Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce (Is 60,1)
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Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce (Is 60,1)
Centro Oasi Cana per la Famiglia e la Vita – Associazione Oasi Cana onlus Tema del Secondo incontro dei percorsi di Misericordia. Secondo ciclo Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce (Is 60,1) Confessione e guarigione della memoria Salvatore Franco omi Isaia scrivendo alla città di Dio (che oggi siamo noi, qui riuniti come Chiesa di Cristo) esprime un forte invito da parte di Dio: “Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce” (Is 60,1). Questa Parola ci dice che la luce che viene suscita nell’uomo la possibilità di trovare dentro di sé una luce e di farla scaturire. La venuta della luce divina richiede che l’uomo si risvegli interiormente, si rialzi da dove si è seduto o steso, prenda come veste la luce che Dio gli aveva dato e riprenda il suo cammino. La veste rappresenta l’identità della persona, il suo ruolo, la sua funzione e quindi possiamo pensare che l’invito sia anche quello di ritrovare se stessi nella verità luminosa di Dio, nell’incontro con Lui che viene. C’è dunque una parte che l’uomo può fare e che la venuta di Cristo come luce suscita e completa. C’è quindi una zona dell’uomo, una sua dimensione, uno spazio scavato in lui, che è fonte di luce: il suo vero io. L’uomo ha in sé la possibilità di rispondere al dono della venuta divina attingendo al tesoro nascosto in lui che è l’immagine di Dio e lo spirito che Egli ha dato a ciascuno di noi. L’uomo quindi non è mai stato completamente separato da Dio anche se si è allontanato da Lui e ha preferito le tenebre e può ritrovare la luce persa e se stesso scegliendo di accogliere Cristo. Luce oscura Ci facciamo alcune domande: 1) Che tipo di luce è quella di cui si sta parlando? 2) Come raggiungere questa dimensione dell’uomo così profonda da cui può irradiarsi questa luce? 3) Come scegliere la luce piuttosto che le tenebre? Cominciamo con la prima delle nostre domande. É il Vangelo di Giovanni, nel prologo, a risponderci: “La luce splende nelle tenebre” (Gv 1,5). Quella di Cristo è una luce che non splende nel cielo azzurro di una bella giornata di sole, ma è la luce dell’aurora che splende “nelle” tenebre: il padre di Giovanni il Battista vede infatti Cristo, dopo un tempo di cecità, come un sole che sorge dall’alto (cf Lc 1,78). È il popolo che è bloccato nelle tenebre che vede questa grande luce: “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse” (Is 9,1). La luce di Cristo è una luce che si è introdotta nell’ombra e quindi è solo entrando nell’ombra che si può “vedere” alla sua luce. Occorre cioè entrare in quella zona dell’esistenza umana da cui la luce di Cristo si irradia. Quando Gesù muore sulla croce scendono le tenebre sul mondo, il sole si eclissa e in quel buio risuona il grido del figlio di Dio: “Dio mio, Dio mio, Perché mi hai abbandonato?” (Lc 23,44-46). In quel buio c’è la luce che è Cristo, ma essa è divenuta totalmente oscura anche ad egli stesso. Se vogliamo conoscere questa luce oscura occorre entrare nel mistero pasquale di morte e resurrezione di Cristo dal lato della sua morte. Per questo nei primi secoli del Cristianesimo i chiamati al Battesimo erano detti “illuminati”. Si tratta cioè di entrare in ogni morte interiore: sia causata da noi stessi, sia inflitta sui di noi; ogni fallimento, ogni delusione, ogni assurdità. La luce di Cristo viene dal buio e risplende nelle tenebre e non fuori di esse. Il luogo delle congiunture Ora possiamo rispondere all’altra domanda: come trovare in noi il luogo in cui Cristo deve risplendere per darci vita con il suo amore misericordioso? Come trovare il nostro vero io? Una via che possiamo percorrere è quella della 1 memoria. Scendendo nelle tenebre dei nostri ricordi, nel fondo della nostra memoria, possiamo cercare quella luce che splende nel buio che è la memoria di Dio nella nostra vita mettendo insieme queste due memorie, ritrovare l’unico senso della nostra vita che è sintetizzato nel nostro vero io. È come due persone che si vogliono bene e ciascuna espone all’altra la propria memoria del loro primo incontro: una arricchirà di particolari l’altra, una darà un significato particolare a gesti, luoghi, parole. Solo la descrizione di entrambe potrà dare significato a quanto avvenuto nella luce dell’incontro che sta avvenendo in quel momento. La memoria di un evento o di una serie di eventi porta inoltre con sé dei sentimenti. Non si tratta solo di fatti che hanno un significato ma che sono anche portatori di emozioni e sentimenti che si rinnovano con il ricordo. Tra questi vi possono essere la nostalgia, il dolore, la gioia, ma anche il senso di colpa. Possiamo per es. rimproverarci di non aver agito in un dato modo o di averlo fatto in modo sbagliato, così come possiamo rimproverare qualcun altro di aver detto o fatto una determinata cosa. Se abbandoniamo il giudizio e lo rimandiamo, allora potremo accostarci a quanto è avvenuto con uno spirito nuovo, non da soli, ma davanti al volto e al cuore di Dio. È questo il metodo di Maria: la meditazione di Maria è del sapiente che si concentra su ciò che gli è oscuro, misterioso, incomprensibile. Maria in questo suo meditare ci guida a quello spazio interiore dove può risplendere la luce di Cristo. La spada che ha trafitto la sua vita e la sua psiche è infatti quella a cui si riferisce la Lettera agli Ebrei (cf Eb 4,4): la Parola di Dio che era il suo Figlio Gesù nella sua persona e nella sua vita e il cui effetto in lei e negli altri (compreso il rifiuto, la contraddizione, cioè l’anti-parola) penetrò in lei fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture (armonie) e delle midolla come uno sguardo luminoso e divino che giudica e discerne i sentimenti e i pensieri del suo cuore. È il suo cuore trapassato da questa spada che ci apre al mistero del cuore profondo dell’essere umano che una volta penetrato e aperto dalla Parola diviene il luogo da cui promana la luce e quindi la vita della persona. Nello Spirito Santo Il giudizio ultimo sull’io interiore lo fa dunque la Parola, Cristo stesso, che penetrando così a fondo va oltre il senso di colpa o l’autogiustificazione per giungere in quello spazio profondo dove tende a radicarsi il peccato origine di ogni male. In questo modo la luce verrà ma non da noi o da altri ma da colui che è venuto come luce e che ci ha promesso Ciò significa che quello che pensiamo sia la verità su di noi deve andare conosciuta e compresa nella luce dello Spirito Santo. La verità a cui conduce lo Spirito santo, il Paraclito, è una verità totale, non frammezzata e il cui fine è la consolazione dell’uomo che invocando il Signore e implorando che Egli venga trova in Lui risposta: “Ecco io vengo” rompendo così la sua solitudine. La verità che viene da Dio non è per il giudizio dell’uomo ma per la sua consolazione e quindi salvezza. Per compiere questo tragitto occorre quindi scegliere con fiducia la vita e la verità perché la rettitudine e la trasparenza di vita facilitano e rendono possibile l’accoglienza di questa luce oscura. Questa infatti non la riceviamo passivamente, ma “facendo” la verità: chi non fa la verità resta opaco alla luce. Per questo la chiusura a Dio e all’altro è anche chiusura alla luce (cf 1 Gv 2,9-11: “chi ama il suo fratello dimora nella luce”). La luce è intrinseca all’amore. Non a caso il maligno è il menzognero, l’accusatore, il falsario. Egli infatti travisa la realtà con le sue falsità o, peggio ancora, con le sue verità non complete. La prima non-verità egli la dice all’uomo quando lo presenta a se stesso molto di meno di ciò che egli è e accusandolo. Il modo con cui l’uomo può dare spazio in sé alla luce è la sua sincera ricerca della verità. Non c’è amore senza verità, come dice il salmo: “Amore e verità s'incontreranno, giustizia e pace si baceranno. Verità germoglierà dalla terra e giustizia si affaccerà dal cielo. Certo, il Signore donerà il suo bene e la nostra terra darà il suo frutto; giustizia camminerà davanti a lui: i suoi passi tracceranno il cammino” (Sal 85,11-14). 2 Scriveva Thomas Merton che la verità, nelle cose, è la loro realtà; nelle nostre menti è la conformità della nostra conoscenza con le cose conosciute (Nessun uomo è un’isola, pp. 199-200). Nelle nostre parole è la loro conformità con quello che pensiamo, nella nostra condotta è la conformità dei nostri atti con quello che dovremmo essere. A sua volta la sincerità è una semplicità di spirito preservata dalla volontà di essere leali, implica la volontà di sottomettersi alla verità. Per questo essa è un dono divino, una chiarezza di spirito che viene dalla grazia. Senza la grazia la sincerità può essere spinta fino a farla diventare un’ingiustizia quando la verità che si pensa rende spregevole l’altro dimenticando l’altra verità che dovrebbe farlo restare sempre degno di stima ai nostri occhi. C’è in noi come una istintiva tendenza a deformare al realtà o a favore del nostro desiderio egocentrico o a favore di una visione negativa di se stessi che porta a condannarci. Al fondo di questa tendenza che ci porta ad allontanarci dalla sincerità c’è la paura di non essere apprezzati, amati e in fondo, “adorati” dagli altri: ”Ognuno diventa l’immagine del Dio che adora” (p. 248). “Quando consideriamo che la maggior parte degli uomini desiderano di essere amati come se fossero dei, non può sorprendere che debbano disperare di ricevere l’amore che pensano di meritare” (p. 211) ; “Se dobbiamo amare sinceramente e con semplicità dobbiamo innanzi tutto superare il timore di non essere amati (…). Dobbiamo in un modo o nell’altro strapparci la più grande illusione che abbiamo su noi stessi, riconoscere francamente in quante cose non siamo da amare, discendere nelle profondità del nostro essere, fino a giungere alla realtà fondamentale che è in noi e imparare a vedere che siamo da amare, dopo tutto e malgrado tutto” (p.212). Conoscere la verità su noi stessi significherà quindi cogliere, o meglio, lasciare che si illumini in noi per mezzo dello Spirito Santo, il senso, lo scopo, il “per” che dà senso all’essere e permette di accettare se stessi perché amati da Dio per ciò che si è. Conoscersi e farsi conoscere, incontrarsi con il limite, la fragilità e il peccato che alberga in noi, così come prendere contatto con la dignità e la bellezza che pure è in noi, non è che un passo necessario all’interno di un movimento più ampio di rigenerazione che ci conduce all’accettare noi stessi con semplicità e sincerità. Così scriveva Giovanni Paolo II per invitarci a non avere paura della verità su noi stessi: «Di che cosa non dobbiamo aver paura? Non dobbiamo temere la verità su noi stessi. Pietro ne prese coscienza, un giorno, con particolare vivezza 1 e disse a Gesù: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore” (Lc 5,8)» . L’atteggiamento di confessione Gesù è stato un uomo libero e sincero ed Egli ci apre al suo modo di agire. In lui, dice la lettera di Pietro, non fu trovato alcun inganno, alcuna esca che possa metterci in trappola (1 Pt 2,23). Per la mistica contemporanea Adrienne von Speyr l’atteggiamento di fondo che Gesù ebbe tutta la sua vita è possibile sintetizzarlo in una sola parola: confessione. La confessione è innanzitutto un modo costante di essere veri, sinceri, senza paura di perdere nulla, senza bisogno di autogiustificarsi. In Dio ognuno è se stesso e si mostra per quello che è. La confessione è l’atteggiamento divino per eccellenza. Donandoci il sacramento della confessione Gesù ci rende partecipi di un atteggiamento di fondo che caratterizza la sua relazione con il Padre, il suo atteggiamento di fronte al Padre. Nella confessione è contenuto il frutto di tutta la vita di Cristo perché tutto in Lui si è realizzato avendo come orizzonte quello di restituire l’uomo a se stesso e renderlo partecipe della comunione con il Padre. Di qui consegue che questo atteggiamento di confessione conduce Gesù a porsi in un’obbedienza assoluta alla verità della volontà del Padre e a rifiutare il peccato, a riconoscere quello che è il peccato ma anche ad addossarsi questo peccato per portarlo al Padre. Gesù scopre e riconosce come nessun altro la profondità e tutto il male del peccato e sente come esso colpisce le profondità della persona umana deformando, distruggendo o minando l’unica realtà da cui dipende poi il carattere, la 1 3 Giovanni Paolo II. Varcare la soglia della speranza. Milano 1994, Mondadori, p. 5 personalità e il proprio orientamento fondamentale verso Dio. Ogni peccato è visto come un peccato contro la verità sull’uomo, su dio e sulla vita e per questo è anche un peccato contro l’obbedienza alla verità e contro l’amore. Durante tutta la sua vita Gesù raccoglie su di sé i peccati che incontra. Soffre, piange per essi. Prova dolore per ciascuno di essi. Gli dispiace che siano stati commessi e che abbiano colpito e ferito il cuore del suo padre buono. Soffre per la lontananza degli uomini dal Padre e per il male che essi fanno agli altri e a se stessi. In tutto ciò Gesù si pone in mezzo tra Dio e l’uomo. Egli riconosce il peccato e per questo sceglie di caricarselo su di sé come se fosse suo. Giovani Battista vede bene in lui l’agnello che toglie i peccati del mondo: nel senso che li prende su di sé (esempio della spugna che assorbe l’acqua sporca) e li porta al Padre. Più Gesù si avvicina agli uomini nel suo atteggiamento di confessione, più si avvicina agli uomini come peccatori per consegnare al Padre il peccato. Gesù fa la sua confessione in modo pieno sulla croce portando su di sé al Padre tutti i peccati del mondo e di tutta la storia umana. Sulla croce Gesù confessa i peccati del mondo fino al punto da diventare lui stesso come un peccatore (cf Gal 3,13), anzi, dice san Paolo, si deve fare tutto peccato: “Colui che non ha conosciuto peccato, (il Padre) lo ha fatto peccato per noi , affinché noi diventiamo giustizia di Dio in lui” (2Cor 5,21). Gesù ha lasciato che egli diventasse il gettato via come la pietra scartata dai costruttori, l’escluso, il lontano da Dio e dagli uomini, il potato, soffrendo nel suo spirito tutto il peso di queste condizioni. Prima di giungere alla croce Gesù ha visto il peccato e lo ha riconosciuto come uomo profondamente unito a Dio Padre. Sulla croce Gesù lo vede tutto intero, così com’è e come lo vede unicamente Dio con tutto il suo peso, con tutta la sua gravità. Sulla croce Gesù non è un intermediario ma egli è tutto l’uomo con tutto il suo peccato e , al medesimo tempo, è Dio con tutto la sua misericordia. In questo modo il Padre non vede più la colpa degli uomini come isolata ma connessa con l’opera di misericordia e di grazia del Figlio che egli ha voluto per noi. Non esiste più peccato che non sia stato connesso con la grazia e portato al Padre da Cristo. Dio non può più vedere l’uomo peccatore senza riconoscere in lui il volto straziato del suo Figlio sulla croce. Per questo nel percorso di misericordia che facciamo, è importante connettere i nostri eventi con quelli della nostra storia, di sentirci parte di un’unica umanità e di connetterli con la vita e l’opera di redenzione di Cristo. La memoria del peccato nella confessione Le memorie hanno bisogno di essere portate alla luce nell’oggi della presenza attuale di Cristo nello Spirito Santo per diventare parte della vita di Cristo che porta su di sé il peccato del mondo. Portare a Lui questo peso è il modo più profondo e radicale per rendere libere le memorie di far parte della storia redentiva di Cristo in noi. Il peccato del mondo e il mio peccato sono connessi e lo Spirito santo guida con la sua luce a riconoscere la nostra personale responsabilità all’interno della connessione che la nostra persona e la nostra storia ha con quella degli altri e con quella di Cristo. Il peccato è ciò di cui l’uomo è responsabile interamente. Nulla nel peccato è di Dio, per cui esso è anche l’unica cosa che più di ogni altra ci appartiene e di cui siamo “proprietari” e che quindi possiamo disporre e portare a Dio con Cristo sulla croce per ricevere il perdono. Nel momento che lo Spirito ci guida a riconoscere il peccato, a vederlo così come esso è, dinanzi al crocifisso, e a come esso ci allontana da noi stessi, come ammala la nostra psiche, come concatena negativamente gli eventi, come ci falsifica e ci disperde, allora è più semplice portarlo a Cristo. 4