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Il Piccolo 17 febbraio 2016 Creata in Italia la cellula che sconfigge la
Il Piccolo 17 febbraio 2016 Attualità Creata in Italia la cellula che sconfigge la leucemia La scoperta dei ricercatori del San Raffaele di Milano rilanciata in tutto il mondo Linfociti debitamente “armati” possono guarire la malattia e impedire recidive MILANO. La ricerca scientifica italiana è oggi sulle prime pagine dei giornali di mezzo mondo con la notizia di uno studio sull’immunoterapia dei tumori che potrebbe costituire una pietra miliare per la cura delle leucemie. Se ne stanno occupando giornali americani ed europei, fra cui Time, il Times, la Bbc-‐radio, il Guardian, l’Indipendent, il Telegraf e altri anche dalla Nuova Zelanda. Protagonista è Chiara Bonini, Vicedirettore della Divisione di Immunologia, Trapianti e Malattie infettive dell’IRCCS San Raffaele di Milano, che insieme a Fabio Ciceri, Direttore dell’ Ematologia e Trapianto di midollo osseo, ha coordinato uno studio con il quale è stato individuato nel sistema immunitario un tipo di cellula “memory stem T” capace di restare a lungo nell’ organismo. Questa cellula, se geneticamente modificata per indurla ad attaccare le cellule tumorali, potrebbe proteggere l’organismo per molto tempo, forse per tutta la vita. Lo studio, pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine nel dicembre scorso, è stato ora ripreso e riproposto in occasione della riunione annuale della American Association for the Advancement of Science (AAAS), associazione legata alla rivista Science che ogni anno seleziona e propone alla stampa internazionale le tematiche più innovative. Proprio negli ultimi anni la ricerca contro il cancro ha trovato armi molto potenti nel sistema immunitario. E su questo tema nei giorni scorsi a Washington sono stati invitati a parlare tre relatori, uno americano e due europei, tra cui appunto Chiara Bonini. La scoperta della ricercatrice milanese, in particolare, viene giudicata «rivoluzionaria» da AAAS e dalla stampa internazionale. Nel loro studio clinico, i ricercatori del San Raffaele guidati da Chiara Bonini si sono concentrati su pazienti affetti da leucemia acuta che avevano ricevuto, a partire dall’anno 2000, un trapianto di midollo osseo da donatore familiare parzialmente compatibile. La sperimentazione prevedeva l’infusione di globuli bianchi del donatore, noti come “linfociti T”, modificati geneticamente al fine di poter fornire ai pazienti un nuovo sistema immunitario, capace di combattere la leucemia e difenderli dalle infezioni; e suscettibile di poter essere controllato nel caso di complicanze. A distanza di anni, i ricercatori sono tornati su quei pazienti, verificando che i loro parametri immunologici fossero uguali a quelli di soggetti sani e di pari età, prima di andare a indagare quali cellule modificate geneticamente avevano resistito nel tempo, e individuando così un sottotipo di linfociti T capace di espandersi e perdurare negli anni. Queste particolari cellule, chiamate memory stem T cells, opportunamente “armate” contro le cellule leucemiche potrebbero tenere in remissione la leucemia acuta a lungo -‐ secondo i ricercatori -‐ anche per tutta la vita. «Mi fa piacere che si parli molto di queste ricerche, anche a livello internazionale -‐ spiega -‐ perché sono ricerche molto costose e servono forti investimenti per portarle avanti», il commento di Chiara Bonini assediata ieri dai giornalisti. In Toscana vaccinazione di massa Il governatore Rossi: «Niente panico, solo misure cautelari» FIRENZE. Contro la meningite «vaccineremo 1,5 milioni di toscani, ma credo che sia giusto anzitutto fare un appello ai cittadini alla calma, perché il fenomeno non giustifica che si parli di pandemia o di altro. Le nostre sono misure cautelari, ancor prima che preventive». Il governatore della Toscana, Enrico Rossi, illustra così la delibera con cui la giunta regionale ha messo nero su bianco le misure straordinarie per far fronte ai casi di meningite verificatesi negli ultimi tempi. Come già annunciato, sarà estesa la vaccinazione gratuita a tutti, anche agli over 45, nella Toscana centrale e sarà ridotto il ticket (da 58,23 a 45,52 euro) per chi ha più di 45 anni e vorrà vaccinarsi nel resto della regione. Solo nel 2016 in Toscana la meningite ha fatto tre morti su 12 casi registrati, 10 dei quali da meningococco C. Nel 2015 i casi furono invece 38 e le morti 10, di cui 9 riconducibili al temibile meningococco C. Fino dai primi mesi dello scorso anno nella regione si è verificato un significativo aumento di infezioni da meningococco C e in particolare nell’area centrale lungo l’asse dell’Arno, dove si sono concentrate più del 70% delle segnalazioni. Dopo la morte avvenuta domenica scorsa di un uomo di 71 anni a Prato, negli ultimi giorni sono arrivate tuttavia anche notizie confortanti: sono stati dimessi un ragazzo fiorentino e una studentessa americana, già ricoverati per meningite rispettivamente a Bagno a Ripoli e a Firenze. Dimessa ieri anche la donna di 52 anni che nei giorni scorsi era stata ricoverata nel nosocomio fiorentino di Careggi. Sono inoltre migliorate le condizioni di un paziente di 75 anni di San Miniato ricoverato dal 5 febbraio scorso al San Giuseppe di Empoli. Per facilitare la massiccia vaccinazione, da Rossi è arrivato anche un forte appello ai medici di famiglia «perché -‐ ha detto -‐ laddove i vaccini sono erogati da loro non ci sono le code agli ospedali». Pavia Furti nella mensa ospedaliera, 13 arresti L’accusa è pesante: aver sottratto, quasi ogni giorno, carne, frutta, verdura e altri alimenti dalle celle frigorifere delle cucine del Policlinico San Matteo di Pavia. Viveri destinati a preparare i pasti per i pazienti e per le persone che lavorano in ospedale e mangiano in mensa. Tredici persone (12 dipendenti del Policlinico, tra cui 9 cuochi, e uno di una cooperativa che si occupa di pulizie della mensa) sono state arrestate ieri a Pavia, al termine di un’indagine condotta dalla Procura per oltre due anni. Per tutti e tredici è stata disposta la misura degli arresti domiciliari. Nel complesso le persone indagate sono 48, su circa 60 dipendenti del San Matteo che operano nella mensa. L’ipotesi di reato è, per tutti, furto aggravato e continuato; per alcuni si aggiunge l’accusa di peculato. Arrestato il braccio destro di Maroni Custodia cautelare per Rizzi del Carroccio e altri 20. Al centro del giro di mazzette imprenditrice del settore odontoiatrico di Fiammetta Cupellaro. ROMA. «Quando le cose non vanno bene metto in mezzo la politica». Così spiegava al telefono il suo modo di condurre gli affari, Maria Paola Canegrati, 55 anni titolare dell’azienda “Odontoquality” di Arcore. Secondo la procura di Monza, l’imprenditrice dal 2004 era la “padrona” del sistema dentistico lombardo. Un sistema “oliato” a suon di tangenti con cui avrebbe corrotto funzionari pubblici e politici della Regione. In cambio di soldi, Maria Paola Canegrati avrebbe ottenuto appalti a raffica nella sanità pubblica. Il giro d’affari, ricostruito dai carabinieri di Milano, è di 400 milioni di euro. Ma hanno setacciato solo una parte degli appalti “sospetti”. Da ieri l’imprenditrice è in carcere e con lei è finito in manette, uno dei fedelissimi del governatore Roberto Maroni, l’ex senatore della Lega Nord e presidente della commissione regionale Sanità Fabio Rizzi. 50 anni di Varese, è il “padre” della riforma della Sanità lombarda. Memorabile il suo pianto nell’aula del Consiglio regionale quando nell’agosto scorso è stata approvata la riforma: «Si è avverato il sogno della mia vita», disse, ma dietro le quinte le cose era ben più complesse. Rizzi è accusato di aver intascato mazzette da imprenditori per l’assegnazione di appalti nel settore odontoiatrico. Arrestato un uomo del suo staff, Mario Longo. Ai domiciliari le loro consorti alle quali era intestato il 50% delle quote di società odontoiatriche aperte dalla Canegrati. Un modo per far passare in incognito le tangenti. «Hanno fatto del potere politico lo strumento per accumulare ricchezze, non esitando a strumentalizzare le idee del partito che rappresentano. Ad intimidire, facendo valere la loro posizione, chi appare recalcitrante alle loro pretese» così il gip di Monza, Giovanna Corbetta descrive Rizzi e Longo nell’ordinanza. Ingenti i guadagni: un paio di milioni di euro a testa occultati in società estere create apposta. Quattro mesi dopo l’arresto dell’ex assessore alla Sanità Mario Mantovani un nuovo scandalo si abbatte dunque sulla regione Lombardia con l’opposizione che chiede le dimissioni del presidente Maroni. Al centro della nuova inchiesta “Smile”, ci sono sempre le tangenti nel mondo della sanità, settore su cui gli affari evidentemente non conoscono la crisi. In questo caso i pazienti, che il gip definisce «privi di tutela», venivano “dirottati” dalla struttura pubblica a studi privati creando «finte liste d’attesa» oppure facendogli credere che il costo del ticket sarebbe stato poco inferiore a quello della prestazione a pagamento. È il 24 marzo 2014 quando il responsabile del centro odontoiatrico dell’ospedale “Paolo Pini” è al telefono con Maria Paola Canegrati. Ad un certo punto lei passa il telefono ad un suo assistente che spiega come indurre i pazienti che avrebbero potuto usufruire del sistema sanitario nazionale, pagando un ticket modesto, a richiedere la prestazione a pagamento. «Gli possiamo dire... allora col ticket costa, per dire, 40 euro, senza ticket costa 45 ... però ce l’hai subito... capito?» Ventuno gli ordini di custodia cautelare: nove in carcere, sette ai domiciliari, cinque con l’obbligo di firma. Tra gli arrestati, Giorgio Alessandri dirigente del policlinico di Milano; Massimiliano Sabatino funzionario degli Istituti clinici di Segrate. Accusati di associazione a delinquere finalizzato al riciclaggio, alla corruzione e alla turbativa d’asta per i servizi odontoiatrici esternalizzati in Lombardia. «Quattro imprenditori si aggiudicavano le più importanti gare d’appalto -‐ ha spiegato il comandante dei carabinieri di Milano La Gala -‐ gare vinte illecitamente con la complicità di undici funzionari pubblici». A far emergere il sistema di corruzione è stata una donna, componente del collegio sindacale di un’azienda ospedaliera lombarda. Lei non è rimasta in silenzio. Regione Offensiva grillina contro i videopoker Emendamento M5S alla legge sul commercio. «Stop alle sale giochi a ridosso di chiese, biblioteche e impianti sportivi» di Diego D’Amelio. TRIESTE. Il M5S prepara un nuovo colpo nella sua guerra alle slot machine, la cui presenza è sempre più invadente in Fvg, con sale giochi spuntate come funghi negli ultimi anni. I cinque stelle stanno ultimando un emendamento alla legge sul commercio, per chiedere che entro due anni gli esercizi pubblici dotati di slot traslochino ad almeno 500 metri da una serie di luoghi sensibili. Se accolto dalla maggioranza, l’emendamento segnerebbe la quasi cancellazione del fenomeno, dal momento che la lista dei punti delicati annovera scuole, biblioteche, chiese, impianti sportivi, strutture residenziali socio-‐sanitarie, ricreatori, oratori e ludoteche: difficile trovare nei centri abitati una zona che nel raggio di 500 metri non ne registri almeno uno. La legge regionale sul gioco d’azzardo legale, approvata dal centrosinistra nel 2014, prevede che il vincolo dei 500 metri scatti soltanto per le nuove attività. Il M5S ritiene invece che il divieto debba valere anche per gli esercizi in funzione, in nome di recenti sentenze che hanno attribuito ai sindaci il diritto di regolamentare il settore, per esigenze di tutela della salute pubblica. L’emendamento grillino non è che la riscrittura di una proposta presentata a dicembre, nel corso dell’ultima legge di stabilità: la richiesta di modifica fu tuttavia ritirata davanti all’impegno della giunta di verificare con l’Avvocatura regionale l’effettiva possibilità di imporre retroattivamente il limite dei 500 metri alle slot già ospitate in sale giochi o semplici bar. In quell’occasione il M5S ottenne l’approvazione di un secondo emendamento contenente diverse restrizioni sull’azzardo legale. È grazie a esso che oggi il limite dei 500 metri scatta anche nel momento in cui l’esercente rinnova il contratto scaduto con il concessionario delle slot o qualora traslochi la propria attività in altra zona. La legge impone allo scopo che tutti gli apparecchi attivi in Fvg riportino in bella vista la data di collegamento alla rete e quella di scadenza della concessione: un conto alla rovescia, che ammette sostituzioni solo in caso di guasti. L’emendamento stabilisce inoltre il divieto per i minorenni di giocare con le macchinette “ticket redemption”, quelle che non erogano premi in danaro ma buoni da accumulare in cambio di regali di vario genere: una pratica considerata dagli esperti di dipendenze come una prima formazione dei più giovani all’azzardo legale e punita ora per legge con una multa di 500 euro a carico dei gestori. Andrea Ussai (M5S) spiega che «con la norma vigente si interviene oggi solo sulle nuove installazioni, ma le città sono ormai state colonizzate: ci siamo limitati a chiudere i cancelli quando i buoni erano usciti. A dicembre la giunta si è detta disponibile a discutere del limite dei 500 metri anche per le attività esistenti, ma non ci ha fatto sapere nulla del parere dell’Avvocatura: abbiamo allora ripresentato l’emendamento». Stavolta il M5S ha copiato la normativa approvata nel 2012 nella Provincia autonoma di Bolzano, non a caso quella che in Italia conta la più bassa incidenza di sale slot. La legge altoatesina ha infatti intimato la rimozione delle macchinette nei locali posti a 300 metri da luoghi sensibili. Dopo il ricorso degli esercenti, il Tar ha sancito il diritto della Provincia ad agire sulla materia, perché ciò non costituirebbe violazione della libertà d’iniziativa, ma tutela di soggetti vulnerabili o immaturi, a rischio di sviluppare dipendenza dal gioco. Un precedente che dovrebbe rassicurare la giunta Serracchiani, prudente su un provvedimento a rischio impugnazione per la sua retroattività. Bolzano è riuscita così a limitare a 5 ogni 10mila abitanti il numero di esercizi autorizzati a installare slot sul territorio provinciale. Il Fvg, quarta regione in Italia per percentuale di sale e bar abilitati, ne conta invece 18 ogni 10mila, mentre Trieste è la prima delle quattro province con 22 licenze su 10mila: una ogni 450 abitanti. Il dato pone il capoluogo giuliano sulla media della Sardegna, prima regione in Italia nel rapporto fra attività abilitate e popolazione. Ex Italcantieri, in 9 a giudizio per omicidio Al via a Gorizia il quarto processo amianto per la morte di 23 lavoratori malati di carcinoma polmonare. L’ombra del tabagismo di Roberto Covaz. GORIZIA. Omicidio colposo. Di questo dovranno rispondere nove ex dirigenti del cantiere navale di Monfalcone dell’ex Italcantieri per il decesso di 23 ex dipendenti a causa dell’esposizione all’amianto. Alla terza udienza preliminare, ieri presieduta dal gup Rossella Miele (nelle prime due erano state avanzate dalle difese eccezioni procedurali poi respinte), il Tribunale di Gorizia ha decretato l’avvio del quarto processo amianto: prima udienza il 12 luglio. L’udienza preliminare dopo tre ore si è conclusa con il pronunciamento di rinvio a giudizio. Soddisfatta la Procura della Repubblica che con i sostituti Valentina Bossi e Laura Collini ha chiesto il rinvio a giudizio degli ex dirigenti Italcantieri dopo un’indagine complessa e molto articolata. Soddisfatti anche i legali di parte civile, avvocati Genovese di Trieste, Genovese di Gorizia per la Fiom, Pacorig, Ceresi e Kristancic. Le vittime sono morte a causa di carcinoma polmonare, a differenza dei decessi di cui si discute nel terzo processo (alle battute iniziali) causati da mesotelioma, patologia amianto-‐correlata per eccellenza. La sorpresa dell’udienza preliminare di ieri è che non sono stati accorpati il terzo e quarto processo. La riunificazione non l’ha chiesta la Procura nè le altre parti del processo. L’avvocato Corrado Pagano, legale di Fincantieri e di alcuni imputati, ha lasciato intendere che la riunione dei processi potrebbe essere richiesta in seguito. Analogamente verrà chiesta la riunione degli appelli del primo e secondo processo, conclusi con la condanna degli imputati sempre per omicidio colposo. Fino a ieri non si sono costituiti parte civile né l’Inail né l’Associazione esposti amianto. C’è però ancora tempo per farlo (l’Aea è parte civile nei primi tre processi). Da quanto filtrato dalle porte chiuse dell’udienza preliminare s’intuisce che sarà un processo in cui i periti di parte, più che nei precedenti procedimenti, avranno un ruolo chiave. La difesa infatti, sostiene in sostanza che i decessi per carcinoma polmonare possono essere stati causati anche dal tabagismo degli operai, asseritamente accertato dalle cartelle cliniche. La Procura ribatte che la percentuale di particelle di amianto riscontrate dall’autopsia nei polmoni delle vittime non lascia adito a dubbi. Ma l’udienza preliminare non deve occuparsi di anticipare il processo, quanto di individuare se esistono gli elementi probatori per avviare un processo. La gup Miele ha ritenuto di sì. I decessi del quarto processo sono avvenuti nel 2008 e nel 2009, il fascicolo della Procura è datato 2014. Anche questo è un particolare su cui si concentreranno le difese. Infatti gli indagati non sono stati avvisati delle autopsie, in modo da indicare al caso un consulente che assistesse agli esami. Ma le autopsie (giuridicamente atto non ripetibile) sono state effettuate prima dell’iscrizione nel registro degli indagati degli attuali imputati. Centro Alzheimer: spunta l’ipotesi Cisi Ma il sindaco di Romans ammette: «È un percorso tortuoso che va fatto con il Basso Isontino» ROMANS. Inserire il centro diurno per malati di Alzheimer nei servizi del Cisi. È una delle ipotesi al vaglio dei sindaci per tentare di salvare la struttura che sabato a Romans cesserà di dare assistenza alle famiglie dell’Ambito Alto Isontino. La cooperativa Itaca ha infatti manifestato la volontà di non proseguire l’esperienza avviata nel settembre 2011. La presidente Orietta Antonini ha spiegato che, per come stanno le cose oggi, il servizio è economicamente insostenibile per le famiglie e, di conseguenza, i numeri non permettono di andare avanti. Il dito viene puntato contro quelle amministrazioni comunali che, da quando hanno dovuto cominciare a contribuire alla retta dei propri residenti, hanno smesso di sostenere l’iniziativa. Il centro di via 24 Maggio potrebbe accogliere 15 utenti al giorno, ma dopo una prima fase nella quale, in media, contava 13 accessi quotidiani, si è scesi a 6 o 7. La retta giornaliera è di circa 73 euro: 12,50 euro vengono pagati dalla Regione; 29,80 euro dalle famiglie e il resto dovrebbe essere a carico dei Comuni. Fino a quando la quota comunale è stata coperta dal fondo Starter, non ci sono stati problemi, poi le cose sono cambiate: ci sono state amministrazioni che non hanno più sostenuto l’iniziativa e le famiglie, piuttosto che farsi carico di una spesa di 60 euro al giorno, hanno smesso di frequentare il Centro. La cooperativa Itaca ha gestito il servizio grazie alla convenzione con i Comuni della Destra Isonzo (Dolegna esclusa). La convenzione è però scaduta già nel 2014. L’onlus non ha ora intenzione di proseguire su questa strada. «Non abbiamo la possibilità di andare avanti perché, per le famiglie, il servizio non è economicamente sostenibile», spiega Antonini che aggiunge: «A oggi non c’è prospettiva, ma la responsabilità non è del comune di Romans, capofila del progetto». Sulla vicenda, il sindaco di Romans, Davide Furlan, aveva scelto di tenere un basso profilo, ma alla luce della riunione di lunedì sera con i colleghi attacca: «Un punto debole è l’assenza della compartecipazione dei Comuni che non hanno utenti, ma che potrebbero un giorno averne. Ci vorrebbe una quota base per tutti da integrare in funzione al numero di concittadini che utilizzano il servizio, ma c’è chi, come Farra, ha escluso la quota di solidarietà». Furlan ha poi ricordato che Gorizia ha escluso che il servizio possa essere gestito dall’Ambito. Resta allora l’ipotesi Cisi. Su questa opzione il sindaco però nota: «È un percorso tortuoso e comunque va fatto con il “Basso Isontino”». (s.b.) Lettere Salute. Penalizzati sempre i pazienti Sono venuto a conoscenza di un fatto increscioso, riguardo a una prescrizione medica, capitato ad una mia conoscente, alla quale il medico di base le si è rivolto dicendole: è venuta per caso o ha calcolato che siccome tra qualche giorno entreranno in funzione le norme del governo sui tagli alla sanità, è meglio muoversi prima? Come sarà noto questo governo ha intenzione di tagliare alla sanità di 13 miliardi, agendo sulla limitazione alle prescrizioni degli accertamenti diagnostici. In sostanza a detta del ministro bisogna regolarizzare le prestazioni sanitarie, garantendo solo quelle che sono estremamente necessarie. E già qui sorge una domanda: chi stabilisce la necessità di una prestazione? Il ministro con un decreto? Con queste misure, il medico di base, diventerà un funzionario dello Stato perché dovrà applicare pedissequamente le direttive ministeriali e non le necessità del proprio paziente. Ora che ci siano tagli da fare nel sistema sanitario è vero, però, si vada a tagliare altre problematiche tipo la riorganizzazione dei servizi, i ricoveri ed esami inutili e via discorrendo. Non si può tagliare l'assistenza per decreto, oltre tutto prevedendo delle sanzioni ai medici indisciplinati, perché questo inficerebbe il rapporto medico-‐paziente. Il paziente, vedendosi negare una Tac o un esame, rinuncerà a curarsi o si rivolgerà al privato, con bibliche attese e costi aggiuntivi. Ma soprattutto, con le sanzioni previste, si spaventerebbero i camici bianchi, che non si esporrebbero più a prescrivere le prestazioni "inopportune". Si vogliono evitare prescrizioni continue da parte dei pazienti? Si passi al controllo sistematico sui medici che le fanno a pazienti che sicuramente non pagano i ticket perché esenti. Oppure tutta questa operazione è in funzione di recuperare un ruolo della sanità pubblica attraverso il recupero dei ticket, che ormai molta gente non paga più, perché si rivolge ai privati i quali non fanno pagare i 10 euro. So che alcune Regioni si oppongono con rigore a questo decreto e intendono non applicarlo. Sarei curioso conoscere le intenzioni della nostra presidente regionale che già a suo tempo si era opposta all'applicazione della tariffa dei 10 euro dicendo che la sanità doveva garantire la salute a bassi costi per l'utenza. Mi sa però che questa presidente sicuramente non si metterà contro i suo capo. Bruno Cargnelutti -‐ Monfalcone Messaggero Veneto 17 febbraio 2016 Udine Ambulanza intrappolata dal passaggio a livello Ancora una volta un mezzo di soccorso fermo al transito dei convogli Proteste anche per la velocità e i rumori causati dalla tratta Udine-‐Cividale di Davide Vicedomini. Auto ferme al passaggio a livello: una scena che si ripete quotidianamente alla periferia est di Udine. Ieri a “cadere nella trappola” è stata anche un’ambulanza. A scattare la foto che immortala il mezzo di soccorso a sirene spiegate bloccato dalle sbarre in via Romano Zoffo, nel quartiere di Planis, è stata Margherita Bonina del comitato per la dismissione dei passaggi a livelli che racconta: «Stavo aggiornando lo striscione con il prossimo appuntamento previsto per il 25 febbraio quando, verso le 14, vicino all’Istituto Bearzi, un’ambulanza è rimasta prigioniera delle sbarre del passaggio a livello chiuso. Questi fatti ripetuti potrebbero comportare un grave rischio per la persona in quel momento soccorsa e per la quale, spesso, anche i pochi decisivi minuti contano». Pochi giorni fa, intanto, si è svolta l’ennesima riunione con i politici da parte del comitato. Presenti i consiglieri comunali Berti, Bosetti e Pravisano e i consiglieri regionali Colautti, Novelli e Riccardi. «Ogni giorno – dicono dal comitato – viene messa a repentaglio la sicurezza di ventimila residenti. E poi c’è il problema dell’inquinamento ambientale con le lunghe code di veicoli in sosta alle dieci barriere decine di volte al giorno». Anche Legambiente, fa sapere il comitato, ha espresso pieno appoggio alla battaglia. I cittadini chiedono l’utilizzo della tratta interrata «Se non ci sarà – avverte Sara Perdon, portavoce del comitato – lo spostamento di tutto il traffico ferroviario e l’eliminazione della tratta ottocentesca a ridosso delle case ormai da decenni, avremo speso milioni di euro di denaro pubblico invano». Per il 25 febbraio è fissato il prossimo appuntamento con i consiglieri di Lega Nord e Udc. Ma è forte l’attesa per il 16 marzo quando sarà il sindaco Furio Honsell a sottoporsi alle richieste del comitato. E un ulteriore sollecito «a prendere una decisione da parte del primo cittadino» è arrivato dal capogruppo in consiglio regionale Riccardo Riccardi. «Lo stesso consigliere – riportano dal comitato – ha ribadito che da sempre sposa l’idea della dismissione dei passaggi a livello e si meraviglia del cambio di posizione dell’attuale assessore regionale ai trasporti Mariagrazia Santoro, la quale da assessore comunale condivideva pienamente questa linea, ma che da quando ricopre la carica regionale sembra aver fatto inspiegabilmente voltafaccia». Nel frattempo monta un’altra polemica, legata ai cinque passaggi a livello nella periferia est per i treni della tratta Udine -‐ Cividale. «I convogli – scrive Roberto Meroi – sfrecciano alla velocità di una metropolitana e fischiano ripetutamente. Si consideri che il primo treno che parte da Cividale del Friuli entra in città, alla stazione di San Gottardo, alle 6.17. L’ultimo treno invece parte da Udine Centrale alle 21.30. Ciò crea enorme fastidio». «La Fuc – conclude – deve far rallentare tutti i treni della Udine-‐Cividale quando attraversano il centro urbano e deve far cessare lo stillicidio di rumori inutili da parte dei loro macchinisti in prossimità delle case dove vivono e riposano migliaia di persone». «Mancano le piazzole per l’elicottero del 118» Tolmezzo: vertice della governatrice Serracchiani con i 28 sindaci della Carnia Discussione anche sull’utilizzo dei fondi Ue per scuola, energia e assistenza TOLMEZZO. Sanità e scuola: questi i due temi di cui si è discusso maggiormente ieri a Tolmezzo durante l’incontro tra il presidente della Regione Debora Serracchiani e i 28 sindaci della Carnia. «È necessario – ha ricordato la governatrice ai primi cittadini – realizzare le piazzole per l’atterraggio dell’elisoccorso». Si è trattato di una riunione illustrativa delle linee di finanziamento, di cui possono essere beneficiari i Comuni, legate alla programmazione comunitaria 2014/20-‐Por Fesr e alla Strategia nazionale sulle Aree interne. «Un incontro utile per confrontarci con i sindaci e individuare le possibilità di intervento concreto ora che ci troviamo nella fase attuativa della programmazione europea, con i principali strumenti già approvati e i bandi in via di pubblicazione» ha commentato Serracchiani. I temi su cui imperniare le progettualità sono quelli dell’efficientamento energetico degli edifici scolastici e delle case di riposo, la possibilità di utilizzare i fondi del PSR/Programma di sviluppo rurale, ad esempio, per realizzare la viabilità forestale, e le opportunità fornite dal Fondo sociale europeo (Fse) per la formazione e la riqualificazione professionale«Sono tre cardini essenziali della vita in montagna e il fatto che vi sia l’impegno concreto per 11 milioni di euro credo sia un fatto importante: ora inizieremo a ragionare sui progetti concreti», ha spiegato Serracchiani. Nel dettaglio, per il settore dell’istruzione Serracchiani ha ricordato il progetto “Scuola digitale” e gli altri che si stanno concretizzando soprattutto per il rafforzamento delle lingue straniere e per la formazione professionale negli istituti tecnici. Per quanto riguarda invece il pilastro “Salute”, la presidente ha tenuto fare un chiarimento, precisando che «le tre ambulanze che vengono messe a disposizione per questo territorio non vengono finanziate con le risorse destinate alle Aree interne ma fanno parte del Piano Emergenza e sono a carico del Servizio sanitario regionale» e invitando i sindaci a una riflessione in merito alla necessità di realizzare le piazzole per l’atterraggio dell’elisoccorso. «Si tratta di un intervento estremamente importante e sarebbe opportuno che, in relazione alle direttive del Piano emergenza e previo un confronto con la direzione regionale Salute e l’Ambito socio-‐sanitario, venisse attivato un confronto per capire dove potrebbe essere individuata la loro migliore collocazione, cercando di utilizzare i fondi delle Aree interne». Sempre nel settore “Salute” le Aree interne prevedono progetti di trasporto flessibile, destinati a individuare forme di trasporto che vengano incontro a persone in difficoltà. Questa parte si trova già prevista nel Piano regionale del Trasporto pubblico locale. «È prevista la sottoscrizione di un accordo di programma tra lo Stato, la Regione e le aree interessate entro il mese di aprile. Siamo quindi impegnati a chiudere in breve gli ultimi dettagli e, una volta sottoscritto l'accordo, già a giugno ci sarà la possibilità di avere alcuni bandi e la spesa delle prime risorse» ha ricordato la presidente. Punto nascita di Latisana Fi, Ln e M5s: «La Regione vada oltre i 500 parti l’anno» LATISANA. Una deroga, rispetto alle linee guida ministeriali, da concedere ai due ospedali periferici del Friuli, Tolmezzo a nord e Latisana a sud. Se ne discuterà nella prossima seduta del consiglio regionale, su iniziativa di tre partiti, Forza Italia, Lega Nord e Movimento 5 Stelle, firmatari con i loro rappresentanti in consiglio, di due diverse mozioni che però hanno gli stessi contenuti e soprattutto lo stesso obiettivo: passare oltre al parametro dei 500 parti all’anno, sulla scia di quanto già richiesto da altre regioni, in virtù della specificità dei bisogni delle aree geografiche interessate. «Entrambe le strutture – scrive il 5 Stelle – sono un presidio assolutamente indispensabile della rete ospedaliera regionale, al fine di garantire criteri di equità nell’accessibilità e nella fruibilità dei servizi sanitari, per tutti i cittadini». Sullo stesso piano anche la mozione che porta la firma di Fi e Ln, con un invito alla giunta regionale, a rivedere la delibera del dicembre 2014, che ridisegnava la geografia sanitaria del Friuli, per quanto riguarda l’area materno infantile, reparto unico dei due ospedali di Latisana e Palmanova: «Si preveda la presenza del punto nascita in tutte e due le sedi – riporta la mozione – e si assuma tutte le determinazioni conseguenti e in coerenza al nuovo modello organizzativo». È una questione di valore strategico, anche secondo il centro destra, «per la collocazione geografica dell’ospedale di Latisana, tanto all’interno dell’azienda 2 quanto nel contesto regionale», riporta la mozione. E di fornire una risposta al territorio, «vista la crescente preoccupazione, circa il futuro della struttura». (pa.ma.) Pordenone Infarto in treno, niente farmaci e defibrillatore La denuncia del cardiologo: «Ho solo potuto spiegare al paziente cosa l’aspettava in ospedale» di Donatella Schettini. Un uomo con tutti i sintomi dell’infarto, la mancanza di un defibrillatore o di farmaci specifici da somministrare al paziente e un treno alle prese con una deviazione a causa di un incidente. E’ quanto accaduto lunedì notte al dottor Marco Brieda, cardiologo pordenonese di ritorno da Roma. Viaggiava su un treno ad alta velocità Italo, dal tardo pomeriggio. «Ci è stata data la comunicazione – ha raccontato – di un importante rallentamento perché sulla linea Bologna -‐ Padova era deragliato un convoglio merci». Il treno è stato dirottato sulla linea per Verona, accumulando un ritardo stimato in circa 90 minuti. Ma durante il viaggio, attraverso gli altoparlanti del treno, è stato richiesto se a bordo del convoglio ci fosse un medico. Brieda ha risposto. «Era una persona di 50 anni circa – ha proseguitoe Brieda – che si era sentita male. Prima è andata nella zona dei distributori per prendere qualcosa di caldo, poi, siccome il dolore non passava, ha allertato il personale del treno. Aveva tutti i sintomi dell'infarto – ha raccontato – e inoltre mi ha raccontato che in famiglia c’erano stati problemi cardiaci. Io non posso dire con certezza che fosse infarto, perché non avevo la possibilità di sottoporlo a esami, ma certo i sintomi erano quelli». Così Brieda ha chiesto al personale del treno se ci fosse un defibrillatore semiatuomatico, ma la risposta è stata negativa: gli hanno spiegato che è prevista la loro installazione e proprio in vista di questo i dipendenti dovranno fare un corso. Ma in quel momento il defibrillatore non c’era, come nemmeno le medicine. «A quel punto potevo fare ben poco – ha proseguito il medico –, se fosse andato in arresto cardiaco avrei potuto praticargli un massaggio cardiaco». Fortunatamente si è riusciti ad arrivare alla stazione di Verona in una situazione stazione: «Ho chiesto che il treno venisse bloccato in attesa dell’arrivo dell’ambulanza – ha proseguito Brieda –. Nel frattempo ho cercato di tranquillizzare il paziente, spiegandogli che cosa gli avrebbero fatto in ospedale». L'uomo è sceso autonomamente dal treno, ma è stato subito caricato sulla lettiga è trasferito in ospedale. Brieda ha osservato che «in un treno che trasporta centinaia di persone è impensabile che non ci sia un defibrillatore. Ho fatto una ricerca e sono stati diversi i morti negli ultimi anni, colpiti da infarto nei treni». Il problema è sempre quello della mentalità e di un decreto di qualche anno fa che aveva previsto una serie di postazioni con defibrillatori in luoghi frequentati, ma mai di fatto attivati. Anche Trenitalia non ha in dotazione i defibrillatori sui treni, neppure su quelli a lunga percorrenza. Un paio di anni fa ha dotato di questo strumento una sessantina di stazioni, tra quelle più importanti, affidando i defibrillatori alla Polfer. Cro-‐Aas 5, dubbi sui trasferimenti Ricollocati funzioni e servizi. «Chiarite cosa accadrà al personale» Entro la fine dell’anno alcune funzioni del Cro passeranno all’Aas 5 e viceversa. Ma a pochi mesi dall’avvio dei trasferimenti, a giugno, la Cgil esprime preoccupazione perché non sono ancora chiari tutti gli aspetti relativi al personale. I trasferimenti fanno parte della riorganizzazione decisa dalla riforma sanitaria. La questione è stata sollevata dal sindacato nell’incontro con la direzione generale dell’Aas 5, ma per ora non sono state fornite risposte. I trasferimenti delle funzioni, infatti, sono ancora al centro di lavori con il Cro di Aviano. Il piano attuativo locale, licenziato dall’Azienda a fine anno, prevede entro giugno il trasferimento della funzione di anatomia patologica dal Cro all’Aas 5, di oncologia dall’Aas 5 al Cro, e della cardiologia dal Cro alla Aas 5. Entro ottobre è previsto il trasferimento delle funzioni di laboratorio analisi, microbiologia e virologia dal Cro all’Aas 5. Entro dicembre, infine, la medicina nucleare come funzione passerà dall’Aas 5 al Cro. «Abbiamo chiesto tutto ciò che non è scritto nell’atto aziendale – ha detto Pierluigi Benvenuto della Cgil – e ci è stata confermata la tempistica, ma non nel dettaglio che cosa ne sarà dei lavoratori». La questione è al centro di tavoli tra Aas 5 e Cro di Aviano in vista delle prime scadenze che sono a giugno. «Fermo restando che non possiamo decidere noi quali siano i servizi o le strutture che transitano dall’Aas 5 al Cro – ha proseguito l’esponente della Cgil – vogliamo capire che fine fa il personale, se passa anche dal punto di vista giuridico da un ente all'altro». Se ad esempio il personale sarà messo solo a disposizione del Cro o dell’Aas 5 o se ci sarà un passaggio vero e proprio. Per quanto riguarda la cardiologia, sarebbe previsto il passaggio di due medici dal Cro all’Aas 5, pur rimanendo nell’istituto pedemontano. Per l’oncologia, tra infermieri e assistenti, invece, una ventina di persone non sanno ancora osa accadrà. E’ questo un fattore che li accomuna in attesa di una definizione precisa, con tutti gli altri dipendenti, delle strutture individuate dalla riforma. (d.s.) Pazienti maltrattati, filmati i sospetti Sacile, carabinieri si fingono elettricisti per installare le telecamere. Due operatrici di una coop allontanate dal servizio di Donatella Schettini. SACILE. Ecchimosi e lividi sui corpi dei malati hanno preoccupato i familiari che hanno presentato un esposto ai carabinieri di Sacile: il loro sospetto è che all’interno del reparto i pazienti non fossero trattati bene. Ed è partita una indagine, ancora in corso. Teatro dell’inchiesta il reparto di gravi e gravissimi che si trova nell’ospedale in riva al Livenza. E nei confronti di due operatrici di una cooperativa sarebbero stati adottati provvedimenti disciplinari. A darne notizia ieri sera l’emittente Telepordenone, informata da alcuni familiari. Ecchimosi. I fatti risalirebbero ad alcuni mesi fa. A insospettirsi i familiari di degenti del reparto: avevano notato ecchimosi e lividi che li hanno preoccupati, tanto da chiedersi quale fosse la loro natura. Non hanno convinto le spiegazioni fornite dal personale: la motivazione era che i pazienti si agitavano nel letto e sbattevano contro le sbarre di protezione. Alcuni familiari non avrebbero accettato queste spiegazioni decidendo di andare più a fondo e presentando un esposto ai carabinieri di Sacile. Inchiesta. Le indagini per appurare che cosa effettivamente accadeva nel reparto sono partite subito, ma sono rimaste in sordina per molti mesi. Per verificare il comportamento degli operatori, su cui si era concentrata l’attenzione, sono state anche posizionate telecamere. A quanto pare per l’installazione i carabinieri si sono finti elettricisti, ma al momento della rimozione a molti è apparsa evidente la natura delle operazioni, ovvero che era in corso una indagine. Non è ancora noto che cosa abbiano ripreso gli apparati della videosorveglianza. Provvedimenti. Secondo quanto riferito, sarebbero state due le persone – non è chiaro se infermiere od operatrici socio-‐assistenziali – a ricevere il provvedimento disciplinare per il comportamento tenuto prestando servizio nella struttura. Destinatarie una donna di Pordenone e una cittadina straniera, dipendenti della cooperativa che si occupa della struttura. Non si conoscono quali siano le responsabilità attribuite alle due, ma resta il fatto che sono state allontanate dalla struttura con un provvedimento emesso dopo che sono scattate le indagini. L’inchiesta sta procedendo e in questo periodo i carabinieri stanno radunando i testimoni per tirare le fila di questa vicenda. Sconcerto. All’Azienda per l’assistenza sanitaria 5 del Friuli occidentale non era arrivata alcuna segnalazione dell’accaduto e dei provvedimenti nei confronti delle due operatrici. La notizia ieri ha destato sconcerto a Sacile e si chiede chiarezza dal momento che i fatti sarebbero avvenuti in un reparto dove vengono ricoverate le persone particolarmente fragili e, soprattutto, impossibilitate a difendersi.