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RELATIVITA` : esposizione (8 pagine / )

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RELATIVITA` : esposizione (8 pagine / )
LA RELATIVITÀ
LA RELATIVITÀ NELLA FISICA CLASSICA
La relatività nasce da osservazioni fatte molto tempo prima di Einstein. Il primo ad intuire il principio di
relatività fu infatti Galileo Galilei agli inizi del Seicento. “Se Copernico ha ragione, e se la Terra ruota a grande velocità, come mai non ce ne accorgiamo?” Una obiezione non da poco, che fu appunto risolta da Galilei con il
principio di relatività: “Non ci accorgiamo del moto della Terra perché ci muoviamo insieme con lei assieme agli oggetti che ci circondano; non esiste una velocità assoluta”.
Galilei affermò che le leggi che descrivono il moto dei corpi restano sempre le stesse, sia che il sistema
di riferimento sia in quiete, sia che si muova di moto uniforme, cioè a velocità costante. Se ne deduce che non
è possibile, facendo un esperimento, stabilire se ci si trova in un sistema fisso o mobile: ha senso parlare di
moto relativo tra i due sistemi. Questo serviva a Galilei per dimostrare che se la Terra si muove ciò non influenza l’esito degli esperimenti. Gli avversari di Galileo ribatterono: “Se la Terra si muovesse, facendo cadere
una pietra da una torre la pietra non cadrebbe lungo la verticale perché nel frattempo la Terra sotto la pietra dovrebbe
essersi spostata”. Galileo però dimostrò che il moto di un corpo all’interno di un sistema che si muove è uguale a quello di un corpo in un sistema in quiete. Osservando una palla lasciata cadere verticalmente all’interno
di una barca non si può sapere se la barca si muove oppure no. Se invece da una barca si osserva una palla
che viene fatta cadere da una persona che si trova sulla riva di un fiume, la si vedrà percorrere una parabola.
La stessa cosa succede quando una persona sulla riva di un fiume osserva una palla lasciata cadere in una
barca che si muove. In entrambi i casi non si può stabilire quale dei due sistemi sia fisso e quale in movimento, ma solo che sono in moto relativo tra loro: nessuno degli osservatori è in una posizione privilegiata rispetto all’altro.
Einstein ha preso questa idea e l’ha estesa a tutti i fenomeni della natura, anche a chi si muove a velocità altissima, vicina a quella della luce. Dire che qualcosa si muove è sempre una affermazione relativa. La
velocità di un oggetto non è una sua proprietà assoluta, dipende dal punto di vista di chi osserva i movimenti e dai riferimenti usati per misurare la velocità.
Ma se la relatività era già in germe nel Seicento, perché si dovettero aspettare tanti anni prima di formalizzarla completamente? La vera difficoltà era concettuale e psicologica: si trattava di abbandonare un’idea
profondamente radicata nella mente dei fisici da Newton in poi, quella cioè che il tempo fosse una grandezza assoluta, che scorre egualmente in ogni punto dell’universo.
Newton, lo scienziato che scrisse le pagine più importanti della fisica classica, pensava che la relatività di
Galileo fosse un dato di fatto, ma che lo spazio e il tempo fossero entità immutabili ed indipendenti dall’osservatore, non relative. Per Newton spazio e tempo sono come una cornice universale dei fenomeni naturali.
Dunque, anche se nella vita quotidiana sembrava che Galileo avesse ragione, doveva esistere una velocità assoluta: la velocità vera dell’oggetto, quella che si sarebbe ottenuta misurando il tempo assoluto e lo spazio
assoluto. Nello spazio e nel tempo i moti dei corpi sono relativi fino a quando non vengono riferiti a quel
particolare riferimento in quiete assoluta.
Einstein ebbe il coraggio intellettuale di mettere in discussione tali dogmi pubblicando nel 1905 la teoria
della relatività ristretta; così come scardinò l’idea, sostenuta da Newton, che la gravità fosse il risultato di
una azione a distanza, elaborando nel 1916 la teoria della relatività generale.
Il problema della relatività e della velocità assoluta si ripropose nel 1864 quando Maxwell pubblicò la
teoria del campo elettromagnetico che dimostrava come la luce fosse un’onda elettromagnetica e assegnava
alla velocità della luce il ruolo di costante universale. Nel 1887, inoltre, Michelson e Morley dimostrarono
che la velocità della luce è sempre costante e uguale a c = 300.000 Km al secondo, anche se il raggio parte da
un sistema in movimento rispetto ad un altro. Al contrario la velocità con cui noi vediamo muoversi un oggetto dipende dalla velocità con cui noi ci muoviamo.
Einstein si chiedeva che cosa sarebbe successo se avesse potuto viaggiare su un fascio di luce: avrebbe
visto la luce ferma? Secondo Galileo e Newton doveva essere così, ma secondo la teoria di Maxwell tutte le
onde elettromagnetiche dovevano viaggiare alla stessa velocità. C’erano inoltre altri aspetti della fisica di
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fine Ottocento che lasciavano Einstein perplesso, primo tra tutti l’ipotetico etere, inventato dagli scienziati
come mezzo di sostegno alla propagazione delle onde elettromagnetiche, in analogia alle onde sonore, e
come mezzo di trasmissione dell’attrazione gravitazionale.
LA RELATIVITÀ DI EINSTEIN RISOLVE PROBLEMI AI QUALI LA FISICA
CLASSICA NON HA SAPUTO TROVARE SOLUZIONE
I PRINCIPI DI RELATIVITÀ DI EINSTEIN
Einstein preferì un approccio nuovo, radicale, e decise di affidarsi a due postulati, cioè a due ipotesi di
lavoro che gli sembravano ragionevoli e che prendeva per buone anche se non era in grado di dimostrarle.
I postulati dicono:
1. la velocità della luce nel vuoto è sempre la stessa indipendentemente dal moto della sorgente o dell’osservatore (la luce non è come gli altri oggetti la cui velocità dipende da chi li osserva);
2. le leggi della natura che regolano tutti i fenomeni fisici (meccanici, elettrici, magnetici) sono le stesse
per qualsiasi osservatore, indipendentemente dal suo stato di moto (sia esso fermo o si muova a velocità
costante).
Egli abbandonava la vecchia idea di Newton dell’esistenza di un punto di vista privilegiato: quello di chi
è fermo rispetto allo spazio assoluto, convinto che la Natura tratta tutti gli osservatori allo stesso modo. La
teoria di Einstein, oltre a rivoluzionare il concetto di spazio, scardina anche le più radicate idee sulla natura
del tempo e tutto questo in conseguenza all’ipotesi che la velocità della luce sia costante. Estendendo il principio di relatività di Galileo anche ad osservatori che si muovono a velocità prossime a quelle della luce si
scoprono effetti apparentemente incredibili eppure veri.
NON ESISTONO SISTEMI DI RIFERIMENTO PRIVILEGIATI
LA SIMULTANEITÀ
Dire che la velocità della luce è costante ha conseguenze straordinarie. Anzitutto fa crollare un’idea che
tutti diamo per scontata: l’idea della simultaneità di due eventi. Siamo abituati a considerare simultanei, cioè
contemporanei, due eventi che avvengono nello stesso istante di tempo. In realtà se una persona percepisce
due eventi come simultanei, un’altra che si trova a distanza può percepirli come accaduti in tempi diversi.
Se ci trovassimo all’interno di una nuvola quando scocca un fulmine, percepiremmo il lampo e il tuono nello
stesso momento, mentre trovandoci a terra, percepiremmo il lampo prima del tuono poiché la luce viaggia a
velocità maggiore del suono.
Supponiamo che un osservatore posto in un determinato sistema inerziale giudichi simultanei due eventi A e B tra loro distanti e vediamo cosa vede un osservatore in moto rispetto al primo con velocità costante
v. Sia O l’osservatore posto su un sistema K solidale col suolo, mentre l’osservatore O’ sia situato in un riferimento K’ rappresentato da un vagone ferroviario in moto con velocità v rispetto a K. Supponiamo inoltre
che O’ si trovi esattamente nel punto medio del vagone. Nell’istante in cui O e O’ sono allineati O vede due
fulmini colpire simultaneamente le estremità opposte del vagone (i due eventi sono simultanei poiché O = O’
che è nel punto medio del vagone). L’osservatore O’, invece, si muove incontro al segnale proveniente da B
mentre si allontana dal segnale emesso da A. Quindi per O’ l’evento B precede l’evento A. La percezione di
cosa sia la simultaneità è diversa per i due osservatori.
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Ecco la prima stranezza della teoria della relatività: per sapere se due eventi sono simultanei bisogna
specificare per chi devono esserlo. Se due avvenimenti sono simultanei per un osservatore fermo non lo
saranno per uno in movimento e viceversa.
IL CONCETTO DI SIMULTANEITÀ È RELATIVO
Per Einstein il tempo può essere definito da una contemporaneità di due fatti in uno stesso posto. Per
mettere invece in relazione due fatti che avvengono in posti diversi, bisogna sincronizzare due orologi collocati in questi luoghi. Il problema è semplice quando i due osservatori sono a breve distanza, e uno vede l’orologio dell’altro. Diventa più complicato quando sono a grande distanza. Ci si può servire, per esempio, di
schermi televisivi: mentre l’osservatore 1 regola il suo orologio sulle 12:00, l’osservatore 2 vede sul suo video
l’orologio dell’osservatore 1 segnare le 12:00. Poiché la luce viaggia ad una velocità altissima, ma comunque
limitata, per regolare il suo orologio occorre tenere conto della distanza percorsa dall’informazione (onda
elettromagnetica) a velocità c e quindi calcolare il ritardo.
Proprio perchè la luce viaggia a velocità costante, due fatti che appaiono contemporanei ad uno osservatore non appaiono contemporanei ad un secondo in moto rispetto al primo. Se la luce viaggiasse a velocità infinita si potrebbero sincronizzare senza problemi orologi posti ovunque nell’universo e quindi dare
valore oggettivo all’affermazione che due eventi sono simultanei.
Sembra tanto strana l’idea che sia impossibile dire se due avvenimenti sono simultanei perché noi, come
tutti fino ad Einstein, siamo abituati a pensare al tempo come qualcosa di assoluto, che scorre per conto suo
nell’universo, indipendentemente da quello che facciamo e da come ci muoviamo. Secondo Einstein non è
così: il concetto di tempo assoluto non esiste ed anche il concetto di simultaneità è relativo: dipende da chi
osserva gli eventi.
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DILATAZIONE DEI TEMPI
Ecco un’altra stranezza evidenziata dalla teoria di Einstein, grazie alla quale però funzionano le telecomunicazioni via satellite. Per capirla consideriamo questo esperimento. Ci sono due cronometri a terra e un
terzo li sorvola appeso ad un aeroplano. Se due cronometri sono fermi è possibile sincronizzarli, ma se uno si
muove che cosa succede?
Supponiamo che si muova l’orologio dell’aeroplano e che venga confrontato con gli orologi fermi a terra.
Si vedrà che il cronometro dell’aeroplano, per chi lo guarda da terra, è rimasto indietro. Secondo Einstein infatti esso ritarda rispetto ai cronometri fermi a terra. Per vedere che cosa succede dal punto di vista dell’aeroplano si devono usare due cronometri sincronizzati sull’aeroplano e confrontarli con un cronometro a terra.
Quando si è in volo è il terreno a spostarsi, dal punto di vista di chi è in movimento. Guardando dall’aeroplano è il cronometro a terra che è rimasto indietro.
E’ strano ma la teoria di Einstein dice proprio che qualsiasi cronometro in volo ritarda rispetto a cronometri che non si muovono. Un orologio che non si sposta batte il tempo più velocemente di qualsiasi orologio che si muove rispetto ad esso.
OROLOGI IN MOTO RITARDANO
E’ bene chiarire che la dilatazione dei tempi non è un effetto apparente o un miraggio dovuto alla peculiarità dei sistemi di misura del tempo, bensì un effetto reale ed osservabile. In un sistema di riferimento che si muove rispetto a noi, il tempo scorre realmente a rilento; per chi sta in quel sistema, naturalmente,
tutto sembra procedere a ritmo normale, poiché anche gli “orologi interni” dei sistemi biologici battono in ritardo. La dilatazione dei tempi è tanto maggiore quanto maggiore la velocità del sistema di riferimento
considerato. Per un oggetto che si muovesse alla velocità della luce, eventualità peraltro esclusa dalla teoria
di Einstein, il tempo non scorrerebbe affatto.
Il ritardo degli orologi sui satelliti artificiali dovuto alla dilatazione dei tempi previsto dalla relatività
speciale è misurabile. Ma anche la teoria della relatività generale prevede un’alterazione dello scorrere del
tempo dovuta alla differenza nell’intensità del campo gravitazionale in cui si muove il satellite rispetto a
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quello cui è sottoposto chi sta a terra. Le correzioni che permettono alle telecomunicazioni di funzionare
tengono conto di entrambi gli effetti.
CONTRAZIONE DELLE LUNGHEZZE
Allo strano effetto della relatività che accompagna la nostra percezione del tempo se ne accompagna un
altro che riguarda la percezione dello spazio. Considerando ancora un aeroplano relativistico si misura il
tempo impiegato a percorrere una distanza tra due bandierine a terra. Stando fermi a terra si misura un tempo T, moltiplicando il tempo T per la velocità V dell’aeroplano si trova la distanza tra le due bandierine:
D=VT.
Ma poiché il cronometro a bordo dell’aeroplano ritarda, chi si trova sull’aeroplano e vede muoversi le
bandierine con velocità V misura un tempo più breve. Ma se il tempo misurato sull’aeroplano è minore vuol
dire che per chi sta sull’aeroplano la distanza è minore.
Cambiando punto di vista si considerano le due bandierine agli estremi dell’aeroplano. Per chi si trova
sull’aeroplano è il cronometro a terra che ritarda, ma ciò significa che chi sta a terra ha l’impressione che la
distanza tra le bandierine sia ridotta. Dall’aeroplano D appare ridotta, da terra appare ridotta la distanza tra
le bandierine sull’aeroplano, cioè la lunghezza dell’aeroplano.
QUALSIASI LUNGHEZZA IN MOVIMENTO APPARE CONTRATTA
Secondo Einstein non esiste una vera lunghezza; semplicemente, per convenzione, si definisce lunghezza di un oggetto quella misurata quando l’oggetto è fermo. Tutti gli osservatori per i quali l’oggetto è
fermo, misurandolo, trovano la stessa lunghezza; per chi lo vede muoversi, invece, è più corto, cioè contratto
nella direzione in cui si muove. Su di un’astronave capace di viaggiare a velocità relativistica non soltanto il
tempo scorrerebbe più lentamente, ma anche le distanze da percorrere apparirebbero ridotte. Nel caso limite
di un oggetto che potesse viaggiare alla velocità della luce, il tempo non scorrerebbe affatto e la distanza da
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percorrere si ridurrebbe a zero: per l’equipaggio partenza ed arrivo sarebbero simultanei. L’equipaggio stesso, peraltro, sarebbe contratto in misura infinita nella direzione del moto.
SPAZIO-TEMPO
Tutti noi siamo abituati a considerare spazio e tempo come entità distinte. Einstein ha tolto questo carattere di indipendenza e ha visto queste grandezze come intercambiabili. Come si è visto la distanza spaziale
di due eventi in un sistema è legata alla distanza temporale degli stessi eventi rispetto ad un altro sistema.
Questa analogia tra intervalli spaziali e temporali ha suggerito l’idea di considerare il tempo come una quarta coordinata, complementare alle tre coordinate spaziali. Si passa così dal riferimento (x, y, z) a (x, y, z, t).
Per Einstein quindi la nostra vita si svolge in una cornice universale: “lo spazio-tempo”.
SPAZIO E TEMPO NON SONO CONCETTI DISTINTI
LA FORMULA MAGICA: E = m c2
Procedendo nello studio della relatività ci si trova continuamente di fronte a situazioni strane ed inaspettate. Affrontando il problema dell’energia le “stranezze” non sono finite: Einstein dimostra l’equivalenza tra
massa ed energia, che è alla base dei processi di generazione dell’energia nucleare, ma anche delle bombe
atomiche.
Nella teoria di Einstein la massa di un corpo è una delle grandezze fisiche relative: appare cioè diversa ai
diversi osservatori inerziali e non è quindi una costante universale. Per qualsiasi oggetto esiste una massa
minima irriducibile: la massa a riposo, che è quella misurata in un sistema di riferimento in cui l’oggetto è
fermo. Per tutti gli altri osservatori la massa dell’oggetto è maggiore, tanto maggiore quanto è maggiore la
velocità dell’oggetto. Questo aumento della massa, e quindi dell’inerzia, con l’aumentare della velocità spiega perché sia impossibile accelerare un corpo fino a superare la velocità della luce: quando la velocità tende
ad avvicinarsi alla velocità della luce la massa tende all’infinito e ogni ulteriore accelerazione dovrebbe essere causata da una forza infinita. Quindi mentre la costanza assoluta della velocità della luce è un postulato,
la sua insuperabilità è un risultato della teoria della relatività.
Attraverso l’espressione della massa relativistica e un opportuno procedimento matematico Einstein è
giunto alla famosissima legge sull’energia. Essa afferma che massa inerziale ed energia, pur rivelandosi in
“forme fisiche” apparentemente così diverse tra loro, sono grandezze equivalenti e come tali convertibili da
una forma all’altra. La costante c rappresenta solo un fattore di proporzionalità ma di enorme valore. Ciò implica che anche una massa molto piccola, se trasformata in energia, liberi una energia enorme. Infatti la
bomba nucleare più potente mai fatta esplodere aveva una potenza di 60 megatoni eppure era stata trasformata in energia una massa di appena 2,5 Kg. Viceversa occorre un’energia molto grande per far materializzare la più piccola delle particelle.
LA MASSA SI TRASFORMA IN ENERGIA E VICEVERSA
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IL PRINCIPIO DI EQUIVALENZA
La teoria della relatività ristretta ha avuto però dei limiti. Tra le due forze della natura allora conosciute,
elettromagnetismo e gravitazione, è riuscita a conciliarsi con l’elettromagnetismo, ma non con la forza di
gravità, scoperta da Newton. Per risolvere questo problema Einstein cercò di introdurre anche la forza di
gravità nella trattazione della relatività, formulando, nel 1916 una nuova teoria, la teoria della relatività generale.
La relatività ristretta era basata su sistemi di riferimento inerziali, perché riferiti a corpi in quiete o dotati
di moto uniforme, quindi non sottoposti ad una forza esterna. Introducendo la forza di gravità, invece, i corpi sono sottoposti ad una forza esterna che imprime ad essi una accelerazione, quindi un progressivo aumento di velocità. Cambiano quindi le condizioni di base. Einstein rielaborò quanto era già noto dai tempi di
Newton e ne diede una spiegazione.
La forza che agisce sui corpi è proporzionale alla massa dei corpi (F = ma); questa massa viene chiamata
inerziale. Anche l’entità della forza gravitazionale che agisce sugli oggetti è proporzionale alla loro massa (P
= mg); in questo caso la massa viene detta gravitazionale. Nessuno aveva saputo spiegare perché queste due
masse, con funzioni così diverse, sono uguali. Ma Einstein ebbe una intuizione: “Se sono in un ascensore e
la corda si rompe, durante la caduta libera non sentirò più il mio peso”. Ciò significa che quando un
ascensore senza finestre cade liberamente per forza di gravità, quindi con accelerazione costante, non presenta nessuna differenza per il suo sfortunato occupante rispetto ad un ascensore che si muovesse per lo spazio cosmico di moto uniforme, in assenza di forze gravitazionali: è come se per la persona all’interno dell’ascensore non fosse attivata alcuna forza esterna, al pari di quanto si avrebbe se si trovasse in un sistema
inerziale. In questo senso Einstein stabilì che i fenomeni che si osservano in un sistema dotato di accelerazione costante non differiscono da quelli dello stesso tipo che si verificano in un sistema inerziale.
Da una idea così semplice è nata la teoria dell’universo: la relatività generale.
LA GRAVITÀ PUÒ ESSERE SIMULATA DA UN’ACCELERAZIONE;
UN’ACCELERAZIONE PUÒ ESSERE INTERPRETATA COME UNA GRAVITÀ
LA CURVATURA DELLO SPAZIO
La teoria della relatività generale di Einstein riesce a spiegare anche che cos’è la forza di gravità e quindi
permette di dare una descrizione nuova dell’universo. Per Newton e per tutti gli scienziati venuti dopo di lui
il meccanismo dell’attrazione gravitazionale era rimasto un mistero. Si supponeva fosse un’azione a distanza e che i suoi effetti si sentissero istantaneamente in tutto lo spazio. Non era una spiegazione accettabile,
ma le leggi funzionavano lo stesso anche senza spiegazioni. Poi Einstein si rese conto che in un ascensore
in caduta libera è come se il peso non esistesse più. Partendo dal principio di equivalenza tra accelerazione e
gravità egli dedusse che la materia ha un effetto sullo spazio: lo distorce incurvandolo.
Egli chiamò gravità la curvatura dello spazio che noi percepiamo. I campi gravitazionali sono, secondo
Einstein, una manifestazione della curvatura dello spazio: le masse non “attirano” altre masse, piuttosto,
distorcono lo spazio intorno a sé. Nello spazio distorto le traiettorie dei corpi diventano curve ed i corpi subiscono delle accelerazioni che noi interpretiamo come il risultato dell’esistenza di una forza. Per visualizzare l’intuizione di Einstein si può paragonare lo spazio ad un lenzuolo: se non c’è materia esso è perfettamente piatto, se mettiamo una sfera sul lenzuolo si forma un avvallamento. Di conseguenza una pallina che si
troverà nelle vicinanze tenderà a cadere sulla sfera.
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Una massa attrae l’altra perché lo spazio si è incurvato: ecco come funziona la gravità secondo Einstein.
In un campo in assenza di masse la luce viaggia in linea retta, ma quando passa nelle vicinanze di un corpo
dotato di grande massa gravitazionale, ad esempio una stella, il suo percorso segue la direzione dello spazio
curvo. L’avvallamento sull’ipotetico lenzuolo sarà tanto più profondo quanto più sarà piccola e densa la
massa che lo forma.
LE MASSE CURVANO LO SPAZIO
IL BUCO NERO
Quando la densità della materia che causa la deformazione supera un certo limite l’avvallamento può
raggiungere profondità infinita. L’attrazione gravitazionale è tale che qualsiasi oggetto che si avvicini viene
inghiottito in modo definitivo. Neppure le radiazioni, inclusa la luce, una volta entrate, sono più in grado di
scappare. E’ un buco nero. Per questo un buco nero non si riesce a vedere dall’esterno: appare come un buco
invisibile che si è aperto nello spazio e nel tempo dell’universo.
Il buco nero rappresenta il caso estremo degli strani effetti della relatività: tutti questi effetti sono conseguenza della sua enorme attrazione gravitazionale. Essa cerca di rallentare le onde elettromagnetiche che si
allontanano, ma non ci riesce perché la velocità della luce è costante, così le “stira”, riducendone la frequenza. Se potessimo osservare a distanza un oggetto catturato da un buco nero vedremmo non finire mai la sua
caduta: il tempo sembrerebbe fermarsi, la sua immagine diventare sempre più rossa e i suoni da esso trasmessi diventare sempre più bassi.
La gravità del buco nero riesce a curvare la luce e mentre la inghiotte tenta di accelerarla: non riuscendoci ne aumenta la frequenza. Se potessimo essere solidali all’oggetto inghiottito dal buco nero ci troveremmo
in una caduta vertiginosa durante la quale il tempo per noi scorrerebbe normalmente, vedremmo le stelle sopra di noi ridotte ad un oblò cambiare colore e sentiremmo acutissime le voci che arrivano dall’esterno.
IL BUCO NERO TRATTIENE TUTTO, ANCHE LE ONDE ELETTROMAGNETICHE
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