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La truffa aggravata: profili processuali

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La truffa aggravata: profili processuali
Saggi
La truffa aggravata: profili processuali, giurisprudenziali e
rapporto con reati aventi struttura analoga
Roberta Mencarelli
Avvocato del Foro di Roma
L
a truffa è uno dei reati maggiormente denunciati dalle Forze di Polizia all’Autorità Giudiziaria
che ne hanno rilevato un aumento esponenziale
negli ultimi vent’anni: su 100.000 abitanti si è infatti
passati dalle 62 truffe del 1992 alle 159 del 2010 senza
contare che, secondo gli ultimi aggiornamenti Istat, le
truffe sono aumentate dal 2000 del 113,4% solo nel
Mezzogiorno1.
La truffa, già rilevante da un punto di vista quantitativo, assume rilevanza qualitativa per la molteplicità
degli aspetti giuridici, sostanziali e processuali, che si
prospettano all’attenzione dei soggetti del processo
penale quando si configura come truffa aggravata di cui
all’art. 640 cpv e 640 bis codice penale.
dotato dei poteri d’imperio della p.a. stante il riferimento della circostanza aggravante agli enti pubblici in
genere senza distinzione alcuna tra enti pubblici economici ed altri enti pubblici, ad esclusione degli enti originariamente pubblici ma successivamente privatizzati
come Enel, Eni, Telecom.
Enti pubblici sono anche le Aziende speciali istituite
dai Comuni per la gestione dei servizi pubblici costituite in particolare per la gestione di servizi pubblici economici ai sensi degli artt. 22 e 23 L. n. 142/1990.
Sulla nozione di ente pubblico sono recentemente
intervenute anche le Sezioni Unite della Suprema Corte
di Cassazione con la sentenza n. 6773 del 12.2.2014 le
quali hanno ulteriormente chiarito che “Ai fini della
sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art.
640, comma secondo, n 1, cod. pen. può parlarsi di
natura pubblicistica dell’ente concessionario se si
accerta che l’affidamento da parte di un ente pubblico
ad un soggetto esterno, da esso controllato, della
gestione di un servizio pubblico, integra una relazione
incentrata sull’inserimento del soggetto medesimo nell’organizzazione funzionale dell’ente pubblico, in
modo che la società concessionaria si configuri come
organo indiretto della p.a.. Ne consegue che, atteso il
rapporto strumentale tra enti, non potrebbe parlarsi di
danno all’ente partecipante quale mero effetto riflesso
della partecipazione societaria”.
Non è invece configurabile l’aggravante in parola con
riferimento ad una società per azioni incaricata della
gestione dei servizi comunali in quanto la natura eventualmente pubblica del servizio prestato assume rilievo
esclusivamente ai fini della qualifica dei soggetti agenti secondo la concezione funzionale oggettiva accolta
dagli artt. 357 e 358 c.p.4 ma non rileva ai fini della
natura pubblicistica dell’ente.
La seconda aggravante di cui al n.1 ricorre qualora il
fatto sia commesso «con il pretesto di far esonerare
taluno dal servizio militare».
Art. 640 cpv n. 1 c.p.
Il capoverso dell’art. 640 c.p. ai numeri 1), 2) e 2 bis)
prevede e disciplina tre circostanze aggravanti c.d.
oggettive che determinano un aumento della pena base
che passa da uno a cinque anni di reclusione e multa da
309 euro a 1.549 euro.
Si parla di circostanze aggravanti oggettive poiché si
tratta di circostanze che riguardano o le modalità dell’azione o le qualità del soggetto passivo.
La prima circostanza aggravante di cui al n. 1 ricorre «se
il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente
pubblico» (c.d. truffa in danno dello Stato) ed è un’aggravante ad effetto speciale in quanto la legge determina
la misura della pena entro una nuova cornice edittale in
modo indipendente da quella ordinaria del reato2.
Tale aggravante è stata concepita dal Legislatore nell’ottica di apprestare una tutela rafforzata al patrimonio
della p.a. e presuppone che lo Stato (o l’ente pubblico3)
assuma le vesti del soggetto direttamente danneggiato
dal fatto costituente reato a nulla rilevando, invece, il
destinatario diretto della condotta d’inganno.
Si deve precisare che nella nozione di ente pubblico
rientra anche l’ente pubblico economico anche se non
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In merito, è necessario specificare che deve trattarsi di
un mero pretesto e che l’agente non deve aver fatto
nulla per ottenere l’esonero, totale o temporaneo, altrimenti troverà applicazione la normativa speciale sugli
illegittimi esoneri dal servizio militare o, in caso di
accordo col pubblico ufficiale, si configurerà il delitto
di corruzione.
Tale aggravante sussiste anche nell’ipotesi in cui il soggetto passivo aveva diritto all’esonero essendo sufficiente che l’agente dissimuli il suo vero proposito
facendo falsamente credere di potersi efficacemente
adoperare per far conseguire alla vittima l’esonero sperato anche se questi ignori di avervi diritto per le sue
condizioni fisiche o familiari o per altro motivo.
L’aggravante non trova invece applicazione nel caso in
cui il raggiro sia stato posto in essere dall’agente dopo
l’esonero del soggetto passivo dal servizio militare.
Ciò posto, si deve tuttavia osservare che, la circostanza
de qua, da sempre caratterizzatasi per la sua scarsa applicazione, è divenuta addirittura anacronistica nel momento in cui è venuto meno l’obbligo della leva militare ai
sensi dell’art. 7 D.Lgs. 8.5.2001 n. 215 e si potrebbe
considerare attuale soltanto nel caso in cui si ritenga che
l’esonero riguardi anche un servizio volontario e, quindi,
il caso di fine anticipata della ferma volontaria.
reato di estorsione.
Quanto alla prima aggravante, si osserva che il criterio
distintivo tra il reato di truffa commesso ingenerando
nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario e il reato di estorsione va individuato, così come
pacificamente ammesso in giurisprudenza5, nel diverso
atteggiamento psicologico dei soggetti passivi nel sottomettersi all’ingiusto danno.
Ed infatti, mentre il reato di truffa sussiste se il male
minacciato viene ventilato come possibile ed eventuale
e comunque non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, con la conseguenza che la
persona offesa si determina perché tratta in errore dall’esposizione di un pericolo inesistente, il delitto di
estorsione si ha quando il colpevole incute da solo o
con altri il timore di un pericolo che fa apparire certo e
proveniente da lui stesso o da altra persona a lui legata
da un qualunque rapporto, di tal ché la persona offesa
viene posta di fronte all’alternativa di adempiere all’illecita richiesta o di subire il male minacciato.
In merito invece alla distinzione tra la seconda aggravante di cui all’art. 640 c. 2 n. 2) c.p. e l’estorsione, si
rileva che, a differenza dell’estorsione, nella circostanza aggravante in oggetto, l’ordine dell’Autorità non è
prospettato come dipendente dalla volontà o dal fatto
dell’agente, con la conseguenza che rimane in capo al
soggetto passivo l’illusione di agire liberamente pur se
la sua conoscenza è in realtà viziata dall’errore nel
quale è stato indotto.
Lo stesso criterio varrà a distinguere la truffa aggravata dalla concussione nel caso in cui l’agente sia un pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio.
Art. 640 cpv n. 2 c.p.
Il numero 2 del comma 2 dell’art. 640 c.p., a sua volta,
prevede due distinte circostanze aggravanti.
La prima ricorre nei casi in cui «il fatto è commesso
ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario».
Posto che per pericolo immaginario deve intendersi
tutto ciò che è effetto dell’immaginazione ed esiste solo
in essa senza alcun fondamento della realtà, si ritiene
che la ratio dell’aggravante in oggetto risieda nella
natura particolarmente insidiosa de facto di chi fa percepire all’offeso un timore di un pericolo che non sussiste specie perché il più delle volte costui versa in una
situazione psicologica più debole rispetto all’agente.
La seconda aggravante ricorre nei casi in cui «il fatto
sia commesso ingenerando nella persona offesa l’erroneo convincimento di dover eseguire un ordine dell’Autorità».
Tanto con riferimento alla prima che alla seconda si
pone la necessità di operare una distinzione rispetto al
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Art. 640 n. 2 bis c.p.
Infine, il numero 2 bis, introdotto con l’art. 3, 28° co.,
L. 15.7.2009, n. 94, ha previsto l’aggravante comune
della c.d. minorata difesa, ossia l’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo e di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata
difesa (art. 61, n. 5 c.p.).
Trattasi di un’aggravante speciale e ad effetto speciale
del delitto di truffa che determina un inasprimento della
risposta sanzionatoria anche dal punto di vista della
applicabilità della disciplina dettata dall’art. 63, c. 3 e 4
in caso di concorso di circostanze.
Ed infatti l’art. 63 c. 3 c.p. prevede che “Quando per
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della politica economica comunitaria e nazionale, al
fine non soltanto di adempiere agli impegni che gli
derivavano dai trattati europei (articoli 5 e 280 del
Trattato di Roma, così come modificato dal Trattato di
Amsterdam), ma anche per rispondere alle pressioni
dei partners comunitari, preoccupati del dilagare di tali
tipi di frodi e del coinvolgimento crescente in questa
pratica della criminalità organizzata.
Tuttavia, tale fattispecie ha visto sollevarsi un acceso dibattito in merito alla sua natura fin dalla sua introduzione.
Ci si chiedeva cioè se la stessa configurasse una circostanza aggravante della truffa o fosse al contrario una
fattispecie autonoma di reato.
Il dibattito ha visto l’intervento delle Sezioni Unite
della Suprema Corte attesa la notevole rilevanza pratica della questione.
Ed infatti, configurare in termini di reato autonomo o di
circostanza aggravante la fattispecie dell’art. 640 bis
c.p. rileva in ordine alla esperibilità o meno del giudizio
di bilanciamento delle circostanze che, ai sensi dell’art.
69 c.p., può essere effettuato in caso di concorso tra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti ed influisce
così sulla determinazione della pena.
La distinzione assume rilievo, seppure meno importante, anche agli effetti del concorso di persone nel reato,
applicandosi gli artt. 116 e 117 ovvero l’art. 118 c.p., a
seconda che si adotti l’una o l’altra opzione.
Molteplici erano gli elementi che la dottrina richiamava a sostegno dell’una e dell’altra tesi7.
In favore della configurabilità della fattispecie de qua
quale circostanza aggravante militavano due elementi:
la rubrica dell’articolo 640 bis c.p. (“truffa aggravata…”) e il richiamo esplicito operato dallo stesso articolo al fatto descritto dall’art. 640 c.p..
Secondo questa impostazione, pertanto, la truffa aggravata sarebbe costituita dagli stessi elementi della truffa
(identità della struttura della condotta e dell’evento),
fatta salva la specialità inerente all’oggetto della frode
che consiste in «contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazione dello stesso tipo».
A favore invece della configurabilità in termini di fattispecie autonoma di reato venivano addotti i seguenti
elementi:
- la collocazione della presunta circostanza fuori dal
luogo “naturale” della aggravanti di truffa che è,
come sopra illustrato, il capoverso dell’art. 640 c.p.;
una circostanza la legge stabilisce una pena di specie
diversa da quella ordinaria del reato o si tratta di circostanza ad effetto speciale, l’aumento o la diminuzione per le altre circostanze non opera sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza
anzidetta. Sono circostanze ad effetto speciale quelle
che importano un aumento o una diminuzione della
pena superiore ad un terzo”.
Ed il c. 4 “Se concorrono più circostanze aggravanti
tra quelle indicate nel secondo capoverso di questo
articolo, si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave; ma il giudice può aumentarla”.
La ratio di tale scelta normativa è da cogliere nella
volontà legislativa di rafforzare la tutela dei soggetti
più deboli stante anche e soprattutto il gran numero di
truffe perpetrate a danno di soggetti anziani.
Art. 640 bis c.p.
L’art. 640 bis c.p. rubricato “truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche” prevede che «la
pena è della reclusione da uno a sei anni e si procede
d’ufficio se il fatto di cui all’articolo 640 riguarda contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee».
Tale norma è stata inserita dall’art. 22 della Legge 19
marzo 1990, n. 55 (“Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi
forme di manifestazione di pericolosità sociale”) per
rispondere alla diffusa preoccupazione, segnalata in
ambienti giudiziari e accademici, circa l’insufficienza
delle fattispecie incriminatrici comuni (mendacio bancario ex art. 95 l. n. 141/1938, falso in bilancio, ricorso
abusivo al credito ex art. 218 l. fall. e la truffa di cui
all’art. 640 c.p.) di far fronte all’ampliarsi del fenomeno della captazione fraudolenta di sovvenzioni pubbliche, nazionali e comunitarie6.
E sempre nella stessa ottica, il Legislatore ha introdotto con la Legge 26 aprile 1990, n. 86 anche la malversazione ai danni dello Stato (art. 316 bis c.p.).
In tal modo il nostro Legislatore del 1990 ha voluto
offrire una tutela penale agli interessi finanziari dello
Stato e della Comunità Europea incriminando sia la
fraudolenta captazione sia la indebita utilizzazione
delle sovvenzioni e dei contributi erogati, in attuazione
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- l’autonomia assoluta dell’entità della sanzione rispetto a quelle previste anche per le ipotesi aggravate;
- l’inutile (nel caso fosse, appunto, una circostanza
aggravante) previsione esplicita della procedibilità
d’ufficio, sulla base del contenuto dell’ultimo
comma dell’art. 640 c.p.;
- l’inconciliabilità con la lettera dell’art. 6 D.L. n.
152/1991 secondo cui, se il fatto è commesso da
soggetto sottoposto a misura di prevenzione, la pena
«per il reato di cui all’art. 640 bis c.p.» è aggravata
(è discutibile che si possa configurare l’aggravante
di un’aggravante).
Anche la giurisprudenza non era univoca.
Prima della pronuncia con cui le Sezioni Unite hanno
risolto il dibattito infatti, nelle diverse Sezioni della Corte
di Cassazione si era consolidato un indirizzo giurisprudenziale maggioritario (Cassazione Sezione II n.
11582/1998; n. 11077/2000; n. 2286/1999; n. 4240/1999)
che riteneva la truffa relativa ad erogazioni pubbliche fattispecie autonoma di reato8, mentre minoritaria (Cass.
Sez. II n. 4731/2000) risultava l’opzione giurisprudenziale che configurava la nuova fattispecie come circostanza
aggravante9.
Sicché, con sentenza del 10 luglio 2002, n. 26351 delle
Sezioni Unite della Corte di Cassazione, il dibattito
veniva definitivamente risolto con il riconoscimento
della natura di circostanza aggravante della fattispecie
prevista dall’art. 640 bis c.p..
Nella citata sentenza, le Sezione Unite hanno individuato, nel criterio strutturale della descrizione del precetto penale, il criterio da seguire per accertare la
volontà legislativa in ordine alla qualificazione circostanziale o costitutiva della fattispecie di cui all’art.
640 bis c.p. «Nel caso dell’art. 640 bis la fattispecie è
descritta attraverso il rinvio al fatto-reato previsto nell’art. 640, seppure con l’integrazione di un oggetto
materiale specifico della condotta truffaldina e della
disposizione patrimoniale (le erogazioni da parte dello
Stato, delle Comunità europee o di altri enti pubblici).Una siffatta struttura della norma incriminatrice
indica la volontà di configurare soltanto una circostanza aggravante del delitto di truffa. […] È proprio la
struttura della fattispecie penale di cui all’art. 640 bis,
definita da un lato attraverso il richiamo degli elementi essenziali del delitto di truffa di cui all’art. 640 (artifici o raggiri, induzione in errore con conseguente
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disposizione patrimoniale, ingiusto profitto per l’agente o per altri, danno del soggetto passivo) e dall’altro
con l’introduzione di un elemento specifico (erogazioni
pubbliche) che è estraneo alla struttura essenziale
della truffa, a denotare la inequivoca volontà legislativa di configurare una circostanza aggravante e non un
diverso titolo di reato. La descrizione della fattispecie,
insomma, non immuta gli elementi essenziali del delitto di truffa, né quelli materiali né quelli psicologici, ma
introduce soltanto un oggetto materiale specifico – tradizionalmente qualificato come accidentale e cioè circostanziale – laddove prevede che la condotta truffaldina dell’agente e la disposizione patrimoniale dell’ente pubblico riguardino contributi, finanziamenti, mutui
agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo. Tra
reato-base e reato circostanziato intercorre quindi un
rapporto di specialità unilaterale, per specificazione o
per aggiunta, nel senso che il secondo include tutti gli
elementi essenziali del primo con la specificazione o
l’aggiunta di elementi circostanziali».
In definitiva, con la pronuncia in esame le Sezioni
Unite hanno risolto il contrasto sorto nella giurisprudenza di legittimità (a favore del riconoscimento della
natura circostanziale della fattispecie in oggetto) mettendo l’accento sul c.d. oggetto materiale specifico
della fattispecie descritta dall’articolo 640 bis c.p.:
«contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre
erogazioni dello stesso tipo»10, pur sempre tenendo
fermi i requisiti strutturali di cui all’art. 640 c.p..
Si deve tuttavia osservare che la soluzione prospettata
dalla Suprema Corte a favore della natura di circostanza aggravante della fattispecie, si discosta dalle intenzioni originarie del Legislatore dell’art. 640 bis c.p. che
ha inserito la figura criminosa de qua nell’ambito di un
contesto normativo (la Legge 19 marzo 1990, n. 55)
diretto a contrastare la delinquenza mafiosa e altre gravi
forme di pericolosità sociale allo scopo di colpire più
efficacemente un fenomeno delittuoso spesso, anche se
non esclusivamente, legato alla criminalità organizzata.
Ed invero, considerare la fattispecie di cui all’articolo
640 bis c.p. come circostanza aggravante, con la conseguente applicazione del bilanciamento delle circostanze eterogenee (quindi, anche circostanze attenuanti
generiche), rende di fatto vano l’intento originario del
Legislatore di potenziare la risposta sanzionatoria nei
casi di truffa aventi ad oggetto «contributi, finanzia-
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menti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello
stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati
da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle
Comunità europee».
dello Stato.
Trattasi infatti di una fattispecie criminosa che, introdotta dalla Legge 26 aprile 1990, n. 86 a distanza di
pochissimo tempo dalla previsione di cui all’art. 640
bis c.p., aveva lo specifico scopo di fornire copertura
penale a tutte quelle condotte che, interessando la fase
successiva alla indebita percezione del denaro pubblico, sarebbero rimaste fuori dal raggio di operatività del
reato di truffa.
Una questione peculiare è poi rappresentata dai rapporti tra la truffa aggravata e la fattispecie di cui all’art. 2
Legge 23 dicembre 1986, n. 898, che punisce l’indebito conseguimento di sovvenzioni da parte del Fondo
Europeo per l’Agricoltura.
Sul punto, carattere decisivo ha assunto l’art. 73, Legge
19 febbraio 1992, n. 142 che ha apportato un’importante modifica alla predetta fattispecie consistente nell’aggiunta dell’inciso «ove il fatto non configuri il più
grave reato previsto dall’art. 640 bis c.p.».
Grazie a tale modifica infatti, il reato di cui all’art. 2 L.
898/86 ha assunto carattere sussidiario rispetto al reato di
truffa aggravata che si configurerà solamente in quelle
ipotesi in cui al mendace comportamento o ad una qualsiasi alterazione della realtà da parte dell’agente nello
svolgimento di attività finalizzate al conseguimento delle
indennità si associa un quid pluris costituito da particolari accorgimenti o speciali astuzie capaci di elidere le
comuni e normali possibilità di controllo degli organi
amministrativi preposti, tali da integrare l’elemento
oggettivo della truffa ovvero l’artifizio o il raggiro.
A tal proposito, si deve infatti considerare che, tutelando il reato di frode comunitaria un grado inferiore del
medesimo interesse tutelato dalla norma portante, quest’ultima assorbe in sé l’oggetto giuridico della norma
sussidiaria.
In tal senso numerose sono le conferme giurisprudenziali: Cass. Sez. II n. 7280 del 24.7.1997 secondo cui
“l’indebito conseguimento di contributi comunitari
mediante la mera esposizione di dati e notizie falsi è
sanzionabile dall’art. 2 L. 898/86 allorché il soggetto
si sia limitato semplicemente ad una esposizione menzognera di dati e notizie e non quando alle false dichiarazioni si accompagnino diversi ed ulteriori artifizi e
raggiri che integrano invece la truffa aggravata” e
ancora Cass. n. 4569/1998 e n. 11076/1999 “Ricorrre il
reato di truffa aggravata quando le condotte relative
Rapporto tra truffa aggravata e artt. 316 bis, 316 ter
e art. 2 L. 898/86
Risolta in termini di circostanza aggravante la querelle
sulla natura giuridica dell’art. 640 bis c.p., problemi si
sono posti con riferimento alle molteplici interferenze tra
il delitto di truffa aggravata (art. 640 cpv c.p. e 640 bis
c.p.) e gli altri reati aventi struttura analoga come l’indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316 ter
c.p.), la malversazione a danno dello Stato (art. 316 bis
c.p.) e l’indebito conseguimento di sovvenzioni da parte
del Fondo europeo per l’agricoltura (art. 2 L. 898/96).
Con riferimento al rapporto con il reato di cui all’art. 316
ter c.p. (“indebita percezione di erogazioni pubbliche”),
si trattava di stabilire se gli artifici o raggiri tipicamente
necessari per l’integrazione del reato di truffa ricomprendessero, o meno, le condotte di omissione o falsa dichiarazione descritte dall’art. 316 ter c.p. e, conseguentemente, di inquadrare il ruolo che tale ultima norma rivestiva
all’interno dell’ordinamento penalistico in relazione alla
più severa previsione di cui all’art. 640 bis.
Si deve, altresì, considerare che il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche può configurarsi, a differenza di quello di cui all’art. 640 bis c.p., anche in
difetto di un’induzione in errore da parte dell’agente,
ossia in quelle ipotesi in cui l’erogazione non dipenda
da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da
parte dell’erogatore che si rappresenta unicamente
l’esistenza della formale dichiarazione del richiedente.
Secondo giurisprudenza consolidata ed oggi determinante (Sezioni Unite del 19 aprile 2007 n. 16568), detto
rapporto deve intendersi in termini di sussidiarietà e non
di specialità, con la conseguenza che il residuale e meno
grave delitto disciplinato dall’art. 316 ter c.p. si configurerebbe solo quando difettino gli estremi della truffa.
Di tal ché, alla luce di tale orientamento, l’ambito di
operatività dell’indebita percezione di erogazioni pubbliche rimarrebbe circoscritta a situazione del tutto
marginali.
Sempre in termini di sussidiarietà è da considerare il
rapporto tra la truffa aggravata e il reato di cui all’art.
316 bis c.p., ossia il reato di malversazione a danno
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ne (o assorbimento) per il quale è sufficiente l’unità normativa del fatto (desumibile dall’omogeneità tra i fini
dei due precetti) ai fini dell’assorbimento dell’ipotesi
meno grave in quella più grave, escludeva che tra le due
fattispecie criminose operi il principio di specialità.
Un terzo orientamento, poi, sempre escludendo un rapporto di specialità tra i reati in questione, ammetteva il
concorso tra loro in considerazione della eterogeneità
delle fattispecie sia rispetto al bene giuridico tutelato
che rispetto alle modalità di consumazione, non occorrendo per la frode fiscale l’induzione in errore della
amministrazione finanziaria né l’ingiusto profitto, che
sono invece elementi costitutivi della truffa.
Questo terzo orientamento consentiva nella prassi di
applicare il sequestro preventivo per equivalente tanto
nei confronti delle persone sottoposte ad indagini in
forza dell’art. 640 c.p. quanto nei confronti degli enti
per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato ai
sensi degli artt. 24 e 53 del D.Lgs. n. 231/2001.
L’esistenza, infatti, di un disallineamento normativo
(venuto meno in forza della Legge Finanziaria 2008
che ha esteso ai reati tributari l’applicabilità della confisca per equivalente) precludeva l’attivazione di questa misura reale rispetto alle fattispecie rientranti nel
D.Lgs. n. 74/2000 e, conseguentemente, alimentava
l’orientamento volto a sostenere la compatibilità tra le
violazioni di frode fiscale e truffa ai danni dello Stato.
Ad oggi, comunque, si deve rilevare che le disposizioni
in materia penale tributaria non costituiscono reato-presupposto per la responsabilità amministrativa degli enti.
Risolutive sono state ancora una volta le Sezioni Unite
della Cassazione che con la sentenza del 28 ottobre 2010
n. 1235 hanno così argomentato: «il raffronto fra le fattispecie astratte evidenzia che la frode fiscale è connotata
da uno specifico artifizio, costituito da fatture o altri
documenti per operazioni inesistenti. Una volta chiarito
che la condotta di cui alla frode fiscale è una specie del
genere “artifizio”, non si può far leva, per affermare la
diversità dei fatti, sugli elementi danno e profitto, giacché
questi dati fattuali di evento non possono trasformare
una tale situazione di identità ontologica dell’azione in
totale diversità del fatto. […] sia l’induzione in errore
che il danno sono presenti nella condotta incriminata dal
reato di frode fiscale, posto che alla presentazione di una
dichiarazione non veridica si accompagna normalmente
il versamento di un minor (o di nessun) tributo e genera,
alla semplice esposizione di dati e notizie false sono
congiunte a malizie ulteriori quali simulazione di compravendita, trasporti inesistenti con relative bolle di
accompagnamento e fatture che attengono ad operazioni commerciali inesistenti dirette all’induzione in
errore del soggetto passivo onde conseguire indebitamente aiuti comunitari”.
Alla luce di quanto illustrato, pertanto, posto che in alcun
modo può ammettersi la configurabilità di un concorso
tra la truffa aggravata e i reati che, come visto, hanno,
rispetto a quest’ultima, natura sussidiaria e residuale, si
parlerà in questi casi di concorso apparente di norme in
quanto il confluire di più norme incriminatrici nei confronti di un medesimo fatto non è reale con la conseguenza che, in luogo di configurarsi un concorso di reati, si ha
unicità di reato essendo una sola la norma incriminatrice
veramente applicabile all’ipotesi di specie.
Rapporto tra truffa aggravata e frode fiscale
Ha suscitato un vivo interesse in giurisprudenza anche
il tema del concorso della truffa aggravata con la frode
fiscale.
Sul rapporto tra l’art. 640 bis c.p. e la frode fiscale, è
intervenuta la Corte di Cassazione dapprima con la sentenza n. 34546/2009 successivamente confermata dalla
sent. Sezione Unite n. 1235/2010 la quale ha sancito che
“il delitto di frode fiscale può concorrere attesa l’evidente diversità del bene giuridico protetto con quello di
truffa comunitaria purché allo specifico dolo di evasione si affianchi una distinta ed autonoma finalità extratributaria non perseguita dall’agente in via esclusiva”.
Rilevante è stato il contrasto giurisprudenziale, risolto
sempre con la pronuncia a Sezioni Unite della Suprema
Corte di Cassazione (sentenza 28 ottobre 2010, n.
1235), sulla questione concernente la configurabilità o
meno di un concorso tra i reati di frode fiscale (artt. 2 e
8 del D.Lgs. n. 74/2000) e di truffa aggravata ai danni
dello Stato (art. 640, co. 2, n.1, c.p.).
In merito, un primo orientamento riconosceva un rapporto di specialità tra la truffa aggravata e i reati di
frode fiscale (artt. 2 e 8 D.Lgs. n. 74/2000) e concludeva nel senso che l’unica fattispecie che può formare
oggetto di contestazione è quella prevista dalla disciplina tributaria.
Un secondo orientamento giurisprudenziale, invece,
facendo leva sull’operatività del principio di consunzio-
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Saggi
all’art. 640, co. 2, n. 1 c.p. e agli artt. 2 e 8 del D.Lgs.
n. 74/2000.
L’unico margine riconosciuto al concorso formale di
reati è circoscritto all’ipotesi in cui accanto alla finalità tributaria si ponga, nella condotta dell’agente, una
finalità extratributaria preordinata al conseguimento di
contributi od altre sovvenzioni pubbliche: in questo
caso l’alterità dei fini giustifica una sovrapposizione di
imputazioni altrimenti inammissibile.
Sul punto, di recente, la Corte di Cassazione, III Sez.
Penale, con sentenza del 15 gennaio 2013 n. 10580, ha
ulteriormente specificato che «il discrimen tra concorso apparente di norme e concorso di reati non è da ravvisarsi nella tipologia di artifizi e raggiri posti in essere dagli indagati, bensì nel tipo di profitto che,
all’agente, la condotta criminosa apporta».
Profitto che, ai fini della configurabilità di un concorso
di reati, deve essere comprensivo dell’evasione fiscale
ma contemporaneamente ulteriore rispetto a quest’ultima (profitto extratributario).
in prima battuta e nella fase di liquidazione della dichiarazione, un’induzione in errore dell’Amministrazione
finanziaria e un danno immediato quanto meno nel senso
del ritardo nella percezione delle entrate tributarie […].
Il sistema sanzionatorio in materia fiscale ha una spiccata specialità che lo caratterizza come un sistema chiuso e
autosufficiente, all’interno del quale si esauriscono tutti i
profili degli interventi repressivi, dettando tutte le sanzioni penali necessarie a reprimere condotte lesive o potenzialmente lesive dell’interesse erariale alla corretta percezione delle entrate fiscali», dichiarando, infine, il
seguente principio di diritto: «i reati in materia fiscale di
cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articoli
2 e 8, sono speciali rispetto al delitto di truffa aggravata
a danno dello Stato di cui all’articolo 640 c.p., comma 2,
n. 1».
Le Sezioni Unite, quindi, hanno fatto ricorso al principio di specialità, a discapito di quello di consunzione,
quale direttrice per dirimere la questione relativa al
concorso apparente delle norme incriminatrici di cui
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1 ISTAT, Rapporto annuale 2012 – La situazione del Paese, pag. 151.
in I delitti contro il patrimonio, Torino, Utet
Giuridica, 2011, Parte Vol. X, p. 593.
2 Cfr. F. MANTOVANI, Diritto Penale,
Padova, CEDAM, 2011, p. 407.
7 ARIOLLI, La truffa per il conseguimento di
erogazioni pubbliche è aggravante dell’art. 640
c.p., in Cass. Pen., 2002, p. 3378; BARTOLI,
Truffa aggravata per conseguire erogazioni
pubbliche: una fattispecie davvero circostanziale?, in Dir. Pen. Proc., 2003, p. 302 e
ss., FABBRO, Truffa per il conseguimento di
erogazioni pubbliche: davvero una circostanza
aggravante?, in Cass. Penn., 2003, p. 2322;
Terracina, La truffa per il conseguimento di
erogazioni pubbliche ed il ruolo del bene
giuridico nelle fattispecie di reato, in Indice
Pen., 2003, p. 667 e ss.
3 Per ente pubblico deve intendersi, inoltre,
l’ente pubblico economico, anche se non
dotato dei poteri di imperio propri dell’attività della p.a., purché non si tratti di enti –
originariamente pubblici ma successivamente – privatizzati, come Enel, Eni,
Telecom, ecc.. Sono, invece, da considerarsi enti pubblici le Aziende speciali comunali costituite per la gestione di servizi pubblici economici ai sensi degli artt. 22 e 23
L. n. 142/1990.
4 Cass. Sez. VI 5 febbraio-25 febbraio 2009
n. 8392.
5 Cass. Sez. II 16 febbraio 1995 – 22 maggio
1995 n. 5845, Cass. Sez. VI 12 dicembre
1995 – 9 febbraio 1996 n. 4823, Cass. Sez. II
6 maggio 2008 – 28 maggio 2008 n. 21537.
6 Cfr. A. CADOPPI, S. CANESTRARI, A.
MANNA, M. PAPA, Trattato di diritto penale,
8 Corte di Cassazione, II Sez. Penale, sentenza del 9 novembre 1998, n. 11582:
«l’art. 640 bis c.p., al di là della non vincolante terminologia usata nella rubrica
configura un’ipotesi autonoma di reato
rispetto alla truffa contemplata dall’art. 640
c.p.»; Corte di Cassazione, II Sez. Penale,
sentenza del 27 ottobre 2000, n. 11077:
«l’art. 640 bis c.p. prevede una figura
autonoma di reato e non una circostanza
18
aggravante del delitto di truffa di cui all’art.
640 c.p.»; Corte di Cassazione, I Sez.
Penale, sentenza del 12 maggio 1999, n.
2286; Corte di Cassazione, I Sez. Penale,
sentenza del 8 giugno 1999, n. 4240.
9 Corte di Cassazione, II Sez. Penale, sentenza del 17 aprile 2000, n. 4731: «l’articolo 640 bis c.p. prevede una circostanza
aggravante del delitto di truffa di cui all’articolo 640 c.p. e non una figura autonoma di
reato, con la conseguenza che, ove sia
riconosciute sussistenti anche circostanze
attenuanti è consentito al Giudice effettuare
il giudizio di comparazione tra gli elementi
accessori di segno diverso».
10 Cfr. S. CANESTRANI, A. GAMBERINI, G.
INSOLERA, N. MAZZACUVA, F. SGUBBI, L.
STORTONI, F. TAGLIARINI, Diritto Penale –
Lineamenti di parte speciale, Bologna,
Monduzzi Editore, 2003, p. 546. “Le S.U.
della Cassazione con sentenza 10 luglio 2002
hanno attribuito rilevanza decisiva a criteri
formali probanti, tra i quali, appunto, la formulazione della fattispecie mediante rinvio”.
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