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Presentazione di PowerPoint - Dipartimento di Comunicazione e

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Presentazione di PowerPoint - Dipartimento di Comunicazione e
Storia e modelli del giornalismo
22/10/2015
Guerra fredda e
giornalismo impegnato
Guerra fredda e comunicazione
Per Dwight D. Einsenhower, l’obiettivo dell’America nel periodo
della Guerra Fredda (che raggiunse il culmine tra il 1947 e il
1962, ma si estense di fatto tra il 1945 e il 1989) era condurre
il mondo con mezzi pacifici a credere alla verità. Il modo per
arrivarci era riassunto dall’espressione «guerra psicologica»,
ovvero «la lotta per la mente e per la volontà degli uomini».
Al centro di questa lotta, lo scontro ideologico tra il comunismo
sovietico (liberazione delle masse dalle catene del capitalismo)
e il nazionalismo americano (redenzione dell’umanità e guida
dei popoli del mondo verso la democrazia liberale).
Gorman, McLean, Media e società nel mondo contemporaneo
Guerra fredda e comunicazione
Unione Sovietica: i media servitori dello Stato
Azione sinergica di Agitprop (Dipartimento per l’agitazione e la
propaganda) sul fronte interno e Cominform (Ufficio d’informazione
dei partiti comunisti) su quello esterno:
• controllo governativo su reclutamento/preparazione del personale
dei media; pratiche di censura e abitudini all’«autocensura»;
• creazione di organizzazioni di facciata, incoraggiamento dei
giornalisti esteri favorevolmente disposti, propaganda «nera»
orchestrata dal KGB
La ripetizione monotona di alcune semplici idee, l’esagerazione e la
distorsione, l’ingiuria grossolana delle potenze occidentali tendevano
la credibilità del regime fino al limite di rottura.
Guerra fredda e comunicazione
Stati Uniti: media commerciali e propaganda
Immagini dell’Unione Sovietica e interpretazioni della Guerra Fredda
basate su un canovaccio governativo: il comunismo come movimento
monolitico con sede a Mosca e per obiettivo la conquista del mondo;
la posta in gioco del conflitto come la realizzazione o la distruzione
della civiltà stessa.
Notiziari e programmi televisivi di attualità realizzati in collaborazione
con l’ufficio stampa del Governo; radio, tv e quotidiani (tra qui quelli
di Hearst) complici della «guerra alle streghe» di Joseph McCarthy.
Nel 1953, «Voice of America» trasmetteva in 46 lingue e più di metà
del suo budget era destinato a programmi per l’Oltrecortina. Lo scopo
era di «esportare» anche il rock, i jeans e la Coca-Cola.
Guerra fredda e comunicazione
GB: declino dei quotidiani e guerra della tv
Alla fine degli anni Cinquanta i quattro principali gruppi editoriali britannici
controllavano il 60% dei giornali. L’orientamento pro-establishment della
quality press fu rafforzato dallo «scontro epocale» con il comunismo.
La stampa tabloid accentuò il suo carattere scandalistico (scoop più o meno
veritieri e attenzione alla sfera voyeuristica-sessuale). L’accentuarsi della
distanza con la quality press si estese ai domenicali (es. «News of the
World» vs. «Sunday Times»).
La BBC divenne nel 1952 anche servizio pubblico televisivo; nel 1954, il
Parlamento istituì un ibrido commerciale: Itv.
Oltre al grande spazio per le notizie di politica estera, la trasmissione in onde
corte ricevibili in tutto il mondo rese la BBC realmente cosmopolita. La sua
imparzialità nel contesto della Guerra Fredda è testimoniata dall’accorto uso
di avverbi e aggettivi.
Bergamini, La democrazia della stampa
Guerra fredda e comunicazione
Francia: il mito di «Le Monde»
La legislazione postbellica impose la cessazione delle testate che erano nate
o avevano continuato la pibblicazione nel periodo dell’occupazione; tra
queste, lo storico «Le Temps». I suoi impianti, e la missione di fungere da
quotidiano di riferimento per la classe dirigente francese, da luogo deputato
al dibattito aperto, approfondito e di alto livello, furono affidati a «Le Monde».
Una formato tabloid ma contenuti di qualità; una linea moderata-borghese
ma di alta tensione etica e patriottica; articoli lunghi e dettagliati, largo spazio
alla politica anche internazionale, un linguaggio sofisticato e tecnico, niente
foto e una grafica monocorde.
La dimensione «di massa» rimase appannaggio della stampa periodica:
«Paris Match», «Nouvelle Observateur», «L’Express», con un giornalismo
aggressivo e vivace, un uso moderno di fotografie e grafica, ampi reportage,
si affermarono in Francia e in Europa.
Guerra fredda e comunicazione
Germania Ovest: popular vs. quality
Se nel periodo dell’occupazione postbellica promosse la tipica tradizione
tedesca di un alto numero di testate cittadine, provinciali, regionali, dal 1954
tornò l’epoca delle Konzerne, concentrazioni editoriali di vaste dimensioni,
editori «impuri» con interessi anche all’estero.
Nel 1952 il gruppo di Axel Springer fondò il primo vero esempio di popular
press tedesca, «Bild Zeitung»: con un formula fatta di scandali, crimine,
sesso, violenza, nazionalismo, divenne in breve il quotidiano più diffuso
d’Europa (4,5 milioni di copie).
Il giornalismo di qualità fu incarnato invece da «Der Spiegel», e «Die Zeit».
Entrambi settimanali, il primo con una grafica vivace, aggressivo e
improntato al rifiuto programmatico di obbiettività ed equilibrio, l’altro
esponente di un giornalismo di approfondimento per intellettuali, dallo stile
limpido e raffinato, con poche immagini monocrome.
Il giornalismo del dissenso
Gli anni Sessanta videro nascere negli Stati Uniti una stagione di giornalismo
liberal e impegnato, un advocacy journalism che «chiedeva», «sosteneva»,
«rivendicava», «denunciava», latamente di sinistra, polemico verso il potere.
Per una nuova generazione di giornalisti, formati nelle Università e nelle
Scuole di giornalismo, la tradizione di scavare nei retroscena del potere
venne canonizzata come l’espressione più alta e compiuta della professione:
• esame attento e confronto incrociato di un gran numero di fonti tecniche
(bilanci, relazioni interne, audizioni parlamentari, letteratura scientifica)
per cercare sorprese sul numero di truppe inviate in un Paese straniero o
sulla pericolosità di un prodotto di consumo;
• responsabilità sociale dell’informazione anche verso le autorità federali
(diversamente dalla dimensione locale/metropolitana dei muckrakers).
Il giornalismo del dissenso
Un primo banco di prova fu l’appoggio al movimento di lotta per i
diritti civili:
• la stampa del Sud continuò ad essere ostile all’emancipazione dei
neri, ma i grandi quotidiani del Nord-Est («New York Times»,
«Boston Globe», «Washington Post», «Chicago Tribune») la
sostennero;
• un ruolo di primo piano fu ricoperto dalla televisione: nonostante
la sua vocazione commerciale, dovette «cedere» alla forza delle
immagini e trasmise le riprese dei ragazzini neri che osavano
entrare nelle scuole «desegregate» insultati e minacciati dai
bianchi, o l’intervento brutale della polizia locale che usò gas
lacrimogeni e cani contro giovani manifestanti inermi.
Il giornalismo del dissenso
L’importanza dell’immagine si dispiegò al suo massimo con la guerra
del Vietnam:
• riviste fotografiche come «Life» pubblicarono fotografie che
diventarono vere icone;
• i reporter televisivi, lasciati liberi di visitare il fronte, portarono nel
salotto degli americani villaggi distrutti, popolazioni sconvolte e
decimate, militari americani sofferenti che dichiaravano la propria
contrarietà alla guerra;
• il «New York Times», con la pubblicazione dei Pentagon Papers,
rivelò come le autorità americane avessero mentito
sistematicamente al pubblico sull’andamento della guerra.
Il giornalismo del dissenso
Nel caso Watergate, invece, fu il «vecchio» giornalismo scritto ad
essere protagonista:
• una lunga inchiesta di due giornalisti del «Washington Post»,
Bob Woodward e Carl Bernstein partita dalla scoperta che fra
quanti si erano introdotti nottetempo nella sede del Partito
Democratico, uno era riconducibile ai servizi segreti;
• ruolo fondamentale di «gola profonda», poi scopertosi essere il
Vicedirettore dell’FBI Mark Felt;
• il Presidente Nixon tentò di negare e ostacolare le indagini, tra
menzogne, smentite e parziali ammissioni;
• importanza della sinergia tra la stampa indipendente e le
istituzioni di controllo, nello specifico i giudici federali che
condussero con fermezza le loro indagini;
• nascita di un giornalismo attento alla integrità del Presidente.
Watergate: un’esplorazione del processo di
costruzione dell’agenda (G.E. Lang, K. Lang)
L’importanza attribuita ad un tema è collegata al contenuto dei
media nel senso che ogni notizia su un problema cui i media danno
in genere poco risalto può essere giudicata interessante ed
importante da una parte del pubblico perché riguarda l’argomento di
cui il proprio candidato o il proprio partito preferiscono parlare.
Il Watergate – per citare il tema qui utilizzato come strumento per
chiarire il processo di agenda-setting – venne percepito, per tutta la
campagna elettorale del 1972, come un tema di McGovern
[candidato del Partito Democratico, ndr] e venne quindi considerato
importante da molti dei suoi più fedeli sostenitori (Patterson e
McClure, 1976) […] La maggior parte dei cittadini invece non prestò
attenzione al caso Watergate perché non lo riteneva una questione
particolarmente grave.
Bentivegna, Mediare la realtà, p. 159
Watergate: un’esplorazione del processo di
costruzione dell’agenda (G.E. Lang, K. Lang)
Le soglie dei temi:
• bassa: nascono da situazioni che coinvolgono direttamente
quasi tutti i cittadini allo stesso modo (inflazione, tasse, etc.);
• media: nascono da situazioni i cui effetti vengono sperimentati
in modo selettivo (criminalità, traffico);
• alta: nascono da situazioni ed avvenimenti i cui effetti sono in
genere remoti per tutti (rifugiati vietnamiti, illegalità negli alti
ranghi del Governo).
Watergate: un’esplorazione del processo di
costruzione dell’agenda (G.E. Lang, K. Lang)
Il Watergate diventò oggetto di controversia politica sei mesi
dopo la vittoria di Nixon alle elezioni del 1972. Non ebbe
conseguenze sull’opinione riguardo il Presidente fino all’aprile del
1973, quando raggiunse quella posizione di grande risalto e quel
livello di aggiornamento continuo delle informazioni
indispensabile perché un tema a soglia alta entri nell’agenda.
Per trasformare il Watergate in un tema i media dovettero fare di più che
semplicemente dare pubblicità a questo problema: essi dovettero
sollevare una controversia tale da renderlo politicamente rilevante e
dovettero dare non soltanto alle élite ma anche al pubblico dei semplici
osservatori una ragione per prendere una posizione a questo proposito.
Bentivegna, Mediare la realtà, p. 173
Watergate: un’esplorazione del processo di
costruzione dell’agenda (G.E. Lang, K. Lang)
Il processo di agenda setting:
1.i media mettono in luce alcuni avvenimenti, attività, gruppi,
personalità e così via, dando loro una posizione preminente;
2.l‘argomento che è al centro dell’attenzione deve essere elaborato,
ossia deve giungere a rappresentare simbolicamente qualcosa – un
problema o una preoccupazione;
3.viene creato un legame fra l’argomento o l’avvenimento e i simboli
secondari, cosicché esso diventi parte del paesaggio politico
conosciuto;
4.entrano in scena i portavoce, che possono articolare le domande.
Bentivegna, Mediare la realtà, pp. 174-175
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