Maria Valtorta LEZIONI SULL`EPISTOLA DI PAOLO AI ROMANI
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Maria Valtorta LEZIONI SULL`EPISTOLA DI PAOLO AI ROMANI
Maria Valtorta LEZIONI SULL'EPISTOLA DI PAOLO AI ROMANI CENTRO EDITORIALE VALTORTIANO INDICE GENERALE Testo dell’Epistola di Paolo ai Romani 7 - 32 Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani 33 - 286 Indice delle date e delle lezioni 289 - 291 Indice degli argomenti 293 - 305 Indice dei nomi 307 - 311 Nota dell’editore 313 - 315 LETTERA AI ROMANI Il numero sul margine destro rimanda alla pagina della corrispondente lezione. Capo I. Indirizzo e saluto 1Paolo, servo di Gesù Cristo, chiamato apostolo, segregato pel Vangelo di Dio 2Vangelo che Dio aveva già promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sante Scritture, 3intorno al suo Figliolo, (fatto a lui dal seme di David, secondo la carne, 35 4predestinato Figliolo di Dio per propria virtù, secondo lo spirito di santificazione, per la risurrezione da morte), Gesù Cristo Signor nostro, 5per cui abbiamo ricevuto la grazia e l’apostolato, per trarre in suo nome all’obbedienza della fede tutte le genti, 6tra le quali siete anche voi chiamati (ad essere) di Gesù Cristo: 7a voi tutti amati da Dio, chiamati santi, che siete a Roma, grazia e pace da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo. Affetto di S. Paolo per i Romani 8Prima di tutto rendo grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo a riguardo di tutti voi, perché la vostra fede è celebrata in tutto il mondo. 9Dio, a cui servo nel mio spirito, evangelizzando il suo Figliolo, mi è testimone che mi ricordo continuamente e sempre 10di voi nelle mie orazioni, chiedendo che finalmente una volta, con la volontà di Dio, possa avere una felice occasione di venire a voi; 11perché io bramo di vedervi, per comunicarvi qualche dono spirituale che vi conforti, 12o meglio, per incoraggiarci scambievolmente mediante la fede che ci è comune, a voi e a me. 13Or io non voglio che voi ignoriate, o fratelli, come spesso abbia fatto il proposito di venire a voi, per raccogliere qualche frutto anche tra voi, come tra le altre nazioni, ma sono stato fino ad ora impedito. 7 Proposizione dell’argomento. Colpe dei pagani 14Io son debitore ai Greci e ai Barbari, ai sapienti ed agli ignoranti, 15quindi (quanto a me) sono pronto ad annunziare il Vangelo anche a voi che siete in Roma. 16Perché io non mi vergogno del Vangelo, virtù di Dio a salvezza d’ogni credente, prima del Giudeo, poi del Greco. 17In esso infatti si manifesta la giustizia di Dio che 39 vien dalla fede e tende alla fede, come sta scritto: Il giusto vive di fede. 18Or l’ira di Dio si manifesta dal cielo contro ogni empietà ed ingiustizia degli 43 uomini che soffocano la verità di Dio nell’ingiustizia, 19perché ciò che può conoscersi di Dio è in essi manifesto, avendolo Dio loro manifestato. 20Infatti le sue invisibili 48 perfezioni, la sua eterna possanza, la sua divinità, dopo la creazione del mondo, sono rese visibili all’intelligenza per mezzo delle creature. 21Quindi essi sono senza scusa, perché avendo conosciuto Dio, non l’hanno glorificato come Dio, né l’hanno ringraziato; ma han vaneggiato nei loro pensamenti e il loro stolto cuore s’è ravvolto nelle tenebre. 22Vantandosi di essere saggi son divenuti pazzi, 23ed han cangiato la gloria dell’incorruttibile Dio in simulacri di uomini corruttibili, di uccelli, di quadrupedi e di serpenti. 24Per questo Dio li ha abbandonati ai desideri del loro cuore, all’imrnondezza, in 50 modo che disonorino tra di loro i proprii corpi, 25essi che han mutato la verità di Dio nella menzogna, e hanno adorato e servito la creatura invece del Creatore (il quale è benedetto in eterno. Così sia!) 26Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami: le loro donne han cambiato l’uso naturale in quello che è contro natura, 27e similmente gli uomini lasciata la naturale unione con la donna, arsero di libidine gli uni verso gli altri, facendo, uomini con uomini, delle turpitudini, e ricevendo in se stessi la condegna mercede della loro degenerazione. 28E siccome non si son curati di riconoscere Dio, Dio li ha abbandonati al reprobo senso, in modo che fanno cose immorali. 29Son ricolmi di ogni iniquità, di malizia, di fornicazione, di avarizia, di malvagità, pieni d’invidia, di omicidio, di discordia, di frode, di malignità, sussurroni, 30detrattori, nemici di Dio, oltraggiatori, superbi, millantatori, inventori di perversità, disubbidienti ai genitori, 31stolti, disordinati, senza amore, senza legge, spietati. 32Essi, avendo conosciuta la giustizia di Dio, non compresero che chi fa tali cose è degno di morte; né soltanto chi le fa, ma anche chi approva coloro che le fanno. 8 Capo II. Passaggio dalle colpe dei Gentili a quelle dei Giudei 1Tu dunque, o uomo, chiunque tu sia, ti rendi inescusabile, perché nel giudicare gli 54 altri condanni te stesso, facendo le medesime cose che tu condanni. Ciascuno sarà giudicato secondo le opere 2Or noi sappiamo che il giudizio di Dio contro coloro che fanno tali cose è secondo 56 verità. 3E tu, o uomo che giudichi quelli che fanno tali cose e le fai, credi forse di sfuggire al giudizio di Dio? 4Ovvero disprezzi le ricchezze della sua bontà, della sua pazienza, della sua tolleranza? E non sai che la bontà di Dio t’invita a penitenza? 5Ma tu, colla tua durezza e col cuore impenitente, ti accumuli un tesoro d’ira pel giorno dell’ira e della manifestazione del giusto giudizio di Dio, 6che renderà a ciascuno secondo le opere: 7a quelli che, perseveranti nel bene, cercano la gloria, l’onore e l’immortalità, la vita eterna; 8a quelli che, ostinati, non dànno retta alla verità, ma obbediscono all’ingiustizia, ira e indignazione. 9Tribolazione ed angoscia sopra ogni anima d’uomo che fa il male, del Giudeo 58 10 prima, poi del Greco; gloria e onore e pace a chiunque fa il bene, al Giudeo prima, poi al Greco; 11perché non v’è accettazione di persone avanti a Dio. I Giudei saranno giudicati secondo la loro legge, i Gentili secondo la legge naturale 12Tutti quelli che senza legge hanno peccato, senza legge periranno; e tutti quelli 60 che sotto una legge han peccato, saranno da essa condannati; 13non quelli infatti che ascoltano la legge son giusti dinanzi a Dio, ma quelli che la mettono in pratica saranno giustificati. 14Quando i Gentili, che non hanno legge, fanno naturalmente ciò che la legge impone, non avendo legge, son legge a se stessi; 15e mostrano che il tenor della legge è scritto nel loro cuore, testimone la loro coscienza ed i pensieri che a vicenda tra di loro accusano od anche difendono, 16nel giorno in cui, secondo il mio Vangelo, Dio giudicherà per mezzo di Gesù Cristo le azioni segrete degli uomini. 9 La legge aggrava le colpe dei Giudei 17Tu che porti il nome di Giudeo e ti riposi nella legge e ti glorii di Dio, 63 18e conosci la sua volontà, e, istruito nella legge, distingui quel che più giova, 19e ti credi d’esser guida ai ciechi, luce a quelli che son nelle tenebre, 20dottore degl’ignoranti, maestro dei fanciulli, perché hai nella legge la regola della scienza e della verità, 21come mai, dunque, tu che insegni agli altri, non insegni a te stesso? Tu che predichi di non rubare, rubi? 22Tu che dici non doversi commettere adulterio, sei adultero? Tu che hai in abominio gli idoli, fai sacrilegio? 23Tu che ti vanti della legge, violandola, disonori Dio? 24Per cagion vostra il nome di Dio (come sta scritto) è bestemmiato tra le Genti. La circoncisione non giova senza osservare la legge 25Certo la circoncisione giova se tu osservi la legge, ma se tu la trasgredisci, con la tua circoncisione sei un incirconciso. 26Se invece un incirconciso osserva i precetti della legge, la sua incirconcisione non sarà considerata come circoncisione? 27Quindi chi per nascita è incirconciso, se osserva la legge, giudicherà te, che, colla Scrittura e colla circoncisione, trasgredisci la legge. 28Vero Giudeo non è chi tale apparisce, né è circoncisione quella che si manifesta nella carne; 29ma Giudeo è colui che tale interiormente è; la circoncisione è quella del cuore, secondo lo spirito e non secondo la lettera. Questa avrà lode non dagli uomini, ma da Dio. Capo III. Le promesse di Dio non liberano i Giudei 1Qual è dunque il vantaggio del Giudeo, o qual è l’utilità della circcncisione? 68 2Grande sotto ogni rispetto. E principalmente perché ad essi furono confidati gli oracoli di Dio. 3E che importa se alcuni di essi non hanno creduto? La loro infedeltà annullerà forse la fedeltà di Dio? No, certamente. 4Dio è verace, anche se ogni uomo è menzognero, come sta scritto: Affinché tu sia trovato giusto nelle tue parole e trionfi quando sei chiamato in giudizio. 5 Or se la nostra ingiustizia mette in evidenza la giustizia di 10 Dio, che diremo noi? È forse ingiusto Dio quando castiga? 6(parlo alla maniera degli uomini). No, certo; altrimenti come potrà Dio giudicare questo mondo? 7E se la verità di Dio ridondò in gloria di lui per la menzogna, perché sono ancora io giudicato come peccatore? 8E perché (come malamente dicono di noi e come alcuni spacciano che si dica da noi) non facciamo il giusta. male affinché ne venga il bene? La dannazione di essi è Tutti i Giudei a Gentili, secondo le Scritture, sono peccatori 9E che dunque? Siamo noi da più di essi? Niente affatto; perché abbiamo dimostrato che tutti, Giudei e Greci, sono sotto del peccato, 10come sta scritto: Non vi è neppure un giusto. 11Non vi è chi abbia intelligenza; non v’è chi cerchi Dio. 12Tutti sono usciti di strada, son divenuti tutti quanti inutili, non v’è chi faccia del bene, non ve n’è neppure uno. 13Sepolcro aperto è la loro gola, colle loro lingue tessono inganni, veleno di aspidi sta sotto le loro labbra. 14La loro bocca è piena di maledizione e di amarezza; 15i loro piedi veloci a spargere il sangue. 16Dolore e sventura è nelle loro vie, 17e non han conosciuto i sentieri della pace. 18Non è dinanzi ai loro occhi il timor di Dio. 68 19Or noi sappiamo che tutto quello che dice la legge, lo dice per quelli che sono sotto la legge, affinché ogni bocca sia chiusa e il mondo intero sia riconosciuto colpevole dinanzi a Dio. 20Infatti nessuno sarà giustificato dinanzi a lui mediante le opere della legge, perché dalla legge vien la coscienza del peccato. La giustificazione è gratuitamente data per la fede in Cristo 21Ma, ora, senza la legge, si è manifestata la giustizia di Dio, comprovata dalla 74 legge e dai profeti, 22la giustizia di Dio per la fede di Gesù Cristo, in tutti e sopra tutti quelli che credono in lui. Non v’è alcuna distinzione, 23perché tutti hanno peccato ed hanno bisogno della gloria di Dio, 24e son giustificati gratuitamente per la grazia di lui mediante la redenzione che è in Cristo Gesù, 25da Dio preordinato vittima propiziatoria mediante la fede nel suo sangue, per dimostrare la propria giustizia nella remissione dei precedenti delitti, 26sopportati da Dio per far conoscere la sua giustizia nel tempo presente, in modo che sia giusto e giustifichi colui che crede in Gesù Cristo. 11 27Dov’è dunque il tuo vanto? È tolto. Per qual legge? Per quella delle opere? No: per la legge della fede. 28Noi riteniamo che l’uomo è giustificato per mezzo della fede, senza le opere della legge. 29È forse Dio dei soli Giudei? E non è anche Dio dei Gentili? 30Certamente anche dei Gentili, perché v’è un Dio solo che giustifica i circoncisi per mezzo della fede e gl’incirconcisi per mezzo della fede. 31Distruggiamo dunque la legge per mezzo della fede? No, certamente; anzi noi confermiamo la legge. Capo IV. Abramo giustificato non dalle opere, ma dalla fede 1Qual vantaggio secondo la carne, direm noi, ha dunque ottenuto Abramo nostro 78 padre? 2Se Abramo è stato giustificato dalle opere, egli ha di che gloriarsi, ma non dinanzi a Dio. 3Infatti che dice la Scrittura? «Abramo credette a Dio, e gli fu imputato a giustizia». 4Or a colui che lavora, la mercede non è computata come grazia, ma come cosa dovuta; 5invece a colui che non opera, ma crede in colui che giustifica l’empio, la fede gli è imputata a giustizia, secondo il proponimento della grazia di Dio. 6Così pure anche David proclama beato l’uomo al quale Dio imputa la giustizia, indipendentemente dalle opere: 7Beati coloro ai quali sono perdonate le iniquità, i peccati dei quali sono stati ricoperti. 8Beato l’uomo a cui Dio non imputa il peccato. Avanti la circoncisione fu giustificato Abramo 9Questa beatitudine è soltanto per i circoncisi, od anche per gli incirconcisi? Siccome diciamo che ad Abramo la fede fu imputata a giustizia, 10in che modo gli fu dunque imputata? Quando era circonciso, o quando era incirconciso? Non dopo, ma avanti la circoncisione. 11E il segno della circoncisione che poi ricevette, fu il sigillo della giustizia ottenuta per la fede, prima della circoncisione, per essere il padre di tutti i credenti incirconcisi, affinché (la fede) sia imputata anche ad essi a giustizia, 12e padre dei circoncisi, di quelli che non sono sol12 tanto circoncisi, ma seguono anche le orme della fede che il nostro padre Abramo aveva quand’era incirconciso. Le promesse furon fatte alla fede 13Difatti non in virtù della legge fu promessa ad Abramo l’eredità dell’universo, ma per la giustizia della fede. 14Or se eredi son quelli che han la legge, è vana la fede, è annullata la promessa, 15perché la legge produce l’ira, mentre dove non c’è legge non c’è neppure trasgressione. 16Deve dipendere adunque dalla fede la promessa, affinché sia gratuita e assicurata a tutta la discendenza, non soltanto a quella che è dalla legge, ma anche a quella che è dalla fede di Abramo, il quale è padre di noi tutti, 17(secondo quello che sta scritto: Ti ho costituito padre di molte nazioni), padre davanti a Dio, nel quale credette, che fa rivivere i morti e chiama le cose che non sono come se esistessero. 18Sperando contro ogni speranza, Abramo credette in modo da divenire padre di molte nazioni, secondo quello che gli era stato detto: Tale sarà la tua discendenza. 19Egli, senza vacillar nella fede, non guardò al suo corpo impotente (aveva quasi cent’anni), né al seno di Sara infecondo; 20ma dinanzi alla promessa di Dio non esitò diffidando; reso invece forte dalla fede, dié gloria a Dio, 21assolutamente convinto che è sì potente da effettuare qualunque cosa abbia promessa. 22Ecco perché (la sua fede) gli fu imputata a giustizia. 23Or non per lui soltanto è scritto che gli fu imputata a giustizia, 24ma anche per noi, ai quali sarà imputata la fede in Colui che ha suscitato da morte Gesù Cristo Signor nostro, 25il quale è stato dato a morte pei nostri peccati e risuscitò per la nostra giustificazione. Capo V. Primo frutto della giustificazione: pace con Dio, sicurezza del cielo 1Giustificati adunque mediante la fede, abbiamo pace con Dio per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo, 2a cui dobbiamo 86 d’avere per la fede accesso a questa grazia, nella quale stiam 13 saldi, e di gloriarci nella speranza della gloria dei figli di Dio. 3E non soltanto di questo ci gloriamo, ma anche delle tribolazioni, sapendo come la tribolazione produce la pazienza, 4la pazienza l’esperienza, l’esperienza la speranza. 5Or la speranza non 93 inganna, perché la carità di Dio è stata diffusa nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato donato. Amore mostratoci da Dio col darci Gesù Cristo 6Per qual motivo adunque, mentre noi eravamo impotenti, Cristo, nel tempo 97 stabilito, è morto per gli empi? 7Or è difficile che uno muoia per un giusto, pure può darsi che per un uomo dabbene qualcuno abbia il coraggio di morire; 8ma Dio mostra la sua carità verso di noi, perché, essendo ancora peccatori, nel tempo stabilito 9Cristo è morto per noi. Tanto più dunque ora che siam giustificati nel suo sangue, saremo salvi dall’ira per mezzo di lui. 10Perché, se quando eravamo nemici siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del suo Figliuolo, molto più essendo riconciliati saremo salvi mediante la sua vita. 11Di più ancora ci gloriamo in Dio per Gesù Cristo Signor nostro, per mezzo del quale abbiamo ora ottenuta la riconciliazione. Parallelo tra Cristo che ci ha salvati e Adamo che ci ha perduti 12Così, dunque, per un sol uomo il peccato è entrato nel mondo e col peccato la morte, e la morte si è estesa a tutti gli uomini, perché tutti hanno (in Adamo) peccato. 13Anche prima della legge il peccato era nel mondo, ma non era imputato, non essendovi legge; 14eppure la morte regnò da Adamo fino a Mosè, anche sopra coloro che non avevano peccato di prevaricazione, come Adamo, il quale è figura di Colui che doveva venire. 15Ma il dono è stato ben differente dal delitto; perché se per il delitto di un solo molti perirono, molto più la grazia e la liberalità di Dio, in grazia di un sol uomo, Gesù Cristo, abbondò in molti. 16V’è ancora differenza tra il peccato di un solo e il dono, perché il giudizio da un solo peccato va alla condanna, la grazia invece da molti peccati va alla giustificazione. 17Difatti se per il delitto d’un solo e per un solo regnò la morte, con più ragione coloro che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per il 14 solo Gesù Cristo. 18Quindi, come pel delitto di un solo (venne) sopra tutti gli uomini la dannazione, così per la giustizia d’un solo è in tutti gli uomini la giustificazione vivificante. 19Così pure, come per la disobbedienza d’un solo uomo molti son costituiti peccatori, anche per l’obbedienza d’un solo molti saran costituiti giusti. 20Or la legge intervenne perché abbondasse il peccato; ma dove abbondò il peccato sovrabbondò la grazia, 21affinché come il peccato regnò colla morte, così la grazia regni mediante la giustizia per dare la vita eterna per mezzo di Gesù Cristo Signor nostro. Capo VI. Secondo frutto della giustificazione: liberazione dalla schiavitù del peccato e unione con Cristo 1Che diremo dunque? Rimarremo nel peccato, affinché abbondi la grazia? 2Non 102 sia mai. Noi che siam morti al peccato, come potremo seguitare a vivere in esso? 3Non sapete forse che, quanti siamo battezzati in Gesù Cristo, nella morte di lui siamo stati battezzati? 4Noi dunque pel battesimo siamo stati sepolti con lui nella (sua) morte, affinché, come Cristo è risuscitato da morte per la gloria del Padre, così anche noi viviamo d’una vita novella. 5Se infatti siamo stati innestati su lui per somiglianza di morte, lo saremo anche per somiglianza di resurrezione. Morte e risurrezione a nuova vita 6Questo ben lo sappiamo: che il nostro uomo vecchio è stato con lui crocifisso, affinché il corpo del peccato sia distrutto e noi non serviamo più al peccato, 7essendo il morto affrancato dal peccato. 8Or se noi siam morti con Cristo, crediamo di vivere ancora con lui, 9sapendo che Cristo, risuscitato da morte, non muore più, sopra di lui non regna più la morte 10perché se egli è morto per il peccato, è morto una sola volta; ma se vive, vive per Iddio. Non più obbedienza al peccato 11Così voi pure consideratevi come morti al peccato, ma vivi per Iddio in Gesù 107 Cristo Signor nostro. 12Il peccato non regni 15 dunque nel vostro corpo mortale, da farvi obbedir alle sue concupiscenze: 13non date le vostre membra come strumenti d’iniquità al peccato, ma offritevi a Dio come viventi dopo essere stati morti, offritegli le vostre membra come strumento di giustizia. 14Il peccato adunque non vi dominerà, perché non siete sotto la legge, ma sotto la grazia. Chi diventa servo della giustizia deve vivere santamente 15Che dunque? Peccheremo, perché non siamo sotto la legge ma sotto la grazia? Non sia mai. 16Non sapete che a chiunque vi diate a obbedire come servi, siete servi di colui al quale ob bedite, sia del peccato che mena alla morte, sia dell’obbedienza che mena alla giustizia? 17Ma, grazie a Dio, voi che foste servi del peccato, avete poi obbedito di cuore nella regola di dottrina che vi è stata insegnata. 18Liberati così dal peccato siete divenuti servi della giustizia. 19Parlo a mo’ degli uomini, a motivo della debolezza della vostra carne: come dunque deste le vostre membra al servizio dell’immondezza e dell’iniquità per l’impurità, così date ora le vostre membra al servizio della giustizia per la santificazione. 20Quando eravate servi del peccato eravate liberi dalla giustizia; 21ma qual frutto aveste allora dalle cose di cui ora vi vergognate? Certamente la fine di esse è la morte. 22Ora invece, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, avete per vostro frutto la santificazione e per fine la vita eterna, 23essendo paga del peccato la morte, e grazia di Dio la vita eterna in Gesù Cristo nostro Signore. Capo VII. Terzo frutto della giustificazione: liberazione dalla servitù della legge per una morte mistica 1Forse ignorate, o fratelli (siccome parlo con periti nella legge) che l’uomo è sotto 111 l’impero della legge finché vive? 2Così la donna maritata è legata per legge al marito vivente; ma se le muore è sciolta dalla legge del marito. 3Infatti sarà chiamata adultera se, vivente il marito, starà con un altro uomo; se poi 16 le muore il marito, è liberata dalla legge del marito, in modo da non essere adultera, dato che stia con altro uomo. 4Così, anche voi, miei fratelli, siete morti alla legge pel corpo di Cristo, per appartenere ad un altro, che è risuscitato da morte, affinché portiamo dei frutti a Dio. 5Mentre vivevamo secondo la carne, le passioni peccaminose, occasionate dalla legge, agivano nelle nostre membra in maniera da produrre frutti per la morte. 6Ma ora siamo stati liberati dalla legge, essendo morti alla legge che ci legava, e possiamo servire Dio secondo il nuovo spirito e non secondo l’antiquata lettera. La legge, benché santa, provoca delle trasgressioni 7Che diremo dunque? La legge è peccato? No, certamente. Ma io non ho conosciuto il peccato se non per mezzo della legge. Infatti non avrei conosciuto la concupiscenza se la legge non avesse detto: Non desiderare. 8Ma il peccato, presa l’occasione da quel comandamento, fe’ nascere in me ogni sorta di concupiscenza; mentre senza la legge il peccato non esisteva. 9Io poi una volta vivevo senza legge; ma, venuto il comandamento, ebbe vita il peccato, 10ed io morii, ed il comandamento che doveva darmi la vita mi risultò cagione di morte. 11Perché il peccato, presa l’occasione dal comandamento, mi sedusse, e per mezzo di esso mi dié la morte. 12È santa dunque la legge, e santo e giusto e buono il comandamento. 13Una cosa buona m’è dunque divenuta causa di morte? Non può essere. Ma il peccato, per apparire peccato, mi ha data la morte per mezzo d’una cosa buona, in modo da mostrarsi estremamente colpevole attraverso il precetto. Impotenza della legge nella lotta tra la carne a to spirito 14Noi sappiamo difatti che la legge è spirituale; ma io sono carnale, venduto e soggetto al peccato. 15Io non so quello che faccio: non fo il bene che voglio, ma il male che odio. 16Or se faccio quel che non voglio, riconosco che la legge è buona; 17però in questo caso non sono io che opero, ma il peccato che abita in me. 18Difatti io so che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: è in me certamente 122 125 153 la volontà di fare il bene, ma non trovo la via di compierlo, 19poiché, non il bene che voglio io fo, ma il male che non voglio quello io faccio. 20Or se io fo quel17 lo che non voglio, non son più io che lo faccio, ma il peccato che abita in me. 2l Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male mi è già a lato. 22Infatti, mi diletto nella legge di Dio, secondo l’’uomo interiore; 23ma vedo nelle mie membra un’altra legge che si oppone alla legge della mia mente, e mi fa schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra. 24Oh, me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? 25La grazia di Dio per Gesù Cristo Signor nostro. Dunque io stesso colla mente servo alla legge di Dio, colla carne invece alla legge del peccato. 169 Capo VIII. Quarto frutto della giustificazione: lo stato felice del giustificato. Santificazione per lo Spirito Santo e suoi effetti 1Non v’è dunque or alcuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù che non camminano secondo la carne. 2Infatti, la legge dello spirito di vita m’ha per Gesù Cristo liberato dalla legge del peccato e della morte. 3Perché ciò che era impossibile 182 204 alla legge, resa impotente dalla carne, Dio l’ha fatto mandando il Figlio suo in una carne simile a quella del peccato: col peccato abolì il peccato nella carne, 4affinché la giustizia della legge si adempisse in noi che non camminiamo secondo la carne, ma secondo lo spirito. 5Quelli infatti che vivono secondo la carne gustano le cose della carne; ma 192 quelli che vivono secondo lo spirito gustano le cose dello spirito. 6Or la saggezza della 196 carne è morte; la saggezza dello spirito è vita e pace, 7perché la sapienza della carne è 200 nemica di Dio, non essendo soggetta né potendosi assoggettare alla legge di Dio: 8quindi quelli che vivono secondo la carne non possono piacere a Dio. 9Ma voi non vivete più secondo la carne, ma secondo lo spirito, se lo spirito di Dio abita in voi. Che se uno non ha lo spirito di Cristo, egli non è dei suoi. 10Se poi Cristo è in voi, il corpo certamente è morto a causa del peccato, ma lo spirito vive a cagione della giustizia. 11Che se lo spirito di Colui che risuscitò Gesù da morte abita in voi, chi risuscitò Gesù Cristo da morte renderà la 18 vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. Ragioni per sperare la gloria futura 12Così dunque, fratelli, noi non siamo debitori alla carne per vivere secondo la carne. 13Se quindi vivrete secondo la carne, morrete; se invece collo spirito darete morte alle azioni della carne, vivrete, 14essendo, tutti quelli che son mossi dallo spirito di Dio, figli di Dio. 15Difatti, voi non avete ricevuto lo spirito di servitù per nuovo timore, ma avete ricevuto lo spirito di adozione in figli, pel quale gridiamo: Abba (Padre). 16Questo 209 stesso Spirito attesta allo spirito nostro che noi siamo figli di Dio. 17E se figlioli, siamo anche eredi: eredi di Dio e coeredi di Cristo, se però soffriamo con lui da essere con lui 211 glorificati. 18Io tengo per certo che i patimenti del tempo presente non sono da paragonarsi alla futura gloria che sarà manifestata in noi. 19Difatti, la creazione sta ansiosamente aspettando la rivelazione dei figli di Dio. Desiderio della creazione e nostro 20Poiché la creazione è stata assoggettata alla vanità, non per sua volontà, ma di 214 Colui che l’assoggettò colla speranza 21che essa pure sia liberata dalla servitù della corruzione, per aver parte alla libertà gloriosa dei figli di Dio. 22E noi sappiamo che 217 fino ad ora tutte insieme le creature sospirano e son nei dolori del parto. 23E non esse soltanto, ma anche noi che abbiamo le primizie dello Spirito, anche noi sospiriamo dentro di noi stessi aspettando l’adozione dei figli di Dio, la redenzione del nostro corpo, 24essendo noi salvati in speranza. Ma vedere quel che si spera non è più sperare. E come sperare quel che già si vede? 25Or se noi speriamo quel che non si vede, aspettiamolo con pazienza. Desiderio e preghiera dello Spirito Santo 26Nello stesso modo anche lo Spirito sostiene la nostra debolezza; perché noi non 222 sappiamo pregare come si deve; ma lo stesso Spirito chiede per noi con gemiti ineffabili; 27e Colui che scruta i cuori conosce quel che brami lo Spirito e come egli interceda secondo Dio per i santi. 19 Amore di Dio per gli eletti 28Noi sappiamo che tutte le cose tornano a bene di chi ama Dio, di coloro che 226 secondo il disegno son chiamati ad esser santi. 29Perché quelli che ha preveduti, li 229 ha pur predestinati ad esser conformi all’imagine del suo Figliolo, affinché questi sia il primogenito tra molti fratelli. 30E quelli che ha predestinati li ha anche chiamati; e quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; e quelli che ha giustificati li ha anche glorificati. Possiamo sicuramente sperare la gloria futura 31Che diremo adunque dopo tali cose? Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi? 32Colui che non ha risparmiato nemmeno il proprio Figliolo, ma l’ha dato a morte per noi tutti, come potrà non donarci con lui tutte le cose? 33Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio li giustifica. 34Chi potrà condannarli? Gesù Cristo, che è morto, anzi risuscitato, e siede alla destra di Dio, egli intercede per noi. 35Chi potrà separarci dall’amore di Cristo? la tribolazione forse, o l’angoscia, la fame, la nudità, il pericolo, la persecuzione, la spada? 36(Come sta scritto: Per te noi siamo ogni giorno messi a morte, siamo considerati come pecore da macello). 37Ma di queste cose noi siamo più che vincitori in virtù di Colui che ci ha amati. 38Io poi sono sicuro che né la morte, né la vita, né gli Angeli, né i principati, né le virtù, né le cose presenti, né le future, né la potenza, 39né l’altezza, né la profondità, né altra cosa creata potrà separarci dalla carità di Dio, che è in Gesù Cristo Signor nostro. Capo IX. Dolore di S. Paolo per la riprovazione d’Israele 1Dico la verità in Cristo, non mentisco e me lo attesta la mia coscienza per lo 232 2 3 Spirito Santo: ho una grande tristezza, un continuo dolore nel mio cuore, (tale) che vorrei essere io stesso separato da Cristo pei miei fratelli che sono del sangue mio secondo la carne, 4gli Israeliti, ai quali appartengono l’adozio20 ne in figli, la gloria, l’alleanza, la legge, il culto, le promesse, 5i patriarchi, e dai quali è, secondo la carne, il Cristo, che è sopra tutte le cose Dio benedetto nei secoli. Così sia. La salvezza non dipende dalla discendenza, ma è dono di Dio 6Non già che sia venuta meno la parola di Dio, perché non tutti quelli che vengono da Israele sono Israeliti; ‘né i nati dalla stirpe di Abramo son tutti figlioli; ma «in Isacco sarà la tua discendenza». 8Quindi non i figli della carne sono figli di Dio; ma i figli della promessa sono contati come discendenti. 9Le parole della promessa infatti erano queste: Verso questo tempo io tornerò, e Sara avrà un figlio. 10E non soltanto a Sara, ma avvenne così anche a Rebecca, la quale da una sola unione con Isacco, padre nostro, concepì due gemelli. 11Or non essendo questi ancor nati e non avendo fatto nulla di bene o di male (affinché il disegno di Dio rimanesse secondo la elezione), 12non dipendente dalle opere, ma da Colui che chiama, fu detto a Rebecca: 13Il maggiore servirà al minore, secondo sta scritto: Ho amato Giacobbe ed ho odiato Esaù. Dio non è ingiusto a salvare chi vuole 14Che diremo adunque? V’è l’ingiustizia in Dio? Giammai! 15Perché egli dice 237 a Mosè: Avrò misericordia di colui al quale mi piacerà usar misericordia, e avrò compassione di colui con il quale vorrò essere compassionevole. 16Quindi non dipende da chi vuole, né da chi corre, ma da Dio che fa misericordia. 17Dice infatti la Scrittura a Faraone: Io t’ho suscitato apposta per mostrare in te la mia potenza e perché il mio nome sia celebrato su tutta la terra. 18Egli dunque usa misericordia a chi vuole, e indura chi vuole. 19Tu mi dirai: E di che ora si lamenta? Chi mai può opporsi ai suoi voleri? 20O uomo, chi sei tu da contendere con Dio? Dirà forse il vaso d’argilla al vasaio: 243 Perché mi hai fatto così? 21Il vasaio non è egli padrone dell’argilla da poter fare della medesima quantità un vaso per uso onorato, come un vaso per uso vile? 22E che (c’è da ripetere) se Dio volendo mostrare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con molta pazienza vasi d’ira già pronti alla perdizione, 23per far conoscere le ricchezze della sua gloria in favore dei vasi di misericordia 21 che egli aveva già preparati per la sua gloria, 24(in favore di noi) che egli ha chiamati non solo dai Giudei, ma anche dai Gentili? La riprovazione dei giudei e la vocazione dei gentili era stata predetta 25Come dice in Osea: Chiamerò mio popolo quello che non era mio popolo, e 247 diletta quella che non era amata, e pervenuta a misericordia quella che non aveva 26 conseguito misericordia. E dove loro fu detto: Voi non siete il mio popolo, quivi saran chiamati figli del Dio vivente. 27Isaia poi esclama sopra Israele: Anche se il numero dei figli d’Israele fosse come la rena del mare, soltanto gli avanzi saranno salvati; 28perché Dio compirà e affretterà con equità ciò che ha detto, e sarà di poche parole sulla terra. 29E come pure predisse Isaia: Se il Signore degli eserciti non avesse di noi lasciata semenza, saremmo divenuti come Sodoma e saremmo stati simili a Gomorra. La colpa d’Israele 30Che diremo dunque? Che i Gentili, i quali non cercavano la giustizia, hanno 249 abbracciata la giustizia, quella giustizia che viene dalla fede; 31mentre Israele, che seguiva la legge della giustizia, non ha raggiunto la legge della giustizia. 32E perché? Perché (la cercò) non nella fede, ma come venisse dalle opere: e così urtò nella pietra d’inciampo, 33secondo quello che è scritto: Ecco io pongo in Sion una pietra d’inciampo, una pietra di scandalo; ma chi crede in lui non resterà confuso. Capo X. Amore di Paolo per i Giudei 1Fratelli, il voto del mio cuore e la preghiera che fo a Dio per essi è che sian 255 salvati; 2perché, rendo loro questa testimonianza, hanno lo zelo di Dio, ma non secondo la cognizione del vero: 3infatti, ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio; 22 4perché fine della legge è Cristo, per dare la giustizia ad ogni credente. I Giudei non han riconosciuto Cristo fine della legge 5Mosè infatti dice della giustizia che vien dalla legge: «Chi l’avrà adempita, 259 vivrà per essa». 6Ma della giustizia che vien dalla fede dice: «Non dire in cuor tuo: Chi salirà in cielo?» sarebbe a dire per farne discendere il Cristo; 7«Chi scenderà nell’abisso?» viene a dire per risuscitare il Cristo da morte. 8Ma che dice la Scrittura? «Tu hai presso di te la parola nella tua bocca e nel tuo cuore»: questa è la parola della fede che noi predichiamo. I Giudei han rigettata la fede, unica via di salvezza 9Se tu quindi colla tua bocca confesserai il Signore Gesù, e crederai in cuor tuo che Dio l’ha risuscitato da morte, sarai salvo; 10perché credendo di cuore si perviene alla giustizia, e la confessione della bocca mena alla salute. 11Dice infatti la Scrittura: Chiunque crede in lui, non sarà confuso. 12Non c’è dunque distinzione fra Giudeo e Greco, perché lo stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che l’invocano: 13infatti «chiunque invocherà il nome del Signore, sarà salvo». L’ignoranza dei Giudei è senza scusa 14Ma come invocheranno uno in cui non hanno creduto? E come crederanno in uno di cui non hanno sentito parlare? Come poi ne sentiranno parlare, senza chi predichi? 15E come predicheranno se non sono mandati? come sta scritto: Quanto son belli i piedi di coloro che evangelizzano la pace, che evangelizzano il bene! 16Ma non tutti obbediscono al,Vangelo. Isaia infatti dice: Signore, chi ha creduto a ciò che ha da noi udito? 17La fede vien dunque da ciò che è udito, e si ode per la parola di Cristo. 18Ma domando: Non han forse udito? Eppure: Per tutta la terra ha risuonato la loro voce, e le loro parole son giunte fino agli estremi confini della terra. 19Ma chiedo ancora: Forse Israele non ne seppe nulla? Mosè pel primo dice: Ecciterò la vostra gelosia contro una nazione, che non è nazione, provocherò il vostro sdegno contro una nazione stolta. 20Isaia 23 poi ha l’audacia di dire: Mi han trovato quelli che non mi cercavano, mi son presentato a coloro che non chiedevano di me. 21Ad Israele poi dice: Tutto il giorno stesi le mie mani verso un popolo incredulo e ribelle. Capo XI. La riprovazione d’Israele sarà parziale 1Io dico adunque: Forse che Dio ha rigettato il suo popolo? Non sia mai! Perché 267 anch’io sono Israelita della progenie d’Abramo, della tribù di Beniamino. 2Dio non ha rigettato quel suo popolo che ha preconosciuto. Non sapete quello che narra la Scrittura nella storia d’Elia? Come egli sollecita Dio contro Israele, dicendo: 3Signore, hanno ucciso i tuoi profeti, han distrutto i tuoi altari; io son rimasto solo, e voglion togliermi la vita? 4Ma che gli rispose la voce divina? «Mi son riservato settemila uomini che non han piegato il ginocchio dinanzi a Baal». 5Nello stesso modo anche ora son salvati i resti, secondo l’elezione della grazia. 6Or se è per la grazia, non è dunque per le opere; altrimenti la grazia non è più grazia. 7Che è dunque successo? Che Israele non ha conseguito quel che cercava; ma l’ha conseguito la parte eletta, mentre gli altri sono stati accecati, 8secondo quello che sta scritto: Dio diede loro lo spirito di stordimento, occhi da non vedere, orecchi da non sentire fino a questo giorno. 9E David dice: La loro mensa diventi per essi un laccio, una rete, un inciampo e una giusta punizione. 10I loro occhi siano offuscati da non vedere, tieni il loro dorso sempre curvato. La riprovazione d’Israele ha servito alla salute dei gentili 11Io dunque domando: Hanno essi così inciampato per cadere per sempre? Non sia mai! Ma pel loro delitto la salvezza è giunta ai Gentili in maniera da suscitare la gelosia d’Israele. 12Or se il loro delitto è la ricchezza del mondo, e la loro scarsezza è la ricchezza delle nazioni, quanto più la loro pienezza? 13Lo dico a voi nati Gentili, che io, in quanto Apostolo dei Gentili, mi sforzo di fare onore al mio ministero 14per eccitare, se è possibile, ad emulazione il mio sangue, e per salvarne qualcuno. 24 15Che se la loro reiezione è la riconciliazione del mondo, che sarà la loro ammissione se non una risurrezione da morte? 16E se le primizie sono sante, santa è pure la massa, e se la radice è santa, sono santi anche i rami. 17Or se alcuni dei rami sono stati tagliati, e tu, o olivo selvatico, sei stato innestato nel loro posto e sei divenuto partecipe della radice e del succo dell’olivo, 18non ti vantare contro i rami; se ti vanti, (sappi) che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te. 19Tu però dirai: Quei rami furon tagliati, perché fossi innestato io. 20Va bene: essi sono stati tagliati a causa dell’incredulità, e tu stai saldo mediante la fede; non t’insuperbire, ma temi 21che Dio, se non ha perdonato ai rami naturali, non perdoni neppure a te. 22Considera adunque la bontà e la severità di Dio: la severità verso di quelli che son caduti, la bontà di Dio verso di te se ti atterrai alla bontà; altrimenti, sarai anche tu reciso. 23Essi pure se non si ostinano nella loro incredulità, saranno innestati, essendo Dio potente da innestarli di nuovo. 24Infatti, se tu, tagliato dall’olivo di natura sua selvatico, sei stato, contro la tua natura, innestato al buon olivo, quanto più i rami naturali saranno innestati sul loro proprio olivo! Alla fine anche Israele sarà salvo 25Affinché dentro di voi non vi stimiate sapienti, non voglio che ignoriate, o 272 fratelli, questo mistero: l’accecamento prodottosi in una parte d’Israele durerà finché non sia entrata la totalità dei Gentili. 26E così Israele sarà salvato, conforme sta scritto: Da Sion verrà il Liberatore che toglierà l’empietà da Giacobbe, 27e questa sarà la mia alleanza con essi, quando avrò tolti i loro peccati. 28Veramente, riguardo al Vangelo, son nemici a causa di voi, ma riguardo all’elezione sono carissimi a causa dei loro padri; 29perché i doni e la vocazione di Dio sono senza pentimenti. 30E come voi in passato non avete creduto a Dio ed ora avete ottenuto misericordia per la loro incredulità, 31così anch’essi non hanno creduto per la misericordia fatta a voi; ma per ottenere anche loro misericordia. 32Infatti, Dio coinvolse tutti nell’incredulità per usare a tutti misericordia. Inno alla divina sapienza 33O profondità delle ricchezze della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono incomprensibili i suoi giudizi ed imperscru25 tabili le sue vie! 34Chi ha conosciuto il pensiero del Signore? E chi gli è stato consigliere? 35Chi gli ha dato per il primo, per averne da ricevere il contraccambio? 36Da lui e per lui e in lui son tutte le cose. A lui gloria nei secoli. Così sia. Capo XII. Doveri verso Dio 1Io vi esorto dunque, o fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri 274 corpi in sacrifizio vivente, santo, gradito a Dio, il ragionevole vostro culto. 2E non vogliate conformarvi al presente secolo; ma riformate voi stessi col rinnovamento del vostro spirito, per distinguere quale sia la volontà di Dio, buona, gradita e perfetta. Doveri verso il corpo sociale 3In virtù della grazia che m’è stata data, io dico a ciascuno di voi di non voler sapere più del necessario, ma tanto che basti, secondo la misura di fede che Dio ha distribuito a ciascuno. 4Infatti, come in un sol corpo noi abbiamo molte membra, e non tutte le membra hanno la medesima funzione, 5così noi, sebben molti, formiamo un unico corpo in Cristo e individualmente siamo uno membro dell’altro. 6Avendo noi dei doni differenti secondo la grazia che ci è stata donata; chi ha la profezia (l’eserciti) secondo la regola della fede; 7chi il ministero, amministri; chi l’insegnamento, insegni; 8chi ha l’esortazione, esorti; chi distribuisce (lo faccia) con semplicità; chi presiede, con sollecitudine; chi fa opere di misericordia, con ilarità. Come devono amare i cristiani 9La vostra carità non sia finta. Odiate il male; affezionatevi al bene. 10Amatevi scambievolmente con amore fraterno, prevenendovi gli uni gli altri nel rendervi onore. 11Non pigri nello zelo, ferventi nello spirito, servite al Signore. 12Siate allegri per la speranza, pazienti nella tribolazione, assidui nella preghiera. 26 13Provvedete ai bisogni dei santi; praticate l’ospitalità. 14Benedite quelli che vi perseguitano: benedite e non vogliate maledire. 15Rallegratevi con chi gioisce; piangete con chi piange, l’avendo gli stessi sentimenti l’uno per l’altro. Non aspirate alle cose alte, ma adattatevi alle umili, e non vi stimate saggi da voi stessi. 17Non rendete ad alcuno male per male, a cercate di fare il bene non soltanto davanti a Dio, ma anche davanti a tutti gli uomini. 18Se è possibile, per quanto è da voi, vivete in pace con tutti. 19Non vi vendicate da voi stessi, o carissimi, ma lasciate fare, all’ira (divina); perché sta scritto: A me la vendetta; io farò giustizia, dice il Signore. 20Se pertanto il tuo nemico ha fame, dàgli da mangiare; se ha sete, dàgli da bere; e tu, così facendo, ammasserai carboni ardenti copra la sua testa. 21Non ti lasciar vincere dal male ma vinci col bene il male. Capo XIII. Doveri verso l’autorità 1Ogni persona sia sottomessa alle autorità superiori, perché non v’è autorità che 274 non venga da Dio, e quelle che esistono sono istituite da Dio; 2e quindi chi si oppone alle autorità si oppone all’ordine di Dio, e chi si ribella si attirerà la condanna; 3infatti i magistrati non son da temere per le opere buone, ma per le malvagie. Vuoi tu non aver paura dell’autorità? Fa’ il bene, e da essa ne avrai lode, 4essendo l’autorità ministra di Dio per il tuo bene. Se poi fai del male, temi, perché non porta invano la spada, quale ministra di Dio vendicatrice, che punisce i malfattori. 5È necessario dunque esser sottomessi, non solo per timore del castigo, ma anche per obbligo di coscienza. 6Per questa ragione voi pagate i tributi, perché i magistrati sono ministri di Dio e continuamente occupati nel loro ufficio. 7Rendete dunque a ciascuno ciò che gli dovete: a chi l’imposta, l’imposta; a chi il tributo, il tributo; a chi il rispetto, il rispetto; a chi l’onore, l’onore. L’amore è il compendio della legge 8Non vi resti con nessuno che il debito dello scambievole amore; perché chi ama il prossimo ha adempito la legge. 9Di27 fatti, «non commettere adulterio; non ammazzare, non rubare, non dire il falso testimonio; non desiderare» e qualunque altro comandamento che ci possa essere, si riassume in questa parola: «Amerai il prossimo tuo come te stesso». 10L’amore non fa alcun male al prossimo: è dunque l’amore il compimento della legge. Esortazione alla vita cristiana 11E ciò dovete farlo riflettendo al tempo in cui siamo, essendo già l’ora di svegliarsi dal sonno; perché la nostra salvezza è più vicina ora di quanto credemmo. 12La notte è inoltrata e il giorno si avvicina: gettiam dunque via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. 13Viviamo onestamente, come di giorno; non nelle crapule e nelle ubriachezze; non nelle mollezze e nell’impudicizia; non nella discordia e nella gelosia; 14ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo, senza aver tanta cura della carne da svegliarne le concupiscenze. Capo XIV. I cristiani non devono gli uni condannare gli altri 1In quanto a colui che è debole nella fede, accoglietelo senza discuterne le 281 2 opinioni. Altri crede di poter mangiare qualunque cosa; chi è debole mangi pure degli erbaggi. 3Ma chi mangia non disprezzi colui che non mangia, e chi non mangia non condanni colui che mangia, perché Dio l’ha fatto suo. 4E chi sei tu da condannare il servo altrui? O che egli stia ritto o cada, è cosa che riguarda il suo padrone; ma egli starà in piedi perché Dio ha la potenza di sostenerlo. 5Uno distingue tra giorno e giorno, un altro li fa tutti uguali: ognuno segua la sua coscienza. 6Chi distingue i giorni, li distingue per amore del Signore; e chi mangia, lo fa per amore del Signore; infatti rende grazie a Dio. Ed anche chi non mangia, non mangia, per amore del Signore e rende grazie a Dio. 7Poiché nessuno di noi vive per se medesimo, né per se stesso muore; 8ma se viviamo, viviamo pel Signore, e se moriamo, moriamo pel Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore; 28 9perché Cristo è morto e risuscitato per essere Signore dei vivi e dei morti. 10Ma tu perché giudichi il tuo fratello? O perché tu disprezzi il tuo fratello? Tutti invece compariremo davanti al tribunale di Cristo. 11Sta scritto infatti: «Io sono il vivente, dice il Signore, e davanti a me si piegherà ogni ginocchio, ed ogni lingua darà gloria a Dio». 12Così adunque ognuno di noi renderà conto di se stesso a Dio. Bisogna guardarsi dallo scandalizzare i deboli 13Cessiamo adunque dal giudicarci a vicenda; ma guardiamo invece di non mettere inciampo o scandalo sulla via del fratello. 14Io so e son persuaso nel Signore Gesù che nulla è in se stesso impuro; ma per colui che stima impura una cosa, essa per lui diventa impura. 15Or se per un cibo fai rattristare il tuo fratello, tu non cammini più secondo la carità. Non rovinare col tuo cibo uno per il quale Cristo è morto. 16Non sia dunque bestemmiato il nostro bene. 17Perché il regno di Dio non consiste nel mangiare e nel bere, ma è giustizia e pace e gaudio nello Spirito Santo. 18Chi serve Cristo in questa maniera piace a Dio ed è approvato dagli uomini. 19Cerchiamo dunque ciò che giova alla pace, e pratichiamo ciò che serve alla mutua edificazione. 20Non voler per un cibo distruggere l’opera di Dio. Certamente tutte le cose sono pure, ma fa male un uomo che mangia scandalizzando. 21Bene è non mangiar carne e non bere vino, né fare alcuna cosa che sia per il tuo fratello occasione di caduta o di scandalo o di debolezza. 22Tu hai una convinzione? Tientela per te dinanzi a Dio. Beato colui che non condanna se stesso in quello che sceglie. 23Ma chi fa distinzione, se mangia, è condannato, perché non agisce secondo coscienza. Tutto ciò che non è secondo la coscienza è peccato. Capo XV. Come Cristo dobbiamo aiutare e accogliere i deboli 1Or noi più forti dobbiamo sostenere la fiacchezza dei deboli e non compiacerci di 281 noi stessi, 2ma ciascuno si renda gradito al prossimo nel bene per edificarlo; 3perché Cristo-non cercò 29 la propria soddisfazione, ma, come sta scritto: Gl’improperi di coloro che ti oltraggiano sono caduti sopra di me. 4Or tutto quello che è stato scritto, per nostro ammaestramento è stato scritto, affinché mediante la pazienza e la consolazione donata dalle Scritture conserviamo la speranza. 5Il Dio della pazienza e della consolazione vi conceda d’aver il medesimo sentimento secondo Gesù Cristo; 6affinché d’un sol cuore, con una sola voce glorifichiate Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo. 7Accoglietevi dunque gli uni gli altri come Cristo ha accolto voi, per la gloria di Dio. 8Dico infatti che Gesù Cristo è stato ministro dei circoncisi per dimostrare la veracità di Dio e adempire le promesse fatte ai padri. 9I Gentili invece glorificano Dio a causa della sua misericordia, come sta scritto: Per questo ti loderò tra i Gentili, o Signore, e canterò al tuo nome. 10Dice ancora: Rallegratevi, o Gentili, col suo popolo. 11E ancora: Gentili, lodate tutti il Signore; o popoli tutti, celebratelo. 12E anche Isaia dice: Apparirà la radice di Iesse, Colui che sorgerà a governare i Gentili; in lui i Gentili spereranno. 13Il Dio della speranza vi ricolmi adunque di tutta la gioia e di tutta la pace che è nella fede, affinché abbondiate nella speranza e nella virtù dello Spirito Santo. S. Paolo si scusa d’aver scritto ad una chiesa da lui non fondata 14Io però son persuaso, o fratelli, che da voi siete pieni di carità, colmi d’ogni sapere, capaci di ammonirvi a vicenda. 15Ma vi ho scritto un po’ arditamente come per ravvivare i vostri ricordi, e per la grazia che Dio mi ha fatta 16d’esser ministro di Gesù Cristo fra i Gentili, consacrato al servizio del Vangelo di Dio, affinché l’offerta dei Gentili sia gradita e santificata dallo Spirito Santo. 17Ho dunque di che gloriarmi di Cristo Gesù davanti a Dio; 18perché oserei dire non esservi cosa la quale Cristo non abbia fatta per mezzo mio a fine di condurre i Gentili all’ubbidienza, colla parola e coi fatti; 19colla potenza dei miracoli e dei prodigi, colla virtù dello Spirito Santo. Tant’è vero che da Gerusalemme e dai paesi circostanti fino all’Illiria tutto ho ripieno del Vangelo di Cristo, 20studiandomi di predicare questo Vangelo dove Cristo non era stato ancora nominato, per non fabbricare sopra il fondamento posto da altri; ma secondo quanto sta scritto: 21Quelli ai quali 30 nulla era stato detto di lui lo vedranno, e quelli che non ne han sentito parlare lo conosceranno. Espone come intende di passare da Roma 22È stato questo che mi ha parecchie volte impedito di venire da voi a sono stato impedito fino ad oggi. 23Ma ora, non avendo più nulla che mi trattenga in queste contrade, e avendo da molti anni il desiderio di venire da voi, 24spero di vedervi quando passerò per andare in Spagna, ove sarò da voi accompagnato dopo essermi in parte saziato di voi. 25Ora invece vado a Gerusalemme a portare dei soccorsi ai santi, 26avendo la Macedonia a l’Acaia stimato necessario fare una colletta per i poveri che sono tra i santi di Gerusalemme. 27L’hanno stimato necessario; e veramente son debitori ad essi. Infatti, se i Gentili sono stati fatti partecipi dei beni spirituali dei Giudei, devono ancor sovvenirli coi beni materiali. 28Quando avrò terminato questo incarico ed avrò consegnata ad essi questa offerta, passando da voi andrò in Spagna; 29e so che, venendo da voi, verrò colla pienezza della benedizione di Cristo. 31Vi scongiuro o fratelli, per il Signore nostro Gesù Cristo e per la carità dello Spirito Santo, ad aiutarmi colle vostre orazioni che fate a Dio per me, 31affinché io sia liberato dagli infedeli che sono in Giudea, l’offerta ch’io porto sia gradita dai santi di Gerusalemme, 32e così possa venire, se piace a Dio, con gioia, da voi per riposarmi in vostra compagnia. 33Il Dio della pace sia con voi tutti. Così sia. Capo XVI. Raccomandazioni e saluti 1Vi raccomando Febe, nostra sorella, che è diaconessa nella Chiesa di Cencre, 2affinché la riceviate nel Signore, in modo degno dei santi, e l’assistiate in qualunque cosa possa aver bisogno di voi, perché essa pure ha assistiti molti ed anche me. 3Salutate Prisca e Aquila, miei cooperatori in Gesù Cristo, 4i quali hanno esposto la loro testa per salvarmi la vita, ai quali non io solo rendo grazie, ma ancora tutte le chiese dei Gentili. 31 5(Salutate) anche la chiesa (che si raduna) nella loro casa. Salutate Epeneto, mio diletto, che è stato, per Cristo, la primizia dell’Asia. 6Salutate Maria, che si è molto affaticata per voi. 7Salutate Andronico e Giunio, miei parenti e compagni di prigione, i quali sono illustri fra gli apostoli e furono in Cristo prima di me. 8Salutate Ampliato, a me carissimo nel Signore. 9Salutate Urbano, nostro cooperatore in Cristo Gesù, e Stachi, mio diletto. 10Salutate Apelle, che ha dato prova di sé in Cristo. 11Salutate quei di casa d’Aristobulo. Salutate Erodione, mio parente. Salutate quei di casa di Narcisso, che son nel Signore. 12Salutate Trifena a Trifosa, che faticano nel Signore. Salutate la carissima Perside, che ha molto faticato nel Signore. 13Salutate Rufo, eletto nel Signore, e la sua e mia madre. 14Salutate Asincrito, Flegonte, Erma, Patroba, Erme e i fratelli che son con essi. 15Salutate Filologo e Giulia e Nereo, e la sua sorella, e Olimpiade e tutti i santi che sono con essi. 16Salutatevi scambievolmente col bacio santo. Vi salutano tutte le chiese di Cristo. 17Ora vi esorto, o fratelli, a tener d’occhio quelli che sono causa di dissensioni e di scandali e s’allontanano dall’insegnamento che avete ricevuto. Allontanatevi da loro, 16perché è gente che non serve a Cristo Signor nostro, ma al proprio ventre e con melate parole e adulazioni seducono i cuori dei semplici. 19Del resto la vostra obbedienza è nota a tutto il mondo, e me ne rallegro per voi; ma bramo che siate prudenti nel bene e semplici nel male. 20Il Dio della pace schiaccerà ben presto Satana sotto i vostri piedi. La grazia del nostro Signor Gesù Cristo sia con voi. 21Vi saluta Timoteo, mio cooperatore, e Lucio e Giasone, e Sosipatro, miei parenti. 22Vi saluto nel Signore io, Terzo, che ho scritto la lettera. 23Vi saluta Caio, mio albergatore, e tutta la chiesa. Vi saluta Erasto, tesoriere della città, e il fratello Quarto. 24La grazia del Signore Gesù Cristo con tutti voi. Così sia. Dossologia 25A Colui che è potente per rendervi costanti nel mio Vangelo e nella predicazione di Gesù Cristo secondo la rivelazione del mistero che fu taciuto per secoli eterni; 26ma che ora è stato svelato e notificato a tutte le genti per mezzo delle Scritture e dei profeti, secondo l’ordine dell’eterno Dio, per trarle all’obbedienza della fede - 27a Dio solo, sapiente, onore e gloria per Gesù Cristo nei secoli dei secoli. Così sia. 32 LEZIONI (lezione 18a) 26 - 2 - 48 Ai Romani C. 6° v. 1-10. Dice il Divinissimo Autore: «Molti, fra i cristiani, e anche fra coloro che se alcuno dicesse loro che sono affetti da quietismo si ribellerebbero come davanti ad una calunnia, cadono nell’eresia di credere che, posto che c’è Chi ha espiato per tutti e dato la Grazia con abbondanza infinita, è inutile reprimersi dal peccare facendo violenza al proprio io. Anzi spingono la loro eresia sino a dirsi e a dire che così facendo essi aumentano la gloria e potenza di Dio, dimostrando che solo per i meriti infiniti dell’Uomo-Dio, e senza cooperazione di buona volontà umana, gli uomini si salvano. No. Così non è. Infinita l’abbondanza della Grazia. Ma quasi senza confini l’enormità di questa eresia che è vilipendio del Sangue divino, del divino Sacrificio di Cristo. 102 Egli è morto per tutti, pietoso a tutti, medicina a tutti, salute a tutti, Vita a tutti. Ma questi tutti devono avere la volontà di giustizia. Che se poi la loro debolezza li fa cadere, se il demonio proditoriamente li atterra e trascina, Gesù, secondo il suo Nome 1, salva, accorre, solleva, guarisce, perdona, purifica. È l’eterno Riparatore. Ogni sorgente può cessare di gemere, ogni bacino acqueo si può essiccare. Nei secoli e secoli della Terra, interi mari e laghi si sono prosciugati dando luogo a sabbiosi deserti o a desolati e petrosi bassopiani circondati da monti che prima si specchiavano in un lago. Ma una sorgente non si prosciugherà mai, sino alla fine dei secoli. Generosa e santissima, Essa effonderà sempre il suo flusso per misericordia degli uomini. Essa è la Sorgente scaturente dal Corpo dell’Agnello immolato. Ma lo pensate, voi, cristiani, quale onda continua di Sangue divino vi bagna e nutre di continuo? Se un re fosse così ricco e munifico da congiungere le case dei suoi sudditi con un suo pozzo meraviglioso fluente oro, i sudditi di questo re lo adorerebbero come un dio. Eppure quell’oro non sarebbe eternamente loro. Alla loro morte essi dovrebbero lasciarlo. Ma il Sangue di Cristo, questo Sangue più prezioso di ogni più prezioso metallo o gioiello, questo Sangue del Re dei re, non vi è gratuitamente dato, riversato su voi con abbondanza, senza limite nel potere a nel tempo? Esso Sangue vince la Morte, vince il Peccato, supera il tempo e dura, nei suoi frutti ricchissimi, per l’eternità. Anzi è proprio in virtù di Esso che salite in veste porpurea, di re, al Regno; e nell’eternità, nel Cielo, più che nel tempo e sulla Terra, godete dell’infinito Tesoro. Egli, il Vivente, ha consumato l’orrore della morte perché voi moriste al peccato e risorgeste nella Grazia. Non vi è dunque lecito ritornare al peccato e alla morte con previa volontà di tornarvi. Egli disse: “Non si può servire insieme Dio e Mammona” 2. I Matteo 1, 20-21 2 Matteo 6, 24; Luca 16, 13 103 Io dico: “Non si può avere insieme la Vita e la Morte”. Quando Gesù risorse testimoniò tre cose: I. che era Dio, e perciò da Sé solo poteva risorgere; II. che era realmente morto crocifisso. Per questo conservò nel Corpo glorioso le stimmate della Passione. Da quel Corpo erano spariti tutti i segni della Passione, l’invecchiamento, le sozzure, i balsami pesanti dell’imbalsamazione. Ma a mostrare che il Cristo reale, umano, e non una figurazione incorporea di Lui, era stato affisso in croce, rimasero nella vera Carne i veri buchi dei chiodi e il taglio della lancia. III. Che aveva vinto per sempre la morte ed era risorto, da Dio, in Corpo ed Anima, per i secoli dei secoli. Così come lo videro le pie donne al sepolcro, gli apostoli la sera della Risurrezione, i discepoli nelle successive apparizioni 3, così lo videro e lo vedono e lo vedranno nell’attimo del giudizio particolare ogni spirito d’uomo trapassato dalla vita terrena a quella ultraterrena; e così lo vedranno tutti gli uomini al Giudizio finale, come già lo videro apparire nel Limbo 4 e disserrarne le porte i giusti saliti con Lui al Cielo riaperto ai santi di Dio. Ma una quarta cosa testimoniò il Cristo risorgendo, e la testimoniò con il simbolo del suo risorgere dopo il sacrificio. Questa: che il cristiano, sommerso nelle onde salutari del suo Sangue, sepolto in questo bagno salvatore come in una tomba che dal suo profondo esprime vita e non morte, incorruttibilità e non corruzione, risusciti a vita novella, a vita gloriosa. Così come lo fu di Lui, deposto nelle viscere del sepolcro “simile a lebbroso dalle ossa slogate e scoperte e le membra trafitte” 5, ma uscito da quelle viscere in una veste di così gloriosa bellezza che solo gli angeli e la Purissima poterono mirarla nel suo completo splendore. Cristo dopo la Risurrezione raggiunse la completezza della perfezione del suo mistero. Prima della Passione era già perfezione: perfezione dell’Uomo. Perfezione dell’Uomo-Dio. Perfezio3 Matteo 28; Marco 16; Luca 24; Giovanni 20-21 4 1 Pietro 3, 18-19 5 Isaia 53, 3 104 ne di Dio. Ma nella Passione la perfezione antecedente di Uomo-Dio si perfezionò in quella di Dio-Redentore. E dopo la Risurrezione si completò in quella, misteriosa sino alla fine dei secoli, contenuta e spiegata “nel nome noto a Lui solo” di cui parla Giovanni nel suo Apocalisse 6. Anche l’uomo, vivendo in Cristo (la lotta dell’uomo, la sofferenza, la passione diuturna lottata, sopportata, consumata in giustizia) e risorgendo per Cristo e in Cristo, raggiungerà la perfezione che dà adito ai Cieli e riceverà “il nome nuovo scritto sul sassolino bianco, il nome che nessuno conosce se non colui che lo riceve” 7. “Io sono la vera Vite... Il tralcio se non può rimanere unito alla vite non dà frutto. Così voi se non rimarrete innestati in Me non porterete frutto... e sarete gettati via come ramo secco” Egli disse 8. È verità. Egli “ha portato tutti i vostri mali” perché ha portato a consumato tutte “le vostre iniquità” 9. Egli si è “disseccato come un coccio” 10 perché per farvi vivere vi ha dato il suo Sangue, la linfa vitale della vera Vite fruttifera. Egli: Vite fruttifera. Voi: tralci selvatici incapaci di dar frutto. E il Padre suo e vostro, coltivatore della Vigna eterna, ha preso voi, tralci sterili e selvatici, e vi ha innestati in Lui. Ed Egli ha accettato di assorbire e consumare tutti i vostri succhi omicidi, tutte le vostre febbri di concupiscenza, sino a morire nella carne vittima senza che la vostra corruzione turbasse e avvelenasse il suo spirito santo di Innocente eterno, perché voi foste alla fine dei secoli come Lui gloriosi in anima e corpo avendo rivestito di incorruttibile carne i vostri spiriti santi, e beati già foste prima ancora del giudizio primo e di quello ultimo per l’amicizia di Dio, l’inabitazione in voi dello Spirito Santo, la fusione col Cristo Amico e Pane del Cielo sulla Ter6 Apocalisse 2, 17 7 Apocalisse 2, 17 8 Giovanni 15, 1-6 9 Isaia 53, 1-12 10 Salmo 22, 16 105 ra, e la pace in Dio dopo la morte in attesa della risurrezione della carne per essere compartecipe della gioia e gloria dell’anima. Il Pensiero e il Volere divini hanno operato un mistero volendo che, prima ancora che voi foste, i peccati vostri fossero espiati da Cristo. “Egli ha preso su di Sé i peccati di molti” dice Isaia 11. E questi molti sono coloro che durante la vita, o almeno avanti la morte, per loro volontà buona, non lasceranno inerti, per loro, i meriti infiniti di Cristo. Sulla bilancia della Croce, su quel patibolo di Giustizia in cui erano tutta la Santità e tutta l’Iniquità, e la prima consumava la seconda, ogni vostro peccato era infisso come una freccia nel Corpo del Martire. Numerosissime le battiture dei flagelli, numerose le punture delle spine sul Capo torturato, atroci gli spasimi dei chiodi. Ma nessuno dei tanti che compassionano il Cristo penante delle torture date da una giustizia umana e crudele, si batte il petto dicendo: “Ecco: questo, questo, questo, questi mille e diecimila aculei, io te li ho infissi nelle carni e nel cuore coi miei mille e diecimila peccati. Tu mi hai conosciuto, o mio Redentore, con tutti i miei mille peccati. Non te ne è stato ignoto uno solo. Io ti sono stato tortura nelle torture”. Chi numera i milioni di milioni di peccati che il Purissimo ha sentito infissi nel suo Corpo espiatore? Chi, meditando questo, non dovrebbe sentire l’odio perfetto al peccato, la fuga da esso, l’obbligo, il dovere di non servire più il peccato, posto che il Sacrificio di un Dio vi ha affrancati da esso? Siete morti ad esso peccato. Il morto non compie più le opere che faceva da vivo. Come allora, se in voi è fede sicura che la morte di Cristo e la Grazia che essa morte vi ha meritata vi hanno affrancati dalla morte del peccato e dato i mezzi per rimanere affrancati, come allora voi similmente a Cristo non risorgete per sempre da questa morte e vivete per sempre in Dio, così come Gesù - il Figlio di Dio, il Figlio dell’Uomo, morto 11 Isaia 53, 12 106 come Uomo per espiare la Colpa e le colpe dell’uomo - vive “per Iddio”, ossia da Dio? Ma non solo Lui Dio. Ognuno che vive in Cristo e per Cristo, ricordatelo, si divinizza divenendo figlio dell’Altissimo.» (lezione 19a) 27 - 2 - 48 Ai Romani v. 11-23 Capitolo 6°. Dice il Divinissimo Autore: «Si legge nei libri mosaici come le ostie dei sacrifici e delle oblazioni dovessero essere di animali senza macchia e difetto, e le 1 offerte e oblazioni di fior di farina, olio, o biade, dovevano esser condite con sale ma prive 2 di lievito o di miele e, se di primizia di biade ancora verdeggianti, queste dovevano esser tostate e tritate prima d’essere offerte, e sempre cosparse d’olio e unite all’incenso 3. Si legge anche che coloro che appartenevano alla stirpe d’Aronne, e perciò alla stirpe sacerdotale, venivano esclusi dal sacerdozio se avevano qualche difetto fisico o malattia incurabile 4. Corpo perfetto di costruzione e di salute doveva stare officiante davanti al Creatore dell’uomo, all’Altissimo che aveva nell’Uomo messo perfezione di membra, di sensi e sentimenti, e per il Quale il vedere le deformità e le malattie era testimonianza della ribellione dell’uomo e dello spregio di Satana all’opera più cara a Dio, perciò ancora spregio a Dio. Al tempo mosaico i sacrifici erano di animáli e di biade, cose materiali. Nel tempo cristiano i sacrifici sono di spirito. Davide profetizzò questo tempo nel quale i sacrifici sarebbero stati non 1 e le è nostra correzione da od, che è correzione della scrittrice, che ha cassato una precedente forma rimasta indecifrabile 2 dovevano... condlte... prive sono nostre correzioni da doveva... condita ... priva 3 Levitico 1, 3; 6, 7-16; 7, 1-15; 22, 17-30 4 Levitico 21, 16-24 107 di animali, ma “sacrificio di spirito compunto, di cuore contrito e umiliato” 5. Era tempo di rigore. L’uomo non osava pensare di poter offrire in sacrificio soave il suo cuore. Su quel cuore era la macchia corruttrice 6. Tutti impuri, a quel tempo, i cuori degli uomini anche più giusti. La Colpa d’origine, quella sola nei più santi, bruttava il cuore dell’uomo. E allora come offrirlo in sacrificio di odor soave a Colui che aveva prescritto che senza difetto dovessero essere gli animali e le biade da offrire al suo altare, senza neppur macchia di pelame o di ruggine? È forse colpevole un vitello o un agnello di nascere pezzato? O una spiga di esser colpita da muffe o ruggini? Non lo sono. Ma ciononostante non dovevano esser deposte sull’altare. Né dovevano esserlo da uomo in cui fosse testimoniata l’eredità del peccato con difetti, gracilità o malattie. Per il peccato d’Adamo entrarono la malattia, le deformità, la morte fra gli uomini. Perché la malizia, accesasi dove prima era solo fiamma di pura carità, condusse gli uomini a perversioni del senso e sentimento, origine di ogni malattia o mostruosità che si manifesti nell’uomo. Da radici corrotte vengono alberi e fronde e frutti corrotti. E posto che la corruzione iniziale aumentò continuamente per nuovi pervertimenti, la carne dell’uomo sempre più scontò e sconta e sconterà la dolorosissima 7 conseguenza della decadenza di troppi uomini da uomini a bruti. Nel tempo della Misericordia, quando la Grazia rinverginizza gli spiriti dei suoi divini candori; nel tempo dello spirito nel quale i valori umani sono alla base ma al vertice sono i valori sovrumani, e questi più che quelli sono offerti a Dio e accettati come dono da Dio; nel tempo in cui la carne è veste all’anima regina, mezzo a conseguire vittoria, ma è lo spirito colui che domina, o dovrebbe dominare; nel tempo in cui “per le virtù di Colui che dalle tenebre vi chiamò all’ammirabile luce facendo dei cristiani la nazione santa, il nuovo popolo di Dio a Dio ac5 Salmo 51 (volgata: 50), 18-19 6 corruttrice è nostra correzione da corrutrice 7 dolorosissima è nostra correzione da dolorissima 108 quistato col Sangue dell’Uomo-Dio, la stirpe eletta, il regale sacerdozio” come scrive Pietro 8, sono decadute le limitazioni della Legge mosaica, e ogni uomo che sia segnato del segno di Cristo, unto suo servo dal Pontefice eterno, santo, innocente e immacolato, può, deve essere ostia e sacerdote, materia e ministro del sacrificio spirituale che è a Dio gradito. Nell’epistola paolina (v. 13) manca una parola. La parola “ostia”. “Offritevi a Dio come ostie viventi dopo esser stati morti, offritegli le vostre membra come strumento di giustizia”. Ecco il regale sacerdozio al quale il cristiano è chiamato, il sacerdozio di ogni cristiano a imitazione di quello del “Sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedec” 9. Dell’antica Legge viene preso, elevandolo al grado spirituale, l’obbligo di essere senza macchia mortale, senza vizi capitali acconsentiti dalla ragione e dallo spirito e consumati con piena avvertenza, senza lievito d’odio e concupiscenza, senza miele di mollezza sensuale, senza malattie spirituali che non si cerca di guarire, senza cecità verso la Luce e neppure albugine, senza rogna ed érpete di serpeggiante simpatia anche alle piccole colpe, senza fratture o gobbe nella magnifica formazione cristiana. Soldati del Dio vero, atleti della religione santa, sacerdoti e vittime del tempo nuovo, voi dovete s a l a r v i sale della eroica volontà la quale brucia e cauterizza, ma fortifica le parti deboli e le fa immuni dalle cancrene, voi dovete tostarvi e triturarvi al fuoco della carità e alla macina della mortificazione, per divenire farina da ostie, fior di farina. E poi, cosparsi della santa unzione delle virtù e odorosi dell’incenso - e sia abbondante - dell’adorazione, offrirvi e immolarvi dicendo la perpetua parola di Cristo: “Eccomi, o Padre, a fare non la mia ma la tua volontà” 10, pronti a rispondere, a chi con blandizie o minacce, con amore o con odio, vuol ritrarvi dal predicare con la vostra vita il Cristo fra i dottori del mondo: “Non sapete che io 8 1 Pietro 2, 9-10 9 Salmo 110 (volgata: 109), 4; Ebrei 7, 17 10 Matteo 26, 39; Marco 14, 36; Luca 22, 42 109 debbo occuparmi di ciò che è interesse del Padre mio?” 11. Tutto di voi sia ostia santa. Perché su tutto è il crisma santificante del Sacrificio di Cristo. Le membra anche più ignobili sono chiamate al servizio di Dio come le parti più nobili del corpo. Non sono esclusi dal servizio coloro che la volontà di Dio ha unto dello speciale crisma dei consacrati al dolore: i malati, gli infermi, gli innocenti condannati ingiustamente, i perseguitati e derisi dal mondo. La Grazia giudica e la Grazia eleva. Con la sua divina sapienza a munificenza Gesù disse: “Gli ultimi saranno i primi” 12. E anche, prima di guarire il cieco di Gerusalemme perché divenisse suo discepolo e lo evangelizzasse, disse, spingendo lo sguardo negli èvi futuri nei quali molti di coloro che il mondo disprezza sarebbero divenuti “salute” per il mondo, disse: “Non lui né i suoi genitori hanno peccato, ma è così perché si manifestino in lui le opere di Dio” 13. In lui e per lui. Quanti, per generosa ubbidienza o per eroica domanda non sono “ostie”, “redentori”, “continuatori e completatori della Passione di Cristo”! Ma anche senza considerare questi speciali eroi della più alta carità, tutti voi cristiani siete “ostie viventi” e dovete “offrire le vostre membra come oggetto di giustizia”. Offrirle monde di colpa, perché ormai non “siete sotto la legge, ma sotto la grazia”. Liberati come siete dalla schiavitù del peccato, sorretti come siete dalla Grazia, non dovete più conoscere la morte dello spirito e non la conoscerete se, volontariamente, non vi rifarete servi della colpa. Servite il Signore Iddio, il quale ha dato agli uomini la Legge perché fosse freno e morso contro la turpitudine sempre più forte della Terra, ma che, con la venuta del suo Cristo e la restituzione della Grazia per i meriti di Lui, pur lasciandovi il freno e morso della Legge per combattere le seduzioni di Satana, del mondo e della carne, ha messo ali al vostro spirito, liberandolo dalle catene perché volasse, ben alto sopra il fango delle 11 Luca 2, 49 12 Matteo 19, 30; 20, 16; Marco 10, 31; Luca 13, 30 13 Giovanni 9, 3 110 concupiscenze, incontro a Colui che appare dalla parte d’oriente, e voi lo conosceste e ne ardeste, per quanto vi è concesso finché siete nell’esilio, e lo seguiste per le vie della Vita, lasciando per sempre i sentieri della Terra, della Morte, attirati dall’odore dei suoi profumi, conquisi dall’unica suprema Bellezza, dal Verbo fatto Carne, Gesù Cristo vostro Signore, Redentore e Maestro, la cui dottrina è dolce, il cui giogo è leggero, e corroborante contro ogni languore e morte è la Carne e il Sangue di Lui per voi dati, e a voi dati, sull’altare del Golgota e sugli altari dei templi nella Comunione Ss. con il Figlio di Dio, Dio come il Padre. Quella Comunione che è Vita. Vita in Gesù Cristo e con Gesù Cristo. Vita nel Padre per Gesù Cristo. Vita nell’Amore che è l’Autore di Cristo. Vita nei Tre perché dove Uno è gli Altri sono, così in Cielo come nel cuore degli uomini.» (lezione 20a) 28 febbraio Ai Romani C. 7 v. 1-13. Dice il Divinissimo Autore: «È verità stabilita che i Progenitori, oltre alla Grazia santificante e all’innocenza, ebbero, alla loro creazione, altri doni dal loro Creatore. E questi erano l’integrità, ossia la perfetta soggezione del senso alla ragione, la scienza proporzionata al loro stato, l’immortalità, l’immunità da ogni dolore e miseria. Sull’immunità e sulla perdita di questa immunità ne ho parlato ieri. Oggi richiamo la tua mente al dono della scienza proporzionata al loro stato. Una scienza vasta, vera, capace di illuminare l’uomo in tutte le cose necessarie al suo stato di re su tutte le altre creature naturali e di creatura creata a immagine e somiglianza di Dio per l’anima che è spirituale, libera, immor111 tale, ragionevole, capace di conoscere Dio a perciò di amarlo, destinata a goderlo eternamente, l’anima dotata dei doni gratuiti di Dio, e primo fra tutti la Grazia che eleva l’uomo all’ordine soprannaturale di figlio di Dio erede del Regno dei Cieli. Per questo dono di scienza l’uomo sapeva luminosamente e soprannaturalmente quali azioni compiere, quali vie tenere per raggiungere lo scopo per il quale era stato creato. Amava Dio con tutta la sua capacità, ossia con scienza perfetta secondo il suo grado di uomo pieno di Grazia a innocenza. Ma lo amava di un amore ordinato che era ardente, ma non usciva da quel reverenziale rispetto che la creatura anche più santa deve sempre avere per il suo Creatore. Questo amore potente, ma che nella sua potenza non straripa mai dagli argini della doverosa reverenza della creatura verso il suo Creatore, non lo si è più ritrovato, fiore di perfezione a Dio diletta, altro che in Gesù e Maria, perché il Figlio dell’Uomo e l’Immacolata furono l’Adamo ed Eva nuovi, riparatori dell’offesa dei primi, e i consolatori del Padre Iddio, usando con perfezione di tutti i doni da Dio ricevuti, senza mai prevaricare per superbia di essere i prediletti fra tutte le creature. Questo dono di scienza, così come regolava l’amore della creatura verso il Creatore, altrettanto regolava l’amore della creatura verso la creatura: verso la compagna e sua simile per prima cosa, avendo per essa un amore senza disordine di libidine, l’amore ardente degl’innocenti che solo i lussuriosi e i corrotti credono incapaci di amare. O cecità prodotta dai fermenti della corruzione! Gli innocenti, i casti, sanno amare, veramente amare. Amare i tre ordini che sono nell’uomo a coi tre ordini che sono nell’uomo, ma iniziando dal più alto, e dando al più basso - quello naturale - quella tenerezza verginale che è nel più ardente amor materno e nel più ardente amor filiale. Ossia di quei due soli amori che sono senza attrazione 1 sensuale: amore d’anima, amor di creatura-figlio per il vivo tabernacolo che lo ha portato, amor di 1 attrazione è nostra correzione da attraimento 112 creatura-madre per la viva testimonianza della sua qualità di procreatrice, gloria della donna che per le pene e il sacrificio della maternità si eleva da femmina a cooperatrice di Dio, “ottenendo un uomo coll’aiuto di Dio” (Genesi c. 4 v. 1). Regolava l’amore dell’uomo verso le altre creature a lui di utile o diletto. In tutte le create cose egli vedeva la potenza amorosa di Dio che le aveva create per l’uomo, e le vedeva così come Dio le vedeva “molto buone” (Genesi c. 1 v. 31). Avrebbe regolato anche l’amore dell’uomo per le creature nate dal suo amore santo con Eva. Ma Adamo ed Eva non giunsero a questo amore perché - prima ancora che –“l’ossa delle ossa di Adamo e la carne della sua carne, per la quale l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà alla sua moglie e i due saranno una carne sola” 2 gli fiorisse un figlio, così come da pianta baciata dal sole, e non da altri tocca, nascono fiori a frutta - il Disordine aveva corrotto del suo veleno il santo amore dei Progenitori che vollero conoscere più di quanto era giusto e sufficiente che conoscessero, onde la Giustizia disse: “Badiamo che ora l’uomo non stenda la mano e prenda anche dell’albero della vita e ne mangi e viva in eterno” 3. Questa frase lascia perplessi molti, e a molt’altri serve per mostrare il Buonissimo e Generoso come un avaro crudele. Serve anche a negare una delle verità religiose: quella di uno dei doni di Dio ai progenitori, ossia l’immortalità. Dono è dono, deve essere dato. Dio aveva dato immortalità come aveva dato gli altri doni, fra i quali quello di una scienza proporzionata allo stato dell’uomo. Non tutta la Scienza. Solo Dio è sapientissimo. Così aveva dato immortalità ma non eternità. Dio solo è eterno. L’uomo doveva nascere, essere procreato dall’Uomo creato da Dio, e non più morire, ma trapassare dal paradiso terrestre a quello celeste e là godere del perfetto conoscimento di Dio. Ma l’uomo abusò. Volle più che non avesse avuto in dono 2 Genesi 2, 23-24 3 Genesi 3, 22 113 gratuito. Volle tutta la Scienza, non riflettendo che anche le cose buone vanno usate con misura proporzionata alle proprie capacità e che 4 soltanto l’Immenso e Perfettissimo può tutto conoscere senza pericolo, perché la sua infinita Perfezione può conoscere tutto il Male senza averne turbamento corruttore. Dio soffre del Male che vede. Ma ne soffre per ciò che esso produce in voi. Non per Se stesso. Poiché Egli è al disopra di ogni sforzo del Male, e neppure l’instancabile e astuta potenza che ha nome Satan può recare offesa alla sua Perfezione. Satan offende Dio in voi. Ma se voi foste dei forti, Satan non avrebbe maniera di offendere Dio col mezzo di voi. Se pensaste questo non pecchereste mai, voi che amate Dio più o meno fortemente, perché nessuno di voi che vi gloriate del nome di cristiani-cattolici vorrebbe sentirsi complice di Satana per offendere Dio. Eppure lo fate. Non riflettete mai che Satana è astuto, che è predace, che non si accontenta di tentare o vincere voi, ma che mira più che a voi a schernire Dio, a strappargli le anime, a deridere a disperdere il Sacrificio di Cristo col renderlo nullo per molti di voi e per molt’altri appena sufficiente a risparmiarvi la dannazione. Satan sa, ha numerato tutte le lacrime e le stille di sangue del Figlio dell’Uomo. Su ogni lacrima o stilla esso ha visto il vero nome, il vero motivo di esse: la tiepidezza inerte di un cattolico per le lacrime, la dannazione di un cattolico per le stille del Sangue divino. Sa di che fu fatto il dolore che strappò lacrime e sudore porpureo al Cristo 5, al suo divino Avversario, Avversario dal momento della sua Ribellione, Avversario eterno e Vincitore in eterno per milioni di spiriti ai quali il Cristo dona, e donò, il Cielo. Ma torniamo alla lezione e, per i doni che il Sacrificio di Cristo vi ha resi, ognuno completi il pensiero che Io tronco. Dopo aver voluto tutta la Scienza, Adamo avrebbe potuto volere 4 Segue un altro che che omettiamo 5 Luca 22, 44 114 tutta la vita, ossia il possesso della vita non per dono dato e conservato con amore, ma per violenza che irride il rispetto, distrugge l’ordine, si autocrea eterno senza merito per essere pari a Dio. Pari a Dio, voler essere tale, sarebbe stato commettere lo stesso peccato di Lucifero 6. E per il peccato di Lucifero non c’è perdono. Dio voleva poter perdonare all’uomo. Voleva potergli rendere l’immortalità, il possesso del Cielo, la Scienza sufficiente al suo stato, la Grazia, Egli stesso. E intervenne con la condanna per salvare. Dette morte per dare Vita. Dette esilio per dare la Patria eterna. Dette - ecco l’inizio della lezione che torna ad essere il soggetto - dette una legge al posto della Scienza gratuita che l’uomo aveva perduto con la morte della Grazia nel suo cuore. La Legge è frutto delle conseguenze del Peccato. Il Peccato rese l’uomo ottuso nella intelligenza del discernere il bene e il male e nella integrità. Come un fumo, aveva offuscato la Verità conosciuta. Come un frastuono, aveva coperto il suono delle parole divine udite nel fresco della sera nel bell’Eden 7. Decaduto da figlio adottivo di Dio al grado di animale ragionevole, l’uomo 8 sentiva per istinto che uccidere doveva essere “male”, che corrompersi in libidini oscene doveva essere male. Ma non sapeva distinguere sino a che punto era male l’uccidere e quali le lussurie più abbiette a Dio. Onde Dio, dopo aver punito e nuovamente ripunito col diluvio 9 e aver, dopo questo, dato le prime norme ad esser meno violenti (divieto del mangiare la carne col sangue: Genesi c. 9 v. 4); e poscia con la dispersione delle genti e la confusione delle lingue (Genesi 11 v. 8), origine dei futuri popoli e reami e guerre che ancor vi tormentano; e ancora nuovamente punito col fuoco dal Cielo su Sodoma e le altre città peccatrici 10; dopo aver dato al giusto Abramo una più chiara legge di sudditanza al Signore 6 Isaia 14, 14 7 Genesi 3, 8-10 8 l’uomo è aggiunto da noi 9 Genesi 7 10 Genesi 19, 1-29 115 (Genesi c. 17 v. 10), chiama a Sé Mosè, e per successivi ordini e appelli lo conduce alla celebrazione del primo sacrificio pasquale 11 - sacrificio perpetuo sino alla fine dei secoli, perché nell’ora della Grazia all’agnello di un anno si sostituì l’Agnello divino, Ostia perpetua su tutti gli altari del mondo e per i secoli - e da questa legge pasquale conduce Mosè al Decalogo 12. Ma il Decalogo non sarebbe stato se la ragione avesse sempre dominato i sensi, ossia se la Colpa non fosse stata commessa nell’Eden. E non sarebbe stato se dal disordine dei sensi non fosse venuta perdita di Grazia e di Innocenza e perciò anche di Scienza. E il Decalogo è insieme pietà e punizione. Pietà ai deboli, punizione ai derisori di Dio che compiono il male con cognizione di farlo. Il Decalogo, con la sua parte positiva: “Farai” e negativa: “Non farai”, crea il peccato con tutte le sue conseguenze. Poiché si pecca quando si sa di peccare, e l’uomo, dopo la Legge, non ebbe più la scusa di dirsi: “Non sapevo di peccare”. Il Decalogo è pietà, punizione e prova. Come “prova” era l’albero che sorgeva in mezzo all’Eden. Senza prova non ci può essere saggio dell’uomo. È detto che Dio prova l’uomo così come l’orafo saggia l’oro nel crogiolo 13. Solo le virtù forti, la carità sopra tutto, aderiscono al comando negativo della Legge. Perché generalmente l’uomo, per insinuazione satanica e per fomiti latenti, appetisce a ciò che è proibito. Onde veramente eroici sono coloro che schiacciano senso e tentazione sotto il peso del loro forte amore e non tendono le avide mani al frutto proibito. E questi sono i veri cristiani, coloro che non fanno mal uso dei meriti infiniti del Cristo, della Grazia ottenuta per suo mezzo e, tralci selvaggi innestati alla vera Vite, portano a Dio frutti copiosi di virtù attive, e perciò sono certi di avere eterna vita. Questi sono i veri cristiani, nei quali vivi sono i doni dello Spirito Santo, il Quale completa Gesù comunicando agli uomini in 11 Esodo 12, 1-14 12 Esodo 20, 1-17; Deuteronomio 5, 6-21 13 Proverbi 17, 3 116 grazia di Dio la scienza, il grande dono perduto col Peccato d’Adamo, la scienza senza la quale la Legge, data per essere “vita”, può divenire “morte”. Perché l’uomo che non possiede la scienza proporzionata al suo stato, non ha amore ordinato né a Dio, né alle creature, quali che siano; cade nelle diverse idolatrie, nella concupiscenza triplice 14; svisa la stessa religione in un ibrido accozzo di pratiche peccaminose quanto e più - essendo che il cristiano ha ricevuto col Battesimo l’infinito dono della Grazia - delle pratiche farisaiche condannate dal Verbo divino 15; non conosce se stesso, e perciò scambia il suo piacere con un ossequio al divino volere; altera in sé l’immagine e somiglianza di Dio; i doni avuti per suo bene li volge e impiega a fare e farsi il male; se fa elemosine lo fa non per misericordia ai miseri ma per averne lode umana; se scruta i misteri del Creato lo fa per esser glorificato dagli uomini ma non per dare gloria al Creatore. In tal modo le sue azioni perdono quel profumo che le rende sante agli occhi di Dio ed egli ha sulla Terra il suo fuggevole bene, ma “gelo e stridor di denti”, come diceva il Verbo 16, lo attende là dove non sono valutate le apparenze ma le verità delle azioni umane. E se, per aver fatto male il bene che poteva compiere e per la misericordia di Dio, evita il gelo infernale e l’infernale tortura, lunga sosta nella scuola del Purgatorio lo attende, onde impàri la carità vera che non è “eresia delle opere”, il flagello dei vostri giorni dove molti si affannano a servire Cristo soltanto con un agitarsi in pratiche e azioni esteriori, che lasciano i buoni quali sono e forse li scandalizzano, e non servono a migliorare i malvagi e a convertirli. La vera carità. L’esempio, perciò, di una vita profondamente, coscientemente cristiana, in tutto. La vera carità. Quella che Gesù voleva da Marta, che troppo si affannava di dare onori esteriori al Figlio di Dio 17. La vita di questo secolo non consente la contemplazione qua14 1 Giovanni 2, 16 15 Matteo 23, 1-11 16 Matteo 8, 13; 13, 42-49; 22, 13; 25, 30 17 Luca 10, 38-42 117 le molti la concepiscono. Ma Dio non benedice la sola azione. Egli vuole che vita attiva e contemplativa si completino, e le opere non siano soltanto fragore, agitazione e anche diatriba coi nemici, non siano “eresia”, ma religione, ossia lavoro che è preghiera per la continua offerta delle proprie azioni a Dio, compiendole tutte ad unica sua gloria, e la preghiera sia lavoro. Lavoro continuo su se stessi, riscalpellandosi sempre più secondo il divino Modello di Gesù Cristo, e sugli altri con l’esempio. Inutilmente gli uomini si agitano se Dio non benedice le loro azioni. Ma come volete che Dio sia con voi, benedicente, e le vostre azioni trionfino, se in esse non è attivo il dono di scienza per il quale un uomo si conduce in tutte le sue azioni secondo un fine santo e non per gloria propria?» (lezione 21a) 16 maggio 48. Pentecoste Dice il Dolce Ospite (dal 7 marzo lo Spirito Santo vuole che io lo chiami così): «Nell’ultima lezione per voi, uomini, e specie uomini preposti all’insegnamento della Verità e a quello della conoscenza dell’essenza di Dio, ossia della Carità senza la quale nel cuore non siete suoi figli, Io ho parlato della scienza vera e della scienza non vera, non completamente vera, perché spazia in plaghe di sapere umano. La vera scienza supera queste plaghe basse, misere, ristrette, relative, e si lancia, freccia d’oro ardente, oltre ciò che è umanità, incontro agli eterni Veri che sono la vera scienza o, con più giusto nome, la vera Sapienza. La vera sapienza si trova nel luminoso e ardente centro che è la Carità. Non è nel sapere molto di opere umane, e soprattutto non è nel discutere molto in lunghe, pedanti, scribaiche dispute teologiche, che si acquista la vera sapienza, ossia la vera conoscenza di ciò che è Dio, di ciò che vuole Dio, di ciò che si deve fare per possedere in eterno Dio. Ma è nell’amare molto. 118 Colui che perfettamente ama, perfettamente nella relatività dell’uomo - ma è amare perfettamente se amate con tutte le vostre forze - infonde la perfezione non solo nel suo spirito ma anche nel suo intelletto. Perché una intelligenza illuminata dalla carità è intelligenza perfetta. E intelligenza perfetta è intelligenza sopraumana, ossia intelligenza sapiente di quella scienza vera, che non ebbe bisogno di libri e di studi per essere nell’uomo, di quella scienza vera che Adamo ed Eva ebbero infusa, proporzionata al loro stato, nell’albore beato, puro, perfetto, dei primi giorni dell’Umanità, quella scienza vera che Dio infuse direttamente alla creatura fatta a sua immagine e somiglianza. E un dato di questa divina immagine e somiglianza è questa scienza del Vero eterno che Dio possiede senza misura, e che l’uomo doveva possedere nella misura a lui sufficiente e che lo doveva guidare in tutte le sue opere e rapporti fatti per amore a Dio, al prossimo e alle creature inferiori. Io, Carità e Sapienza, dico a voi: meno scienza a più amore, e possederete la Sapienza. 1 Volere spiegare con scienza umana il mistero di Dio ed i meravigliosi processi della Creazione, della evoluzione, della trasformazione delle cose create, è follia che degenera poi in eresia. Non si può spiegare l’origine del finito che contemplando con amore, ossia con fede - ché la fede non è mai disgiunta dall’amore - l’Infinito. La fede illumina la scienza e l’aiuta a comprendere. È come il latte materno che fa dell’infante un essere sempre più formato. Ma come non potrebbe un neonato sostenere e nutrire la madre e neppure un adulto, così non può la scienza nutrire e aiutare la fede. Perché fede è religione; e la religione permette alla creatura, intelligente ma limitata, di comprendere il sopraintelligibile e l’infinito. 1 Qui la scrittrice annota che bisogna andare a capo. Inoltre, a partire dal secondo capoverso della lezione, si trovano, a lato dello scritto, lunghi segni di matita rossa, quasi ad indicare l’importanza dell’argomento trattato. 119 E se scienza è sufficiente per conoscere le nozioni finite, sapienza - ossia fede e amore - è indispensabile per conoscere le verità eccelse. Nel credere è luce. Nell’analizzare per comprendere, disputare e accettare il mistero, perché investigato come un medico o un avvocato investigano su una malattia fisica o su una lesione morale, è creare tenebre a gelo. La fede non è contraria alla scienza. Anzi la scienza umana dalla religione trova aiuto a spiegarsi e a raggiungere le scoperte e le leggi del Creato. Ma mentre una scienza umana senza aiuto della religione deve necessariamente cadere nell’errore, la religione, anche senza aiuto della scienza, conduce alla Verità e alla conoscenza delle verità essenziali. Quando poi non le leggi naturali e i fatti naturali sono le cose investigate unicamente con scienza umana, ma si vogliono spiegare e investigare i misteri soprannaturali - Dio, che all’uomo è sempre mistero - allora più che all’errore si giunge alla negazione. La ragione, questa grande cosa che distingue l’uomo dal bruto, è grande se la si paragona all’istinto, unica luce degli esseri inferiori; ma è piccola, piccola, piccola cosa se si cimenta nell’investigazione di ciò che è Dio. E la ragione, se è umile, cade in ossequio davanti all’incomprensibile, infinito Iddio, gridando: “Credo! Per capirti credo, e la fede nella tua Rivelazione mi è luce, mi è alimento per ‘vivere’. Vivere di Te, in Te, con Te, per venire a Te e conoscerti quale sarà dato di conoscerti ai giusti, viventi nel tuo celeste Regno”. Né idealismo né positivismo spiegano Dio, la Creazione, la seconda 2 vita, né 3 servono a leggere le risposte ai perché scientifici scritte nei corpi umani, sulle pagine dei firmamenti, negli strati terrestri. Non spiegano Dio, la Creazione, la seconda vita, né la superbia della mente, che da sé vuol capire ciò che è superiore a umana ragione, né l’ignoranza, o la semi-ignoranza, che crede di sapere e di poter giudicare di ciò che, senza il mio 2 seconda è nostra trascrizione, qui a due righe più sotto, da IIa 3 né è nostra correzione da e 120 lume, non possono giudicare e sapere, in modo da giudicare giustamente, neppure quelli che sono chiamati i dottori nella religione. Ma tutto spiega la carità. Perché unisce a Dio, e mette Dio in voi, Ospite e Maestro. Per questo è giusta verità il detto che “veri teologi sono coloro che sono condotti dallo Spirito Santo, ossia dall’Amore” 4.» 4 Giovanni 16, 4-15 III° Quaderno di Lezioni del Dolce Ospite sulle Epistole Paoline. Fatto trascrivere, con aggiunte che lo completano, nel luglio 1950. Perciò questo non è da copiarsi, ma l’altro che pure porta il N. III dei quaderni di Lezioni del Dolce Ospite sulle Epistole Paoline. 1 Continuano qui le lezioni sull’Epistola ai Romani. Le altre lezioni sono sui due quaderni dati al R. P. Corrado M. Berti e, che ha ritenuto opportuno ritirarli benché l’ultimo non fosse ancora ultimato, così come è ben lontano dall’essere ultimato il commento dello Spirito Santo sull’Epistola ai Romani. Ma per tutto quello che devo di rispetto e riconoscenza e di riconoscirnento soprattutto, a Padre Corrado, per come si è sempre comportato con carità e con pazienza e con ubbidienza verso me povera creatura e verso i desideri del Signore, ho aderito a consegnare tutto quanto avevo. A chi ha tanto fatto per l’Opera è giusto che tanto venga dato. 1 Questa avvertenza si trova sul frontespizio del quaderno n. 111 (3° delle lezioni sull’Epistola ai Romani) e ad essa segue, a partire dalla prima pagina interna, il brano che anche noi riportiamo di seguito. Poi vengono lezioni (dal 20 maggio al 14 giugno 1948) che però riprendiamo, rispettando le indicazioni della scrittrice, dal quaderno n. 112, sul quale la scrittrice stessa le copiò con alcune correzioni e aggiunte. Le suddette lezioni non portano, in questa seconda stesura, la consueta introduzione: “Dice il Dolce Ospite”, che noi continuiamo ad inserire perché essa si trova sempre nella prima stesura delle stesse lezioni. 2 Vedi la nota 20 di pag. 47 121 Padre Migliorini 3 ha anche lui fatto tanto... Basterebbe pensare a quanto ha dattilografato! Ma... Ogni cosa ha il suo “ma”. E l’Opera ha questo “ma”: ma se non ci fosse stato Padre Berti era certo che, per il comportamento di tutti - o almeno di tutti meno pochissimi, vere eccezioni nella massa dei P. S. di M., che hanno sempre osteggiato, criticato, addolorato a dismisura, e solo da poco tempo hanno mutato sistema e pensiero verso l’Opera di Gesù e il povero strumento di Gesù - l’Opera avrebbe finito a non andare all’O. S. di M. Ma la dolcezza, la sincerità, l’onestà disarmano. Sì. Disarmano Dio e lo strumento di Dio che deve tenacemente difendere gli interessi e voleri di Dio, anche se ciò gli costa tanto, perché non è piacevole disputare, rimproverare e minacciare castighi. Io non so quanto ancora resterò sulla Terra, né se mi sarà dato di vedere l’Opera stampata. Ma ci tengo a dichiarare che se l’Opera andrà a dare luce e bene alle anime, e lustro all’O. S. di M., anime a S. di M. devono aver gratitudine per P. Berti e P. Migliorini che, in modo diverso, ma con unica costanza, hanno lavorato perché la Volontà divina si compisse e le anime avessero il dono di Dio. E mi piace, dopo i due primi, costanti lavoratori di Dio, ricordare pochi altri che cooperarono, con carità, a dare sollievo allo strumento e aiuto ai due principali artefici del trionfo della Volontà di Dio e della sua Parola: il R. P. Gargiani, P. Sostegno Benedetti e P. Tozzi e P. Mariano De Santis. (lezione 22a) 20 - 5 - 1948 S. Paolo. Ai Romani c. 7. Dice il Dolce Ospite: «Dal v. 14 al v. 25, è lezione che andrebbe sempre ripetuta dai maestri di spirito a loro stessi; alle anime farisaiche che vedono il bruscolo nell’occhio dei fratelli e lo censurano aspramente, mentre non vedono la trave dell’anticarità che è nel loro e che schiaccia il loro spirito sotto il peso dell’egoismo e della superbia 4; e andrebbe ripetuta alle povere anime - oh! meno colpe- 3 Brevi cenni biografici del P. Romualdo M. Migliorini, che per circa quattro anni fu direttore spirituale della scrittrice, si trovano ne I quaderni del 1943, pag. 13, nota 3. 4 Matteo 7, 1-5; Luca 6, 37-42 122 voli di quelle farisaiche, anche se sono colpevoli e se ne dolgono perché riconoscono di esserlo, e umiltà e pentimento sono già assoluzione - e alle povere anime che hanno peccato a piangono temendo il Signore, Giudice della loro debolezza. Perché questi 12 versetti sono regola nel giudicare gli uomini e misura nel giudicare ciò che sarà il giudizio di Dio verso i peccatori pentiti. Chi li ha scritti è Paolo, fariseo, figlio di farisei, discepolo di Gamaliele 5, di quel Gamaliele che era una biblioteca vivente di tutta la dottrina di Israele. Paolo, prima feroce persecutore di quelli che credeva anatema, poi vaso di elezione e di giustizia, apostolo perfetto, eroico nell’evangelizzare e nel reprimere l’antico suo io, degno di salire con la parte eletta della sua anima al terzo cielo e udirvi le misteriose parole divine 6. Un uomo, dunque, che per l’intransigenza della sua prima epoca di vita e per l’eroicità della sua seconda epoca di vita, potrebbe pensarsi essere stato sempre al di sopra degli stimoli carnali. Se lo fosse stato, però, non avrebbe potuto essere “l’Apostolo dei Gentili”, di quelli cioè che la licenza consentita dal paganesimo faceva, salvo poche eccezioni di spiriti naturalmente virtuosi, più bruti che creature dotate di ragione e coscienza. Solo Gesù, Uomo-Dio, poté comprendere i peccatori pur non avendo peccato. Per ogni altro maestro è un doloroso bene l’avere, nel poco o nel tanto, ceduto al demonio, al mondo, alla carne, perché nella conoscenza della forza delle tentazioni e della debolezza propria, acquista la sapienza per essere maestro e medico ai discepoli e ai fratelli peccatori. Voglio che osserviate la regola del Maestro divino nello 7 scegliersi il collegio apostolico e i 72. Nel primo, solo Giovanni era vergine. Nei secondi, meno pochi, quasi ancora fanciulli quando divennero discepoli, non uno che non avesse morso all’appetitoso frutto, via ad ogni altro cedimento alla colpa. Erano uomini. Nulla più che uomini. Figli di Adamo. E il fomite si 5 Atti 5, 34; 22, 3 6 2 Corinti 12, 1-4 7 nello è nostra correzione da nel 123 agitava come serpe nei loro corpi. Il ramo della concupiscenza carnale era vivo anche nei più giusti fra loro, ossia in quelli che avevano domato già la concupiscenza dell’oro e la superbia della vita. Ma nessuno era senza imperfezioni. Neppure lo stesso Giovanni, il serafino dei discepoli del Maestro. Facile all’ira, come il fratello, meritò il nome di “figlio del tuono” 8 da Colui che lo amava. L’apostolo della Carità, perfetto nell’amore al Maestro, divenne apostolo della carità contemplando la mansuetudine, la carità, la misericordia del Martire divino dall’alba al tramonto del venerdì pasquale, e depose per sempre l’abito dell’ira davanti alla nudità Ss. del Re dei re che si spogliò finanche della sua immortalità divina per conoscere la morte e salvare l’uomo. Gesù Dio, scorrendo la Terra - lo poteva fare se lo avesse voluto fare - avrebbe potuto trovare, negli abitanti dei 3 continenti di allora, 12 e 72 giusti più giusti dei 12 e 72 che scelse in Israele. Perché Dio Creatore ha messo (e mette) nell’anima di ogni uomo un dono eccelso, che sviluppa nei migliori santità di vita quale che sia la loro conoscenza della Divinità: la legge naturale. E chi la osserva e la riconosce come veniente dall’Ente supremo, da Dio, o dalla deità massima della propria religione, può, senza errare, dirsi che è spirito naturalmente unito al Dio vero Uno e Trino. Il Re universale poteva dunque col suo volere chiamare a Sé dai 3 continenti 12 e 72, così come per voce d’astri aveva chiamato alla sua cuna i 3 Savi 9, ed avere così un Collegio di giusti al suo servizio. Non lo fece. Prese degli uomini molto umani. Materia grezza, informe, con molte parti impure. La formò. Soffrì nel farlo per le defezioni e i tradimenti di parti di essa. Ma alla sua Ascensione lasciò una Chiesa docente capace di continuarlo nella redenzione del mondo. Capace per la dottrina e l’esempio avuti dal Verbo; capace per l’aiuto dello Spirito Santo, ricevuto da Gesù risorto 8 Marco 3, 17 9 Matteo 2, 1-12 10 prima è nostra trascrizione da Ia 124 una prima 10 volta nel Cenacolo 11, e una seconda volta, nello stesso Cenacolo, 10 giorni dopo l’Ascensione 12, come da promessa divina, e per diretta azione dello Spirito Santo, onde i 12 fossero ripieni dello Spirito Paraclito e lo potessero trasmettere ai loro coadiutori nel ministero sacerdotale; e capace infine perché, istruita nei diversi membri di Essa dalla conoscenza propria delle loro debolezze, delle loro lotte di uomini per formarsi nella giustizia, delle loro ricadute, non fosse incapace di essere maestra, ma sapesse capire, compatire, sorreggere, guidare coloro che venivano al cristianesimo deboli tutti perché uomini, debolissimi nello spirito perché pagani, essendo il paganesimo dottrina di materialità e di piacere sfrenato. Questo è il prologo alla lezione tratta dai versetti che ti ho indicato e che ti spiegherò domani, non consentendo il tuo stato più lunga fatica.» 11 Giovanni 20, 22-23 12 Atti 2, 1-4 (lezione 23a) 21/28-5-1948 Ai Romani c. VII v. 14-25. Dice il Dolce Ospite: «Per ben comprendere le parole di Paolo, bisogna ben considerare il Peccato d’origine 1. Lezione data molte volte, ma che non è mai data troppe volte, perché la dolorosa realtà di quel peccato e le dolorose conseguenze reali di esso sono sovente negate o messe in dubbio da molti, da troppi. E tra questi non mancano quelli che più di tutti dovrebbero esser convinti della realtà del peccato originale e delle sue conseguenze per gli studi compiuti, e soprattutto per le loro esperienze di ministero che mette di continuo sotto i loro occhi saggi della decadenza dell’uomo che, da creatura perfetta, 1 Genesi 3; Romani 5 125 per il peccato di origine si è mutata in creatura debole ed imperfetta contro gli assalti di Satana e di ciò che è intorno ed entro all’uomo, meravigliosa creazione invidamente turbata dal Nemico di Dio. Alcuno dirà: “Lezione che si ripete, perciò lezione inutile”. Sempre utile, perché, al bisogno, non la sapete mai abbastanza, né per voi stessi, né per gli altri. Troppo preme a Satana che voi non la sappiate! E perciò esso crea in voi nebbie ad offuscarvi la giusta conoscenza di questo episodio che non ha avuto termine e limite nel giorno che lo vide e negli esseri che lo compirono, ma che, come per seme e per sangue tutti gli uomini hanno ereditato la vita (esistenza) da Adamo e da Eva - e nell’ultimo uomo nato sulla Terra sarà ancora la discendenza dei due Primi Uomini - così, per funesta eredità, si propaga dal primo generante, Adamo, di progenie in progenie a tutti i figli dell’uomo sino all’ultimo generato. Per ben comprendere la confessione di Paolo, che è la desolata voce di tutti gli uomini che, volonterosi di operare perfettamente il bene, si sentono impotenti ad eseguirlo con la perfezione desiderata, bisogna contemplare il frutto della Colpa prima, e perciò anche la Colpa prima, per non trovare ingiusta la condanna e la conseguenza. Paolo confessa: “Io sono carnale, venduto e soggetto al peccato”. E prosegue: “Non so quel che faccio; non faccio il bene che voglio, ma il male che odio. Anche se faccio quello che non voglio, riconosco ugualmente che la legge è buona (nel proibire o comandare ciò che proibisce e comanda), però (quando faccio il male che odio con la mia parte migliore mentre non faccio il bene che vorrei fare) non sono, in questi momenti, io che opero, ma il peccato che abita in me... Nella mia carne non abita il bene... È in me la volontà di farlo, ma non trovo la via di compierlo... Quando voglio fare il bene, il male mi è già a lato... Mi diletto della Legge di Dio secondo l’uomo interiore, ma vedo nelle mie membra un’altra legge che si oppone alla legge della mia mente e mi fa schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra...”. 126 “Io sono carnale”. Anche Adamo era formato di carne oltre che di spirito. Ma non era carnale, in quanto sopra la materia signoreggiavano lo spirito e la ragione. E lo spirito innocente e pieno di Grazia aveva somiglianza mirabile col suo Creatore, in quanto era intelligente tanto da comprendere quanto supera tutte le cose naturali. L’elevazione dell’uomo all’ordine soprannaturale, ossia alla figliolanza da Dio per mezzo della Grazia, aveva elevato l’intelligenza dell’uomo, già vastissima per il dono preternaturale di scienza infusa e capace perciò di capire tutte le cose naturali, alla intelligenza soprannaturale del poter comprendere ciò che è incomprensibile a chi non vi è predisposto da un dono soprannaturale: del poter comprendere Dio e, in misura minore, di poter essere una sua immagine fedele per l’ordine e la giustizia, per la carità, la sapienza, la libertà da ogni restrizione avvilente. Splendida libertà dell’uomo pieno di grazia! Libertà rispettata da Dio stesso, libertà non insidiata da forze esteriori o da stimoli interiori. Regalità sublime dell’uomo deificato, figlio di Dio ed erede del Cielo, regalità dominante su tutte le creature e su quel che ora vi è sovente tiranno: l’io in cui fermentano senza posa i veleni della gran ferita. Quando si dice: “l’uomo, re del creato sensibile, è stato creato con potere di dominio su tutte le creature”, occorre riflettere che egli, per la Grazia, e per gli altri doni ricevuti sin dal primo momento del suo essere, era formato ad essere re anche di se stesso e della sua parte inferiore, per la conoscenza del suo fine ultimo, per l’amore che lo faceva tendere soprannaturalmente ad esso, e per il dominio sulla materia e i sensi esistenti in essa. Unito all’Ordine e amante dell’Amore, era formato a saper dare a Dio ciò che gli è dovuto, e all’io ciò che è lecito dargli, senza disordini nelle passioni o sfrenatezza degli istinti. Spirito, intelletto e materia, costituivano un tutto armonico in lui, e a quest’armonia pervenne sin dal primo momento del suo essere, non per fasi successive, come vogliono alcuni. Non ci fu autogenesi, e non ci fu evoluzione; ma ci fu la Creazione voluta dal Creatore. La ragione, di cui siete tanto orgoglio127 si, dovrebbe farvi persuasi che dal nulla non si forma la cosa iniziale, e dalla cosa unica ed iniziale non può venire il tutto. Solo Dio può ordinare il caos e popolarlo delle innumeri creature che formano il Creato. E questo potentissimo Creatore non ha avuto limitazioni nel suo creare, che fu molteplice, né nel creare creature già perfette, ognuna perfetta secondo il fine per il quale è stata creata. È stolto pensare che Dio abbia creato, volendo darsi un Creato, cose informi, attendendo di essere da esse glorificato quando le singole creature, a tutte le creature, avessero raggiunto, con successive evoluzioni, la perfezione della loro natura perché fossero atte al fine naturale o soprannaturale per il quale sono state create. E se questa verità è sicura per le creature inferiori, con un fine naturale e limitato nel tempo, ancor più è certa per l’uomo, creato per un fine soprannaturale e con destino immortale di gloria celeste. Può pensarsi un Paradiso le cui legioni di Santi, alleluianti intorno al trono di Dio, siano il prodotto ultimo di una lunga evoluzione di belve? L’uomo attuale non è il risultato di un’evoluzione ascendentale, ma il doloroso risultato di una evoluzione discendentale, in quanto la colpa di Adamo ha per sempre leso la perfezione fisico-morale-spirituale dell’uomo originale. Tanto l’ha lesa che neppure la Passione di Gesù Cristo, pur restituendo la vita della Grazia a tutti i battezzati, può annullare i residui della colpa, le cicatrici della gran ferita, ossia quei fomiti che sono la rovina di coloro che non amano o poco amano Dio, e il tormento dei giusti, che vorrebbero non avere neppure il pensiero più fugace attirato dalle voci dei fomiti e che lottano per tutta la vita l’eroica battaglia pur di rimanere fedeli al Signore. L’uomo non è il risultato di un’evoluzione, così come il Creato non è il prodotto di un’autogenesi. Per avere un’evoluzione occorre avere sempre una prima sorgente creativa. E pensare di avere avuto dalla autogenesi di una sola cellula le infinite specie, è un assurdo impossibile. Per vivere, la cellula ha bisogno di un terreno vitale in cui siano gli elementi che permettono e mantengono la vita. Se la cel128 lula si autoformò dal nulla, dove trovò gli elementi per formarsi, vivere e riprodursi? Se essa non era ancora quando iniziò ad essere, come trovò gli elementi vitali: aria, luce, calore, acqua? Ciò che non è ancora, non può creare. E come allora essa, la cellula, trovò al suo formarsi i quattro elementi? E chi le dette, quale sorgente, il germe “vita”? E quando, per ipotesi, questo inesistente avesse potuto formarsi dal nulla, come, dalla sua unica unità e specie, avrebbero potuto venire tante specie diverse quante sono quelle che si trovano nel Creato sensibile? Astri e pianeti, zolle, rocce, minerali, le svariate numerosissime qualità del regno vegetale, le ancor più diverse e numerose specie e famiglie del regno animale, dai vertebrati agli invertebrati, dai mammiferi agli ovipari, dai quadrupedi ai quadrumani, dagli anfibi e rettili ai pesci, dai carnivore feroci ai miti ovini, da quelli armati e vestiti di dure armi di offesa e difesa agli insetti che un nulla basta a distruggere, dai giganteschi abitatori delle vergini foreste, all’assalto dei quali non resistono che colossi pari loro, a tutta la classe degli artropodi sino ai protozoi e bacilli; tutti venuti da un’unica cellula? Tutto da una spontanea generazione? Se così fosse, la cellula sarebbe più grande dell’Infinito. Perché l’Infinito, il Senza Misura in ogni suo attributo, operò per sei giorni, sei epoche, a fare il Creato sensibile, suddividendo il lavoro creativo in sei ordini di creazioni ascendenti, evolventi, questo sì, verso una perfezione sempre maggiore 2? Non già perché Egli imparasse sempre più a creare, ma per l’ordine che regola tutte le sue divine operazioni. Il quale ordine sarebbe stato violato - e si sarebbe così reso impossibile il sopravvivere dell’ultima creatura creata: l’uomo - se questi fosse stato fatto per primo, e prima che fosse stata creata la Terra in tutte le sue parti, e resa abitabile per l’ordine messo nelle sue acque e nei suoi continenti, e resa confortevole per la creazione del firmamento; fatta luminosa, bella, feconda, dal benefico sole, dalla lucente luna, dalle stelle innumerevoli; fatta dimora, di2 Genesi 1 129 spensa, giardino all’uomo per tutte le creature vegetali e animali di cui è coperta e popolata. Il sesto giorno fu fatto l’uomo, nel quale sono in sintesi rappresentati i tre regni del Creato sensibile e, in meravigliosa verità, la sua creazione da Dio per l’anima spirituale infusa da Dio nella materia dell’uomo. L’uomo: vero anello di congiunzione fra Terra e Cielo, vero punto di unione fra il mondo spirituale e quello materiale, l’essere in cui la materia è tabernacolo allo spirito, l’essere in cui lo spirito anima la materia non già solo per la vita limitata mortale, ma per la vita immortale dopo la finale risurrezione. L’uomo: la creatura in cui splende e dimora lo Spirito Creatore. L’uomo: la meraviglia della potenza di Dio che infonde il suo soffio, parte 3 di Se stesso Infinito, nella polvere elevandola alla potenza di uomo, e dona ad esso la Grazia che eleva la potenza dell’uomo animale alla potenza della vita e condizione di creatura soprannaturale, di figlio di Dio per partecipazione di natura, facendola capace di mettersi in diretta relazione con Dio, disponendola a comprendere l’Incomprensibile, rendendole possibile e lecito l’amare Colui che sovrasta talmente ogni altro essere che, senza un suo divino dono, non potrebbe l’uomo, per capacità e per venerabondo rispetto, anche soltanto desiderare di amare. L’uomo: il creato triangolo che poggia la base - la materia - sulla Terra da cui fu tratto; che tende con le sue facoltà intellettuali ad ascendere alla conoscenza di Colui a cui somiglia; e tocca col suo vertice - lo spirito dello spirito, la parte eletta dell’anima - il Cielo, perdendosi nella contemplazione di Dio-Carità mentre la Grazia, ricevuta gratuitamente, lo unisce a Dio, e la carità, accesa dall’unione con Dio, lo deifica. Poiché: “colui che ama è nato da Dio” 4, ed è privilegio dei figli partecipare della somiglianza di natura. Per l’anima deificata dalla Grazia, dun3 Nel senso di “partecipazione”, come è detto tre righe più sotto e come è spiegato ne I quaderni del 1943, pagg. 366-367 a 404 4 1 Giovanni 4, 7 130 que, l’uomo è immagine di Dio, e per la carità, possibile per la Grazia, è somigliante a Dio. Il sesto giorno fu dunque creato l’uomo, completo, perfetto in ogni sua parte materiale e spirituale, fatto secondo il Pensiero di Dio, secondo l’ordine (il fine) per cui era stato creato: amare e servire il suo Signore durante la vita umana, conoscerlo nella sua Verità, e quindi godere di Lui, per sempre, nell’altra. Fu creato l’unico Uomo, quello dal quale doveva venire tutta l’Umanità, e per prima la Donna compagna dell’Uomo a all’Uomo, col quale avrebbe popolato la Terra regnando su tutte le altre creature inferiori. Fu creato l’unico Uomo, quello che come padre avrebbe trasmesso ai suoi discendenti tutto quanto aveva ricevuto: vita, sensi, facoltà materiali, nonché immunità da ogni sofferenza, ragione, intelletto, scienza, integrità, immortalità, e infine, dono dei doni, la Grazia. La tesi dell’origine dell’uomo secondo la teoria evoluzionista, che si appoggia sulla conformazione dello scheletro e sulla diversità dei colori della pelle e dell’aspetto per sostenere il suo errato asserto, non è tesi contro la verità dell’origine dell’uomo - creatura creata da Dio - ma a favore. Perché ciò che rivela l’esistenza di un Creatore è proprio la diversità dei colori, delle strutture, delle specie delle creature da Lui, il Potentissimo, volute. E se questo vale per le creature inferiori, più ancora vale per la creatura-uomo; il quale è uomo creato da Dio anche se, per circostanze di clima e di vita, e anche per corruzione - per cui venne il diluvio 5 e poi, molto dopo, nelle prescrizioni del Sinai e nelle maledizioni mosaiche, così severo comando e castigo (Levitico c. XVIII v. 23 a Deuter.mio c. XXVII v. 21) - mostra diverso aspetto e colore da razza a razza. È cosa provata, ratificata e confermata da continue prove, che una forte impressione può agire sulla madre concepiente in modo da farle dare alla luce un piccolo mostro che ripete nelle sue forme l’oggetto che turbò la madre. Anche è cosa provata 5 Genesi da 7, 17 a 8, 14 131 che la lunga convivenza tra genti di razza diversa dall’ariana, produce, per mimetismo naturale, una trasformazione più o meno accentuata dei tratti di un volto ariano in quelli di popoli che non sono ariani. È pure provato che speciali condizioni di ambiente e di clima influiscono sullo sviluppo delle membra e sul colore della pelle. Perciò le nuvole su cui gli evoluzionisti vorrebbero posare l’edificio della loro presunzione non sostengono lo stesso, ma anzi favoriscono il crollo dello stesso. Nel diluvio perirono i rami corrotti dell’umanità brancolante nelle tenebre conseguenti alla caduta, nelle quali, e solo per i pochi giusti, come attraverso a nebbie pesanti, giungeva ancora un solo raggio della perduta stella: il ricordo di Dio e della sua promessa. Perciò, distrutti i mostri, l’Umanità fu conservata e moltiplicata nuovamente dalla stirpe di Noè, giudicata giusta da Dio. Venne perciò resa alla natura prima del primo 6 uomo; fatta sempre di materia e di spirito, e rimasta tale anche dopo che la colpa aveva spogliato lo spirito della Grazia divina e della sua innocenza. Quando e come avrebbe l’uomo dovuto ricevere l’anima, se egli fosse il prodotto ultimo di un’evoluzione dai bruti? È da supporsi che i bruti abbiano ricevuto insieme alla vita animale l’anima spirituale? L’anima immortale? L’anima intelligente? L’anima libera? È bestemmia solo il pensarlo. Come allora potevano trasmettere ciò che non avevano? E poteva Dio offendere Se stesso infondendo l’anima spirituale, il suo divino soffio, in un animale, evoluto sin che si vuole pensarlo ma sempre venuto da una lunga procreazione di bruti? Anche questo pensiero è offensivo al Signore. Dio, volendosi creare un popolo di figli per espandere l’amore di cui sovrabbonda e ricevere l’amore di cui è sitibondo, ha creato l’uomo direttamente, con un suo volere perfetto, in un’unica operazione avvenuta nel sesto giorno creativo, nella quale fe6 primo è nostra trascrizione da I° 132 ce della polvere una carne viva e perfetta, che poi ha animata, per la sua speciale condizione di uomo, figlio adottivo di Dio ed erede del Cielo, non già solo dell’anima “che anche gli animali hanno nelle nari” 7 e che cessa con la morte dell’animale, ma dell’anima spirituale che è immortale, che sopravvive oltre la morte del corpo e che rianimerà il corpo, oltre la morte, al suono delle trombe del Giudizio finale e del Trionfo del Verbo Incarnato, Gesù Cristo, perché le due nature, che insieme vissero sulla Terra, vivano insieme gioendo o soffrendo, a seconda di come insieme meritarono, per l’eternità. Questa è la verità. Sia che l’accogliate o che la respingiate. Ma nonostante che in molti vogliate respingerla ostinatamente, un attimo verrà che la conoscerete perfettamente, e vi si scolpirà nello spirito, facendovi convinti di aver perso il Bene in eterno per voler seguire superbia e menzogna. Vero è che chi non ammette la creazione dell’uomo per opera di Dio - e creazione così come ho detto, ossia in modo tale da renderlo subito e sempre capace, se vuole, di guidarsi in tutte le sue azioni perché tutte siano volte al raggiungimento del fine per cui l’uomo fu creato; fine immediato: amare e servire Dio durante la vita terrena; fine ultimo: goderlo nel Cielo - non può capire con esattezza da che esattamente è costituita la Colpa, il perché della condanna, le conseguenze di esse due. Ma seguitemi. La mia parola è luminosa e semplice perché sono Dio. E Dio, Sapienza Infinita, sa adeguarsi all’ignoranza e relatività dei suoi piccoli, perché Io amo i piccoli, purché siano umili, e dico loro: “Chi è piccolo venga a Me, ed Io gli insegnerò la Sapienza” 8. La prova. Quando l’uomo si destò dal suo primo sonno e trovò al suo fianco la compagna, sentì che la sua felicità era stata resa da Dio completa. 7 Qoelet (volgata: Ecclesiaste) 3, 19-21 8 Proverbi 9, 1-6 133 Era già tanto grande anche prima. Tutto in Adamo ed intorno ad Adamo era stato fatto perché egli godesse una felicità completa, sana e santa, e la delizia, ossia l’Eden, non era soltanto intorno ma anche dentro all’Adamo. Lo circondava il giardino pieno di bellezze vegetali, animali ed equoree, ma entro di lui un giardino di bellezze spirituali fioriva con virtù d’ogni genere, pronte a maturarsi in frutti di santità perfetta; e vi era l’albero della scienza adatto al suo stato, e quello della vita soprannaturale: la Grazia; né vi mancavano le acque preziose della divina fonte che si divideva in quattro rami e irrorava di sempre nuova onda le virtù dell’uomo, onde crescessero giganti, a farlo sempre più specchio fedele di Dio. Come creatura naturale godeva di ciò che vedeva: la bellezza di un mondo vergine, testé uscito dal volere di Dio; godeva di ciò che poteva: la sua signoria sulle creature inferiori. Tutto era stato messo da Dio al servizio dell’uomo: dal sole all’insetto, perché tutto gli fosse delizia. Come creatura soprannaturale godeva - un’estasi ragionante e soavissima - della comprensione della Essenza di Dio: l’Amore; dei rapporti d’amore fra l’Immenso che si donava e la creatura che lo amava adorando. La Genesi adombra questa facoltà dell’uomo e questo comunicarsi a lui di Dio, nella frase: “avendo udito la voce di Dio che passeggiava nell’Eden nel fresco della sera” 9. Per quanto il Padre avesse dato ai figli adottivi una scienza proporzionata al loro stato, pure ancora li ammaestrava. Perché infinito è l’amore di Dio, e dopo aver dato anela a nuovamente dare, e tanto più dà quanto più la creatura gli è figlia. Dio si dà sempre a chi a Lui si dà generosamente. Quando, dunque, l’uomo si svegliò e vide la donna sua simile, sentì che la sua felicità di creatura era completa avendo il tutto umano e avendo il Tutto soprumano, essendosi l’Amore dato all’amor dell’uomo. Unica limitazione messa da Dio all’immenso possedere dello 9 Genesi 3, 8 134 uomo era il divieto di cogliere i frutti dell’Albero della Scienza del bene e del male. Raccolto inutile, ingiustificato, sarebbe stato questo, avendo l’uomo già quella scienza che gli era necessaria, e una misura superiore a quella stabilita da Dio non poteva che causare danno. Considerate: Dio non proibisce di cogliere i frutti dell’albero della Vita, perché di essi l’uomo aveva natural bisogno per vivere una esistenza sana e longeva, sino a che un più vivo desiderio divino di svelarsi totalmente al figlio d’adozione non facesse pronunciare a Dio il: “Figlio, ascendi alla mia dimora e inabìssati nel tuo Dio”, la chiamata, senza sofferenza di morte, al celeste Paradiso. L’Albero della Vita che si incontra al principio del Libro della Grande Rivelazione (Genesi c. II v. 9 e c. III v. 22), e che si ritrova nuovamente alla fine del Libro della Grande Rivelazione: la Bibbia (Apocalisse di Giovanni c. XXII v. 2 e v. 14), è figura del Verbo Incarnato - il cui frutto, la Redenzione, pendé dal legno della croce - di quel Gesù Cristo che è Pane di Vita, Fonte d’Acqua Viva, Grazia, e che vi ha reso la Vita con la sua Morte, e sempre potete mangiare e bere di Lui, per vivere la vita dei giusti e giungere alla Vita eterna. Dio non proibisce ad Adamo di cogliere i frutti dell’Albero della Vita, ma vieta di cogliere quelli, inutili, dell’Albero della Scienza. Perché un eccesso di sapere avrebbe svegliato la superbia nell’uomo, che si sarebbe creduto uguale a Dio per la nuova scienza acquisita e stoltamente creduto capace di poterla possedere senza pericolo, con il conseguente sorgere di un abusivo diritto di auto-giudizio delle azioni proprie, e dell’agire, di conseguenza, calpestando ogni dovere di filiale ubbidienza verso il suo Creatore - dato che ormai gli era simile in scienza - del suo Creatore che gli aveva amorosamente indicato il lecito e l’illecito, direttamente o per grazia e scienza infuse. La misura data da Dio è sempre giusta. Chi vuole più di quanto Dio gli ha dato, è concupiscente, imprudente, irriverente. Offende l’amore. Chi prende abusivamente è un ladro e un violento. Offende l’amore. Chi vuol agire indipendentemente da ogni 135 ossequio alla Legge soprannaturale e naturale è un ribelle. Offende l’amore. Davanti al comando divino i Progenitori dovevano ubbidire, senza porsi dei perché che sono sempre il naufragio dell’amore, della fede, della speranza. Quando Dio ordina, o agisce, si deve ubbidire e fare la sua volontà, senza chiedere perché ordina o agisce in quel dato modo. Ogni sua azione è buona, anche se non sembra tale alla creatura limitata nel suo sapere. Perché non dovevano andare a quell’albero, cogliere quei , mangiare di quei frutti? Inutile saperlo. Ubbidire è utile, e non altro. E accontentarsi del molto avuto. L’ubbidienza è amore e rispetto, ed è misura di amore e rispetto. Tanto più si ama e si venera una persona e tanto più la si ubbidisce. Ora qui, essendo Colui che ordinava Dio - l’infinitamente Grande, il Buono, il Benefattore munifico dell’uomo - l’uomo, e per rispetto e per riconoscenza, doveva dare a Dio non “molto” amore, ma “tutto” l’amore adorante di cui era capace, e perciò tutta l’ubbidienza, senza analizzare le ragioni del divino divieto. Le discussioni presuppongono un autogiudizio e una critica all’ordine od azione altrui. Giudicare è difficile cosa e raramente il giudizio è giusto; ma non lo è mai quando giudica inutile, errato, o ingiusto, un ordine divino. L’uomo doveva ubbidire. La prova di questa sua capacità, che è misura d’amore e rispetto, era nel modo con cui avrebbe o non avrebbe saputo ubbidire. Il mezzo: l’albero e il pomo. Due cose piccole, insignificanti, se paragonate alle dovizie che Dio aveva concesso all’uomo. E che? Si era dato Lui: Dio, a vietava di mirare un frutto? E che? Aveva dato alla polvere la vita naturale e soprannaturale, aveva infuso il suo soffio nell’uomo, e vietava di cogliere un frutto? E che? Aveva fatto l’uomo re di tutte le creature e lo considerava non suddito suo, ma figlio, e vietava di mangiare un frutto? A chi non sa sapientemente meditare, questo episodio può 136 sembrare un puntiglio inspiegabile, simile al capriccio di un benefattore che, avendo ricoperto un mendico di ricchezze, gli vieti, poi, di raccogliere un sassolino giacente nella polvere. Ma così non è. Il pomo non era solo la realtà: frutto. Era anche il simbolo. Il simbolo del diritto divino e del dovere umano. Anche quando Dio chiama e benefica straordinariamente, i beneficati devono sempre ricordarsi che Egli è Dio e che l’uomo non deve mai prevaricare, anche se si sente straordinariamente amato. Eppure questa è la prova che pochi eletti sanno superare. Vogliono più di quanto già non abbiano avuto, e vanno a cogliere il non dato. E trovano così il Serpente ed i suoi frutti velenosi. Attenti, o eletti di Dio! Ricordate sempre che nel vostro giardino, così colmo dei doni di Dio, c’è sempre l’albero della prova e intorno ad esso cerca sempre di avvinghiarsi l’Avversario di Dio e vostro, per strappare a Dio uno strumento e sedurvi alla superbia e cupidigia, alla ribellione. Non violate il diritto di Dio. Non calpestate la legge del dovere vostro. Mai. 10 Molti sembrano, troppi secondo alcuni, gli strumenti di Dio, le “voci”. Io dico a voi tutti, teologi e fedeli, che cento volte cento di più sarebbero, se tutti coloro che Dio chiama a speciale ministero sapessero non cogliere ciò che Dio non ha dato, per avere più ancora. Tutti i fedeli hanno nel Decalogo, albero della scienza del Bene e del Male, la loro prova di fede, di amore, di ubbidienza. Per le “voci” e gli strumenti straordinari più che mai è allettante quell’albero e insidiato da Satana. Perché più grande è il donato, e più è facile il sorgere della superbia e della cupidigia, la presunzione di essere sicuri di salvarsi in ogni modo. Invece Io vi dico che chi più ha avuto, più è in dovere d’essere perfetto per non avere grande condanna, quale non sarà data a chi, avendo poco avuto, ha l’attenuante dell’avere poco saputo. 10 La scrittrice stessa annota, a questo punto, che bisogna andare a capo 137 Prevengo una domanda. Quell’albero portava dunque frutti buoni e frutti cattivi? Portava frutti non diversi da quelli di ogni altra pianta. Ma era pianta di bene e di male, lo diveniva a seconda del comportarsi dell’uomo, non tanto verso la pianta quanto verso l’ordine divino. Ubbidire è bene. Disubbidire è male. Dio sapeva che a quell’albero sarebbe andato Satana, per tentare. Dio tutto sa. Il malvagio frutto era la parola di Satana gustata da Eva. Il pericolo di accostare la pianta era nella disubbidienza. Alla scienza pura che Dio aveva dato, Satana inoculò la sua malizia impura, che presto fermentò anche nella carne. Ma prima Satana corruppe lo spirito facendolo ribelle, poscia l’intelletto facendolo astuto. Oh! ben conobbero, dopo, la scienza del Bene e del Male! Perché tutto, persino la nuova vista, per cui conobbero d’esser nudi, li avvertì della perdita della Grazia, che li aveva fatti beati nella loro intelligente innocenza sino a quell’ora, e perciò della perdita della vita soprannaturale. Nudi! Non tanto di vesti quanto dei doni di Dio. Poveri! Per aver voluto essere come Dio. Morti! Per aver temuto di morire con la loro specie se non avessero agito direttamente. Hanno commesso il primo atto contro l’amore con la superbia, la disubbidienza, la diffidenza, il dubbio, la ribellione, la concupiscenza spirituale e, per ultimo, con la concupiscenza carnale. Dico: per ultimo. Alcuni credono che sia invece stato l’atto primo la concupiscenza carnale. No. Dio è ordine in tutte le cose. Anche nelle offese verso la legge divina, l’uomo peccò prima contro Dio, volendo essere simile a Dio: “dio” nella conoscenza del Bene e del Male, e nella assoluta, e perciò illecita, libertà di agire a suo piacere e volere contro ogni consiglio e divieto di Dio; poscia contro l’amore, amandosi disordinatamente, negando a Dio l’amore riverenziale che gli è dovuto, mettendo l’io al posto di Dio, odiando il suo prossimo futuro: la sua stessa prole, alla quale procurò l’eredità della colpa a della condanna; in ultimo contro la sua dignità di creatura regale che aveva avuto il dono di perfetto dominio sui sensi. 138 Il peccato sensuale non poteva avvenire sinché durava lo stato di Grazia e gli altri stati conseguenti. Poteva esserci tentazione ma non consumazione della colpa sensuale sinché durava l’innocenza, e perciò il dominio della ragione sul senso. Castigo. Non sproporzionato, ma giusto. Per capirlo bisogna considerare la perfezione di Adamo ed Eva. Considerando quel vertice, si può misurare la grandezza della caduta in quell’abisso. Se alcuni di voi venissero presi da Dio e messi in un nuovo Eden, lasciandovi quello che siete, ma dandovi gli stessi comandi che dette ad Adamo, e voi disubbidiste come Adamo, credete voi che Dio vi condannerebbe con l’uguale rigore con cui condannò Adamo? No. Dio è giusto. Sa quale tremenda eredità è in voi. Le conseguenze del peccato d’origine sono state riparate dal Cristo, per quanto è la Grazia. Ma la debolezza della lesione alla perfezione originale rimane. E questa debolezza è costituita dai fomiti, simili a germi infettivi rimasti nell’uomo in latenza, ma sempre pronti ad entrare in potenza e soverchiare la creatura. Anche nei santi più santi essi sono. E la santità altro in fondo non è che f rutto della lotta e vittoria continua che l’anima e la ragione del giusto sostengono e riportano per e sugli assalti dei fomiti, per rimanere fedeli all’Amore. Ora Dio, che è infinitamente giusto, non sarebbe inesorabile con un di voi come con Adamo lo fu. Perché considererebbe la vostra debolezza. Con Adamo lo fu, essendo Adamo dotato di tutto quello che lo poteva far vincitore, e facile vincitore, sulla tentazione. Onde il castigo. Quel castigo in cui si vede che se l’uomo prevaricatore non rispettò i limiti messi da Dio, Dio rispettò i limiti che si era messo verso l’uomo. Dio non violentò il libero arbitrio dell’uomo. Mentre l’uomo violentò i diritti di Dio. Né prima, né dopo la colpa, Dio violentò la libertà d’azione dell’uomo. Lo sottopose ad una prova. Non ignorava, essendo Dio, che l’uomo non l’avrebbe superata. Ma 139 era giusto che ve lo sottoponesse per confermarlo in grazia, come aveva, per lo stesso fine, sottoposto alla prova gli angeli, e confermato in grazia quelli tra loro che avevano vinto la prova. E, sottoponendolo alla prova, lo lasciò libero di agire rispetto ad essa. Se Dio avesse voluto violentare la libera volontà dell’uomo di scegliersi il suo destino, o non gli avrebbe proposto la prova, o gli avrebbe legato le potenze del volere in modo che l’uomo fosse impedito di agire male. Così pure, se lo avesse voluto premiare nonostante tutto, gli avrebbe o perdonato tutto in anticipo o, per avere base a perdonarlo, gli avrebbe suscitato nel cuore la contrizione perfetta, o quanto meno un’attrizione per i beni che aveva perduto, aiutando, con un suo raggio d’amore, a volgere l’imperfetto dolore di attrizione, per la perdita dei beni presenti in quell’istante e futuri, in perfetto dolore di contrizione per l’offesa fatta a Dio e per la perdita della sua Grazia e Carità. Ma tutti questi casi sarebbero stati delle ingiustizie verso gli angeli, che furono sottoposti alla prova, che non ebbero legate le potenze del volere, che non furono perdonati in anticipo, e che non ebbero suscitato nel loro essere, e da Dio stesso, alcun moto di contrizione o attrizione, atto a suscitare un perdono divino. Vero è che gli angeli erano più degli uomini favoriti al non peccare per i doni di grazia e per quelli di natura (spiriti privi di corpo e perciò di sensi) e per essere quindi esenti da pressioni interne di senso e da pressioni esterne (il Serpente), e soprattutto per la conoscenza di Dio; e ciononostante peccarono, senza attenuanti d’ignoranza e di stimolo di senso, per pura malizia e sacrilego volere. Ma non ci fu nulla di quanto detto prima. Né da parte di Dio, né da parte dell’uomo. Dio rispettò la volontà umana. L’uomo perseverò nel suo stato di rivolta verso il suo divino Benefattore. Superbamente uscì dall’Eden dopo aver mentito - perché ormai il suo congiungimento con la Menzogna era avvenuto - e l’aver addotto povere scuse al suo peccato, mentre che l’essersi fatto cinture di foglie testimoniava che, non perché erano nudi e di apparir tali a Colui 140 che li aveva creati e conservati vestiti solo di grazia e innocenza si vergognavano, ma perché erano colpevoli avevan paura di comparire davanti a Dio. Paura, sì. Pentimento, no. Onde Dio, dopo averli cacciati dall’Eden, “pose due cherubini sulle soglie dello stesso” 11, onde i due prevaricatori non vi rientrassero fraudolentemente per fare bottino dei frutti dell’albero della vita, rendendo nulla una parte del giusto castigo e defraudando ancora una volta Dio di un suo diritto: quello di dare e levare la vita dopo averla conservata sana, lieta e longeva coi frutti salutari dell’albero della vita. Castigo giusto, dunque. Privazione di quanto spontaneamente l’uomo aveva spregiato: la Grazia, l’integrità, l’immortalità, la immunità, la scienza. E perciò la perdita della paterna carità di Dio, del suo aiuto possente; e perciò la debolezza dell’anima ferita, la febbre della carne svegliata, delirante e soverchiante la ragione; e perciò la paura di Dio, la perdita dell’Eden dove senza fatica e dolore era la vita; e perciò la fatica, la morte, la soggezione della donna all’uomo, l’inimicizia tra uomo e uomo, tra i figli di un seno, il delitto, l’abuso, tutti i mali che tormentano l’umanità, la paura di morire e del giudizio, il tormento di aver provocato il dolore, e di trasmetterlo a quelli più amati, in un con la vita. Conseguenze. Oltre la condanna immediata e personale e le sue immediate personali conseguenze, il peccato di Adamo e la condanna provocata da esso ha avuto conseguenze che sino alla fine del tempo dureranno, pesando sull’Umanità. Come capostipite della famiglia umana, Adamo ha trasmesso la sua infermità nei suoi discendenti. Non avviene diverso quando un uomo tarato procrea dei figli. Con più o meno virulenza, i veleni della malattia sono nella sua prole e nella prole della prole, e se, con medicine adatte, la malattia ereditaria da virulenta e datrice di morte può mutare in forma più benigna, pure mai quei figli, e i figli dei figli, saranno 11 Genesi 3, 24 141 sani come quelli venuti da un sangue sano. “Per opera di un sol uomo il peccato è entrato nel mondo” è scritto 12. Ed è verità. Questo dolore, prima che da Paolo, è detto dalla Sapienza, dal Verbo docente, dai Salmisti 13. Da Dio sempre perciò, perché è sempre Dio che parla per bocca dei suoi ispirati. Questo dolore empie il mondo, si tramanda da generazione a generazione, né finirà sinché non avrà fine il mondo. Ha empito del suo ululo il luogo dove Adamo con fatica traeva pane dalle zolle sulle quali gocciava il suo sudore. Si è sparso per la Terra, e orizzonti, e gole, e selve, e animali, lo hanno sentito rabbrividendo e se lo sono trasmesso. E, come luce accecante, ha fatto vedere ad Adamo ed Eva l’immensità del loro peccato, non commesso soltanto verso Dio, ma anche verso la carne e il sangue loro. Sino a quel momento il verdetto di Dio non aveva ancora frantumato la ribellione dell’uomo, il quale, col facile adattamento dell’animale - ché l’uomo privo di Grazia non è che il più perfetto degli animali - si era presto adattato al suo nuovo destino, non più facile a giocondo come quello primo, ma non privo di gioie umane che compensavano dei dolori umani. La passione del senso si soddisfaceva nella carne compagna, fusa, non santamente come Dio voleva e come l’uomo innocente e pieno di scienza aveva compreso nell’Eden, a farsi una carne sola; la gioia del creare da soli - oh! orgoglio persistente! -nuove creature, illudendosi con ciò di essere simili a Dio Creatore; il dominio sugli animali, la soddisfazione dei raccolti e del bastare a se stesso, senza avere a ringraziare nessuno. Gioie sensuali, ma sempre gioie. Oh! quanta oscurità da fumo d’orgoglio e da caligine di concupiscenze sfrenate perdurò ostinata nei due protervi! La maternità era ottenuta con dolore, ma la gioia dei figli compensava quel dolore. 12 Romani 5, 12; e vedi la nota 15 di pag. 101 13 Per la Sapienza: Sapienza 2, 24; per il Verbo docente: Ebrei 1, 1-3; per i Salmisti: Salmo 6; 38 (volgata: 37); 51 (volgata: 50); 88 (volgata: 87) 142 Il cibo era ottenuto con fatica, ma il ventre si empiva ugualmente e la gola era soddisfatta, ché la Terra era colma di cose buone. La malattia e la morte erano lontane, godendo i corpi, creati perfetti, di una salute e virilità che facevano pensare ai due protervi longeva la vita, se non eterna. E la superbia fermentante suscitava il pensiero derisore: “Dove è dunque il castigo di Dio? Noi siamo felici anche senza di Lui”. Ma un giorno il verde dei campi, su cui sbocciavano i fiori multicolori creati da Dio, rosseggiò del primo sangue umano versato sulla Terra, e ululò la madre sul corpo del dolce Abele estinto 14, e il padre comprese che non era stata minaccia vana quella che prometteva: “Ritornerai nella terra dalla quale fosti tratto, perché sei polvere e polvere ritornerai” 15, e Adamo morì due volte, per sé e per suo figlio, ché un padre muore la morte dei figli vedendoli spenti, ed Eva partorì, con strazio, dando alla Terra il corpo esanime del suo diletto, e comprese cosa è il partorire in peccato. Ma ugualmente nella stessa ora, nella quale folgoreggiava - ed era misericordia ancora - il castigo di Dio, morì l’orgoglio e venne partorito il pentimento, la nuova vita per la quale i due Colpevoli iniziarono l’ascesa del sentiero della Giustizia e meritarono, dopo lunga espiazione ed attesa, il perdono divino per i meriti del Cristo. E di Maria. Oh! lasciate che Io qui celebri questa verità dell’Immacolata che fu, che è mia, e che per il nostro congiunto amore ha dato al mondo il Verbo fatto Carne: l’Emmanuele. Per una infedeltà della donna l’umano genere conobbe il peccato, il dolore, la morte. Per la fedeltà della Donna l’umano genere ha ottenuto la rigenerazione alla Grazia, e perciò il perdono, la gioia pura, la Vita. Per la concupiscenza, la morte, tutte le morti. Per la purez14 Genesi 4, 1- 16 15 Genesi 3, 19 143 za di una verginità triplice - di corpo, d’intelletto, di spirito - la Vita, la vera Vita, e della carne risorta dei giusti e vivente in eterno, e della mente aperta alla Verità, e dello spirito rinato alla Grazia. Per il connubio con Satana, l’odio fratricida e deicida. Per il connubio con Dio, l’amore fraterno e l’amore spirituale che abbracciano Divinità e Umanità, e su ambe si effondono, e per ambe operano, l’Amore Incarnato e l’Amore verginale, ambedue offerti, volontariamente, totalmente, e consumati perché Dio fosse consolato e l’uomo salvato. La morte di Abele frantumò l’orgoglio di Adamo a fece esperta Eva del più atroce partorire alle Tenebre. La morte di Cristo frantumò il Peccato e mostrò all’Umanità cosa costi il partorire alla Grazia. L’ululo di Eva ha corrispondenza nel grido di Maria alla morte del Figlio Ss. Io dico, a coloro che credono Maria sopra al dolore perché piena di Grazia, che neppure Eva soffrì, nella sua desolazione meritata, ciò che sofferse Maria innocente. Perché se l’ululo di Eva segnava la nascita del Pentimento, il grido di Maria segnò la nascita dell’èra nuova. E se in quell’ora segnata dal primo sangue umano, sparso per criminale violenza, per cui la Terra fu maledetta due volte, ebbe inizio l’ascesa verso la Giustizia, nell’ora di nona, segnata dall’ultima stilla del Sangue divino, discese dai Cieli la Redenzione, uscendo come fiume di salute dai due Cuori innocenti e piagati del Figlio e della Madre. Veramente non solo per i meriti di Gesù, ma anche per quelli di Maria, voi avete la Vita; ed Ella, Madre della Vita, Madre Vergine, pura, innocente, che non conobbe le doglie nel 16 partorire secondo la legge della carne decaduta - il suo Gesù, ha conosciuto però, e ben conosciuto, le doglie del più doloroso parto, partorendo voi, Umanità peccatrice, alla novella Vita della Grazia. Per un solo uomo, l’uomo conobbe la morte. Per l’Uomo solo, l’uomo conosce la Vita 17. Per Adamo l’Umanità ha ereditato la 16 nel è nostra correzione da del 17 Vedi la nota 15 di pag. 101 144 Colpa e le sue conseguenze. Per Gesù, Figlio di Dio e di Maria, l’Umanità eredita nuovamente la Grazia e le sue conseguenze. La quale Grazia, sebbene non annulli tutte le conseguenze terrene della colpa d’origine - ché il dolore, la morte e gli stimoli restano a darvi pena, paura e battaglia - fortemente vi aiuta a sopportare il dolore presente con la speranza del Cielo, vi aiuta ad affrontare la paura del morire con la conoscenza della Misericordia divina, vi aiuta a reagire e domare gli stimoli o fomiti con gli aiuti soprannaturali per i meriti di Cristo e i Sacramenti da Lui istituiti. Ho detto: “La Grazia, sebbene non annulli tutte le conseguenze della Colpa...”. Questo è un punto sul quale molti si ribellano, dicendo: “È giusto questo? Non poteva il Redentore rendere tutta la perfezione?”. È giusto. Tutto in Dio è giusto. L’uomo non fu ferito in uno scontro con Dio, per cui Dio dovesse sentirsi in dovere di riparare al danno fatto volontariamente o involontariamente. L’uomo da se stesso si è volontariamente ferito, e consciamente ferito. Or quando un uomo si ferisce in modo talmente grave, nella vita d’ogni giorno, resta o mutilato, o tarato, o segnato almeno da gravi cicatrici; né opera di medico può cancellare del tutto il danno, e soprattutto rifare le parti perdute. Adamo si è mutilato della Grazia e della vita soprannaturale, dell’innocenza, integrità, immunità, immortalità e scienza. E come capo-stipite di tutta l’umana famiglia ha trasmesso la sua penosa eredità a tutti i suoi discendenti. Ma l’Umanità, più fortunata dell’uomo singolo, per mezzo di Gesù-Salvatore- Redentore, ha ottenuto la guarigione. Più ancora: la “ricreazione” nella Grazia: vita dell’anima. E per i Sacramenti da Lui istituiti, le virtù che essi infondono, ed i miei doni, ha ottenuto anche i mezzi per sempre più crescere nella perfezione, sino a raggiungere il culmine con la “supercreazione” che è la santità. Però neppure il Sacrificio dell’Uomo-Dio, capace e sufficiente a restituirvi i doni perduti ed a rielevarvi all’ordine soprana145 turale - ossia alla capacità di amare, conoscere, servire Dio in questa vita, per possederlo in gaudio, in eterno, nell’altra - ha cancellato le cicatrici delle grandi ferite che l’uomo si è inferto volontariamente, e specie quelle della concupiscenza triplice, che è sempre pronta a rifarsi piaga se lo spirito non veglia a tenere soggette le male passioni. Ho anche detto: “La conoscenza della Misericordia divina”. Sì. L’eredità della Colpa, come vi ha ottenuto il Redentore, così vi ha ottenuto la conoscenza dell’infinita carità, e sapienza, e potenza divine. L’uomo, rigenerato figlio di Dio per mezzo di Gesù, conosce ciò che Adamo non conosceva. Conosce a quale immensità giunga l’amore del Padre, che dà il suo Unigenito a cancellare col suo Sangue il decreto di condanna dell’Umanità decaduta nel suo Capostipite. Adamo, per la scienza infusa, e più per la Grazia che elevandolo all’ordine soprannaturale lo aveva reso capace di conoscere Dio molto conosceva di quanto Dio lo amasse, perché tutto, intorno ed entro Adamo, aveva voce di amore divino. E Adamo, per l’elezione all’ordine soprannaturale, molto sapeva amare. Sapeva amare in quella giusta misura che Dio aveva giudicata sufficiente durante la vita a preparare l’uomo alla visione e al 18 godimento di Dio dopo il trapasso da Terra a Cielo. Ma mai, neppure nei trasporti d’amore più grande, l’Adamo innocente poté giungere a salire, col suo desiderio di conoscere e amare, sino al centro della Verità, mai poté inabissarsi in questa fornace ardente dell’Amore che è anche Verità, mai poté possedere la conoscenza totale di quella verità che ha nome Amore Infinito. L’uomo vivente sulla Terra non può vedere Dio quale è. Neppur l’Uomo-Adamo, testé creato e ricco di doni. Tutto aveva voce di Dio. Tutto gli parlava di Dio. Tutto lo attirava a Dio. L’uomo era il grandemente amato e ricoperto di doni, per aiutarlo ad amare. Ma tra l’uomo a Dio è sempre un abisso. Sono due abissi che si guardano, e il Maggiore attira il minore, gli sfavilla dinan18 al è aggiunto da noi 146 zi 19 allo spirito, lo investe dei suoi fuochi, lo fa ricco delle sue luci dardeggiate sullo spirito dell’uomo come per una continua infusione di sapienza. Il Divino Amore ha, per l’uomo, il gesto d’invito di due braccia e di un seno che si aprono e si offrono per l’amplesso che beatifica, e l’amore umano dona ali all’uomo perché possa dimenticare la Terra e lanciarsi verso il Cielo, verso Dio che lo chiama. Ma una legge di giustizia stabilisce che l’incontro totale, la fusione, si abbia solo dopo la prova che conferma nella grazia. Per questo, più l’uomo sale nel tentativo e desiderio di raggiungere Dio, e più Dio sfugge, si ritira nel suo abisso senza fine. Né fa ciò per crudeltà, ma per tenere attive le forze e le volontà dell’uomo di raggiungerlo, e così aumentare la capacità umana a ricevere con frutto e farsi colmare dalla Grazia, ossia ancora da Dio stesso. Perché veramente l’uomo è tanto più atto a ricevere e possedere Dio e la sua Grazia Ss., quanto più attivamente, instancabilmente, intensamente, muove verso Dio. Ho parlato al presente perché tale è la condizione dell’uomo verso l’immensa Divinità, incomprensibile ad ogni intelligenza creata. Anche i più grandi contemplatori - e metto qui i nomi di Giovanni e Paolo per indicarvi due già redenti da Cristo, ai quali si aperse il Cielo sino al terzo e al settimo grado 20, e anche Mosè, Ezechiele, Daniele, che videro, rispettivamente, “il tergo di Dio” 21, la “luce lasciata dall’Infinita Luce”, “l’Essere dall’aspetto d’uomo” ma che era “fuoco d’elettro” e “voce che si faceva sentire da sopra il firmamento” 22, “l’Antico dei giorni il cui volto era velato dal fiume di fuoco che scorreva rapidamente davanti alla sua faccia” 23 lasciando visibili soltanto i capelli e le vesti - non poterono conoscere l’Inconoscibile sinché furono tra i mortali i due primi, nel Cielo dopo la Redenzione gli altri. Ma tale, particolarmente, era la condizione di Adamo, elevato 19 dinanzi è nostra correzione da dinnanzi 20 Per Giovanni: Apocalisse 12, 1; per Paolo: 2 Corinti 12, 2 21 Esodo 33, 18-23 22 Ezechiele 1, 25-28 23 Daniele 7, 9-10 147 all’ordine soprannaturale, e perciò dotato, come voi restituiti e fedeli alla Grazia, di un’intelligenza spirituale capace di accostarsi molto alla Verità di Dio, ma non di conoscere il Mistero di Dio. Solo per Gesù l’uomo ha potuto penetrare più avanti - oh! molto più avanti! - valicare distanze, alzare veli, accostarsi all’ardore del Focolare Uno e Trino e conoscere l’immensità dell’Amore con una profondità sconosciuta ad Adamo. Sconosciuta per misura di prudenza. Perché Adamo, ove avesse avuto proposto da Dio il Cristo futuro e avesse avuto da Dio richiesta di adorare il Verbo Incarnato per amore e per opera dell’Amore, non si rifiutasse di adorare il Compendio vero dell’Amore Trino e si rendesse così colpevole dello stesso peccato di Lucifero, divenuto Satana per aver rifiutato adorazione all’Amore fatto carne, pretendendo superbamente di esser capace esso stesso di redimere l’uomo essendo simile a Dio in sostanza, potenza, sapienza, bellezza, anziché simile per partecipazione di natura, offendendo così particolarmente lo Spirito Santo, Datore delle luci, sapienze e verità contenute in Dio. E i peccati contro lo Spirito Santo, dei quali Lucifero e i suoi simili in ribellione si sono resi colpevoli, come molti uomini, non sono perdonati 24. Dio voleva perdonare all’uomo. Gli propose perciò la prova di ubbidienza. Ma gli risparmiò la prova di adorazione per il Verbo fatto Uomo, onde Adamo non peccasse, in modo non perdonabile, invidiando la potenza del Cristo, presumendo di potersi salvare e di poter salvare senza bisogno del Cristo, negando come impossibile la verità conosciuta che l’Increato potesse farsi “creato” nascendo da donna, che il Purissimo Spirito, che è Dio, potesse farsi uomo assumendo carne umana. Voi no. Voi redenti dal Cristo, voi venuti dopo l’avvento di Cristo, e soprattutto dopo il sacrificio di Cristo, conoscete tutto l’amore di Dio. Il Cristo questo amore infinito ve lo ha rivelato, con Se stesso, con la sua parola, col suo esempio e le sue azioni. 24 Matteo 12, 30-32; Marco 3, 28-30; Luca 12, 8-12; Ebrei 6, 1-8; 10, 26-31; 1 Giovanni 5, 14-17 148 Mirate il Cristo bambino vagente in una grotta, e non ne avete paura. Anzi quella debolezza umana attira la vostra debolezza spirituale, la quale non si sente sconfortata né spaurita davanti al Dio Infante, al Dio che si è annichilito, Egli, l’Immenso, in piccole membra, Egli, il Potente, in membra bisognose di tutti gli aiuti, tanto esse sono incapaci di provvedere ai bisogni dell’organismo. Mirate il Cristo fanciullo e non ne avete paura. La sua sapienza è dolce. Con poche parole vi indica la via sicura per giungere alla Casa del Padre: “Occuparsi di ciò che vuole Dio, di ciò che va dato a Dio” 25. Tutta la Legge è in questa risposta breve e sapiente. Egli vi dice, parlando a quelli che rappresentano l’umanità eletta e cara al Signore: “Non sapete che si deve fare questo, questo solo, questo al disopra di ogni altra occupazione, avere questo amore al disopra di ogni altro amore, per avere posto in Cielo?”. E già tutto il Cristo docente è in queste brevi parole, il Cristo che dice a Marta: “Tu ti occupi di troppe cose, una sola è necessaria” 26. Il Cristo che dice al discepolo ancor troppo attaccato alle morti” 27, e ancora: “Chi, dopo aver messo la mano all’aratro, volge indietro lo sguardo, non è adatto al Regno di Dio” 28. cose del mondo: “Lascia che i morti seppelliscano i Il Cristo che, amando con perfezione la Madre, non l’antepone alla sua missione, ma chiaramente dice che “è suo sangue chi fa la volontà di Dio” 29, ed Egli per primo la fa, perché l’amore verso Dio è sempre, doverosamente, il più grande rispetto ad ogni altro amore, anche a quello per la Madre Ss. Il Cristo che rimprovera Pietro chiamandolo “Satana”, perché lo tenta a non fare la volontà del Padre suo 30, Il Cristo del Sermone del Monte 31. Il Cristo che dice l’ultima beatitudine: “Beati 25 Luca 2, 41-52 26 Luca 10, 38-42 27 Matteo 8, 21-22; Luca 9, 59-60 28 Luca 9, 61-62 29 Matteo 12, 46-50; Marco 3, 31-35; Luca 8, 19-21 30 Matteo 16, 21-23; Marco 8, 31-33 31 Matteo 5, 7; Luca 6, 20-49 149 quelli che mettono in pratica la parola di Dio” 32, ossia ancora la Legge. Il Cristo che a Nicodemo insegna come l’uomo vecchio, l’erede di Adamo decaduto, possa raggiungere la rigenerazione e vedere il Regno di Dio “rinascendo per acqua”, e quest’acqua di vita Egli, il Cristo, ve la dà, “e per Spirito Santo” 33, ossia per amore, e amore è fare la volontà di Dio nell’ubbidienza alla sua Legge per tutti, e ai suoi singoli decreti per ognun di voi. I1 Cristo che insegna la religione che è giudicata vera, meritevole di premio da parte della Divina Giustizia: “Non cerco il mio volere, ma quello di Colui che mi ha mandato” 34. Il Cristo che vi dà il Dio che si può amare sensibilmente: “Voi non avete mai sentito la voce di Dio e visto il suo volto sino ad ora. Ma eccomi. Io sono Colui sul quale Dio ha impresso il suo sigillo. Chi vede Me vede Colui che mi ha mandato. Chi mi ascolta, ascolta il Padre, perché Io non ho parlato di mio, ma ho detto quanto il Padre mi ha detto di dire” 35. E vi disvela l’amore del Padre che dalla colpa di Adamo trae il mezzo per incuorarvi ad un più grande amore, ad una più esatta conoscenza e più stretta unione: “La Volontà del Padre mio è che voi mi conosciate per ciò che sono: Dio” 36. Il Cristo che proclama: “Io non faccio niente da Me, ma dico e faccio ciò che vuole il Padre mio. Sempre faccio ciò che a Lui piace” 37. Il Cristo, Pastore buono, che confessa la ragione più vera del grande amore del Padre per Lui: “Per questo mi ama il Padre: perché do la vita volontariamente, perché questo è il desiderio del Padre mio, onde voi siate salvati” 38. Il Cristo che, alle soglie della Passione, dice: “Il Padre mio mi ha mandato e mi ha prescritto ciò che devo dire a fare. E so che 32 Luca 11, 27-28 33 Giovanni 3, 1-8 34 Giovanni 5, 30; 6, 38-40 35 Giovanni 14, 9-10 36 Giovanni 8, 9 37 Giovanni 8, 29 38 Giovanni 10, 17 150 il suo comandamento è vita eterna” 39. Il Cristo che, per Se stesso, assolve Pilato dicendogli: “Non avresti su Me alcun potere, se non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo, Colui che mi ha consegnato nelle tue mani è più colpevole di te del mio morire” 40. E Colui che lo consegnava nelle mani dell’autorità, in una divina follia d’amore per l’uomo, è il Padre suo, il Dio infinito davanti al quale il Figlio dice la sua orazione perfetta. “Non la mia, ma la tua Volontà si compia 41. Sia fatta la tua Volontà in Terra come nel Cielo” 42; è Dio Padre che permette alle autorità umane di essere tali sinché Egli lo vuole, dopo di che né forza d’armi né alcun’altra forza vale a mantenerle al loro posto di comando. Oh! Il Cristo ubbidiente dalla nascita alla morte, il Cristo che dice “Sì” al primo vagito, e dice “Sì” con l’estrema parola del Golgota, il Verbo del “Sì” eterno al Padre suo, il Cristo che non fa mai paura, che non sgomenta con la sua legge perché vi dà l’esempio che essa legge è possibile ad eseguirsi da parte dell’uomo poiché Egli - l’Uomo - l’ha vissuta prima ancor di insegnarvela, questo Dio-Uomo che si consegna alla morte, ai nemici, agli spregi, alla fatica, alla povertà, alla carne - ed ho messo la morte per prima e la carne per ultima, non per errore, ma perché al Salvatore fu più dolce il morire che al Verbo-Dio il limitarsi in una carne - vi dà, o uomini, la conoscenza di ciò che è Dio-Amore. E quel Divinissimo Padre, che immola il suo Dilettissimo, vi dà la misura dell’amore di Dio per voi. È detto: “Non vi è più grande amore di quello di colui che dà la vita per i suoi amici” 43. Ma è anche da dirsi: “L’amore di un Padre che sacrifica il suo vero, unico Figlio per salvare la vita dei suoi figli adottivi, i quali, veri figli prodighi 44, hanno volontariamente lasciato la casa paterna e si sono resi infelici, dan39 Giovanni 17, 3 40 Giovanni 19, 11 41 Luca 22, 42 42 Matteo 6, 10 43 Giovanni 15, 13 44 Luca 15, 11-32 151 do dolore al Padre, è un amore ancor più grande”. E di questo amore vi ha amato Iddio. Ha sacrificato il suo Unigenito per salvare l’Umanità colpevole, quell’Umanità che, come non fu grata, ubbidiente, amorosa per Lui all’inizio dei giorni, quando gioiva del molto ricevuto gratuitamente da Dio, così non è grata, ubbidiente, amorosa per Lui ora che da venti secoli ha avuto da Dio non il molto, ma il Tutto, ma l’Immenso, dando Dio Se stesso nella sua Seconda Persona. Dopo aver meditato tutto questo, è dolce concludere che se grande fu il castigo, che però non fu ingiusto, più grande, infinitamente più grande del castigo è stata la Misericordia. Quella Misericordia che, non paga di restituirvi, a prezzo del suo Dolore, del suo Sangue, della sua Morte di croce, i doni di cui vi aveva defraudato Adamo, vi dà Se stessa nella Ss. Eucarestia, vi dà le acque della Vita di cui è fontana saliente al Cielo, vi dà la sua dolce Legge d’amore, l’esempio suo, la sua Umanità per rendere facile alla vostra umanità di amarlo, la sua Divinità perché le vostre preghiere siano ascoltate, come voce stessa del Figlio amatissimo vivente in voi, dal Padre suo, vi dà lo Spirito Santo con tutti i suoi doni, per i quali le virtù infuse col Battesimo sono potentemente aiutate a svilupparsi ed a perfezionarsi, quei doni che aiutano grandemente il cristiano a vivere la sua vita di cristiano, ossia la vita divinizzata, da figlio di Dio, e che, senza annullare i fomiti, dànno a voi la forza di reprimerli, facendo di essi, che “male” sono, “bene”, ossia eroismo, mezzo di vittoria, corona e veste di gloria. Come per Paolo, la vita di ognun di voi è lotta interiore fra la carne e lo spirito, fra l’aspirazione al Bene e l’azione non sempre perfettamente buona, lotta in cui Dio vi conforta e aiuta. Per questo, nessuno abbia scandalo se un suo prossimo confessa con la parola e l’azione d’esser come Paolo “carnale e soggetto”. E nessuno si accasci se comprende di esserlo. Ma l’esempio di Paolo guidi e sostenga.» 152 (lezione 24a) 29-5 / 3-6-48 Ai Romani C. 7° v. 14-25. Dice il Dolce Ospite: «La Legge è spirituale. Lo è anche quando vieta cose materiali. Veramente nel Decalogo 1 i comandi puramente spirituali sono i primi tre. Gli altri sette, e specie gli ultimi sei, sono divieti a peccati contro il prossimo, contro la sua vita, la sua proprietà, i suoi diritti, il suo onore. Si potrebbe allora dire che chiamare “spirituale” la Legge è giusto perché essa viene da Dio, ma non è in tutto giusto in quanto essa comanda, per due buoni terzi di essa, di non commettere atti materiali che Dio vieta di commettere. Ma al disopra dei dieci Comandamenti della Legge perfetta sta la perfezione della Legge, coi due comandamenti dati dal Verbo docente: “ ‘Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente’. Questo è il massimo e primo comandamento. Il secondo è simile a questo: ‘Amerai il tuo prossimo come te stesso’. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge ed i profeti” 2. Nella luce della Luce, che è il Verbo, si illumina la spiritualità che è in tutta la Legge perché è data a far vivere nell’amore. Perché tutta la Legge riposa e vive per l’amore. E perché l’amore è cosa spirituale, quale che sia l’Ente o la creatura verso i quali si volge. Triplice amore a Dio: amore del cuore, dell’anima, della mente; perché nell’uomo è questa piccola trinità: materia (cuore), anima (spirito), mente (ragione); e giusto è che le tre cose create da Dio per fare un’unica creatura - l’uomo - a Dio ugualmente diano riconoscenza per l’essere che hanno avuto da Dio. Triplice amore dunque: amore del cuore, dell’anima, della mente; perché Adamo peccò col cuore (concupiscenza della carne), con l’anima (concupiscenza dello spirito), con la mente (concupiscenza della ragione), uscendo dall’ordine, per abusa1 Esodo 20, 1-17; Deuteronomio 5, 1-22 2 Matteo 22, 37-40 153 re dei doni ricevuti da Dio, e offendendo Dio con gli stessi doni da Lui ricevuti perché l’uomo potesse somigliargli ed essergli causa di gloria. Con le cose che peccarono va dunque riparato il peccato, cancellata l’offesa, ristabilito l’ordine violato. E il Verbo si fece Carne per fare ciò, e per ridarvi “la grazia e verità” e in misura piena, traboccante, inesauribile. Con quanto peccò il primo uomo, l’Uomo-Dio ripara. E insegna a voi, con l’esempio più ancor che con la dottrina, che è perfetta ma che potreste giudicare impossibile a praticarsi, come si ripara. Egli è Maestro di fatti, non solo di parole. E quanto Egli ha fatto voi potete fare. In ogni uomo persiste l’eredità di Adamo. È come nascosto in ogni carne un Adamo che può essere debole nella prova, come lo fu il primo Adamo all’origine del tempo. Ma Cristo è venuto perché le vostre cadute siano riparate, risarcite le vostre piaghe, restituita la Grazia vitale quando la vostra debolezza nelle prove quotidiane vi fa morti di quella vita soprannaturale che il Battesimo vi aveva data. Ma Cristo è venuto per esservi Maestro e Modello e perché voi gli siate discepoli e fratelli, non soltanto di nome e nella carne, ma in spirito e verità, imitandolo nella sua perfezione, nel suo triplice amore verso Dio. Per questo triplice amore, Gesù fu fedele alla giustizia della carne, nonostante fosse provato e fosse libero nel suo libero arbitrio come ogni uomo. Per questo triplice amore, Gesù fu perfetto nella giustizia dell’anima, ossia nell’ubbidienza all’antico precetto divino: “Amerai il Signore Iddio tuo” 3, non sentendosi esente da questo dovere perché era Dio come il suo Eterno Generante; Uomo-Dio, vero Uomo e vero Dio non per infusione temporanea dello Spirito di Dio in una carne predestinata a tal sorte, o per unione morale di un giusto col suo Dio, ma per unione ipostatica delle due Nature, senza mutazione della natura divina perché unita a quella umana, senza alterazione della natura umana 3 Deuteronomio 6, 5 154 composta di carne, mente, spirito - perché unita alla natura divina. Per questo triplice amore, infine, Gesù fu sublime nella giustizia della mente, sottomettendo il suo intelletto perfettissimo non soltanto alla Legge divina, come deve fare ogni uomo che la conosca, ma anche ai disegni di Dio Padre per Lui e su Lui: l’Uomo, accettando ogni cosa proposta, compiendo ogni ubbidienza, sino all’estrema della morte di croce. “Fattosi servo” 4 per tutta un’Umanità decaduta, Gesù ha passato il segno da Lui stesso messo agli uomini perché raggiungano l’amore perfetto, ma non ha imposto agli uomini il sacrificio totale come termine d’amore per possedere il Cielo, e nel secondo precetto d’amore non vi dice altro che: “Amate il vostro prossimo come amereste voi stessi”. Egli è andato oltre. Non si è limitato ad amare il prossimo suo come amava Se stesso, ma lo ha amato ben più di Se stesso, perché per dare “bene” a questo suo prossimo ha sacrificato la sua vita e l’ha consumata nel dolore e nella morte. Ma a voi non propone tanto. Gli basta che la grande maggioranza dei membri del suo Corpo Mistico portino la piccola croce di ogni giorno e amino il prossimo come amano se stessi. Solo ai suoi eletti, ai suoi predestinati, Egli indica la sua Croce e la sua sorte e dice: “Amatevi come Io vi ho amato”, e insiste: “Nessuno ha un amore più grande di quello di colui che dà la vita per i suoi amici”, e termina: “Voi siete miei amici, se farete quello che Io comando” 5. La predestinazione non è mai separata dall’eroismo. I santi sono eroi. In questa o in quella maniera, nella maniera che Dio loro propone, la loro vita è eroica. Essi sanno ciò che fanno, sanno a cosa li conduce il fare ciò che fanno. Ma non se ne spaventano. Sanno anche che ciò che loro fanno serve a continuare la Passione di Cristo, e ad aumentare i tesori della Comunione dei Santi, a salvare il mondo dai castighi di Dio, a strappa4 Filippesi 2, 7 5 Giovanni 15, 9-17 155 re all’Inferno tanti tiepidi e peccatori che, senza la loro immolazione, non si salverebbero dalla dannazione. Perché anche la tiepidezza, raffreddando gradatamente la carità che ogni uomo deve avere per poter vivere in Dio, conduce lentamente alla morte dell’anima come per un’inedia spirituale. Se la predestinazione fosse disgiunta dal volere eroico della creatura, sarebbe cosa non giusta. E Dio non può volere cose non giuste. Parlo qui della predestinazione alla santità, proclamata dalla giustizia della vita e dai fatti straordinari che punteggiano come stelle la vita e la via del predestinato fedele alla sua predestinazione alla gloria, e che continuano ad essere proclamati dai miracoli oltre la morte del predestinato. Perché altra è la predestinazione alla Grazia divina, comune a tutti gli uomini, e perciò concessa gratuitamente da Dio in misura sufficiente a salvarsi; e altra è la predestinazione alla gloria che viene data a quelli che durante la vita terrena hanno bene usato del dono della Grazia, e le sono rimasti fedeli nonostante ogni prova di tentazione al male, o di ogni altro dono straordinario, accettato con commossa gioia, ma non preteso e non distrutto facendo di esso una stolta presunzione di essere tanto amati e tanto sicuri di possedere già la gloria, da non essere più necessario lottare e perseverare nell’eroismo per arrivarvi. Il quietismo, nel quale degenerano talora i primi impulsi di uno spirito chiamato a via straordinaria, è inviso a Dio. E così pure la superbia e la gola spirituale: i due peccati così facili negli eletti, beneficati - e provati per confermarli nella missione o privarli di essa come indegni - da doni straordinari, i peccati di Lucifero, di Adamo, di Giuda di Keriot, che avendo moltissimo vollero aver tutto; che credendosi sicuri di salvarsi senza merito e per il solo amore da parte di Dio; che fidando soltanto nell’infinita Bontà senza pensare che la perfetta, divina Bontà, pur essendo infinita, non diviene mai stoltezza e ingiustizia; che credendosi “dèi” perché tanto erano stati eletti, peccarono così gravemente. Dio certamente sa quali saranno coloro che rimarranno perse156 veranti eroicamente sino alla fine, mentre l’uomo non sa se sarà perseverante sino alla fine. E anche in questo è giustizia. Perché se Dio volesse che nonostante il libero arbitrio dell’uomo, molto sovente causa contraria rispetto al conseguimento della gloria - perché l’uomo difficilmente usa giustamente di questo regale dono di Dio, donato onde l’uomo, conscio del suo fine ultimo, liberamente elegga di compiere solo le azioni buone per meritare il conseguimento di quel beato fine - ogni uomo fosse salvo, costringerebbe gli uomini a non peccare. Ma allora verrebbe meno al suo rispetto per la libertà dell’individuo, creato da Lui con tutti quei doni che lo rendono capace di distinguere il bene e il male, capace di comprendere la legge morale e la legge divina, capace di tendere al suo fine e di raggiungerlo. E verrebbe pure a mancare per ogni singolo predestinato la causa della gloria: l’eroicità della vita per rimanere fedele al fine per cui fu creato e per usare, e usare santamente, dei doni gratuiti avuti da Dio, di quei doni che sono i frutti mirabili dell’Amore divino che vorrebbe la salvezza e il gaudio eterno di ogni uomo, ma che lascia libero l’uomo di volere il suo eterno futuro di gloria o di condanna. Ed è anche giustizia, questo ignorare, da parte vostra, la vostra sorte ultima. Perché se voi sapeste il vostro futuro eterno, restereste senza il movente che spinge i giusti ad agire per meritare la visione beatifica di Dio che è gaudio senza misura, e potreste cadere o in quietismo o in superbia anche transitori, ma sempre sufficienti a crearvi più lunga espiazione e minor grado di gloria, mentre gli ingiusti avrebbero in ciò il movente che li spingerebbe a divenire veri satana tanto giungerebbero ad odiare e bestemmiare Dio, odiare e nuocere al prossimo loro, senza più alcun freno, sapendosi già destinati all’inferno. No. Conoscendo la Legge a il fine a cui porta l’ubbidienza o la disubbidienza alla Legge, ma ignorando quanto solo l’onniveggenza di Dio sa, onde non manchi ai giusti lo sprone del puro amore che meriterà loro la gloria, e non manchi ai perversi, che preferiscono peccato e delitto a giustizia e amore, la libertà di 157 seguire ciò che a loro piace - onde, nell’ora della divina condanna, non compiano l’estremo peccato contro l’Amore lanciandogli questa blasfema accusa: “Ho agito così perché Tu, da sempre, mi avevi destinato all’inferno” - ogni creatura ragionevole deve liberamente scegliere la via che le piace, ed eleggersi il fine preferito. La predestinazione alla gloria non è un dono gratuito concesso a tutti gli uomini, ma è una conquista, oltre che un dono, fatta dai perseveranti nella giustizia, una conquista che si ottiene coll’uso perfetto dei doni e aiuti di Dio e con la buona volontà che non lascia mai inerte alcuna cosa proposta o donata da Dio, ma tutto rende attivo e tutto volge al fine santo della visione intuitiva di Dio, e al possesso gaudioso di Lui. Alcuno obbietta: “Ma allora solo coloro che sono santi al momento della morte hanno la gloria? E gli altri? Il Purgatorio è forse prigione meno dolorosa, ma sempre costringente, che separa le anime da Dio? Non sono dei predestinati al Cielo anche gli spiriti purganti?”. Lo sono. Un giorno verrà, e sarà quello del Giudizio finale, nel quale il Purgatorio non sarà più, e i suoi abitanti passeranno 6 al Regno di Dio. E anche il Limbo non sarà più, perché il Redentore è tale per tutti gli uomini che seguono la giustizia per onorare il Dio in cui credono, e per tendere a Lui, così come lo conoscono, con tutte le loro forze. Però quanto esilio ancora, dopo la vita terrena, per costoro! E quanto, per coloro che limitano il loro amare ed operare a quel minimo sufficiente a non farli morire in disgrazia di Dio, che conoscono come cattolici! Quanta differenza tra costoro, salvati, più che per merito loro, per i meriti infiniti del Salvatore, per l’intercessione di Maria, per i tesori della Comunione dei Santi e le preghiere e sacrifici dei giusti, e coloro che vollero la gloria non per egoismo ma per amore a Dio! Quanta tra i primi che, a fatica e con molte soste di languore, 6 passeranno è nostra correzione da passerranno 158 sussurri di malcontento, e anche smarrimenti su vie di egoismo, trascinano come una catena e un peso il loro limitatissimo amore, e i secondi che, veri amanti di Dio e imitatori di Gesù Cristo, “amano come Gesù ha amato” dando anche la vita, e sempre abbracciando ogni croce, chiedendo anzi la croce come dono dei doni, per salvare la vita dell’anima al prossimo loro, anime-ostie le quali al conoscimento divino appaiono da sempre “amici di Gesù” perché faranno ò che Egli comanda loro! Presente eterno: “Siete miei amici”. Dio conosce. Condizionale individuale: “Se farete”. Perché la conquista di un’amicizia richiede opere capaci di ottenere quell’amicizia. Ma l’assicurazione che tali opere vi fanno amico colui che volete tale, vi aiuta 7 a compierle. Come tra gli uomini, così, e anche più perfettamente, tra Dio e uomini. Gesù, quando già la lezione era più “fatto” che parola, dà l’ultima lezione ai suoi apostoli, perché raggiungano la perfezione richiesta da Gesù per chiamarli “amici”. E quella è la perfezione richiesta da Gesù a tutti i predestinati a gloria rapida, proclamata dalla giustizia eroica della vita, dai fatti straordinari durante la vita, e dai miracoli dopo la morte. “Voi siete miei amici, se farete quello che Io vi comando”. Rincuora allo sforzo futuro premiando già col presente: “siete”. Gesù conosceva i suoi apostoli, come conosce ogni uomo, e li considerava, come vi considera, per quel che erano: creature indebolite dalla eredità di Adamo, appesantite da tanti elementi contrari all’elevazione nelle sfere della perfezione. E sapeva, come sa, quale fattore potente è l’amore dato in anticipo per spronare al ricambio. L’uomo è come un bambino che impara a farsi adulto e indipendente del soccorso altrui; proprio in grazia di quanto vale ad indicarlo un incapace che deve essere soccorso in tutto per crescere, nutrirsi, camminare, va aiutato da chi è già formato avendo raggiunto l’età perfetta, nel corpo, nell’intelletto, nello spirito. E Gesù si fa “madre” per fare dell’uomo, “puero spirituale”, 7 aiuta è nostra correzione da aiutano 159 un adulto della stirpe eletta, un regale sacerdote, un’ostia vivente che continuamente si offre a Dio come Cristo, con Cristo e per Cristo, onde continuare il sacrificio perpetuo che si è iniziato col Cristo ed avrà termine alla fine dei secoli. E il latte di cui vi nutre è la sua Carità. Le braccia con cui vi sorregge sono la sua Carità. Le parole che vi dice per insegnarvi la vera sapienza della vita sono la sua Carità. Il Vangelo di S. Luca dice: “Le sono perdonati molti peccati perché molto ha amato” 8. Ma chi portò la peccatrice alla redenzione del molto amare Colui che è Santo, se non il molto amore del Redentore per lei? In ogni uomo è un Adamo, ho detto. E aggiungo: “In ogni creatura è una Maria di Magdala”. E ciò che molte volte salva l’anima peccatrice è l’infinito amore di Dio per lei. Veramente voi siete i redenti dall’amore prima ancora che dal Sangue e dalla Morte del Figlio di Dio. Sangue e Morte sono stati l’accidente finale della vostra redenzione. Ma l’amore di Dio per voi è lo stato eterno di Dio per voi, e questo divino amore ha iniziato a salvarvi dal suo eterno essere, perché prima ancora che il tempo fosse voi eravate nel pensiero di Dio. Voi tutti, da Adamo all’ultimo uomo. Con i vostri eroismi e i vostri smarrimenti, i vostri tesori e le vostre miserie, con il vostro grande bisogno di essere fortissimamente aiutati, divinamente aiutati, per potere giungere al fine per il quale foste creati. E l’Amore aveva già stabilito “dal principio”, nel suo Sapere e Volere divini, quanto era necessario per riportarvi alla Vita, come Umanità e come singoli. Ha abbracciato tutto quanto era sacrificio e dolore per amor vostro. Si è immolato da sempre per vostro amore, per amore di voi così spesso ingrati, e ancor più spesso deboli. Sol che voi contempliate il volere eroico del Figlio di Dio, futuro Cristo, tale da sempre, tale da prima della Redenzione, tale da prima della sua Nascita, tale da prima della sua Incarnazione, tale dal principio del mondo e prima del principio del mon8 Luca 7, 47 160 do , arretrando in un’immensità di tempo che non è più tempo ma è “eternità”, voi potete comprendere che è per l’amore che voi siete salvati. Perché così come “in il Verbo era presso Dio” 9, altrettanto “in principio l’amore era presso Dio”, anzi era Dio. é Dio altro non è fuorché Amore. E così come è scritto: “Tutte le cose sono state fatte per mezzo di Lui” 10, altrettanto è giusto scrivere che “ tutte le cose sono state fatte per mezzo dell’Amore”. Tutto il creato sensibile e soprasensibile è opera dell’amore. Tutte le provvidenze, le leggi fisiche, morali, soprannaturali, sono opere dell’amore. Tutte le azioni di Dio sono opere dell’amore. Amore la creazione di Dio 11, e amore la creazione particolare dell’uomo, figlio adottivo di Dio. Amore l’Incarnazione del Verbo. Amore la Passione per redimere l’uomo. Amore l’Eucarestia. Amore i doni del Paraclito, che il Paraclito, 12 Teologo dei teologi, Datore della Sapienza, Intelletto, Consiglio, Fortezza, Scienza, Pietà, Timor di Dio, 13 dà a coloro che degnamente lo ricevono, Egli, Amore del Padre e del Figlio, Fecondatore e Santificatore di quanti lo sanno in sé trattenere con una vita pura e santa. Amore la Chiesa, dispensatrice di grazia a Maestra ai fedeli. Il perfetto Amore Uno e Trino vi colma di Se stesso e delle sue munificenze per farvi perfetti in Terra, beati in Cielo; e il Cristo vi propone le due perfezioni per le quali perverrete alla gloria eterna. Gesù, come Verbo a creature divinizzate dalla Grazia, vi propone la santità stessa del Padre suo: “Siate perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste” 14. Come Maestro a uomini simili a Lui nella carne e anima, Lui Uomo, vi propone la sua santità: “Imparate da Me. Vi ho dato l’esempio affinché come ho fatto 9 Giovanni 1, 1 10 Giovanni 1, 3 11 Da intendersi: la creazione universale operata da Dio 12 Precede: che è, aggiunto con grafìa che non sembra della scrittrice e da noi omesso 13 Precede: tesori che Dio, aggiunto con grafìa che non sembra della scrittrice e da noi omesso 14 Matteo 5, 48 161 Io così voi facciate. Beati sarete se metterete in pratica il mio esempio. Siete i miei amici se farete quel che vi comando” 15. Fra le parallele di queste due santità proposte, via a voi di Vita eterna, è il Cristo, che unisce in Se stesso, come Verbo Figlio di Dio, la Santità di Dio, e come Gesù, Figlio di Maria Immacolata, la perfetta giustizia dell’Uomo innocente a pieno di Grazia e Verità. E poiché “voi siete dèi e figli dell’Altissimo” 16, o uomini redenti dal Cristo, voi potete a dovete, come figli di Dio e figli dell’uomo, copiare il Fratello vostro Gesù, divenire altri Cristi, veri figli di Dio, eredi del Cielo; né è cosa impossibile perché Egli, Gesù, lo ha dimostrato come è possibile esserlo. Se il Verbo si fosse manifestato soltanto come Parola divina, come Maestro increato e spirituale, così come Dio si manifestò a Patriarchi e Profeti prima dell’avvento di Cristo, l’uomo sbigottito, o ribelle, avrebbe potuto gemere o imprecare, a seconda della sua anima: “Come posso io, carnale, io, perpetuo Adamo, tentato al peccato e debole per natura, fare ciò che Tu insegni, Tu, che Spirito purissimo sei, né ti tenta Satana, e teco non hai imperfezioni di natura?”. O anche: “Perché hai permesso che dal seno della madre io fossi corrotto, perché hai permesso che il padre della Umanità lo fosse, se mi volevi santo? Al tuo scherno rispondo con la mia maledizione”. Ma il Verbo si è fatto Carne, ha preso natura umana, in tutto simile ai fratelli in Abramo, non dissimile, per il tempo in cui fu Gesù di Nazaret, non dissimile dall’Adamo pieno di grazia e innocenza del primo suo giorno nell’Eden, e come lui tentato 17 per essere provato, onde comprendere ed aiutare, anche per la sua diretta esperienza d’Uomo e per il suo esempio, quelli che sono nella prova. E l’uomo non può più sconfortarsi dicendo: “Io, carnale, non posso esser perfetto come il Padre dei Cieli, né fare ciò che il Verbo insegna”. E neppure può chiamare “scherno” l’insegnamento del Verbo, dato a chi, per natura umana, resa debole e 15 Giovanni 13, 15-17; 15, 14 16 Salmo 82 (volgata: 81), 6; Giovanni 10, 34 17 Matteo 4, 1-11; Marco 1, 12-13; Luca 4, 1-13; Ebrei 4, 15 162 corrotta dal Peccato originale, solo con molto e continuo sforzo riesce a metterlo in pratica. E neppure può l’uomo dire: “A me, carnale, non si conviene la Legge spirituale, perché troppo in contrasto è la voce esteriore delle mie membra, del mondo che mi è intorno, del demonio che continuamente mi aggira e tenta le forze basse della mia natura animale e quelle morali della mia natura razionale, con la voce interiore della coscienza che si volge alla mia natura spirituale con la voce stessa di Dio - ché la voce della coscienza è il richiamo di Dio al suo creato perché non si discosti dalla Legge o la calpesti - la voce che nel profondo mi parla per dirmi: ‘Fa’ questo’, oppure: ‘Non fare quello’. Ma io - pur avendo la volontà di fare il bene, e riconoscendo santa questa Legge, che la mia coscienza d’uomo e la ragione che mi distingue dal bruto, a che m’è stata data da Dio per rendermi capace di intendere, riflettere, scegliere e volere ciò che è bene, mi dice esser buona, nonostante l’impulso divino che entro mi muove Egli stesso, Dio, eterno Movente di tutte le sue creature, Immenso che mi comunica, come ad ogni uomo divinizzato, chiamato a grandi cose, la sua Immensità perché io sia capace, io, suo figlio d’adozione, di compiere opere grandi in cui sia una somiglianza delle sue grandissime e perfettissime, prima e più grande di tutte quella di tendere a Lui, con tutto il mio amore, perché Egli è l’unico vero Bene - ma io non riesco a compiere il bene che vorrei, ma cedo al male che in me fermenta più forte del bene”. No. Non potete dire questo. Perché il male è grande, grande l’eredità al male che è in voi, più grande il male che è nascosto per nuocervi nelle circostanze della vita (il mondo), grandissimo il male che ha nome Satana, principio del Male, mostro divorante ed insaziabile, odio eterno vivente ed instancabile verso il Creatore e le creature. Ma Uno solo è infinito: Dio. E l’uomo divinizzato ha seco la Grazia, ossia Dio. Dio Carità, Dio Intelligenza, Dio Santità, Dio Forza, Dio Potenza, Dio Sapienza, Dio Vita, Dio Bellezza, Dio Verità, Dio Bontà, Dio Purezza, tutte perfettissime e infinite, Dio il Tutto. 163 E l’uomo di buona volontà può tutto se resta unito a Gesù Cristo, il quale, per non intimorire l’uomo coi clangori divini della Legge del Sinai - spaurenti, con le quattro imposizioni e le sei proibizioni, l’uomo in cui vive la legge disordinata del senso più forte della ragione, o quanto meno lottante, a forze pari, con la ragione da quando il dono dell’integrità fu ferito nell’Eden - riduce e conclude tutta la Legge in un duplice comando d’amore, e ve la presenta così, nella veste dolce, attraente, gaudiosa dell’amore. “Amate Dio, amate il prossimo”. Amare è più facile che adorare, che onorare, che vietarsi di fare. Amare Dio, avvicina Dio all’uomo e l’uomo a Dio. Amare è più invitante che temere. Ed è scala ad ascendere all’adorazione. L’uomo non può d’un subito raggiungere le vette dell’adorazione. La stessa grandezza infinita di Dio lo trattiene dal farlo, e insieme con la temenza di Dio, comune agli antichi ebrei, e con le miserie della natura, forma i vincoli che lo trattengono lontano da Dio. Ma l’amore scioglie col suo ardore quei vincoli e mette le sue ali di fuoco all’anima, ed essa può salire, sempre più salire, a seconda che sempre più si lancia senza pensare a quello che lascia: miserie, poveri onori, limitatezze, ricchezze e affetti caduchi; ma pensando soltanto a ciò che raggiunge e conquista: Dio, il Cielo. Nessun atto di culto formale vi unisce a Dio quanto l’atto spontaneo e continuo dell’amore. Frutto dell’unione con Dio è la sapienza. E la sapienza conduce all’esercizio della giustizia in tutte le cose. L’uomo unito a Dio è attivo e gaudioso. Dal gaudio che gli viene dal compiacimento di Dio per le sue azioni di uomo amante di Dio, l’uomo trova impulso a sempre maggior attività di bene. Perché l’unione con Dio, se dà pace altissima, non dà mai pace inerte. Nessuna inerzia è in Dio, l’eternamente operante. Nessuna inerzia è nell’uomo congiunto a Dio dall’amore. Esso ama attivamente Dio. E ne è attivamente amato. E questa duplice attività produce un traboccare, un irradiare di fuochi caritativi sulle creature, non bastando l’uomo a contenere in sé l’Amore infinito, 164 che in lui si riversa, per dare sollievo al suo amore, come in un bacino degno e desideroso di accoglierlo, e neppure bastando all’uomo, entrato nel gorgo ardente dell’amore divino, di amare soltanto il Creatore, perché gli occhi del suo spirito e lo spirito della sua anima, contemplando il Creatore, nel Creatore vedono anche tutte le creature, e l’uomo si sente perciò portato ad amarle tutte santamente, perché opere dell’Amore suo amatissimo. Ed ecco l’amor di prossimo che nasce, che sgorga, che si effonde, santa e inevitabile conseguenza del santo amore di Dio. L’amore di prossimo esercitato con giustizia, vedendo ogni creatura nel suo giusto grado, ossia inferiore sempre a Dio, anche fosse la più cara per vincoli di sangue o d’affetto o la più santa per giustizia di vita, e perciò non anteponendola mai a Dio ma vedendola anche essa come un nuovo dono di Dio, concesso per rendere più facile, gradevole, dolce e meritoria la vita al vivente sulla Terra. Ed ecco che, in virtù dell’amore, l’uomo conquista la sublime libertà dalle insidie dell’io, del mondo, del demonio, le costrizioni conseguenti alla Colpa d’origine. La carità è fuoco vivo. Il fuoco vivo è fiamma. La fiamma è libera e saliente al cielo. Pure irradia calore e luce, è benefica a chi ad essa si accosta. Ed ecco infatti che l’uomo acceso da carità sale con la sua fiamma verso Dio, centro d’ogni fuoco d’amore, e nel contempo irradia i suoi fuochi sui fratelli, ne sovviene le miserie, ne illumina le tenebre, le rallegra portando in esse la luce che è Dio, purifica la loro impurità perché ogni santo - e chi ama con tutto se stesso Dio e prossimo è santo - è purificatore dei fratelli, benefica con pietà sublime gli afflitti, i poveri, i malati di corpo o di spirito, predica e stabilisce così il Regno di Dio, in se stesso e nel mondo. Perché il regno di Dio nell’uomo è l’amore. Entro l’uomo e nel mondo il regno di Dio è l’amore, in opposizione al regno di Satana che è l’odio, l’egoismo e la lussuria triplice. Il Regno di Dio! Ossia il “Pater noster” vissuto, reso vivo dai giusti, reso 165 “azione” continua e non sterilito a parola mormorata più o meno distrattamente. Il “Pater” veramente vissuto, santificando il Nome Ss. di Dio col dargli la lode più vera: quella di adorarlo in spirito e verità, e lavorare perché altri lo adorino mediante l’amore duplice che è ubbidienza alla Legge data per indirizzare l’uomo alla religione, ossia all’unione con Dio e coi fratelli vedendoli in Dio, e al rispetto venerabondo verso i diritti di Dio e fraterno verso i diritti del prossimo. Il “Pater” reso vivo dall’instaurazione del Regno di Dio nelle creature e nel mondo per il duplice amore a Dio e al prossimo, via al possesso del Regno del Cielo. Il “Pater” reso vivo dall’aderenza alla Volontà di Dio, quale che sia, per il duplice amore che fa accettare prove, pene, agonie, lutti, con pacifica ubbidienza, dalla mano di Dio, e sopportare il prossimo, per il soffrire che esso ci può dare, considerandolo “mezzo” al conseguimento dei meriti eterni, per la pazienza continua che vi abbisogna esercitare verso coloro che vi provano, e che sono i vostri poveri fratelli colpevoli contro l’amore, per i quali occorrono misericordia e preghiera perché rientrino nella via della Vita. Il “Pater” reso vivo nella carità di prossimo più difficile a compiersi: quella del perdono ai propri offensori, offerto a Dio Amore perché vi perdoni dei vostri debiti verso di Lui. La carità è la più grande delle purificazioni, e può essere continua: un continuo lavacro delle vostre imperfezioni, compiuto dalle fiamme del duplice amore. E la carità è ancora la Legge spirituale messa in pratica. Potuta mettere in pratica anche dall’uomo carnale perché unita ad essa carità è sempre la fede, la quale, col proporvi le sue verità, vi sprona a superare le prove della vita in vista dell’Origine e del fine d’ogni creatura: da Chi creati, perché creati, a qual sorte creati, da Chi aiutati a raggiungere tal sorte beata, da Chi assicurati che quella beata sorte è retaggio di ogni uomo che viva in giustizia. Ogni verità rivelata è conferma di quanto sia buono, provvido, giusto, il Signore Uno e Trino. Buono, provvido, giusto Dio, Padre, Creatore, che “tutte le cose ha disposto con misu166 ra, numero a peso” 18, e tutte ha ordinate al loro fine, dando all’uomo, il cui fine è soprannaturale, oltre la Grazia, mezzo indispensabile per raggiungere detto fine, la ragione e la coscienza. Le quali permettono all’uomo di conoscere e seguire la legge morale naturale, non scritta da legislatore peribile e fallibile su materie corruttibili, ma dal dito di Dio sulle pagine spirituali e perciò immortali dell’anima, perché non sia soggetta ad altra manomissione che non sia quella volontaria dell’uomo ribelle. Il quale, d’altronde, può fuggirla e soverchiare le voci della ragione e coscienza con l’urlo dei sensi sfrenati, ma non riesce mai a soffocare e per sempre queste voci interiori. Perché esse sono la stessa voce di Dio, risuonante in ogni uomo, sia esso cattolico o infedele, scismatico o ebreo, eretico, separato o scomunicato, perché ogni creatura razionale conosca e viva, se vuole, secondo i dettami della Legge eterna di Bene. Buono, provvido, giusto, Dio Figlio Salvatore, il quale si è incarnato per essere Gesù, ed è morto perché voi foste nuovamente “una sol cosa con Dio” 19, così come i figli sono un solo amore col padre loro. Ed è risorto ed asceso al Cielo non solo per dare agli uomini la prova principale della sua Divinità, ma anche per darvi, con il suo risorgere e ascendere al Cielo, promessa e garanzia della risurrezione finale della carne e dell’esistenza del Regno dei Cieli, nel quale coloro che vissero e morirono nel Signore saranno assunti perché godano la visione beatifica di Dio, giungendo in tal modo alla gaudiosa conoscenza del mistero di Dio, che nessun intelletto umano può 20 penetrare. Buono, provvido, giusto Dio Spirito- Santo Santificatore, anima della Chiesa che vivifica con la sua Grazia e i suoi Doni, che guida, ammaestra e satura d’amore perché discerna e decreti con giustizia e sapienza quanto è attinente alla fede e ai costumi, ed applichi con amore e giustizia sia i beni spirituali come i castighi, e con amore e giustizia, staccata da ogni attaccamento personale a giudizi, o calcoli, o interessi, o preconcetti, o 18 Sapienza 11, 20 19 Giovanni 17, 11 20 può è nostra correzione da più 167 qualsiasi altro moto umano, guidi, sorregga, ammaestri i suoi figli, continuando il magistero del suo Sposo, suo Capo a suo Signore, che deve servire e non addolorare col porre ostacoli alle sue Volontà, anche quando escono dall’ordinario. Perché Dio può volere qualsiasi cosa buona per i suoi figli, ed a nessuno è lecito giudicare gli atti di Dio e condannarli con l’ostacolarli. La Chiesa è, perché Dio Verbo l’ha fondata per volere di Dio Padre e con l’aiuto di Dio Spirito Santo, e l’Unità Trina l’ha fatta tanto feconda, ampliando così, in estensione e profondità, il Regno di Dio nei cuori e sulla Terra, onde l’Umanità pervenga, quanto più numerosamente è possibile, al Regno di Dio nel Cielo. E con la fede è la speranza che si alimenta della fede, così come ambe sono tenute vive dalla carità. La speranza che nasce e riposa dalla e sulla certezza che Dio non mentisce né viene meno alle sue promesse, e quindi dà all’uomo tutti gli aiuti perché possa conseguire la beata risurrezione e la vita eterna per aver conosciuto e creduto nel Figlio di Dio e messo in pratica la sua Parola che salva dalla morte spirituale. Perché la fede e l’unione con Cristo, il vivere in Cristo, è “vita”, e non conoscerà morte colui che in Cristo e di Cristo vive. Ma anzi, anche se è tralcio morto, e poscia, per grazia di Dio e buona volontà umana, perviene alla prima risurrezione: quella di innestare il suo tralcio - fatto morto dall’esser separato dal tronco della Vite: Gesù, o per il peccato, o per appartenenza a chiese separate - all’unica Chiesa Cattolica Apostolica Romana, muta la sua morte spirituale in vita. Ecco dunque che per la Carità - carità di Dio per l’uomo, e dell’uomo per Dio e per il suo simile per la Fede e la Speranza, per tutto quello che vi viene dalle tre virtù teologali, per tutto quello che esse producono in voi, l’uomo carnale, pur portando ancora in sé il tremendo peso della sua umanità ferita, può seguire la Legge spirituale e pervenire alla gloria. “E chi vi libera da questo corpo di morte? La Grazia di Dio per Gesù Cristo Signor vostro”.» 168