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Da Donna a Femme Fatale
la figura femminile nella storia
Da Donna a Femme Fatale
l’evoluzione femminile nella storia recente
Sara Oliva
V C, Liceo Artistico Cardarelli - La Spezia
Esame di Stato a.s. 2011-2012
Da Donna a Femme Fatale
l’evoluzione della figura femminile nella storia recente
Sara Oliva
V C, Liceo Artistico Cardarelli - La Spezia
Esame di Stato a.s. 2011-2012
Da Donna a Femme Fatale
la figura femminile nella storia
Durante il corso della storia, molti artisti hanno trattato in
diversi e soggettivi aspetti la figura della donna: al centro
di questo lavoro, vi è il mio interesse per il suo mutamento
attraverso il periodo che sta tra l’Ottocento e il Novecento,
seguendo l’emancipazione e il diverso ruolo del genere femminile, le sue caratteristiche, il rapporto particolare che lega
questa figura all’artista, I profondi mutamenti sociali che hanno accompagnato questa evoluzione..
Da Donna a Femme Fatale
la figura femminile nella storia
Prefazione
L’espressione “femme fatale” nasce in Francia: è molto diffusa nella letteratura europea e spesso rappresentata in molti
spettacoli teatrali o cinematografici. La sua
figura nei secoli si è trasformata ed evoluta
passando da ninfe ed eroine mitologiche a
donne dal fascino oscuro, passando dalla
storia, alla letteratura, alla storia dell’arte
alla filosofia.
Nel clima europeo compreso fra gli ultimi
decenni dell’Ottocento e il primo decennio
del Novecento si afferma la corrente artistica
del “Decadentismo”. L’intellettuale decadente è colui che dall’alto della sua superiorità
culturale, guarda con disprezzo la società
contemporanea, criticandone apertamente
la decadenza, mascherata per di più da un
falso moralismo dei costumi, assumendo atteggiamenti controcorrente e spesso volutamente eccentrici.
Il caratteristico atteggiamento di questa
corrente è l’Estetismo: l’artista trova il fine
della sua opera in se stessa e nella sua bellezza, al di là dei valori simbolici che essa
possiede; anche questo è un atteggiamento di forte critica al pensiero convenzionale,
che tende a dare dignità all’arte per il suo
valore pedagogico o filosofico mettendo in
secondo piano l’aspetto puramente esteriore.
Non bisogna però considerare la corrente estetista come
una poetica superficiale, i decadenti non rinunciano a esprimere nelle loro opere il loro dissenso verso i contemporanei
(pensiamo ad esempio ai racconti di Wilde - “Il principe felice
e altre storie”, “La casa dei Melograni”, ecc…) ma semplicemente non rinunciano al piacere esteriore che un’opera
d’arte ha il diritto di suscitare e che diventa un elemento fon-
Da Donna a Femme Fatale
damentale per ogni artista.
In questo clima di disprezzo del pensiero contemporaneo,
è rovesciata anche la concezione classica della figura femminile: dalla donna angelicata, incarnazione dell’amore platonico e allegoria delle virtù, dalla Venere, rappresentazione dell’amore vero e della passione onesta,
si passa alla “Donna Fatale”, simbolo della
passione perversa e sfrenata che porta alla
rovina intellettuale e fisica di chi è ghermito
dalla sua voluttà. E come la donna angelicata, che affascinò poeti del calibro di Dante
Alighieri e Petrarca, la donna fatale cattura
l’attenzione dei poeti di questo scorcio di secolo come Verga e D’Annunzio.
Da mogli a seduttrici
Il ruolo della donna, fino alla metà dell’Ottocento, era sempre stato delimitato dalla
Chiesa e dalla famiglia; la donna trascorreva
dunque un esistenza difficile, costretta in una
vita monotona, senza alcun stimolo o aspirazione.
Per i lunghi e bui secoli del medioevo è rimasta sempre accomunata all’idea di peccato, e nemmeno l’epoca dei lumi ha saputo
liberarla dal suo destino. Solo il grande mutamento sociale che la rivoluzione industriale ha creato nella rigida società patriarcale,
sconvolgendo quel rigido sistema di valori
che la società rurale aveva preservato nei
secoli, ha dato alla donna la possibilità di ritagliarsi un ruolo da protagonista. Il decadimento e il sovvertimento dei ruoli tradizionali aprono quindi
alla donna piccoli spiragli di libertà, subito utilizzati da alcune
pioniere per affermare culturalmente e socialmente la propria
posizione.
L’allargata base di questa femminilità emancipata identifica
quasi da subito il divieto di partecipazione al suffragio come
l’apice dell’oppressione maschilista ancora forte nella società. Nasce allora, almeno nelle embrionali democrazie liberali
dell’occidente, il movimento delle suffragette, che in seguito
unirà le sue rivendicazioni femministe alle grandi lotte sociali
che caratterizzeranno il nostro tempo.
Il personaggio della “Femme fatale” si colloca in questa mutevole epoca come parte di questa spinta femminista. Ha appunto caratteristiche alquanto insolite per l’epoca; la donna
non attira più l’uomo soltanto con la sua bellezza, ma con il
suo fascino, il suo carattere e le sue movenze. Questa donna
la figura femminile nella storia
ha in sè tutte le caratteristiche più comuni nel suo genere:
bellezza e femminilità, ma dalla sua parte ha anche aspetti
più rari come la malizia, la lussuria, l’intelligenza e la furbizia.
Doti che le consentono di affascinare l’uomo, in modo da ottenere ciò che vuole, anche con l’inganno, non concedendo-
si mai. E’ una figura misteriosa e affascinante, che nasce in
antiche credenze e ritroviamo in miti e leggende popolari.
Il termine Femme Fatale nasce in Francia, ma è un concetto
che si diffonde in poco tempo in tutta la letteratura europea
ed è spesso ripreso in molti spettacoli teatrali o cinematografici. Il personaggio della femme fatale è affine per certi versi a
quello della dark lady, sebbene le due figure non coincidano,
completamente: entrambe celano una personalità maliziosa
e disinvolta, ma che nel secondo caso nasconde però malvagità e desiderio di annientamento.
Nel corso della storia si è evoluto quindi il mito della donna
fatale che, con il tempo, è mutato, come già detto, passando
dal luogo comune di una donna, vista come sottomessa e
meschina fonte del peccato, ad una figura forte e risoluta, come quelle di Giuditta, Salomè o Lilith, tre donne dotate
di forte personalità, consapevoli della propria bellezza e del
proprio fascino, e della maniera più fruttuosa in cui utilizzarli
per raggiungere i loro scopi, capaci così di avere la meglio su
condottieri valorosi.
Da Donna a Femme Fatale
Le eroine del passato affascinavano condottieri valorosi, le
donne decadenti catturano invece i cuori dei poeti. E’ qui che
si crea il rapporto unico che lega l’artista alla sua musa, spesso una prostituta, ed è in questo contesto che entra in gioco
la figura di Baudelaire, che attraverso il tentativo di distruggere l’idealizzazione romantica della donna, inaugura una serie
di figure letterarie
che avranno vasta
espressione nella
cultura ottocentesca: “ la prostituta”,
“la ballerina”, “ la
donna – vampiro”
e “la donna cadavere”.
Il disagio fondamentale che prova
l’artista di fronte
al corpo femminile
definisce l’origine,
tanto dell’utilizzo di
queste tematiche
macabre, riprese in
Italia dagli “Scapigliati”, quanto della
tematica della perdizione e dell’artificio, e della riduzione della figura
H.Toulouse-Lautrec,Ballo al Moulin Rouge,Filadelfia-Collezione-McIlhenny
femminile da donna
ad oggetto, e quindi
a gioiello prezioso.
Insito nella donna vi è un enigma fatale, che la rende così
affascinante e irresistibile. Questa duplicità femminile è accomunata da Baudelaire alla figura della passante, cioè la
scissione particolare della donna in due caratteri opposti:
“dolcezza che affascina” cioè il ruolo della madre buona, e la
parte appartenente all’amante perversa, “il piacere che uccide“.
Questo corrisponde simbolicamente al senso più acuto di
lacerazione tra ideale e reale, che caratterizza quest’epoca.
La tensione che prova il poeta verso il sublime non è più
romanticamente sostenuta dalla figura della donna, ma continuamente contraddetta da una realtà difficile in cui la donna
è corpo, è sesso, è male.
Questo nuovo universo parallelo, completamente al femminile, diverso da quello della propria immaginazione e quindi percepito in modo negativo, apre un nuovo, tormentato
capitolo nell’immaginario artistico di fine ‘800. Si diffonde in
questo periodo nell’immaginario collettivo degli artisti il tema
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la figura femminile nella storia
dell’adulterio, che ispira la storia di tre eroine emblematiche
nella letteratura del secondo Ottocento: Madame Bovary
di G. Flaubert, Effi Bries di T. Fontane e Anna Karenina di
Tolstoj. Questi personaggi cercano un alternativa allo squallore della loro monotona vita coniugale, cercano all’interno
della passione amorosa l’autorealizzazione, purtroppo però
sono destinate alla sconfitta. Le tre eroine non riescono a
modificare i rapporti di forza che si fondano su secoli di rapporti inter-coniugali
a loro sfavorevoli. Questo però non toglie valore alla denuncia di disagio, che
sgretola l’istituzione familiare e la volontà di cambiamento implicita nella loro testimonianza.
Da Femme Fatales a Suffragette
Con la fine del Decadentismo, che culmina con la pubblicazione de “Il Santo”
di Fogazzaro nel 1905, abbiamo un ulteriore evoluzione della figura femminile
che prende nuovamente consapevolezza di sè, non solo per quanto riguarda
le sue caratteristiche fisiche, ma come
donna, e quindi come altra dall’uomo.
Questo passaggio appare chiaro soprattutto nel’opera di Ibsen, “Casa di
bambola” del 1897, che provocò grande
scandalo in Europa e anticipò il femminismo e il movimento delle suffragette.
Come già all’epoca osservò Gramsci nelle “Cronache teatrali” dall’ Avanti!, 19161920: Il costume della borghesia latina
grossa e piccola si rivolta, non comprenHenri de Toulouse-Lautrec, La Goulue at the Moulin Rouge
de un mondo così fatto. L’unica forma di
(La Goulue al Moulin Rouge) Museum of Modern Art, New
liberazione femminile che è consentito
York
comprendere al nostro costume, è quella della donna che diventa cocotte. La
pochade è davvero l’unica azione drammatica femminileche
il nostro costume comprenda; il raggiungimento della liberta
fisiologica e sessuale. Non si esce fuori dal circolo morto dei
nervi, dei muscoli e dell’epidermide sensibile.
Nora infatti in quest’opera è una donna che se ne va, abbandona i figli e il marito per un valore nuovo, la libertà di crescere e autodeterminarsi come persona, si ribella, non vuole
più essere una sposa bambina, una bambola, nè cerca più la
salvezza nell’amore romantico, ma in un percorso autonomo
di emancipazione e tutela dalla dipendenza maschile. Infatti
Da Donna a Femme Fatale
l’industrializzazione, digregando le istituzioni della società
patriarcale, libera le donne dalla schiavitù e dall’isolamento
per inserisrle nel mondo del lavoro, dove tuttavia continua
a protrarsi l’inferiorità economica, giuridica e sociale rispetto
all’uomo.
Per questo cominciano a sorgere movimenti femministi, in
tutti i paesi, che lottano per l’ugualianza dei sessi. Cominciano le lotte per: l’accesso all’istruzione superiore, la parità salariale, il diritto al voto, contro l’asservimento sessuale della
donna e per la sua indipendenza matrimoniale.
Così il femminismo ottocentensco, che ebbe un effetto dirompente, nonostante la limitazione in ambito giuridico imposta, invenste tutte le strutture psicologiche e culturali su cui si
basava da secoli l’identita maschile, fino al punto da mettere
in crisi la tradizionale identita femminile, modellata durante
i secoli dall’immaginario maschile. Minava di conseguenza
il sistema di certezze su cui si basava il sesso forte, accentuando il senso di emarginazione e di angoscia sperimentato
dall’individuo di fronte alle trasformazioni della società.
Insomma in questo clima di forte cambiamento, la ribellione
della donna è percepita dal popolo maschile come
un attacco all’integrità del proprio io e di conseguenza la cultura maschile rispose con una vera
e propria crociata misogina.
A rafforzare questa ideologia la scienza positivista, dominante in questo periodo, afferma l’inferiorità naturale della donna, per ribadirne il ruolo di
madre e tutore della famiglia. Medici, psichiatri e
fisolofi da Nietzsche a Freud, confermano una visione negativa del femminile, che emerge all’inizio
del Novecento nel saggio di Otto Weininger “Sesso e Carattere”, che tentò di fondare una filosofia
dei sessi, considerando il sesso maschile come
momento costruttivo del buono, del bello e del
vero, e quello femminile come momento opposto,
quindi negativo. Vero e proprio manifesto dell’antifemminismo dell’ epoca, questa teorizzazione del
diverso come inferiore associa pericolosamente la
donna, alle persone di colore e agli ebrei.
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la figura femminile nella storia
La figura femminile nella letteratura
Spesso temi e personaggi sono lo specchio di avvenimenti,
storici e sociali, che cambiano il percorso culturale di poeti e
artisti direttamente coinvolti in essi. La rivoluzione culturale
femminile porta l’artista uomo a cambiare la sua visione del
mondo, trasformando nelle sue opere la concezione di donna, che muta, evolvendosi da donna-oggetto a seduttrice.
Questa trasformazione appare chiara nei romanzi giovanili
di Verga, scritti tra il 1865 e il 1875, che risentono fortemente
degli autori francesi di grande popolarità in quegli anni: Dumas, Feuillet e dell’ambiente della scapigliatura con il quale
viene in contatto a Firenze e Milano. Da un lato, dunque,
ritroviamo il gusto per storie sentimentali, dall’altro la rappresentazione del mondo borghese.
E proprio il Verismo contribuisce in modo essenziale al mutamento della raffigurazione della donna e dell’erotismo accentuando la scissione tra spiritualità romantica e fisicità del
desiderio: l’amore diventa una spinta dei sensi, istinto cieco
ed elementare, violento e delittuoso, la parte dionisiaca insita
in ogni essere umano. Qui nascono le nuove tematiche, come
quella dello strupro presente anche in una novella scritta da
Verga: “Tentazione”, che indagano la fisiologia amorosa nei
suoi versanti patologici, dall’isteria all’epilessia alla follia, che
il simbolismo decadente eredita ed affina.
Eva: una donna dai mille volti
Tema ricorrente nelle opere di Verga è appunto il mistero
dell’innamoramento, legato al fascino della lontananza, all’illusione che si nasconde dietro la figura femminile, al mito
dell’appartenenza: una volta caduti gli apparati scenici, la
donna si rivela in tutta la sua povertà. Verga vuole analizzare
le passioni per raggiungere il fine dell’arte, cioè il vero. Questo è spiegato nella prefazione di Eva, romanzo che racconta la passione di Enrico Lantieri, un giovane pittore privo di
mezzi, per la ballerina Eva; una passione che conduce il giovane, abbandonato dall’amante, alla morte. Eva è la donna
fatale, ora inerme e fragile come una “capinera”, ora crudele
e aggressiva come una “Tigre Reale“; è una “peccatrice”, ed
Eros che consuma e distrugge l’uomo perché non sa lottare,
nè reagire ai colpi della sorte.
Nel romanzo Eva vi è un notevole realismo nello studio della
psicologia della protagonista: ciò che prevale in lei è la motivazione economica che interferirà fortemente nella vicenda
amorosa. La seduzione femminile è associata molto spesso
a un particolare stato sociale: si tratta di una donna di lusso,
per la quale l’artificio è alla base della sua bellezza e del-
Da Donna a Femme Fatale
l’ambiente in cui vive. Il corpo femminile non è più sublimato,
simbolo dell’armonia della natura, ma il suo fascino dipende
solo dagli artifici (trucco, abbigliamento), che la trasformano
in una fata, ma una volta caduta la maschera si rivela in tutta
la sua miseria. Il carattere eccezionale della donna diventa
per l’uomo uno strumento per raggiungere il successo e integrarsi nella società mondana. Quando ella perde questa funzione o cessa di essere puro oggetto del desiderio maschile,
perde fascino e quindi fugge dall’uomo come Eva dopo essersi accorta che i sentimenti del suo amante si erano affievoliti. E’ nelle novelle di “Vita dei campi” che Verga riscopre
l’energia e l’autenticità dei sentimenti scomparsi nella società
borghese.
La lupa: una donna bestiale
Motivi romantici e caratteri naturalistici si fondono nella nuova figura della donna contadina,
rappresentata dalla “Lupa”, che viene descritta da
Verga come un insieme di passioni, di bestialità
e violenza. E’ una donna con occhi neri e labbra
rosse il cui vagare solitario nelle ore più calde della giornata è un elemento che prelude la sua relegazione nell’ambito demoniaco.
Isolata dalla comunità, la lupa s’integra perfettamente nella natura selvaggia del luogo, manifestazione estrema di sensualità panica e demoniaca.
Lei appare dunque, non solo proiezione degli
aspetti femminili più inquietanti e oscuri, ma come
donna-bestia-demone perché la sua passione,
la sua ossessione e la sua sensualità aggressiva è associata alla distruzione, l’attributo animale
fa della lupa l’archetipo dell’Eros insaziabile. La
Lupa è l’incarnazione di una sessualità istintiva e
animalesca, immagine di una femminilità primitiva
al di sopra di ogni legge sociale, inquietante e incontrollabile.
Anna Magnani è La lupa di Zeffirelli - 1965
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la figura femminile nella storia
La donna per D’Annunzio
Nel 1889, quando il Naturalismo e il Positivismo sembrano ormai conquistare pienamente la cultura italiana; e Verga
pubblica il volume “ Il Mastro Don Gesualdo” , D’Annunzio da
alle stampe il romanzo attraverso cui entra nella nostra letteratura il personaggio dell’eroe decadente. Così come quasi
un secolo prima l’eroe dalle passioni sconvolgenti e assolute
aveva diffuso la cultura e la sensibilità romantica in Italia, ora
il protagonista de “Il Piacere”, Andrea Sperelli, si fa propulsore e mediatore della tendenza più recente e raffinata dalla
cultura decadente europea tramite il movimento dell’Estetismo.
“L’arte per se stessa”: qui è racchiuso il concetto di culto dell’arte, la risoluzione della vita stessa nell’arte, la ricerca del
bello e di tutto ciò che è prezioso nel più assoluto distacco da
ogni convenzione morale,
il disprezzo per la volgarità del mondo borghese, accomuna
l’Andrea Sperelli di D’Annunzio al Dorian Gray di Oscar Wilde e ne fa la versione Italiana dell’esteta decadente.
Non solo, ma “l’anima camaleontica, mutabile, fluida, virtuale” di Andrea Sperelli rivela quella mancanza di autenticità, di
forza morale e di volontà che si ritroverà in tanti personaggio
decadenti, crepuscolari inetti e indifferenti che affollano la letteratura di questo secolo. Duplice e ambigua appare dunque
questa figura in cui convivono il grandioso e il meschino; e
in modo altrettanto duplice, D’Annunzio si immedesima e si
distacca da essa.
L’Estetismo dannunziano, inoltre, abbagliando e incantando il lettore, trionfa nell’elencazione e nella descrizione delle
opere d’arte, degli oggetti raffinati preziosi di cui ama circondarsi la frivola e mondana Roma degli anni Ottanta, nuova
capitale, centro del nuovo giornalismo e della nuova editoria.
La crisi trova la sua cartina di tornasole nel rapporto con la
donna. L’eroe è diviso tra due immagini femminili: Elena Muti,
la donna fatale, che incarna l’erotismo lussurioso, e Maria
Ferres, la donna pura, che rappresenta l’occasione di un riscatto e di un’elevazione spirituale. Ma in realtà l’esteta libertino mente a se stesso: la figura della donna angelo è solo
oggetto di un gioco erotico più sottile e perverso, fungendo
da sostituta di Elena, che Andrea continua a desiderare e
che lo rifiuta. Andrea finisce per tradire la sua menzogna con
Maria, ed è abbandonato da lei restando solo con il suo vuoto e la sua sconfitta.
Da Donna a Femme Fatale
Seduzione: caratteristica femminile o
umana
La donna è spesso accomunata al peccato, perché adultera,
lussuriosa e maliziosa, come arma preferita la seduzione.
Ma cos’è la seduzione? La seduzione non è altro che un attitudine umana, insita in alcuni soggetti piuttosto che in altri.
Infatti nella teorizzazione della vita estetica del filosofo e
teologo danese Soren Aabye Kierkegaard (Copenaghen, 5
maggio 1813 – Copenaghen, 11 novembre 1885), considerato da alcuni studiosi il padre dell’esistenzialismo, parla del
seduttore, omonimo della Femme fatale, riferendosi all’esteta e allo stato estetico.
Lo stadio estetico è quello in cui l’uomo manifesta indifferenza nei confronti dei princìpi e
dei valori morali.
L’esteta non crede
nelle leggi etiche
tradizionali. Ritiene invece fondamentali e primari i
valori della bellezza e del piacere e
a essi subordina
tutti gli altri valori anche quelli
morali. L’esteta è
teso solo al soddisfacimento
di
sempre nuovi desideri e considera il mondo come
uno spettacolo da
godere. Si lascia
Olympia di Édouard Manet, 1863. Musée d’Orsay di Parigi
vivere momento
per momento. Si
abbandona al presente fuggendo legami con il passato rinunciando al ricordo, e con i futuri, non avendo speranza.
Vive nell’istante, cioè vive per cogliere tutto ciò che vi è d’interesse nella vita trascurando tutto ciò che è banale, ripetitivo
e meschino.
Il tipo dell’esteta è per Kierkegaard il “seduttore” rappresen-
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la figura femminile nella storia
tato dal personaggio di Don Giovanni, il leggendario cavaliere spagnolo prototipo del libertino, immortalato nell’omonima
opera di Mozart. Don Giovanni non si lega a nessuna donna
particolare perché vuole poter non scegliere: il seduttore è
sciolto da ogni impegno o legame e vive nell’attimo, cercando
unicamente la novità del piacere. Don Giovanni seduce migliaia di donne senza riuscire ad amarne nessuna. Don Giovanni è la figura maschile che incarna la sensualità, l’erotico.
Non a caso, questo personaggio è immortalato dalla musica,
la più sensuale delle arti, perché si rivolge direttamente ai
sensi, senza passare attraverso il concetto, la parola.
Kierkegaard esprime un giudizio negativo sull’esteta. Infatti,
chi non sceglie e si dedica solo al piacere, cade ben presto
nella noia, cioè nell’indifferenza nei confronti di tutto, perché,
non impegnandosi mai, non vuole profondamente e sentitamente nulla. Infatti, la noia
è uno stato esistenziale che
sorge quando una persona è
effettivamente o progettualmente demotivata.
Inoltre l’esteta, se si ferma,
cioè se smette di ricercare il
piacere e riflette lucidamente su se stesso, è assalito
dalla disperazione. Poiché
ha scelto di non scegliere,
poiché non ha accettato di
fare delle scelte, non si è
impegnato in un programma di vita, egli non è nessuno. E’ nulla. Ha rinunciato
a costruirsi un’identità, una
personalità definita. Avverte così, con disperazione, il
vuoto della propria esistenza, senza senso e senza
Edouard Manet, Colazione sull’erba (Le déjeuner sur l’herbe),
centro. La disperazione è il
1862-1863 Musée d’Orsay di Parigi.
terrore del vuoto, del non essere altro che niente.
L’evoluzione della donna attraverso gli
occhi dell’artista
Nei capitoli precedenti è stato spiegato come, attraverso gli
avvenimenti storici, il mutamento del pensiero e degli ideali
culturali, si sia ripercosso sulla figura femminile, al punto da
cambiare in modo consistente il suo ruolo all’interno di una
Da Donna a Femme Fatale
società prevalentemente maschile. In tal modo il mutamento
della donna si ripercuote sull’arte. Il motivo è facile da inturire; la donna ha sempre influenzato gli artisti e l’arte stessa,
da dee a muse, da modelle ad amanti. Il rapporto fra donna e
artista si è sempre basato sull’ossessione del pittore o dello
scultura per il corpo.
Ritornando all’evoluzione della figura femminile all’interno
delle opere d’arte, ci appare chiaro soprattutto nelle opere di
Manet; “La colazione sull’erba” e “L’Olympia” entrambe del
1863. Questi dipinti suscitarono scandalo e disdegno nella
Parigi benpensate dell’epoca. Nel primo dipinto, in primo piano sono rappresentati una donna nuda e due uomini abbigliati, in basso a destra possiamo notare un cestino con della
frutta e altri cibi e delle lenzuola. A suscitare scandalo non fu
di certo il nudo di cui erano pieni anche i dipinti accademici, ma
il fatto che quel nudo rappresentasse una donna del tempo e non
una dea o una figura mitologica
come pretendeva l’arte accademica, a rafforzare questa teoria i due
uomini sulla destra che non indossavano vesti classiche, ma gli
abiti e i costumi moderni francesi.
Si rimproverava Manet di aver abbandonato la pittura classica e di
non aver alcun riferimento; anche
se questo non era del tutto vero.
Infatti il pittore in questo quadro
aveva ben presenti alcuni famosi artisti rinascimentali, fra cui “ il
Concerto Campestre” attribuito a
Tiziano, ( o Giorgione), del 1510,
e alcune incisioni di Raimondi fatte dieci anni dopo, come “Dei fluviali” tratte dal “Giudizio di Paride”
di Raffaello. L’ispirazione dunque
era classica.
Con la presentazione al “Salon”
del 1865 di “Olympia”, Manet torna prepotentemente alla ribalta,
riconfermandosi il portavoce indiscusso dell’antiaccademismo.
Il dipinto, anche se ispirato alla
“Venere di Urbino” di Tiziano, Henri de Toulouse-Lautrec ,La toilette, olio su cartone di 67x54 cm,
1896, Museo d’Orsay
rappresentata con crudo realismo
una donna nuda semisdraiata su
un letto disfatto, ai suoi piedi vi è un gatto nero, mentre una
domestica di colore giunge dal retro reggendo un mazzo di
fiori, dono di qualche ammiratore. Lo scandalo in questo con18
la figura femminile nella storia
testo fu duplice, inannzi tutto si criticò il soggetto, ritenuto
volgare e sconveniente: una prostituta rappresentata, per alcuni, sul posto di lavoro. In seguito si tornò a criticare la tecnica pittorica dell’artista, accusandolo di non saper modellare i
corpi con il chiaro scuro e di usare i colori in modo
primitivo e pasticciato. Il corpo acerbo e sgraziato
della ragazza , appare privo delle morbide sinuosità con le quali i pittori accademici caratterizzavano tutti i nudi femminili di eroine storiche o di
dee e figure mitologiche. La cruda nudità della
ragazza viene ulteriormente sottolineata dal particolare nastrino di raso intorno al collo, mentre
lo sguardo e beffardo quai di sfida. La forza rivoluzionaria di questo dipinto, però, non sta tanto
nel soggetto quanto nella tecnica di realizzazione. I colori sono frutto di un modo di intendere la
pittura che alla seduzione della prospettiva e del
chiaro scuro opponeva i forti contrasti , la piattezza delle forme e il nitido risalto dei contorni tipico
dell’arte giapponese.
Dopo Manet, un altro artista che dipinge la donna
in vesti diverse da quelle accademiche è ToulousLautrec. All’interno dei suoi quadri rappresenta
delle ballerine, non come quelle rappresentate
da Degas, ma ballerine del Moulin Rouge, quindi
anche prostitute. Avendo avuto una vita particolarmente difficile, ed essendo un assiduo visitatore dei locali notturni, le sue modelle gli aprivano
le porte di case e camerini mostrandosi in tutta la
loro intimità, come si può vedere nei dipinti “Donna che si tira su le calze” e “ La toilette” dove
le ballerine sono prese in circostanze private. un
altro esempio potrebbe essere quello del dipinto
“La clownessa Cha-U-Kao” dove possiamo ammirare le morbide figure di una delle ballerine intenta ad aggiustarsi il vestito probabilmente dopo
aver prestato i suoi servizi, infatti sul muro vi è
dipinto uno specchio in cui vi è il riflesso di un
uomo.
In piena coesione con i temi del decadentismo
e con le sue fobie per la donna Munch dipinge
“Vampiro” e in seguito uno dei primi esempi di
donna fatale si ha con il suo celebre dipinto “Madonna” 1894-95, dove rappresenta la figura della
Gustav Klimt. Giuditta I. 1901 Olio su tela cm.
Madre di Cristo, come una donna seminuda, che
84X42 Vienna, Österreichische Galerie Belvedere
si offre sensuale allo sguardo dello spettatore,
questa non è più la casta Maria, madre terrena
del Messia, ma il primo vero esempio di donna
fatale, e semplice capire il motivo, il metodo di rappresentazione scelto dall’artista è strettamente legato alla sua con-
Da Donna a Femme Fatale
vizione, infatti Munch vedeva le donne come esseri primitivi
che celavano dentro di essi aspetti demoniaci.
L’apice della rappresentazione femminile si ha con Klimt e
i suoi quadri. Anche Klimt infatti sarà attratto dal tema della
“Femme fatale” e dipingerà due grandi tele “Giuditta I” e “Giuditta II”. In “Giuditta I”, la donna fatale assume quasi un carattere positivo: Giuditta, infatti, è un eroe biblico, che usa la sua
bellezza per sedurre e uccidere il crudele Oleferne, generale
assiro, il quale la trattenne con sé al banchetto; vistolo ubriaco, l’eroina giudea gli tagliò la testa con la sua stessa spada
e poi ritornò nella città. Gli Assiri trovato morto il loro condottiero, presi dal panico, furono messi
in fuga dai Giudei. Come Lilith anche Giuditta durante il corso dei secoli è stata ripresa da diversi pittori,
da Caravaggio con il celebre dipinto “Giuditta che decapita Oleferne”,
Artemisia Gentileschi; allieva della
scuola di Caravaggio, a Gustave
Klimt che ne dipinge due versioni “
Giuditta I” e “Giuditta II (Salomè)”.
Nel dipinto del 1901, il soggetto biblico è decisamente posto in subalternità, mentre il corpo seminudo
dell’eroina, appena coperto da un
sottile velo azzurro con ornamentazioni dorate, è un inno alla bellezza
femminile e al potere incantatore
del suo sguardo. Giuditta, splendidamente agghindata, se ne sta immobile, con gli occhi socchiusi e le
labbra appena dischiuse, in atteg- Salomè con la testa del Battista (Caravaggio Londra)
giamento quasi di sfida, mostrando
in basso a destra appena accennata, come un trofeo, la testa
mozzata di Oleferne. Il volto della giovane donna enigmatico
e bellissimo, è incorniciato dall’alto collier di gusto art nouveau e dalla gran massa scura di capelli. Non c’è linea di
contorno: il corpo di Giuditta, come anche il suo abito sfuma
dolcemente e quasi si confonde con lo sfondo. A rendere più
prezioso di quanto non sia già per l’uso sapiente del colore e
del disegno , interviene il fondo oro: una ripresa delle tavole
gotiche, la cui tecnica era stata studiata dall’artista fin dai
tempi della Scuola di arti decorative. Sull’oro, infatti, insiste
un disegno geometrico a elementi naturalistici estremamen-
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la figura femminile nella storia
te semplificati e stilizzati e la cornice, a sua volta dorata e
decorata diventa parte integrante del dipinto stesso. L’ altro
celebre dipinto in cui è rappresenta una femme fatale è “Giuditta II (Salomé)” , anche in questo dipinto la donna presenta
il seno scoperto le labbra socchiuse e gli occhi tenebrosi e le
mani che tengono avide la testa, in questo caso di giovanni
battista, gli stessi che rappresentano il quadro di cui abbiamo
parlato in precedenza. Salomè figlia di Erodiade, amante di
Erode, spinta da sua madre a danzare di fronte al re biblico
così da affascinarlo per soddisfare il suo desiderio di vendetta verso Giovanni Battista. Erode infatti, rimasto colpito dalla
sensualità di Salomè, chiede alla ragazza cosa desideri come ricompensa della danza, ed essa, dopo
aver chiesto alla madre cosa rispondere, esprime
il desiderio di avere la testa di Battista. La Salomè
biblica è dunque una figura totalmente marginale,
uno strumento nelle mani della madre dedicato alla
perversa danzatrice. Testimonianze scritte riprese
anche in quadi celebri come “Salomè con la testa
del Battista” di Caravaggio, in “Salomè danza davanti a Erode” di Gustave Moreau e anche nell’ambigua identità del dipinto di Gustave Klimt in “Giuditta II (Salomè). Ripresa anche da Beardsley.
La femme fatales per Klimt e Picasso
Sono figure d’innegabile ricchezza stilistica e
straordinaria capacità artistica, Picasso e Klimt, anche se in periodi e luoghi differenti, sono tra gli innovatori più geniali e fecondi dell’arte contemporanea.
Entrambi affascinati dalla figura della donna che in
Picasso trova maggior espressione nel famoso dipinto “ Les demoiselles d’Avignon”, dove attraverso l’abolizione di qualsiasi prospettiva o profondità
abolisce lo stesso spazio, individuando una terza
dimensione, non visiva ma mentale. La donna e il
mistero della carne sono temi che lo affascinano a
lo coinvolgono e, a cui dedica, nel corso degli anni,
una serie di quadri: nel 1950, “ Le signorine in riva
alla Senna”, che rappresenta forse l’ultima opera ricca d’inventiva di Picasso e segna l’inizio di un periodo di riflessione,
durante il quale l’artista dipingerà una serie di varianti delle
“Donne d’Algheri”(1854) di Delacroix, di Las Meninas (1857)
di Velàzquez, del Déjenuer sur l’herbe (1860), di Manet e
delle Sabine (1862) di David. In maniera quasi analoga, la
donna è per Klimt colei che traduce le paure, schiava dei
tabù, ma pur sempre femme fatale e consolatrice di se stessa; Klimt dipinge una donna sicura della propria identità che
vuole essere e sentirsi alla pari degli uomini, affrancata da
secoli di oscurità
Da Donna a Femme Fatale
La determinazione della donna
Il movimento delle sufragette
Negli ultimi anni dell’ottocento nasce il movimento di emancipazione femminile delle “suffragette”. Il termine nasce per
indicare le donne che appartenevano a questo movimento
che voleva ottenere il diritto di voto. Più in generale il temine
si usa per indicare qualsiasi donna che ha combatutto per
conquistare i suoi diritti. Tra la fine del Seicento e l’inizio del
Novecento si iniziò a diffondere la volontà delle donne di riuscire ad ottenere gli stessi diritti di cui godevano gli uomini.
Il primo movimento femminista nacque in Francia, durante
la rivoluzione francese, M.me de Kerails ha presentato all’Assemblea rivoluzionaria il “Cahier de Dolèances des femme”
che può essere considerato la prima richiesta di riconoscimento dei diritti delle donne. Ma per arrivare al Suffragio universale si dovrà attendere il 1945.
Anche in Inghilterra le donne iniziarono a manifestare per
conquistare il proprio posto all’interno della società e non essere considerate più soltanto “donne di casa”. Nel 1835 le
donne riuscirono a conquistare il diritto al voto alle elezioni locali. Ma la strada per la conquista dei diritti era ancora molto
lunga. In Inghilterra i movimenti femminili sono stati sostenuti
da John Stuart Mill, che nel 1865 ha proposto di introdurre il
suffragio femminile.
Il vero e proprio movimento delle “suffragette” è nato nel
Regno unito nel 1872. Nel 1879 Millicent Fawcett ha fondato
il movimento nazionale per la rivendicazione dei diritti delle
donne, “National Union of Women’s Suffrage”, cercando di
convincereanche gli uomini ad aderire per combattere tutti insieme per i diritti delle donne. Si comincia a parlare più
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la figura femminile nella storia
Mata-Hari
delle suffragette dall’episodio, all’inizio del Novecento, che
ha visto comeprotagonista Emmeline Pankhurst, che ha protestato in favore delle donne, vicino a Buckingham Palace, e,
per questo è stata arrestata.
Le donne combattevano per averegli stessi diritti degli uomini, in qualsiasi ambito, dal lato politico con il diritto di voto
al lato economico con la possibilità di svolgere gli stessi lavori. Le idee delle donne venivano
diffuse con comizi, slogan e cartelli, che venivano mostrati durante le manifestazioni. Durante
la Prima Guerra Mondiale molte
donne hanno avuto la possibilità
ddi dimostrare a tutti quanto valevano: gli uomini partirono per
la guerra e le donne dovevano
occuparsi di tutto ciò di cuiprima si occupavano i propri padri, fratelli o mariti. La guerra ha
portato, però, anche una rottura
all’interno del movimento delle
suffragette inglesi: E. Pankhurst
decide di sospendere le manifestazioni negli anni della guerra
mentre sua sorella Silvia, continuò a portare avanti le proprie
idee per sfruttare il momento e
conquistare nuovi diritti. Intanto
qualcosa cominciava a cambiare: nel 1918 il Parlamento inglese ha approvato la proposta del
diritto di voto per mogli di capifamiglia che avevano più di trentanni. Per il suffragio universale
si deve però attendere il 2 luglio
1928.
In seguito a questi primi due
punti di partenza: Inghilterra e
Francia, i movimenti femministi
cominciarono ad espandersi in
tutti gli altri paesi. Negli stati uniti dal 1869 iniziarono a formarsi
gruppi simili a quelli delle suffragette inglesi. Per qui però per attendere il suffraggio universale bisogna attendere il 1920.
In Germania le donne hanno ottenuto lo stesso diritto un
anno prima, nel 1919. In Svizzera si arriverà al suffragio universale solamente molti anni dopo, cioè nel 1971.
In Italia le donne hanno ottenuto l’emancipazione giuridica
nel 1919, mentre il suffragio universale si deve aspettare la
Da Donna a Femme Fatale
fine della Seconda Guerra Mondiale: il primo voto esteso a
tutti coloro (uomini e donne) con più di ventunanni è avvenuto il 2 giugno del 1946.
La più grande Femme fatale della storia
La prima guerra mondiale, nonostante sia l’evento terminante la belle epoque, apogeo di questa figura femminile, è il
palcoscenico adatto per l’affermazione di una “donna fatale”:
Margaretha Geertrude Zelle detta anche Mata Hari.
Nel 1895, in seguito a divere brutte esperienze, Margaretha rispose
all’inserzione matrimoniale di un militare in licenza dalle colonie, il Capitano Rudolph Mac Leod. L’11 luglio
1896, ottenuto il consenso paterno,
Margaretha sposò il capitano Mac
Leod. Il 30 gennaio 1897 nacque a
Margaretha un figlio, cui fu dato il
nome del nonno paterno, Norman
John. L’anno dopo il 2 maggio 1898
nacque Jeanne Louise. La vita famigliare non fu serena: vi furono litigi
tra i coniugi, sia per la durezza della
vita della colonia, che non conoscevano gli agi delle moderne città europee, sia per la gelosia del marito
e la sua tendenza ad abusare dell’alcool. L’anno seguente il marito fu
promosso maggiore e comandante
della piazza di Medan, sulla costa
orientale di Sumatra. Come moglie
del comandante, Margaretha ebbe il
compito di fare gli onori di casa agli
altri ufficiali che, con le loro famiglie,
frequentavano il loro alloggio, e conobbe i notabili del luogo.
Uno di questi la fece assistere per la prima volta a una danza
locale, all’interno di un tempio, che l’affascinò per la novità
esotica delle musiche e delle movenze, che ella in seguito
provò anche ad imitare. La famiglia venne però sconvolta
dalla tragica perdita del piccolo Norman, che il 27 ottobre
1899 morì avvelenato. La causa della morte fu la somministrazione di una medicina da parte di una domestica indigena
ai figli della coppia. Non si hanno prove che costei avesse voluto uccidere i bambini; ma si sospetta però che ella, moglie
di un subalterno del maggiore Mac Leod, fosse stata spinta
dal marito a vendicarsi del superiore, che gli aveva inflitto
una punizione.
Rudolph, Margaretha e la piccola Non, per sottrarsi a un
luogo di tristi ricordi, ottennero di trasferirsi a Banjoe Biroe,
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la figura femminile nella storia
nell’isola di Giava, dove Margaretha si ammalò di tifo. Il maggiore Mac Leod, maturata l’età della pensione, il 2 ottobre
1900, diede le dimissioni dall’esercito e nel 1902 la famiglia
si traferì in Olanda. Lasciata dal marito che portò con se la figlia, Margaretha, chiese la separazione, che le venne accordata il 30 agosto, insieme con l’affidamento della piccola Non
e il diritto agli alimenti. Dopo una successiva, breve riconciliazione, Margaretha e il marito si separarono definitivamente;
questa volta fu il padre ad ottenere la custodia della bambina,
mentre Margaretha si stabilì dallo zio in una casa a L’Aja.
A Parigi
Decisa a tentare l’avventura della grande città, nel marzo del 1903 Margaretha
andò a Parigi, dove non conoscendo
nessuno, cercò di mantenersi facendo
la modella presso vari pittori e cercando
scritture nei vari teatri parigini ma con
scarsi risultati. Secondo alcuni storici
arrivò anche a prostituirsi, per sopravvivere, durante l’attesa del successo.
Il fallimenti continui dei suoi tentativi la
convinsero a ritornare in Olanda ma l’anno dopo , il 24 marzo 1904, tornò nuovamente a Parigi e prese alloggio presso
il Grand Hotel, divenendo l’amante del
Barone Henri de Marguérite. Presentatasi al signor Molier, proprietario di un
importante scuola di equitazione e di
circo, Margaretha, che in effetti aveva
imparato a cavalcare a Giava, si offri di
lavorare e poiché un’amazzone poteva essere un’attrazione, fu ingaggiata.
Ebbe successo e una sera si esibì durante una festa in casa di Molier in una
danza Giavanese, o qualcosa che l’assomigliava: Molier rimase entusiasta di
lei. La sua danza era, a suo dire, quella
delle sacerdotesse del Dio orientale Shiva, che mimavano un approccio amoroso verso la divinità , fino a spogliarsi, un
velo dopo l’altro, del tutto. Il successo fu
tale che i giornali arrivarono a parlarne;
“ Lady Mac Leod” ecco come si faceva chiamare, replicò il
successo in altre esibizioni, sempre tenute in case private,
dove più facilmente poteva togliersi i veli del suo costume
senza destare scandalo , e la sua fama di “danzatrice venuta
dall’oriente “ iniziò ad estendersi per tutta Parigi.
Notata da Monsieur Guimet, industriale e collezionista di
Da Donna a Femme Fatale
oggetti d’arte orientale, ricevette da questi la proposta di esibirsi in Place de Jèna, nel museo, dove egli custodiva i suoi
preziosi reperti, come un animato gioiello orientale. Fu però
necessario cambiare il suo nome, troppo borghese ed europeo in uno più esotico ed adatto alla sua presenza, così
Guimet scelse il nome d’origine malese di Mata Hari, “Occhio
dell’Alba”. Mata Hari alternò le esibizioni, tenute nelle case
esclusive di aristocratici e finanzieri, agli spettacoli nei locali
prestigiosi di Parigi, il Moulin Rouge, il Trocadero, il Cafè des
Nations. Il successo provocò naturalmente una curiosità cui
ella non poté sottrarsi e per far collimare l’immagine privata
con quella pubblica raccontò ai giornalisti poche verità e molte menzogne.
Il 26 aprile 1906 fu sancito ufficialmente il divorzio di Margaretha Zelle dal maggiore Mac Leod. Si recò a Berlino, dove
si legò ad un ricco ufficiale, Hans Kiepert, che l’accompagnò
a Vienna e poi a Londra e in Egitto. Furono intanto pubblicate due sue biografie, una scritta dal padre, che esaltava
le qualità della figlia, più per esaltare se stesso che la figlia,
inventando parentele con re e principi, e quella con opposte intenzioni, di George Priem, avvocato del suo ex marito. Mata Hari, naturalmente, confermò la versione del padre:
sua nonna era una principessa giavanese; quanto a lei aveva
viaggiato in tutti i continenti e aveva vissuto a lungo a Nuova
Delhi, dove aveva frequentato maharaja ed abbattuto tigri,
come dimostra la pelliccia che indossava, in realtà acquistata
in un negozio ad Alessandria, in Egitto.
Il successo fece crescere enormemente le spese necessarie
a sostenere una incessante vita mondana che conobbe solo
una breve tregua quando, nell’estate, si trasferì in un castello
a Evres, non lontano da Tours, che il suo nuovo amante, il
banchiere Félix Rousseau, affittò e le mise a disposizione
e dove rimase circa un anno, quando a causa dei problemi
finanziari della banca Rousseau, il suo Félix affittò per lei un
appartamento carino, ma meno costoso, a Neuilly, un lussuoso sobborgo parigino.
Alla fine del 1911 raggiunse il vertice del riconoscimento artistico partecipando, al Teatro alla Scala di Milano, prima alla
rappresentazione dell’Armida di Gluck, tratta dalla Gerusalemme liberata del Tasso, recitando la parte del Piacere e
poi, dal 4 gennaio 1912, dando cinque rappresentazioni del
Bacco e Gambrinus, un balletto di Giovanni Pratesi musicato
da Romualdo Marenco, dove interpretò il ruolo di Venere. Il
direttore dell’orchestra, Tullio Serafin, dichiarò Mata Hari <<
.. è una donna eccezionale, dall’eleganza perfetta e con un
senso poetico innato; inoltre, sa ciò che vuole e sa come
ottenerlo. Ella così fa della propria danza una sicura opera
d’arte >>
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la figura femminile nella storia
Nel 1914 si spostò a Berlino per preparare un nuovo spettacolo nel quale intendeva interpretare una danza egiziana:
nella sua stanza d’albergo Cumberland, scrisse lei stessa il
libretto del balletto, che intitolò “La chimera”, nel frattempo
prevedeva di debuttare nel settembre di quell’anno al Teatro
Metropole in un altro spettacolo. Ma quello spettacolo non
ebbe mai luogo: con l’assassinio del principe ereditario austriaco fini la Belle Epoque ed ebbe inizio la Prima Guerra
Mondiale.
La guerra
Mentre l’esercito tedesco invadeva il Belgio per svolgere
quell’operazione a tenaglia che, con l’accerchiamento delle
forze armate francesi, avrebbe dovuto concludere rapidamente la guerra, Mata Hari era già partita per la Svizzera, da
dove contava di rientrare in Francia; tuttavia, mentre i suoi
bagagli proseguirono il viaggio verso la terra francese, lei
venne trattenuta alla frontiera e rimandata a Berlino. Nell’
albergo ove fece ritorno, senza bagaglio e denaro, un industriale olandese, tale Kellermann, le offrì il denaro per il viaggio consigliandole di andare a Francoforte e di qui, tramite il
consolato, passare la frontiera olandese. Così, il 14 agosto
1914, il funzionario del consolato olandese rilasciò a Margaretha Geertruida Zelle, alta un metro e settantacinque, di
capelli, in quell’occasione, biondi, il visto per raggiungere
Amsterdam.
Qui divenne l’amante del banchiere Van Der Schalk e poi,
dopo il trasferimento a L’Aja, del barone Eduard Williem Van
der Capellen, colonnello degli ussari, che la soccorse generosamente nelle sue non poche necessità finanziarie. Il
24 dicembre 1915 Mata Hari tornò a Parigi, per recuperare il suo bagaglio e tentare, nuovamente invano di ottenere
una scrittura da Djagilev. Ebbe appena il tempo di divenire
amante del maggiore belga Fernand Beaufort che, alla scadenza del permesso di soggiorno, il 4 gennaio 1916, dovette
fare in Olanda
Lo spionaggio
Furono frequenti le visite nella sua casa de L’Aja del console tedesco Alfred Von Kremer, che proprio in questo periodo
l’avrebbe assoldata come spia al servizio della Germania,
incaricandola di fornire informazioni sull’aeroporto di Contrexéville, presso Vittel, in Francia, dove ella poteva recarsi
col pretesto di far visita al suo ennesimo amante, il capitano
russo Vadim Masslov, ricoverato nell’ospedale di quella città.
Mata Hari, divenuta agente H21, fu istruita in Germania dalla
famosa spia Elsbeth Schragmuller, più nota come Fraulein
Doktor, che la immatricolò con il suo nuovo codice AF44.
La ballerina era già sorvegliata dal controspionaggio inglese
e francese quando il 24 maggio 1916 partì per la Spagna e di
Da Donna a Femme Fatale
qui, il 14 giugno, per Parigi, dove tramite un suo ex-amante,
il tenente di cavalleria Jean Hallaure, che era anche lui a sua
insaputa, un agente francese, il 10 agosto, si mise in contatto con il capitano Georges Ladoux, capo della sezione del
Deuxième Bureau, il controspionaggio francese, per ottenere
il permesso di recarsi a Vittel, Ladoux le concesse il visto e
le propose di entrare al servizio della Francia, proposta che
Mata Hari accettò, chiedendo l’enorme
cifra di un milione di franchi, giustificata dalla conoscenze importanti che ella
vantava e che sarebbero potute tornare
utili a causa francese.
Il doppio gioco
A Vittel incontrò il capitano russo, fece
vita mondana frequentando gli ufficiali francesi in convalescenza dal fronte
che frequentavano la stazione termale e
dopo due settimane tornò a Parigi. Qui,
oltre a inviare informazioni sulla sua missione agli agenti tedeschi in Olanda e in
Germania, ricevette anche istruzioni dal
capitano Ladoux, di tornare in Olanda
via Spagna. Dopo essersi trattenuta alcuni giorni a Madrid, sempre sorvegliata
dai francesi e dagli inglesi, a novembre
s’imbarcò da Vigo per L’Aja. Durante la
sosta della nave a Falmouth, nel Regno
unito, fu arrestata perché scambiata per
Clara Benedix una ballerina di flamenco, sospetta spia tedesca. Interrogata
a Londra e chiarito l’equivoco, dopo accordi presi con Ladoux, Scotland Yard la
respinse in Spagna, dove sbarcò l’11 dicembre 1916.
A Madrid continuò il doppio gioco, mantenendosi in contatto sia con l’addetto militare all’ambasciata
tedesca, Arnold Von Kalle, che con quello dell’ambasciata
francese, il colonnello Joseph Denvignes, al quale riferì le
manovre dei sottomarini tedeschi al largo delle coste del Marocco. Von Kalle comprese che Mata Hari stava facendo il
doppio gioco e telegrafò a Berlino che l’agente H21 chiedeva denaro ed era in attesa di istruzioni: la risposta fu che
l’agente H21doveva rientrare in Francia per continuare le
sue missioni e ricevette 15,000 franchi.
L’ipotesi che i tedeschi avessero venduto l’identità di Mata
Hari rivelandola al controspionaggio francese come spia tedesca – poggia sull’utilizzo, da loro fatto in quell’occasione,
di un vecchio codice di trasmissione già abbandonato perché decifrato dai francesi, nel quale Mata Hari veniva ancora
identificata con la sigla H21, in tal modo, i messaggi tedeschi
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la figura femminile nella storia
furono facilmente decifrati salla fonte parigina di ascolto radio della Tour Eiffel. Il 12 gennaio 1917 Mata Hari rientrò a
Parigi e la mattina del 13 febbraio venne arrestata nella sua
camera dell’albergo Elysée Palace e rinchiusa nel carcere di
Saint – Lazare.
Il processo
Di fronte al titolare dell’inchiesta, il Capitano Pierre Bouchardon, Mata Hari adottò inizialmente la tattica di negare
ogni cosa dichiarandosi totalmente esterna a goni vicenda di
spionaggio. Fu assistita nel primo interrogatorio, dall’avvocato Edouard Clunet, suo vecchio amante, che aveva mantenuto con lei un affettuoso rapporto è che poté essere presente,
secondo regolamento, ancora solo nell’ultima deposizione.
Poi con il passare dei giorni, Mata Hari non poté evitare di
giustificare le somme che Van der Capelen, suo amante, le
inviava dall’Olanda – considerate dall’accusa il prezzo del
suo spionaggio – di ammettere le somme ricevute a Madrid
da Von Kalle, giustificandole come semplici regali, e di rivelare anche un particolare inedito. L’offerta ricevuta in Spagna
di ingaggiarsi come agente dello spionaggio russo in Austria.
Riferì anche della proposta fattale dal Capitano Ladoux di
lavoraree per la Francia, una proposta che cercò di sfruttare a suo vantaggio, come dimostrazione della propria lealtà
confronti della Francia.
L’accusa non aveva, fino a questo momento, alcuna prova
concreta contro Mata Hari, la quale poteva anzi vatare di essersi messa a disposizionedello spionaggio francese. Il fatto
che il controspionaggio non aveva ancora messo a disposizione del capitano Bouchardon le trascrizioni dei messaggi
tedeschi intercettati che la indicavano come l’agente tedesco
H21. Quando lo fece, due mesi dopo, Mata Hari dovette ammettere di essere stata ingaggiata dai tedeschi, di aver ricevuto un inchiostro simpatico per comunicare le sue informazioni, ma di non averlo mai usato – avrebbe gettato tutto in
mare – e di non aver trasmesso nulla ai tedeschi, malgrado i
20.000 franchi ricevuti dal console Von Kremer, che ella, considerò solo un risarcimento per i disagi patiti durante la sua
permanenza in Germania nei primi giorni di Guerra. Quanto al messaggio di Von Kalle a Berlino, che la smascherava
come spia, Mata Hari lo considerò la vendetta di un uomo
respinto.
I tanti ufficiali francesi dei quali fu amante, interrogati, la difesero, dichiarandola di non averla mai considerata una spia.
Al contrario, il capitano Georges Ladoux negò di averle mai
proposto di lavorare per i servizi segreti francesi, avendola
sempre considerata una spia tedesca, mentre l’addetto militare a Madrid, Mensieur Denvignes, sostenne di essere
Da Donna a Femme Fatale
stato corteggiato da lei allo scopo di estorcergli informazioni
sulle attività tedesche in Marocco, egli negò che fosse stata
Mata Hari a fornirle. Entrambi gli ufficiali non seppero citare
alcuna circostanza sostanziale contro Mata Hari, ma le loro
testimonianze, nel processo, ebbero un peso determinante. L’inchiesta si chiuse in un colpo a effetto: l’ufficiale russo Masslov, del quale Mata Hari sarebbe stata innamorata,
scrisse di aver sempre considerato la relazione con la donna
soltanto un avventura. La rivelazione non aveva nulla a che
fare con la posizione giudiziaria di Mata Hari, ma certo acuì in
lei la sensazione di trovarsi in un drammatico isolamento.
L’inchiesta venne chiusa il 21 giugno con il rinvio a giudizio
di Mata Hari. Il processo a porte chiuse, ebbe inizio il 24 luglio: a presiedere una Corte di sei giudici militari domande
Dopo meno di un’ora venne emessa la sentenza secondo
la quale l’imputata era colpevole di tutte le otto accuse mossegli; << In nome del popolo francese, il Consiglio condanna
all’unanimità la suddetta Zelle Marguérite Gertrude alla pena
di morte […] e la condanna inoltre al pagamento delle spese
processuali >>. Quanto all’unanimità dei giudici, questa valeva per la sentenza ma non per ogni capo d’imputazione,
per alcuni dei quali il verdetto di consapevolezza non trovò
l’unanimità dei giudici.
L’istanza del riesame del processo venne respinta dal Consiglio di revisione il 17 agosto e il 27 settembre anche la
Corte d’Appello confermò la sentenza di condanna. L’ultima
speranza era rappresentata dalla domanda di grazia che
l’avvocato Clunet presentò personalmente al Presidente della Repubblica Poincaré.
Il 15 ottobre, Mata Hari, informata del rifiuto alla domanda di
grazia, si preparò per l’esecuzione. Si vestì con la consueta
eleganza. Su sua richiesta, il padrone Arboux la battezzò. Poi
tre furgoni portarono il corteo al castello di Vincennes dove,
scortati da dragoni a cavallo, giunsero verso le sei e trenta in
una fredda e nebbiosa mattina. Al braccio di Suor Marie, si
avviò con molta fermezza al luogo fissato per l’esecuzione,
salutata, come da tradizione da un plotone, che le presentò le armi ricambiato più volte il saluto con cortesi cenni del
capo, fu blandamente legata al palo; rifiutata la benda, poté
fissare di fronte a sé i dodici fanti, reduci dal fronte; ai quali
era stato assegnato il compito di giustiziarla: uno di essi, seconda regola, aveva il fucile caricato a salve.
La morte
Degli undici, otto andarono a vuoto, ultima galanteria dei
militari francesi, nessuno reclamò il corpo che , trasportato
all’istituto di Medicina Legale di Parigi, fu sepolto in una fossa
comune.
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la figura femminile nella storia
Da Donna a Femme Fatale
Indice
Prefazione
- Da mogli a seduttrici
- Da femme fatales a suffragette
La figura femminile nella letteratura
- Eva: una donna di mille volti
- La lupa: una donna bestiale
- La donna per D’Annunzio
Seduzione: caratteristica femminile o attitudine umana!?
L’evoluzione della donna vista dagli occhi dell’artista
- La femme fatale per Klimt e Picasso
La determinazione della donna nella storia
La piu grande femme fatale della storia
- A Parigi
- La guerra
- Lo spionaggio
- Il doppio gioco
- Il processo
- La morte
Bibliografia
Dentro la storia eventi testimonianze e interpretazioni :
Volume A “ Dalla Grande Guerra alla shoa”
Volume B “ Dalla ricostruzione alla globalizzazione”
di Zeffiro Ciuffoletti, Umberto Baldocchi, Stefano Bucciarelli, Stefano Sodi
Manuale di letteratura:
I saperi di base: autori, temi e immagini, 3, La modernità ( dal 1861 al 1956)
di Romano Luperini, Pietro Cataldi, Lidia Marchiani, Franco Marchese
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