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A scuola, in storia, abbiamo voluto conoscere un paese che non c`è

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A scuola, in storia, abbiamo voluto conoscere un paese che non c`è
Scuola primaria Dante Alighieri di Gemona – Piovega
classi terze
Anno scolastico 2005 – 2006
Il dolore, i ricordi, le sensazioni, le paure
e le speranze
di quel tragico anno
nei racconti
dei nostri genitori, dei nostri nonni,
dei volontari e delle maestre
Dedicato ai bambini di oggi
e a quelli di domani
per non dimenticare.
“…la vita è un dono legato ad un respiro
dovrebbe ringraziare chi si sente vivo
ogni emozione che ancora ci sorprende
l’amore sempre diverso che la ragione non comprende
il bene che colpisce come il male
persino quello che fa più soffrire
è un dono che si deve accettare, condividere
poi restituire …”
(da “La vita è un dono” di Renato Zero)
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Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
di tanti che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto.
Ma nel cuore
nessuna croce manca.
È il mio cuore
il paese più straziato.
Giuseppe Ungaretti
Introduzione
A scuola, in storia, abbiamo voluto conoscere un paese che non c’è più: Gemona
prima del terremoto, per amare maggiormente il paese di oggi.
L’abbiamo riscoperto guardando vecchie fotografie e filmati d’epoca.
I bambini non hanno vissuto, per fortuna, l’esperienza terribile del terremoto, però
hanno capito che questo avvenimento ha cambiato profondamente la storia del nostro paese.
Abbiamo chiesto allora ai genitori, ai nonni e agli amici di ricordare…
Quella lontana notte di maggio sono iniziate in Friuli migliaia di storie tragiche e
drammatiche, ognuna valida per un racconto. Alcune sono state riportate dai giornali, dai
reportages di ogni genere. Molte rimarranno per sempre ignote.
Il terremoto è un fenomeno della natura, una catastrofe e una storia terribilmente
incisa nei ricordi. Per chi è rimasto sotto le macerie è stato un termine, per chi ne è uscito è
stato un grande e indelebile cambiamento psicologico. Ognuno dei vostri genitori, dei vostri
nonni e dei vostri conoscenti ha un suo ricordo che porterà nel cuore.
Per fortuna, accanto ai ricordi tristi, sono emersi anche i valori positivi della
solidarietà perché nei Gemonesi il terremoto non ha distrutto la speranza, la voglia e la forza
di rinascere.
La sere dal sîs di maj
….Strache
la muart si ere sentade par polsâ
daspò la vendeme
di chês animis ‘nozentis.
E un agnul al vaive
viodint chê prucission beade.
Roberto Iacovissi
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La solidarietà… un fiore tra le macerie
La mamma racconta…
Subito dopo il terremoto del 6 maggio 1976 una grande solidarietà è
fiorita tra tutti i Gemonesi, pronti a soccorrere, a darsi una mano l’un l’altro e a
confortarsi a vicenda.
Alcuni giorni dopo il sisma è stata costruita una tendopoli in Piovega e
anch’io, con i miei familiari e assieme ad alcuni parenti, mi sono sistemata in
una di quelle tende, dove ho vissuto per qualche mese. Molti volontari, gentili e
disponibili, ci fornivano cibo, vestiti e scarpe.
Tra questi ricordo anche una giovane donna dalla pelle molto chiara: era
straniera e anche lei era venuta a Gemona ad aiutare.
Durante quell’estate una mia compagna di liceo, di Spilimbergo, è venuta
a cercarmi e mi ha ospitato a casa sua per qualche settimana.
Intanto a Gemona si lavorava intensamente: si portavano via le macerie e
si aggiustavano le case danneggiate.
Quando il terremoto è tornato a settembre del 1976, la gente era disperata:
ha lasciato Gemona e si è trasferita a Lignano con le corriere messe a
disposizione dal Comune.
Anch’io con la mia famiglia sarei andata là, ma mio zio Elio non ha
voluto: “Io sono stato fortunato, la mia casa in Campolessi non ha subito danni,
venite ad abitare da me!” Non potrò dimenticare la sua grande bontà e
generosità; grazie a lui siamo rimasti a Gemona e abbiamo ripreso a sperare e a
credere nella ricostruzione.
I giorni dell’emergenza
I miei genitori mi raccontano…
Nel maggio del 1976 i miei genitori avevano otto anni, erano in seconda
elementare, ma dopo la catastrofe hanno dovuto smettere di andare a scuola. Mia
madre per qualche giorno è andata a vivere in un pullman messo a disposizione
dalla società delle corriere, subito dopo furono montate le tendopoli con l’aiuto
dei militari italiani e di altre nazioni.
Mia madre era accampata nel polisportivo, anche lì avevano montato delle
tende, invece mio padre è andato nel campo di Taboga.
Al tempo delle tendopoli la protezione civile e i militari avevano
organizzato un servizio mensa che garantiva i pasti a tutta la popolazione di
Gemona, un servizio di vaccinazioni e di emergenza sanitaria e tanti giochi per i
bambini.
Dopo le scosse del 15 settembre la gente fu costretta a lasciare Gemona
per raggiungere i familiari e stabilirsi in altre città non colpite dal terremoto.
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Gran parte dei Gemonesi si era stabilita a Lignano, mentre mio nonno e tante
altre persone sono tornate a Gemona per costruire le baracche antisismiche.
Mio padre e mia madre mi hanno raccontato che dove adesso c’è la chiesa
di Santa Lucia c’era un centro commerciale con tanti negozi tutti vicini, lì si
andava a fare la spesa.
Man mano che le persone rientravano a Gemona e la situazione si
normalizzava, riprendevano le scuole, il lavoro e si ricostruivano le case.
Ricostruire insieme affetti e valori
Il papà mi racconta…
Nei giorni tristi del dopo terremoto Gemona ha visto arrivare tante
persone di buona volontà: militari, alpini, volontari della Croce Rossa e tanti
altri. Tutti, fin dai primi giorni, hanno lavorato accanto ai Gemonesi per le prime
emergenze: scavare per recuperare i corpi dei morti e per salvare chi sotto le
macerie era ancora vivo, trovare sistemazione per chi aveva perso la casa e non
aveva più niente; ripristinare servizi essenziali come il Pronto Soccorso e l’uso
delle strade…
Dopo le prime emergenze molte di queste persone sono rimaste per mesi a
Gemona e hanno continuato a lavorare perché il paese potesse rinascere.
Proprio nel terreno dei nonni, in via Osoppo, si era insediato il campo
base dei militari.
Al tempo del terremoto avevo quattordici anni; sono stato tra i pochi
fortunati a non avere lutti in famiglia, ma ricordo il dolore di molti miei amici
che avevano perso persone care.
Accanto ai ricordi tristi ci sono anche quelli più sereni legati
all’esperienza fatta con i volontari di C.L. e di Torino, che animavano i campi
del doposcuola e i giochi organizzati per bambini e ragazzi. Questa, secondo me,
è stata un’esperienza importante e forse la più bella perché insieme a loro
abbiamo ricostruito i nostri sentimenti e i nostri valori.
“Siete tutti vivi?”
La mamma racconta…
Nel 1976 avevo 18 anni e dopo il terremoto di maggio la grande paura che
avevo in tutto il corpo era tanta, ma ho ripreso a lavorare due giorni dopo il
sisma. A casa avevamo montato la tenda, ma bisognava sempre tenersi lontano
dalle abitazioni pericolanti.
I viveri venivano distribuiti anche per le strade dai camion da parte di
persone, soprattutto emiliane, che offrivano i loro cibi. Mia sorella è stata
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medicata per giorni e giorni da infermieri austriaci che ci aiutavano con un
sorriso, tutti ci davano un po’ di amore. Gemona era piena di gente, le persone si
incontravano e si chiedevano: “Come state? Siete tutti vivi?” Era la frase più
ricorrente. Poi passò l’estate, velocemente, fra una scossa e l’altra, ci si
chiedeva: “Quando smetterà di tremare?”
Intanto io continuavo a lavorare nel supermercato, ci sono voluti almeno
due mesi per ripulire la merce vendibile. Una cassa era stata messa nel piazzale
del supermercato e si lavorava sempre con la paura che una scossa più forte
avesse ferito o ucciso qualche familiare a casa.
Poi improvvisamente la scossa fortissima di settembre. Per Gemona
sembrava la fine, non si poteva restare in questo paese, così devastato.
Con l’aiuto di molte persone buone io e parte della mia famiglia partimmo
per Lignano. Lasciai Gemona con la morte nel cuore. Fummo accolti in una
colonia dove tutti si prodigavano per aiutarci.
La solidarietà di tanta gente che non conoscevo mi aiutò ad andare avanti,
pochi giorni dopo tornai a Gemona, decisa che quello era il mio paese.
Passai l’inverno in tenda, ripresi a lavorare spronata da molte persone che
mi invitavano ad andare avanti, seppur tra mille difficoltà.
Incontri nuovi
Il papà racconta…
Dopo il terremoto e dopo la grande paura sono arrivati a Gemona
volontari e aiuti da tutte le parti del mondo. Per tanta gente ci sono stati i primi
contatti con culture diverse, nuove amicizie e stili di vita differenti. Tanti di noi
andarono a vivere in altre regioni oppure si spostarono a vivere al mare per brevi
periodi, incontrando nuova gente.
Le persone instaurano nuove amicizie che ancora oggi esistono.
L’esperienza di vivere nei prefabbricati aveva avvicinato molto le persone
perché stavano molto bene insieme e si conoscevano tutti.
La notte faceva paura
I miei genitori raccontano…
Quando c’è stato il terremoto la mia mamma aveva nove anni ma il
ricordo di quei terribili momenti è ancora vivo.
Mi ha raccontato che immediatamente dopo la forte scossa l’aria era
irrespirabile perché la chiesa era crollata provocando un denso fumo e tanta
polvere.
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Alcuni giorni dopo è arrivato dal Venezuela uno zio perché non era
riuscito ad avere notizie e temeva che i suoi cari fossero morti.
A causa dei danni non si poteva dormire in casa; così si cercava una
sistemazione nelle macchine, nelle tende e nelle roulottes. La notte faceva paura
ma ci si faceva coraggio stando insieme.
Per un mese intero la mia mamma è stata ospitata con altri bambini in una
bella località della Sardegna: ricorda ancora le persone e i luoghi che ha
conosciuto.
Il mio papà invece si è trasferito per un periodo a Lignano, insieme a
tante, tantissime persone.
Sono stati accolti in case confortevoli, ma tutti desideravano ritornare a
casa al più presto.
Infatti sono tornati a Gemona quando i prefabbricati erano pronti.
Rinascere dalla paura
La mamma ricorda quanta paura ha avuto subito dopo il terremoto, poi si
è resa conto che tutti accanto a lei provavano lo stesso terrore. Ma è stato
proprio questo a farli unire tutti e a darsi una mano. E questo non solo con le
parole d’affetto ma anche con fatti come ad esempio costruire una baracca di
nylon per trovare riparo la prima notte, portare le coperte o vestiti a chi non
aveva più niente.
Fare il pranzo con le nostre padelle per tutti.
La mamma ricorda anche che gli austriaci, durante un violento temporale
due giorni dopo il 6 maggio, erano sul tetto della casa del nonno a mettere il
nylon e che gli alpini di Brescia hanno poi rimesso a posto tutte le tegole.
L’aiuto prezioso della Protezione Civile
La signora Franca mi racconta…
Per la signora Franca e suo marito furono molto importanti due persone
della Protezione Civile. I loro nomi erano Mara e Silvana.
Esse fecero di tutto per sostenere e confortare i signori Sabidussi per la
perdita di alcune persone a loro molto care.
Sotto le macerie, infatti, restarono i corpi dei suoceri e della cognata della
signora Franca.
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Nonostante le attenzioni ricevute da moltissime persone, nel cuore
distrutto e triste dei Gemonesi sono rimaste la disperazione e la paura di
riprovare l’orrore del terremoto e di non riuscire a superare quella catastrofe, che
rimarrà sempre nei loro ricordi.
Le tendopoli: un piccolo paese
Il mio papà racconta…
Dopo il terremoto del 1976 tanta gente dei vari paesi è venuta ad aiutare.
Papà racconta che i militari sono venuti a scavare, a portare via le macerie e a
costruire le tendopoli.
Ricorda che nelle tendopoli i ragazzi e i bambini facevano dei giochi
mentre i grandi facevano altre cose. Nelle tendopoli c’era tanta gente ed erano
come un piccolo paese. Nelle tendopoli si mangiava, si beveva e anche si
dormiva come in una casa.
C’era molto lavoro perché le case erano crollate e con la ruspa toglievano
le macerie. Hanno costruito delle case perché la gente non poteva dormire
dentro le tende: presto sarebbe venuto l’inverno.
Alcuni bambini di Gemona, come la mia mamma, sono andati in quel
periodo nelle colonie a Lignano come la mamma. Il papà, invece, è andato ad
Ischia nella famiglia che adesso è nostra amica.
Non dimentichiamo l’aiuto ricevuto!
La nonna mi racconta…
La nonna mi racconta che dopo la tragedia del terremoto tantissima gente
ci ha aiutato in tanti modi.
Prima ci hanno aiutato montando le tende per poterci riparare dalle
intemperie, poi c’è stata la grande solidarietà e noi non lo dimenticheremo mai.
Il 15 settembre il terremoto tornò molto, molto forte, così decidemmo di
lasciare Gemona e di trasferirci a Lignano. Finito l’inverno tornammo a
Gemona, non in tenda ma nei nuovi prefabbricati. Erano delle casette
provvisorie, e siamo rimasti lì finché la nostra vera casa non fu terminata.
Pochi giorni fa c’è stato un forte terremoto in Pakistan che è molto
lontano, speriamo che anche loro abbiano tanta solidarietà come l’abbiamo
avuta noi.
I primi però dobbiamo essere noi a darla, perché noi sappiamo che senza
aiuti è molto difficile.
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Il mio papà racconta…
Nel 1976 la tragedia del terremoto ha messo in piedi la più grande
solidarietà italiana ed estera.
Le prime persone che sono venute in nostro aiuto venivano da Lodi,
Milano, Mogliano Veneto. Ci hanno dato tanto conforto; ad aiutarci sono
arrivati anche i tedeschi di Colonia. Con un funzionario della loro polizia
avevamo instaurato un buon legame, per un po’ di tempo ci siamo tenuti in
contatto, poi non li abbiamo più sentiti.
Grazie a questi aiuti siamo riusciti a rinascere e siamo grati a quelli che ci
hanno aiutato.
La vita normale sembrava non tornare
Il papà racconta…
Nei giorni del terremoto mi sentivo triste e spaventato.
Il terremoto è arrivato quando ero in pigiama e stavo per coricarmi.
Alla prima scossa i miei genitori mi hanno chiamato e mi hanno portato
fuori dalla casa che per fortuna è rimasta in piedi.
I giorni seguenti ho vissuto con i miei genitori e altre persone accampato
in tenda perché le case erano per la maggior parte distrutte o poco sicure.
La terra ha continuato a tremare con scosse piccole e grandi che facevano
preoccupare i miei genitori perché sembrava che la vita normale non potesse mai
più ricominciare.
Nella mia famiglia non ho perso nessuno, siamo stati fortunati!
Nei giorni successivi al terremoto e per molto tempo dopo abbiamo
ricevuto molti aiuti.
A casa mia sono arrivati degli alpini di Bergamo e dei volontari di Genova
che ci hanno aiutato a riparare i danni che aveva subito la casa e ci hanno
incoraggiati ad affrontare quel brutto momento.
Siamo stati fortunati…
La mamma racconta…
Dopo il sei maggio come tutti siamo stati aiutati in tante cose.
Noi fortunatamente in famiglia non abbiamo avuto morti o le case
distrutte dal terremoto.
Abbiamo potuto far fronte alle prime esigenze da soli, il nonno ha dato
una mano a quelle famiglie vicine che avevano bisogno. Abbiamo fatto amicizia
con delle persone che facevano parte del volontariato di Brescia, erano
accampati nella borgata di Taboga.
Ci hanno ospitati a casa loro dopo la scossa di settembre, nel frattempo il
nonno e la nonna preparavano nel garage la cucina, la camera per andare ad
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abitare perché la casa non era più agibile. Ancora oggi ogni tanto ci sentiamo al
telefono con la famiglia che ci ha ospitati a Brescia.
Gli aiuti dall’Italia e dall’estero
Il papà mi racconta…
Dopo il terremoto molti italiani e stranieri, vedendo quel disastro, hanno
deciso di aiutare i friulani. Anche se i miei genitori erano ragazzini ricordano
quanta solidarietà c’è stata.
Papà è stato ospitato per molti mesi a Bolzano dai suoi zii, fino a quando
non è tornato insieme alla sua famiglia a Lignano in attesa che fossero pronti i
prefabbricati.
Alcune persone hanno raccolto vestiti, scarpe, cibo, coperte, tende e soldi
per i terremotati friulani.
Tanti, vedendo che c’era bisogno del loro aiuto, sono venuti a lavorare per
aiutare le persone sepolte sotto le macerie, per salvare oggetti dalle case cadute,
per curare i feriti e per ricostruire le case.
Noi conosciamo una persona che era venuta ad aiutare ai tempi del
terremoto e poi è rimasta a vivere qui.
Quando capitano dei terremoti in altri posti dobbiamo ricordare quanto è
stato fatto per noi e cercare di aiutare quelle persone.
Mia mamma era tra i volontari
All’epoca del terremoto mia mamma, che abitava a Monfalcone, non subì
danni di nessun genere, però si rese conto che quel che era successo in Friuli era
una grande tragedia. Decise di unirsi ad un gruppo di persone volonterose e di
andare in quei paesi distrutti, per vedere se poteva essere d’aiuto a chi aveva
perso tutto e viveva nella paura.
Arrivata a Gemona, trovò molte persone disperate per la perdita dei loro
cari che però mantenevano la dignità, il coraggio e la voglia di rimboccarsi le
maniche per ricostruire ciò che in un minuto il terremoto aveva loro portato via.
Nel suo piccolo mia mamma cercò di rendersi utile distribuendo i pasti
caldi alle persone che occupavano le tendopoli costruite per le popolazioni e
scambiando con loro parole di incoraggiamento.
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Tutti uguali
Un signore mi racconta…
Già a poche ore dal terremoto sono arrivati i primi aiuti.
Per primi sono giunti gli aiuti sanitari, con medici e infermieri, che si sono
presi cura dei feriti e hanno organizzato gli ospedali da campo.
Nei primi tempi si sono occupati di estrarre morti e feriti da sotto le
macerie.
Poi i militari e la protezione civile hanno costruito delle tendopoli per
ospitare i senzatetto.
I militari arrivavano con i pasti caldi, portati in grandi pentole, che poi
distribuivano alle persone.
Non c’era da bere né da mangiare; mancavano coperte, vestiti, scarpe e le
medicine. Hanno provveduto a tutto. Spesse volte hanno dovuto consolare e
asciugare le lacrime di madri, padri, nonni e sorelle per la perdita dei loro cari,
incoraggiare le persone e i bambini perché la paura era durata a lungo. Per molti
mesi la terra ha continuato a tremare e la gente era terrorizzata.
Anche i Paesi europei nostri vicini hanno mandato i loro aiuti. I Tedeschi
e gli Austriaci hanno portato e costruito le baracche che poi sono diventate le
nostre case per molti anni.
Nonostante la paura e la disperazione si era creata una grande solidarietà
fra la gente. Non c’erano più differenze, tutti avevano perso tutto o quasi,
persone care, parenti, amici, case e cose.
Tutti avevano bisogno di tutto, non c’erano più i ricchi e i poveri, eravamo
tutti uguali.
Non abbiamo mai dimenticato quei giovani di Bergamo
La mamma racconta…
Quando venne il terremoto avevo nove anni.
Di quei momenti, se pur dolorosi, nei miei ricordi rimane solo la paura per
quelle scosse che, una dopo l’altra, hanno distrutto Gemona causando molti
morti.
Io sono stata una persona fortunata perché non ho perso nessun caro.
Un po’ per questo e molto per le persone che ho conosciuto durante quel
periodo, nonostante tutto, ho un buon ricordo.
Rammento la solidarietà sia delle persone esterne sia quella tra noi
terremotati, chi aveva qualcosa in più lo divideva con chi non aveva niente…..
Il terremoto del 1976 ha distrutto Gemona e causato circa 400 morti in
questa piccola cittadina.
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Dopo la tremenda scossa distruttrice, la paura e la disperazione dei giorni
successivi, sono arrivati i primi soccorsi e con loro tantissimi volontari, gente
disposta ad aiutarci e sostenerci.
Tanti giovani volonterosi sono arrivati da ogni parte dell’Italia.
Dai nonni, che hanno avuto la casa distrutta, per primo è arrivato un
gruppo di giovani e meno giovani, provenienti dalla provincia di Bergamo che
con la loro spontaneità e vivacità hanno alleviato tanti dolori e disagi causati da
questa tragedia.
Successivamente un piccolo gruppo di ragazzi provenienti da Gorizia ha
completato l’aiuto iniziato.
Le scosse di settembre hanno vanificato tutto il lavoro svolto.
I nonni sono stati fortunati perché non hanno avuto vittime tra i loro cari.
Per diversi anni la nonna ha mantenuto una corrispondenza con questi
giovani ormai diventati adulti e da noi mai dimenticati e ringraziati abbastanza
per il prezioso aiuto morale e materiale che hanno saputo donarci in un
momento tanto drammatico della nostra vita.
Ho visto crollare la scuola…
La mamma mi ha raccontato che la sera del 6 maggio 1976 lei stava
rincasando quando la terra tremò; i miei nonni erano in casa.
Quella sera fortunatamente la casa rimase in piedi, ma la mamma mi ha
raccontato che ha visto crollare la scuola elementare e il bar “Da Blanc”.
Graziella, l’amica della nonna, ha voluto che mia mamma e i miei nonni
andassero a riposare nel giardino di casa sua dentro la macchina.
Lì sono rimasti alcuni giorni, poi sono andati nella tendopoli del
polisportivo, dove avevano l’aiuto dei militari.
La mamma, però, ci è rimasta poco perché suo zio Nando ha voluto
portarla in Lussemburgo, lì è rimasta circa tre mesi, tutti le volevano bene, gli zii
l’hanno tenuta meglio di una figlia!
Al ritorno a Gemona, è andata a Lignano con i nonni come tutti i
Gemonesi.
Sono stati ospiti della famiglia Scudiero i quali hanno dimostrato loro
tanto affetto, ancora oggi sono rimasti amici e quando possiamo ci incontriamo,
altrimenti ci sentiamo per telefono e i grandi ricordano sempre quei mesi passati
assieme.
La mamma e la nonna non dimenticheranno mai quel periodo trascorso a
Lignano.
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La tenda pakistana
Il papà mi ha raccontato che subito dopo il terremoto si è trasferito in
Taboga; lì degli amici di famiglia hanno accolto lui e i suoi familiari nelle tende
che avevano montato nel campo.
Dopo una settimana un certo don Ferdinando di Milano cominciò a
chiamare tutti i bambini per costruire una tenda nel campo di Taboga.
Era una tenda pachistana, rotonda, con al centro un tubo di stufa per
tenerla su.
Lì si ritrovavano tutti i bambini per pregare e giocare.
La tenda diventava sempre più grande; ogni settimana arrivavano ragazzi
da Milano per fare animazione.
Venne fatto un campo anche in Piovega, lì dove ora c’è il Centro affari, si
trovavano tutti i bambini per giocare con i volontari di Milano.
A Taboga c’erano anche i pompieri della Liguria, che offrivano a pranzo
squisite pastasciutte.
A settembre con le nuove scosse tutti vennero trasferiti a Lignano.
C’erano ragazzi provenienti sempre da Milano ma anche da Torino che
insegnavano a cantare con le preghiere, a fare animazione, a vivere in comunità.
Nel 1978 mio papà con i suoi amici e i ragazzi di Torino iniziò ad aiutare
per costruire la casa di Osais.
I ragazzi di Milano e di Torino hanno aiutato molto i bambini di Gemona
a crescere. In un momento di tristezza hanno portato tanta gioia e speranza.
… trovammo alloggio nei vagoni ferroviari
Quando il terremoto del 6 maggio 1976 distrusse Gemona il mio papà
aveva nove anni e la mamma ne aveva quattro.
La mamma non ha ricordi del terremoto, invece il papà mi ha raccontato
che già l’indomani del terremoto la gente era particolarmente unita nel cercare i
dispersi, nel portare aiuto ai feriti e nel costruire gli alloggi di fortuna per poter
superare le notti successive al sisma.
Nei giorni successivi arrivarono in aiuto i militari dell’esercito,
costruendo numerose tende che sono servite poi da alloggio provvisorio a
tantissime persone per vari mesi.
L’esercito provvedeva anche a rifornire di viveri e indumenti i terremotati.
Un grande aiuto è venuto dalla vicina Austria, dalla quale giunsero numerosi
volontari che costruirono parecchie casette in legno.
Il mio papà, nelle prime notti, dopo il sisma, ha dormito in alcuni letti a
castello forniti dall’esercito, coperti con un nylon. Poco dopo il nonno con alcuni
amici ha montato vicino a casa un box di lamiera nel quale dormivano dieci o
quindici persone, tra cui mio papà.
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La maggior parte delle case era seriamente danneggiata o addirittura
crollata, quindi, considerando che la terra tremava con frequenti scosse di
assestamento, non era assolutamente il caso di andarvi a dormire.
Nei mesi successivi le ferrovie fornirono alcuni vecchi carri ferroviari nei
quali molte famiglie, tra cui anche quella di mio papà, trovarono un confortevole
alloggio. Nel frattempo le case recuperabili venivano rinforzate, quelle molto
danneggiate venivano demolite per poi essere ricostruite.
Ciò avveniva anche grazie all’aiuto dei tantissimi volontari che per mesi
aiutarono le numerose famiglie e persone in difficoltà, lasciando in queste un
ricordo indelebile nella loro memoria.
La scuola del Giago
La mamma e il papà raccontano:
Quando venne il terremoto avevo solo nove anni.
Di quei momenti, se pur dolorosi nei miei ricordi, rimane solo la paura per
quelle scosse che, una dopo l’altra, hanno distrutto Gemona causando tanti
morti.
Io sono stata una persona fortunata perché non ho perso nessuno dei miei
cari.
Un po’ per questo e molto per le persone che ho conosciuto durante quel
periodo, nonostante tutto, ho un buon ricordo del dopo.
Ricordo la solidarietà sia delle persone esterne, sia quella tra noi
terremotati: chi aveva qualcosa di più lo divideva con chi non aveva niente.
I primi a venire in nostro aiuto sono stati i soldati, fornendoci la cucina da
campo e le tende.
Dopo un mese si rese necessario creare uno spazio abbastanza grande da
poter accogliere i ragazzi e bambini durante la giornata, in maniera che i genitori
e parenti potessero andare a lavorare certi di averli lasciati in un posto sicuro.
Questo luogo fu individuato presso il lago Minisini in un terreno detto “là
dal Giago”.
Lì furono installate due grandi tende e costruita una baracca in legno
adibita a mensa; inoltre io ci andai a vivere con mamma e papà insieme alla
famiglia che si occupava di quel terreno, poiché alla mamma fu chiesto di
occuparsi della mensa e di notte avremmo potuto sorvegliare il posto.
Oltre ai maestri e maestre di Ospedaletto, Mara, Armando, Enrico,
Annamaria e Annalisa, ringrazio la signora Gabriella, don Vittorio con le
signore Laura e Marina, provenienti da Vicenza, per le belle giornate che si
svolgevano in questo luogo, con la mattinata dedita ad attività scolastiche e di
manualità come il traforo, maglia, collage… e il pomeriggio dedicato a giochi
vari come la caccia al tesoro e tanti altri.
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Queste piacevoli giornate, accompagnate anche da momenti di preghiera e
di canto al suono delle chitarre, si sono protratte per tutta l’estate fino all’esodo
a Lignano Sabbiadoro, dopo le scosse di settembre.
Un brutto sogno che non finiva mai
Avevo dieci anni quando ci fu il terremoto e i giorni successivi al 6
maggio furono come un brutto sogno che non finiva mai!
Ho avuto la grazia che nessun familiare facesse parte della trentina di
persone che in Godo, quella sera, persero la vita.
Quella prima notte, come altre dopo, la trascorsi in un’auto messa a
disposizione da una famiglia vicina. Già si notavano una forte solidarietà e
disponibilità delle famiglie a mettere in comune tutto ciò che si era recuperato
dalle macerie: medicinali e alcolici per disinfettare le ferite, vestiti, torce,
casalinghi nonché automobili.
Le ferite riportate da mia mamma, da papà e dal nonno necessitavano di
un ricovero ospedaliero e per non restare solo con la nonna fui ospitato per più
di un mese in casa di parenti a Sant’Ilario d’Enza (Reggio Emilia).
Più il tempo passava più sentivo la necessità di rivedere i miei e appena fu
possibile ritornai a Gemona. Intanto erano giunti gli aiuti: volontari, medici,
scouts ed esercito.
Tutt’oggi la borgata di Godo è gemellata con gli alpini di Santena
(Torino).
Poi ecco arrivare le cucine da campo, i distributori di sacchetti d’acqua, le
tende e le roulottes.
Fino a settembre trascorsi le notti in roulotte con mamma e papà mentre i
nonni dormivano in una tenda accanto.
Si mangiava assieme ad altre persone, circa una quindicina, al piano terra
di una casa grezza, perché ancora da completare, risparmiata dal sisma e
appartenente ad un nostro parente.
Le scosse di settembre portarono ancora distruzione e sconforto e con
l’inverno che si stava avvicinando arrivò l’esodo nelle località balneari.
Fu un altro momento duro da superare: l’abbandono della propria terra.
Ma ciò ci aiutò a vivere meglio i giorni invernali e al sicuro da una terra che
continuava a tremare. Con i miei familiari trascorsi diversi mesi a Lignano
Sabbiadoro dove iniziai a frequentare la prima media con le lezioni che si
tenevano al pomeriggio.
Mio papà, con il nonno, spesso tornavano a Gemona per vedere com’era
la situazione.
In primavera l’atteso rientro a Gemona in un prefabbricato e la
continuazione dell’anno scolastico nella provvisoria sede della scuola di Via
Osoppo.
Nell’agosto del 1984 entrai nella nuova casa e fu una forte emozione.
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Gemona mostrava col tempo un volto nuovo segno di tanta solidarietà ed
impegno di un popolo protagonista indiscusso di una pronta ricrescita materiale
e morale.
La solidarietà: l’unico ricordo positivo
Dopo il terremoto abbiamo avuto molta solidarietà da parte di tante
popolazioni anche straniere come americani e tedeschi.
Mia mamma si ricorda che ad Osoppo c’erano molti volontari e militari
stranieri e alpini italiani.
Ci aiutarono a fare molte cose, come portar via le macerie delle case
distrutte con le ruspe, ritrovare le persone ferite o morte, costruire le tende e poi
le baracche; facevano da mangiare per tutti e facevano giocare i bambini, così i
genitori potevano occuparsi delle cose più importanti, ricostruire le proprie case
e le fabbriche per poter tornare a lavorare.
La solidarietà di tante persone è stata l’unica cosa piacevole di quel brutto
periodo che ha portato solo morte e distruzione.
Eravamo in tanti e tutti uniti
La mamma racconta…
Dell’epoca del terremoto, avendo avuto soltanto tre anni, ho vaghi ricordi.
Nella mia mente comunque rimangono vivi i racconti fatti dai miei
genitori e parenti che mi hanno ospitata a Lignano per un breve periodo.
Una volta rientrata a Gemona sono andata ad abitare con la nonna e lo zio
in due box di lamiera: uno adibito a cucina, l’altro a camera.
Siamo rimasti lì fino all’arrivo dei prefabbricati nei quali abbiamo vissuto
fino al 1980.
Questo periodo è stato per me, nonostante tutto, sereno e armonioso
perché eravamo in tanti e molto uniti.
Ogni anno i volontari tornano a trovarci
Il papà racconta…
Subito dopo il terremoto, lui e la sua famiglia, si erano sistemati come
meglio potevano improvvisando una tenda con dei teli per coprire il fieno, dove
poi hanno dormito per alcuni giorni.
Poi sono arrivati i primi soccorsi. Nella borgata di Maniaglia in cui abito
sono arrivati per primi i soldati e i medici austriaci che hanno dato il loro aiuto.
In quel periodo del dopo terremoto tutta la gente delle diverse frazioni di
Gemona si dava una mano, l’uno con l’altro, per poter recuperare più cose
possibili dalle case ormai distrutte.
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I militari italiani hanno costruito delle tendopoli dove la famiglia di mio
papà ha vissuto per un periodo.
Una squadra di volontari di Vicenza aveva costruito un acquedotto per
portare l’acqua alle tendopoli.
Ogni anno nella frazione ritornano quei volontari a fare festa assieme a
tutta la gente della borgata per ricordare i momenti difficili passati assieme.
Il terribile esodo
Il papà racconta…
L’esperienza dei giorni e dei mesi successivi al terremoto è stata molto
particolare. Il terremoto, a parte i danni alla casa, non ha provocato lutti nella
mia famiglia.
Per questo motivo non ho ricordi particolarmente dolorosi.
Anzi, forse anche per l’età di allora (16 anni) che rendeva i momenti
meno difficili di quello che erano in realtà, i ricordi sono soprattutto positivi,
legati alla presenza delle numerose persone accorse per aiutarci, ai periodi,
anche piacevoli, trascorsi nelle tendopoli dov’era quasi palpabile il senso di
solidarietà tra la gente. Tra noi ragazzi c’erano allegria e spensieratezza
nonostante la situazione difficile.
Il momento di maggiore sconforto è stato, per la mia esperienza, dopo il
terremoto del 15 settembre, quando è stato necessario lasciare il paese per
andare a Lignano. In quel momento, soprattutto sui volti degli adulti, si leggeva
l’impotenza e lo sconforto di fronte ad una situazione che appariva senza
rimedio.
Poi l’aiuto delle tante persone venute anche da fuori regione (ricordo i
cantieri delle estati successive composti da moltissimi volontari ex alpini) unito
alla tenace volontà di ripresa degli abitanti, ha permesso la ricostruzione dei
paesi, a testimonianza che la forza di volontà, la solidarietà e l’unione riescono a
superare qualsiasi ostacolo.
Impossibile dimenticare
Un’amica mi racconta…
Molte esperienze ci fanno capire i nostri errori, ma un’esperienza molto
grande ha travolto i cittadini friulani. Fortunatamente noi non l’abbiamo vissuta
al contrario dei nostri genitori e nonni….
Nel loro cuore tuttora ci sono ancora i loro amici e parenti sepolti sotto le
macerie.
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Il 6 maggio 1976, una giornata come le altre, prima un forte rumore poi il
tremare della terra. Il panico in quel momento era sovrano. Ancora oggi quei
momenti vengono in mente a chi li ha vissuti.
Alcune case non sono state ricostruite ed esperienze terribili sono ancora
nel profondo dei nostri cuori.
Non dimentichiamo i vari sacrifici che si dovettero fare per ricostruire
case e scuole distrutte. I bambini in quel periodo fecero scuola per alcuni anni
nei prefabbricati.
Prima di ricominciare la vita “normale” ci sono voluti cinque anni. Si è
ricostruito tutto, ma non si riuscirà mai a dimenticare questo triste evento.
Subito aiutàti
Il sig. Polano mi racconta…
L’aiuto fu immediato, generoso e pervenne da tutto il mondo. Si
mobilitarono l’esercito, le forze dell’ordine e i vigili del fuoco, le associazioni
nazionali degli alpini e migliaia di volontari provenienti dall’Italia e dall’estero.
Dopo la replica sismica del settembre ’76, le popolazioni dell’area
terremotata furono trasferite a Lignano e a Bibione.
La nostra gente così poté passare l’inverno in condizioni dignitose e il
rientro avvenne nel marzo/aprile 1977 nelle baraccopoli che nel frattempo erano
state costruite.
Negli anni a seguire con interventi pubblici e privati iniziò la
ricostruzione.
La famiglia unita nonostante tutto
I miei genitori mi raccontano…
All’epoca noi eravamo molti piccoli e a cinque anni è difficile ricordare
l’esperienza del dopo terremoto.
Per il papà è stato più facile perché, a parte i vari trasferimenti e
cambiamenti di residenza, tutto si è svolto felicemente.
Lui viveva a Pontebba e nella sua casa, gravemente danneggiata, non è
mai più rientrato. Dopo un periodo in tenda e nella casa dei nonni, a settembre è
sfollato a Grado con la mamma e suo fratello mentre il loro papà era rimasto a
Pontebba.
A Grado ha frequentato l’asilo con la stessa maestra e i compagni che
aveva a Pontebba.
A marzo 1977 ha lasciato Grado ed è venuto ad abitare a Gemona perché
suo papà, per lavoro, era stato trasferito qui. Quando è arrivato, a Gemona vi
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erano solo cumuli di macerie, poi, pian piano, le case venivano ricostruite e la
gente lasciava i prefabbricati per rientrare nelle nuove abitazioni.
Dopo aver vissuto per tre anni nei prefabbricati in via Savalons, anche lui
è andato a vivere in una casa.
Per la mamma, invece, dopo la terribile tragedia (sono morte la sua
mamma e la nonna paterna) l’esperienza del dopo terremoto è stata molto più
traumatica e dolorosa.
Questa grave perdita ha causato lo smembramento della famiglia che solo
in un lontano futuro avrebbe potuto ricongiungersi. In questo frangente l’aiuto di
diverse persone e parenti è stato fondamentale. Il papà e un fratellino erano feriti
ed erano ricoverati in ospedale a Udine e persone volontarie li accudivano.
Gli altri fratellini della mamma erano affidati a parenti e sono vissuti in
tenda per circa una settimana.
In seguito alcune famiglie di Belluno si erano offerte di ospitarli: la loro
generosità si è dimostrata fondamentale, mentre papà faceva il pendolare fra
Gemona e Belluno pensando già alla futura ricostruzione della propria casa.
A settembre c’è stato un ricongiungimento a Gemona, ma la tremenda
scossa li ha riportati tutti a Belluno dove sono rimasti un anno intero.
In seguito ogni fratellino è stato affidato a parenti, non essendo in grado il
papà, da solo, di accudire quattro bambini piccoli. Purtroppo questa situazione
ha un po’ rovinato l’unione familiare e sono stati anni difficili da superare.
La mamma, dopo Belluno, ha vissuto fino al 1981 in un container, poi
nella casa ricostruita dagli zii.
Il suo papà è stato uno dei primi a ricostruire la casa, desiderando riunire
la propria famiglia, ma i parenti gli hanno fatto capire che questo compito
sarebbe stato troppo gravoso e difficile.
Quando finalmente i bambini sono cresciuti, hanno potuto ricongiungersi
con il papà, formando di nuovo la famiglia che il terremoto, tanti anni prima,
aveva diviso.
La mamma in tutto questo periodo ha mantenuto i contatti con le famiglie
venete instaurando un rapporto di stima e di amicizia.
Persone buone e generose
La signora Lucia racconta…
La mia esperienza del dopo terremoto è stata ricca di avvenimenti
favorevoli e gratificanti per moltissime cose: per esempio un miglioramento del
lavoro, poi la grandissima fortuna di aver conosciuto delle persone molto buone
e generose che mi hanno dato ospitalità a casa loro. Ho così potuto evitare di
andare a Lignano come moltissime altre famiglie.
Nonostante questo, ogni giorno pensavo a tutte le famiglie che avevano
perso i loro cari e piangevano per loro.
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Eravamo pendolari
Siccome il papà non è di Gemona, mi sono fatto raccontare dalla mamma
tutto quello che si ricorda dell’esperienza del dopo terremoto e mi ha raccontato
così.
La notte del terremoto del 6 maggio 1976 l’abbiamo trascorsa in strada
assieme ad altre famiglie. Eravamo molto preoccupati per mio papà, cioè tuo
nonno, perché fino al mattino non l’abbiamo visto arrivare. Lavorava alla Pittini,
a Rivoli di Osoppo, e solo il capannone dove lavorava lui è rimasto in piedi, gli
altri sono stati distrutti, quindi si è salvato per miracolo.
Ha impiegato tanto tanto tempo per arrivare a casa, perché le strade erano
tutte bloccate dai muri crollati che le fiancheggiavano.
Al mattino ci siamo ricongiunti e così come eravamo vestiti, in macchina,
ci siamo diretti a San Vito al Tagliamento, paese d’origine di tuo nonno.
Lì c’erano i parenti che ci avrebbero aiutato, perché la tua bisnonna era
inferma e aveva le gambe tutte rovinate dal kerosene uscito dalla stufa durante la
scossa più grande che l’aveva fatta cadere a terra.
Appena arrivati a San Vito al Tagliamento mi ricordo che tutti ci
guardavano in modo strano, però avevano capito dalla targa della macchina che
arrivavamo dai luoghi del disastro. Anche loro avevano sentito il terremoto in
modo più leggero e avevano visto le notizie in televisione, quindi sono stati
molto solidali con noi perché ci offrirono il loro aiuto.
Nei mesi successivi ci siamo sistemati a San Vito perché la tua bisnonna
era stata ricoverata per lungo tempo in ospedale, mentre noi venivamo sempre a
Gemona per recuperare qualcosa dalla casa che non era caduta, ma era molto
rovinata.
Quando venivamo, incontravamo sempre molti volontari della protezione
civile, ad esempio alcuni di Verona e tanti alpini che ci hanno aiutato a portare
via i mobili e tutto quello che si riusciva. Mi ricordo che una volta un camion di
alpini è venuto a portare le nostre cose fino a San Vito: non finivamo mai di
ringraziarli.
Alcune volte quando siamo tornati a Gemona, siamo andati a trovare tanti
amici che si erano sistemati nelle tendopoli, ad esempio dove ora ci sono le case
popolari del Tei.
Dopo la scossa di settembre, tanti sono andati a Lignano e noi siamo
rimasti a San Vito.
Siccome la fabbrica di Pittini aveva ripreso a lavorare, mio padre, cioè tuo
nonno, ha costruito nel terreno dove avevamo l’orto un box di lamiera, tutto
rivestito all’interno, per ripararsi dal freddo. Lì è rimasto tutto l’inverno e la
primavera.
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Veniva a San Vito il sabato, poi la domenica tornava su per andare a
lavorare.
Finché vicino al box gli jugoslavi ci hanno sistemato la Krivaja, uno dei
tanti tipi di prefabbricati donati al nostro paese, che ci hanno permesso di vivere
bene mentre costruivamo la casa.
Quel periodo è stato bello perché un po’ alla volta rientravano tutti a
Gemona che, piano piano, rinasceva.
Le scuole sono state riaperte nei prefabbricati e la gente unita si
impegnava affinché tutto tornasse come prima.
Ci sono voluti un po’ di anni, però grazie all’aiuto di tante persone, che
resteranno sempre nei nostri cuori, siamo riusciti a vincere la paura e quindi a
risollevarci, mantenendo vivo il ricordo delle persone care che, purtroppo, non
sono più qui con noi.
Gemona 1976: l’esperienza di un volontario
Mia moglie si chiama Grazia e il mio bambino Carlo. Nel 1976 Carlo
aveva due anni.
Grazia ed io eravamo una coppia di “sbarbati”: ci eravamo sposati tre anni
prima, molto giovani, ma certi che la strada da percorrere fosse quella.
Maggio 1976. Una sera nella mia casa di Milano sentimmo uno sballottare
di muri, il lampadario cominciò a traballare: da qualche parte c’era stato il
terremoto! Penso subito: “Poveretti quelli che se lo sono beccato…”. Poi a letto.
Il giorno dopo al lavoro; un mio collega e amico friulano di Attimis mi
dice che “su” abitano ancora i genitori e le sorelle ma che, fortunatamente, non
hanno avuto problemi. Tutto sembra finito, almeno per me.
Alla TV e sui giornali è la solita storia “poveretti di qua, poveretti di là”,
per me sembra proprio finita qui.
In fondo al cuore mi resta però un groppo che non mi lascia tranquillo,
anche perché dagli amici più vicini al mio movimento (CL) è arrivata la
richiesta di aiuto di volontari con partenza immediata. Grazia ed io ne parliamo,
ma il lavoro…, il bambino…, sembra proprio che non sia possibile. Tutto si
ferma lì, sepolto nel dimenticatoio.
Settembre 1976: un’altra scossa che non perdona. Questa nuova scossa ha
dato il colpo di grazia dopo quella di maggio, ha dato il colpo di grazia alla casa
dei genitori del mio collega di Attimis e ha dato il colpo di grazia alla mia
coscienza!
Ne parlo in casa , mia moglie mi conforta e mi approva; ne parlo con gli
amici e in tre decidiamo di partire, anche in seguito alle nuove richieste di
volontari adulti.
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Pino, 36 anni, quattro figli, fabbro carpentiere esperto, Luigi, 34 anni e
due figli, capo reparto di officina meccanica, io, 25 anni, chimico in una
azienda cosmetica, mi faccio riempire l’auto di saponette, talco e bagno schiuma
dalla mia azienda, chiedo un periodo di aspettativa dal lavoro, concesso. Si parte
con la mia 127 Fiat: destinazione Gemona, campo Taboga (giù sotto), è il centro
di smistamento cui siamo destinati.
Prima di presentarci, abbiamo fatto un breve giro per Gemona, per tentare
di farci un’idea di cosa fosse successo: la situazione era tragica da un lato e
strana dall’altro. C’erano strade con le case sulla destra crollate o gravemente
danneggiate, mentre le case sulla sinistra apparentemente intatte o con piccoli
danni. Il terremoto, come una lama, aveva tagliato in due le strade, i quartieri, la
città, distruggendo un lato e risparmiando l’altro.
Tutta la gente, però, di un lato e dell’altro, era per strada: quel minuto
interminabile deve essere stato di puro terrore. Guardandosi in giro si notava un
misto di paura, dolore, orgoglio, dignità e rabbia; ma anche tanta forza, fede, e
volontà di reagire. Dovevamo buttarci a capofitto in quel luogo e con quelle
persone.
La sensazione che non c’era tempo da perdere si toccava con mano: entro
sera, il Pino era a costruire capannoni in materiale zincato in zona Maniaglia (si
chiama così?); il Luigi era stato messo a gestire il magazzino viveri a Taboga ed
io sono stato smistato ad un campo periferico (loc. Campagnola) a disposizione
del capo - campo.
Alloggiavo in tenda. Il campo era composto da 25 volontari in 6 tende
militari; c’era poi la tenda di servizio, per riunirci, mangiare, scrivere, ecc.
In breve riassumo quel che mi è stato chiesto di fare nei 2 mesi in cui sono
stato là:
- in zona Campagnola, dal giorno dopo, ho aiutato un contadino a costruire
il muro di cinta del nuovo porcile perché non sapeva dove mettere le
bestie. Un uomo burbero nel carattere, massiccio nel fisico, un colosso
nella volontà, un gigante nel cuore, che diceva solo 5 o 6 parole al giorno:
ma fatta poi l’abitudine… Era solo e mangiavamo insieme ogni giorno,
qualcosa la portavo io, qualcosa (polenta) la forniva lui. Quando finimmo
e lo salutai, vidi una lacrima nei suoi occhi: non ci avrei mai creduto;
- sempre in zona Campagnola sono stato a disposizione della gente che ci
chiamava per entrare nelle loro case a portar fuori oggetti e cose di valore
o necessarie che si trovavano all’interno, nei cassetti, sugli scaffali o
altrove. Era un lavoro rischioso ma necessario, perché la gente, per lo
spavento subìto, non si fidava ad entrare in casa, ma non se ne andava,
stava lì, come a curarla. Non finivano mai di ringraziare;
- per qualche giorno, in attesa di organizzare le vendemmie, ho portato ogni
mattina, con lo zaino in spalla, pane, formaggio e latte su per i monti
sopra Maniaglia, alla gente che era affamata perché, stando fuori dalla
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casa, non riusciva a procurarsi il cibo. Portavo da mangiare anche a coloro
che non volevano allontanarsi dalla loro casa crollata;
- sono andato a vendemmiare in 8 vigne;
- abbiamo fatto un accordo con la cantina sociale di Codroipo secondo il
quale i contadini di Gemona fornivano l’uva vendemmiata e la cantina, il
febbraio successivo, rendeva loro il 70% del peso dell’uva che avevano
consegnato, in vino. Ebbene, per venti giorni ho girato per i poderi di
Gemona e dintorni con tre camion militari che il commissario Zamberletti
ci aveva concesso, per raccogliere le uve di oltre cinquanta contadini (uve
che venivano pesate di volta in volta con rilascio di ricevuta) e per
portarle a Codroipo.
Alla sera, dopo il lavoro, spesso andavo a trovare a casa loro le persone
con cui avevo lavorato anche le settimane precedenti. Qualche volta c’erano
anche il Pino e il Luigi; ho avuto sempre una accoglienza calorosa (non solo a
causa della grappa) e affettuosa. Si parlava dell’andamento dei lavori, di quello
che ognuno aveva fatto quel giorno, di quante e che “scosse” ognuno si era
beccato, dei pericoli che si erano corsi passando di lì o entrando là. In quei
giorni la vita era quella e quelle le cose di cui si voleva parlare: erano le cose
che ognuno aveva di più caro.
Ogni sera, specialmente ad ottobre, prima di salutarci e tornare alle tende,
ci offrivano l’ultimo “tajut” di vino o di grappa per scaldarci: in Friuli, a fine
ottobre, in tenda fa parecchio freddo.
Con alcuni è iniziata una amicizia che è durata per anni; alcuni li ho
ospitati a casa a dormire quando venivano a Milano per vedere la partita di
calcio a San Siro (incredibile l’Udinese in serie A !!??).
Ho incontrato moltissima gente in questa esperienza friulana: con alcuni
ho anche pianto, con molti ho parlato, con alcuni ho anche discusso, con tutti ho
lavorato fino allo stremo delle forze.
Tutti mi hanno insegnato le stesse cose: l’amore per la vita, l’amore per la
propria terra, la dignità di accettare anche quello che non capisci, il coraggio di
cominciare di nuovo anche più di una volta, il rispetto per chi ti aiuta e l’umiltà
nell’accettare l’aiuto, la consapevolezza di non essere soli neppure nella fatica
più dura, la coscienza di essere popolo.
Ogni volta che negli anni a seguire mi è stato chiesto che cosa mi è
rimasto di questa esperienza, ho sempre risposto che ho ricevuto molto di più di
quello che ho creduto di dare.
Claudio (Milano)
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Forni Avoltri: 6 maggio 1976
Allora abitavo a Forni Avoltri con mio marito che prestava servizio nel
Soccorso Alpino della Guardia di Finanza e la piccola Margherita di due mesi e
mezzo.
Ricordo una giornata caldissima, afosa, impossibile per la stagione e per
l’altitudine del paese ed io ero molto indaffarata nei preparativi per il S.
Battesimo fissato per domenica 9 maggio.
Verso le ventuno, messa a dormire la piccola, mi ero seduta sul divano,
chiacchieravo con mio marito e lavoravo all’uncinetto la cuffietta per il
Battesimo, sperando di ultimarla in tempo.
E all’improvviso un boato, una scossa terribile: il terremoto. Io sapevo
cos’era e quando ero bambina mio padre mi aveva insegnato come comportarmi.
Mi sono alzata di scatto dicendo: “A vuei a toli la frute, sal suceit alc almancul a
sin insieme”, e subito dopo un boato e il buio, un lungo scotimento di muri,
mobili, finestre, stoviglie, la gabbia degli uccellini a terra, la ricerca di una pila e
un’invocazione:”Madonute, iudainus”.
Con la bimba avvolta nella coperta, siamo scesi in piazza dove si erano
raccolti gli abitanti della borgata. Nei nostri occhi c’era la paura, lo sgomento e
una constatazione ripetuta: “Dov’è successo, dev’essere crollato tutto”.
La terra continuava a sussultare sotto i nostri piedi, nessuno si muoveva, non
sapevamo ancora niente. Ad un tratto è arrivato un giovane correndo e ci ha
gridato: “Gemona e Venzone sono a terra”. Ho avvertito un tuffo al cuore, mi
veniva da piangere. Avevo negli occhi Gemona di notte, così bella, così unica,
arroccata intorno al castello. E poi, ... ricordo la notte trascorsa in un’automobile
che continuava a sobbalzare mentre Margherita dormiva beata (per la prima
volta, tutta la notte). La domenica successiva è stata battezzata in modo molto
semplice, alla sola presenza di alcuni amici, colleghi di mio marito.
Per una settimana abbiamo dormito in una tenda molto affollata ed intanto
mio marito aveva cominciato a prestare servizio prima a Gemona e poi a
Venzone. Partiva molto presto e tornava a tarda sera. Io l’aspettavo con ansia,
pregando per lui, per le persone morte e per i sopravissuti. Quello che mi
raccontava al ritorno non erano favole: era la disperazione e la rassegnazione di
chi si era salvato, ma aveva perso tutto, di chi cercava di recuperare i propri
effetti personali, gli animali rinchiusi nelle stalle e ciò che era rimasto intero nei
negozi. Mentre la vita di ogni giorno si stava lentamente e faticosamente
riorganizzando nelle tendopoli, al sicuro, lui ed i colleghi entravano nelle case
rimaste in piedi utilizzando una scala dei pompieri che spesso era anche l’unica
via di fuga in caso di scosse e scosse ne ha sentite ... tante.
Ma mi parlava anche della dignità della gente, della riconoscenza, della
voglia di ricominciare, di quel darsi da fare tipico della gente friulana e degli
aiuti, tanti. Tante persone venute da lontano per essere vicine a chi aveva perso
tutto.
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E poi ... a me piangeva il cuore ogni volta che percorrevo la statale di notte.
Dopo trent’anni, nella mia mente è ancora vivida l’immagine di Gemona che
non c’era più: dove prima brillavano mille tenui lucine, c’era il buio ... il vuoto.
Maestra Antonietta
.... 6 maggio 1976
Sono da poco passate le nove di sera, quando avverto un rimbombo venire
da lontano, un rumore sordo, poi un boato improvviso, sconosciuto.
Non riesco a rendermi conto di quello che sta avvenendo.
Forse sto assistendo alla fine del mondo?
Tutto si muove intorno a me, cado a terra, la casa comincia a
scricchiolare, ora sembra dimenarsi come un grande serpente, ora sembra alzarsi
come un' enorme onda e io con essa.
Il pavimento sotto di me sembra mancare, vengo sbattuta di qua e di là,
sono in balia di una forza invisibile.
La terra trema ……
Dopo circa un minuto tutto si ferma, torna la calma, rimango lì impietrita,
incredula, stordita in mezzo a cocci e calcinacci.
Dentro di me un grande senso d’impotenza accompagnato da una immensa
paura.
Tutto è buio, riesco ad uscire di casa, l’aria è pesante, non si riesce a
respirare, tutto il vicinato è in strada. Guardo subito verso il Glemine e il
Cjampon, sono avvolti alla base da una immensa nuvola di polvere densa e
compatta che sale verso l’alto, verso un cielo pesante di un colore rossastro.
Il chiarore della luna è offuscato da nuvole di polvere.
Il silenzio è irreale, dà una sensazione angosciante che tutto ormai è
arrivato alla fine.
La terra continua a tremare.
In cima a via dei Pioppi e poi lungo via Dante tutto è un cumulo di
macerie. Odo crolli e urla umane mentre la polvere delle case crollate continua a
salire dal Paese, la gente che si incontra cerca di ritrovare i propri familiari.
Nei giorni a seguire le lacrime, trattenute fino allora a fatica, cominciano a
cadere dando libero sfogo a tutta la tensione accumulata. C’è disperazione, ma
nello stesso tempo c’è anche gioia per ritrovarci ancora vivi.
Dopo quel giorno il Paese è in ginocchio, di esso non rimangono che un
pugno di macerie.
Un Paese che piange i suoi morti, che si è visto sbriciolare le ultime
testimonianze di un passato che ora è sepolto nella polvere di un ricordo
drammatico.
Nell’animo della gente rimane oltre al dolore la paura del domani.
Come si sarebbe superato il dolore per tanti morti?
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Come si sarebbe riusciti a riparare i danni e ricostruire tutto per poter
RICOMINCIARE A VIVERE?
Anche questo era il mio pensiero.
Dopo il terremoto, l’emergenza, le prime notti nelle auto o in posti di
fortuna, la maggior parte di noi cerca di riunirsi fra parenti ed amici ormai tutti
senza tetto. Chi può si accampa accanto alle macerie e non pensa affatto di
andarsene; aspetta che la forza brutale e nemica del terremoto cessi del tutto, per
poi ricominciare. Tutti collaborano, nessuno sta “con le mani in mano”, la voglia
di riprendere e la volontà di lavorare sono grandi!
Ricordi terribili, momenti difficili, ferite ancora aperte per chi ha perso i
suoi cari.
Giornate brutte, di ansia, di paura perché la terra continua a tremare, ma in
mezzo a tutto questo anche delle cose belle: il pronto manifestarsi della
SOLIDARIETÀ nazionale e internazionale, solidarietà degli Alpini, dei
Volontari, dei Militari, dei Vigili del fuoco, dei Soldati austriaci…. Tutti
insieme per rispondere con efficacia ai primi urgenti bisogni.
Così tutta l’estate.
Poi viene la seconda emergenza, un altro terremoto, devastante……il
grande esodo, frutto della disperazione.
Chi passa l’inverno a Lignano, chi a Grado e chi non vuole lasciare la sua
terra e rimane a Gemona.
Piano, piano la RINASCITA.
Il grande spirito di sopravvivenza di noi friulani di fronte a una tragedia
immane, il nostro attaccamento alla “terra e alla casa”, la forza di ricostruire
mattone su mattone la nostra casa, e casa dopo casa il nostro Paese, e Paese
dopo Paese il nostro Friuli ci ha portati a una tenace rinascita di questa terra e
ora possiamo dire che, a distanza di trent’anni, il nostro Paese terremotato non lo
è più.
La ricostruzione è terminata, è una realtà che si è realizzata grazie al
grande impegno di noi friulani, alla grande voglia di futuro, alla forza morale,
alle doti di lavoro che ci hanno contraddistinto da generazioni, ma anche grazie
agli aiuti, alla solidarietà di molti e al sostegno delle Istituzioni di ogni livello,
dallo Stato, alla Regione e al Comune.
Maestra A.
Tricesimo: 6 maggio 1976
Erano le 21 circa, io e la mia famiglia dopo cena eravamo in casa ed
ognuno faceva qualche cosa.
Il mio papà era maresciallo dei carabinieri e comandava la stazione di
Tricesimo e in quel momento era in caserma per un controllo a dei documenti.
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La mia mamma era in bagno, dentro la vasca. Io allora avevo 16 anni e
frequentavo la 1^ superiore ad Udine, la mia sorellina Anna Maria era in 1^
elementare. Quella sera eravamo nella nostra cameretta, io ripassavo scienze e
lei leggeva un libro. Ad un certo punto abbiamo sentito un forte boato con delle
scosse fortissime, noi “sardi” non capivamo quello che stava succedendo. La
scossa sembrava interminabile, mia sorella ha iniziato ad urlare e anche mia
madre.
I nostri letti si sono mossi e quello di mia sorella si è incastrato nella
porta. Purtroppo mia madre ha avuto la peggio, è stata sballottata nella vasca,
l’acqua è traboccata allagando il bagno, la porta si è bloccata, lei ha sentito dei
forti dolori al braccio e alla gamba sinistri.
Mio papà è arrivato subito e ha buttato giù la porta del bagno con forti
spallate. Appena papà ha fatto uscire la mamma, siamo tutti corsi fuori dalla
casa urlando e piangendo.
Tutte le persone della via erano fuori in strada, i cani abbaiavano, si
sentivano urla e grida.
Finita o quasi la paura, mio padre ha organizzato il lavoro con gli altri
suoi carabinieri e ha iniziato a coordinare gli aiuti da dare al paese, noi siamo
rimaste fuori tutta la notte. Mio papà aveva parcheggiato la macchina lontano
dalla casa, io, la mamma e mia sorella siamo state a dormire per due o forse tre
notti nell’auto. In seguito sono state piazzate due tende militari nel giardino
della caserma: una per dormire e l’altra con materiali, macchine da scrivere,
telefoni, per la coordinazione degli aiuti in quanto Tricesimo era un paese non
tanto danneggiato, ma era il centro più vicino a Gemona che purtroppo era stata
colpita in modo tragico. Noi in famiglia abbiamo trascorso settimane di
angoscia, tristezza, piangevamo spesso anche perché il mio papà ci raccontava
quello che stava succedendo nei paesi vicini, in particolare dove avevamo dei
conoscenti e persone sarde che frequentavamo spesso. Noi non siamo andati né
a Lignano né a Grado, ma la mia mamma ci ha portato per un mese a Firenze dai
miei zii, lei è tornata a casa per non lasciare da solo mio padre che era distrutto
per il lavoro, ma in particolare a causa della perdita di alcuni suoi amici di
Gemona e di Majano.
La nostra tristezza più grande è arrivata a settembre: la nuova scossa che
ha fatto cambiare in modo radicale la nostra vita.
Mio padre ha preso la decisione di fare la domanda di trasferimento e
tornare in Sardegna, la nostra terra d’origine.
Io ero disperata, piangevo sempre perché ero grande, lasciavo tutte le mie
amicizie, la scuola, ma il mio papà non mi ha ascoltato e così il 21 novembre
siamo partiti per Bosa, una cittadina in provincia di Nuoro, a 2 km dal mare, un
posto bellissimo, ma io ho fatto una gran fatica ad ambientarmi e ho avuto anche
problemi con la scuola. Tricesimo è rimasta nel mio cuore, infatti il destino mi
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ha riportata qui nel 1993, sono tornata per le vacanze di Natale, ho rivisto il mio
compagno di classe delle elementari e pochi anni dopo ci siamo sposati.
Maestra T.
Cari bambini,
tante volte mi avete chiesto di raccontarvi la mia esperienza e io vi ho
sempre risposto che l’avrei fatto. Ecco, ora è arrivato quel momento: insieme
alle testimonianze dei vostri genitori, dei nonni e degli amici che tanto mi hanno
commosso mentre le trascrivevo, vi affido anche i miei ricordi.
Non voglio raccontarvi solo la paura e il dolore di quei giorni perché
penso che sia più importante fissare nella memoria ciò che di positivo può
insegnarci anche una terribile esperienza come quella del terremoto.
Ricordo che quel pomeriggio di trent’anni fa era esageratamente caldo per
essere il 6 maggio, una giornata che allora mi aveva fatto pensare all’estate
ormai vicina. Avevo 14 anni, frequentavo la terza media e in quel periodo
pensavo molto a quegli esami che poi non ho fatto! Dopo un pomeriggio intenso
di studio con una mia compagna di scuola, la maestra Catia, e dopo il rosario a
Sant’Antonio, momento di grande allegria per noi ragazzini, arrivò anche la
sera.
Poteva veramente essere una bella sera di primavera, quando
all’improvviso, alle nove e un minuto, la terra, come impazzita, ci ha scrollati di
dosso con violenza distruggendo le case, il paese e anche tutto un mondo fatto di
affetti, legami forti di tradizioni e di storia. Come sapete nella sola Gemona vi
furono ben 400 morti. Una parte di noi, quella terribile notte, se ne andò per
sempre. Ma il ricordo no, è vivo in tutti anche oggi dopo trent’anni.
La mia casa crollò in un attimo e attorno a me ci fu il buio.
Di quelle quarantadue ore trascorse sotto le macerie ho alcuni ricordi
lucidi e indelebili, non si può dimenticare l’essere travolti e abbracciati dalle
pietre. Ogni tanto, dal fondo del cuore, riaffiora quel senso di opprimente paura,
di impotente angoscia provato allora, ma per fortuna dura poco.
Non voglio, però, soffermarmi su questo. E’ più importante dirvi che
anche dopo un’esperienza così si può tornare a sorridere, a sperare, a vivere.
E allora facciamo un bel salto… Ed arriviamo ad una data
importantissima per me: l’8 agosto 1983. A 21 anni sono tornata a Gemona,
dopo averne trascorsi sette a Roma che a me sono sembrati lunghissimi, perché
la nostalgia per il mio paese era enorme! Credevo allora, ma oggi ne sono più
che mai convinta, che un paese significa non sentirsi soli. Camminando per le
strade della nuova Gemona mi era sembrato di sentire, di percepire qualcosa di
mio, che era rimasto ad aspettarmi! Tornare a Gemona è stata una gioia
grandissima che non dimenticherò mai! Forse un giorno, quando sarete grandi e
magari la vita vi porterà lontano da qui, capirete meglio le mie parole. È
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importante conservare le proprie radici, sentirsi uniti a qualcosa che è comune
anche ad altri, che resta sul serio ad aspettarci… è una sensazione profonda e
bella che ti permette di non sentirti mai solo! Questi sono i sentimenti provati al
mio ritorno e ve li confido con gioia, augurandovi di provare per il nostro bel
paese ciò che io provo anche oggi dopo tanti anni.
I primi tempi dopo il mio rientro sono stati veramente avventurosi ed
entusiasmanti. “Ho messo su casa”, nel vero senso della parola. Per quasi due
anni ho abitato in un prefabbricato nel villaggio di via Osoppo, in attesa che la
mia nuova casetta fosse ultimata. Accanto avevo tanti amici che mi hanno
aiutato con affetto. Con me c’era anche un bel cagnone, Max, un pastore tedesco
che le mie colleghe, maestre di Pomezia (RM), mi avevano regalato prima di
partire, ben conoscendo la mia passione per i cani, …ma di questo ne sapete
qualcosa anche voi, vero?
Certo le difficoltà non sono mancate, perché vivere da soli non sempre è
facile, però, credetemi, quando abbiamo un progetto, una meta davanti a noi
troviamo anche la forza e il coraggio per farcela.
Vi confido che anche adesso, quando mi capita di guardare Gemona da
lontano, provo una grande emozione e non posso fare a meno di ripetermi
queste parole: “Grazie, Signore, per avermi fatto tornare e soprattutto per non
avermi lasciata nella tristezza, facendomi sentire la tua presenza anche nei giorni
più duri”.
Un particolare pensiero va anche a tutte le persone che mi e ci hanno
aiutato, a tutti quelli che sono venuti in Friuli nei giorni dell’emergenza, che
sono tornati anche in seguito e a tutte quelle persone che, nonostante la
distruzione di quei giorni, ci hanno dimostrato con il loro aiuto concreto e
generoso che valeva la pena lottare per tornare a sperare in un domani migliore
qui a Gemona e in Friuli.
Oggi Gemona è un paese nuovo, bello che voi potete ammirare, che
conoscete ed amate: è il vostro paese!
Ma non sarebbe stato così se non ci fosse stato il terremoto. Ricordate le
immagini che abbiamo visto della Gemona di prima? Era molto diversa e vi
siete tanto meravigliati guardando quelle stradine acciottolate, le vecchie case di
pietra, i cortili… per voi quella Gemona è una storia lontana e forse anche il
terremoto vi è sembrato una terribile fiaba.
Auguriamoci che quanto successo non si ripeta, però non dimentichiamo
che il 6 maggio 1976 c’è stato e che è divenuto un importante spartiacque tra il
PRIMA, ciò che i nonni e i genitori vi hanno raccontato, e il DOPO, che siete
voi.
Il 6 di maj dal 1976 a je une date impuartante pa storie di Glemone e par
ducj i furlans, no steit mai a dismenteâlu!
Con affetto
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Maestra P.
Gemona, 6 maggio 2006
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