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Li amò sino alla fine - Parrocchia San Francesco
“Li amò sino alla fine” Quel Dio capace solo di esagerare M i piace iniziare il secondo numero del giornalino parrocchiale, “Io, Francesco”, facendo riferimento a ciò che ascolteremo nella liturgia del Giovedì Santo all’interno della Messa in Cena Domini. E’ il bello, anzi, il bellissimo dei vangeli! E’ lo straordinario di Gesù: “Li amò sino alla fine” (Gv 13,1). C’è un punto nei Vangeli in cui tutto collassa, fino a stordire i sensi, fino allo svenimento delle carni: non ci potrà essere gioia laddove non c’è esagerazione. Come non germoglierà la gioia nella terra dove manca la libertà. Anche Dio, il Dio folle e bambino di Abramo, Isacco, Giacobbe, di Giuseppe, di Maria, mio, tuo, nostro, non si sottrae a questo esagerare per poter amare appieno. Nel vangelo letto nella IV domenica di Quaresima Gesù ha confidato a Nicodemo, l’uomo che di notte s’inventò discepolo per andare ad incontrare Cristo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chi crede in lui non vada perduto”. Non bastava l’amore: serviva il tanto amore. Il di più, il senza misura, lo smodato, lo sregolato, l’osare un passo oltre, l’ingigantire ciò che già prima c’era: la gelosia, l’afflato, la premura. Quel portare a spasso Israele giovincello su ali d’aquila, in carrozze di prima classe. Quello fu amore e diletto, passione e intrigo. Questo è tanto amare. E’ il Figlio stesso, l’Unico: mandato perché il mondo si salvi. L’inaudito dei Vangeli. “Li amò sino alla fine”. Il brogliaccio della Scrittura Sacra è tutto qui: un canovaccio nel quale l’Amore sgomita con la fragilità, con l’incredulità, con il peccato, il Cristo con Lucifero, la bellezza e la bontà con l’inganno. Sempre così. Uno, Lucifero, mente che è un piacere, l’Altro, Gesù, ama che sembra una follia. Nulla di più ardito: quell’amare - verbo del cuore, degli affetti e delle cose più intime - diventa dare: il verbo della manualità, delle cose da fare e disfare, verbo di manovre e di pensieri che si fanno storia e consolazione. Eccolo il Dio della Scrittura, quello che nessuno poteva immaginare così vicino e prossimo all’umano: ama al punto da dare, ama fino al punto massimo dell’amore, ama fino a perdersi tra le tenebre di una Croce e mostrare le vette vertiginose alle quali giunge chi nel cuore ama per davvero. E non per gioco. “Li amò sino alla fine”. “Non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo si salvato per mezzo di Lui”. Non c’è traccia di giudizio, c’è tutta la premura della pietà: “Tu sbagli e io ti amo. Tu t’allontani e io t’inseguo: non voglio perderti. Tu mi tradisci e io m’impunto ad amarti oltremisura: per farti tornare, per sedurti il cuore, per nascondere qualsiasi traccia d’inganno. Tu vuoi fuggire e io ti inseguo e ti stringo. Ti amo, e ti amo senza misura, e ti amo veramente tanto, fin quasi troppo, forse immeritato”. Bello il Dio rivelato da Gesù. Dentro quell’amore c’è spazio per chi rimane, per chi si perde, per chi perduto decide nel suo cuore di tornare a casa. Per far udire l’eco di una parola che da millenni allaga e dilaga le vie dell’uma- no: “Tu sei prezioso ai miei occhi”. Si, la tua storia è dentro una storia più grande, il Dio dei tuoi padri è lo stesso Dio che ti ha pensato, che ti ha creato, che eternamente ti ama e ti cerca. Non sei solo quaggiù. Ti amo fino alla fine, fino allo spasimo, di più di quanto tu possa pensare o immaginare. Lo maltratteranno quest’Amore: decideranno che quell’amare dovrà finire crocifisso. Poco importa perché dentro quel “ha tanto amato il mondo” e dentro quel “sino alla fine”, nessuna misura opposta potrà prendere il sopravvento, nessun Venerdì Santo o Golgota vincerà. Tutt’altro: lassù, a fari spenti e frecce appuntite, all’uomo sarà concesso il lusso di scoprire fino a qual punto si spinge l’amore di chi ama per davvero. Di chi, perfetto amante, scelse di esagerare per tendere un agguato ai cuori perduti. E sedurli con tocchi e rintocchi d’amore. Buona Pasqua a tutti. Sempre e solo di cuore. P. Angelo Monte 2 io, FRANESCO É risorto, non è qui di Padre Angelo Monte P assato il sabato, Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù. Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole. Esse dicevano tra loro: «Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro?». Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande. Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano deposto. Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto». Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura (Marco 16,1-8). E’ il Vangelo che ascolteremo la notte di Pasqua. Marco scrive e testimonia di donne, della loro delicatezza, del loro desiderio: dare l’ultimo gesto d’amore al loro Maestro. Scrive e testimonia di donne umanamente fragili, colme di dubbi: “chi ci rotolerà il masso dall’ingresso del sepolcro?”. Scrive e testimonia di donne che si scontrano col mistero: la morte. Scrive e testimonia di donne capaci e non capaci di alzare lo sguardo, capaci e non capaci di vedere e intravedere, capaci e non capaci di entrare nel mistero dei misteri: il sepolcro vuoto. Scrive e testimonia di donne che nonostante quel “non abbiate paura”, fuggono via spaventate. Sono ancora “morse” da quell’irrefrenabile desiderio di vedere con gli occhi e toccare con le mani. Marco scrive e testimonia di donne che rimangono chiuse nel loro mutismo “perché avevano paura”. E’ un vangelo pieno di dubbi, di lacrime versate e asciugate, di paure e affetti, un vangelo intriso di fragile umanità. E’ il nostro vangelo cari amici e lettori. Si, proprio il nostro vangelo. Tanto vicino a noi. E tanto noi vicini alle donne che “di buon mattino” si son recate al sepolcro. Lectio Divina Ma guardiamolo da vicino, cerchiamo di cogliere la filigrana presente e che ad occhio nudo o col cuore torbido non si riesce a scorgere. Si parla di sepolcro e di quella grossa pietra che lo chiudeva; si, sono segni di morte e di un destino che pare definitivo, ma in quella pietra già ribaltata e in quel sepolcro spoglio è presente tutta la nostra fede. Tutto avviene “al levar del sole”, quando la notte lascia il posto all’aurora, le tenebre alla luce. Già, proprio dopo l’ennesima notte, e il pensiero va alle quattro notti della salvezza così come le descrive il Libro dei Memoriali. La prima notte quando l’Eterno si manifestò per creare il mondo. Il mondo era confusione e caos e la tenebra era diffusa sulla superficie dell’abisso. E la Parola dell’Eterno era luce che brillava. Ed Egli la chiamò Prima Notte. La seconda notte, quando apparve ad Abramo, all’età di cento anni e Sara, sua moglie all’età di novanta anni, per compiere quello che dice la Scrittura: forse all’età di cento anni Abramo potrà generare e Sara, sua moglie, all’età di novanta anni, potrà partorire? E Isacco Aveva trentasette anni quando fu offerto sull’altare… Egli la chiamò Seconda Notte (Gn.15,17-18.17,17.22,9-12). La terza quando egli apparve in Egitto: la sua mano uccise i primogeniti d’Egitto e la sua destra salvò i primogeniti di Israele, perché si adempisse quello che dice la Scrittura: mio figlio primogenito è Israele. Egli la chiamò: Terza Notte(Es.4,22-23). La quarta, quando si manifesterà per liberare il popolo di Israele di mezzo alle nazioni(Is.65,17), e il re Messia verrà dall’Alto. E tutte Egli chiama Notti di Veglia. E’ la potenza di Dio, una potenza che si manifesta nella creazione, nella nascita, nella liberazione: un Dio Creatore e Salvatore. E poi la notte della Risurrezione, la notte di Cristo, la nostra notte. Una notte piena di Dio, come le altre; una notte piena di vita, di certezze, una notte piena di grazia; è la notte in cui per un attimo l’uomo è chiamato a lasciar fuori dal suo cuore i “malanni dell’esistenza”, le sue tristezze, e a riempirsi di quella grazia e forza che vengono dalla consapevolezza che Cristo con la sua Risurrezione ha chiuso le porte degli inferi, ha vinto il male. E’ la notte in cui l’uomo comprende che il “debito” che l’Altissimo aveva con l’umanità, quello di morire in croce e poi risorgere, è stato pagato una volta per sempre. Anche noi, come le donne, vogliamo uscire fuori dal sepolcro, non come loro piene di timore e spavento, ma certi che la storia è cambiata. La storia del mondo, la nostra storia, la mia storia. ORARI + CHIESA Cenni storici io, FRANESCO 3 IL CROCIFISSO DI SAN DAMIANO ALTER CHRISTUS U n giorno Francesco, ancora all’inizio nella sua ricerca spirituale, mentre passava vicino alla chiesa di San Damiano, sentì il desiderio intenso di entrarvi a pregare. Si inginocchiò davanti al Crocifisso sopra l’altare e immerse il suo sguardo in quello di Dio con fiducia e umiltà. A Lui si rivolse riconoscendone la magnificenza e la misericordia. Gli chiese di essere illuminato, ispirato affinché potesse estirpare il peccato, le indecisioni e il peccato dal suo cuore. Gli chiese una fede autentica senza cedimenti, una speranza cristiana fondata sulla certezza della Resurrezione, una Carità perfetta ossia la capacità di farsi dono per gli altri. Infine gli chiese aiuto per fare adeguatamente e concretamente tutto ciò che desiderava da lui. Altissimo glorioso Dio, illumina le tenebre de lo core mioe damme fede retta, speranza certa e caritade perfetta, senno e cognoscemento Signore,bche faccia lo Tuo santo e verace comandamento. Amen. Così Francesco, poco più che ventenne, pregava davanti al Crocifisso di San Damiano quando ricevette per tre volte dal Signore l’ordine di riparare la sua casa: “Francesco, non vedi che la mia casa sta crollando? Va dunque e restaurala per me.” “Lo farò volentieri Signore.” rispose prontamente il giovane. Dalla conversione fino alla morte San Francesco ha posto la Pasqua come fondamento di tutta la sua esperienza in Cristo. Come Gesù, si è abbandonato completamente nelle mani dell’Altissimo, non ha chiesto spiegazioni, non ha contrattato; si è fatto servo degli ultimi; ha praticato la vera umiltà sottomettendosi sempre senza proteste. Come Gesù, ha visto la morte come colei che conduce finalmente e definitivamente al Padre. Le stimmate che ha ricevuto, pur essendo il segno della Crocifissione rappresentano la vittoria, la Resurrezione. Come Gesù, ha rispettato e lodato il Creato, ha riconosciuto che tutto è opera di Dio. San Francesco era gioioso, ma non come quando ci sentiamo di buon umore. Egli viveva una gioia che deriva dal sentirsi Salvati, dal sentirsi parte di un Regno, una gioia che deriva dall’amare intensamente ogni cosa in quanto sottomessa alla Carità e parte dello stesso Regno. Nel Crocifisso di San Damiano, icona dipinta da un artista anonimo probabilmente monaco tra il 1000 e il 1050 d. C., ritroviamo scolpita tutta la spiritualità di San Francesco. In alto, dentro una lunetta troviamo la mano del Padre che guida la storia della salvezza. Poi ci sono gli Angeli che rappresentano gli annunciatori della Resurrezione e che adorano Cristo vestito di candore e luce entro un cerchio simbolico di Gloria. Al centro, troviamo i personaggi del periodo storico che partecipano alla Crocifissione di Gesù, come Maria e il discepolo che Egli amava, come i testimoni e i persecutori, come i credenti adoranti e come le folle che Gesù attira a sé, che non credono, che sono dubbiose e ambigue ma che si chiedono il senso di quella morte. Siamo rappresentati anche noi che dobbiamo lasciarci coinvolgere e piegare le ginocchia, e con immensa gratitudine riconoscere che senza la sua Crocifissione né la nostra vita né la nostra morte avrebbero una Speranza. Il Cristo raffigurato è glorioso; ha il capo eretto e gli occhi aperti che guardano attenti; è un Messia trionfante e vivo. Ha il volto coronato da un’aureola piena e dorata che indica la sua Divinità con dentro una Croce per esprimere l’umiltà di cui è stato capace, all’interno della quale troviamo un simbolo della regalità ripetuto per tre volte, il quincus, a dimostrazione che egli è venuto per inaugurare il Regno di Dio. Le braccia sembrano i piatti di una bilancia e fanno in modo che il peso dei peccati e del male non superi mai quello dell’amore. Tanto il sangue che esce dalle ferite delle mani e dei piedi, così come è tanto quello, unito all’acqua, che sgorga dal costato: acqua “sorgente di Vita” e sangue “vera bevanda”. Il costato aperto richiama la creazione della donna e così come da Adamo fu tratta Eva così dal costato di Cristo è nata la Chiesa. Il gonnellino che indossa Gesù esprime il suo servire l’uomo, il farsi carico dei peccati, delle infermità e delle fragilità umane e richiama l’ultima cena quando Egli lava i piedi ai suoi Apostoli. In basso, incontriamo coloro che sono morti e adorano il Signore che li riporterà in vita. Contempliamo umilmente il Crocifisso di San Damiano, domandiamo con fervida preghiera di riuscire a fare nostro il suo messaggio, chiediamo di entrare in sintonia con il Cristo che ci ha preparato un Regno. Preghiamo per noi e per tutti, imploriamo la Fede, la Speranza e la Carità come le intendeva San Francesco e ringraziamo di far parte di una Chiesa che è famiglia e nasce dalla Pasqua. Antonella Artieri 4 io, FRANESCO Educazione e Catechismo LA PASSEGGIATA DEL DORMIENTE UN GRUPPO DI GIOVANI NELLA PARROCCHIA CANTIERE I L giovani hanno bisogno di una Chiesa di compagnia, che sappia camminare con loro e mettersi al loro servizio. Una chiesa che propone e non impone, che essi possano toccare e incontrare. Una parrocchia cantiere, capace di accogliere progetti nuovi, con un gruppo che attrae i ragazzi senza badare al numero e con proposte di facili attuazioni e sempre in trasformazione. Su questa base nasce il gruppo del post-cresima, che da poco più di anno si ritrova ogni lunedì sera nei locali dell’oratorio. Ecco come si presentano: Siamo un semplicissimo gruppo di ragazzi che si incontra durante la settimana anche solo per trascorrere un poco di tempo insieme, attraverso giochi, dialoghi su tematiche attuali, attività varie e cerca di togliere molti di noi dalla solitudine e dall’ozio per crescere secondo principi cristiani. Siamo quindi una realtà di questo piccolo paese, una realtà di ragazzi, anzi cerchiamo di essere un bellissimo gruppo d bravissimi scapestrati. Alessio Damiani IL PERCORSO DI FORMAZIONE DEL VESCOVO MICHELE SECCIA PER I CATECHISTI Il 2 febbraio 1970 sotto la spinta del ConCome ogni anno il nostro Vescovo ha dedicato quattro incontri alla formazione dei catechisti, ripercorrendo i quattro capitoli del documento della CEI “INCONTRIAMO GESU’“: 1. Abitare con speranza il nostro tempo 2. Annunciare il Vangelo di Gesù 3. Iniziare, accompagnare e sostenere l’esperienza della fede. 4. Testimoniare e narrare. L’annuncio della catechesi non può basarsi solo sul nostro sentire, ma va supportata da una conoscenza profonda, che ci permetta di argomentare la nostra fede, anche se compito del catechista non è la trasmissione di un sapere per accompagnare i ragazzi ai sacramenti, ma è quello di aiutare a fare un esperienza di fede.“Annunciare Cristo significa mostrare che credere in Lui e seguirlo non solo è una cosa vera e giusta, ma anche bella, capace di colmare la vita di un nuovo splendore, di una gioia profonda, anche in mezzo alle prove. ( Papa Francesco, Evangelii Gaudium, 167) I catechisti, esorta il Vescovo, devono imparare a raccontarsi la fede, condividendo la gioia per l’annuncio del Vangelo, dopo averla sperimentata come persone, come gruppo catechistico, come comunità parrocchiale e diocesana. L’annuncio si fonda sulleScritture, per conoscere Cristo, e su un rapporto armonico fra il contenuto della fede (che cosa credo) e l’atto di fede (come credo). L‘annuncio del vangelo è una sfida anche in un Paese come il nostro, dove non ci sono opposizioni esplicite, ma è diffusa una religiosità apparente, e dove però dobbiamo dare a chi ha sete di spiritualità una risposta concreta con la persona di Gesù. Ogni azione pastorale deve avere al centro la gioia e il coraggio del primo annuncio che va rivolto a tutti, anche ai battezzati perché abbiamo tutti bisogno di una continua conversione. E questo deve iniziare proprio dall’interno delle nostre parrocchie, per raggiungere poi coloro che sono lontani, andando incontro a chi non crede e cercando di creare rapporti di amicizia nel quale comunicare l’esperienza di fede. La fede va accompagnata e sostenuta, nel rispetto della personalità e libertà di ogni bimbo, ragazzo o adulto, senza mai pensare di cambiare le persone, perché solo Dio può farlo. La nostra è una fede comunitaria, siamo nutriti dallo stesso pane: la Parola di Dio e l’Eucarestia. La liturgia diventa allora la prima via di catechesi permanente che riguarda tutti, non solo i catechisti, ma anche le famiglie luogo privilegiato per la trasmissione della fede. Il ruolo delle famiglie è insostituibile per la crescita integrale della persona, perché Gruppi e Associazioni la narrazione fatta con la testimonianza, viene prima della narrazione orale.Anche per i catechisti è fondamentale essere inseriti nella vita della parrocchia, così che essi, in quanto uomini e donne semplici che vivono le stesse problematiche delle famiglie, vicini alla loro realtà possano mantenere relazioni costanti con i genitori e cercare di dare sostegnoe speranza anche a chi vive in situazioni di fragilità o di sofferenza. Sull’esempio di Maria, colei sempre in movimento, ferma solo sotto la croce, che ricevuto l’annuncio, corre dalla cugina Elisabetta per condividere la sua gioia, ma anche per esserle di aiuto in un momento così delicato per lei. Anche noi, come Maria dobbiamo avere l’entusiasmo per l’annuncio e l’attenzione verso l’altro. Loredana Pattara e Fabrizia Bosica o ricordi bene. Era il sette Aprile, e come ogni giorno camminavi senza meta su una spiaggia bianchissima. Ma tu non sapevi essere così bianca. Ti sentivi piccolo nell’osservare la grandezza e l’imponenza del mare, silenzioso e limpido, e non avevi il coraggio di farti cullare dalle sue onde: temevi ti tradissero non appena ti fossi allontanato da quel bianco lido, che tu non sapevi essere così bianco. Era il sette Aprile, e come ogni giorno camminavi senza meta, con lo sguardo rivolto al cielo, perché davanti a te non vedevi nulla. E fino a quel giorno il nulla era stato il compagno dei tuoi viaggi solitari. Camminavi, camminavi, camminavi. Davanti a te nulla. Non sapevi che fare della tua vita; anzi: non eri interessato a saperlo. Non ti infastidiva essere solo, essere sconosciuto a te stesso, essere ignaro del tuo ruolo in quel posto così bello, bellezza nascosta ai tuoi occhi. Tu eri un dormiente, e il tuo lungo viaggio un lungo sogno. E a te piaceva dormire, schiavo di un dolce torpore che ti ingannava di essere libero e felice, ma più simile ad un fantasma, esiliato in un luogo che non ti apparteneva. Inutile! Eppure, quasi casualmente, tutto cambiò, quel sette Aprile. Una macchia informe, lontana, sporcava il bianco di quella spiaggia. Si avvicina e presto riuscisti a distinguere i tratti di un corpo umano. Si, era un uomo (quanto tempo dall’ultima volta!). Di lui ricordi i vestivi lacerati, sporchi, il volto non curato, la barba e i capelli color fumo incolti, l’odore sgradevole e lo sguardo di chi ha visto ciò che è proibito vedere. Ma un dettaglio più degli altri non hai più potuto dimenticare: delle catene, quattro catene, due per le caviglie e due per i polsi. Uno schiavo?! Possibile? In quel posto? Da dove era arrivato? Forse era scappato...poteva essere pericoloso...tu avevi paura. “Lo hanno ucciso! Lo hanno ucciso!” urlò in preda al terrore e con degli occhi così lucidi che si potevano dire quelli di un bambino sofferente, lontano dalla madre. “Loro lo hanno ucciso, ma la colpa è tutta nostra! NOSTRA!”. E fuggì. Volevi fare delle domande, ma la paura e la fretta te lo impedirono. Proseguisti, e tentasti di dimenticare, per tornare a dormire nella tua inutilità. Non passò molto tempo che incontrasti una seconda persona. Alla sorpresa si aggiunse il riconoscere che quell’uomo era un onesto lavoratore. Lo potevi dire non solo dagli abiti, macchiati del marrone delle terra appena lavorata, e dalle mani robuste ma segnate dalla dura operosità, ma dal portamento, dal modo di camminare, dallo sguardo fiero, ma rattristato da un peso a te sconosciuto. I tratti del volto in particolare suscitarono in te una strana sensazione che la tua inesperienza ti impedì di riconoscere. Te lo rivelerò: era rispetto, verso un uomo pronto a rivendicare impunemente i frutti del suo onesto “duro fare”, dal quale il sonno ti aveva allontanato oramai da troppi anni. Si fermò alla tua destra. “Morire...atrocemente...per aver usato troppo la parola amore.” La sua voce era segnata da un recente pianto, di quelli che si tenta di soffocare per non mostrare la propria debolezza. “A chi ti riferisci? Chi è morto?” “Rex Iudaeorum.” E si allontanò, ma l’eco del suo pianto raggiunse le tue orecchie. Suono dolce e sconosciuto! Neanche questo riuscì a fermare il tuo cammino verso il nulla. Inutile! Quale sorpresa quando scorgesti un terzo individuo, più simile ad un punto luminoso, ad un piccolo sole fatto d’oro e d’argento. Non riuscisti a distinguere il volto tanto era ricoperto di tessuti pregiati, di anelli e collane, di cristalli e diamanti. Solo gli occhi ti apparvero ben visibili e non capivi perché quell’uomo che aveva tutte le ricchezze del mondo era così infelice. Gli occhi erano lucidi, lacrimavano, e lui neanche ti guardò. Passò senza dire una parola, e tu facesti lo stesso, colpito dal terrore e dalla paura che quegli occhi comunicavano. Anche questa volta cercasti di dimenticare, di recuperare quel dolce torpore che aveva reso inutili e banali le tue banali e inutili giornate. Ti ci volle un po’, ma alla fine riuscisti ad allontanare quei tre emissari di umanità e buoni sentimenti dai tuoi pensieri. Improvvisamente, una quarta figura, apparsa come dal nulla, seduta vicino al mare, bagnata dalle onde spumose. Si osservava i palmi delle mani. Intimorito e insicuro su cosa dire ti avvicinasti. “Va tutto bene?” dicesti timidamente. La risposta fu uno sguardo. Per poco non cadesti a terra! In quegli occhi vi era rinchiuso il tutto a te sconosciuto, un amore senza confini, l’essenza stessa del perdono e della carità, ma quegli occhi erano spenti. Avevano esaurito le lacrime. Qualsiasi cosa fosse successa a quell’uomo sapevi che lo aveva fatto soffrire...tanto...troppo. Lo guardasti attentamente. Il volto era bello, curato, ma spento, privato di una luce che nei giorni passati avrebbe riempito il cuore di chiunque avesse incrociato il suo sguardo, anche solo di sfuggita, durante una passeggiata. Le vesti erano di un materiale pregiato, più bianche della spiaggia in cui eri solito camminare, ma sporche, macchiate, e non capivi se era terra, o sangue. Poi vennero le mani: erano bucate, proprio al centro. Potevi chiaramente vedervi attraverso. Ai piedi era stato riservato lo stesso trattamento. Le gambe non riuscirono più a sorreggere il tuo corpo impietrito dalla paura, ma una strana forza le spinse a sedersi vicino a quello sconosciuto. Silenzio. Non sapresti dire quanto durò, ma prima che lo sconosciuto aprì bocca, tu avevi avuto il tempo per imprimere ogni suo particolare nella tua mente al punto tale che nulla avresti più pensato senza che la figura apparisse al fianco di ogni idea, anche la più intima, o la più oscura. “Sono stato mandato a morire per un figlio ingrato!” Sentenziò. “Il dolore inflitto alle mie mani e ai miei piedi non è nulla se confrontato al mio cuore lacerato dall’indifferenza di chi da me avrebbe ricevuto solo amore. Mi sono addossato tutti i suoi peccati, mi sono fatto carico del peso delle sue colpe, e lui mi ripaga così, con l’indifferenza.” “Signore, chi è lei? E chi è quel figlio ingrato per il quale è stata resa vana tanta sofferenza?” “Il mio nome è Gesù e il figlio per il quale è stata necessaria la mia crocifissione, sei tu!” io, FRANESCO 5 Il mondo sembrava essersi capovolto! Mille pensieri si affollarono e lui era sempre li, sulla spiaggia e nei tuoi pensieri. Le sue parole ti spezzarono il cuore. “Signore, io non la conosco, non so chi lei sia, e non le ho mai chiesto di morire per le mie colpe.” “L’ho fatto per amore. Io sono un cuore. Amo. So fare solo questo.” Non volevi sentirlo più! Ogni sillaba appesantiva il tuo cuore, ma eri legato a quello sconosciuto morto per te, morto per amore. “Di quali delle mie colpe si è fatto carico? Non ho fatto soffrire nessuno per amore, perché mai ho amato; non ho offeso nessuno, nè con la parola nè con la spada, perché non ho mai odiato. Cammino ogni giorno senza meta, ignaro di ciò che accade intorno a me e alla gente vicino a me. Non ho mai imposto a nessuno la mia religione, perché non ne ho una. Per me lavoro è solo una parola. Non ho mai fatto nulla della mia vita. Di quali colpe lei si è fatto carico?” Gesù ti fissò, e tu affondasti nel mare delle tue lacrime che si rifletteva nei suoi occhi. Affondavi sempre di più, circondato dai monumenti della tua indifferenza, della tua inutilità. Il tuo viaggio senza fine si era trasformato nel tuo inferno, e la tua immagine si confondeva con quella degli altri demòni. Ma una luce ti apparve davanti, provasti ad afferrarla e ti ritrovasti li, su quella spiaggia bianchissima, della quale ignoravi la reale purezza e il candore, che adesso apparivano ai tuoi occhi lacrimanti nella loro vera essenza. Passarono tre giorni. Le tue camminate non erano più come prima. Ad ogni passo ti sovveniva un’ immagine diversa di quello sconosciuto che diceva di chiamarsi Gesù, morto per te, morto per amore. Ti guardavi intorno, tentavi di scorgerlo nel paesaggio che vedevi per la prima volta, ma lui non c’era. Poi, nel pomeriggio, un bambino ti si parò davanti. Provasti un’immensa tenerezza per lui. Per la prima volta, amasti. “Papà è tornato. Era andato via, ma adesso è tornato, più bello di prima e chiede il tuo aiuto.” Disse il bambino. “Ha detto che se vuoi puoi non aiutarlo, sei libero di fare ciò che vuoi, ma Lui ha chiesto il tuo aiuto personalmente.” Tu non dicesti niente, eri confuso. Poi il bambino indicò una figura lontana. Era Lui, ne eri certo. Volevi abbracciarlo ma non percorresti quella distanza perché era troppo lunga, e tu non eri pronto. Passarono quaranta giorni. In quella stessa spiaggia bianchissima era stato costruito un piccolo rifugio, dove coloro che avevano avuto prova dell’amore di Cristo potevano condividerlo e ricordarlo come Lui aveva insegnato loro. E tu eri sempre li, pronto ad aiutare chiunque fosse in difficoltà, chiunque si sentisse solo e voleva essere amato. Tu eri li, pronto a fare il passo che altri non erano in grado di compiere, perché non erano in grado di amare. E Lui è sempre rimasto li, a passeggiare per le bianchissime spiagge del tuo cuore, ogni giorno più vicino a te. Non se ne sarebbe mai andato, e tu non lo avresti mai lasciato. Gabriele Di Clemente 6 io, FRANESCO Una volta Scout, sempre Scout S emel Scout Semper Scout (in italiano Scout una volta, Scout per sempre, in inglese Once Scout, Forever Scout) è un motto latino che ricorda che chiunque abbia pronunciato la Promessa Scout e sia pertanto entrato a far parte della grande famiglia scout, “se Dio vuole” resterà Scout per sempre. Sapete ho ancora la cosiddetta “pelle d’oca”, il motivo è molto semplice, domenica 8 marzo 2015 (già il giorno della festa della donna, come segno di solidarietà, nella gioia, per sostenerle e per festeggiarle), il giorno che, tra le letture del Vangelo, si annunciavano le leggi importanti del Signore: “amerai il tuo prossimo come te stesso”, un evento nella nostra Chiesa S. Francesco d’Assisi, quartiere dei poeti, in cui i futuri Capi della Comunità Capi del Gruppo Pineto 1, hanno pronunciato per la prima volta la loro promessa scout davanti a tutta la Comunità parrocchiale, davanti i propri familiari ed amici, davanti a Dio, durante una cerimonia a dir poco emozionante. Sì perché l’onore scout è una cosa seria! Sì perché non è da tutti avere davanti il proprio Parroco che recita la promessa scout; sappiamo bene che Padre Angelo, come Sacerdote, la sua promessa l’ha pronunciata tanti anni fa al cospetto del Signore, così fra lo stupore è stato di esempio per tutti noi che crediamo in questo progetto. Sì perché non sempre ti escono le parole, ma piuttosto pervaso dall’emozione che ti scuote all’improvviso, quando tua moglie sull’altare oltre la promessa di matrimonio è pronta, guardandoti negli occhi, a pronunciare la promessa scout e condividere con te questa stupenda scelta di vita e ancora sì perché quando sull’altare ci sono i tuoi amici a sostenerti, recitando a loro volta, la promessa scout e chiedere di poter cambiare in meglio le cose giocando e vivendo l’avventura con i futuri giovani che si apprestano con piacere a far parte del nostro gruppo scout indossando la nostra stessa uniforme azzurra (uniforme = che è uguale, la nostra camicia è l’abito uguale per tutti, l’uniforme scout costituisce un legame di fraternità tra gli associati ed è indossata da tutti i membri dell’Associazione e non chiamata divisa = che divide, come la divisa militare), ecco tutto vero e questo è semplicemente unico! Grazie a questi semplici ma importanti valori: «con l’aiuto di Dio prometto sul mio onore di fare del mio meglio: t per compiere il mio dovere verso Dio e verso il mio Paese; t per aiutare gli altri in ogni circostanza; t per osservare la Legge scout.» questa è la promessa scout! Successivamente abbiamo pronunciato la legge scout, in questa occasione vorrei stralciare l’articolo 4 che cita “la Guida e lo Scout sono amici di tutti e fratelli di ogni altra Guida e Scout”, per il semplice fatto di averlo condiviso insieme e perché ha in sé un mondo di fratellanza e uguaglianza! L’Associazione [Agesci - Associazione Guide E Scout Cattolici Italiani] non ha alcun fine di lucro; svolge la propria attività nel rispetto della libertà, dignità e uguaglianza degli associati e dei principi di democrazia [cfr. Statuto Agesci]. Poi dopo aver recitato insieme la legge scout, ecco il canto della promessa, a chiudere il momento molto importante per noi scout che simboleggia tutta la nostra appartenenza all’Associazione, che educa i giovani a divenire buoni cristiani anzitutto e buoni cittadini in egual modo. Sì, buoni cittadini, attraverso un metodo, delle regole e come detto attraverso dei valori forti e importanti. La proposta educativa è un modello con dei principi sani, che racchiude in se fondamenti pedagogici e rende protagonisti i giovani nella loro crescita e sono declinati, come da regolamento metodologico, nei seguenti contenuti: educare alla fede, educare all’amore e all’affettività, educare alla cittadinanza, educare all’ambiente ed “educare alla mondialità e alla pace”. L’educazione alla mondialità e alla pace è un aspetto essenziale della formazione scout, che si basa sulla stessa dimensione internazionale del Movimento e sul senso di fraternità mondiale dello scautismo e del guidismo, al di là di ogni differenza culturale, razziale, politica o religiosa. Essa ha per scopo lo sviluppo di personalità aperte verso gli altri popoli e culture, dotate di spirito di collaborazione, capaci di comprendere i punti di vista delle altre persone e disposte al Gruppi e Associazioni dialogo e al cambiamento in un percorso verso una società giusta, attenta ai deboli e disponibile alla reciprocità nel pieno rispetto dei valori della costituzione italiana e del Vangelo. Non abbiamo scelto a caso il nostro fazzolettone di gruppo colore rosso (fondo della stoffa) con una fettuccia di cm 3 di 7 colori blu, celeste, viola, verde, giallo, arancione e rosso che rappresenta i colori della bandiera della pace prima del bordino per i due lati corti. Ci piace pensare che il rosso, è il colore del cuore, della passione, il colore della branca Rover e Scolte dove oltre ogni altra cosa si presta servizio, servizio al prossimo. Abbiamo scelto insieme e tutti erano subito concordi, una fettuccia con i colori della pace semplicemente perché ci ispiriamo ad essa, perché in antichità il termine ebraico shalòm (pace) è il primo ad affiorare sulle labbra degli ebrei quando si incontrano e si salutano. Un termine nel quale si concentra ogni aspetto della vita e della persona chiamata a percorrere questo nostro mondo nell’intreccio armonioso di incontri, dialoghi, relazioni e legami. La pace è l’orizzonte entro il quale l’uomo è chiamato a “coltivare” e “custodire” il creato, [“Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse”, Gn 2,15]. Chi opera in questo modo contribuisce a costruire una grande Famiglia dei figli di Dio, cui primogenito è il Cristo, primo costruttore di pace: “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9). Inoltre non sono forse queste le motivazioni incarnate nell’Agesci? Ebbene si, consideriamo la pace come assenza di guerra cfr. dal Patto Associativo a cui aderiamo con le nostre scelte ferme e decise, ma soprattutto come dono di Dio; operiamo e costruiamo, educando i giovani oltretutto in un territorio, in un Comune, Pineto, operatore di pace. La pace è il messaggio centrale che vogliamo rappresentare. Il messaggio della speranza come il messaggio messianico annunciato dai profeti, che la vedono realizzarsi nella ritrovata armonia delle origini tra l’uomo e il creato: “il lupo dimorerà insieme con l’agnello… (Is 11,6), in buona sostanza il pensiero di San Francesco di Assisi a cui abbiamo dedicato il nome del gruppo e in riferimento anche alla nostra Parrocchia di appartenenza. Tutto ciò si compirà con la venuta di Gesù di Nazareth, la cui nascita segna anche la nascita e il trionfo della pace “sulla terra pace agli uomini, che Dio ama”(Lc 2,14). E così come nel simbolismo biblico Gerusalemme è la “città della pace”, suo sovrano storico è Salomone (=”il pacifico”), ma suo sovrano ideale è “la pace”. E nelle lettere di S. Paolo, i destinatari del vangelo ricevono come primo annuncio la pace donata da Gesù risorto il giorno di Pasqua: “Grazia a voi e pace”. E se è di pace che dobbiamo parlare perché é questo l’argomento attuale, in un periodo di quaresima che si avvicina sempre più alla Santa Pasqua, noi scout non possiamo venire meno al nostro dovere, al nostro impegno, ai nostri principi. Proprio ieri Papa Francesco all’angelus ha ricordato che dobbiamo impegnarci per redimere la guerra che è in atto non molto lontano dalla nostra terra e mi ha ricordato le sue stesse parole che risuonano nelle mie orecchie attente e vigili, parole che s’incarnano perfettamente nel messaggio di Pasqua che vorrei lasciare: la pace, e queste parole risuonano sempre, perché pronunciate nell’ultima giornata mondiale della gioventù a Rio de Janeiro in Brasile nella sua terra in sud America essendo Papa “venuto dalla fine del mondo”. Ecco: “i giovani possono e devono costruire un’Europa unita e di pace”. Un invito a pregare e lavorare in questa direzione e lo ha rivolto ai 12 mila scout presenti, arrivati da 20 Paesi europei, che un giorno riuniti in Normandia a 100 anni dallo scoppio della prima guerra mondiale e a 70 dallo sbarco alleato che aprì alla vittoria alleata nella Seconda guerra mondiale. Dice ancora a noi scout e i giovani di tutto il mondo che “per conoscere Gesù è necessario mettersi in cammino, e strada facendo si scopre che Dio si fa incontrare in diversi modi: attraverso la bellezza della sua creazione, quando con amore interviene nella nostra storia, nelle relazioni fraterne e di servizio che abbiamo con il prossimo”. Questo è il nostro spirito! Con il suo messaggio, Papa Francesco affida a noi scout europei un’importante missione, sulla scia delle tre tappe da lui indicate: andate, senza paura, per servire. Sono tante le generazioni, riconosce Papa Francesco, che alla pedagogia scout devono “la loro crescita sul cammino della santità, la pratica delle virtù e in particolare la grandezza d’anima”. Dice ancora, “siete voi i veri attori di questo mondo e non soltanto gli spettatori!”. Gruppi e Associazioni io, FRANESCO E infine ci incoraggia a non aver paura di affrontare le sfide per salvaguardare i valori cristiani, in particolare la difesa della vita, lo sviluppo, la dignità della persona, la lotta contro la povertà, e le tante altre che si devono affrontare ogni giorno. In ogni momento quando il vostro cammino sarà più difficile, conclude Papa Francesco, ad aiutarvi vi sarà l’amore e il sostegno di una Chiesa che è madre e che voi siete chiamati ad amare e servire con la gioia e la generosità proprie della gioventù” e infondere un messaggio di non violenza. Pregheremo insieme Maria per 7 la pace e la fratellanza tra i popoli e le religioni, uniti per questo vivremo insieme la Marcia della Pace a Pineto, la mattina di sabato 21 Marzo 2015. Un particolare saluto lo voglio rivolgere alla mia Comunità Capi e a tutti voi lettori, cari saluti e una Santa Pasqua piena di gioia - Buona strada. Christian Pallozzi Lavorante La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli, per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi” (Giovanni 20,19) S iamo ormai quasi arrivati al termine del periodo di Quaresima ed abbiamo ricevuto molte occasioni per riflettere su tutto quello che ci circonda, sul nostro modo di operare e sul nostro rapporto con il Signore. Un tema molto importante sul quale mi sono ritrovata a meditare è proprio quello della PACE. Questo tema non riguarda solo diplomatici e politici, non è solo mostrare una bandiera o scri- vere uno slogan per una manifestazione, ma la PACE è gustare la vita, saper godere di relazio- ni pure e gratuite, avere il cuore pieno di amore per la propria terra, saper meditare della Parola di Dio che si trasforma in luce e forza. Insomma mi viene da pensare che se vogliamo la PACE dobbiamo imparare ad amare prima di tutto. Ad essere sinceri siamo abituati a pensare alla Pace come una condizione di staticità, di calma, di rilassamento, quasi di “non azione” invece la Pace è movimento, impegno, dina- micità, progettazione, insomma è una CONQUISTA; non è un bene di consumo ma il prodot- to di un impegno. Si, la Pace prima che un traguardo è un cammino, il cammino della nostra strada, strada che percorriamo con il nostro zaino scout, con la nostra essenzalità, con i nostri valori, la nostra fede e il nostro spirito di servizio. Per giunta è un cammino in salita, che ha le sue tabelle di marcia, i suoi ritmi, i suoi rallenta- menti per aspettare il più debole e, alcune volte, prevede anche delle soste dove attendere pazientemente. Quando ho scelto di incamminarmi su questa strada mi sono detta che avrei PROVATO ad arrivare il più lontano possibile, cercando di non scoraggiarmi per una caduta o per un osta- colo da sorpassare, però è vero anche che PROVARE significa FARE, agire, pensare attivamen- te, e non DISCUTERE perchè con le teorie e le supposizioni sono convinta che non si potrà mai andare troppo lontano. Lo stesso spirito voglio metterlo nel mio progetto e percorso di PACE: il mio impegno è quello di FARE e non DISCUTERE. Auguro a tutti una Buona Pasqua e vi dono un pensiero. PREGHIERA “Signore, il mio sogno è di potermi alzare in volo, al di sopra del mondo e del tempo, chiederti in prestito gli occhi per poter capire la mia vita e conoscere il mistero dei tuoi disegni. Svuotato di ogni idea, di ogni immagine, ritornare per continuare a essere la tua volontà e seme del tuo immenso amore.” (anonimo) Simona Macrini GESÙ È VIVO È con questa affermazione “GESU’ E’ VIVO”, che il coro parrocchiale S. Francesco, vuole fare gli auguri di buona Pasqua a tutti. La fede cristiana, afferma e proclama questa verità. Noi coristi non vogliamo fare una catechesi sulla resurrezione del nostro Signore Gesu’ Cristo, ma, cerchiamo di evangelizzare attraverso il testo di un breve canto, quanto sia concreta, gioiosa, edificante questa verità. Il testo dice: “Alleluia vive il nostro Re la morte è sconfitta la vittoria e’ del Signor Lui vivrà per sempre Gesu’ vive Egli è l’alfa e l’omega Il primo e l’ultimo ha vinto sul peccato e noi abbiam la libertà l’agnello immolato è risorto alleluia vive il Signor.” Con l’alleluia, noi lodiamo cioè riconosciamo tutte le qualità del Signore, quali: l’immensità, la potenza, la regalità etc. Lo riconosciamo Re, cioè sovrano, colui che sta’ al di sopra, che guida e dirige sapientemente, amorevolmente la nostra vita. La morte è sconfitta. L’ultima parola non è morte ma resurrezione e resurrezione della carne. Non sono nostre parole ma, Parola del Vangelo. Lui, Gesù, che è il Re, si è spogliato della sua regalità fino a servirci e soprattutto a dare la sua vita, a versare il suo sangue per noi, ed è per il suo sangue che noi siamo stati salvati. Siamo stati redenti e, risorgeremo secondo quanto è scritto sul Vangelo, non certo per i nostri meriti, perché, se noi credessimo che la nostra salvezza viene dalle nostre buone opere ...allora…CRISTO è morto invano (Gal. 2, 21) e, se non credessimo nella resurrezione, la nostra fede sarebbe vana (1Cor. 15, 17). Allora…non permettiamo al caos che ci circonda di farci rapire la speranza, la Verità che ci rende liberi e che ci dona la vita, ma, riappropriamoci e aderiamo ad essa. Alziamo lo sguardo in alto con la consapevolezza che, nessuno di noi è solo e che siamo nati per la vita. Gruppo Coro parrocchiale Se il Natale è la festività che raccoglie la famiglia, riunisce i parenti lontani, che più fa sentire il calore di una casa, degli affetti familiari; la Pasqua, invece, la più antica e la più solenne delle feste cristiane , è la festa della gioia, dell’esplosione della natura che rifiorisce in Primavera, del sollievo, è la dimostrazione reale che la Resurrezione di Gesù non era una vana promessa, è la speranza, è la forza, è la vittoria del bene, dal momento che Cristo ha sconfitto la morte la pace è possibile, la diversità può diventare ricchezza, la vita può essere migliore dandogli il giusto valore. Celebrare la Pasqua è ricordare e rivivere l’atto di nascita dell’essere cristiano, il passaggio da una condizione di fragilità, di peccato, di schiavitù alla condizione di figli di Dio, liberi. La Pasqua è una forza, una energia d’amore incredibile più forte del male e della stessa morte, regalata agli uomini perché alimenti e sorregga la speranza di risorgere restituendo quei preziosi beni perduti con la colpa, far fiorire la giustizia e la pace, trasformare la morte in vita, mutare l’odio in amore, la vendetta in perdono e la guerra in pace. La Risurrezione è la dimostrazione massima della divinità di Gesù a beneficio di tante persone che credettero in Lui; è Gesù stesso, che indica il valore della sofferenza comune a tutti gli uomini, Cristo è morto e risorto una volta per sempre e per tutti, ma la forza della Risurrezione, il passaggio dal male al bene, deve attuarsi in ogni tempo, nella vita di ogni giorno. Per molte persone questa Pasqua sarà un giorno come tanti altri, da trascorrere senza un particolare risalto, per altre sarà invece un momento di meditazione, riflessione e pace. E’ in questa occasione che il nuovo “Comitato Feste” vuole porre l’attenzione sul pellegrinaggio in una località di estremo interesse religioso che si effettuerà prossimamente; la “Valle Santa Reatina” dove vivere un’esperienza unica di spiritualità e purezza. Terra scelta da San Francesco, terra che invita alla meditazione ed al raccoglimento, ricca di sentieri, strade, luoghi incontaminati, piccole chiese e umili conventi. Qui il Santo trovò rifugio dalla vanità del mondo, dove incontrò gente semplice e vicina al suo messaggio; qui fece costruire il primo Presepio della Cristianità, qui scrisse la Regola definitiva dell’Ordine e, probabilmente, quell’inno tenerissimo de il “Cantico delle Creature”. E’ su questa scia di fede e di riflessione che prosegue il nostro compito nell’ ideare ed organizzare eventi che verranno proposti a tutta la comunità nell’arco dell’anno. Infatti il programma 2015 è ricco di novità, in primo piano la “Festa di S. Francesco” con la sua lotteria con ricchi premi, , e ancora tanto altro; siamo in attività tutto l’anno, ci interessiamo anche della quotidianità della comunità cercando di renderla più agevole per tutti migliorando l’Oratorio corredandolo di utensili e arredi vari che possono essere utili durante gli eventi e manifestazioni. Tante idee da vivere e condividere; passo dopo passo, la concretezza dell’agire viene fuori attraverso il talento di ciascuno di noi ognuno a suo modo e con le proprie capacità senza perdere la propria identità ma con unico fine. Non mancano le difficoltà ma l’amicizia e l’entusiasmo hanno reso ancor più salda l’unione tra i membri e ha favorito l’aggregazione di nuovi individui in esso; valore aggiunto che sicuramente porterà nuove idee, progetti e la possibilità di organizzare meglio gli eventi ed aggiungerne di nuovi. Sicuramente viviamo in un periodo difficile sia economico che sociale caratterizzato da profondi e rapidi mutamenti che ha i suoi riflessi anche nella vita religiosa e famigliare. Proviamo a cambiare atteggiamento verso la vita dando più fiducia e speranza al prossimo regalandoci momenti di divertimento e spensieratezza senza perdere mai di vista i sani valori cristiani. Valori fondamentali come la famiglia educatrice di fede e amore “l’amore per Dio e l’amore per il prossimo sono le due facce di una stessa medaglia ed è su di essa che si orienta la vita” così ha ricordato papa Francesco. Non resta che augurare una Pasqua di morte e risurrezione di Gesù che rinnovi il cuore e la vita di ciascuno di noi, e susciti un clima di fiducia e di speranza. Che tutti possano assaporare la gioia della vita “risorta” nello spirito di S. Francesco, scoprire e valorizzare il bene, che è presente in tutti, anche in chi erroneamente crediamo definitivamente perduto. Buona Pasqua dal nuovo “Comitato Feste”. Francesca Cantoro ARTICOLO RD SPIRITO