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classaction Marconi
IL TRIBUNALE DI MILANO
Sezione IV civile
Il Tribunale di Milano, riunito in Camera di Consiglio, nelle persone dei magistrati:
Gianna Vallescura
Presidente
Anna Bellesi
Giudice
Daniela Marconi
Giudice relatore
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nella causa civile proposta ai sensi dell’art. 140 bis del Codice del Consumo da
FEDERCONSUMATORI
CONSUMATORI
NAZIONALE
e
CENTRO
TUTELA
UTENTI DELL’ALTO ADIGE, quali mandatari di
THOMAS PILATI, MICHELE PAISSAN, MICHELA DALMERI e
MASSIMO SOLLI, elettivamente domiciliati a Milano
presso lo studio
dell’Avv. Maria Rosaria Brancaccio che li rappresenta e difende unitamente
all’avv. Massimo Cerniglia e all’avv. Marco Saverio Montanari per procura speciale a margine dell’atto di citazione
attori
contro
APPLE SALES INTERNATIONAL - ASI, società di diritto irlandese, con sede
a Holly Industrial Estate, Hollyhill (Cork) Irlanda, in persona del legale rappresentante Chathy Kearney,
APPLE ITALIA S.R.L.-AI, con sede a Milano, in persona del legale rappresentante, Gene Daniel Levoff
APPLE RETAIL ITALIA S.R.L.-ARI con sede a Milano in persona del legale
rappresentante, Gene Daniel Levoff,
tutte elettivamente domiciliate a Milano presso lo Studio Professionale Associato
Baker & Mckenzie, rappresentate e difese dall’avv. Gianfranco Di Garbo e
dall’avv. Gaetano Iorio Fiorelli per procura speciale alle liti in atti;
convenute
contro
PUBBLICO MINISTERO in persona del Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Milano,
Con l’atto di citazione la Federconsumatori Nazionale ed il Centro Tutela Consumatori Utenti dell’Alto Adige quali mandatari di Thomas Pilati, Michele Paissan,
Michela Dalmeri e Massimo Solli hanno proposto azione di classe, ai sensi
dell’art. 140 bis del Codice del Consumo, contro la Apple Sales International-ASI,
la Apple Italia- AI s.r.l. e la Apple Retail Italia-ARI s.r.l., società del gruppo che
con diversi ruoli gestiscono la commercializzazione e distribuzione in Italia dei
prodotti Apple, per ottenere a titolo di ripetizione dell’indebito o, comunque, di
risarcimento del danno, la restituzione delle somme versate dai consumatori proponenti e dagli aderenti per l’acquisto del prodotto “AppleCare Protection Plan” a
cui sarebbero stati indotti dalle pratiche commerciali scorrette adottate dall’intera
rete di distribuzione dei prodotti Apple su indicazioni concertate delle tre società
convenute, già sanzionate dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato
con delibera del 21.12.2011.
Le associazioni mandatarie esponevano che i consumatori promotori dell’azione
in occasione dell’acquisto al di fuori della loro attività professionale
dell’apparecchiatura Macbook Pro effettuato, quanto al Pilati, in data 22.9.2010,
presso il punto vendita della DG Informatica di Trento, quanto al Paissan, in data
20.4.2010, presso il rivenditore autorizzato Screen Studio s.r.l. di Trento, quanto
alla Dalmeri, in data 19.10.2010, presso la DG Informatica di Trento e quanto al
Solli, in data 2.8.2012, presso l’Apple Store della Galleria Commerciale “ Porta di
Roma” a Roma, non adeguatamente informati del diritto di assistenza gratuita biennale previsto in loro favore dagli articoli 130 e 132 del Codice del Consumo,
erano stati indotti a credere che fosse necessario per poter godere della garanzia
biennale del Macbook Pro acquistato, dotarsi del c.d. “AppleCare Protection
Plan”, un pacchetto di servizi di assistenza tecnica comprensivo dell’estensione
triennale della garanzia convenzionale annuale del prodotto prestata dalla casa
produttrice, che avevano comprato ed attivato qualche giorno dopo, al prezzo di €
349 il Pilati, il Paissan ed il Solli ed al prezzo di € 195,05 la Dalmeri.
Le associazioni mandatarie sostenevano che i consumatori proponenti erano stati
indotti all’acquisto del c.d. “AppleCare Protection Plan” in ragione del comportamento commerciale scorretto preordinato dalla rete di vendita della Apple su
specifiche indicazioni e disposizioni delle tre società convenute.
Nell’ambito dell’istruttoria avviata dall’Autorità garante della concorrenza e del
mercato era stato, infatti, accertato che le società convenute, impartendo conformi
istruzioni agli operatori del call center, al personale degli Apple Stores ed ai rivenditori indipendenti sul contenuto della garanzia spettante al consumatore in relazione ai prodotti Apple e predisponendo fuorvianti informazioni in materia sul
sito www.store.apple.com e nei fogli illustrativi contenuti nelle confezioni, aveva-
no improntato l’intero sistema di promozione delle vendite del pacchetto di servizi
“AppleCare
Protection
Plan”
sull’esaltazione
del
vantaggio
assicurato
dall’estensione a tre anni della garanzia convenzionale annuale del produttore, sottacendo preordinatamente al consumatore acquirente l’esistenza della garanzia di
conformità gratuita biennale prevista dal Codice del Consumo ed ostacolandone
l’esercizio per il secondo anno al momento della eventuale successiva richiesta di
assistenza.
Le società convenute erano state, perciò, sanzionate dall’Autorità garante del mercato e della concorrenza che, con la delibera del 21.12.2011, aveva ravvisato in
particolare due pratiche commerciali scorrette ingannevoli ed aggressive vietate
dall’art. 20 e ss. del Codice del Consumo nella condotta delle tre professioniste
che
a) “sia al momento dell’acquisto che al momento della richiesta di assistenza non
informavano in modo adeguato i consumatori circa i loro diritti di assistenza gratuita biennale loro spettanti per legge né riconoscevano loro gli stessi diritti limitandosi invece a riconoscere la garanzia convenzionale del produttore di 1 anno
per Apple”;
b) fornivano informazioni che “ in merito alla natura, al contenuto ed alla durata
dei servizi di assistenza aggiuntivi offerti ai consumatori in occasione
dell’acquisto di un bene di consumo non chiarivano adeguatamente il diritto del
consumatore alla garanzia biennale di conformità da parte del venditore così da
indurli ad attivare un rapporto contrattuale nuovo, a titolo oneroso, il cui contenuto risulta in parte sovrapporsi ai diritti già spettanti in forza della garanzia legale, che non prevede addebito di costi o limitazioni”.
Le associazioni mandatarie sostenevano, quindi, il diritto dei consumatori promotori e aderenti, vittime delle pratiche scorrette già sanzionate dall’Autorità garante
del mercato e della concorrenza, alla restituzione del prezzo versato per l’acquisto
del c.d. “AppleCare Protection Plan”, previa declaratoria della nullità del contratto per la violazione di norme imperative ai sensi dell’art. 1418 c.c. ravvisabile nel
ricorso a pratiche commerciali scorrette e nella violazione del diritto del consumatore ad un’informazione adeguata previsto dall’art. 2 comma 2 del Codice del
Consumo o pronuncia dell’annullamento del negozio per vizio del consenso insito
nell’idoneità della pratica scorretta a falsare il comportamento economico e le
scelte del consumatore o, in via subordinata, risoluzione del contratto per grave
violazione degli obblighi di buona fede e correttezza nell’esecuzione.
Sostenevano, comunque, la configurabilità nel comportamento delle società convenute, sanzionate per la violazione del divieto di adottare pratiche commerciali
scorrette, di un illecito civile fonte di responsabilità extracontrattuale con diritto
dei consumatori proponenti ed aderenti al risarcimento del danno patrimoniale
consistente nell’indebito pagamento del prezzo di acquisto della garanzia convenzionale, quanto meno nella misura corrispondente alle prestazioni non eccedenti
l’ambito della garanzia legale, e nel danno esistenziale quantificato in € 1000 per
ciascun consumatore.
Affermavano, infine, che l’azione proposta nei confronti delle società convenute
avrebbe come classe di riferimento omogenea quella dei consumatori che, come i
promotori del giudizio, sono stati indotti dalle pratiche commerciali scorrette ed
illegittime descritte delle tre società convenute ad acquistare anche da terzi un
prodotto costoso quale il c.d. “AppleCare Protection Plan” per avere una garanzia
già stabilita in tutto o in parte dalla legge, con la specificazione che l’azione deve
intendersi proposta ai sensi dell’art. 140 bis lettera a) e c) per i consumatori che,
come il Solli, abbiano direttamente concluso con una delle società convenute il
contratto di acquisto del pacchetto c.d. “AppleCare Protection Plan” ed ai sensi
dell’art. 140 bis lettera b) e c) per i consumatori che abbiano acquistato il pacchetto dai rivenditori indipendenti dei prodotti Apple e non abbiano, dunque, avuto
rapporti contrattuali diretti con nessuna delle società convenute.
Nel costituirsi in giudizio le società convenute sostenevano, innanzitutto,
l’inammissibilità dell’azione di classe proposta dalle associazioni mandatarie per
carenza del requisito dell’omogeneità della classe, difetto di legittimazione passiva delle società convenute in relazione alle domande svolte ed improponibilità
dell’azione collettiva per le azioni di natura extracontrattuale non espressamente
previste dal Codice del Consumo, ossia diverse da quelle relative alla c.d. responsabilità per danno da prodotto.
Le società convenute sostenevano, in particolare, la carenza del requisito
dell’omogeneità della classe evidenziando che i proponenti hanno acquistato
l’ “AppleCare Protection Plan” da venditori diversi interfacciandosi con commessi diversi ( il Solli ha comprato il pacchetto direttamente da ARI, società che gestisce degli Apple Stores, mentre gli altri tre proponenti hanno comprato da due diversi rivenditori indipendenti), in momenti diversi con conseguente possibilità di
accedere ad informazioni diverse sul contenuto della garanzia ( il Solli ha acquistato l’“AppleCare Protection Plan”, nell’agosto del 2012 quando era già stata
pubblicata la delibera dell’autorità garante che ha irrogato la sanzione amministrativa per le pratiche commerciali scorrette e dopo che le società convenute a partire
dal mese di novembre del 2011 avevano in vario modo implementato le informazioni fornite ai consumatori sul pacchetto nel tentativo di adeguarsi alle prescri-
zioni del garante) ed hanno, infine, richiesto ed usufruito di servizi diversi in esecuzione del contratto di assistenza in questione (Il Paissan ha usufruito di servizi
in attuazione dell’ “AppleCare Protection Plan”, senza dubbio esulanti dalla garanzia legale del venditore, il Pilati ha ottenuto tre riparazioni gratuite anche dopo
il termine semestrale decorrente dall’acquisto mentre gli altri due proponenti non
hanno usufruito di alcuna prestazione di assistenza e garanzia).
Con riferimento al difetto di legittimazione passiva rilevavano come dalla prospettazione delle associazioni mandatarie risultasse evidente che ASI ed AI non
avevano intrattenuto alcun rapporto contrattuale con i consumatori promotori
dell’azione e non potevano essere destinatarie delle azioni contrattuali né della
pretesa di restituzione del prezzo di acquisto dell’ “AppleCare Protection Plan”
percepito da soggetti diversi.
Quanto alla società ARI che risultava aver venduto il pacchetto nella sua qualità
di gestore degli Apple Stores, solo al Solli, doveva escludersi la legittimazione
passiva con riferimento alle azioni contrattuali e restitutorie proposte dagli altri tre
promotori che avevano avuto rapporti contrattuali solo con rivenditori indipendenti non convenuti nel presente giudizio.
Secondo la prospettazione delle società convenute, non essendo esperibile l’azione
risarcitoria extracontrattuale ai sensi dell’art. 140 bis del Codice del Consumo per
responsabilità di natura diversa da quella derivante dal danno provocato dal prodotto difettoso, doveva escludersi, poi, l’ammissibilità della azione risarcitoria
prospettata con riferimento alla cooperazione delle società convenute nelle pratiche commerciali scorrette tenute dai singoli venditori con cui i consumatori proponenti avevano trattato.
Nel merito le società convenute lamentavano la mancata allegazione e dimostrazione da parte dei proponenti dei fatti relativi alle informazioni che in concreto erano state loro fornite al momento dell’acquisto dell’“AppleCare Protection Plan”
dai singoli rivenditori ed alle modalità con cui avrebbero inciso nella loro determinazione all’acquisto, non potendo l’azione civile individuale essere fondata
semplicemente sul provvedimento emesso nell’ambito di una procedura amministrativa in alcun modo inerente le posizioni individuali dei singoli consumatori.
Contestavano, comunque, l’esistenza delle pratiche commerciali scorrette sanzionate dall’Autorità garante chiedendo la sospensione del presente giudizio, ai sensi
dell’art. 140 bis comma 6 del Codice del Consumo, in attesa della definizione del
giudizio pendente innanzi al giudice amministrativo sull’impugnazione della delibera dell’Autorità garante richiamata dagli attori.
Sostenevano, in ogni caso, l’insussistenza delle pratiche commerciali scorrette
sanzionate dall’Autorità garante sul presupposto dell’erronea interpretazione dei
limiti della garanzia di conformità biennale prevista dal Codice del Consumo che
chiaramente poneva a carico del consumatore l’onere di dimostrare, decorsi sei
mesi dall’acquisto del bene, la sussistenza del difetto di conformità al momento
della consegna nonché dall’inadeguata considerazione dei servizi speciali aggiuntivi e non sovrapponibili a quelli della garanzia legale assicurati al consumatore
dall’“AppleCare Protection Plan”.
Il contratto di prestazione di servizi denominato “AppleCare Protection Plan”
concluso con la ASI dagli acquirenti dei prodotti Apple che avessero acquistato il
pacchetto contenente il codice di registrazione, assicurava, infatti, la copertura
hardware con la prestazione di garanzia convenzionale triennale da parte di ASI,
soggetto diverso dal singolo rivenditore, implicante l’impegno alla sostituzione e
riparazione del difetto in loco ed anche al di fuori del territorio dello Stato ove è
stato acquistato il prodotto oltre alla copertura software con servizio di assistenza
da remoto da parte di tecnici esperti Apple, coperture, sicuramente, non comprese
nella garanzia di conformità legale a cui è tenuto per legge il singolo rivenditore.
Sostenevano, quindi, l’inconfigurabilità del danno prospettato dai proponenti con
riferimento all’asserito pagamento di un consistente corrispettivo per una garanzia
gratuita già prevista per legge in ragione della non sovrapponibilità della garanzia
convenzionale assicurata dal “AppleCare Protection Plan“ a quella di conformità
legale gratuita del venditore, chiedendo il rigetto di tutte le domande proposte dagli attori.
In via subordinata chiedevano la compensazione tra le somme eventualmente riconosciute a titolo di restituzione o risarcimento ai consumatori e le somme corrispondenti al costo dei servizi di cui i singoli consumatori proponenti o aderenti
avessero eventualmente goduto in esecuzione del contratto di assistenza “AppleCare Protection Plan”.
Nel corso della trattazione le parti precisavano e documentavano che il contratto
di assistenza “AppleCare Protection Plan” era stato concluso dai consumatori
proponenti con la società convenuta ASI, obbligata alla prestazione di tutti i servizi di assistenza e garanzia convenzionale sino al 31.3.2012 sostituita successivamente da altra società del gruppo estranea al giudizio, previo acquisto presso il
singolo rivenditore dei codici necessari all’esecuzione della procedura di registrazione sul sito web della Apple, attraverso cui era avvenuta la conclusione del contratto.
Il Tribunale preliminarmente ritiene non necessario disporre ai sensi dell’art. 140
bis comma 6 del Codice del Consumo la sospensione del presente giudizio in attesa della decisione del giudice amministrativo sull’impugnazione proposta avverso
la delibera dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato dalla società
convenuta, dal momento che il giudizio di ammissibilità dell’azione di classe a cui
è preordinata la presente fase del processo può essere effettuato sulla base della
prospettazione delle parti, anche a prescindere dall’accertamento definitivo in via
amministrativa della violazione del divieto di pratiche commerciali scorrette attribuita alle società convenuta.
Prima di procedere al vaglio di ammissibilità della proposta azione di classe è necessario premettere che lo strumento processuale risultante dal testo vigente
dell’art. 140 bis del Codice del Consumo ha perso l’originaria natura di azione
collettiva risarcitoria destinata alla tutela, attraverso un ente esponenziale,
dell’interesse collettivo della categoria dei consumatori leso dalla condotta illecita
dell’imprenditore per assumere i contorni di azione di classe destinata alla tutela
degli interessi individuali omogenei di una pluralità di consumatori singolarmente
lesi nella propria sfera giuridica dalla condotta illecita plurioffensiva
dell’imprenditore.
La struttura dell’azione di classe come il nuovo testo dell’art. 140 bis la delinea
evocando il modello della class action statunitense è, infatti, quella di uno strumento processuale di “massa” contraddistinto dalla legittimazione individuale di
uno dei soggetti lesi ad agire in posizione di rappresentante di tutti i potenziali
membri della classe per far valere i diritti restitutori o risarcitori individuali omo-
genei di una pluralità di consumatori o utenti danneggiati da un illecito seriale
dell’imprenditore.
La natura prettamente individuale della legittimazione a proporre l’azione di classe la connota come strumento processuale deputato alla trattazione contestuale di
un fascio di azioni civili individuali risarcitorie o restitutorie contraddistinte dalla
matrice comune di una causa petendi essenzialmente unitaria, riconducibile ad un
illecito contrattuale o extracontrattuale plurioffensivo dell’imprenditore, che sia
tale da consentire l’accertamento della violazione dei singoli diritti individuali e
della responsabilità dell’imprenditore con un’attività istruttoria non solo comune a
tutti i membri della classe ma il più possibile standardizzata.
Il soggetto promotore dell’azione dovrà, pertanto, ai fini del giudizio di ammissibilità dell’azione di classe non solo delineare compiutamente ed efficacemente selezionare i fatti costitutivi dell’azione individuale proposta ma anche evidenziare
l’idoneità del nucleo essenziale della fattispecie concreta prospettata a trasformarsi in una situazione modello tale da qualificare in modo seriale le pretese degli altri componenti della classe e giustificare la confluenza della pluralità di azioni in
un unico processo di classe.
Le considerazioni che precedono rendono evidente che con riferimento, in particolare, alla lamentata violazione da parte dell’imprenditore della sfera giuridica dei
singoli consumatori mediante l’esercizio di pratiche commerciali scorrette, il soggetto promotore dell’azione di classe non può limitarsi a lamentare la lesione della
libertà di autodeterminazione dei consumatori in generale derivata dalla pratica
commerciale scorretta già sanzionata quale illecito amministrativo ed invocare
l’applicazione dell’intero ventaglio dei rimedi civilistici in astratto approntati
dall’ordinamento per la tutela del contraente leso dal comportamento scorretto
dell’altro o per la tutela del soggetto leso dall’altrui fatto illecito.
La natura individuale della legittimazione ad agire del consumatore proponente
l’azione di classe già sottolineata, gli impone, allo stesso modo che per la proposizione in via ordinaria della singola azione individuale, di indicare gli elementi di
fatto che evidenzino come in concreto, nello specifico contesto in cui le singole
parti hanno operato, la pratica commerciale si sia tradotta in un vizio del consenso
o in una ragione di nullità tale da determinare l’invalidità del contratto stipulato
con l’imprenditore autore della condotta illecita o nell’inadempimento
dell’obbligo di esecuzione del contratto secondo buona fede ovvero in un illecito
precontrattuale o extracontrattuale fonte di un effettivo e ben determinato pregiudizio alla sfera giuridica del singolo consumatore vittima della pratica scorretta.
Il soggetto promotore dell’azione di classe dovrà, dunque, innanzitutto individuare gli elementi di fatto rivelatori dell’incidenza della pratica commerciale scorretta
sanzionata nella sua sfera giuridica e selezionare il rimedio appropriato alla tutela
del diritto effettivamente leso, procedendo poi ad evidenziare il nucleo essenziale
dei fatti suscettibili di ripetizione seriale in capo a tutti i componenti della classe.
La violazione del divieto di pratiche commerciali scorrette che si configura già a
livello della semplice idoneità della condotta illegittima dell’imprenditore ad ingannare il consumatore medio non si traduce, infatti, automaticamente
nell’invalidità, secondo i rigidi schemi civilistici, del contratto concluso dal singolo consumatore né determina necessariamente un pregiudizio patrimoniale effettivo nella sfera giuridica individuale fonte di responsabilità aquiliana.
E’ noto, al riguardo, che secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza
di legittimità la nullità del contratto prevista dall’art. 1418 c.c. per violazione di
norma imperativa, quale indubbiamente è l’art. 20 del Codice del Consumo che
sancisce il divieto delle pratiche commerciali scorrette, postula che la contrarietà
attenga alla struttura o al contenuto del contratto, non essendo sufficiente di per sé
a determinare l’invalidità del negozio la violazione di norme imperative di condotta mediante l’inosservanza di obblighi informativi nel corso delle trattative ( v.
Cass. SU 19.12.2007 n. 26725; Cass. SU 19.12.2007 n. 26724; Cass. 29.8.2005 n.
19024).
L’annullamento del contratto per vizio del consenso presuppone, invece, che la
pratica commerciale scorretta ravvisabile nella semplice idoneità della condotta
contraria ai doveri di diligenza del professionista ad ingannare il consumatore medio abbia effettivamente tratto lo specifico consumatore proponente in un errore
determinante del consenso inducendolo a concludere il contratto impugnato.
Analogamente in materia di responsabilità aquiliana la pratica commerciale scorretta, pur implicando senza dubbio la lesione colposa ed ingiusta del diritto dei
consumatori all’autodeterminazione negoziale soprattutto nei rapporti commerciali in cui non hanno alcun margine di trattativa con l’imprenditore, non necessariamente si traduce nell’alterazione del comportamento economico del singolo
consumatore ed è fonte di pregiudizio economico effettivo per la vittima della pratica scorretta.
Dalla sintetica disamina dell’interazione della fattispecie delle pratiche commerciali scorrette con la disciplina dei rimedi civilistici emerge che la fattispecie della
pratica commerciale scorretta delineata dal Codice del Consumo presenta solo alcuni elementi di fatto costitutivi comuni all’illecito aquiliano o ai presupposti dei
rimedi contrattuali approntati dall’ordinamento in relazione all’invalidità del singolo contratto. Non può, pertanto, tradursi automaticamente ed immediatamente
nella violazione della sfera giuridica del singolo che, ove agisca a tutela del proprio diritto individuale, ha indubbiamente l’onere di allegare e dimostrare in giudizio tutti i fatti ulteriori che evidenzino come in concreto la pratica commerciale
scorretta abbia dato luogo ai presupposti per l’invalidità del contratto da lui concluso o abbia assunto i contorni del vero e proprio illecito aquiliano a suo danno.
L’accertamento in sede amministrativa della violazione del divieto delle pratiche
commerciali scorrette non esime, infine, il consumatore promotore dell’azione di
classe dall’allegare e dimostrare compiutamente tutti i fatti costitutivi della responsabilità civile prospettata, essendo nel nostro ordinamento il rimedio risarcitorio civile previsto esclusivamente a ristoro del pregiudizio effettivo subito dalla
sfera giuridica del singolo per effetto della condotta illecita e scevro da finalità deterrenti o meramente sanzionatorie del comportamento illegittimo.
Nel caso in esame le associazioni mandatarie nell’atto di citazione si sono limitate
ad invocare a fondamento dell’amplissimo spettro delle azioni civili prospettate
(cfr. conclusioni precisate nell’atto di citazione) il solo accertamento in via amministrativa delle pratiche commerciali scorrette attribuite alle società convenute,
senza distinguere la posizione delle tre società convenute con riferimento alle azioni contrattuali ed extracontrattuali prospettate e senza in alcun modo allegare
fatti da cui desumere che i consumatori promotori dell’azione di classe siano stati
effettivamente tratti in errore dalle informazioni ingannevoli in ordine alla necessità dell’estensione della garanzia convenzionale e si siano determinati
all’acquisto del pacchetto “AppleCare Protection Plan” solo ed esclusivamente
in ragione del predetto errore o che, infine, abbiano effettivamente subito un pregiudizio patrimoniale ed addirittura esistenziale per essere stati indotti a concludere, a caro prezzo, un contratto di assistenza e garanzia asseritamente privo in tutto
o in parte di utilità.
Dalle allegazioni delle associazioni mandatarie emerge solo che i quattro consumatori
promotori
dell’azione
di
classe
in
occasione
dell’acquisto
dell’apparecchiatura Macbook Pro presso due rivenditori indipendenti e presso un
Apple Stores, pacificamente gestito dalla società convenuta ARI, hanno acquistato, a prezzo diverso, indotti dalle già descritte pratiche commerciali ingannevoli
concertate dalle tre società convenute, il pacchetto “AppleCare Protection Plan”
contenente il diritto alla conclusione del contratto di assistenza e garanzia convenzionale triennale con la società convenuta ASI.
Il contratto di acquisto del “ pacchetto” AppleCare Protection Plan, forse giuridicamente meglio qualificabile come acquisto del diritto di opzione relativo alla
conclusione mediante registrazione telematica del contratto di garanzia convenzionale e servizi di assistenza con una delle società del gruppo produttore
dell’apparecchiatura, è stato evidentemente concluso dai quattro consumatori
promotori con rivenditori diversi, di cui due neanche convenuti nel presente giudizio, e ciò nonostante il diritto alla restituzione del corrispettivo versato per
l’acquisto del diritto di opzione derivante dalla pretesa invalidità del contratto da
ciascuno concluso è stato vantato indistintamente nei confronti di tutte e tre le società convenute.
Con riguardo, poi, all’unica azione contrattuale restitutoria astrattamente configurabile in relazione alla pretesa invalidità del contratto di acquisto dell’opzione
“AppleCare Protection Plan” concluso dal Solli all’interno dell’Apple Store di
Roma gestito dalla società convenuta ARI, nessun elemento di fatto è stato allegato che consenta di presumere che il Solli si sia stato indotto in errore e si sia determinato all’acquisto solo per assicurarsi la garanzia ultrannuale da difetto di conformità dell’apparecchiatura.
Ed il difetto di allegazione è tanto più grave se si considera che l’acquisto da parte
del Solli è avvenuto nell’agosto del 2012, quando ormai la sanzione amministrativa irrogata dall’Autorità garante per le pratiche commerciali ingannevoli relative
al contenuto effettivo dei servizi di assistenza e garanzia aggiuntivi offerti a pagamento per i prodotti Apple era di dominio pubblico.
Anche in relazione alla responsabilità per illecito aquiliano, contrariamente a
quanto sostenuto dalle società convenute sicuramente proponibile nell’ambito
dell’azione di classe ai sensi dell’art. 140 bis comma 2 lettera c) del Codice del
Consumo, le associazioni mandatarie si sono limitate a vantare indistintamente nei
confronti delle tre società convenute il diritto al risarcimento del danno extracontrattuale patrimoniale ed esistenziale senza adeguatamente descrivere il pregiudizio economico effettivamente subito dai quattro consumatori proponenti in ragione della conclusione del contratto di assistenza ed estensione della garanzia convenzionale denominato “AppleCare Protection Plan”.
A fronte del pagamento del corrispettivo per l’acquisto dell’opzione e della successiva conclusione del contratto di assistenza “AppleCare Protection Plan” la
casa produttrice dell’apparecchiatura si è impegnata tramite la ASI o altra società
del gruppo, alla prestazione di servizi di assistenza tecnica e garanzia convenzionale di certo non integralmente sovrapponibili alla garanzia di conformità legale a
cui è tenuto il solo rivenditore del bene, né in ragione del contenuto della presta-
zione di assistenza, pacificamente ben più ampio, né in ragione del soggetto obbligato a prestare i servizi.
Se si ha riguardo, in particolare, alla diversa identità del soggetto tenuto alla garanzia convenzionale onerosa derivata dalla sottoscrizione del contratto di assistenza c.d. “AppleCare Protection Plan”, rispetto al soggetto tenuto alla garanzia
legale gratuita che, si ribadisce, è solo il singolo venditore da cui il consumatore
ha acquistato il bene, non appaiono neanche evidenti quegli elementi di sovrapponibilità parziale delle due garanzie che dovrebbero far presumere l’esistenza, comunque, di un pregiudizio economico per il consumatore con riferimento alla parte di corrispettivo della garanzia convenzionale commisurato al servizio corrispondente a quello già assicurato in regime di garanzia di conformità legale gratuita dal singolo venditore.
E’ innegabile, infatti, che la garanzia convenzionale attribuisce, comunque, la garanzia aggiuntiva della società del gruppo Apple che assume l’impegno contrattuale derivante dalla registrazione al c.d. “AppleCare Protection Plan”, assicurando
così il contraente anche dal rischio che il singolo venditore dell’apparecchiatura,
per insolvenza o semplice inadempimento non assolva all’obbligo concomitante
derivante dalla garanzia di conformità legale.
Non pare, dunque, così scontata come sembrerebbe dalle difese attoree la prospettata assoluta inutilità della garanzia convenzionale aggiuntiva neanche nella parte
in cui, sotto il profilo temporale e sotto il profilo del contenuto delle prestazioni
dovute, dovesse esattamente coincidere con la garanzia di conformità legale a cui
è tenuto il singolo rivenditore.
In conclusione, la mancanza nell’atto introduttivo del giudizio della compiuta indicazione dei fatti costitutivi a fondamento dell’amplissimo spettro di azioni civili
prospettate dai promotori impedisce di valutare positivamente l’ammissibilità
dell’azione di classe sia con riferimento al parametro della non manifesta infondatezza delle domande svolte sia con riferimento alla possibilità di individuazione
dei criteri per la delimitazione della classe dei consumatori titolari di diritti individuali omogenei rispetto a quelli dei promotori.
La soccombenza implica ai sensi dell’art. 140 bis comma 8 del Codice del Consumo e dell’art. 91 c.p.c. la condanna di Federconsumatori Nazionale e Centro
Tutela Consumatori Utenti dell’Alto Adige quali mandatari di Thomas Pilati, Michele Paissan, Michela Dalmeri e Massimo Solli in solido al pagamento delle spese processuali che si liquidano a favore delle società convenute in € 4500 per
compenso oltre oneri di legge.
Ai sensi dell’art. 140 bis, comma 8 del Codice del Consumo va ordinata la pubblicazione della presente ordinanza a spese di parte attrice, per estratto e per una volta volta sul quotidiano Il Sole 24 Ore nonché per 15 giorni sul sito web della Federconsumatori Nazionale.
P.Q.M.
Il Tribunale dichiara inammissibile l’azione di classe proposta ai sensi dell’ art.
140 bis del Codice del Consumo da Federconsumatori Nazionale e Centro Tutela
Consumatori Utenti dell’Alto Adige quali mandatari di Thomas Pilati, Michele
Paissan, Michela Dalmeri e Massimo Solli contro Apple Sales International, Apple Italia s.r.l. Apple Retail Italia s.r.l.
Condanna Federconsumatori Nazionale e Centro Tutela Consumatori Utenti
dell’Alto Adige quali mandatari di Thomas Pilati, Michele Paissan, Michela Dal-
meri e Massimo Solli in solido al pagamento delle spese processuali che liquida a
favore delle società convenute in € 4500 per compenso oltre oneri di legge.
Ordina la pubblicazione della presente ordinanza a spese e cura di Federconsumatori Nazionale e Centro Tutela Consumatori Utenti dell’Alto Adige quali mandatari di Thomas Pilati, Michele Paissan, Michela Dalmeri e Massimo Solli, per estratto e per una volta sul quotidiano Il Sole 24 Ore nonché per 15 giorni sul sito web
della Federconsumatori Nazionale.
Milano 10-12-2013
Il Presidente
Il giudice est.
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