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handout ierano` agamennone
GIORGIO IERANO’
(Università di Trento)
Osservazioni sul tradurre l’Orestea
Associazione Quinto Secolo - Milano 5 marzo 2013
1) Alcune opinioni (illustri) sulla traduzione dei tragici greci
Salvatore Quasimodo, Recensione agli spettacoli di Siracusa (1950)
La scelta delle traduzioni è ancora limitata ad alcuni nomi (si eccettua Manara
Valgimigli) che rappresentano bene la cultura d’un’epoca: quella del ferro battuto, di
Francesca Bertini, dei furori dannunziani, dei rifacimenti dei classici sulla metrica
barbara carducciana. E ci riporta un linguaggio inventato dai filologi e costruito sulla
sintassi greca e latina con parole secche e scricchiolanti come papiri. Linguaggio dove
le inversioni sono una regola, una costante matematica. («La rutilante d’oro Babilonia |
inviò di commiste torme eserciti» [...]). Ci perdoni il Bignone se dobbiamo citarlo,
perché i suoi Persiani [...] hanno dato agli attori angosce e dubbi continui durante la
resa dei doppi ottonari e dei decasillabi. [...] Ed è doveroso dire che Gassman, nella
parte del Messaggero, ha dovuto togliere dal suo lungo racconto tutti i “cozzi”
bignoniani, ma sono rimasti gli “innumeri”, i “propugnacoli”, i “nerbi”, i
“tostamente”, gli “infortuni”, i “lidi salamini”. Eschilo, comunque, ha resistito allo
strazio funereo e sdrucciolo del traduttore.
T. S. Eliot, Euripide e il professor Murray (1921)
Il greco non è più l’affascinante Belvedere di Winckelmann, di Goethe e di
Schopenhauer del quale ultimo Walter Pater e Oscar Wilde ci hanno offerto una
riedizione piuttosto scadente. Oggi ci rendiamo meglio conto di quanto diverse - non
più olimpiche - fossero le condizioni della civiltà greca rispetto alla nostra. […]
Abbiamo bisogno di un occhio capace di vedere il passato al suo posto e con le sue
precise differenze dal presente, eppure vederlo così vivo da esserci presente come il
presente stesso.
P.P. Pasolini, Lettera del traduttore (1960):
La tendenza linguistica generale è stata a modificare continuamente i toni sublimi in
toni civili: una disperata correzione di ogni tentazione classicista. Da ciò un
avvicinamento alla prosa, all'allocuzione bassa, ragionante. Il greco di Eschilo non mi
pare una lingua né eletta né espressiva: è estremamente strumentale. Talvolta fino a
una magrezza elementare e rigida: a una sintassi priva degli aloni e degli echi che il
classicismo romantico ci ha abituati a percepire, quale continua allusività del testo
classico a una classicità paradigmatica, storicamente astratta.
2) “Argo on my mind”: Il prologo dell’Agamennone secondo Ezra Pound
Ezra Pound: “I tried every possible dodge, making the watchman a negro, and giving
him a fihn Gèoogiah voice..” (1923)
Traduzione (inedita).
CONCIERGE. Dey keep me up hyear lak a dawg
Teh bark at the consterlations
I’m a watchman, I am
That is to say: I was,
Dey don’t take much watching from the outside
But die ole lady has had some vacation..
Do I get paid for this job?
3) Il prologo dell’Agamennone: soliloquio o preghiera?
Θεοὺς µὲν αἰτῶ τῶνδ' ἀπαλλαγὴν πόνων,
!
1!
φρουρᾶς ἐτείας µῆκος, ἣν κοιµώµενος
στέγαις ᾿Ατρειδῶν ἄγκαθεν, κυνὸς δίκην,
ἄστρων κάτοιδα νυκτέρων ὁµήγυριν,
François-Jean-Gabriel de La Porte du Theil (1795)
Dieux : ne mettrez-vous point fin à mes travaux !
Alexis Pierron (1841)
Dieux, Je vous en prie, délivrez-moi des ces fatigues
Paul Claudel (1961)
Je prie les dieux qu’il mettient fin à ces fatigues
Ettore Romagnoli (1921):
Numi, il riscatto concedete a me
dei miei travagli, della guardia lunga
un anno già, ch'io vigilo sui tetti
degli Atridi, prostrato su le gomita
a mo' d'un cane. E de le stelle veggo
il notturno concilio
Pier Paolo Pasolini (1960)
Dio, fa' che finisca presto questa pena!
Da anni ed anni sto qui, senza pace,
come un cane, in questo lettuccio
della casa degli Atridi, ad aspettare.
Conosco ormai tutti i segni delle stelle,
Raffaele Cantarella (1977)
Agli dei prego la liberazione da questa pena, custodia di lunghi anni: sul tetto degli
Atridi, accucciato sui gomiti come un cane, ho appreso il concilio degli astri notturni
Emanuele Severino (1985)
Gli dei, io prego di liberarmi da queste pene! Che io possa finalmente smontare dal
mio posto di guardia dopo anni e anni! Come un cane me ne sto tra le braccia del tetto
degli Atridi che mi fa da giaciglio, e intanto ho imparato a conoscere il concilio
notturno degli astri.
Enrico Medda (1995)
Agli dei chiedo di liberarmi da questa fatica, da questa guardia che dura ormai da un
anno, durante la quale, stando sulla casa degli Atridi, sdraiato sulle braccia alla
maniera di un cane, ho imparato a conoscere il concilio degli astri notturni
4) Il prologo dell’Agamennone: “dormire una veglia” (e la traduzione “a calco”)
Robert Browning (1877)
The gods I ask deliverance from these labours,
Watch of a year's length whereby, slumbering through it
On the Atreidai's roofs on elbow, — dog-like —
I know of nightly star-groups the assemblage,
Hugh Lloyd-Jones (1970)
!
2!
The gods I beg for deliverance from these toils,
From my watch a year long, through which, sleeping
upon the house of the Atreidae, like a dog,
I learned to know the assembly of the stars of night
Ezio Savino (1998)
Dèi, vi chiedo: sollievo da questo mio soffrire! Un anno intero, lungo, di guardia. Notti
bianche, qui sul castello dei figli di Atreo, rannicchiato, da cane. Ormai, distinguo
l'adunarsi di stelle nel buio.
Edoardo Sanguineti (2010):
Lo chiamo a calco perché le parole hanno la stessa posizione nel testo italiano e nel
testo greco. Come un lavoro a stampo. Quando traduco, cosa significhi il testo non mi
interessa. Vi confesso che quando traduco non leggo mai il testo da cima a fondo.
Se al verso 300 del testo c’è un modo di rendere una parola di Euripide e questa ritorna
al verso 1200, ci deve essere la stessa parola, per quello che è umanamente possibile,
nella traduzione italiana.
Tradurre significa importare nella propria lingua una lingua straniera, e non adattare
alla nostra lingua il greco. Bisogna grecizzare l’italiano, non italianizzare il greco.
5) Il prologo dell’Agamennone: il bove sulla lingua
τὰ δ' ἄλλα σιγῶ· βοῦς ἐπὶ γλώσσῃ µέγας / βέβηκεν·
Romagnoli: un grosso bove calca la mia lingua
Pasolini: Ma sarò muto, su tutto il resto, come una tomba...
Medda: un gran bove mi è salito sulla lingua
6) Il prologo delle Coefore: “Giungo”, “Arrivo”, “Eccomi”. Ovvero: come tradurre heko?
Eschilo, Coefore, 1-3
῾Ερµῆ χθόνιε, πατρῷ' ἐποπτεύων κράτη,
σωτὴρ γενοῦ µοι ξύµµαχός τ' αἰτουµένῳ·
ἥκω γὰρ ἐς γῆν τήνδε καὶ κατέρχοµαι.
Ettore Romagnoli (1921)
O tu che vegli, Ermète sotterraneo,
del padre mio la sorte, a me che imploro
dà tu salvezza, al fianco mio combatti:
ché a questo suolo io giungo: io sono qui.
Salvatore Quasimodo (1949):
O tu che vegli sulla potenza di mio padre,
o Ermes sotterraneo, aiutami, salvami: t’invoco
Giungo ora a questa terra, vi ritorno..
Pier Paolo Pasolini (1960)
Dio dell' Inferno, guarda mio padre ucciso:
sii il mio custode, la mia salvezza,
nell'ora in cui ritorno alla mia terra,
Enrico Medda (1995)
Hermes Ctonio, che sorvegli il regno paterno, sii per me salvatore e combatti al mio
fianco, poiché te lo chiedo. Sono giunto infatti a questa terra e ritorno.
!
3!
Cfr. Eschilo, Prometeo, v. 1: Χθονὸς µὲν ἐς τηλουρὸν ἥκοµεν πέδον Agli estremi confini eccoci giunti /
già della terra (Romagnoli); Ecco l’estrema plaga della terra (Mandruzzato); Ai lontani confini della
terra siamo giunti (L. Medda); Siamo all’ultimo margine del mondo (Condello)
Cfr. Euripide, Baccanti, vv. 1-2: ῞Ηκω Διὸς παῖς τήνδε Θηβαίων χθόνα/Διόνυσος Sono venuto qui, io
figlio di Zeus, in questa terra dei Tebani (Sanguineti 1968); Sono giunto qui a Tebe io, Dioniso, il figlio
di Zeus (Guidorizzi 1989); Eccomi a Tebe: sono il figlio di Zeus, Dioniso. (Ieranò 1989); Sono giunto
nella terra dei Tebani (Ciani 2002); Sono qui, sono giunto nella terra dei Tebani, il figlio di Zeus:
Dioniso (Di Benedetto 2004); Sono arrivato a Tebe! Io sono Dioniso, il figlio di Zeus (Susanetti 2010);
Io sono Dioniso, il figlio di Zeus. E oggi appaio qui a Tebe (Ieranò 2012)
Cfr. Ennio Flaiano (1967): Da quando alla televisione sente parlare i cronisti delle autorità anche lui
non arriva più: giunge.
7) L’”inno a Zeus”
Eschilo, Agamennone, vv. 160-166
Ζεύς, ὅστις ποτ' ἐστίν, εἰ τόδ' αὐτῷ φίλον κεκληµένῳ,
τοῦτό νιν προσεννέπω.
οὐκ ἔχω προσεικάσαι
πάντ' ἐπισταθµώµενος
πλὴν Διός, εἰ τὸ µάταν ἀπὸ φροντίδος ἄχθος
χρὴ βαλεῖν ἐτητύµως.
ETTORE ROMAGNOLI (1921):
Giove! Sia qual Nume sia:
a tal nome, ov'ei ne giubili,
volerà la prece mia.
Invocar, per quanto ponderi,
io non so che Giove solo,
se veramente conviene gittare dall'anima
questo vano e greve duolo.
PIER PAOLO PASOLINI (1960)
Dio, se questo è il tuo nome,
se con questo nome vuoi che ti invochi
ho soppesato ogni cosa:
io non conosco che te,
a sciogliermi veramente
dall’incubo che mi pesa sul cuore
EMANUELE SEVERINO (1985)
Zeus, chiunque egli sia, a lui mi rivolgo con questo nome, se gli è caro esser chiamato
così. Se il dolore, che getta nella follia, deve essere cacciato dall’animo con verità,
allora, soppesando tutte le cose con un sapere che sta e non si lascia smentire, non
posso pensare che a Zeus.
ENRICO MEDDA (1995):
Zeus, chiunque egli sia, se è questo il nome
con cui gli è caro essere invocato,
così a lui mi rivolgo: nulla trovo cui compararlo,
pur tutto attentamente vagliando,
tranne Zeus, se veramente si deve gettar via
il vano peso dal proprio pensiero
!
4!
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