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Visualizza/apri - POLITesi
POLITECNICO DI MILANO
FACOLT À DI I NGEGNERIA I NDUSTRIALE
Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Aeronautica
Modelli Dinamici
per lo Studio delle Vibrazioni
della Colonna Vertebrale
Relatore:
Prof. Pierangelo MASARATI
Tesi di Laurea di:
Filippo TUNESI
Anno Accademico 2012 – 2013
Matr. 770841
Abstract
Pilot assisted oscillations (PAO) phenomena are a series of sustained or uncontrollable vehicle oscillations, charaterized by a mismatch between the pilot’s mental
model of the vehicle dynamics and the actual vehicle dynamics. In these kinds
of phenomena the pilot plays an active role (when the frequecies are lower than 1
Hz) or a passive one (for the frequency bandwidth from 2 Hz up to 8 Hz), where
the coupling involves structural dynamics frequencies and a pilot subjected to vibrations that are too high in frequency to be reacted adequately.
The main modal frequencies of the torso seem to affect the pilot’s dynamic in the
frequency range from 2 Hz to 8 Hz. The present work aims at describing the implementation of a multibody model of the torso in order to analyse its influence in
the passive dynamic of the pilot.
After the model building-in, two kinds of analyses were performed: the first involved the coupling of the torso modal model with a detailed multibody model
of the pilot’s left arm, in order to observe the rotation of the collective control
resulting from the oscillations of the seat at different frequencies, while the second coupled both the torso’s and arm’s model with an entire model of a SA 330
PUMA, in order to highlight the instability of the loop transfer function associated
with the complete model.
Key words: vertebral spine; multibody model; passive pilot dynamic; human
whole-body vibration.
Indice
Introduzione
4
1
Anatomia
7
1.1
Piani anatomici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7
1.2
Struttura della colonna vertebrale . . . . . . . . . . . . . . . . . .
8
2
3
Tipologie di modelli
13
2.1
Generalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
13
2.2
Modelli a parametri ridotti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
16
2.2.1
Modello di Wan e Schimmels . . . . . . . . . . . . . . .
17
2.3
Modelli FEM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
20
2.4
Modelli a parametri concentrati . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
25
2.4.1
25
Modello Multicorpo
31
3.1
Descrizione del modello di S. Kitazaki e M. J. Griffin . . . . . . .
31
3.2
Implementazione MBDyn . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
37
3.2.1
Risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
40
Modello Tridimensionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
44
3.3
4
Acquisizione delle proprietà inerziali . . . . . . . . . . .
Accoppiamento dinamico con il modello di braccio
47
4.1
Modello ridotto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
47
4.2
Modello di braccio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
51
4.3
Vibrazione del sedile in direzione z . . . . . . . . . . . . . . . . .
54
4.4
Accoppiamento dinamico con PUMA . . . . . . . . . . . . . . .
59
3
4.5
Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4
63
Introduzione
Il lavoro di tesi proposto mira ad osservare il comportamento che il torso umano riveste all’interno di fenomeni di accoppiamento dinamico tra elicottero e pilota (Rotocraft Pilot Coupling-RPC). Questa interazione si manifesta con la nascita di vibrazioni autosostenute o incontrollate che derivano della riduzione del
margine di fase, indotto dal ritardo nella risposta del pilota, sulla funzione di trasferimento del sistema retroazionato composto dal velivolo e dal pilota. Il loro
effetto è noto fin dalla nascita dell’aviazione; l’aeromobile dei fratelli Wrigth mostrava fenomeni di accoppiamento dinamico tra la struttura e l’aviatore, mentre i
primi filmati, che mostrano lo svolgersi del fenomeno (Aircraft Pilot CouplingAPC), risalgono alla fine della seconda guerra mondiale in cui si registrò l’APC
sul bombardiere Douglas XB-19 durante la fase di atterraggio [1].
Il ruolo che il pilota riveste all’interno dei fenomeni di RPC si differenzia in base
alle frequenze che caratterizzano le oscillazioni generate: per frequenze inferiori
ad 1 Hz il pilota agisce attivamente sui controlli apportando una serie di modifiche alla traiettoria del velivolo in base alla propria sensazione della dinamica
dell’aeromobile, che però si discosta dalla condizione di volo reale. L’accoppiamento si ha con i modi propri della meccanica del volo caratterizzati da frequenze
sufficientemente basse da poter interagire con la dinamica attiva del pilota (ad
esempio il moto fugoide). Per frequenze invece comprese tra 2-8 Hz il pilota riveste un ruolo passivo all’interno del loop di controllo (figura 1), in quanto non
è in grado di controllare attivamente fenomeni che si svolgono a frequenze cosı̀
elevate. In questo caso il pilota agisce da filtro trasformando le vibrazioni introdotte in cabina di pilotaggio in input indesiderati sui comandi. L’interazione con il
velivolo si ha attraverso l’accoppiamento con i modi propri della struttura e delle
5
72
The Role of Rotor Coning in Helicopter Proneness to Collective Bounce
cues
mission
task
demand
sensors
vehicle
response
pilot
FCS
rotorcraft
vibrations
Figure
Blockindiagram
of pilot-vehicle
interaction.
Figura
1: 5.1:
Funzione
anello chiuso
del sistema pilota-velivolo
resonance. What makes the coning mode dominate the proneness to collective bounce is
pale. Sebbene la biomeccanica del braccio rivesta il ruolo principale nella nascita
actually the phase delay introduced by this mode.
di tali oscillazioni,
frequenze
caratterizzano
la risposta
dinamica
torso
Section
5.1 discusseslethe
minimal che
analytical
model required
to point
out thedel
dependence
of collective
on theintervallo
interaction
between
the biomechanics
theconsiderazione
pilot and the rotor
ricadonobounce
nel secondo
di RPC
descritto.
Partendo daoftale
coning mode. Section 5.2 shows how effectively the minimal model captures the essence
si è sviluppato un modello multicorpo del torso umano utilizzabile in analisi di
of the problem along with an exhaustive discussion of the sensitivity of the phenomenon
accoppiamento
dinamico
pilota-velivolo.
to the
most important
parameters
of the problem. Finally, Section 5.3 discusses possible
means
of
prevention,
in
view
of
the
previously
highlighted
rootdella
causes.
Inizialmente (Cap. 1-2) si delinea
brevemente
l’anatomia
colonna vertebra-
le, si evidenziano le diverse tipologie di modelli numerici utilizzati per simularne
5.1
Analytical Model
il comportamento in campo ingegneristico e non e si descrivono le principali tec-
In hover,
the rotor
to a dei
change
the collective
pitch of the blades
with a
niche adottate
perresponds
l’ottenimento
dati in
necessari
all’implementazione
numerica.
collective flap motion. This motion, characterized by the collective flap angle β0 , is called
Successivamente (Cap. 3) si tratta l’implementazione vera e propria del modello
the rotor blade coning motion.
numerico, infine (Cap. 4) si propongono i risultati ottenuti accoppiando il modello
ridotto del torso umano ad uno multicorpo di braccioβ0in diverse analisi proposte
in [2] e [3] per il solo braccio, evidenziandone le differenze.
m
z
000
111
000
111
000
111
Figure 5.2: Sketch of the minimal analytical model of the helicopter associated with pure
heave (z) and collective coning (β0 ) motion.
In this section, the basics of rotor blade flapping coupled with helicopter vertical motion
in hover are reviewed. A sketch of the model is presented in Fig. 5.2. The objective is
to formulate the essential equations of motion that characterize those dynamics of the
helicopter that may be relevant in discussing the basic involuntary interaction with the
pilot during collective bounce.
A simplified model is developed, which consists of the vertical motion of the entire
helicopter in addition to the rotor coning mode. The model is drastically simplified, since
it neglects the details of the rotor hub geometry and kinematics, and many details of basic
rotor aerodynamics like inflow, twist, tip loss etc., that may be significant in performance
analysis but are considered inessential for the description of the desired perturbative model.
Specifically, inflow dynamics has been neglected from the beginning to avoid excessive
Capitolo 1
Anatomia
Si riporta una breve descrizione del sistema osseo che compone la colonna
vertebrale e dei piani di riferimento adottati nel descrivere le diverse porzioni
anatomiche, in modo da fornire la terminologia e la conoscenza anatomica di
base necessarie ad esporre efficacemente i passi di implementazione successivi.
1.1
Piani anatomici
Figura 1.1: Assi e piani anatomici
7
Capitolo 1
Per meglio poter descrivere ed individuare le diverse sezioni che compongono
il corpo umano è utile riferirsi ad un preciso sistema di assi cartesiani. Il sistema di riferimento anatomico nasce dall’intersezione di tre piani che attraversano
il corpo, detti appunto piani anatomici. Il piano sagittale mediano o piano sagittale, che divide il corpo antero-posteriormente in due metà simmetriche, il piano
frontale, che è parallelo alla fronte e perpendicolare al piano sagittale, divide il
corpo in due parti, anteriore e posteriore, completamente diverse tra loro, infine
il piano trasverso che è perpendicolare ai due precedenti, seziona il corpo in una
zona cefalica o superiore e in una zona caudale o inferiore. Le intersezioni tra due
di questi tre piani definiscono gli assi anatomici: l’asse longitudinale, intersezione
tra il piano sagittale e quello frontale, è diretto dal basso verso l’alto, l’asse trasversale, intersezione del piano frontale con quello trasverso, è diretto da sinistra
a destra, infine l’asse sagittale, intersezione del piano frontale e sagittale, è diretto
dalla superficie posteriore a quella anteriore del corpo. L’origine del sistema di
riferimento è posta nel baricentro. Sistemi di riferimento paralleli a quello anatomico si utilizzano anche nella descrizione di specifiche porzioni o sezioni del
corpo, in questo caso l’origine si troverà nel baricentro della sezione stessa. In
figura 1.1 sono riportati i piani e gli assi anatomici.
1.2
Struttura della colonna vertebrale
La colonna vertebrale è un complesso formato da segmenti ossei sovrapposti
e articolati tra loro, che si estende dal cranio fino alla pelvi della quale entra a far
parte. Osservando la colonna vertebrale in proiezione laterale, si nota l’alternarsi
di curve fisiologiche: due lordosi (cervicale e lombare), con concavità posteriore e
due cifosi (dorsale e sacrale), con concavità anteriore. Entrando più nel dettaglio,
la colonna vertebrale risulta formata da 33 o 34 vertebre. Queste sono composte:
da un corpo centrale di forma approssimativamente cilindrica con le facce, superiore e inferiore, concave nella porzione centrale e lievemente rialzate ai bordi e
da un arco, che si trova nella porzione posteriore della vertebra e che insieme al
corpo forma un foro all’interno del quale trova sede il midollo spinale. Questa
8
Anatomia
Figura 1.2: Colonna vertebrale
struttura e le dimensioni rispettive di arco e corpo variano in base alla posizione
della vertebra all’interno della colonna stessa. Solitamente la colonna vertebrale
si divide in quattro sezioni:
• cervicale, composta dalle prime sette vertebre. La prima, l’atlante è priva
di corpo e si articola con il cranio, l’ultima, la vertebra prominente, è una
vertebra di transizione cosı̀ chiamata perché sporge leggermente alla base
del collo. Il corpo delle vertebre cervicali aumenta di volume in direzione
cranio-caudale.
• toracica, costituita dalle dodici vertebre con le quali si articolano le costole.
Anche queste aumentano di dimensioni procedendo verso il basso, dato che
aumenta il carico al quale sono sottoposte e che sono chiamate a sorreggere.
• lombare, a questo tratto appartengono cinque vertebre. In queste vertebre
il corpo si presenta più voluminoso e il foro si riduce. Inoltre queste vertebre presentano dei processi costiformi che vengono considerati residui delle
costole lombari.
9
Capitolo 1
• sacrococcigeo, quest’ultimo tratto è composto da osso sacro e coccige.
L’osso sacro che origina dalla fusione di cinque vertebre sacrali, si articola
lateralmente con le anche e insieme al coccige costituisce il bacino. Il coccige, è anch’esso costituito dalla fusione di quattro o cinque segmenti ossei,
con dimensione decrescente e di cui solo il primo mantiene le caratteristiche
di vertebra.
Per quanto riguarda la classificazione, ciascuna vertebra è individuata dalla
lettera maiuscola corrispondente all’iniziale del tratto di appartenenza, (C per le
cervicali, T per le toraciche, L per le lombari e S per le sacrali) e dal numero che
ne indica la posizione all’interno della sezione.
Tra le vertebre si stabiliscono due tipi di articolazione, una tra i corpi vertebrali e l’altra tra i processi articolari. La prima, si stabilisce tra la faccia inferiore
e quella superiore dei corpi di due vertebre contigue. Queste due superfici sono
separate per mezzo di un disco intervertebrale, con forma a lente biconvessa e
costituito da un anello fibroso periferico e da un nucleo centrale polposo. Quest’ultimo si può spostare durante i movimenti della colonna vertebrale, rendendo
possibile una certa inclinazione tra i piani dei corpi vertebrali. Nella seconda, le
due superfici articolari sono pianeggianti o debolmente inclinate (nel caso delle
vertebre lombari), i movimenti che ne conseguono sono di lieve scorrimento tra le
superfici contigue. Le superfici a contatto sono dirette secondo un piano frontale
nelle vertebre cervicali e toraciche, mentre sono dirette secondo un piano sagittale nelle vertebre lombari. Le due superfici sono unite per mezzo di una capsula
fibrosa e di legamenti.
La colonna vertebrale è movimentata da un serie di muscoli pari che si possono
dividere in superficiali, intermedi e profondi. Dei muscoli superficiali fanno parte:
il muscolo splenio della testa, che collega le vertebre dalla C2 alla T2, estendendo, inclinando e ruotando la testa dal proprio lato, il muscolo splenio del collo
che origina nelle prime vertebre toraciche, si collega alle prime vertebre cervicali
ed estende la spina dorsale, infine il il muscolo sacrospinale che interessa quasi tutte le vertebre estendendosi dal tratto sacrale a quello cervicale, anch’esso
estende la colonna vertebrale e la testa dal proprio lato. I muscoli intermedi sono
10
Anatomia
rappresentati dal muscolo trasverso spinale che si estende al di sotto del muscolo sacrospinale, estendendo e ruotando la colonna e la testa dal lato opposto. I
muscoli profondi sono piccoli muscoli che collegano vertebre adiacenti, questi
estendono, ruotano ed inclinano lateralmente la colonna e la testa.
La colonna vertebrale svolge principalmente tre funzione:
• funzione di sostegno: per sorreggere il corpo sottoposto alla spinta della
gravità
• funzione protettiva: le vertebre proteggono il midollo spinale e quindi il
sistema nervoso centrale da urti di tipo meccanico, mentre i dischi intervertebrali attenuano le vibrazioni, che interessano l’intero corpo, evitando che
queste provochino danni al cervello.
• funzione motoria: la mobilità della colonna, garantisce sia il corretto funzionamento degli organi interni, sia la possibilità di movimento del corpo.
11
Capitolo 2
Tipologie di modelli
L’utilizzo di modelli numerici per la simulazione del comportamento del torso umano risulta di notevole interesse per diversi campi di applicazione. Analisi
svolte attraverso modelli numerici offrono un efficace strumento di indagine, limitando il costo in termini di tempo e denaro associato a prove sperimentali. Le
principali analisi si effettuano: per l’ottimizzazione delle sospensioni di sedili o
automobili, per analisi di impatto, rilevando i danni causati a livello della colonna vertebrale e in campo biomedico per la costruzione di protesi o per la simulazione di operazioni chirurgiche. Di seguito si riporta un excursus sui principali
impieghi, e sui modelli che meglio si adattano ad essi, delineandone le differenze
e identificando la scelta migliore per lo scopo di questo lavoro.
2.1
Generalità
Modelli numerici del corpo umano sono stati estensivamente utilizzati nella
seconda metà del XX secolo, per meglio indagare il comportamento e gli effetti
dinamici sul sistema complesso formato dalla struttura vera e propria e dall’operatore, che con essa deve lavorare a stretto contatto. L’interesse nello sviluppo
di modelli numerici fu spinto; da un lato dal bisogno di comprendere a pieno il
comportamento dinamico dell’uomo, visto questa volta come sistema meccanico,
e dall’altro dalla necessità di limitare i costi dovuti a dispendiose prove sperimentali e alla prototipazione.
13
Capitolo 2
Diversi sono i campi per i quali l’utilizzo di questi modelli si presta. I principali modelli utilizzati hanno lo scopo di studiare e prevenire i danni causati da
sollecitazioni periodiche o non periodiche sulla spina dorsale. Infatti è noto che
l’utilizzo di macchinari automatizzati, soggetti all’azione ciclica di parti in movimento, provoca l’aumento delle patologie riguardanti la colonna vertebrale. Queste patologie risultano più accentuate nei lavoratori che operano con macchinari di
grande dimensione e con attrezzature pesanti, ma sono comunque presenti in tutte le civiltà sviluppate come conseguenza dell’industrializzazione, [4]. Anche gli
autisti, per i quali le sollecitazioni sono indotte dall’irregolarità del manto stradale, possono subire la degradazione sia dei dischi intervertebrali sia delle vertebre
stesse, andando ad influenzare la corretta postura e ad arrecare danni alla salute
del conducente. Ad esempio, E. Pennestrı̀ e P. P. Valeri, [5], utilizzarono modelli
numerici per ricostruire il comportamento di conducenti di autoveicoli e studiare
appunto l’effetto di queste vibrazioni.
Altri modelli furono sviluppati dalla NASA alla fine degli anni settanta, a seguito di una estesa campagna di raccolta dati, per ricavare i valori di carico, dovuti
all’eiezione del sedile dall’abitacolo di velivoli militari, sul pilota in diverse posizioni. La NASA sviluppò anche modelli dinamici di primati: scimpanzé, babbuini
e macachi per cercare di determinare una metodologia di scala tra le risposte dinamiche di questi e dell’uomo.
Modelli numerici antropomorfi si utilizzano negli studi di crash. In realtà questi
modelli non si prefiggono di simulare il comportamento dinamico del corpo umano, ma quello del manichino, che si impiega comunemente come strumento di
misura e indagine del danno arrecato ai conducenti di velivoli a seguito di impatti
con il suolo. All’interno del dipartimento di ingegneria aerospaziale del Politecnico di Milano modelli di manichini antropomorfi sono stati sviluppati da Airoldi,
Lanzi, Astori, Grassi e Cacchione per l’ottimizzazione delle cabine di elicottero
a seguito di impatti [6] e in [7]. Sempre in campo aerospaziale, la tendenza a
considerare il pilota come parte integrante nella risposta dinamica della struttura
è aumentata negli ultimi anni, principalmente grazie all’osservazione di due fenomeni: APC (Aircraft Pilot Coupling) e RPC (Rotorcraft Pilot Coupling). Questi
14
Tipologie di modelli
due fenomeni consistono nel cambiamento delle proprietà aeroservoelastiche di
aerei ed elicotteri dovuto all’interazione della struttura e del sistema di controllo
con la dinamica del pilota, in particolare con i ritardi e le non linearità introdotte
dal sistema muscolare. L’utilizzo di modelli numerici ha permesso di comprendere più a fondo il ruolo che il pilota riveste all’interno del loop di controllo e ridurre
le possibilità di nuovi incidenti. Il campo elicotteristico, presenta maggiori criticità, data la vicinanza delle frequenze di eccitazione, associate al rotore principale
e al sistema di trasmissione, e quelle naturali di risposta del corpo umano.
Nonostante i costi e le difficoltà di realizzazione, gli studi di natura biomedica effettuati su soggetti in vivo, sono alla base della generazione e della validazione di
tutti i modelli numerici sviluppati. Inoltre forniscono una più profonda comprensione del comportamento dinamico della colonna vertebrale e della sua ricettività
al variare di diversi parametri, come ad esempio: la posizione, la postura o il
supporto d’appoggio. I risultati ottenuti, come immaginabile, presentano molta
sensibilità sia rispetto alle caratteristiche proprie dei soggetti utilizzati: peso, altezza, età, massa muscolare, condizione fisica, sesso influenzano enormemente il
comportamento dinamico del corpo sia per quanto riguarda le tecniche di misura e
il posizionamento dei sensori. Anche se la sparsità dei dati ottenuti da prove sperimentali risulta marcata, si è comunque riusciti a determinare delle caratteristiche
di massima che sembrano descrivere adeguatamente il comportamento dinamico
del corpo. Per quanto riguarda il torso, si riscontra che l’esposizione a vibrazioni
in un range di frequenze tra i 5 − 10Hz causa la risonanza nei sistemi nella zona toracico-lombare, mentre vibrazioni alle frequenze comprese tra i 20 − 30Hz
causano la risonanza nella zona del collegamento testa-collo-spalla. Numerosi test sono stati eseguiti su animali, oltre ai primati precedentemente citati, anche su
maiali, conigli e cavie. Questi studi hanno permesso di indagare il comportamento
della struttura ossea e muscolare esposta a lunghi periodi di vibrazione.
Indipendentemente dallo scopo, i modelli di corpo umano possono essere divisi
in tre categorie: modelli a parametri ridotti, modelli FEM e modelli a parametri
concentrati (lumped-model).
15
Capitolo 2
2.2
Modelli a parametri ridotti
Dal punto di vista della risposta alle vibrazioni, il corpo umano risente principalmente della frequenza, dell’ampiezza e della durata della vibrazione, della
direzione di eccitazione, nonché della presenza di supporti esterni. I modelli a
parametri ridotti sono modelli che si utilizzano per ricostruire il comportamento
dinamico del corpo, quando sollecitato secondo una ben precisa direzione. Sono
modelli costituiti da un numero ridotto di gradi di libertà, generalmente composti
da una serie di masse concentrate connesse tra loro attraverso molle e smorzatori, le cui proprietà si ottengono a seguito di un’operazione di identificazione.
Dall’identificazione, approssimando la funzione di trasferimento H(s) ottenuta
sperimentalmente come rapporto tra polinomi (2.1);
P
N −j
bj
j=1,N s
P
H(s) = N
s + j=1,N sN −j aj
(2.1)
si ricavano i coefficienti (aj e bj ) che meglio interpolano i dati raccolti; successivamente questi coefficienti si convertono in parametri associabili a massa, rigidezza
e smorzamento rendendo più semplice la visualizzazione e l’utilizzo del sistema
all’interno di programmi di calcolo.
Questi modelli vengono classificati secondo, la direzione del moto considerata e
le caratteristiche (lineare o non lineare) delle leggi costitutive degli elementi elastici e degli smorzatori.
La maggior parte dei modelli sviluppati simula la risposta del corpo umano in
direzione cranio caudale, ma esistono anche modelli che rispondono all’eccitazione secondo più direzioni. Le caratteristiche degli elementi deformabili invece,
dipendono sostanzialmente dal tipo di analisi per le quali il modello è stato sviluppato: per analisi di impatto, dove vengono considerate grandi deformazioni,
ad esempio, bisogna tenere conto delle non linearità osservate nel comportamento
dei tessuti che compongono il corpo umano, dall’altra parte se le vibrazioni introdotte all’interno del sistema non superano i 2m/s2 , la risposta del sistema risulta
avere un andamento lineare, [8].
16
Tipologie di modelli
2.2.1
Modello di Wan e Schimmels
z4
m4
c4
z3
``
`
` k4
`
`
m3
c3
!
`!
```
`
```
`
```
!
k31 !
c31
z1
`
`
k3
`
`
`
`
z2
m2
c2 ` k
`
2
`
`
`
`
m1
z0
c1
!
```
k1
`
``
```
!
Figura 2.1: Modello di Wan e Schimmels
Nel 1995, Wan e Schimmels, [9], svilupparono un modello a 4 gradi di libertà
per simulare la risposta di un soggetto seduto sottoposto a vibrazioni verticali. Il
modello si utilizzò per l’identificazione dei parametri di ottimo che garantivano
l’isolamento del conducente dalle vibrazioni del sedile. Essendo richiesti tempi di
analisi ridotti, si ricercò un modello con un numero limitato di gradi di libertà.
Il sistema consiste in 4 masse: m4 , che costituisce la testa, m3 , il torace, m2 , le
viscere e m1 l’addome, connesse tra loro, come mostrato in figura 2.1, per mezzo
di cinque molle (ki ) e cinque smorzatori (ci ) lineari. In questo caso le grandezze
utilizzate sono state ricavate per confronto tra le funzioni di trasferimento del
modello e i dati ottenuti sperimentalmente. I risultati dell’identificazione sono
riportati in tabella 2.1.
17
Capitolo 2
Tabella 2.1: Grandezze caratteristiche del modello di Wan e Schimmels
mi
i=1;
36.00
i=2;
5.50
i=3;
15.00
i=4;
4.17
i=5;
-
[kg]
ci
2475.00
330.00
909.09
200.00
250.00
[ Nms ]
ki
49341.60
20000.00
192000.00
10000.00
134400.00
[ Ns ]
Riferendosi alla nomenclatura in figura 2.1, le equazioni del sistema sono
riportate di seguito.

m1 z¨1 + (c1 + c2 + c31 )z˙1 + (k1 + k2 + k31 )z1 − c2 z˙2 − c31 z˙3 − k2 z2 +




−k31 z3 = c1 z˙0 + k1 z0








 m2 z¨2 + (c2 + c3 )z˙2 + (k2 + k3 )z2 − c2 z˙1 − k2 z1 − c3 z˙3 − k3 z3 = 0


m3 z¨3 + (c31 + c3 + c4 )z˙3 + (k31 + k3 + k4 )z3 − c31 z˙1 − k31 z1 − c3 z˙2 −




+k3 z2 − c4 z˙4 − k4 z4 = 0







m4 z¨4 + c4 z˙4 + k4 z4 − c3 z˙3 − k3 z3 = 0
(2.2)
Dalle equazioni precedentemente riportate, riscritte nel dominio delle frequenze, si ricava l’andamento della funzione di trasferimento tra lo spostamento del
sedile e il movimento della testa. Osservando figura 2.2, si possono delineare, al
variare della frequenza di eccitazione, le caratteristiche generali che descrivono il
trasferimento delle vibrazioni dal sedile alla testa del conducente.
A basse frequenze, sotto i 2 Hz, la vibrazione del corpo è dominata dalla massa
e la funzione ha modulo unitario. Il conducente si comporta come un corpo rigido, trasmettendo alla testa le stesse sollecitazioni indotte al sedile. Aumentando
la frequenza, però si assiste ad un progressivo aumento del valore della funzione fino a raggiungere un picco nell’intorno dei 5 Hz. Questo picco coincide con
la principale frequenza di risonanza del corpo in direzione verticale; un segnale
di ingresso, di ampiezza costante e frequenza di 5 Hz, si amplifica attraverso il
sistema di un fattore 1.5 rispetto al medesimo sistema considerato rigido. Nella
regione compresa tra 5 − 8 Hz, la curva decresce fino ad incontrare un altro picco
18
Tipologie di modelli
1.4
1.2
m/m
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
0.1
1
10
100
10
100
Hz
0
-50
deg
-100
-150
-200
-250
-300
0.1
1
Hz
Figura 2.2: Andamento della funzione di trasferimento sedile-testa del modello di
Schimmels in termini di ampiezza e fase
19
Capitolo 2
di risonanza, che dato l’elevato valore di smorzamento risulta meno pronunciato
rispetto al primo. A frequenze superiori, il segnale in ingresso si attenua e la funzione tende ad un valore nullo.
Il successo ottenuto da questo modello fu ampio. Infatti, nonostante la semplicità esso simulava fedelmente il comportamento dinamico del corpo. Il riscontro
con dati sperimentali ISO-7962, [10], in termini di spostamento della testa in conseguenza a vibrazioni introdotte nel sedile (Seat-to-Head Trasmissibility) furono
ottimi. I dati ISO sono ricavati a valle di una serie di 11 studi sperimentali su più
di una settantina di soggetti, che delinea in modo molto affidabile le caratteristiche dinamiche del torso soggetto a oscillazioni verticali; lo scostamento ridotto da
questi risultati fu la verifica dell’attendibilità del modello.
2.3
Modelli FEM
Il principale obbiettivo, che gli studi attraverso questi modelli si pongono, si
può identificare nell’indagine della distribuzione degli sforzi, all’interno del corpo umano, derivante da fenomeni provenienti dell’esterno. Fanno parte di questa
categoria le analisi di impatto, atte a determinare i valori di carico, ai quali sono soggetti i diversi segmenti corporei, in seguito a brusche introduzioni di forza
generate da eventi più o meno estremi. I modelli FEM possono essere utilizzati
per ricavare, in maniera molto dettagliata, i modi propri di vibrare di specifiche
porzioni corporee, oltre che per simularne il comportamento a fatica. La praticità
dei modelli a parametri ridotti si scontra, infatti con la possibilità di individuare
al loro interno specifici elementi del corpo, nonché con la possibilità di ricavarne le forme modali. A differenza dei modelli a parametri ridotti, i modelli FEM
presentano un elevato numero di gradi di libertà, che gli permette di descrivere in
maniera molto realistica organi, sistemi e strutture che compongono l’organismo.
L’uso di migliaia o centinaia di migliaia di gradi di libertà, consente infatti di ricostruire le variazione delle caratteristiche fisiche dei vari elementi nello spazio
(massa e rigidezze distribuite). Riproducendo fedelmente il movimento del corpo,
questi modelli, individuano i fenomeni di risonanza locale e i contributi di ogni
20
Tipologie di modelli
sottosistema al moto complessivo.
La necessità di modelli con un elevato grado di dettaglio, per identificare con
ottima precisione le frequenze proprie e le sollecitazioni indotte sulla colonna
vertebrale, rendendo quindi possibile l’utilizzo di questi modelli per un affidabile
previsione del comportamento dinamico del corpo, fu dimostrata da Goel, [11].
Nel 1995, volendo indagare le sollecitazioni indotte da vibrazioni sul tratto inferiore della colonna vertebrale, Goel sviluppò un modello del tratto L5-S1. Si tratta
di un modello rappresentante i due segmenti inferiori della colonna vertebrale, il
modello era tridimensionale e completamente non lineare. La parte superiore del
torso fu resa attraverso una massa equivalente a quella del soggetto posta sopra la
vertebra L4.
Il modello si utilizzò per confrontare le sollecitazioni, avvertite a livello delle
vertebre, dovute all’azione di carichi ciclici (−400 ± 40N ), applicati a differenti
frequenze (5, 11, 16.5 e 25 Hz) rispetto all’applicazione statica (360N e 440N ).
La simulazione rilevò un aumento degli sforzi di circa il 20%, (alla frequenza
di 11 Hz), rispetto all’applicazione statica. L’aumento degli sforzi si dimostrò
dipendente dalla frequenza di applicazione del carico, come dimostrato da dati
sperimentali, però il modello mostrò una frequenza di risonanza di 17.5 Hz, rappresentata da un modo flessionale, che non si riscontrò sperimentalmente.
Cosı̀ nel 2003, Goel e Kong [12], svilupparono un modello completo della colonna vertebrale, dal tratto cervicale a quello sacrale. Il modello consisteva in una
fedele rappresentazione del tratto lombare e sacrale, al quale fu sovrapposto un
modello a travi del torace, comprendente anche le costole modellate con un sistema di travature. Anche l’azione dei muscoli fu inclusa: i muscoli profondi furono
descritti nel dettaglio, mentre quelli addominali, data la loro complessità, furono
modellati con un sistema formato da quattro travi. I dati utilizzati furono ricavati
da studi precedentemente svolti.
Le frequenze di risonanza ottenute dall’analisi modale furono del tutto equivalenti a quelle ottenute sperimentalmente, fino ad una frequenza di circa 30 Hz.
Altri esempi di modelli altamente dettagliati della colonna vertebrale si possono
trovare come supporto alla chirurgia. Questi modelli sono utilizzati per lo studio
21
Capitolo 2
di patologie della colonna vertebrale, come ad esempio la spondilolisi. La spondilolisi si manifesta come una malformazione delle vertebre lombari, nelle quali
l’arco risulta interrotto, cosicché la vertebra non articola correttamente con le vertebre adiacenti. Questa lisi della vertebra genera una forte compressione delle
radici nervose, che sono contenute all’interno del canale spinale, provocando dolore nel soggetto affetto dalla patologia. Inoltre, data la mancanza di articolazione
della vertebra malformata all’interno della colonna vertebrale, la patologia può
degenerare in una listesi (sponditolistesi), ossia in uno scivolamento in avanti della vertebra sotto l’azione del peso corporeo. Sebbene corsetti possano prevenire
l’insorgere della spondilolistesi, l’intervento chirurgico si presenta come l’unica
possibilità di guarigione.
Figura 2.3: Modello FEM del tratto L3-L5 per lo studio di diversi interventi chirurgici
per la cura della spondilolisi
Modelli numerici, come quello in figura 2.3, sono utilizzati per simulare operazioni, in questo caso una laminectomia, confrontando i risultati di diversi approcci
al medesimo problema e ricavandone la soluzione ottima. Il modello rappresenta
il tratto L3-L5, formato quindi da tre vertebre lombari e dai due dischi intervertebrali ad esse interposti. La modellazione iniziale, effettuata mediante elementi di
piastra, prevede la costruzione del tratto spinale considerato; successivamente due
incisioni di 1mm furono praticate in entrambi i processi articolari della vertebra
L4, per simulare una spondilolisi laterale.
22
Tipologie di modelli
Lo studio volgeva all’analisi degli sforzi generati a livello delle vertebre a seguito
di un intervento chirurgico di laminectomia, ossia l’eliminazione di parte della
vertebra in modo tale da decomprimere le radice nervose interessate dalla patologia. Il confronto è stato eseguito tra due approcci diversi: il primo, più tradizionale, consiste in una laminectomia classica (o laminectomia di Gill), il secondo, più
moderno e meno invasivo, in una laminectomia endoscopica..
Figura 2.4: Distribuzione degli sforzi in un soggetto con spondilolisi prima (a) e dopo
(b) la laminectomia
Figura 2.5: Distribuzione degli sforzi in un soggetto con spondilolisi prima (a) e dopo
(b) la laminectomia in endoscopia
23
Capitolo 2
Gli svantaggi principali nell’utilizzo di modelli cosı̀ dettagliati, risiedono nei lunghi tempi di analisi richiesti, ma anche nelle conoscenze preliminari che è necessario acquisire, per poter ricostruire in maniera sufficientemente approfondita,
il comportamento dei vari sottosistemi che costituisco il corpo umano. Per cui
se l’obbiettivo primario dell’analisi è quello di prevedere i valori di carichi che
agiscono sulle diverse porzioni del corpo l’utilizzo di questi modelli resta l’unica soluzione, ma se si ha interesse nel ricostruire il comportamento dinamico del
corpo o nelle sue forme modali, i modelli a parametri concentrati offrono una più
efficiente alternativa.
24
Tipologie di modelli
2.4
Modelli a parametri concentrati
I modelli a parametri concentrati possono essere visti come un efficiente compromesso tra i modelli FEM e quelli a parametri ridotti. Questi modelli sono
costituiti da un numero sufficiente di gradi di libertà da descrivere i modi di deformarsi della struttura in maniera accurata, in più o meno ampi range di frequenze,
ma al contempo non cosı̀ elevato da gravare negativamente sui tempi di analisi.
Modelli di questo tipo sono costituiti, per quanto riguarda il torso, da un numero
di nodi solitamente pari al numero di vertebre mobili, uniti tra loro attraverso elementi elastici. Ad ogni nodo è associata una massa pari al segmento di torso che
esso si trova a sorreggere, quindi anche in questo caso come avveniva nei modelli ridotti, le masse presenti all’interno del modello non si riferiscono a particolari
organi o elementi del corpo. L’ottenimento delle proprietà inerziali: massa, centro
di gravità e matrice d’inerzia di ciascuna porzione, presenta notevoli difficoltà, il
paragrafo seguente cercherà di delinearne le principali.
2.4.1
Acquisizione delle proprietà inerziali
Il calcolo delle proprietà inerziali di vari segmenti corporei, da utilizzare per la
descrizione di modelli numerici a parametri concentrati, presenta numerose difficoltà. I motivi che spingono ad una corretta acquisizione di queste proprietà sono
diversi e legati al tipo di problema che si ci trova ad affrontare. Esse rivestono
una notevole importanza: in campo biomedico, in particolare nella progettazione
di protesi e nello studio di problemi ortopedici, in campo aeronautico, ad esempio per quanto riguarda l’eiezione dell’insieme pilota-sedile da aeromobili, dove
queste proprietà sono necessarie per descrivere correttamente la traiettoria e l’orientamento del sistema durante l’intera operazione di espulsione; ma anche nelle
analisi di impatto, in cui si è interessati a determinare i carichi limite agenti sulle
diverse porzioni di corpo.
Il primo ad investigare le proprietà inerziali del corpo umano fu Giovanni Alfonso
Borelli (1608-1679), matematico e astronomo italiano discepolo di Galileo, che
tramite un semplice esperimento fu in grado di determinare il baricentro del corpo
25
Capitolo 2
umano. I soggetti nudi vennero posti sdraiati su una piattaforma rigida, che successivamente veniva fatta scorrere su di uno spigolo, fintanto che non si trovasse
perfettamente in equilibrio.
Le proprietà inerziali di porzioni di corpo si acquisiscono sia con misure effettuate
su cadaveri sia su soggetti in vivo. Le due alternative offrono vantaggi e svantaggi.
I dati ricavati su volontari sono preferibili, in quanto la perdita del tono muscolare,
di liquidi, il cambiamento nei tessuti e le cause della morte, possono influenzare le
misure ottenute; dall’altra parte, non essendo possibile la dissezione, le proprietà
inerziali in vivo, si ricavano utilizzando metodi molto sensibili ad errori. La tecnica comunemente utilizzata è quella delle variazioni differenziali. Il termine si
riferisce alle variazioni nelle proprietà inerziali di un corpo dovute ad un cambiamento nella posizione dello stesso. L’applicazione presenta non poche difficoltà;
esso infatti, prevede che il peso della sezione di interesse, si ricavi dalla differenza
tra le reazioni vincolari misurate, alla base di un supporto in diverse configurazioni. Volendo, ad esempio, determinare la massa di un braccio, si distende il corpo
su di una piattaforma strumentata vincolandolo alla stessa, dopo di che si valuta
la variazione tra le forze di vincolo ottenute con il braccio in posizione verticale
con quelle con l’arto lungo il corpo. Il metodo risulta efficientemente applicabile
solo nel caso in cui il baricentro sia stato precedentemente determinato con notevole accuratezza ed inoltre la variazione dello stesso, a causa del movimento dei
muscoli, può essere fonte di incertezza sui risultati ottenuti. Necessita, inoltre, di
strumenti di misura molto sensibili per catturare la variazione nelle reazioni misurate a seguito del movimento di piccole porzioni di corpo. Infine, per quanto
possa essere utilizzato facilmente per le estremità corporee, risulta impraticabile
se applicato a sezioni del torso. Difficoltà ancora maggiori si incontrano nella determinazione in vivo della matrice di inerzia relativa a porzioni di corpo.
L’avvento di nuove tecnologie permise lo sviluppo di strumenti alternativi per la
misurazione delle proprietà inerziali. Nel 1938, Wienbach fu il primo ad utilizzare la stereofotogrammetria nella misurazione delle proprietà inerziali di alcune
sezioni corporee. La stereofotogrammetria permette di ricavare, da due fotografie
scattate da diverse angolazioni, una visione stereoscopica dell’oggetto e quindi di
26
Tipologie di modelli
determinarne la forma e le dimensioni. La tecnica, comunemente utilizzata per i
rilevamenti architettonici o geografici, applicata al corpo umano, prevede la scansione fotografica del soggetto o della sezione corporea di interesse. Grazie alla
conoscenza di alcuni parametri, quali:
• la posizione delle fotocamere rispetto ad un sistema di riferimento fisso
• l’orientamento delle fotocamere rispetto al medesimo sistema di riferimento
• la distanza focale, o distanza principale, la distanza tra la superficie fotosensibile e il marker, un punto posto sulla superficie dell’oggetto da identificare
geometricamente, visibile da entrambe le fotocamere
si ricavano informazioni di grande precisione, tra cui appunto le dimensioni dell’oggetto. Per agevolare il processo di estrazione delle grandezze cercate, si utilizzano scale graduate e più punti di segnalazione con posizione nota. In figura
2.6 si possono osservare le due aste verticali graduate e le sbarre d’acciaio ad esse
perpendicolari, che definiscono la gabbia di rilevamento, alla cui estremità è posta
una sfera.
Ricavate le dimensioni, le proprietà inerziali della porzione corporea si calcolano
ipotizzando la densità della sezione stessa. Quest’ultima ipotesi è la maggior fonte d’errore all’interno del metodo.
Lo stato attuale dell’arte prevede che le misure vengano effettuate tramite una
scansione laser dell’intero soggetto.
Per quanto riguarda invece test eseguiti su cadaveri, la possibilità di discissione
semplifica notevolmente le problematiche riguardanti le apparecchiature di misura, che a questo punto possono essere le medesime utilizzate per qualsiasi altro
corpo. Misure delle proprietà inerziali della colonna vertebrale su cadaveri furono
effettuate da Liu e Wickstrom, [13]. Le misure raccolgono i dati provenienti dal
sezionamento del torso, secondo piani paralleli al piano trasverso, di sette cadaveri. Determinata la posizione di ciascuna vertebra attraverso delle radiografie, i
piani di sezione vennero scelti in modo tale che queste fossero separate. Ottenuti
27
Capitolo 2
Figura 2.6: Strumentazione per la fotogrammetria
cosı̀ i diversi segmenti, questi furono pesati. La posizione del baricentro fu stimata, applicando lo stesso metodo utilizzato da Borelli. Ciascun segmento fu posto
su di una piattaforma e fatto scorrere su di uno spigolo vivo. Una volta in equilibrio, la posizione dello spigolo fu impressa sulla porzione di corpo. Ripetendo
la procedura, con la piattaforma ruotata, si determinò la posizione del centro di
gravità sul piano di taglio della sezione, coincidente con l’intersezione delle due
linee tracciate sui segmenti. La profondità del baricentro all’interno del segmento
fu ipotizzata, data la simmetria rispetto al piano trasverso delle sezioni, essere a
metà dello spessore medio, precedentemente ricava come media di misurazioni
effettuate, in più punti, con un calibro.
Riferendo la posizione del baricentro rispetto a quella della vertebra contenuta nel
segmento, si definisce l’origine e gli assi di un sistema di riferimento anatomico. I momenti d’inerzia attorno ai tre assi, si ricavarono per mezzo di un pendolo
torsionale, come quello in figura 2.7. Considerando il moto torsionale, l’inerzia
incognita JB di un corpo, intorno all’asse identificato dal filo, può essere ricavata
conoscendo: l’inerzia JA e i periodo di rotazione TA di un secondo corpo e il periodo di rotazione T0 del pendolo scarico, secondo la relazione (2.3).
28
Tipologie di modelli
Figura 2.7: Pendolo torsionale
JB = JA
T2 − T2 0
B
TA2 − T02
(2.3)
I momenti d’inerzia ricavati si assumono essere momenti principali, in quanto per
ciascun segmento i piani sagittale e trasverso si possono considerare piani di simmetria.
Nonostante la semplicità della procedura illustrata le misure ottenute devono essere corrette per l’insorgere di fenomeni post mortem, come il rilassamento muscolare o l’evaporazione di fluidi, prima di essere utilizzate all’interno di modelli
numerici. Lo scopo ultimo dello studio effettuato da Liu e Wickstrom fu quello
di definire delle equazioni di regressione che permettessero conoscendo: peso, altezza e circonferenza delle sezioni di torso del soggetto, di ottenere il baricentro,
la massa e i momenti d’inerzia intorno ai tre assi.
29
Capitolo 3
Modello Multicorpo
I capitoli che seguono sono dedicati alla descrizione delle fasi successive che
hanno portato all’implementazione di un modello a parametri concentrati tridimensionale del torso, il cui obiettivo principale consiste nel ricavarne un modello
modale, ridotto alle frequenze di interesse, per lo studio dell’accoppiamento dinamico tra pilota ed elicottero. Tra i vari modelli disponibili per l’analisi dinamica
del torso umano, si è scelto come base di partenza, un modello bidimensionale nel
piano sagittale presentato da S. Kitazaki e M.J. Griffin. La scelta di un modello
a parametri concentrati si deve principalmente alla volontà di ricostruire le forme modali della colonna, senza incorrere negli eccessivi dettagli di modellazione
propri dei modelli FEM.
3.1
Descrizione del modello di S. Kitazaki e M. J.
Griffin
Il seguente modello bidimensionale, che descrive il moto del torso nel piano
sagittale, si compone di 134 elementi per un totale di 87 gradi di libertà. La colonna vertebrale si foggia con una serie di 24 elementi di trave, privi di massa (beam
elements), passanti per il centro di ciascun nodo vertebrale, in modo da poter ricostruire tutti i modi di deformazione flessionali della colonna dorsale.
Nella modellazione, effettuata tramite Nastran, le aste rappresentano l’insieme
31
Capitolo 3
delle unità che costituiscono le articolazioni intervertebrali, di conseguenza le
grandezze necessarie a descrivere questi elementi, all’interno del codice, si determinano in modo tale da ricostruirne la rigidezza. Partendo dalla matrice di
rigidezza della trave incastrata, conoscendo dalla letteratura i valori di rigidezza
(assiale e flessionale) dell’articolazione [14], si ricavano l’inerzia e l’area delle
diverse travi, necessarie alla compilazione della card PBAR. Il modulo elastico E
del materiale si suppone unitario.
Per quanto riguarda la massa della colonna dorsale, questa si associa ai nodi che
modellano le vertebre. La modellazione delle masse contenute all’interno del modello segue quella proposta da Belytschko [15], dove si ipotizza che la massa, da
riferirsi a ciascun nodo vertebrale, sia quella corrispondente alla sezione toracica
o addominale di appartenenza della vertebra stessa.
La posizione dei nodi, identificabili con le vertebre cervicali, coincide con la posizione del baricentro delle porzioni stesse. Nella zona toracica, le masse si collocano anteriormente e si collegano alle vertebre tramite elementi rigidi e privi
di massa (RBE2). L’eccentricità delle masse si ottiene dalle misure effettuate da
Liu e Wickstrom, [13]. Oltre al contributo degli organi del torace e delle vertebre,
le masse associate al secondo tratto della colonna vertebrale, comprendono anche
le braccia e le mani, la cui massa si divide e si riporta sulle vertebre toraciche
(0.775 kg sulle vertebre del tratto T1-T6). Al disotto della vertebra T10, nel tratto addominale, le masse relative alla colonna e quelle relative agli organi molli
contenuti all’interno del diaframma, si modellano separatamente, pur non riferendosi a nessun particolare elemento corporeo. La necessità di una modellazione
più dettagliata delle masse addominali si deve; da un lato, alla rilevanza superiore
in termini di peso rispetto agli elementi molli contenuti nel torace, dall’altro, non
essendo vincolate all’interno di alcuna struttura ossea, il loro movimento influenza notevolmente il comportamento dinamico del torso, [16].
Le masse delle viscere addominali, sette in tutto, costituiscono una seconda colonna che si estende anteriormente rispetto a quella vertebrale, le cui estremità, poste
all’altezza dei nodi T10 e S1, sono prive di massa. Le due colonne interagiscono
tra loro, mediante molle orizzontali, mentre le estremità, superiore ed inferiore, si
32
Modello Multicorpo
connettono con il nodo dorsale T10 e con la massa pelvica tramite elementi rigidi
e privi di massa (RBE2). Il movimento delle viscere si suppone vincolato alle
sole traslazioni nel piano sagittale, ipotesi che semplifica notevolmente l’analisi,
ma comunque risulta verificata se le frequenze di interesse non superano i 10 Hz,
[17].
Il nodo, identificato con la testa, si collega alla prima vertebra cervicale mediante
un elemento di trave che simula l’articolazione atlo-occipitale. La pelvi si modella con una massa, la più consistente dell’intero modello, collegata rigidamente al
nodo rappresentante la vertebra S1.
L’elasticità dei tessuti che compongono i glutei si descrive attraverso due elementi
di trave paralleli tra loro (posti a 0.04 m di distanza): uno anteriore rigidamente
collegato alla massa rappresentante la pelvi ed uno posteriore collegato, sempre
rigidamente, alla parte inferiore della colonna vertebrale all’altezza della vertebra
S1. Le costole non sono state geometricamente modellate, ma il loro contributo
all’inerzia del modello è compreso nelle masse associate alle vertebre toraciche.
I dati geometrici, contenuti in tabella 3.1, si ottengono da misure effettuate su
otto soggetti, in corrispondenza della testa e delle vertebre T1, T6,T11, L3 e
S1. Mentre per quanto riguarda la disposizione delle vertebre toracico-lombare
si estraggono dall’interpolazione, attraverso spline cubica, delle misure raccolte.
La posizione del centro di ciascuna vertebra del tratto cervicale si ricava da [18] e
[17].
Le proprietà inerziali, in tabella 3.3, si acquisiscono dalla letteratura, in particolare: masse e inerzie relative alla testa sono quelle riportate in [19], le proprietà
del collo e del tratto cervicale in [20], le proprietà inerziali delle vertebre e delle
viscere in [13] e la massa della pelvi si aumenta del 30% rispetto a quelle ricavate
in [21].
Tramite la SOL103 di Nastran si ricavano le frequenze proprie e i modi di vibrare
del modello sopra descritto.
33
Capitolo 3
Tabella 3.1: Posizioni geometriche dei nodi vertebrali. I dati si ottengono da misurazioni
effettuate su otto soggetti. L’origine del sistema di riferimento è posta nella tuberosità
ischiatica.
Sezione
Head
C1
C2
C3
C4
C5
C6
C7
T1
T2
T3
T4
T5
T6
T7
T8
T9
T10
T11
T12
L1
L2
L3
L4
L5
S1
Pelvi
Buttockf up
Buttockf dwn
Buttockrup
Buttockrdwn
34
x
[m ∗ 10−2 ]
2.570
1.411
1.180
0.792
0.407
0.017
-0.403
-0.805
-1.207
-2.176
-3.179
-4.179
-5.087
-5.856
-6.346
-6.648
-6.762
-6.073
-6.495
-6.205
-5.911
-5.795
-6.124
-7.109
-8.420
-9.488
-2.436
0.01564
0.01564
-0.06436
-0.06436
z
n°Nodo
[m ∗ 10−2 ]
80.250
1
75.710
2
74.807
3
73.289
4
71.780
5
70.254
6
68.609
7
67.036
8
65.463
9
62.861
10
60.297
11
57.686
12
55.067
13
52.325
14
49.797
15
47.117
16
44.318
17
41.375
18
38.313
19
35.307
20
31.985
21
28.365
22
24.510
23
20.467
24
16.513
25
13.238
26
10.355
28
0.02355
55
-0.05645
56
0.02355
57
-0.05645
58
Modello Multicorpo
Tabella 3.2: Posizione delle masse vertebrali e viscerali. Il valore indica la distanza
orizzontale calcolata dal centro della vertebra di riferimento.
Sezione
Head
C1
C2
C3
C4
C5
C6
C7
T1
T2
T3
T4
T5
T6
T7
T8
T9
T10
T11
T12
L1
L2
L3
L4
L5
S1
Masse Vertebrali
[m ∗ 10−2 ]
0.000
0.000
0.000
0.000
0.000
0.000
0.000
0.000
1.351
1.351
1.351
3.080
2.500
2.880
2.800
3.220
3.810
3.640
-0.636
-0.558
-2.917
-2.233
-1.007
-3.542
-6.335
-
Masse Viscere
[m ∗ 10−2 ]
•
4.640
4.390
4.470
3.980
3.650
3.970
4.240
4.280
4.280
35
Capitolo 3
Tabella 3.3: Masse e inerzie del modello di Griffin. Essendo il modello bidimensionale
nel piano sagittale, l’inerzia è stata sottintesa intorno all’asse trasverso di un sistema di
assi anatomici.
Sezione
Head
C1
C2
C3
C4
C5
C6
C7
T1
T2
T3
T4
T5
T6
T7
T8
T9
T10
T11
T12
L1
L2
L3
L4
L5
S1
Pelvi
36
Vertebre
Viscere
Massa
Inerzia
Massa
Inerzia
[kg]
[kgm2 ∗ 10−2 ]
[kg]
[kgm2 ∗ 10−2 ]
4.5000
2.0000
0.8150
0.0601
0.8150
0.0601
0.8150
0.0601
0.9000
0.0601
1.2000
00601
2.1140
0.0656
1.8290
0.0775
1.9150
0.0745
1.8190
0.2077
1.9300
0.2878
1.9480
0.3138
1.3080
0.3838
1.3260
0.4425
1.4170
0.5374
1.3520
0.5543
1.4170
0.6164
1.3520
0.6028
0.3184
0.1283
1.2820
0.5130
0.3329
0.1270
1.3410
0.5079
0.2842
0.1036
1.6760
0.5870
0.3420
0.1253
1.6700
0.6119
0.4325
0.1482
1.7200
0.5927
0.5621
0.1427
1.6250
0.4126
0.4659
0.0993
1.7740
0.3781
1.7080
0.1000
16.8790
14.1300
-
Modello Multicorpo
3.2
Implementazione MBDyn
Non essendo soddisfatti dei risultati ottenuti con la precedente modellazione,
alcune modifiche sono state apportate al modello.
Analizzando la colonna vertebrale dal punto di vista anatomico, questa si compone di corpi rigidi articolati tra loro. Le articolazioni riducono i movimenti di
ciascuna vertebra, nel piano sagittale, alla rotazione relativa, intorno all’asse trasversale di una sistema di riferimento anatomico posto nel mezzo della distanza
tra due vertebre consecutive e allo scorrimento assiale in direzione dell’asse longitudinale, congiungente i due segmenti ossei. Risultano invece trascurabili gli
scorrimenti in direzione antero-posteriore, tra le diverse vertebre.
La matrice di rigidezza definita attraverso il modello di trave, utilizzato per si
V ert
i z
V ERTi
T T
Kϑ
T j
T @ T j
@
ϑV ERTi
T T (
(
HH
T
H
HHH K
axial
HH
H
(
(
V erti−1
Figura 3.1: Gradi di libertà relativi tra le vertebre del tratto Head-T9
mulare la rigidezza delle articolazioni intervertebrali, introduce un termine di rigidezza, in direzione dell’asse sagittale, che risulta confrontabile con i termini di
rigidezza assiale e flessionale della medesima trave. Questo si scontra con l’anatomia delle articolazioni tra i corpi vertebrali e tra i processi articolari. Le prime
infatti, appartengono alla categoria delle sinartrosi, del tipo delle sinfisi, in quanto articolano capi ossei tra cui è interposto un disco di natura fibro-cartilaginea.
37
Capitolo 3
Questa articolazione permette moti di flesso-estensione. La seconda articolazione, che interessa i processi articolari, è una diartrosi del tipo delle artrodie, in
quanto si effettua tra le faccette ossee, disposte in direzione del piano frontale
nelle vertebre cervicali e toraciche, mentre in quelle lombari risultano parallele al
piano sagittale. I movimenti tra queste superfici sono molto limitati e si riducono
a brevi scorrimenti. In conclusione, in prima approssimazione i movimenti relativi tra due vertebre si riducono a quelli di flesso-estensione tra i corpi vertebrali
e l’entità di quest’ultimi dipende dalla rigidezza (assiale e flessionale) dei dischi
intervertebrali.
Alla luce di ciò, gli elementi di trave si sostituiscono con due molle concentrate:
una assiale, lungo la congiungente tra due vertebre adiacenti, e una seconda rotazionale nel piano sagittale. Il punto di articolazione si pone a metà distanza tra le
vertebre consecutive, ipoteticamente al centro di ciascun disco fibro-cartilagineo.
Descrivendo la colonna vertebrale come un serie di corpi rigidi reciprocamente
vincolati tra loro, un approccio secondo una filosofia multicorpo è apparso naturale. Il nuovo modello si compone di 26 corpi rigidi rappresentanti le vertebre,
più altri 8 rappresentanti le viscere. I dati geometrici e inerziali coincidono con
la quelli utilizzati da Griffin. Mentre le rigidezze, volendo successivamente sviluppare un modello tridimensionale, si sono modificate per mantenere una certa
coerenza dal punto di vista delle fonti utilizzate.
I corpi vertebrali si vincolati tra loro, per mezzo di elementi di giunzione (joint
elements), in particolare dei total joints. Questo elemento permette di vincolare, a piacimento, gli spostamenti relativi tra due corpi misurati in un sistema di
riferimento la cui origine determina il punto di articolazione. Definendo quindi
un sistema di riferimento: con origine a metà distanza tra due vertebre, asse z
diretto come la loro congiungente e asse x nel piano sagittale, si vincolano tutti i
movimenti al di fuori del piano sagittale, oltre che gli scorrimenti in direzione y.
Interponendo un carrello ai corpi rigidi, come indicato in figura 3.1. Le molle concentrate, assiali e flessionali, implementate rispettivamente attraverso deformable
joint e deformable hinge, si posizionano in corrispondenza dei vincoli introdotti.
Al di sotto della vertebra T10, dove la colonna formata dai corpi viscerali si ar-
38
Modello Multicorpo
Nvert2
i
B B B B
Kθ
! !
! L
!
!L L
!
L L
L
LL
Z
hZ
h
ZZ
h
h K4
ZZ
Nvert1
Nvisc2
K3
B B B B
K1
HH
HH K2
HH
Nvisc1
Figura 3.2: Vincoli della cella vertebro-viscerale
ticola con i corpi delle vertebre, il sistema di vincoli può essere ricondotto ad un
singolo blocco ripetuto in successione. La cella in figura 3.2 definisce i vincoli
reciproci tra due vertebre consecutive, come precedentemente descritto e i collegamenti tra queste e le masse viscerali ad esse anteposte. Un vincolo in plane,
introdotto sempre per mezzo della card total joint, unito ad una molla assiale,
collegano i corpi vertebrali a quelli viscerali, mentre elementi elastici congiungono i corpi rigidi della colonna viscerale. Questi ultimi si implementano attraverso
elementi rod, per comodità di modellazione.
Due nodi supplementari, privi di massa (static nodes) e allineati verticalmente,
sono stati aggiunti alla base del modello. Il nodo superiore, rigidamente collegato
alla base della colonna vertebrale alla vertebra S1, e quello inferiore, collegato al
primo mediante un sistema di molle in grado di ricostruire la rigidezza assiale e
flessionale delle natiche e del sedile. Quest’ultimo si incastra a terra. In conclusione, il modello si compone di 80 gradi di libertà.
Il modello si è implementato utilizzando il software multicorpo open source MBDyn, sviluppato all’interno del Politecnico di Milano. I risultati in termini di
frequenze naturali e autovettori si riportano di seguito.
39
Capitolo 3
0.8
0.6
Rigid Bodies (Vertebre)
Deformable hinge+Deformable joint
Rigid Bodies (Viscere)
0.4
Rod Element
Deformable joint
Static Nodes
Total Joint (Rigid link)
0.2
0
-0.2
0
0.2
Figura 3.3: Geometria e proprietà del modello multicorpo
3.2.1
Risultati
Tabella 3.4: Confronto tra le frequenza naturali riportate da Griffin e Pennestrı̀ con quelle
calcolate con il modello multicorpo (MBM) proposto
Modo
1
2
3
4
5
6
7
Griffin
[Hz]
0.28
1.59
2.81
5.06
5.77
7.51
8.96
MBM
[Hz]
0.27
1.78
3.14
5.09
5.99
7.45
10.4
Pennestrı̀
[Hz]
2.43
3.59
5.68
-
Tabella 3.4, mostra il confronto tra le frequenza proprie calcolate con il nuovo
modello (MBM) e quelle presenti in letteratura. Le differenze in termini di errore
40
Modello Multicorpo
rimangono contenute, soprattutto per quanto riguarda l’intorno dei 5 Hz. Come
precedentemente osservato le frequenze tipiche di eccitazione, indotte dai componenti meccanici in movimento sulle cabine di elicottero, risiedono nell’intorno di
questa frequenza. Le discrepanze ottenute sulle frequenze 2, 3, 7, sono da imputarsi alle variazioni dei parametri di rigidezza del tratto toracico e del complesso
glutei-sedile, effettuate per mantenere la coerenza delle fonti, anche per il successivo modello tridimensionale. Queste rigidezze sono specificate da Griffin come
i principali parametri di influenza delle frequenze indicate. Sempre in tabella 3.4,
si riportano i dati ricavati da un interessante modello prodotto da Pennestrı̀.
Questo modello si compone di 34 corpi rigidi (26 vertebre e 8 viscere). Osservando la colonna vertebrale come una trave allungata, la sua disposizione nello spazio
può essere rappresentata mediante una spline interpolante i punti di articolazione
di ciascuna vertebra. La posizione dei nodi vertebrali, quindi, si ricostruisce completamente conoscendo quella dei 4 punti di controllo di una spline dinamica.
Ricavando velocità e accelerazioni, le equazioni del sistema si riducono alle coordinate dei punti di controllo, da sommare alle posizioni dei corpi viscerali, 24 in
tutto. Permettendo unicamente rotazioni relative tra i nodi vertebrali, solo i modi
flessionali sono stati ricavati.
Per quanto riguarda i modi di deformazione, questi sono del tutto identici a quelli
presentati da Griffin. Il primo autovettore, corrisponde ad un movimento in avanti
dell’intera colonna (fore-and-aft), simile al primo modo di deformazione di una
trave incastrata, il secondo e il terzo modo, provocano lo spostamento in contro fase e in fase, rispettivamente, della testa e della pelvi, dovute ad un’inflessione della
colonna. Possono essere associati al secondo e al terzo modo di deformazione di
una trave libera. Il quarto modo, a cui corrisponde un picco molto pronunciato nel
modulo della funzione di risposta in frequenze del modello, si manifesta come un
moto assiale dell’intero corpo, unito ad una deformazione del sostegno formato
da glutei e sedile. Il quinto modo risulta anch’esso in un moto flessionale della
colonna, di nuovo legato al movimento del punto d’appoggio. I sesto e il settimo
modo, sono caratterizzati da una forte rotazione della pelvi e dalla considerevole
risposta assiale della colonna viscerale, più marcata nel sesto modo.
41
Capitolo 3
Modo 1
Modo 2
0.8
0.8
0.6
0.6
0.4
0.4
0.2
0.2
0
0
-0.2
0
0.2
-0.2
Modo 3
0.8
0.6
0.6
0.4
0.4
0.2
0.2
0
0
42
0
0.2
Modo 4
0.8
-0.2
0
0.2
-0.2
0
0.2
Modello Multicorpo
Modo 5
Modo 6
0.8
0.8
0.6
0.6
0.4
0.4
0.2
0.2
0
0
-0.2
0
0.2
-0.2
0
0.2
Modo 7
0.8
0.6
0.4
0.2
0
-0.2
0
0.2
Figura 3.4: Modi di deformazione della colonna vertebrale nel piano sagittale
43
Capitolo 3
3.3
Modello Tridimensionale
La modellazione multicorpo ha permesso di effettuare rapidamente il passaggio dal moto bidimensionale, nel piano sagittale, a quello tridimensionale. Agendo sui vincoli intervertebrali, introdotti per mezzo della card total joint, come
precedentemente descritto, il moto relativo tra le vertebre si è esteso alle rotazioni
fuori dal piano. A seguito di ricerche in letteratura, si ottengono le rigidezze di
flessione laterale e torsionale dei dischi intervertebrali. Queste si utilizzano all’interno delle leggi costitutive associate a molle flessionali e torsionali poste in
corrispondenza dei punti di articolazione. Sempre a valle di ricerche effettuate in
letteratura, si ricavano i valori d’inerzia associabili ai corpi vertebrali. Di seguito, si riportano le frequenze proprie risultato dell’analisi agli autovalori eseguita
mediante MBDyn (tabella 3.5) e i parametri utilizzati nel descrivere il modello
(tabelle 3.6 e 3.7). Questi ultimi, come detto si ottengono dalla letteratura, per le
Tabella 3.5: Frequenze proprie del modello tridimensionale
Modo
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
Frequenza
Tipo
[Hz]
0.29
Simmetrico
0.94
Antisimmetrico
1.88
Antisimmetrico
2.21
Simmetrico
3.38
Antisimmetrico
3.89
Antisimmetrico
4.23
Antisimmetrico
5.27
Simmetrico
5.65
Antisimmetrico
6.27
Simmetrico
6.84
Antisimmetrico
7.73
Simmetrico
8.82
Antisimmetrico
10.57
Simmetrico
masse: i dati relativi alla testa da [19], quelli di C1-C7 da [20], T1-T10 da [13],
T11-S1 [15] e infine quelli relativi alla pelvi da [21]; mentre le rigidezze: per il
44
Modello Multicorpo
tratto cervicale da [15] le restanti da [15].
Tabella 3.6: Valori caratteristici di masse e inerzie del modello tridimensionale
Mass
kg
Head 4.5000
C1
0.8150
C2
0.8150
C3
0.8150
C4
0.8150
C5
0.8150
C6
0.9000
C7
1.2000
T1
2.1150
T2
1.8300
T3
1.9160
T4
1.8190
T5
1.9310
T6
1.9490
T7
1.3090
T8
1.3270
T9
1.4180
T10 1.3530
T11 0.3184
T12 0.3329
L1
0.2842
L2
0.3420
L3
0.4325
L4
0.5621
L5
0.4659
S1
16.879
Ixx
[kgm2 ] ∗ 10−2
2.4000
0.0719
0.0719
0.0719
0.0719
0.0719
0.1054
0.3518
0.5177
1.0287
1.1750
1.0610
1.1505
1.1618
1.2182
1.2069
1.2295
1.1280
0.0292
0.0319
0.0502
0.0672
0.0665
0.0962
0.0537
9.3100
Iyy
[kgm2 ] ∗ 10−2
2.2900
0.0601
0.0601
0.0601
0.0601
0.0601
0.0656
0.0775
0.0744
0.2075
0.2876
0.3135
0.3835
0.4421
0.5369
0.5538
0.6158
0.6023
0.1283
0.1270
0.1036
0.1253
0.1482
0.1427
0.0993
14.1300
Izz
[kgm2 ] ∗ 10−2
2.8000
0.1300
0.1300
0.1300
0.1300
0.1300
0.1710
0.4390
1.7146
1.2295
1.4213
1.3536
1.4890
1.5454
1.6592
1.6694
1.7146
1.6469
0.0334
0.0349
0.0593
0.0795
0.0861
0.1228
0.0826
11.4810
45
Capitolo 3
Tabella 3.7: Valori caratteristici di rigidezza delle molle del modello tridimensionale
Axial
∗ 102
0.550
0.300
0.700
0.760
0.794
0.967
1014
1.334
0.700
1.200
1.500
2.100
1.900
1.800
1.500
1.500
1.500
1.500
1.500
1.800
2.130
2.000
2.000
1.870
1.470
[N
]
m
Head-C1
C1-C2
C2-C3
C3-C4
C4-C5
C5-C6
C6-C7
C7-T1
T1-T2
T2-T3
T3-T4
T4-T5
T5-T6
T6-T7
T7-T8
T8-T9
T9-T10
T10-T11
T11-T12
T12-L1
L1-L2
L2-L3
L3-L4
L4-L5
L5-S1
46
Bending x
[N m] ∗ 102
4.00
4.00
3.90
4.30
4.80
5.80
6.10
8.40
4.41
7.28
8.54
12.67
11.76
11.34
11.13
12.32
13.51
17.08
16.38
15.89
15.40
15.12
15.33
12.67
10.99
Bending y
[N m] ∗ 102
4.00
9.00
0.80
1.00
1.20
1.60
2.20
3.70
1.40
2.80
4.20
7.00
7.00
7.00
7.00
7.70
7.70
8.40
7.00
6.30
6.30
6.30
6.30
5.60
0.70
Torsional
[N m] ∗ 102
0.50
0.50
0.90
1.20
1.4
1.8
2.0
2.9
1.4
2.1
2.8
4.2
4.2
4.2
4.2
4.9
4.9
5.6
7.0
8.4
8.4
8.4
8.4
7.7
6.3
Capitolo 4
Accoppiamento dinamico con il
modello di braccio
Nel seguente capitolo si descrivono i risultati prodotti dall’analisi in frequenza del sistema composto dal modello modale del torso, precedentemente illustrato,
e dal modello multicorpo del braccio sinistro di un pilota di elicottero, sviluppato
dall’Ing. Zanoni [22] all’interno del dipartimento di Ingegneria Aerospaziale del
Politecnico di Milano.
In una prima fase si propone l’identificazione dei movimenti indotti alla mano,
che manovra la leva del passo collettivo, dovuti all’eccitazione della cabina di
pilotaggio; successivamente la ricerca dell’instabilità della funzione d’anello che
descrive l’accoppiamento del pilota con l’elicottero.
4.1
Modello ridotto
I parametri necessari per la generazione di un modello ridotto, si sono estratti
da Nastran tramite l’utilizzo di files di ALTER forniti con MBDyn. Questi files,
associati all’analisi agli autovalori di Nastran (SOL 103), intercettano le routines
del software ad elementi finiti e ne estraggono informazioni per la generazione
dell’elemento flessibile. I dati raccolti in due files con estensione .tab e .mat,
che contengono rispettivamente: posizione, velocità e accelerazioni dei vari nodi
e matrice di massa e rigidezza complete e generalizzate, si estraggono in formato
binario risultando illeggibili dal software multicorpo. Rielaborandoli, attraverso
47
Capitolo 4
la routine MBDyn femgen fornita sempre all’interno del programma, si ottiene
un files con estensione .fem, cosı̀ strutturato:
• RECORD GROUP 1, HEADER: contiene informazioni generali sulla riduzione effettuata, in particolare: il numero dei nodi delle modello FEM
(98 nel caso del torso), la tipologia ed il numero dei modi utilizzati per la
riduzione (20 per il torso).
• RECORD GROUP 2: contiene la lista dei nodi contenuti nel modello
FEM.
• RECORD GROUP 3 e 4: contengono gli spostamenti e le velocità iniziali
dei modi considerati.
• RECORD GROUP 5, 6 e 7: contengono rispettivamente le coordinate
x, y, z che individuano la posizione dei nodi nel modello FEM.
• RECORD GROUP 8: contiene, in un numero di sotto gruppi pari al numero di modi, le 6 componenti (3 di spostamento e 3 di rotazione) di ciascun
nodo per ogni modo.
• RECORD GROUP 9 e 10: contengono le matrici diagonali di massa e
rigidezza modale, di dimensione pari al numero degli autovettori. Dalla
normalizzazione degli autovettori a massa unitaria, si ottiene una matrice di
massa generalizzata coincidente con la matrice d’identità.
• RECORD GROUP 11: contiene la matrice di inerzia a parametri concentrati. Tre componenti di massa identiche associate alla traslazione e tre
componenti di inerzia associate alle rotazioni di ciascun nodo.
Le forme modali ricavate si utilizzano per la ricostruzione degli spostamenti dei
nodi di interfaccia, che a loro volta influenzano il moto delle strutture collegate all’elemento flessibile. Dovendo l’elemento modale collegarsi ad altre sottostrutture, le forme modali (normal mode) si possono arricchire con l’aggiunta
delle deformate statiche, che caratterizzano gli spostamenti dei nodi all’interfaccia tra i due elementi, in funzione dei vincoli presenti. Si definiscono constraint
48
Accoppiamento dinamico con il modello di braccio
mode le forme statiche ricavate vincolando i gradi di libertà, ad esempio dei nodi
di interfaccia, ed imponendo in successione spostamento unitario a ciascuno, con
i nodi interni del sistema liberi. Un altro tipo di forme statiche sono gli attachment
mode, i quali si ottengono dalla deformata statica della struttura, ricavata, questa
volta, applicando in successione carico unitario a ciascun nodo di interfaccia. Una
tecnica alternativa, alla ricostruzione delle forme statiche, prevede l’applicazione
di masse sui nodi di interfaccia, in modo tale che le forme modali ricavate risentano della presenza dei sottosistemi con i quali il componente dovrà interagire.
Quest’ultimo metodo risulta molto efficace se si conosce con precisione la massa
dei diversi corpi.
Volendo adottare il metodo delle masse al contorno (i.e. boundary masses), si
riproduce il modello di torso multicorpo all’interno del software ad elementi finiti
(Nastran) completandolo con l’aggiunta di due nodi, posti a 12.5 cm rispettivamente a destra e a sinistra della vertebra T2, rappresentanti la testa dell’omero
delle due braccia. A ciascun nodo-spalla si associa una massa concentrata, pari a
quella del braccio e li si collega rigidamente alla colonna vertebrale, sempre all’altezza della seconda vertebra toracica.

MBM



=


..

.
mBM
0
0
0
mBM
0
0
0
mBM
...


..

.




[I3x3 ]
 = mBM 


...

(4.1)
Il metodo delle boundary masses impone una modifica alla matrice di massa ottenuta dagli ALTER. Infatti questa matrice, derivante dalla matrice di massa del
modello FEM, contiene il contributo delle masse poste sui nodi d’interfaccia di
cui deve essere depurata. L’effetto di una massa concentrata associata ad un nodo
(nsp ) del modello, si identifica all’interno della matrice di massa, come un blocchetto 3x3 posizionato in corrispondenza delle coordinate xsp , ysp , zsp del nodo
stesso, come mostrato in (4.1).
MR = XT (MT ORSO + MBM )X = I =⇒ MR T ORSO = I − XT MBM X (4.2)
49
Capitolo 4
La matrice di massa modale del torso, depurata dalla presenza della massa del
nodo-spalla, si ottiene dalla (4.2), in cui X indica la matrice contenete i modi e
I la matrice identità. Sostituendo la (4.1) in (4.2), si nota la presenza della sottomatrice 3x3 identità a moltiplicare la matrice degli autovettori X; questo equivale
ad estrarre le componenti xspi , yspi , zspi del nodo di interfaccia per ciascun modo
i − esimo (matrice Xsp ), come mostrato in (4.3).
Si osserva che a seguito della depurazione della matrice di massa dal contributo
delle masse al contorno, questa perde la sua diagonalità.
Xsp


xsp1 · · · xspi · · · xsp20
=  ysp1 · · · yspi · · · ysp20 
zsp1 · · · zspi · · · zsp20
(4.3)




XT MBM X =mBM XT 
...

 
T
 X = mBM (Xsp Xsp )
[I3x3 ]
..

.
Il file .fem modificato si rende leggibile ad MBDyn attraverso la card modal joint.
Questa permette di selezionare i modi dei quali si vuole conoscere la risposta, di
associare a ciascun di essi un fattore di smorzamento oltre che di posizionare i
punti di interfaccia tra i diversi modelli.
L’utilizzo del modello modale riduce notevolmente le dimensioni del problema,
limitando i tempi di analisi di sistemi costituiti da più componenti. Le matrici
di massa e rigidezza del modello iniziale infatti seppur sparse, hanno dimensione
pari al numero di nodi. Mentre il modello modale ha dimensione pari al numero di
modi utilizzati per la riduzione, pur approssimando efficacemente le caratteristiche dinamiche del modello iniziale, nella banda di frequenze di interesse. Sebbene
l’aumento nel numero di modi contribuisca a migliorare l’approssimazione, generalmente ne sono sufficienti un numero ridotto per una ricostruzione dinamica del
modello iniziale accettabile.
I nodi di interfaccia costituiscono i punti di dialogo tra i diversi modelli; dove per
congruenza con il sistema di vincoli, si instaurerà uno scambio di forze. L’accoppiamento tra i diversi modelli si definisce nell’ambito delle coordinate fisiche ~u,
50
Accoppiamento dinamico con il modello di braccio
che non compaiono nel modello modale, sostituite dalle coordinate generalizzate
~q. La matrice dei modi X definisce la trasformazione che permette il passaggio
da un sistema di coordinate all’altro (~u = X~q).
4.2
Modello di braccio
Figure 4. Sketch of the multibody model of the pilot’s left arm holding the collective control inceptor.
Figura
4.1: Modello multicorpo del braccio. Si possono osservare in blu i 25 muscoli
che compongono l’arto.
Joint Torques
Shoulder − x
Shoulder − y
1.5
−z
Il modello1 di braccio figura 4.1 utilizzato si compone di 4Shoulder
corpi
rigidi, rappreElbow − y
Prono − Supination
Wrist − y
0.5
sentanti: l’omero,
l’ulna, il radio e la mano, più un quinto rappresentante
la leva
Wrist − z
0
C [Nm]
del passo collettivo.
I gradi di libertà associati all’arto risultano 24. Le articola−0.5
zione che compongono
il braccio si realizzano per mezzo di card di vincolo: la
−1
−1.5
spalla e l’articolazione
omero-radiale si foggiano attraverso due cerniere sferiche,
−2
che permettono
unicamente le rotazioni relative dei due componenti intorno ai tre
−2.5
15
20
25 rende
30
35
40
assi, l’articolazione5 tra 10omero
e ulna
si
attraverso
una cerniera semplice, i
t [s]
due collegamenti ulna-radiali
attraverso due vincoli in line; vincolo che costringe
Figure 5. Helicopter vertical maneuver: joint torques.
un punto, collegato al secondo nodo, a muoversi lungo una retta definita riferendosi al primo nodo. Il vincolo si impone, in modo tale che a braccio esteso e con
Coracobrachialis
0.06
a
il palmo della mano rivolto verso l’alto, le due ossa siano parallele. Infine, il polso
0.02
0.04
a
0.04
5
10
15
20
25
t
Brachialis
30
35
40
0.22
0.08
0.2
0.06
0.18
a
a
Biceps Caput Longus
0.04
5
10
15
20
25
t
Brachioradialis
30
35
40
10
15
20
25
30
35
40
a
a
20
25
t
Deltoid Anterior
30
35
5
10
15
20
25
t
Latissimus Dorsi
30
35
5
10
15
20
25
t
Pectoralis Major
30
35
40
40
51
0.02
5
t
Flexor Carpi Radialis
0.06
15
0.04
0.05
0.04
10
a
a
0.06
5
0.016
0.014
0.012
0.01
0.008
40
Capitolo 4
si modella attraverso un giunto cardanico, formato da due cerniere semplici con
assi di rotazione ruotati di 90°.
La differenza sostanziale tra il modello di torso e quello di arto, si osserva nella
presenza dei muscoli nel secondo. I muscoli che movimentano gli arti si definiscono muscoli striati scheletrici, data la presenza di striature visibili anche ad occhi
nudo, questi si contraggono in funzione di impulsi nervosi provenienti dal sistema
nervoso centrale. Sono gli unici muscoli ad essere volontari, ossia controllati dalla
nostra volontà. Dagli studi effettuati sulla dinamica del muscolo, si osserva che
la forza generata da un fascio muscolare può essere divisa in due contributi, uno
attivo ed uno passivo, ed approssimata come:
f = fa + fp = f0 (f1 (x)f2 (ẋ)a + f3 (x))
(4.4)
dove
4 +(x−0.95)2 ]
f1 = e[−40(x−0.95)
4 +0.1/(−v+1)2 ]
f2 = 1.6 − 1.6e[−1.1/(−v+1)
f3 = arctan[0.1(x − 0.22)10 ]
x=
l
l0
v=
V
V0
(4.5)
con f0 massima forza generata dal muscolo a lunghezza del muscolo costante
(isometrica), x0 lunghezza del muscolo a riposo con il contributo dei tendini, V0
la velocità di riferimento (pari a 2.5 [ ms ]) e V la velocità di contrazione. Mentre
a (0 ≤ a ≤ 1) è la funzione di attivazione muscolare. Tenendo conto dell’osservazione sperimentale, che evidenzia un aumento nei termini di rigidezza e smorzamento del muscolo dovuto ad un contributo riflessivo all’attivazione muscolare,
un’approssimazione quasi-statica si utilizza per descrivere il parametro di attivazione a. In questo modo, le perturbazione di forza nell’intorno di una posizione di
equilibrio, si scrivono come funzione delle variazioni in termini di spostamento e
52
Accoppiamento dinamico con il modello di braccio
velocità di spostamento del muscolo (4.6).
∆a = a/x ∆x + a/ẋ∆ẋ = kp ∆x + kd ∆ẋ
(4.6)
∆f = f0 (((f1/x a + f1 kp )f2 + f3/x )∆x + f1 (f2/ẋ a + f2 kd )∆ẋ)
I parametri kp e kd , si ottengono in modo tale che i rapporti tra le rigidezze e
gli smorzamenti totali ed intrinsechi coincidano con quelli misurati sperimentalmente. La rigidezza muscolare, può essere definita come la variazione della forza
muscolare rispetto allo spostamento del muscolo (f/x ), ottenendo:
ktot = f0 (f1/x f2 a + f1 f2 a/x + f3/x )
(4.7)
il contributo intrinseco si ottiene annullando l’attivazione muscolare a (e le sua
derivata), si ha quindi:
kint = f0 f3/x
(4.8)
Conoscendo il rapporto tra i due, da misure raccolte in letteratura, si stima il parametro kp . Seguendo un procedimento del tutto analogo, definendo lo smorzamento come rapporto tra la forza muscolare e la velocità del muscolo si ricava il
parametro kd . Variando i valori assegnati a questi due parametri, si è in grado di
simulare diversi comportamenti assunti tipicamente dal pilota durante il volo, in
particolare:
• position task (PT), in cui il pilota cerca di mantiene la leva del passo collettivo in una posizione prestabilita, questo si traduce nel massimo valore
di kp , che può essere visto come una sorta di guadagno proporzionale sulla
posizione della leva
• relax task (RT) in cui il pilota cerca sempre di mantenere la leva il posizione ma assumendo una posizione più rilassata, simulato riducendo il valore
proporzionale ad un quarto
• force task (FT) in cui il pilota impugna la leva senza attuare nessun controllo
sul suo posizionamento, ma garantendone solo il sostenimento, in questo
caso kp = 0 in quanto il muscolo risulta pienamente attivato e l’azione
riflessiva risulta ridotta. In altri termini il pilota non si preoccupa della
posizione della leva, ma controbilancia solo la forza che riceve dalla stessa
53
Capitolo 4
All’interno del modello multicorpo i muscoli, 25 in tutto, sono stati implementati
attraverso elementi rod in grado di scambiare forze, lungo la congiungente i due
punti che identificano i tendini, in funzione della posizione e della velocità. Il
fascio di aste cosı̀ generato simula il comportamento dei muscoli che agiscono in
maniera ridondante, per movimentare l’arto. Durante il movimento del braccio, i
muscoli, ancorati alle ossa per mezzo dei tendini, esercitano un sistema di forze e
momenti che permette di raggiungere la posizione desiderata. Questo sistema di
forze si genera grazie alla precisa attivazione di ogni singolo fascio muscolare; volendo quindi muovere il modello di braccio nello spazio, è necessario determinare
i coefficienti di attivazione che permettono di assumere la posizione desiderata. Si
tratta di un problema di dinamica inversa, in cui fissata la traiettoria della mano si
vuole ricavare i coefficienti di attivazione muscolare necessari a generare le forze
e i momenti per consentirne il moto richiesto.
Il sistema si compone di 24 gradi di libertà totali che si riducono a 7 per la presenza
dei vincoli. Esistono quindi infinite posizione assunte dai corpi che compongono
il braccio, che si traducono nella posizione desiderata della mano. Il problema si
risolve mediante minimizzazione di un funzionale vincolato.
Definita la cinematica associata a ciascun componente del braccio, si ricavano
ora le coppie da imporre ai vincoli per generare la traiettoria calcolata. Queste 7
coppie, si generano dall’azione contemporanea di 25 fasci muscolare. Il sistema
risulta sottodeterminato. Anche in questo caso si risolve un problema di minimizzazione vincolata; ricercando la soluzione, che oltre a garantire le risultati
richieste (in termini di forze e momenti applicate ai vincoli), ed il soddisfacimento dei vincoli imposti, minimizzi l’attivazione muscolare necessaria.
Si determinano i valori dei coefficienti di attivazione necessari a mantenere la leva
del passo collettivo al: 10, 50 e 90%.
4.3
Vibrazione del sedile in direzione z
Volendo valutare l’effetto della deformabilità del torso, in termini della variazione nella posizione del comando del passo collettivo in funzione della frequenza
54
Accoppiamento dinamico con il modello di braccio
di vibrazione imposta al sedile, si sono effettuate due analisi utilizzando il modello dell’arto superiore precedentemente descritto. In una prima analisi il torso si
considera come un corpo rigido e l’oscillazione agisce direttamente sul braccio;
successivamente la vibrazione si introduce nel sistema attraverso l’elemento modale rappresentante il torso che la trasferisce al modello di braccio attraverso il
nodo rappresentante la spalla.
Come anticipato nella prima analisi il modello multicorpo di braccio, si eccita
attraverso una oscillazione armonica in direzione verticale (asse z), imposta mediante la card total pin joint di MBDyn. La forzante introdotta si moltiplica per la
funzione 1 − cos, nel primo mezzo periodo, in modo tale da rendere meno brusche
le oscillazioni iniziali e si modula attraverso un coefficiente A =
1
100f 2
garantendo
accelerazione in ingresso nel sistema costante al variare della frequenza.
Per quanto riguarda i parametri caratteristici del braccio, la leva si è posizionata
al 50% con kp = 0.8 e kd = 0.3, che individuano il position task.
A seguito della simulazione si ottengono le rotazioni del comando del collettivo
e gli spostamenti della base, campionate a 200 Hz per 20 secondi, per ciascuna
frequenza. Utilizzando la funzione fft di Octave si ricostruiscono le funzioni di
trasferimento tra lo spostamento e l’accelerazione della base e la rotazione della
leva.
La seconda analisi si effettua attraverso l’accoppiamento tra il modello multicorpo
del braccio e il modello ridotto del torso. I due sistemi si interfacciano per mezzo
dei nodi-spalla presenti in entrambi i modelli e l’eccitazione si introduce nel sistema attraverso il nodo modale. La vibrazione introdotta nel modello equivale a
quella descritta nella prima analisi. L’articolazione della spalla si presenta come
una cerniera sferica in analogia con quanto descritto nella sezione riguardante il
braccio. I dati relativi ai modi utilizzati, alle frequenze e ai fattori di smorzamento
inseriti nella card modal joint sono riportate in tabella 4.1.
I modi attivi durante l’analisi si limitano ai soli primi 7 modi nel piano sagittale,
per imporre il vincolo di simmetria non rispettato per l’assenza del braccio destro.
La presenza del modello modale permette di risolvere le equazioni riguardanti il
moto del torso nelle sole coordinate modali ~q, per poi ricostruire per mezzo della
55
Capitolo 4
Tabella 4.1: Modi utilizzati per la riduzione modale del torso. I dati relativi al fattore di
smorzamento sono stati ricavati da [14]
N°modo
1
4
5
8
10
12
Frequenza
[Hz]
0.25
1.88
3.10
5.13
6.27
7.36
Fattore di
Smorzamento
0.5
0.5
0.5
0.3
0.3
0.2
matrice dei modi X gli spostamenti nelle coordinate fisiche ~u. In particolare gli
spostamenti x, y, z del nodo-spalla di interfaccia che si trasferiscono al braccio
trasmettendogli il moto.
Di seguito si riportano i risultati ottenuti dalle due analisi. I grafici mostrano il
confronto tra gli andamenti delle funzioni di trasferimento, che collegano la rotazione della leva del passo collettivo allo spostamento (figura 4.3) e all’accelerazione (figura 4.2) della base, in termini di ampiezza e fase.
56
radian/(m/s^2)
Accoppiamento dinamico con il modello di braccio
0.1
0.01
0.001
0.0001
1
10
0
deg
-45
-90
-135
-180
-225
Arm + Torso
Arm
1
10
Hz
Figura 4.2: Funzione di trasferimento tra l’accelerazione della base e la rotazione della
leva del passo collettivo
radian/m
10
1
0.1
0.01
1
10
0
deg
-45
-90
-135
-180
Arm + Torso
Arm
1
10
Hz
Figura 4.3: Funzione di trasferimento tra lo spostamento della base e la rotazione della
leva del passo collettivo
57
Capitolo 4
Appare subito evidente che l’introduzione di un elemento deformabile amplifica la rotazione della leva del passo collettivo. Osservando più nel dettaglio figura
4.3, per quanto riguarda l’ampiezza, la funzione di trasferimento del sistema accoppiato, mostra un aumento massimo nell’intorno dei 2.75 Hz, dove il valore
passa da 2.741 rad
a 5.0170 rad
. Questo si traduce in una rotazione della leva del
m
m
passo collettivo quasi doppia a parità di spostamento della base. Quanto detto in
termini di variazione percentuale resta valido anche per l’accelerazione, le due
funzioni infatti risultano legate dalla (4.9):
θcoll
1 θcoll
= 2
z̈base
s zbase
(4.9)
Per quanto riguarda l’andamento della fase, con riferimento a figura 4.3, i due
sistemi mostrano un comportamento simile, sebbene la funzione di trasferimento
del sistema accoppiato evidenzi sfasamento minore fino ai 4 Hz, che poi aumenta rapidamente per assestarsi sui -180°, precedendo il ritardo introdotto dal solo
braccio.
Per chiarire il contributo di ciascun modo alla funzione di trasferimento calcolata,
si ripete l’analisi del sistema accoppiato selezionando ciascun modo singolarmente; si riportano i risultati in figura 4.4.
Come ci si aspetta tutti i modi vengono eccitati in successione con l’aumentare
della frequenza: si osserva un contributo sostanziale del quarto modo nel piano
sagittale, che come descritto nella sezione riguardante il modello multicorpo del
tronco, rappresenta una traslazione in direzione verticale di tutto il torso e ne individua il modo di risposta principale. Alle basse frequenze si osserva l’eccitazione
dei primi due modi anche se la loro risposta risulta molto smorzata, risulta invece ben visibile, nonostante il fattore di smorzamento elevato la risposta del terzo
modo. Contributi minori caratterizzano il dodicesimo e il quattordicesimo modo,
che presentano frequenze di eccitazione più elevate.
58
Accoppiamento dinamico con il modello di braccio
radian/m
10
1
0.1
1
0
10
deg
-45
Mode 1
Mode 12
Mode 4
Mode 14
-135
Mode 5
All 7
Mode 8
Arm
-180
Mode 10
-90
1
10
[Hz]
Figura 4.4: Contributo di ciascun modo alla risposta del sistema
4.4
Accoppiamento dinamico con PUMA
Figura 4.5: SA 330 PUMA
Fenomeni di RPC a frequenze comprese tra i 2-8 Hz risultano generati dall’accoppiamento tra la dinamica passiva del pilota e le frequenze proprie della
59
Capitolo 4
struttura. Tali frequenze risultano infatti del tutto incompatibili con un qualsiasi
input il pilota possa imprimere attivamente ai comandi del velivolo. Il conducente
funge dunque da filtro trasformando le oscillazioni ricevute in cabina di pilotaggio
in azioni involontarie sui comandi di volo.
Le braccia del pilota risultano le componenti di maggior rilevanza nel descriverne
la dinamica passiva, in quanto trasformano direttamente le oscillazioni percepite
al livello della spalla in una azione sui comandi; dall’altra parte, le vibrazioni si
trasmettono dal sedile alla spalla attraverso il torso, le cui prime frequenze proprie
ricadono nel range di frequenze d’interesse per questa categoria di RPC.
L’analisi proposta mira a stabilire il contributo che il torso riveste nella stabilità
verticale del sistema completo composto da velivolo e pilota.
Riferendoci al moto verticale dell’elicottero, i movimenti involontari del pilota
sulla leva del passo collettivo inducono, istantanee modifiche nelle forze generate
dal fluido, che si traducono in variazioni della spinta che eccitano direttamente il
moto verticale del velivolo (collective bounce). L’angolo di incidenza delle pale θ,
risulta formato quindi, da due componenti: una attiva θAP , intesa come azione volontaria che il pilota imprime al comando per raggiungere l’obbiettivo prefissato
ed una passiva θP P derivante dalla rotazione involontaria causata dalle vibrazioni
che eccitano la cabina di pilotaggio.
θ = θAP + θP P
(4.10)
Riferendosi alla componete attiva, si supponga che il pilota desideri mantenere il
velivolo ad una determinata quota; questo agirà sulla leva del comando in relazione alla quota di volo z, o più precisamente in relazione alla distanza tra questa e la
quota desiderata zd , ricavata attraverso i sensori presenti in cabina di pilotaggio.
In altre parole la dinamica attiva del pilota può essere rappresentata attraverso una
funzione di trasferimento HAP che lega la defferenza tra la quota attuale e quella
da raggiungere alla rotazione necessaria da imprimere alle pale, (4.11).
θAP = HAP (zd − z)
(4.11)
Studi effettuati su diversi piloti mostrano che la funzione di anello, costituita dal
prodotto tra il modello di pilota e Hzθ , ossia la funzione di trasferimento che colle-
60
Accoppiamento dinamico con il modello di braccio
ga la rotazione delle pale alla variazione di quota, può essere espressa nell’intorno
della frequenza di crossover ωc , come:
HAP Hzθ =
ωc −τ s
e
s
(4.12)
ossia il prodotto tra un integratore ( 1s ) e un ritardo di tempo (e−τ s ) modulato attraverso ωc . La funzione di trasferimento che lega il moto verticale del velivolo alla
rotazione delle pale si ricostruisce utilizzando un semplice modello in cui il moto
verticale dell’elicottero coincide con quello del suo baricentro (4.13).
mz̈ = T − mg
(4.13)
T rappresenta la spinta generata del rotore, che si ricava attraverso la teoria dell’elemento di pala come integrale lungo l’apertura della portanza generata da ciascun profilo a distanza r dal mozzo preso singolarmente. Essa risulta funzione
dell’angolo di beccheggio delle pale. Spostandosi nel dominio delle frequenze,
esplicitando z e θ a sinistra e a destra dell’uguale, si ricava Hzθ e successivamente per inversione della (4.12), la funzione di trasferimento HAP . Un filtro passa
basso del second’ordine (Butterworth) si antepone alla funzione cosı̀ calcolata in
modo da renderla strettamente propria.
Nell’analisi effettuata il pilota attivo esegue un controllo sulla posizione dell’elicottero imponendogli la manovra rappresentata in figura 4.6.
La componete passiva del pilota si simula attraverso il modello multicorpo di
braccio e naturalmente con il modello ridotto di torso precedentemente descritti.
Questo sottosistema trasforma l’accelerazione ricevuta dal sedile del pilota in una
rotazione della leva del passo collettivo, (4.14).
θP P = GGc HBDF Tarm HBDF Ttorso s2 z = GGc HBDF T s2 z
(4.14)
Gc indica il rapporto tra la variazione dell’angolo di incidenza imposto alle pale
∆θ e la rotazione della leva del passo collettivo ∆φ. Essendo la rotazione massima imponibile alle pale pari a circa 20°e la rotazione totale della leva del passo
collettivo pari a circa 40°- 45°, Gc si approssima a 0.5.
G è un parametro che definisce la rilevanza della componente passiva del pilota
61
Capitolo 4
25
20
[m]
15
10
5
0
-5
0
5
10
15
20
[s]
25
30
35
40
Figura 4.6: Manovra imposta al velivolo dal pilota
all’interno della funzione ad anello (con G=0 si trascura la componente passiva).
Riunendo i diversi contributi, la funzione in anello chiuso risulta:
z = Hzθ (s)(HAP (s)(zd − z) + GGc HP P (s)HT (s)s2 z)
(1 + Hzθ (HAP − GGc HP P HT s2 ))z = Hzθ HAP zd
(4.15)
HL = Hzθ (HAP − GGc HP P HT s2 )
La funzione di trasferimento Hzθ , che descrive il moto verticale dell’elicottero,
si ottiene da un modello multicorpo dettagliato del SA 330 Puma (figure 4.5)
presentato in [3] e [2]. Questo modello comprende:
• il modello aeroelastico dettagliato delle 4 pale che compongono il rotore
principale
• il modello aerodinamico
• la dinamica strutturale dell’elicottero ricostruita attraverso la riduzione modale del modello utilizzando 8 modi propri (caratterizzati dalla considere-
62
Accoppiamento dinamico con il modello di braccio
vole risposta in termini di spostamento del sedile e dei punti di vincolo del
rotore principale)
• il modello del sistema di controllo che foggiata la dinamica degli attuatori
del piatto oscillante
Dall’analisi effettuata, con la leva posta al 50°della rotazione massima, si ricavano
i valori del fattore G, che portano all’instabilità della funzione in anello chiuso,
osservata come oscillazioni divergenti nell’accelerazione verticale del velivolo,
per i tre task descritti nel paragrafo precedente. In figura 4.7, si riportano i risultati
dell’analisi che mostrano l’effetto del torso sulla funzione d’anello.
2.5
2.5
FT
RT
PT
2
Margine di guadagno, G
Margine di guadagno, G
2
FT
RT
PT
1.5
1
(a)
1.5
1
(b)
Figura 4.7: Confronto tra il margine di guadagno del modello accoppiato (a) e del solo
braccio (b)
4.5
Conclusioni
Nell’analisi proposta il parametro G assume la valenza di una sorta di margine di guadagno sulla componente passiva del pilota, ossia indica di quanto la
funzione può essere aumentata prima di raggiungere l’instabilità. Appare subito
evidente la riduzione del parametro G causata dall’introduzione del modello del
torso. Il modello ridotto di torso presenta frequenze proprie associate ai modi 4 e
8 (3.10 e 5.13 Hz rispettivamente) che presentano grande rilevanza nella risposta
del sistema accoppiato con il modello di braccio, come già osservato in figura 4.3.
63
Capitolo 4
Nei pressi di queste frequenze sono associate la velocità di rotazione del rotore,
supposta costante e pari a 4.5 Hz e la frequenza che definisce il moto di cono delle
pale, caratterizzato della rotazione delle pale intorno alla cerniera di flappeggio,
pari a 3.81 Hz. Osservando figura 4.8, si nota che le vibrazioni che generano l’instabilità presentano frequenza compresa tra i 3-4 Hz; sembra dunque sia il moto di
cono delle pale, che risulta essere legato al moto verticale del velivolo, ad eccitare
entrambi i modi del torso indicati.
L’analisi si è ripetuta per diversi valori del parametro kp che definiva la variazio0.012
FT G=1.5
FT G=1.0
0.01
0.008
0.006
m/s^2
0.004
0.002
0
-0.002
-0.004
-0.006
-0.008
-0.01
5
6
7
8
9
10
s
Figura 4.8: Accelerazione verticale del baricentro del SA 330 PUMA per due diversi
valori del parametro G
ne del parametro di attivazione muscolare a rispetto alla posizione x; come precedentemente descritto, i differenti valori indicano diversi comportamenti assunti
dal pilota durante la fase di pilotaggio (PT=position task, RT=relax task FT=force
task). Si può notare come il parametro G si riduca tanto maggiore sia l’attenzione
che il pilota pone nel mantenere la leva nella posizione desiderata. In altri termini più il pilota risulta rigido nel controllo e minore risulta essere il valore del
parametro G che porta all’instabilità, questo risulta valido sia per il modello con
64
Accoppiamento dinamico con il modello di braccio
il torso considerato come elemento deformabile sia per quello con il torso rigido.
65
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