aver abbandonato la pittura classica e di non aver alcun riferimento; anche se questo non era del tutto vero. Infatti il pittore in questo quadro aveva ben presenti alcuni famosi artisti rinascimentali, fra cui “ il Concerto Campestre” attribuito a Tiziano, ( o Giorgione), del 1510, e alcune incisioni di Raimondi fatte dieci anni dopo, come “Dei fluviali” tratte dal “Giudizio di Paride” di Raffaello. L’ispirazione dunque era classica. Con la presentazione al “Salon” del 1865 di “Olympia”, Manet torna prepotentemente alla ribalta, riconfermandosi il portavoce indiscusso dell’antiaccademismo. Il dipinto, anche se ispirato alla “Venere di Urbino” di Tiziano, Henri de Toulouse-Lautrec ,La toilette, olio su cartone di 67x54 cm, 1896, Museo d’Orsay rappresentata con crudo realismo una donna nuda semisdraiata su un letto disfatto, ai suoi piedi vi è un gatto nero, mentre una domestica di colore giunge dal retro reggendo un mazzo di fiori, dono di qualche ammiratore. Lo scandalo in questo con18 la figura femminile nella storia testo fu duplice, inannzi tutto si criticò il soggetto, ritenuto volgare e sconveniente: una prostituta rappresentata, per alcuni, sul posto di lavoro. In seguito si tornò a criticare la tecnica pittorica dell’artista, accusandolo di non saper modellare i corpi con il chiaro scuro e di usare i colori in modo primitivo e pasticciato. Il corpo acerbo e sgraziato della ragazza , appare privo delle morbide sinuosità con le quali i pittori accademici caratterizzavano tutti i nudi femminili di eroine storiche o di dee e figure mitologiche. La cruda nudità della ragazza viene ulteriormente sottolineata dal particolare nastrino di raso intorno al collo, mentre lo sguardo e beffardo quai di sfida. La forza rivoluzionaria di questo dipinto, però, non sta tanto nel soggetto quanto nella tecnica di realizzazione. I colori sono frutto di un modo di intendere la pittura che alla seduzione della prospettiva e del chiaro scuro opponeva i forti contrasti , la piattezza delle forme e il nitido risalto dei contorni tipico dell’arte giapponese. Dopo Manet, un altro artista che dipinge la donna in vesti diverse da quelle accademiche è ToulousLautrec. All’interno dei suoi quadri rappresenta delle ballerine, non come quelle rappresentate da Degas, ma ballerine del Moulin Rouge, quindi anche prostitute. Avendo avuto una vita particolarmente difficile, ed essendo un assiduo visitatore dei locali notturni, le sue modelle gli aprivano le porte di case e camerini mostrandosi in tutta la loro intimità, come si può vedere nei dipinti “Donna che si tira su le calze” e “ La toilette” dove le ballerine sono prese in circostanze private. un altro esempio potrebbe essere quello del dipinto “La clownessa Cha-U-Kao” dove possiamo ammirare le morbide figure di una delle ballerine intenta ad aggiustarsi il vestito probabilmente dopo aver prestato i suoi servizi, infatti sul muro vi è dipinto uno specchio in cui vi è il riflesso di un uomo. In piena coesione con i temi del decadentismo e con le sue fobie per la donna Munch dipinge “Vampiro” e in seguito uno dei primi esempi di donna fatale si ha con il suo celebre dipinto “Madonna” 1894-95, dove rappresenta la figura della Gustav Klimt. Giuditta I. 1901 Olio su tela cm. Madre di Cristo, come una donna seminuda, che 84X42 Vienna, Österreichische Galerie Belvedere si offre sensuale allo sguardo dello spettatore, questa non è più la casta Maria, madre terrena del Messia, ma il primo vero esempio di donna fatale, e semplice capire il motivo, il metodo di rappresentazione scelto dall’artista è strettamente legato alla sua con- Da Donna a Femme Fatale vizione, infatti Munch vedeva le donne come esseri primitivi che celavano dentro di essi aspetti demoniaci. L’apice della rappresentazione femminile si ha con Klimt e i suoi quadri. Anche Klimt infatti sarà attratto dal tema della “Femme fatale” e dipingerà due grandi tele “Giuditta I” e “Giuditta II”. In “Giuditta I”, la donna fatale assume quasi un carattere positivo: Giuditta, infatti, è un eroe biblico, che usa la sua bellezza per sedurre e uccidere il crudele Oleferne, generale assiro, il quale la trattenne con sé al banchetto; vistolo ubriaco, l’eroina giudea gli tagliò la testa con la sua stessa spada e poi ritornò nella città. Gli Assiri trovato morto il loro condottiero, presi dal panico, furono messi in fuga dai Giudei. Come Lilith anche Giuditta durante il corso dei secoli è stata ripresa da diversi pittori, da Caravaggio con il celebre dipinto “Giuditta che decapita Oleferne”, Artemisia Gentileschi; allieva della scuola di Caravaggio, a Gustave Klimt che ne dipinge due versioni “ Giuditta I” e “Giuditta II (Salomè)”. Nel dipinto del 1901, il soggetto biblico è decisamente posto in subalternità, mentre il corpo seminudo dell’eroina, appena coperto da un sottile velo azzurro con ornamentazioni dorate, è un inno alla bellezza femminile e al potere incantatore del suo sguardo. Giuditta, splendidamente agghindata, se ne sta immobile, con gli occhi socchiusi e le labbra appena dischiuse, in atteg- Salomè con la testa del Battista (Caravaggio Londra) giamento quasi di sfida, mostrando in basso a destra appena accennata, come un trofeo, la testa mozzata di Oleferne. Il volto della giovane donna enigmatico e bellissimo, è incorniciato dall’alto collier di gusto art nouveau e dalla gran massa scura di capelli. Non c’è linea di contorno: il corpo di Giuditta, come anche il suo abito sfuma dolcemente e quasi si confonde con lo sfondo. A rendere più prezioso di quanto non sia già per l’uso sapiente del colore e del disegno , interviene il fondo oro: una ripresa delle tavole gotiche, la cui tecnica era stata studiata dall’artista fin dai tempi della Scuola di arti decorative. Sull’oro, infatti, insiste un disegno geometrico a elementi naturalistici estremamen- 20 la figura femminile nella storia te semplificati e stilizzati e la cornice, a sua volta dorata e decorata diventa parte integrante del dipinto stesso. L’ altro celebre dipinto in cui è rappresenta una femme fatale è “Giuditta II (Salomé)” , anche in questo dipinto la donna presenta il seno scoperto le labbra socchiuse e gli occhi tenebrosi e le mani che tengono avide la testa, in questo caso di giovanni battista, gli stessi che rappresentano il quadro di cui abbiamo parlato in precedenza. Salomè figlia di Erodiade, amante di Erode, spinta da sua madre a danzare di fronte al re biblico così da affascinarlo per soddisfare il suo desiderio di vendetta verso Giovanni Battista. Erode infatti, rimasto colpito dalla sensualità di Salomè, chiede alla ragazza cosa desideri come ricompensa della danza, ed essa, dopo aver chiesto alla madre cosa rispondere, esprime il desiderio di avere la testa di Battista. La Salomè biblica è dunque una figura totalmente marginale, uno strumento nelle mani della madre dedicato alla perversa danzatrice. Testimonianze scritte riprese anche in quadi celebri come “Salomè con la testa del Battista” di Caravaggio, in “Salomè danza davanti a Erode” di Gustave Moreau e anche nell’ambigua identità del dipinto di Gustave Klimt in “Giuditta II (Salomè). Ripresa anche da Beardsley. La femme fatales per Klimt e Picasso Sono figure d’innegabile ricchezza stilistica e straordinaria capacità artistica, Picasso e Klimt, anche se in periodi e luoghi differenti, sono tra gli innovatori più geniali e fecondi dell’arte contemporanea. Entrambi affascinati dalla figura della donna che in Picasso trova maggior espressione nel famoso dipinto “ Les demoiselles d’Avignon”, dove attraverso l’abolizione di qualsiasi prospettiva o profondità abolisce lo stesso spazio, individuando una terza dimensione, non visiva ma mentale. La donna e il mistero della carne sono temi che lo affascinano a lo coinvolgono e, a cui dedica, nel corso degli anni, una serie di quadri: nel 1950, “ Le signorine in riva alla Senna”, che rappresenta forse l’ultima opera ricca d’inventiva di Picasso e segna l’inizio di un periodo di riflessione, durante il quale l’artista dipingerà una serie di varianti delle “Donne d’Algheri”(1854) di Delacroix, di Las Meninas (1857) di Velàzquez, del Déjenuer sur l’herbe (1860), di Manet e delle Sabine (1862) di David. In maniera quasi analoga, la donna è per Klimt colei che traduce le paure, schiava dei tabù, ma pur sempre femme fatale e consolatrice di se stessa; Klimt dipinge una donna sicura della propria identità che vuole essere e sentirsi alla pari degli uomini, affrancata da secoli di oscurità Da Donna a Femme Fatale La determinazione della donna Il movimento delle sufragette Negli ultimi anni dell’ottocento nasce il movimento di emancipazione femminile delle “suffragette”. Il termine nasce per indicare le donne che appartenevano a questo movimento che voleva ottenere il diritto di voto. Più in generale il temine si usa per indicare qualsiasi donna che ha combatutto per conquistare i suoi diritti. Tra la fine del Seicento e l’inizio del Novecento si iniziò a diffondere la volontà delle donne di riuscire ad ottenere gli stessi diritti di cui godevano gli uomini. Il primo movimento femminista nacque in Francia, durante la rivoluzione francese, M.me de Kerails ha presentato all’Assemblea rivoluzionaria il “Cahier de Dolèances des femme” che può essere considerato la prima richiesta di riconoscimento dei diritti delle donne. Ma per arrivare al Suffragio universale si dovrà attendere il 1945. Anche in Inghilterra le donne iniziarono a manifestare per conquistare il proprio posto all’interno della società e non essere considerate più soltanto “donne di casa”. Nel 1835 le donne riuscirono a conquistare il diritto al voto alle elezioni locali. Ma la strada per la conquista dei diritti era ancora molto lunga. In Inghilterra i movimenti femminili sono stati sostenuti da John Stuart Mill, che nel 1865 ha proposto di introdurre il suffragio femminile. Il vero e proprio movimento delle “suffragette” è nato nel Regno unito nel 1872. Nel 1879 Millicent Fawcett ha fondato il movimento nazionale per la rivendicazione dei diritti delle donne, “National Union of Women’s Suffrage”, cercando di convincereanche gli uomini ad aderire per combattere tutti insieme per i diritti delle donne. Si comincia a parlare più 22 la figura femminile nella storia Mata-Hari delle suffragette dall’episodio, all’inizio del Novecento, che ha visto comeprotagonista Emmeline Pankhurst, che ha protestato in favore delle donne, vicino a Buckingham Palace, e, per questo è stata arrestata. Le donne combattevano per averegli stessi diritti degli uomini, in qualsiasi ambito, dal lato politico con il diritto di voto al lato economico con la possibilità di svolgere gli stessi lavori. Le idee delle donne venivano diffuse con comizi, slogan e cartelli, che venivano mostrati durante le manifestazioni. Durante la Prima Guerra Mondiale molte donne hanno avuto la possibilità ddi dimostrare a tutti quanto valevano: gli uomini partirono per la guerra e le donne dovevano occuparsi di tutto ciò di cuiprima si occupavano i propri padri, fratelli o mariti. La guerra ha portato, però, anche una rottura all’interno del movimento delle suffragette inglesi: E. Pankhurst decide di sospendere le manifestazioni negli anni della guerra mentre sua sorella Silvia, continuò a portare avanti le proprie idee per sfruttare il momento e conquistare nuovi diritti. Intanto qualcosa cominciava a cambiare: nel 1918 il Parlamento inglese ha approvato la proposta del diritto di voto per mogli di capifamiglia che avevano più di trentanni. Per il suffragio universale si deve però attendere il 2 luglio 1928. In seguito a questi primi due punti di partenza: Inghilterra e Francia, i movimenti femministi cominciarono ad espandersi in tutti gli altri paesi. Negli stati uniti dal 1869 iniziarono a formarsi gruppi simili a quelli delle suffragette inglesi. Per qui però per attendere il suffraggio universale bisogna attendere il 1920. In Germania le donne hanno ottenuto lo stesso diritto un anno prima, nel 1919. In Svizzera si arriverà al suffragio universale solamente molti anni dopo, cioè nel 1971. In Italia le donne hanno ottenuto l’emancipazione giuridica nel 1919, mentre il suffragio universale si deve aspettare la Da Donna a Femme Fatale fine della Seconda Guerra Mondiale: il primo voto esteso a tutti coloro (uomini e donne) con più di ventunanni è avvenuto il 2 giugno del 1946. La più grande Femme fatale della storia La prima guerra mondiale, nonostante sia l’evento terminante la belle epoque, apogeo di questa figura femminile, è il palcoscenico adatto per l’affermazione di una “donna fatale”: Margaretha Geertrude Zelle detta anche Mata Hari. Nel 1895, in seguito a divere brutte esperienze, Margaretha rispose all’inserzione matrimoniale di un militare in licenza dalle colonie, il Capitano Rudolph Mac Leod. L’11 luglio 1896, ottenuto il consenso paterno, Margaretha sposò il capitano Mac Leod. Il 30 gennaio 1897 nacque a Margaretha un figlio, cui fu dato il nome del nonno paterno, Norman John. L’anno dopo il 2 maggio 1898 nacque Jeanne Louise. La vita famigliare non fu serena: vi furono litigi tra i coniugi, sia per la durezza della vita della colonia, che non conoscevano gli agi delle moderne città europee, sia per la gelosia del marito e la sua tendenza ad abusare dell’alcool. L’anno seguente il marito fu promosso maggiore e comandante della piazza di Medan, sulla costa orientale di Sumatra. Come moglie del comandante, Margaretha ebbe il compito di fare gli onori di casa agli altri ufficiali che, con le loro famiglie, frequentavano il loro alloggio, e conobbe i notabili del luogo. Uno di questi la fece assistere per la prima volta a una danza locale, all’interno di un tempio, che l’affascinò per la novità esotica delle musiche e delle movenze, che ella in seguito provò anche ad imitare. La famiglia venne però sconvolta dalla tragica perdita del piccolo Norman, che il 27 ottobre 1899 morì avvelenato. La causa della morte fu la somministrazione di una medicina da parte di una domestica indigena ai figli della coppia. Non si hanno prove che costei avesse voluto uccidere i bambini; ma si sospetta però che ella, moglie di un subalterno del maggiore Mac Leod, fosse stata spinta dal marito a vendicarsi del superiore, che gli aveva inflitto una punizione. Rudolph, Margaretha e la piccola Non, per sottrarsi a un luogo di tristi ricordi, ottennero di trasferirsi a Banjoe Biroe, 24 la figura femminile nella storia nell’isola di Giava, dove Margaretha si ammalò di tifo. Il maggiore Mac Leod, maturata l’età della pensione, il 2 ottobre 1900, diede le dimissioni dall’esercito e nel 1902 la famiglia si traferì in Olanda. Lasciata dal marito che portò con se la figlia, Margaretha, chiese la separazione, che le venne accordata il 30 agosto, insieme con l’affidamento della piccola Non e il diritto agli alimenti. Dopo una successiva, breve riconciliazione, Margaretha e il marito si separarono definitivamente; questa volta fu il padre ad ottenere la custodia della bambina, mentre Margaretha si stabilì dallo zio in una casa a L’Aja. A Parigi Decisa a tentare l’avventura della grande città, nel marzo del 1903 Margaretha andò a Parigi, dove non conoscendo nessuno, cercò di mantenersi facendo la modella presso vari pittori e cercando scritture nei vari teatri parigini ma con scarsi risultati. Secondo alcuni storici arrivò anche a prostituirsi, per sopravvivere, durante l’attesa del successo. Il fallimenti continui dei suoi tentativi la convinsero a ritornare in Olanda ma l’anno dopo , il 24 marzo 1904, tornò nuovamente a Parigi e prese alloggio presso il Grand Hotel, divenendo l’amante del Barone Henri de Marguérite. Presentatasi al signor Molier, proprietario di un importante scuola di equitazione e di circo, Margaretha, che in effetti aveva imparato a cavalcare a Giava, si offri di lavorare e poiché un’amazzone poteva essere un’attrazione, fu ingaggiata. Ebbe successo e una sera si esibì durante una festa in casa di Molier in una danza Giavanese, o qualcosa che l’assomigliava: Molier rimase entusiasta di lei. La sua danza era, a suo dire, quella delle sacerdotesse del Dio orientale Shiva, che mimavano un approccio amoroso verso la divinità , fino a spogliarsi, un velo dopo l’altro, del tutto. Il successo fu tale che i giornali arrivarono a parlarne; “ Lady Mac Leod” ecco come si faceva chiamare, replicò il successo in altre esibizioni, sempre tenute in case private, dove più facilmente poteva togliersi i veli del suo costume senza destare scandalo , e la sua fama di “danzatrice venuta dall’oriente “ iniziò ad estendersi per tutta Parigi. Notata da Monsieur Guimet, industriale e collezionista di Da Donna a Femme Fatale oggetti d’arte orientale, ricevette da questi la proposta di esibirsi in Place de Jèna, nel museo, dove egli custodiva i suoi preziosi reperti, come un animato gioiello orientale. Fu però necessario cambiare il suo nome, troppo borghese ed europeo in uno più esotico ed adatto alla sua presenza, così Guimet scelse il nome d’origine malese di Mata Hari, “Occhio dell’Alba”. Mata Hari alternò le esibizioni, tenute nelle case esclusive di aristocratici e finanzieri, agli spettacoli nei locali prestigiosi di Parigi, il Moulin Rouge, il Trocadero, il Cafè des Nations. Il successo provocò naturalmente una curiosità cui ella non poté sottrarsi e per far collimare l’immagine privata con quella pubblica raccontò ai giornalisti poche verità e molte menzogne. Il 26 aprile 1906 fu sancito ufficialmente il divorzio di Margaretha Zelle dal maggiore Mac Leod. Si recò a Berlino, dove si legò ad un ricco ufficiale, Hans Kiepert, che l’accompagnò a Vienna e poi a Londra e in Egitto. Furono intanto pubblicate due sue biografie, una scritta dal padre, che esaltava le qualità della figlia, più per esaltare se stesso che la figlia, inventando parentele con re e principi, e quella con opposte intenzioni, di George Priem, avvocato del suo ex marito. Mata Hari, naturalmente, confermò la versione del padre: sua nonna era una principessa giavanese; quanto a lei aveva viaggiato in tutti i continenti e aveva vissuto a lungo a Nuova Delhi, dove aveva frequentato maharaja ed abbattuto tigri, come dimostra la pelliccia che indossava, in realtà acquistata in un negozio ad Alessandria, in Egitto. Il successo fece crescere enormemente le spese necessarie a sostenere una incessante vita mondana che conobbe solo una breve tregua quando, nell’estate, si trasferì in un castello a Evres, non lontano da Tours, che il suo nuovo amante, il banchiere Félix Rousseau, affittò e le mise a disposizione e dove rimase circa un anno, quando a causa dei problemi finanziari della banca Rousseau, il suo Félix affittò per lei un appartamento carino, ma meno costoso, a Neuilly, un lussuoso sobborgo parigino. Alla fine del 1911 raggiunse il vertice del riconoscimento artistico partecipando, al Teatro alla Scala di Milano, prima alla rappresentazione dell’Armida di Gluck, tratta dalla Gerusalemme liberata del Tasso, recitando la parte del Piacere e poi, dal 4 gennaio 1912, dando cinque rappresentazioni del Bacco e Gambrinus, un balletto di Giovanni Pratesi musicato da Romualdo Marenco, dove interpretò il ruolo di Venere. Il direttore dell’orchestra, Tullio Serafin, dichiarò Mata Hari << .. è una donna eccezionale, dall’eleganza perfetta e con un senso poetico innato; inoltre, sa ciò che vuole e sa come ottenerlo. Ella così fa della propria danza una sicura opera d’arte >> 26 la figura femminile nella storia Nel 1914 si spostò a Berlino per preparare un nuovo spettacolo nel quale intendeva interpretare una danza egiziana: nella sua stanza d’albergo Cumberland, scrisse lei stessa il libretto del balletto, che intitolò “La chimera”, nel frattempo prevedeva di debuttare nel settembre di quell’anno al Teatro Metropole in un altro spettacolo. Ma quello spettacolo non ebbe mai luogo: con l’assassinio del principe ereditario austriaco fini la Belle Epoque ed ebbe inizio la Prima Guerra Mondiale. La guerra Mentre l’esercito tedesco invadeva il Belgio per svolgere quell’operazione a tenaglia che, con l’accerchiamento delle forze armate francesi, avrebbe dovuto concludere rapidamente la guerra, Mata Hari era già partita per la Svizzera, da dove contava di rientrare in Francia; tuttavia, mentre i suoi bagagli proseguirono il viaggio verso la terra francese, lei venne trattenuta alla frontiera e rimandata a Berlino. Nell’ albergo ove fece ritorno, senza bagaglio e denaro, un industriale olandese, tale Kellermann, le offrì il denaro per il viaggio consigliandole di andare a Francoforte e di qui, tramite il consolato, passare la frontiera olandese. Così, il 14 agosto 1914, il funzionario del consolato olandese rilasciò a Margaretha Geertruida Zelle, alta un metro e settantacinque, di capelli, in quell’occasione, biondi, il visto per raggiungere Amsterdam. Qui divenne l’amante del banchiere Van Der Schalk e poi, dopo il trasferimento a L’Aja, del barone Eduard Williem Van der Capellen, colonnello degli ussari, che la soccorse generosamente nelle sue non poche necessità finanziarie. Il 24 dicembre 1915 Mata Hari tornò a Parigi, per recuperare il suo bagaglio e tentare, nuovamente invano di ottenere una scrittura da Djagilev. Ebbe appena il tempo di divenire amante del maggiore belga Fernand Beaufort che, alla scadenza del permesso di soggiorno, il 4 gennaio 1916, dovette fare in Olanda Lo spionaggio Furono frequenti le visite nella sua casa de L’Aja del console tedesco Alfred Von Kremer, che proprio in questo periodo l’avrebbe assoldata come spia al servizio della Germania, incaricandola di fornire informazioni sull’aeroporto di Contrexéville, presso Vittel, in Francia, dove ella poteva recarsi col pretesto di far visita al suo ennesimo amante, il capitano russo Vadim Masslov, ricoverato nell’ospedale di quella città. Mata Hari, divenuta agente H21, fu istruita in Germania dalla famosa spia Elsbeth Schragmuller, più nota come Fraulein Doktor, che la immatricolò con il suo nuovo codice AF44. La ballerina era già sorvegliata dal controspionaggio inglese e francese quando il 24 maggio 1916 partì per la Spagna e di Da Donna a Femme Fatale qui, il 14 giugno, per Parigi, dove tramite un suo ex-amante, il tenente di cavalleria Jean Hallaure, che era anche lui a sua insaputa, un agente francese, il 10 agosto, si mise in contatto con il capitano Georges Ladoux, capo della sezione del Deuxième Bureau, il controspionaggio francese, per ottenere il permesso di recarsi a Vittel, Ladoux le concesse il visto e le propose di entrare al servizio della Francia, proposta che Mata Hari accettò, chiedendo l’enorme cifra di un milione di franchi, giustificata dalla conoscenze importanti che ella vantava e che sarebbero potute tornare utili a causa francese. Il doppio gioco A Vittel incontrò il capitano russo, fece vita mondana frequentando gli ufficiali francesi in convalescenza dal fronte che frequentavano la stazione termale e dopo due settimane tornò a Parigi. Qui, oltre a inviare informazioni sulla sua missione agli agenti tedeschi in Olanda e in Germania, ricevette anche istruzioni dal capitano Ladoux, di tornare in Olanda via Spagna. Dopo essersi trattenuta alcuni giorni a Madrid, sempre sorvegliata dai francesi e dagli inglesi, a novembre s’imbarcò da Vigo per L’Aja. Durante la sosta della nave a Falmouth, nel Regno unito, fu arrestata perché scambiata per Clara Benedix una ballerina di flamenco, sospetta spia tedesca. Interrogata a Londra e chiarito l’equivoco, dopo accordi presi con Ladoux, Scotland Yard la respinse in Spagna, dove sbarcò l’11 dicembre 1916. A Madrid continuò il doppio gioco, mantenendosi in contatto sia con l’addetto militare all’ambasciata tedesca, Arnold Von Kalle, che con quello dell’ambasciata francese, il colonnello Joseph Denvignes, al quale riferì le manovre dei sottomarini tedeschi al largo delle coste del Marocco. Von Kalle comprese che Mata Hari stava facendo il doppio gioco e telegrafò a Berlino che l’agente H21 chiedeva denaro ed era in attesa di istruzioni: la risposta fu che l’agente H21doveva rientrare in Francia per continuare le sue missioni e ricevette 15,000 franchi. L’ipotesi che i tedeschi avessero venduto l’identità di Mata Hari rivelandola al controspionaggio francese come spia tedesca – poggia sull’utilizzo, da loro fatto in quell’occasione, di un vecchio codice di trasmissione già abbandonato perché decifrato dai francesi, nel quale Mata Hari veniva ancora identificata con la sigla H21, in tal modo, i messaggi tedeschi 28 la figura femminile nella storia furono facilmente decifrati salla fonte parigina di ascolto radio della Tour Eiffel. Il 12 gennaio 1917 Mata Hari rientrò a Parigi e la mattina del 13 febbraio venne arrestata nella sua camera dell’albergo Elysée Palace e rinchiusa nel carcere di Saint – Lazare. Il processo Di fronte al titolare dell’inchiesta, il Capitano Pierre Bouchardon, Mata Hari adottò inizialmente la tattica di negare ogni cosa dichiarandosi totalmente esterna a goni vicenda di spionaggio. Fu assistita nel primo interrogatorio, dall’avvocato Edouard Clunet, suo vecchio amante, che aveva mantenuto con lei un affettuoso rapporto è che poté essere presente, secondo regolamento, ancora solo nell’ultima deposizione. Poi con il passare dei giorni, Mata Hari non poté evitare di giustificare le somme che Van der Capelen, suo amante, le inviava dall’Olanda – considerate dall’accusa il prezzo del suo spionaggio – di ammettere le somme ricevute a Madrid da Von Kalle, giustificandole come semplici regali, e di rivelare anche un particolare inedito. L’offerta ricevuta in Spagna di ingaggiarsi come agente dello spionaggio russo in Austria. Riferì anche della proposta fattale dal Capitano Ladoux di lavoraree per la Francia, una proposta che cercò di sfruttare a suo vantaggio, come dimostrazione della propria lealtà confronti della Francia. L’accusa non aveva, fino a questo momento, alcuna prova concreta contro Mata Hari, la quale poteva anzi vatare di essersi messa a disposizionedello spionaggio francese. Il fatto che il controspionaggio non aveva ancora messo a disposizione del capitano Bouchardon le trascrizioni dei messaggi tedeschi intercettati che la indicavano come l’agente tedesco H21. Quando lo fece, due mesi dopo, Mata Hari dovette ammettere di essere stata ingaggiata dai tedeschi, di aver ricevuto un inchiostro simpatico per comunicare le sue informazioni, ma di non averlo mai usato – avrebbe gettato tutto in mare – e di non aver trasmesso nulla ai tedeschi, malgrado i 20.000 franchi ricevuti dal console Von Kremer, che ella, considerò solo un risarcimento per i disagi patiti durante la sua permanenza in Germania nei primi giorni di Guerra. Quanto al messaggio di Von Kalle a Berlino, che la smascherava come spia, Mata Hari lo considerò la vendetta di un uomo respinto. I tanti ufficiali francesi dei quali fu amante, interrogati, la difesero, dichiarandola di non averla mai considerata una spia. Al contrario, il capitano Georges Ladoux negò di averle mai proposto di lavorare per i servizi segreti francesi, avendola sempre considerata una spia tedesca, mentre l’addetto militare a Madrid, Mensieur Denvignes, sostenne di essere Da Donna a Femme Fatale stato corteggiato da lei allo scopo di estorcergli informazioni sulle attività tedesche in Marocco, egli negò che fosse stata Mata Hari a fornirle. Entrambi gli ufficiali non seppero citare alcuna circostanza sostanziale contro Mata Hari, ma le loro testimonianze, nel processo, ebbero un peso determinante. L’inchiesta si chiuse in un colpo a effetto: l’ufficiale russo Masslov, del quale Mata Hari sarebbe stata innamorata, scrisse di aver sempre considerato la relazione con la donna soltanto un avventura. La rivelazione non aveva nulla a che fare con la posizione giudiziaria di Mata Hari, ma certo acuì in lei la sensazione di trovarsi in un drammatico isolamento. L’inchiesta venne chiusa il 21 giugno con il rinvio a giudizio di Mata Hari. Il processo a porte chiuse, ebbe inizio il 24 luglio: a presiedere una Corte di sei giudici militari domande Dopo meno di un’ora venne emessa la sentenza secondo la quale l’imputata era colpevole di tutte le otto accuse mossegli; << In nome del popolo francese, il Consiglio condanna all’unanimità la suddetta Zelle Marguérite Gertrude alla pena di morte […] e la condanna inoltre al pagamento delle spese processuali >>. Quanto all’unanimità dei giudici, questa valeva per la sentenza ma non per ogni capo d’imputazione, per alcuni dei quali il verdetto di consapevolezza non trovò l’unanimità dei giudici. L’istanza del riesame del processo venne respinta dal Consiglio di revisione il 17 agosto e il 27 settembre anche la Corte d’Appello confermò la sentenza di condanna. L’ultima speranza era rappresentata dalla domanda di grazia che l’avvocato Clunet presentò personalmente al Presidente della Repubblica Poincaré. Il 15 ottobre, Mata Hari, informata del rifiuto alla domanda di grazia, si preparò per l’esecuzione. Si vestì con la consueta eleganza. Su sua richiesta, il padrone Arboux la battezzò. Poi tre furgoni portarono il corteo al castello di Vincennes dove, scortati da dragoni a cavallo, giunsero verso le sei e trenta in una fredda e nebbiosa mattina. Al braccio di Suor Marie, si avviò con molta fermezza al luogo fissato per l’esecuzione, salutata, come da tradizione da un plotone, che le presentò le armi ricambiato più volte il saluto con cortesi cenni del capo, fu blandamente legata al palo; rifiutata la benda, poté fissare di fronte a sé i dodici fanti, reduci dal fronte; ai quali era stato assegnato il compito di giustiziarla: uno di essi, seconda regola, aveva il fucile caricato a salve. La morte Degli undici, otto andarono a vuoto, ultima galanteria dei militari francesi, nessuno reclamò il corpo che , trasportato all’istituto di Medicina Legale di Parigi, fu sepolto in una fossa comune. 30 la figura femminile nella storia Da Donna a Femme Fatale Indice Prefazione - Da mogli a seduttrici - Da femme fatales a suffragette La figura femminile nella letteratura - Eva: una donna di mille volti - La lupa: una donna bestiale - La donna per D’Annunzio Seduzione: caratteristica femminile o attitudine umana!? L’evoluzione della donna vista dagli occhi dell’artista - La femme fatale per Klimt e Picasso La determinazione della donna nella storia La piu grande femme fatale della storia - A Parigi - La guerra - Lo spionaggio - Il doppio gioco - Il processo - La morte Bibliografia Dentro la storia eventi testimonianze e interpretazioni : Volume A “ Dalla Grande Guerra alla shoa” Volume B “ Dalla ricostruzione alla globalizzazione” di Zeffiro Ciuffoletti, Umberto Baldocchi, Stefano Bucciarelli, Stefano Sodi Manuale di letteratura: I saperi di base: autori, temi e immagini, 3, La modernità ( dal 1861 al 1956) di Romano Luperini, Pietro Cataldi, Lidia Marchiani, Franco Marchese 32