il quadro comunitario e comparato - Fondazione Universitaria Marco
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il quadro comunitario e comparato - Fondazione Universitaria Marco
Parte II IL QUADRO COMUNITARIO E COMPARATO Sezione A LE FONTI COMUNITARIE E INTERNAZIONALI II.1. Il quadro comunitario in materia di lavoro atipico e sicurezza sul lavoro. II.1.1 Il modello europeo di regolamentazione dei lavori atipici. Alla luce di quanto osservato nei contributi che precedono, è difficile dubitare del fatto che lavoro atipico e salute rappresentino un binomio problematico. Che si tratti di una connessione tematica molto delicata ed in certi casi di una vera e propria antinomia ne danno conferma i numerosi studi condotti in ambito europeo ed internazionale1, che hanno individuato, non tanto nelle trasformazioni dell’attività produttiva come tale, quanto nelle trasformazioni della tipologia dei lavori e delle fattispecie contrattuali, le emergenze più impellenti nella gestione della salute e sicurezza negli ambienti di lavoro, nell’allargato quadro statuale dell’Unione Europea. Da un punto di vista più strettamente giuridico, poi, e nell’intento di ripercorrere l’iter normativo europeo in materia, si sottolinea come già nel programma d’azione a suo tempo formulato dalla Commissione Europea, con riguardo all’attuazione comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori2, rilievo particolarmente significativo fu riconosciuto alla regolamentazione del lavoro atipico, proprio alla luce delle sue implicazioni non solo di natura strettamente economica, ma anche di natura sociale e prevenzionale. Le autorità comunitarie, infatti, avevano avvertito tempestivamente la rilevanza del fenomeno in questione e la necessità di applicare i principi di tutela e prevenzione sanciti dalla direttiva 89/391, in modo da tutelare questi lavoratori, contrattualmente più deboli, da possibili discriminazioni, rispetto ai lavoratori standard. Nella Carta Comunitaria dei diritti sociali fondamentali si rintracciava infatti la chiara sollecitazione ad intervenire sulla disciplina del lavoro atipico, in particolare con riferimento alla necessità di migliorare le condizioni di vita e di lavoro. In questo quadro di maturata consapevolezza si inscrive l’adozione della direttiva n. 91/3833, per il completamento delle misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori aventi un rapporto a durata determinata o un rapporto di lavoro interinale. Tale direttiva, come recita il suo settimo considerando, assume la funzione normativa complementare rispetto alle disposizioni della direttiva quadro n. 89/391, cui ripetutamente rinvia ed è destinata a dettare una tutela ad hoc in grado di tener conto della particolarità dei rischi in caso di coinvolgimento di lavoratori assunti con contratto di durata determinata o interinale. Essa, in realtà, può considerarsi appartenente alla prima generazione dei tentativi di regolazione comunitaria del lavoro atipico, inserendosi nel quadro delle tre proposte di direttiva presentate dalla Commissione il 26 giungo 1990, dirette a conciliare le forme di tutela tradizionale del diritto del lavoro con le innovazioni in materia di forme di impiego flessibile, accogliendo una nozione lata di lavoro atipico, relativa tanto a forme di utilizzazione a tempo parziale o temporaneo della manodopera, quanto a forme di utilizzo flessibile di lavoro specializzato,come il lavoro interinale, al tempo ancora illecite in alcune realtà nazionali come ad esempio l’Italia. European Agency for Safety and Health at Work, New forms of contractual relationships and the implications for occupational safety and health, Office for Official Publications of the European Communities, Luxembourg, 2002, in voce Salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, nonché European Agency for Safety and Health at Work, New trends in accident prevention due to the changing world of work, Office for Official Publications of the European Communities, Luxembourg, 2002, in voce Salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. 2 Consiglio Europeo, Carta Comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, 1989, Strasburgo. 3 Direttiva del Consiglio delle Comunità Europee, n. 91/383/CEE, adottata il 25 giugno 1991, in voce Salute e sicurezza sui luoghi di lavoro e voce Sicurezza (obbligo di). 1 2 Più in particolare la prima proposta, relativa a determinati rapporti di lavoro per quanto riguarda le condizioni di lavoro,stabiliva che i lavoratori atipici dovessero avere, in misura proporzionale alla durata della prestazione, gli stessi diritti dei lavoratori a tempo pieno in tema di ferie, indennità di anzianità e di licenziamento e di trattamenti previdenziali, prevedendo un limite massimo di durata per i rapporti precari, non superiore ai 36 mesi. La seconda, relativa alla prevenzione delle distorsioni della concorrenza, in relazione a certi rapporti di lavoro,prevedeva per gli atipici la parità rispetto ai lavoratori standard sia nelle condizioni di accesso alle iniziative di formazione professionale, sia in tema di s trattamenti assistenziali e previdenziali non contributivi stabilendo, tra l’altro, l’obbligo di computo degli stessi ai fini della costituzione degli organi di rappresentanza nell’impresa4. II.1.2 La direttiva 91/383. Struttura e finalità. Le tre proposte di direttiva si presentavano così legate da un comune filo conduttore, ossia quello di individuare nei lavoratori atipici una categoria vulnerabile di lavoratori, la cui debolezza andava integrata col riconoscimento dell’eguaglianza formale rispetto ai lavoratori standard alla luce del principio della parità di trattamento, e, relativamente alla salute e sicurezza, con l’effetto di rendere generalmente operanti, verso tutte le fattispecie contrattuali, le previsioni della direttiva 89/391. Delle tre proposte, la 91/383, in realtà fu l’unica ad essere immediatamente approvata,anche se con delle restrizioni rispetto all’originario progetto, sicuramente più ambizioso. Potendo individuarsi le ragioni del successo sia nel suo carattere limitato e circoscritto, a questioni rispetto alle quali è politicamente più difficile proporre opposizioni di principio anche da parte degli Stati membri più riottosi nei confronti dei contenuti sociali dell’integrazione europea; sia nella circostanza che la base giuridica utilizzata (l’art 118, oggi trasfuso nell’Art. 137 TCE) avrebbe comunque consentito di adottare la direttiva a maggioranza qualificata5. Le disposizioni contenute nella direttiva n. 91/383 riguardano esclusivamente i lavoratori temporanei:sia quelli assunti con un contratto di lavoro a tempo determinato, sia quelli coinvolti in un rapporto di lavoro interinale, del quale la direttiva fornisce una nozione che richiama immediatamente la sua caratterizzazione triangolare, dipendente dal fatto che il lavoratore interinale è assunto da un soggetto (l’agenzia fornitrice) per essere messo a disposizione di un altro soggetto (l’impresa utilizzatrice). Il presupposto della disciplina, esplicitato nel preambolo della direttiva6 è da ricercare nel più alto numero di infortuni sul lavoro e malattie professionali cui risultano esposti i lavoratori temporanei, quale che sia la tipologia di del rapporto, come attestano i dati emersi dalle molteplici indagini effettuate nell’ambito comunitario ed internazionale7. La direttiva, ferma restando l’applicabilità anche ai lavoratori temporanei delle disposizioni generali in materia di salute e sicurezza fissate dalla direttiva quadro 89/391/CEE e F. Santoni, Il lavoro atipico nelle Direttive CEE: gli effetti sulle relazioni industriali, in DRI, 1992, n. 2, 61. Vedi art. 1.2 della direttiva, che dispone ch per rapporti interinali devono intendersi quelli tra un’agenzia di lavoro interinale che è il datore di lavoro e il lavoratore, quando quest’ultimo è messo a disposizione per lavorare per e sotto il controllo di un’impresa e/o di uno stabilimento utilizzatori. 6 Vedi il IV considerando della direttiva. 7 European Agency for Safety and Health at Work, Expert forecast on emerging psychosocial risks related to occupational safety and health, Office for Official Publications of the European Communities, Luxembourg, 2007, in voce Salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, nonché E. Tompa, H. Scott-Marshall, R. Dolinschi, S. Trevithick, Precarious employment experiences and their health consequences: Towards a theoretical framework, IOS Press, 2007, in voce Sicurezza (obbligo di), nonché J. Benach, The health-damaging potential of new types of flexible employment: A challenge for public health researchers, in American Journal of Public Health, 2000, vol. 90, 1316-1317; J. Benach, M. Amable, C. Muntaner, F.G. Benavides, The consequences of flexible work for health: are we looking at the right place?, in Journal of Epidemiology and Community Health, 2002, vol. 56, 405-406; E. Bardasi, M. Francesconi, The impact of atypical employment on individuals’ wellbeing: evidence from a panel of British workers, in Social Science & Medicine, 2004, vol. 58, 1671-1688. 4 5 3 da quella da essa derivate, stabilisce alcune regole specifiche volte a prendere in considerazione la particolare condizione del lavoro precario. Il principio cardine della direttiva, può considerarsi quello dettato dall’art. 5 che attribuisce agli Stati Membri la facoltà di vietare che si faccia ricorso ai lavoratori temporanei, in particolare per taluni lavori che formano oggetto di una sorveglianza medica speciale, secondo criteri definiti dalla legislazioni nazionali. Qualora invece si opti per consentire in circostanze del genere il ricorso ai lavoratori a termine o interinali, ad essi dovrà allora essere assicurata un’appropriata sorveglianza medica speciale con facoltà (in luogo dell’obbligo contemplato dalla proposta originaria) di prevedere che tale sorveglianza si protragga oltre il termine di scadenza del rapporto di lavoro. La direttiva istituisce inoltre un diritto di informazione e di formazione a favore dei lavoratori temporanei i quali, prima dell’inizio della propria attività, dovranno appunto essere informati dal datore di lavoro (o dall’impresa utilizzatrice) sui rischi connessi (soprattutto con riferimento all’esigenza di qualifiche o attitudini professionali particolari o di una sorveglianza medica speciale) e ricevere, ove occorra,una formazione adeguata. Limitatamente al lavoro interinale, infine si prevede un ulteriore obbligo di informazione a carico dell’agenzia fornitrice che dovrà rendere note ai lavoratori coinvolti le caratteristiche proprie del posto di lavoro da occupare e la qualifica professionale richiesta, secondo le indicazioni fornite dall’impresa utilizzatrice (con facoltà per gli Stati Membri di stabilire che tali indicazioni debbano obbligatoriamente figurare nel contratto di messa a disposizione) e si sottolinea la peculiarità di questo tipo di attività lavorativa, specificando che durante lo svolgimento della medesima,è l’impresa utilizzatrice a doversi ritenere responsabile per le condizioni di esecuzione del lavoro relative alla sicurezza, alla salute e all’igiene sul luogo di lavoro8. La direttiva pone in capo agli Stati Membri gli obblighi di adottare tutte le misure necessarie affinché il lavoratore sia preventivamente informato sui rischi connessi al lavoro, con riguardo specifico alle sue attitudini professionali e alla sorveglianza medica richiesta; garantire una formazione sufficiente ed adeguata alle caratteristiche proprie del posto di lavoro; adottare le misure necessarie di protezione nel caso di lavori particolarmente pericolosi per la salute e sicurezza dei lavoratori; adottare le misure necessarie affinché i soggetti designati a svolgere attività di protezione e prevenzione nei confronti dei rischi professionali siano informati delle funzioni assegnate ai lavoratori temporanei;garantire che l’impresa utilizzatrice, prima di impiegare il lavoratore interinale, indichi alla agenzia di lavoro intermittente la qualifica professionale richiesta e le caratteristiche proprie del posto da occupare, e che la stessa agenzia fornisca poi al lavoratore interinale le suddette informazioni. Prevedere la responsabilità in capo all’impresa utilizzatrice, per tutta la durata della missione, del rispetto delle condizioni di esecuzione del lavoro relative alla sicurezza, all’igiene e alla salute durante il lavoro. La direttiva vieta il ricorso al lavoro temporaneo per attività particolarmente rischiose o insalubri ed assicura ai lavoratori lo stesso livello di protezione di cui beneficiano gli altri lavoratori dell’impresa utilizzatrice. Quest’ultimo deve rendere noto all’agenzia di lavoro interinale la qualifica professionale richiesta e le caratteristiche del posto di lavoro da occupare. Al lavoratore deve essere data una formazione professionale adeguata ai compiti da svolgere. L’imprenditore che utilizzi le prestazioni del lavoratore temporaneo è responsabile per l’igiene e la sicurezza durante il lavoro. Due sono quindi gli obiettivi che il legislatore comunitario ha espressamente inteso perseguire con l’approvazione di questa direttiva: garantire per un verso che i lavoratori temporanei beneficino in materia di salute e sicurezza durante il lavoro, dello stesso livello di protezione di cui fruiscono i lavoratori stabilmente inseriti nell’impresa o nello stabilimento del datore di lavoro fruitore della prestazione lavorativa. Dall’altro, impedire che il ricorso a contratti di lavoro temporaneo possa di fatto giustificare una differenza di trattamento per quanto 8 4 M Roccella, T. Treu, Diritto del lavoro della Comunità Europea, Cedam, Padova, 2007, 213-215. concerne le condizioni di lavoro relative alla protezione della sicurezza e della salute durante il lavoro, con particolare riguardo all’accesso alle attrezzature di protezione individuale9. Fatta salva l’integrale applicazione anche ai rapporti di lavoro temporaneo delle disposizioni contenute nella direttiva quadro n. 89/39110 e fatte salve altresì eventuali disposizioni nazionali e/o comunitarie, presenti o future, più favorevoli11, il perseguimento di questi obiettivi è affidato ad un corpo di norme specifiche volte a prendere in considerazione le peculiarità dei rapporti di lavoro temporanei. Si ricorda in proposito che, secondo quanto disposto dall’articolo 1 della direttiva, nella definizione di lavoro temporaneo rientrano sia i rapporti di lavoro regolati da un contratto a durata determinata, stipulato direttamente tra il datore di lavoro e il lavoratore, la cui scadenza è determinata da condizioni obiettive quali:raggiungimento di una data precisa, completamento di un evento determinato, sia i rapporti di lavoro interinale tra un’agenzia di lavoro di lavoro interinale, che è il datore di lavoro, e il lavoratore quando quest’ultimo è messo a disposizione per lavorare per e sotto il controllo di un’impresa e/o di uno stabilimento utilizzatore. Muovendo dal presupposto che i lavoratori temporanei sono normalmente esposti, in taluni settori a più rischi di infortuni sul lavoro e di malattie professionali rispetto ai lavoratori stabili dell’impresa dove si svolgono i lavori anche perché meno informati e meno educati alla sicurezza, la direttiva prevede in primo luogo alcuni diritti di informazione e formazione che vengono così ad aggiungersi a quelli già previsti a favore di tutti i lavoratori dagli articoli 10 e 12 della direttiva quadro 89/391. Prima dell’inizio dello svolgimento dell’attività lavorativa i lavoratori temporanei dovranno pertanto essere informati dal fruitore della prestazione lavorativa circa i rischi aggravati specifici connessi con il posto di lavoro da occupare, ed in particolare circa l’esigenza di qualifiche o attitudini professionali particolari ovvero di una sorveglianza medica speciale12, ricevere di conseguenza, una formazione sufficiente e adeguata alle caratteristiche del tipo di lavoro, tenuto conto della loro qualificazione ed esperienza13. Considerato peraltro che i rischi supplementari, cui sono sottoposti questi lavoratori, sono il più delle volte connessi alla breve durata del rapporto di lavoro e/o alle particolari modalità giuridiche di inserimento nei luoghi di lavoro, la direttiva impone poi agli Stati membri di adottare tutte le misure necessarie affinché i lavoratori, i servizi o le persone designati ai servizi di protezione e prevenzione, di cui all’art. 7 della Direttiva quadro 89/391, vengano portati a conoscenza delle funzioni sì assegnate a lavoratori aventi un rapporto di lavoro temporaneo (art. 6). L’informazione è diretta a consentire,in questo caso, che i servizi di protezione e di prevenzione dei rischi professionali nell’impresa e/o stabilimento possano effettivamente far fronte agli obblighi previsti dalla direttiva quadro a favore di tutti i lavoratori presenti nei luoghi di lavoro, a prescindere dalla durata del contratto e/o del titolo per il quale viene giuridicamente resa la prestazione lavorativa. Agli Stati Membri è pertanto concessa la facoltà di vietare che si faccia ricorso a prestazioni di lavoro temporaneo per taluni lavori particolarmente pericolosi per la loro sicurezza o salute secondo la definizione della legislazione nazionale ed in particolare per taluni lavori che formano oggetto di una sorveglianza medica speciale definita dalla legislazione nazionale14.Fatte salve le disposizioni di carattere generale sul controllo sanitario di cui all’art. 14 della Direttiva quadro 89/391/CEE, quando agli Stati membri non si avvalgono di tale facoltà devono comunque adottare le misure necessarie affinché i lavoratori assunti con un contratto di lavoro a tempo determinato o con un contratto di lavoro interinale beneficino di una appropriata M. Tiraboschi, La trasposizione della direttiva n. 91/383/CEE nei principali paesi dell’Unione Europea e l’anomalia del caso italiano, in DPL, 1997, n. 18, 1284. 10 Vedi art. 2, c. 3. 11 Vedi art. 9. 12 Vedi artt. 2 e 3. 13 Vedi art. 4 14 Vedi artt. 5, c. 1. 9 5 sorveglianza medica speciale nel caso svolgano attività lavorative oggetto di una sorveglianza medica speciale secondo quanto previsto dalla normativa nazionale15. A queste regole di carattere generale, valide sia per i rapporti di lavoro a termine che per il lavoro interinale si aggiungono infine due disposizioni particolari volte a disciplinare alcune delicate problematiche giuridiche in tema di prevenzione degli infortuni. Esse scaturiscono dal fenomeno della dissociazione tra imprenditore formalmente titolare del rapporto di lavoro (e dei relativi obblighi contrattuali) ed imprenditore titolare del potere organizzativo e gerarchico (e che dunque concretamente dispone della prestazione lavorativa). Con esclusivo riferimento al lavoro interinale si prevede infatti che, prima dell’inizio della missione, il beneficiario della prestazione lavorativa precisi alla agenzia di lavoro temporaneo la qualifica richiesta e le caratteristiche proprie del posto di lavoro da occupare16. Questi dati devono essere a loro volta comunicati dall’agenzia al lavoratore interessato17. Agli Stati membri è peraltro lasciata la facoltà di prevedere che tali informazioni vengano inserite nel contratto di messa a disposizione e cioè nel contratto che lega il lavoratore temporaneo all’agenzia18. Fatta salva la responsabilità dell’agenzia di lavoro temporaneo, per tutta la durata della missione, anche il beneficiario della prestazione lavorativa, che pure per definizione, non intrattiene nessun vincolo giuridico con il lavoratore interinale,rimane responsabile delle condizioni di lavoro connesse con la sicurezza, l’igiene e la salute durante il lavoro19 (articolo 8). Il problema della scarsa effettività. Seppur caratterizzata da contenuti di tutela sostanziale così puntuali e circoscritti, tuttavia, la direttiva 91/383 non è stata seguita da un grado di effettività soddisfacente, nell’applicazione delle tutele, aldilà del mero riconoscimento formale della parità di trattamento. Del resto, come già si evinceva dalla Relazione intermedia sul programma comunitario nel settore della sicurezza, dell’igiene e della salute sui luoghi di lavoro20 per il periodo 1996-2000, vista nell’ottica delle nuove forme di lavoro, la questione della effettività della tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro presentava contorni ancora più complessi e problematici. Ciò è da attribuirsi, da una parte, sicuramente al fatto che l’adozione della direttiva, non è stata seguita da una puntuale e rapida trasposizione nell’ordinamento interno da parte degli Stati membri, malgrado le scadenze imposte dall’Unione Europea21. Nel 2004, infatti, la Commissione Europea, ha diffuso i dati di un monitoraggio22 effettuato nei Paesi Membri sullo stato di implementazione della direttiva, da cui risultava che, a 13 anni dalla sua approvazione, la situazione degli ordinamenti nazionali, fosse ben lontana dall’essere soddisfacente,con particolare riferimento anche al nostro paese. E sul punto non sembra aver sortito grande effetto l’integrazione ad essa apportata dalla direttiva 2007/3023, mediante l’inserimento di un articolo 10 bis relativo Vedi art. 5, c. 2. Vedi art. 7, c. 1. 17 Vedi art. 7, c. 2. 18 M. Tiraboschi, La trasposizione della direttiva n. 91/383/CEE nei principali paesi dell’Unione Europea e l’anomalia del caso italiano, cit. 19 Vedi art. 8. 20 Commissione Europea, Relazione intermedia sul programma comunitario nel settore della sicurezza, dell’igiene e della salute sui luoghi di lavoro (1996-2000), COM 511. 21 M. Tiraboschi, Lavoro atipico e ambiente di lavoro: la trasposizione in Italia della direttiva 91/383/CEE, in DRI, 1996, n. 3, 57, nonché J.C. Javilier, A. Neal, M. Weiss, J. Saloheimo, U. Runggaldier, A. Tinhhofer, Lavoro atipico/temporaneo e tutela della salute: la trasposizione della Direttiva n. 91/383 in Francia, Regno Unito, Germania, Finlandia e Austria, in DRI, 1996, n. 3, 35-50. 22 Commission of the European Communities – Employment, Industrial Relations and Social Affairs, Report on the implementation of directive 91/383/EEC supplementing the measures to encourage improvements in the safety and health at work of workers with a fixed-duration employment relationship or a temporary employment relationship, 2004. 23 Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 giugno 2007, che modifica la direttiva 89/391/CEE del Consiglio e le sue direttive particolari e le direttive del Consiglio 83/477/CEE, 91/383/CEE, 92/29/CEE e 94/33/CE ai fini della semplificazione e della razionalizzazione delle relazioni sull’attuazione pratica. 15 16 6 all’obbligo, per gli Stati Membri, di presentare alla Commissione una relazione pratica nella forma di capitolo specifico della relazione unica di attuazione della direttiva 89/391. La direttiva 91/383,inoltre, appartiene ad una prima generazione di direttive rivolte alla tutela dei lavoratori vulnerabili, maggiormente esposti a criticità di gestione della salute e sicurezza, presentando punti di contatto con la direttiva 92/8524, per la tutela della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere ed in allattamento nonché alla direttiva 94/3325 relativa alla protezione dei giovani sul lavoro. Esse si presentano infatti accomunate dal medesimo intento: approntare tutela a determinate categorie di lavoratori che, per fattori di natura soggettiva(sesso, età) o di natura oggettiva(tipologia contrattuale), si presentano più esposti ad un ambiente di lavoro ostile. Cambia tuttavia l’approccio adottato, dato che a fronte delle peculiarità presentate da queste categorie soggettive, la disciplina relativa ha prescritto particolari e specifiche cautele nella valutazione e gestione del rischio, disponendo misure ad hoc in tema di esposizione ad agenti nocivi, orari di lavoro,uso delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, limitandosi nel caso dei lavoratori atipici a predicare il principio formale della parità di trattamento, fattore cui in parte è da attribuirsi la mancata effettività della disciplina da essa dettata. Non sono poi mancate critiche afferenti non tanto le finalità dalla stessa perseguite, quanto la tecnica normativa utilizzata, mettendo in luce, tra l’altro che la direttiva non avesse saputo tener testa ai differenziali di fondo, esistenti tra paese e paese, in tema di lavoro atipico,costruendo una disciplina giuridica per relationem. Gli assetti giuslavoristici dei singoli paesi europei apparivano, infatti caratterizzati da notevoli differenze, ancor più che nelle discipline, nelle logiche poste alla base della costruzione di ciascun sistema. Basti pensare alla criticità costituita dal problema definitorio del lavoro autonomo e di quello subordinato, in ragione dell’assenza di una nozione comune ai paesi comunitari26. Dalla hard law alla soft law. In realtà, già all’indomani del recepimento della direttiva 89/391, negli Stati Membri, si era osservato come il quadro normativo comunitario in materia avesse raggiunto un livello di saturazione e come si profilasse non un calo di attenzione verso il tema, quanto un mutamento nella tecnica di intervento, sulla base del presupposto del diritto regolativo come strumento privilegiato di armonizzazione dei sistemi nazionali. In effetti dopo gli anni Ottanta, la normativa sulla sicurezza aveva raggiunto un livello di massa critica,proprio nel momento in cui in altri settori avanzava e prendeva corpo l’opzione a favore di strumenti meno regolatori, che ha poi trovato espressione nella Strategia Europea per l’occupazione. In quello stesso periodo vi fu poi la presa d’atto, da parte delle istituzioni comunitarie, del fatto che la definizione di elevati standard di tutela formale non fosse di per sé sufficiente, per cui l’attuazione delle direttive non andava disgiunta dall’adozione l’adozione di strumenti di monitoraggio e di controllo, oltre che di tipo promozionale27. Sotto questa spinta propulsiva, infatti, a partire da Lisbona, i documenti in tema di occupazione si caratterizzano per il dato peculiare di voler conciliare la quantità dell’occupazione con la sua qualità, proprio alla luce delle particolari problematiche emergenti connesse alla diffusione della richiesta di flessibilità ed alla adozione di tipologie contrattuali non standard, necessaria evoluzione del mercato del lavoro, ma caratterizzate da criticità peculiari in materia di salute e Direttiva del Consiglio del 19 ottobre 1992, n. 92/85/CEE, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, in voce Sicurezza (obbligo di). 25 Direttiva del Consiglio del 22 giugno 1994, n. 94/33/CEE, relativa alla protezione dei giovani sul lavoro, in voce Sicurezza (obbligo di). 26 R. Pessi, I rapporti di lavoro c.d. atipici tra autonomia e subordinazione nella prospettiva dell’integrazione europea, in RIDL, 1992, n. 1, 132-150. 27 Comunicazione della Commissione, Adattarsi alle trasformazioni del lavoro e della società: una nuova strategia comunitaria per la salute e la sicurezza 2002-2006, COM(2002)118 def., 4, in voce Salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. 24 7 sicurezza, cui il mero riconoscimento della parità di trattamento formale poco giova se non accompagnato da misure calibrate ad hoc di valutazione e gestione del rischio. Con l’approvazione della strategia Europea per la sicurezza, nel 2002, viene posto l’accento sulle misure di soft law, strumentali allo sviluppo della conoscenza dei rischi e ad una maggiore applicazione ed effettività della legislazione esistente. La strategia poggia le sue basi su di una concezione globale di benessere sul luogo di lavoro, che vede la sicurezza come elemento fondante della più complessiva strategia verso un lavoro di qualità e che conseguentemente, impone di tenere nella giusta considerazione i nuovi rischi derivanti dalla trasformazioni del mondo del lavoro e si propone l’obiettivo del consolidamento della cultura della prevenzione, mediante l’impiego combinato di diversi strumenti, legislativi e non28. L’azione della Comunità europea è fondata su di un sistema di mainstreaming, per cui la salute e il benessere sono elementi indispensabili di una migliore qualità del lavoro,da cui dipende il miglioramento delle prestazioni dell’economia e delle imprese, e tale obiettivo deve essere perseguito nel quadro dell’evoluzione generale delle attività economiche, delle forme di occupazione e tipologie contrattuali. Ne consegue che il tema il tema della sicurezza e salute sui luoghi di lavoro deve essere integrato nelle altre strategie comunitarie, e tra queste anche in quella dell’occupazione e delle modalità di instaurazione dei rapporti di lavoro, stante la stretta connessione con la promozione della qualità del lavoro ed il mutamento dei modelli organizzativi del lavoro, ciò non vuol dire tuttavia, abbandono dello strumento hard della direttiva. Si osserva infatti che tale strumento ha ritrovato vigore a partire dal 2002 con una serie rilevante di direttive, relative all’esposizione dei lavoratori ad una serie di rischi specifici nonché al complesso normativo in tema di orario di lavoro, che pure rappresenta il portato di quella evoluzione dei modelli di organizzazione del lavoro, cui sono correlate particolari problematiche di aumento dei carichi di fatica e stress, cui i lavoratori atipici sembrerebbero maggiormente esposti, o ancora l’adozione dell’Accordo quadro sul telelavoro che definisce una volta per tutte il telelavoratore come un normale lavoratore subordinato, sia pure caratterizzato dalla peculiarità relativa al luogo di svolgimento della prestazione e riconosce ancora una volta la parità di trattamento, rispetto a gli altri lavoratori, a partire proprio dalla particolare modalità organizzativa di svolgimento della prestazione29. La strategia di Lisbona non ha pertanto segnato il superamento dello strumento della direttiva, anzi ha ribadito la centralità della direttiva 89/391, tuttavia mira all’innalzamento dei livelli minimi di sicurezza delle direttive precedentemente adottate adeguandole al progresso tecnico, all’ampliamento del raggio di azione dell’acquis comunitario, al fine di ricomprendere i nuovi rischi emergenti e in una prospettiva, ancor oggi da costruire, per il suo adeguamento alle nuove forme di lavoro e alle nuove tipologie contrattuali. Sulla necessità di maggiore effettività di tutela per gli atipici o in senso più ampio per i nuovi lavori, che si iscrivono nel mutamento dei modelli organizzativi del lavoro, si è altresì espressa, più volte la Corte di Giustizia, che ha precisato che lo scopo della direttiva 89/391 e delle direttive figlie non sia solo il miglioramento della protezione dei lavoratori, ma anche la sua realizzazione mediante misure organizzative specifiche, che tengano conto della peculiarità di rischi connessi non soltanto a fattori di tipo soggettivo(età, sesso, provenienza) o ambientale(esposizione ad agenti fisici, chimici e biologici), ma anche di natura contrattuale, con maggiore aderenza alla specificità dei rischi cui sono esposti i lavoratori atipici, anch’essi categorie di lavoratori vulnerabili sia sotto il profilo della maggiore incidenza, degli infortuni sul lavoro, sia sotto il profilo della maggiore esposizione a rischi di natura psicosociale, privilegiando e promuovendo l’ottica partecipativa e di coinvolgimento di questi lavoratori nella gestione della sicurezza e calibrando la valutazione dei rischi in azienda alla Ivi, 30 e 58. Accordo quadro europeo sul telelavoro del 16 luglio 2002, stipulato tra la Confederazione europea dei sindacati e le organizzazioni degli imprenditori UNICE/UEAPME e CEEP, in voce Telelavoro. 28 29 8 specifiche esigenze degli stessi30. La valutazione dei rischi, infatti è l’elemento che più di ogni altro caratterizza l’aspetto prevenzionale primario del sistema di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Si tratta di una valutazione non astratta che deve tradursi in un documento scritto in cui si programmano le misure di intervento più opportune:un documento da conservare, aggiornare ed integrare con l’eventuale documentazione attestante la valutazione di rischi particolari (lavoratrici madri,giovani lavoratori, lavoro ai videoterminali, protezione da agenti particolari). Accanto a queste figure, classicamente ricomprese nel novero dei rischi particolari, l’attività del datore dovrà investire anche i rischi specifici presentati dalle categorie flessibili, distinte per tipologia contrattuale, contestualizzati alle caratteristiche dimensionali ed organizzative dell’ambiente di lavoro ed all’attività produttiva che vi si svolge. Tale indagine deve essere poi integrata dall’individuazione delle concrete misure di prevenzione e protezione che le risultanze della valutazione abbiano indicato come necessarie. In quanto valutazione specifica di rischio, gli esiti della stessa dovranno adeguatamente risultare nel documento di valutazione sia come relazione dell’attività effettivamente svolta, sia come individuazione delle misure e della loro attuazione programmata. II.1.3 La nuova direttiva sul lavoro tramite agenzia. Nell’ambito della rinnovata stagione normativa comunitaria, in tema di lavoro atipico, si colloca, poi, la recente bozza di direttiva in tema di condizioni di lavoro sul lavoro tramite agenzia, presentata dal Consiglio dell’Unione Europea l’11 giugno 200831. Ancora una volta il tema centrale e di maggior interesse è rappresentato dall’obbligo di parità di trattamento con i lavoratori alle dirette dipendenze dell’utilizzatore sin dal primo giorno di missione. Il principio, nell’ambito della direttiva è ora dichiarato in termini generali e può essere derogato solo con il consenso delle parti sociali (previo accordo collettivo o avviso comune). In ogni caso le deroghe non possono pregiudicare le migliori condizioni stabilite dai contratti collettivi. La direttiva impone anche agli Stati di prevenire eventuali pratiche volte ad aggirare l’applicazione del principio. Accanto a questo tema una lettura complessiva della direttiva solleva tuttavia un altro profilo di interesse. Nelle definizioni accolte dalla direttiva è previsto che il lavoratore interinale abbia con l’agenzia un contratto o un rapporto di lavoro. Tra le possibili deroghe alla parità di trattamento retributivo è menzionata l’ipotesi di assunzione stabile, con contratto di lavoro a tempo indeterminato, del lavoratore da parte della agenzia se l’agenzia corrisponde al lavoratore un trattamento economico tra una missione e l’altra. Sembra tuttavia che queste indicazioni non siano sufficienti a chiarire che nella fattispecie trilaterale il datore di lavoro è l’agenzia. Rimane quindi irrisolto il nodo della ripartizione tra agenzia e utilizzatore delle responsabilità tipiche del datore di lavoro, tema essenziale per una regolazione efficiente della fattispecie, soprattutto per suoi riflessi sulla gestione dei rischi e sul frazionamento delle responsabilità in tema di salute e sicurezza. Al riguardo la direttiva ribadisce la piena applicazione delle tutele ai lavoratori tramite agenzia. Questa disposizione può essere però effettiva solo se siano definiti con chiarezza obblighi e responsabilità di agenzia e impresa utilizzatrice. Superato l’empasse derivante dalla introduzione a livello europeo del principio di parità di trattamento, l’attenzione si deve rivolgere ancora una volta al tema della effettività delle tutele. La sensazione è quella di ritornare sempre allo stesso punto32. L. Fantini, I recenti orientamenti comunitari in materia di salute e sicurezza, in DRI, 1996, n. 1, 274-279, nonché O. Bonardi, La sicurezza del lavoro nella comunità europea, nella Costituzione e nella legge di semplificazione n. 229/03, in RGL, 2004, n. 3, 437-444. 31 Council of the European Union, Amended proposal for a directive of the European Parliament and the Council on working conditions for temporary workers, 11th June 2008. 32 Si veda il contributo di C. Bizzarro, Da precisare meglio le responsabilità d’agenzia, in C. Bizzarro, A. Corvino, S. Spattini, Le nuove direttive europee su orario e lavoro tramite agenzia, in Boll. Adapt, 23 giugno 2008, n. 22. 30 9 II.1.4 La disciplina sull’orario di lavoro. Dalla direttiva 93/104 alla direttiva 2000/88. La regolamentazione degli orari di lavoro si posiziona tra i punti nevralgici del mutamento dei modelli organizzativi del lavoro. In questa sua specifica torsione è un importante strumento di gestione della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, ancor più alla luce del dato empirico in virtù del quale i lavoratori atipici/temporanei sono con più frequenza adibiti ad orari di lavoro flessibili ed al lavoro notturno, con preoccupanti dilatazioni del tempo di lavoro, a danno dei tempi di vita personale e con costi ingenti in termini di benessere psicofisico, come rilevato negli studi condotti sul tema33. Nel quadro normativo comunitario,le problematiche connesse all’orario di lavoro, sin dall’approvazione della Carta dei diritti sociali fondamentali, vennero concepite come funzionali alla ristrutturazione/flessibilità del tempo di lavoro e rilevanti non solo per i risvolti sulla concorrenza e produttività, ma anche sotto il profilo della tutela della salute dei lavoratori. L’idea regolativa, infatti, fu, sin dall’inizio, rivolta alla elaborazione di una direttiva ad ampio raggio che avrebbe dovuto contenere alcune norme minime in materia di durata massima del tempo di lavoro, di riposo, di congedi, di lavoro notturno, di lavoro nei fine settimana, di ore supplementari sistematiche. Il primo risultato si tradusse nell’adozione della direttiva 93/10434, dal contenuto decisamente più circoscritto rispetto all’originario progetto, poi integrata dalla direttiva 2000/3435, diretta ad estendere la precedente ai settori da essa non considerati. È tuttavia con la direttiva 2003/8836 che vengono fissati alcuni punti fondamentali in tema di durata settimanale dei riposi, di riposo,di lavoro a turni e periodo notturno, portando alla fissazione uniformante di definizioni e concetti cardine quali: orario di lavoro,periodo notturno, lavoratore notturno, lavoro a turni, riposo adeguato. Essa, affronta anche la questione cruciale della durata massima settimanale della prestazione lavorativa che non potrà superare le 48 ore per ogni periodo di 7 giorni, comprese le ore di lavoro straordinario. La direttiva d’altra parte non definiva la durata massima della prestazione lavorativa giornaliera, concentrandosi piuttosto sull’insieme della materia dei riposi (giornaliero,settimanale,annuale), fermo restando la facoltà per gli Stati Membri di applicare o introdurre disposizioni più favorevoli alla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. Altrettanto importanti le definizioni fissate in tema di ferie annuali, considerato che per alcuni paesi membri l’unica disciplina migliorativa sul punto era rappresentata dalla Convenzione ILO n. 132 del 197037. Quanto ai riposi giornalieri, poi, la direttiva fissa l’obbligo per gli Stati Membri di adottare le misure necessarie ad assicurare che ogni lavoratore benefici nel 33 European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, A new organization of time over working life, Office for Official Publications of the European Communities, Luxembourg, 2003, in voce Salute e sicurezza sui luoghi di lavoro; European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, Working time flexibility in European companies. Establishment Survey on Working Time 2004-2005, Office for Official Publications of the European Communities, Luxembourg, 2007, in voce Salute e sicurezza sui luoghi di lavoro; nonché, sul tema della conciliazione dei tempi vita-lavoro, European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, Working time and work-life balance in European companies. Establishment Survey on Working Time 2004-2005, Office for Official Publications of the European Communities, Luxembourg, 2006, in voce Salute e sicurezza sui luoghi di lavoro; European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, Combining family and full-time work, Dublin, 2005, in voce Salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. 34 Direttiva del Consiglio Europeo del 23 novembre 1993, n. 93/104/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, in voce Orario di lavoro. 35 Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 giugno 2000, n. 2000/34/CE, che modifica la Direttiva 93/104, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, al fine di comprendere i settori e le attività esclusi dalla suddetta direttiva, in voce Orario di lavoro. 36 Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 4 novembre 2003, n. 2003/88/CE, riguardante taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, in voce Orario di lavoro. 37 Convezione ILO n. 132, Holidays with Pay Convention (Revised), 24 giugno 1970, in voce Salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. 10 corso di ogni periodo di 24 ore, di un periodo minimo di riposo di 11 ore consecutive e per ogni periodo di 7 giorni, di un periodo di 24 ore, cui si sommano le 11 ora di riposo giornaliero, precisando che il riposo settimanale potrà essere determinato con riguardo a un periodo di riferimento non superiore a 14 giorni. Da segnalare è anche una disposizione in forza della quale ogni lavoratore deve godere, qualora l’orario di lavoro giornaliero superi le 6 ore, di una pausa le cui modalità e le cui condizioni vanno fissate dalla contrattazione collettiva, o in mancanza dalla legge38. La seconda parte della direttiva riguarda la regolamentazione del lavoro notturno e del lavoro a turni, considerato il crescente interesse da parte delle istituzioni comunitarie e dell’ILO sulla dissociazione fra orario di lavoro individuale e orario di funzionamento degli impianti, venendo sul piatto della bilancia da una parte esigenze di incremento della produttività, dall’altro potenziali nocività per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, connessi specificamente a queste forme di organizzazione del lavoro, come già visto nel capitolo introduttivo sulle nuove tipologie di rischio. essa appare in linea con la convenzione ILO n. 171 e la raccomandazione ILO n.178 del 199039. Più in particolare, in tema di lavoro notturno, la direttiva definisce l’orario di lavoro normale dei lavoratori notturni che non deve superare le 8 ore di media sulle 24 ore, considerati i rischi particolari che esso comporta o le rilevanti tensioni fisiche e mentali40. Importanti poi le disposizioni relative alla speciale valutazione dello stato di salute di questi lavoratori, che prima dell’adibizione al lavoro notturno hanno diritto a beneficiare di una valutazione gratuita del loro stato di salute ed in seguito alla loro assegnazione, ad intervalli regolari41. Incombono poi sul datore obblighi di protezione particolari, qualora motivi di salute rendano il lavoratore non più assegnabile al lavoro notturno, con diritto dello stesso di essere adibito, se possibile, a lavoro diurno42. La direttiva prevede altresì che sul datore che faccia regolarmente ricorso ai lavoratori notturni grava un obbligo di informazione nei confronti delle autorità competenti, oltre ala fatto che lo stesso datore è tenuto a garantire ai lavoratori notturni e a quelli inseriti in turni un livello di protezione in materia di salute e sicurezza adattato alla natura del loro lavoro43. La direttiva riserva tuttavia dei margini flessibilità, prevedendo possibilità di deroga sia a livello di contrattazione collettiva che a livello di contrattazione individuale. Essa tra l’altro, nella sua versione originaria, si asteneva dall’identificare il giorno del riposo settimanale con la domenica, rimettendo la relativa scelta agli Stati Membri ed evitando di porsi così in contrato con la pratica sempre più diffusa del weekend job, né è possibile riconoscere rilievo sostanziale alla pronuncia della Corte44 con cui la relativa previsione è stata annullata ed alla successiva abrogazione formale ad opera della direttiva 2000/3445. Va detto che la direttiva nel tempo è stata integrata da alcune direttive più specifiche dirette a colmare il vuoto rimasto per alcuni settori, quali il lavoro della gente di mare, degli addetti ai servizi di autotrasporto e sul personale di volo, categorie in merito alle quali, numerosi studi evidenziano il percolo di sviluppo di forti forme di stress ed alienazione, dovute anche alla Vedi art. 4 della direttiva. Convenzione ILO n. 171, Night Work Convention, 26 giugno 1990; Raccomandazione ILO n. 178, Night Work Recommendation, 26 giugno 1990, entrambe in voce Salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. 40 Vedi art. 8 della direttiva. 41 Vedi art. 9, lett. a), della direttiva. 42 Vedi art. 9, lett. b), della direttiva. 43 Vedi artt. 11 e 12 della direttiva. 44 C. Giust. 3 ottobre 2000, causa Simap. 45 Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 giugno 2000, n. 2000/34/CE, che modifica la Direttiva 93/104, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, al fine di comprendere i settori e le attività esclusi dalla suddetta direttiva, in voce Orario di lavoro. 38 39 11 eccessiva lunghezza del tempo di lavoro, e alla scarsa alternanza con il tempo di svago o vita familiare46. Nel complesso, comunque la disciplina dettata dalla direttiva 2000/88, è stata considerata da alcuni forse anche troppo aperta alle esigenze della flessibilità, non precisando la definizione normale di durata del lavoro e tacendo sulla soglia oltre la quale calcolare le ore di straordinario,nonostante la parte più strettamente attinente la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori è stata considerata del tutto inderogabile. Le pronunce della Corte di Giustizia in tema di orario di lavoro. Va detto inoltre che intorno alla disciplina dell’orario di lavoro direttiva 2003/88, si è sviluppata una prassi applicativa notevole, nell’ambito delle numerose pronunce della Corte di Giustizia, nelle quali si è affinata l’interpretazione della direttiva 93/104 prima e della direttiva 2000/88 poi, soprattutto in merito alle nozioni di orario di lavoro e di riposo, dalle stesse contemplate. Più in particolare in tema di definizione dell’orario di lavoro la Corte ha mantenuto nel tempo la propria concezione rigorosamente binaria del tempo, ribadendo che la nozione di orario di lavoro, va intesa in opposizione al periodo di riposo e che entrambe sono definizioni di diritto comunitario da definirsi secondo criteri oggettivi47. Così anche in tema di riposi, la Corte ebbe modo di affermare l’illegittimità delle disposizioni ordinamentali di uno Stato Membro che non prevedano l’obbligo, ma la mera facoltà per il datore di lavoro di garantire ai lavoratori i riposi giornalieri o settimanali. Così altrettanto importante la pronuncia nei confronti del ricorso promosso dal Regno Unito per l’annullamento della direttiva, nel quale la Corte ebbe a precisare che non vi sono disposizioni del trattato che inducano ad interpretare le nozioni di ambiente di lavoro,sicurezza e salute in modo restrittivo e non in senso ampio, ciò inerente al tempo stesso tutti i fattori, agenti fisici, chimici e biologici e di altra natura, capaci di incidere sulla salute e sicurezza del lavoratore, tra cui proprio certi aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro48. Va detto poi, che la disciplina comunitaria dell’orario d lavoro, nella sua torsione prevenzionale, si incrocia anche con alcune disposizioni contenute nelle direttive a tutela dei lavoratori vulnerabili. Si fa riferimento in particolare alla direttiva 93/10449 che contempla specifici divieti di assegnazione dei bambini e degli adolescenti al lavoro notturno, rispettivamente dalle 20 alle 6, e dalle 22 alle 6, nonché puntuali prescrizioni in tema di coordinamento con l’assolvimento degli obblighi scolastici, considerato che, come alcuni studi dimostrano, la particolare interrelazione negativa tra salute, qualità del lavoro e qualità del rendimento scolastico dei giovani lavoratori, in età scolare a causa di una peggiore qualità del sonno ed ala calo globale dei livelli di attenzione50. Altresì rilevanti le interrelazioni con il tema del lavoro femminile,con particolare riferimento al divieto per il datore di lavoro di obbligare la lavoratrice gestante o puerpera al lavoro notturno. Tale disposizione fu inoltre molto discussa in quanto latrice di una disciplina di minor favor per la lavoratrice rispetto alle previsioni della convenzione ILO n. 171 del 199051, tant’è che la stessa è stata oggetto di pronuncia della Corte52, che ha ribadito la possibilità che le donne in gravidanza o 46 CIRM, Lo stress nel lavoratore del comparto marittimo, in Atti della Settimana del Cervello (Brain Awareness Week), 2008, nonché H.L. HANSEN, Surveillance of death on Board Danisch Merchant Ships, in Difesa Sociale, 2005, vol. LXXXIV, n. 2, 129-136. 47 C. Giust. 9 settembre 2003, causa C-151/02. 48 C. Giust. 12 novembre 1996, Regno Unito v. Consiglio. 49 Direttiva del Consiglio, del 22 giugno 1993, n. 93/104/CE, relativa alla protezione dei giovani sul lavoro, in voce Orario di lavoro. 50 L. Eeckelaert, Well-being of young persons at work. Literature survey on the topic, Prevent Focus, 2006, n. 7, nonché L.R. Teixeira, F.M. Fischer, A. Lowden, Sleep deprivation of working adolescents – A hidden work hazard, in Scandinavian Journal of Work, Environment and Health, agosto 2006, vol. 32, n. 4, 328-330. 51 Convenzione ILO n. 171, cit. 52 C. Giust. 13 marzo 1997, causa C-197/96. 12 in allattamento possano essere adibite al lavoro notturno, ferme restando delle certificazioni contemplate dalla direttiva 92/8553. La nuova direttiva sull’organizzazione dell’orario di lavoro. Non si nasconde tuttavia che la disciplina dell’orario di lavoro continua a destare conflitti interpretativi tra gli Stati Membri e maggiori preoccupazioni per le implicazioni sulla salute e sicurezza, considerato il ricorso sempre più diffuso a moduli organizzativi degli orari di lavoro,estesi, dilatati, come lo shift working, o il long working time, cui sempre più frequentemente sono assegnati i lavoratori non standard ed in relazione ai quali si evidenziano particolari criticità per il loro benessere psicofisico54. Ciò ripropone costantemente il tema delle tutele,sospeso tra esigenze di sicurezza ed esigenze di produttività. Del resto già da tempo si parlava della necessità di una nuovo intervento comunitario in tema di orario di lavoro, che è attualmente al vaglio del Parlamento europeo a seguito della recente proposta del Consiglio del 11 Giugno 2008, forse non a caso concepita parallelamente all’accordo politico in tema di condizioni del lavoro tramite agenzia. Più in particolare, il progetto di direttiva su «taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario» di lavoro è il frutto di una complessa negoziazione. Molti sono i temi controversi. Si ripropone la questione, già posta al vaglio della Corte di Giustizia, se debba o meno qualificarsi come “orario di lavoro” il periodo di attesa e reperibilità nella sua interezza, comprendendo anche il periodo di non attività. La proposta di direttiva prevede al riguardo che, salvo diverse previsioni dei contratti collettivi o della legislazione nazionale, si distingua tra tempo di reperibilità attivo (cioè quando il lavoratore è chiamato ad eseguire effettivamente la propria prestazione) ed inattivo (cioè di mera reperibilità) e che solo il primo sia incluso nell’orario di lavoro. Il punto maggiormente critico riguarda poi la possibilità di disapplicare la durata massima settimanale di lavoro (48 ore comprese le ore di straordinario), se il lavoratore dichiara il suo assenso (clausola cosiddetta di “non partecipazione” o opting out). La direttiva ribadisce al riguardo che la media della durata massima dovrà rimanere di 48 ore. Tuttavia, saranno permesse deroghe al limite settimanale, consentendo in tal modo accordi flessibili qualora i lavoratori accettino di lavorare più a lungo, a patto che tale possibilità sia contemplata dai contratti collettivi o dalla legge nazionale. Se il Parlamento Europeo dovesse ratificare l’accordo politico, la concreta applicazione dei principi comunitari negli ordinamenti nazionali dipenderà comunque da come questi verranno recepiti a seguito della concertazione con le parti sociali, specialmente in sede sindacale e dal livello di rigidità in tale sede adottata, rendendo più o meno restrittivo l’utilizzo dello straordinario. L’alternativa sarà ancora una volta, quella fra la possibilità di coniugare le richieste di produttività con le esigenze di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori e quella di rimanere ancorati ad una disciplina rigida e non al passo con il confronto con i partner europei storicamente caratterizzati da un approccio più flessibile sul tema55. Direttiva del Consiglio del 19 ottobre 1992, n. 92/85/CEE, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, in voce Sicurezza (obbligo di). 54 C. Caruso, E. Hitchcock, R. Dick, J. Russo, J. Schmit, Overtime and Extended Work Shifts: Recent Findings on Illnesses, Injuries, and Health Behaviors, U.S. Department of Health and Human Services Centers for Disease Control and Prevention National Institute for Occupational Safety and Health, April 2004, nonché J.M. Harrington, Health effects of shift work and extendedhours of work, in British Medical Journal, gennaio 2001, vol. 58, 68-72. 55 Si veda il contributo di A. Corvino, Direttiva a orologeria, in C. Bizzarro, A. Corvino, S. Spattini, Le nuove direttive europee su orario e lavoro tramite agenzia, in Boll. Adapt, 23 giugno 2008, n. 22. 53 13 II.2. Le fonti ILO in materia di lavoro delle categorie vulnerabili (donne, giovani, fanciulli, minori, lavoratori maturi ed immigrati) e tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. II.2.1 Introduzione: L’approccio dell’ILO alla Promozione del Lavoro Sicuro. Questa sezione della relazione presenta, in un quadro comparato con il sistema dell’Unione Europea, gli standard adottati e i programmi sviluppati dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL)1 riguardo alla sicurezza e alla salute sul lavoro (OSH), con il focus specifico sulle sfide emergenti rappresentate dalle nuove forme di contratto di lavoro ed i nuovi modelli organizzativi del lavoro. Sin dalla sua fondazione nel 1919, l’OIL ha fatto della promozione della sicurezza e della salute sul lavoro il suo obiettivo primario. A questo scopo l’OIL ha adottato più di 40 standard e 40 codici di pratiche riguardo alla sicurezza e alla salute del lavoratore2. Alcune delle convenzioni, raccomandazioni e codici di pratica riguardano gli aspetti essenziali o generali della sicurezza e della salute occupazionale, mentre gli altri sono mirati a specifici rischi o settori dell’attività economica3. Nonostante il volume mondiale senza precedenti delle ricerche e dell’attività dell’OSH, comunque, le stime globali degli infortuni e delle malattie occupazionali piuttosto che diminuire sono rimaste statiche per l’ultimo decennio. In più, tali tassi aumentano nei paesi aventi una rapida industrializzazione dovuta alla globalizzazione4. Inoltre, l’incidenza degli infortuni e delle malattie non è neanche distribuita tra paesi. Certe popolazioni di lavoratori, inclusi lavoratori più anziani, gli immigrati e quelli che lavorano nel sommerso sono più vulnerabili ad altre. Il riesame delle cifre relative ai problemi di OSH a livello mondiale rivela sia i costi sbalorditivi che , più ottimisticamente, le tremende opportunità di miglioramento. Le stime recenti basate su dati del 2003, per esempio, indicano che 2.3 milioni di persone muoiono ogni anno per malattie e incidenti sul posto del lavoro5. Approssimativamente 337 milioni di persone ogni anno riportano incidenti non mortali6. Il costo di questi incidenti e malattie, tanti dei quali possono essere prevenuti, è astronomico. L’OIL stima che il loro ammontare sia pari a circa il 4 per cento del PIL globale7. Mentre questi costi rappresentano un salasso per lo sviluppo e la produttività, gli sforzi per combattere gli esiti negativi dell’OSH sono, comunque, spesso scollegati ed isolati8. In riscontro, l’OIL incoraggia l’approccio sistematico all’OSH a livello nazionale e aziendale. Il recente lavoro dell’OIL mira a sollevare la consapevolezza sulle tematiche di OSH, a facilitare lo scambio di conoscenze e informazioni, a incoraggiare i programmi preventivi malattie e infotunie, e, tramite le tecniche di monitoraggio e management, a generare continui miglioramenti del 1 OIL, un’agenzia specializzata degli Stati Uniti con 182 stati membri, è incaricata a promuovere la giustizia sociale e i diritti internazionali del lavoro e dell’uomo. 2 Lavoro Sicuro e Luoghi Sani: Fare Diventare Lavoro Decente una Realtà, OIL: Ginevra, 2007 (da qui in avanti “Fare Diventare Lavoro Decente una Realtà”). 3 Una convenzione è uno strumento internazionale, che dopo la ratifica vincola uno stato membro come un accordo multilaterale. Una raccomandazione, invece, è per la sua natura consultivo e spesso fornisce particolari su un tema coperto da convenzione. Un codice di pratica, che come una raccomandazione non è uno strumento legale vincolante, fornisce consigli su un tema particolare ai costituenti dell’Oil e agli altri. Codici di pratica spesso prendono forma di dettagliate e tecniche specificazioni. 4 Al di là delle Morti e Ferite: Il Ruolo dell’OIL nel Promuovere Lavori Sicuri e Sani, OIL: Ginevra, 2008, (da qui in avanti “Al di là delle Morti e Ferite”). 5 Id at 1. 6 Id. 7 Fare Diventare Lavoro Decente una Realtà, in 1;vedi anche J. Takala,Relazione Introduttiva: Lavoro DecenteLavoro Sicuro (2002), in 7. 8 Oltre le Morti e Ferite. 14 sistema di OSH. Questo approccio sistematico è incarnato nella nuova convenzione adottata nel 2006, Convenzione sul quadro promozionale per la Sicurezza e Salute sul luogo di lavoro (No. 187) , e nella sua raccomandazione di accompagnamento, la Raccomandazione sul quadro promozionale per la tutela della Sicurezza e Salute sul lavoro (No. 197). Questi strumenti sono designati per facilitare l’approccio motivato e organizzato all’OSH, incoraggiare il riconoscimento delle convenzioni in materia, promuovere il lavoro sicuro e una cultura preventiva sulla salute e sicurezza a livello nazionale. Insieme alla Strategia Globale dell’OIL sulla Salute e sicurezza sul lavoro del 2003, questa metodologia sistematica è uno strumento per conseguire gli obiettivi dell’Agenda sul Lavoro Decente dell’OIL ed è direttamente collegata alla promozione dei diritti fondamentali dei lavoratori. Promozione del Lavoro Decente e dei Diritti Fondamentali dei lavoratori attraverso il Lavoro Sicuro. Promuovere il lavoro sicuro è il punto focale dell’Agenda del Lavoro Decente dell’OIL. Adottata nel 1999, l’agenda è una strategia per gestire e realizzare la giusta globalizzazione, lo sviluppo sostenibile e lo sradicamento della povertà. Composta da quattro obiettivi, l’Agenda del Lavoro Decente cerca di: 1) promuovere gli standard internazionali del lavoro, i principi e i diritti fondamentali dei lavoratori; 2) creare le opportunità di impiego reali di qualità accettabili 3) ottenere e migliorare la previdenza sociale;e 4) promuovere il dialogo sociale come meccanismo di risoluzione dei conflitti, ottenere equità, creare e attuare la politica9. Le buone pratiche di OSH sono essenziali per il raggiungimento di questi obiettivi. L’OIL sostiene quanto segue: Tanti degli standard internazionali creati sin dalla fondazione dell’OIL … si rivolgono ai temi relativi alla sicurezza e salute sul lavoro. Il lavoro può essere decente solo se sicuro e sano. La sicurezza e la salute sul lavoro rientrano direttamente nella categoria della protezione sociale. E il dialogo sociale è uno degli strumenti chiave per fare diventare il lavoro sicuro e sano10. Un’affermazione succinta sul collegamento tra OSH e i diritti fondamentali del lavoro è stata fatta il 29 giugno 2008 nella Dichiarazione di Seoul sulla Sicurezza e Salute sul Lavoro11, descritta dall’OIL come un documento apprezzato e senza precedenti. Nella dichiarazione si trova la seguente deposizione: “Il diritto a un ambiente di lavoro sicuro e sano deve essere riconosciuto come un fondamentale diritto umano”12. Questa affermazione potrebbe ridurre le critiche sulla Dichiarazione dell’Oil sui Fondamentali Principi e Diritti dei lavoratori, 1998, che non è riuscita ad includere la protezione dell’OSH come uno standard essenziale del lavoro13. Mentre non attesta ancora che il lavoro sicuro è un diritto umano, la Dichiarazione di Seoul fa un passo importante verso il riconoscimento globale di questo diritto nell’ambito degli obiettivi perseguiti dall’OIL14. 9 Vedi Roger Blainpain, Susan Bisom-Rapp, William R. Corbett, Hilary K. Josephs, & Michael J. Zimmer, Posto di lavoro Globale: Diritto Internazione 57 (2007). 10 Fare Diventare Lavoro Decente una Realtà, a 1. 11 Dichiarazione di Seoul sulla Sicurezza e Salute del Lavoro, 29 June 2008, è disponibile su: http://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/---dgreports/---dcomm/documents/statement/wcms_095910.pdf. La Dichiarazione è stata recensita al primo Summit sulla Sicurezza e Salute ad alto livello, ed è stata firmata dai prossimi ai 50 decisori di alto livello da tutto il mondo, compreso il Direttore Esecutivo dell’OIL per la Previdenza Sociale Assane Diop. 12 Id. 13 Vedi, p.e., Sarah H. Cleveland, Perché gli Standard Occupazionali Internazionali negli Standard Occupazionali Internazionali:Globalizzazione, Commercio e Politica Pubblica 129, 156-157 (Robert J. Flanagan & William B. Gould IV, eds. 2003). 14 Dichiarazione del 1998 elenca 4 principi lavorativi che si elevano al livello di diritti umani: 1)libertà di associazione e diritto alle trattative collettive; 2) eliminazione del lavoro forzato o obbligatorio; 3) abolizione del lavoro infantile; e 4) eliminazione della discriminazione nel impiego e occupazione. Alain Supiot sostiene che il nuovo consenso sulla previdenza sociale raggiunto dalla Conferenza Internazionale del lavoro dell’OIL nel 2001 “chiarisce che la lista dei diritti fondamentali [nella Dichiarazione del 1998] non è limitata ai quattro … principi” e che “priorità di azione” 15 II.2.2 Il quadro promozionale OIL per la tutela della Salute e sicurezza sul lavoro. Nel 2006 il Congresso Internazionale sul Lavoro dell’OIL15 ha adottato la convenzione sul quadro promozionale per la tutela della salute e sicurezza sul lavoro Occupazionale (No. 187) e la sua raccomandazione di accompagnamento, Raccomandazione sul quadro promozionale per la tutela della salute e sicurezza sul lavoro Occupazionale (No. 197). La Convenzione 187 entrerà in vigore nel febbraio del 2009. Ad oggi essa è stata ratificata dai seguenti stati: Cuba, Finlandia, Giappone, la Repubblica di Corea, Svezia e il Regno Unito16. L’UE promuove la ratifica della Convenzione187 come una parte della sua Strategia sulla Salute e Sicurezza negli ambienti di lavoro per il periodo 2007-2001217. La convenzione non è prescrittiva; essa non specifica modo molto dettagliato i particolari requisiti per raggiungere progressi nel campo dell’OSH, potendo essi variare da paese a paese. Essa può considerarsi di natura promozionale. Lo strumento cerca di incoraggiare maggior impegno verso gli obiettivi di OSH da parte degli stati membri dell’OIL. Basata su due concetti chiave – sviluppare una cultura preventiva dell’OSH e applicare un approccio sistematico alla gestione dell’OSH – la convenzione mira a incoraggiare un continuo miglioramento18. La Convenzione 187 imposta tre strumenti per raggiungere un miglioramento dinamico dell’OSH. Anzitutto essa impegna i firmatari a formulare una politica nazionale tramite la consultazione tra i datori di lavoro e le organizzazioni dei lavoratori. Nel delineare la politica, gli Stati membri si impegnano a valutare e a combattere i rischi e i pericoli, e a sviluppare una cultura dell’OSH basata sull’informazione, sulla consultazione e sulla formazione. La Raccomandazione 197 suggerisce che nell’escogitare una politica nazionale, gli stati membri “prendano in considerazione la Parte II della Convenzione sulla Sicurezza e la Salute Occupazionale,1981 (No. 155)” che esige la formulazione di una coerente politica nazionale in tema di OSH che miri a minimizzare i pericoli nei luoghi di lavoro. A sostenere la politica nazionale è un sistema nazionale o infrastruttura dell’OSH. Come sottolineato nella convenzione, un tale sistema deve comprendere: • Leggi e regolamenti, e dove necessario accordi collettivi; • Un’autorità o organismo di regolamentazione, ovvero più autorità o organismi responsabili in tema di OSH; • Meccanismi flessibili per assicurare l’osservanza delle leggi e dei regolamenti, compreso il sistema dell’ispezione del lavoro; e • Disposizioni per promuovere la cooperazione a livello aziendale tra i datori di lavoro, i lavoratori e i loro rappresentanti come parte degli sforzi preventivi dell’OSH. Gli aspetti addizionali di un sistema nazionale di OSH comprendono, dove è appropriato: una direzione consultiva tripartita di; servizi informativi; formazione; servizi di salute occupazionale; ricerca sul campo; un meccanismo per la raccolta e l’analisi dei dati OSH; disposizioni per incoraggiare la collaborazione con le assicurazioni ed i sistemi di previdenza sociale; meccanismi può essere estesa su altri principi che implicano la previdenza sociale. Alain Supiot, Posizione della previdenza Sociale nel Sistema degli Standard Internazionali del Lavoro , 27 Comp. Lab. L. & Pol’y J. 113, 118-119 (2006). 15 Each June, member states send tripartite delegations to the International Labour Conference (ILC) in Geneva. The International Labour Conference functions as an international labour parliament. Among the important tasks of the ILC is the approval of conventions and recommendations. 16 Promozionale Convenzione quadro per la Sicurezza e Salute Occupazionale (No. 187), Ratifiche, disponibili su: http://www.ilo.org/ilolex/cgi-lex/ratifce.pl?C187 (ultimo accesso il 13 Agosto 2008). 17 Vedi Comunicazione dalla Commissione al parlamento Europeo, il Consiglio, Comitato Europeo Economico e Sociale e il Comitato delle Regioni, Migliorando Qualità e Produttività al Lavoro: Strategia Comunitaria 2007-2012 Salute e Sicurezza sul lavoro, Bruxelles, 2007, a 14. 18 Oltre le Morti e Ferite, a 2. 16 di supporto progettati per assistere le micro-imprese, piccole e medie imprese e quelle operanti nell’economia sommersa. La Raccomandazione 197 fa particolare riferimento a quei lavoratori che sono maggiormente a rischio di infortuni e malattie, sottolineando che un sistema nazionale deve comprendere appropriate misure per proteggere i lavoratori delle industrie ad alto rischio e “i lavoratori vulnerabili tanto quanto come quelli che lavorano nel sommerso, gli immigrati ed i giovani”19. La raccomandazione inoltre fornisce agli stati membri istruzioni per “adottare le misure per proteggere la salute e la sicurezza dei lavoratori di ambo i sessi, con riferimento alla protezione della salute riproduttiva”20. Infine, gli stati membri, ratificando la convenzione, devono sviluppare e implementare, in consultazione con i datori di lavoro e le organizzazioni dei lavoratori, un programma nazionale di OSH. Il programma deve comprendere gli obiettivi di OSH da raggiungere, le priorità di azione, predeterminati limiti di tempo e gli strumenti per valutare il progresso. Gli stati membri devono pubblicizzare al massimo il programma ed essa deve essere appoggiato, entro i limiti del possibile, dalle più alte istituzioni statali. Al fine di costruire un programma ampio in tema di OSH, la raccomandazione suggerisce agli stati membri di preparare e regolarmente aggiornare un profilo nazionale. È essenziale un inventario di strumenti e risorse di OSH di un Paese; il profilo nazionale mira a provvedere i dati essenziali per l’impostazione delle priorità e, tramite un aggiornamento regolare, per misurare il progresso. Laddove si identificano le imperfezioni il profilo nazionale può agire come un catalizzatore per un miglioramento continuo21. Come è stato notato sopra, la promozione di una cultura preventiva di sicurezza e salute a livello nazionale integra il quadro di OSH. Una recente relazione dell’OIL dice: Costruire e mantenere “una cultura preventiva di sicurezza e salute a livello nazionale” significa aumentare la consapevolezza, la conoscenza e la comprensione generale del concetto di pericolo e di rischio, cominciando dall’età dell’istruzione primaria e continuando per tutta la durata della vita lavorativa. Una tale cultura richiede lo sviluppo delle pratiche che contribuiscono alla prevenzione e al controllo dei rischi su tutti i livelli. Essa può essere significativamente accresciuta da una forte leadership e un visibile impegnoverso alti standard di salute e sciurezza.22 Per facilitare lo sviluppo di una cultura nazionale di OSH, la raccomandazione 197 suggerisce che i governi, le organizzazioni dei lavoratori e le organizzazioni dei datori di lavoro promuovano lo scambio delle informazioni, l’istruzione, la formazione, la cooperazione, i comitati comuni di sicurezza e salute, e la nomina dei rappresentanti dei lavoratori di OSH. Il dialogo sociale è, quindi, una componente essenziale nel costruire una cultura preventiva di sicurezza e salute a livello nazionale. La Strategia Globale 2003 sulla Sicurezza e Salute Occupazionale. Adottata dal Congresso Internazionale del Lavoro dell’OIL nel 2003, la Strategia Globale sulla Salute sicurezza sul lavoro cerca di ispirare maggiori sforzi nazionali ed internazionali a ridurre il tasso degli infortuni e delle malattie professionali, promuovendo una cultura preventiva di OSH a livello nazionale e abbracciando un approccio sistematico alla gestione della sicurezza e salute nei luoghi di lavoro.23 La strategia si compone di cinque punti ed esige : • Promozione, aumento della consapevolezza e protezione rispetto alle tematiche di OSH; • Promulgazione e revisione degli strumenti OIL in tema di OSH; Id. a Parte II (4). Id. at Part II (4). 21 Oltre le Morti e Ferite, a 5-6. 22 Fare Diventare Lavoro Decente una Realtà, a 8. 23 Strategia Globale sulla Sicurezza e Salute Occupazionale; Conclusioni adottate da Conferenza Internazionale del Lavoro alla sua 91 sessione, OIL: Ginevra, 2004, a 2-3. 19 20 17 • Adozione da parte dell’OIL dell’assistenza e del supporto tecnico per i paesi in via di sviluppo e quelli in via ditransazione per rinforzare le capacità e i programmi di OSH; • Promozione e miglioramento dello sviluppo, della gestione e della diffusione della conoscenza in tema di OSH ; e • Incoraggiamento della collaborazione internazionale sui temi di OSH. La strategia non solo promuove un rinnovato impegno globale all’OSH, ma i cinque punti di azione sono anche gli strumenti per valutare le attività dell’OIL sul tema. Per esempio, revisionando le attività promozionali dell’OIL, la relazione del 2005 sottolinea che la Giornata Mondiale della Sicurezza e Salute sul Lavoro dell’OIL, tenuta ogni anno il 28 aprile, è un importante strumento per promuovere l’OSH a livello internazionale. 24 Altro significativo evento promozionale è il Congresso Mondiale sulla Sicurezza e Salute sul Lavoro, una conferenza globale tenuta ogni tre anni che offre all’OIL un’opportunità di entrare nei particolari del proprio lavoro su OSH e raccoglie insieme i maggiori esperti del campo.25 Allo stesso modo, la relazione dell’OIL 2008, Beyond Deaths and Injuries, contiene un dettagliato resoconto del recente lavoro dell’OIL in relazione ai cinque punti di azione esaminati.26 Riguardo alla promulgazione e la revisione degli strumenti di OSH, la relazione sottolinea che la Lista delle Malattie Occupazionali, allegata alla Raccomandazione sulle Malattie Occupazionali del 2002 (No. 194), è in corso di revisione. Il lavoro sulla lista è iniziato nel 2005 e il gruppo di Esperti concluderà il progetto nel 2009.27 In termini di assistenza tecnica, la relazione del 2008 sottolinea il lavoro significativo svolto dall’OIL nei Paesi Arabi ed Asiatici nell’ assistere gli stati membri nell’implementare la Convenzione No. 187 e la sua raccomandazione di accompagnamento.28 Essa fa riferimento anche alle iniziative di modernizzazione e rinforzo dei sistemi governativi di ispezione del lavoro, inclusa la promozione di una ratifica a più ampio raggio della Convenzione sull’Ispezione del Lavoro del 1947 (No. 81) e della Convenzione sull’Ispezione del Lavoro (Agricoltura) del 1969 (No. 129).29 Per quello che riguarda la diffusione della conoscenza, la relazione del 2008 fa riferimento ai lavori e alle informazioni rese disponibili tramite il Centro Internazione di Informazione sulla Salute e Sicurezza sul lavoro (CIS), un unità del Programma Lavoro Sicuro dell’OIL. Gli sforzi del CIS in tale direzione comprendono il sostanzioso sito internet: Il sito web del CIS contiene l’accesso al suo stesso database coprendo le informazioni bibliografiche e per argomenti su vari aspetti concernenti l’OSH ed è disponibile gratuitamente tramite Internet. È diventato uno dei portali principali per le informazioni in tema di OSH nel mondo, ricevendo circa 1.2 milioni di visite ogni mese. La sua componente maggiore è costituita dall’Enciclopedia della Salute e Sicurezza sul lavoro dell’OIL, che – in aggiunta alla sua versione originale in sette lingue – è disponibile attraverso il sito web … Il database bibliografico del CIS, con 70,000 note, è la guida principale alla letteratura mondiale in tema di OSH.30 Infine, la relazione del 2008 fornisce informazioni sulla promozione da parte dell’OIL della collaborazione internazionale. L’OIL, per esempio, è un partner dell’ Organizzazione Mondiale della sanità (WHO) nel Programma Comune Globale ILO/WHO per l’Eliminazione della Silicosi.31 L’OIL collabora anche ad un Programma Inter-Organizzativo per la Gestione Sana Relazione Introduttiva: Lavoro Decente- Lavoro Sicuro (2002), OIL: Ginevra, 2005, a 18 (da qui in avanti “Lavoro Sicuro”). 25 Id. at 19. 26 Oltre le Morti e Ferite, a 7-15. 27 Id. at 8. 28 Id at 9. 29 Id. at 11. 30 Id. at 12. 31 Id. 24 18 delle Sostanze Chimiche, che ha sviluppato, con l’OIL in qualità di membro, Il Sistema Globale Armonizzato di Classificazione ed Etichettatura delle Sostanze Chimiche. 32. Linee guida sui sistemi di gestione della salute e sicurezza. Nel 2001 l’OIL ha pubblicato Le Linee Guida sui sistemi di gestione della salute e sicurezza: OIL-OSH 200133 al fine di promuovere il continuo miglioramento delle prestazioni a tutela della salute e sicurezza nell’ambito delle organizzazioni aziendali. Più in particolare, l’OIL, cerca, attraverso le line guida volontarie di incoraggiare I datori di Lavoro, gli imprenditori, i manager, i lavoratori ed i loro rappresentanti ad abbracciare i principi di gestione della sicurezza dalla stessa posti, in modo da far progredire i risultati in materia.34 Supportare la tradizionale regolamentazione fondata sulla tecnica del comando e controllo, I datori di Lavoro sono urgentemente tenuti ad adottare un sistema di gestione della salute e sicurezza composto da cinque elementi: • Promulgazione, a seguito di consultazione con I lavoratori, di una politica di tutela della salute e sicurezza per le imprese; • Organizzazione di attivita’ a tutela della salute e sicurezza che consenta la individuazione e la suddivisione delle responsabilità e la accountability degli obiettivi e delle performance di tutela della salute e sicurezza, lo sviluppo delle competenze e della formazione, ed un sistema di documentazione; • Pianificazione di sistema, attraverso una revisione organizzativa iniziale, e l’implementazione degli obiettivi di tutela della salute e sicurezza, inclusa l’adozione di misure di prevenzione e controllo; • Valutazione, consistente nel monitoraggio, misurazione, ricerca, audit e management review; • Azione di sviluppo. L’ OIL rappresenta graficamente il suo ciclo di miglioramento continuo della gestione della salute e sicurezza, come segue:35. Id. at 13. Guidelines on Occupational Safety and Health Management Systems, ILO: Geneva, 2001. 34 Id. at 1.3(b). 35 Beyond Deaths and Injuries, at 34. 32 33 19 I sistemi di gestione della salute e sicurezza, basati sulle line-guida OIL 2001, sono attualmente presenti in molti paesi. L’OIL ci informa del fatto che essi sono stati inclusi nel programma nazionale del Kazakhistan ed adottati da organizzazioni presenti in Russia ed in America. Inoltre l’organizzazione Francese che pone gli standard della salute e sicurezza, AFNOR, sta promuovendo l’implementazione delle Linee Guida OIL 2001 e la certificazione. Attraverso il supporto della AFNOR, più di 30 imprese sono state certificate sino ad oggi thus far.36. II.2.3 I rischi emergenti, Le nuove forme di organizzazione del Lavoro ed I gruppi di lavoratori vulnerabili. L’OIL nutre grande interesse per i tentativi fatti dall’Unione Europea di applicare processi di previsione per l’identificazione dei rischi emergenti in tema di salute e sicurezza sul lavoro. In particolare l’istituzione di un di un Osservatorio Europeo dei Rischi e la pubblicazione di report contenenti previsioni sul tema, che supporta l’OIL nel valutare lo sviluppo delle sfide per la tutela della salute e sicurezza.37 E’ stata così paventatata la possibilità della nascita di un sistema di 36 37 20 Id. at 10-11. Id. at 16. previsione globale, in tema di salute e sicurezza, in cui l’ OIL rivesta un ruolo fondamentale.38 Il report sotto riportato esamina gli sforzi dell’Oil nel confrontare e contrastare le problematiche di salute e sicurezza associate alle nuove tipologie contrattuali e alle nuove forme di organizzazione del lavoro. Nuove forme di organizzazione del Lavoro e Lavoro Precario. Se per certi versi la richiesta di flessibilità ha portato a risultati positivi, dall’altra parte, sotto il profilo della gestione della salute e sicurezza essa ha profondamente inciso sui lavoratori, soprattutto a seguito della diffusione del lavoro atipico. Le nuove tipologie di Lavoro, tra cui il lavoro a domicilio, il telelavoro, il lavoro nei call-center, l’ outsourcing ed il lavoro temporaneo, hanno particolari implicazioni sotto il profilo della tutela della salute e sicurezza.39 L’OIL ha identificato un certo novero di rischi fisici e psicosociali che possono essere aggravate o amplificati,inoltre, dalla job insecurity, dalla scarsa presenza di ergonomia e dall’insufficiente formazione, spesso legati al Lavoro precario. Tra i rischi fisici si annoverano: • Assenza di attivita’ fisica; • Rischio termico e assenza di confort esasperati dalla scarsa consapevolezza su come affrontarli, specialmente nel settore agricolo ed in quello dell’edilizia; • Rischi associati alle vibrazioni in uno con le posture scorrette e l’adibizione a lavori pesanti; • Rischi multifattoriali tra cui problemi di natura ergonomica, carichi mentali, e scarsa organizzazione del lavoro, in luoghi di lavoro come i call-center; • Rischi fisici legati allo strain mentale ed emozionale causato dalla complessità delle nuove tecnologie, dei processi di lavoro e delle interazioni uomo-macchina.40 Per quanto concerne i rischi psicosociali, l’OIL ha sottolineato che lo stress, legato al lavoro precario, all’intensificazione del lavoro e alle molestie può avere effetti negativi sul benessere dei lavoratori.41 In ogni caso, sia I rischi fisic che psciosociali possono essere ridotti dal fatto di affrontare in modo sistematico un dato problema, provvedendo alla formazione dei lavoratori e promuovendo la consapevolezza dei lavoratori sui propri diritti.42 In breve, dall’analisi e dal confronto dei rischi emergenti, è possibile minimizzare il loro verificarsi. Stress e violenza nei luoghi di lavoro. L’incoraggiamento di iniziative che promuovano l’analisi e l’intervento positive possono rintracciarsi tra gli sforzi dell’OIL per affrontare il problema dello stress e della violenza nei luoghi di lavoro. Un rapporto commissionato dall’OIL, redatto da Helge Hoel, Kate Sparks and Cary L. Cooper, a tal riguardo esplora nel dettaglio la minaccia per il benessere dei lavoratori rappresentato dallo stress e dalla violenza, i fattori socioeconomici e demografici che accentuano il problema, nonché i possibili interventi che possono diminuire il rischio da stress, violenza, bullying e molestie.43 Nel report si evince un approccio sistematico al problema, molto coerente con l’approccio adottato dall’OIL in tema di salute e sicurezza sul lavoro più in generale. Descrivendo I possibili interventi per contrastare la violenza nei luoghi di lavoro, gli autori mettono a punto quattro fondamentali prerequisiti per il successo del programma: 1) motivazione del management e coinvolgimento dei lavoratori; 2) analisi del luogo di lavoro; 3) prevenzione e controllo degli Id. J. Benach & C. Muntaner, Precarious Employment and Health: Developing a Research Agenda, 61 J. Epidemiol Community Health 276-277 (2007). 40 Beyond Deaths and Injuries, at 17. 41 Id. at 18-19 42 Making Decent Work a Reality, at 5. 43 Helge Hoel, Kate Sparks & Cary L. Cooper, The Cost of Violence/Stress at Work and the Benefits of a Violence/Stress Free Environment, ILO: Geneva, 2001. 38 39 21 incidenti sul lavoro; 4) formazione. 44 In tutto il report si sottolinea l’importanza di un previo programma di valutazione. Per esempio, pur ammettendo la mancanza di ricerche sulla effettività dei programmi anti-bullying, Hoel ed I suoi colleghi mettono a punto una lista di meccanismi che debbono accompagnare la politica di valutazione, tra cui: exit interviste, che aiutino a determinare le ragioni delle incongruenze organizzative; tassi di assenteismo; monitoraggio dei reclami formali ed informali; indagini di staff surveys.45 Altrettanto indicative di un approccio integrato alla violenza sul Lavoro è il codice di buone pratiche per il settore dei servizi pubblicato dal Sectoral Activities programme dell’OIL.46 Il codice istituisce un premio sulle condotte di gestione del rischio, sulle misure di controllo e sul livello di preparazione e di risposta al verificarsi di un incidente. E’ possibile accedere al codice e ad una serie di working paper sulla violenza in vari settori, tra cui il settore dell’educazione, dei servizi finanziari, spettacolo, del giornalismo e dei settori dei trasporti e delle poste, attraverso il sito ufficiale dell’OIL.47. Il telelavoro. Analogamente a quanto fatto in relazione alla violenza e allo stress, l’OIL adotta un approccio sistematico per il telelavoro. Un report OIL del 2001, The High Road to Teleworking,48 definisce in senso ampio il telelavoro come un “lavoro che si svolge fuori da un ufficio centrale o centro di produzione ed è basato sulle telecomunicazioni o sulle avanzate tecnologie dell’informazione”.49 Il telelavoro, pertanto comprende in Lavoro svolto negli uffici domestici, nei call-center, il telecottage ed i telecentri and tasks accomplished at a customer’s or supplier’s location. Dopo aver affrontato I tradizionali problemi di definizione, il report svolge un’indagine esaustiva sulle forme di telelavoro, valuta le implicazioni sulle pari opportunità che esso presenta (in quanto esso è svolto prevalentemente da donne), analizza le problematiche di tutela della salute e sicurezza legate al telelavoro, offre esempi di diverse iniziative di regolamentazione, e traccia una cosiddetta “high road” ovvero un approccio fondato su buone pratiche. Ci sono molte problematiche di salute e sicurezza associate al telelavoro, molte delle quali sono elencate nella Enciclopedia dell’OIL sulla Salute e Sicurezza negli ambienti di lavoro. Nella lista vi sono anche le problematiche connesse alla qualità dell’aria, ai rischi di incendio, ai fattori ergonomici, alla illuminazione, allo stress ed alla assicurazione per gli infortuni e le malattie.50 Lo Stress è di particolare rilievo nell’analisi del telelavoro può essere aggravato dalla scarsa comunicazione, dal basso livello di partecipazione nell’adozione delle decisioni, dalla incertezza di progredire in carriera, dalla ambiguità delle mansioni, lavoro senza significato, sovraccarico di lavoro, shift/night working, isolamento sociale e fisico, e perdita di risorse psicofisiche.51 I meccanismi per minimizzare lo stress contemplano, infatti, l’integrazione dei telelavoratori nei canali di informazione organizzativa, la variazione delle mansioni e la necessità di fornire ai lavoratori l’opportunità di visitare gli stabilimenti o di conoscere da vicino i colleghi mediante incontri appositamente organizzati.52 La regolamentazione legale del telelavoro è formativa e motivante. Il telelavoro devia dal paradigma del modo “ normale” di lavorare. Molti tipi di telelavoro sfumano la “distinzione Id. at 57-58. Id. at 62. 46 Si veda Code of Practice on Workplace Violence in Services Sectors and Measures to Combat this Phenomenon (2003), in http://www.ilo.org/public/english/dialogue/sector/themes/violence.htm. 47 Si veda Violence and Stress at Work website, al seguente indirizzo: http://www.ilo.org/public/english/dialogue/sector/themes/violence.htm. 48 Vittorio Di Martino, The High Road to Teleworking, ILO: Geneva, 2001. 49 Id. at 12. 50 Id. at 95. 51 Id. at 97. 52 Id. at 99. 44 45 22 tradizionale tra lo status di lavoratore dipendente e d autonomo.”53 La regolamentazione di questo nuovo tipo di lavoro richiede di ottenere un appropriato livello di protezione preservandone la flessibilità che rende il telelavoro appetibile per molti lavoratori e datori di lavoro prima di tutto. Se è vero che non ci sono convenzioni o raccomandazioni OIL espressamente dedicate al telelavoro, alcuni suggeriscono che la Convenzione n. 177/1996 e la Raccomandazione n. 184/1996, entrambe sul lavoro a domicilio, comprendono alcune forme di telelavoro.54 Più in particolare, la convenzione n. 177 definisce il “ Lavoro a domicilio” in senso abbastanza ampio da coprire, per esempio, il telelavoro home office. La convenzione e la raccomandazione sono strumenti flessibili che promuovono l’adozione di politiche nazionali che incoraggino la parità di trattamento dei lavoratori a domicilio rispetto ai lavoratori tradizionali. L’orario di lavoro. L’orario di Lavoro è direttamente legato al tema della salute e sicurezza dei lavoratori.Un recente studio dell’OIL, Working Time Around the World: Trends in Working Hours, Laws and Policies in a Global Comparative Perspective,55 offer un’analisi delle politiche e delle prassi adottate in 50 paesi, con un’enfasi particolare sui paesi in via di sviluppo e transizione. Mentre i progressi nella regolamentazione degli orari di lavoro sono evidenti, lo studio stima che il 22% dei lavoratori in tutto il mondo, circa 614.2 milioni di lavoratori, svolgono eccessivamente un orario di lavoro prolungato. Molti di questi lavoratori sono impiegati nell’economia sommersa e parte nel settore dei servizi in espansione, situazioni in cui spesso si ricorre all’orario di lavoro prolungato. Contemporaneamente, molti lavoratori nei paesi in via di sviluppo e di transizione sperimentano condizioni di sottoccupazione e pertanto potrebbero essere considerati lavoratori con arario ridotto. Questi lavoratori con orario ridotto sono fortemente esposti al rischio di vivere in povertà.56 Lo studio aggiorna un quadro sull’orario di Lavoro decente già delineato in uno studio dell’OIL del 2004 , Working Time and Workers’ Preferences in Industrialized Countries: Finding the Balance.57 Cinque sono i criteri tra loro connessi affinchè l’organizzazione dell’orario di lavoro possa essere considerata decente. Essi devono: 1) preservare la salute e la sicurezza; 2) essere family friendly; 3) promuovere la parità tra i sessi; 4) favorire la produttività; e 5) facilitare le capacità di scelta ed influenza dei lavoratori sul proprio orario di lavoro.58 In relazione al primo requisito, gli autori dello studiomettono in luce che l’orario di Lavoro prolungato reduce il rischio di incidenti e malattie e aumenta la produttività. Le restrizioni legali sono necessarie, ma da sole non sufficienti. Sono altrettanto importanti i meccanismi di rafforzamento e promozione delle norme a tutela dell’orario di lavoro decente all’interno delle imprese. Programmi indirizzati per il miglioramento delle condizioni di lavoro: WISE, WIND, and WISH. Tre gruppi di lavoratori più spesso soggetti a condizioni di Lavoro ostili meritano una particolare attenzione nei programmi dell’OIL in materia: I lavoratori delle piccole e medie imprese (PMI), i lavoratori precari ed i lavoratori al nero. Come osservato dall’OIL: I lavoratori di questi tre gruppi sono esposti a maggiori rischi rispetto ai loro colleghi occupati in altri tipi di impiego. Ciò è dovuto soprattutto alla mancanza di formazione, alla scarsa conoscenza Id. at 104. Id. at 107. 55 Sangheon Lee, Deirdre McCann & Jon C. Messenger, Working Time Around the World: Trends in Working Hours, Laws and Policies in a Global Comparative Perspective, Routledge: London & ILO: Geneva, 2007. 56 Per una sintesi dei risultati dello studio si veda Spotlight on Working Time, 60 World of Work 25-28 (2007) (hereinafter “Spotlight on Working Time”). 57 Jon C. Messenger, Working Time and Workers’ Preferences in Industrialized Countries: Finding the Balance, ILO: Geneva, 2004. 58 Spotlight on Working Time, at 26. 53 54 23 dei rischi, alla non consapevolezza dei loro diritti ed è contro bilanciato dalla generale assenza di consapevolezza in tema di salute all’interno della società. Tra i lavoratori a nero, poi, ciò dipende anche dalle condizioni di povertà, in quanto, generalmente condizioni di vita non salutari (legate anche alle condizioni di lavoro) rappresentano fattori di rischio addizionali.59 Il programma OIL per il miglioramento del Lavoro nelle piccole imprese (WISE) accompagna le piccole e medie imprese nel miglioramento delle condizioni di lavoro. Promosso come sistema per l’incremento della produttività, il programma WISE mette in guardia le PMI sul fatto che condizioni di lavoro poco sane alimentano problemi di salute e sicurezza, più bassi livelli di produttività e guadagni, e perdite economiche.60 Semplici passi pratici, comunque, possono migliorare le condizioni di Lavoro e al tempo stesso il bilancio d’impresa. Per esempio, al fine di ridurre l’assenteismo, si consiglia alle organizzazioni di controllare le sostanze pericolose che minacciano la salute dei lavoratori, offrire ambienti ed accessori puliti, e formazione sulle corrette posture per ridurre il rischio di incidenti. Al fine di abbassare le spese, si consiglia alle imprese di organizzare meglio i flussi di lavoro, controllare le temperature e le condizioni di ventilazione dei siti di lavoro e ,migliorare le modalità di conservazione e uso dei materiali.61 Le checklist per i manager elaborate dal programma WISE,reperibile online in Inglese, Francese e Spagnolo, sono strumenti che facilitano l’identificazione e la correzione dei problemi di salute e sicurezza sul lavoro. La checklist N. 1 illustra miglioramenti a basso costo; la checklist N. 2 illustra le condizioni degli affari with sewing workstations; la checklist N. 3 si sofferma sul lancio ed il monitoraggio dei cambiamenti dei luoghi di lavoro con la cooperazione dei lavoratori; el la checklist No. 4 si concentra aull’implementazione di piani d’azione. Il programma WISE ha anche sviluppato delle sessioni di formazione interattive per coinvolgere imprenditori e manager e per indurli a ideare soluzioni e miglioramenti ed implementare cambiamenti. Un modulo formativo sull’ambiente di lavoro fisico riguarda: modalità di uso e conservazione dei materiali; design delle postazioni di lavoror; sicurezza dei macchinari; controllo delle sostanze pericolose; illuminazione; accessori e servizi (ad esempio bagni, kit di primo soccorso, sale da pranzo e lockers); work premises (temperatura, ventilazione, sicurezza antincendio ed elettrica); e condizioni ambientali generali.62 Il modulo relativo all’ambiente lavorativo sotto il profilo sociale, riguarda invece : l’organizzazione degli orari di lavoro; la creazione di un ambiente di lavoro positivo; proteazione della maternità; organizzazione del lavoro; gestione e motivazione dei lavoratori; paghe e benefit; nonché questioni relativi alla conciliazione famiglia-lavoro.63 E’ stato altresì sviluppato un programma complementare, Wise for Workers..64 I partecipanti sono incoraggiati a cambiare il modo di lavorare e di fare affari. Coerentemente all’approccio dell’OIL alle tematiche di OSH, Il programma WISE suggerisce di implementare piani che innestino un processo di miglioramento continuo. Nelle Filippine e ad Haiti sono stati lanciati progetti WISE che hanno9 avuto successo e rappresentano dei modelli esemplari del programma. Il programma OIl Work Improvement in Neighbourhood Development (WIND) è un programma relativo alla tutela della salute e sicurezza e alla formazione sulle condizioni di lavoro per il settore dell’industria agricola. Costrutio sui principi del programma WISE, il programma WIND si fonda su di un “approccio formativo partecipativo ed action-oriented, progettato per ottenere miglioramenti rapidi e sostenibili nelle condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori Making Decent Work a Reality at 5. Work Improvements in Small Enterprises: An Introduction to the WISE Programme, ILO brochure, at 3, in http://www.ilo.org/public/english/protection/condtrav/pdf/pamphlets/brochure.pdf. 61 Id. at 4. 62 Id. at 6-7. 63 Id. at 8-9. 64 Si veda http://www.ilo.org/public/english/protection/condtrav/workcond/wise/wise_for_workers.htm. 59 60 24 agricoli.”65 Il programma ha avuto grande successo soprattutto nel Vietnam, in Tailandia e nelle Filippine. Un programma manuale WIND comprehensive, ideato da Ton That Khai e Tsuyoshi Kawakami, offre checklist sulle azioni, istruzioni sull’uso e la conservazione dei materiali, design delle postazioni di lavoror, sicurezza dei macchinari, controllo degli agenti pericolosi, strutture ed accessori di supporto, organizzazione del lavoro e termina con un capitolo di buoni esempi applicativi di alcune lezio i contenute nei capitoli precedenti.66 Scritto in un linguaggio semplice, con molte illustrazioni e foto, il manuale è concepito per essere letto e condiviso con amici e vicini. Pertanto esso aiuta i soggetti coinvolti nella creazione di una comunità e nel fornirsi aiuto reciproco. In ultimo il porgramma OIL Work Improvement for Safe Home (WISH) nasce con l’obiettivo di incoraggiare condizioni di Lavoro decenti per coloro che sono impiegati nel Lavoro a domicilio, con particolare riferimento al lavoro a domicilio concernente la produzione di indumenti, arredi, artigianato, cibo e simili. E’ stata recentemente pubblicata una sessione del manuale del programma WISH, relativa al Lavoro a domicilio, condotta in Cambogia, Mongolia a Tailandia.67 Impiegando la metodologia già sviluppata dal programma WISE, il manuale WISH promuove partecipazione, formazione action-oriented e miglioramenti nel campo della OSH a basso costo, nonchè checklist, testi semplici, illustrazioni e foto. I lavoratori vulnerabili. L’OIL ha recentemente messo in luce le problematiche di OSH concernenti gruppi particolari di lavoratori. Forse i più vulnerabili tra questi sono gli immigrati. I fattori che espongono questi lavoratori ad un rischio crescente di infortuni e malattie professionali includono: • L’impiego in settori ad alto rischio e nell’economia sommersa; • Mancanza di formazione e carenze di comunicazione sulla problematiche di OSH parametrata alle differenze linguistiche e culturali; • La tendenza a svolgere orari di lavoro prolungati e non godere di buona salute; • L’inadeguatezza della copertura assicurativa • La mancanza di informazione pratica sulla condizione dei lavoratori immigrati che potrebbe guidare una politica di loro maggior tutela68 Pertanto l’OIL sottolinea che l’agenda per I lavoratori immigrati resta incompleta e che dovrebbe essere promossa.69 Altrettanto importante è la condizione di vulnerabilità delle donne lavoratrici sossolienata dall’OIL. A tal riguardo l’OIL descrive le problematiche relative agli effetti sulle donne dei lavori pesanti, dell’esposizione alle sostanze pericolose, dell’ergonomia nonché della eccessiva durata della giornata lavorativa. Le donne lavoratrici, che in generale continuano ad avere maggior carichi nell’ambito dei lavori domestici e che spesso continuano a lavorare anche durante la gravidanza,possono soffrire danni per la salute e sicurezza differenti rispetto ai colleghi maschi. Nel campo della ricerca sulle tematiche di OSH dovrebbero pertanto essere esaminate le potenziali disparità di trattamento fondate sul sesso. L’OIL raccomanda maggiore impegno nello studio scientifico in questo settore soprattutto.70 Ci sono molte convenzioni e raccomandazioni Ian Chambers, Preface, in Ton That Khai & Tsuyoshi Kawakami, Work Improvement in Neighbourhood Development: WIND Programme, ILO: Bangkok, 2002, at i. 66 Ton That Khai & Tsuyoshi Kawakami, Work Improvement in Neighbourhood Development: WIND Programme, ILO: Bangkok, 2002. 67 Tsuyoshi Kawakami, Sara Arphorn & Yuka Ujita, Work Improvement for Safe Home: Action Manual for Improving Safety, Health and Working Conditions of Home Workers, ILO: Bangkok, 2006. 68 Beyond Deaths and Injuries, at 20. 69 Id. at 20-21. 70 Id. 65 25 collegate al tema della salute e sicurezza sul lavoro per le donne. E’ possible consultarle attraverso il sito CIS dell’OIL.71 Nel Giugno 2008 l’OIL ha lanciato una campagna annuale, Gender Equality at the Heart of Decent Work, che cerca di diffondere maggior consapevolezza e instaurare dibattiti su un vasto spettro di tematiche relative alle donne lavoratrici, tra cui la tematica della protezione sociale. Questa campagna è un’opportunità per mettere in luce gli strumenti dell’OIL legati al tema della parità di trattamento e anche le pubblicazioni sulla salute e sicurezza sul Lavoro per le donne. Per esempio, il report del 2004, Healthy Beginnings: Guidance on Safe Maternity at Work, 72 è una delle pubblicazioni nella webpage dell’OIL Bureau Gender Equality sulla maternità, un tema centrale della campagna 2008-2009. Il report promuove la ratifica della Convenzione n. 183 del 2000 sulla Protezione della Maternità e discute su di un ampio spettro di pericoli negli ambienti di Lavoro facilmente riscontrabili offrendo informazione su come prevenire i danni e migliorare la protezione della maternità. I lavoratori anziani rappresentano un altro gruppo potenzialmente vulnerabile, oggetto di grande interesse da parte dell’OIL considerato il progressivo invecchiamento della forza-lavoro. Infatti entro il 2020, si prevede che i lavoratori tra i 45 ed i 64 anni rappresenteranno almeno il 50% della popolazione lavorativa europea. In relazione alle problematiche di OSH, i lavoratori dai 55 anni in su sono più esposti agli incidenti sul lavoro mortali rispetto ai giovani.73 Inoltre, i bisogni della persona cambiano man mano che si invecchia. All’invecchiamento sono associati problemi cardiovascolari,insufficienze renali e polmonari e il malfunzionamento del sistema endocrino. Non è rara la perdita dell’udito e della vista. Coloro che sono impiegati in lavori pesanti sono particolarmente esposti a varie malattie. Il deterioramento fisico dei lavoratori anziani, tuttavia è controbilanciato da maggiori skill, esperienza e commitment, tipici di questa categoria di lavoratori. Pertanto l’OIL raccomanda programmi di formazione di OSH e sistemi di gestione aziendali che prendano in considerazione le particolari esigenze dei lavoratori anziani nonché i particolari vantaggi che essi apportano al lavoro.74 Coerentemente con gli strumenti dell’Oil, la raccomandazione n. 162 del 1980 sui lavoratori anziani, che promuove la parità di trattamento e la non discriminazione di questi lavoratori, indirizza, tra le varie cose, gli obiettivi di OSH. La raccomandazione inoltre specifica le misure che potrebbero essere adottate per diminuire le difficoltà legate all’età incontrate dai lavoratori anziani nei luoghi di lavoro. Da ultimo, va detto che anche i lavoratori giovani rappresentano un’area di interesse per l’attività dell’OIL. In termini di OSH, i lavoratori tra i 15 ed I 24 anni 24 sono più esposti agli infortuni non mortali e agli incidenti gravi rispetto ai lavoratori anziani.75 La maggior parte dei lavoratori giovani in tutto il mondo - circa l’85% – vive in paesi in via di sviluppo, in cui essi sono maggiormente esposti a condizioni di lavoro povere e precarie.76 Ci sono numerosi strumenti dell’OIL che si occupano del Lavoro dei giovani e dei fanciulli, tra cui Worst Forms of Child Labour Convention, 1999 (No. 182) and the Worst Forms of Child Labour Recommendation, Si veda la pagina web ILO CIS per le convenzioni e raccomandazioni ILO sulla salute e sciurezza sul lavoro, al seguenti indirizzo: http://www.ilo.org/public/english/protection/safework/cis/oshworld/ilostd/index.htm. For an interesting report on women and OSH issues see Valentina Forastieri, Information Note on Women Workers and Gender Issues on Occupational Safety and Health, ILO: Geneva (1999). 72 Jane Paul, Healthy Beginnings: Guidance on Safe Maternity at Work, ILO: Geneva, 2004. 73 World Day for Safety and Health at Work 2005: A Background Paper, ILO: Geneva, 2005, at 9 (hereinafter “Background Paper”). 74 Beyond Deaths and Injuries, at 21. 75 Background Paper, at 9. 76 Id. at 9-10. 71 26 1999 (No. 190). Questi strumenti sono facilmente accessibili tramite il sito internet CIS dell’ILO. 77 Il programma Internazionale dell’OIL sulla abolizione del Lavoro dei bambini (IPEC) ha creato una guida che assiste gli stati aderenti nelle determinazione delle tipologie di lavoro che dovrebbero essere vietate per i bambini per il fatto di presentare rischi per la salute e sicurezza sul lavoro oltre che per il fatto di incidere negativamente sulla crescita morale ed interiore degli astessi.78 La pubblicazione, Steps to Eliminating Hazardous Child Labour, è stata inviata a tutti gli stati membri dell’OIL. L’ IPEC ha anche sviluppato un CD-ROM che fornisce informazione sulle leggi vigenti in più di 100 paesi con lo scopo di proibire il lavoro dei fanciulli pericoloso. Una terza risorsa è rappresentatata da una serie di casi pratici di studio dell’IPEC, che fornisce man mano le istruzioni su come molti paesi hanno creato le rispttive liste di lavori minorili vie. Si veda la pagina web ILO CIS webpage on ILO Conventions and Recommendations on Occupational Safety and Health, in http://www.ilo.org/public/english/protection/safework/cis/oshworld/ilostd/index.htm. 78 IPEC, IPEC Action Against Child Labour: Progress and Future Priorities – 2006 – 2007, ILO: Geneva, 2008, at 38. 77 27 Sezione B MODELLI PREVENZIONISTICI NAZIONALI: DISCIPLINE, PRASSI E TRASPOSIZIONE DELLE DIRETTIVE EUROPEE II.3. Focus: il caso italiano. II.3.1 La trasposizione della direttiva n. 91/383: l’anomalia del caso italiano. Nonostante i contenuti di tutela sostanziale circoscritti e ben definiti, la direttiva 91/383 non è stata seguita da una puntuale e rapida attuazione negli ordinamenti degli Stati Membri. I dati diffusi dalla Commissione Europea nel 2004 sulla implementazione della direttiva, rivelavano che a 13 anni dalla sua approvazione,la situazione degli ordinamenti nazionali fosse ben lontana dall’essere soddisfacente1. In Italia, poi, la trasposizione della direttiva è stata quanto mai singolare avendo seguito un iter tortuoso che, sotto il profilo dell’effettività delle tutele, non può dirsi ancora del tutto completato. Più in particolare il processo di trasposizione nel nostro ordinamento della direttiva 91/383 ha preso formalmente inizio con il Decreto legislativo n. 242 del 19 marzo 1996 di modifica ed integrazione del decreto legislativo n. 626/1994. Agli occhi degli osservatori più attenti subito emersero i limiti di questa operazione di implementazione. La direttiva venne infatti trasposta solo parzialmente, sul presupposto che il ricorso a prestazioni di lavoro interinale fosse, all’epoca ancora vietato nel nostro paese. Da questo punto di vista, infatti, è stato necessario attendere l’emanazione della legge 196 del 19972 che ha consentito il ricorso al contratto di lavoro interinale, prima vietato dalla legge n. 1369 del 1960. Si rilevarono poi forti incertezze di ordine formale con riferimento ai rapporti di lavoro a tempo determinato oltre a rilevanti dubbi sulla corretta trasposizione dei contenuti della direttiva, al punto che in questa fase essa poco o nulla ebbe ad incidere sul previgente statuto giuridico del lavoro temporaneo. Per tali motivi è opportuno ripercorrere l’iter legislativo che ha condotto, appunto, alla sua trasposizione nel nostro ordinamento. Con il testo originario del Decreto Legislativo n. 626 del 19 settembre1994, ed in conformità all’articolo 43 della Legge di delega n. 142 del 19 febbraio 19923, il legislatore italiano aveva inizialmente provveduto alla recezione di otto direttive comunitarie: la Direttiva-quadro n. 89/391 e le già citate direttive nn. 89/654, 89/655, 89/656, 90/269, 90/270, 90/394, 90/679. Sette mesi prima dell’approvazione del Decreto Legislativo n. 626/1994, la Legge 22 febbraio 1994 n. 146 (Legge comunitaria per il 1993) aveva tuttavia espressamente previsto, all’articolo 34, la delega al Governo per l’attuazione anche della Direttiva n. 91/383/CEE. Il comma 3 Commission of the European Communities, Commission Staff Working Paper on the implementation of Directive 91/383/EEC supplementing the measures to encourage improvements in the safety and health at work of workers with a fixed-duration employment relationship or a temporary employment relationship, SEC(2004)635, Brussels, 18 maggio 2004, in voce Salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. 2 Legge 24 giugno 1997, n. 196, recante Norme in materia di promozione dell’occupazione. 3 L’articolo 43 della Legge 19 febbraio 1992, n. 142, recante disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza all’Italia alle Comunità Europee (Legge comunitaria per il 1991) prevedeva infatti soltanto «l’attuazione delle direttive del Consiglio 89/391CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE e 90/679/CEE». 1 28 dell’articolo 34 della Legge n. 146/1994, in particolare, aveva statuito che: «all’articolo 43, comma 1, della Legge 19 febbraio 1992, n. 142, dopo le parole: “90/679/CEE” sono aggiunte le seguenti “nonché 91/383/CEE”». Di questa integrazione non se ne era evidentemente accorto il legislatore delegato, che, infatti, nel Decreto Legislativo n. 626/1994 non aveva fatto alcuna menzione della Direttiva n. 91/383/CEE. Diversamente, il Decreto Legislativo n. 242/1996 prendeva atto della novella all’articolo 43 della Legge di delega. Tuttavia data la tortuosità dell’iter legislativo, la recezione della direttiva finì per rimanere nascosta nelle pieghe delle premesse al Decreto Legislativo n. 242/1996, e del resto lo stesso processo di trasposizione della direttiva nel nostro ordinamento si limitava ad una semplice constatazione del fatto che il Decreto Legislativo n. 626/1994 recasse attuazione (anche) della Direttiva n. 91/383/CEE. Nessuna disposizione ad hoc fu invece aggiunta al corpo normativo delineato con il Decreto Legislativo n. 626/1994 per tenere conto delle peculiarità dei rischi cui sono esposti, in taluni settori, i lavoratori temporanei. Molte sono le ragioni che hanno indotto a ritenere puramente formale l’opera di trasposizione della Direttiva n. 91/383/CEE nel nostro ordinamento. Al riguardo, si deve in primo luogo rilevare che il mero richiamo alla Direttiva 91/383/CEE, senza alcuna disposizione specificamente pensata per i lavoratori a tempo determinato non consentiva di garantire sul piano concreto uno degli obiettivi principali della direttiva, che, come già ricordato, era quello di assicurare ai lavoratori temporanei lo stesso livello di protezione di cui beneficiano i lavoratori stabilmente inseriti nell’impresa e/o stabilimento del datore di lavoro fruitore della prestazione lavorativa. Non è certo attraverso una semplice dichiarazione formale con cui si conferma l’applicabilità dell’intera disciplina prevenzionistica al lavoratore temporaneo (sul presupposto, giuridicamente ineccepibile, che nel nostro sistema prevenzionistico non esiste alcuna differenza di trattamento tra lavoratori stabili dell’impresa e lavoratori temporanei)4 che si garantisce infatti, sul piano dell’effettività, un livello di protezione adeguato a lavoratori che, proprio per la precarietà della loro condizione lavorativa, godono normalmente di un trattamento di sfavore rispetto ai lavoratori stabilmente inseriti in un determinato contesto produttivo. Del resto era la stessa direttiva che in ciascun articolo precisava che le sue disposizioni fossero specifiche ed aggiuntive rispetto a quelle di carattere generale applicabili a tutti i lavoratori, facendo salva l’applicazione delle disposizioni contenute nella Direttiva-quadro n. 89/391/CEE». In secondo luogo, al VII “considerando” essa ribadiva chiaramente che «la situazione specifica dei lavoratori aventi un rapporto a durata determinata […] nonché le peculiarità dei rischi cui sono esposti in taluni settori rendessero necessaria una normativa complementare particolare, in particolare per quanto concerne l’informazione, la formazione e la sorveglianza medica dei lavoratori interessati». Tale normativa «complementare particolare» non veniva tuttavia introdotta nel nostro ordinamento. Sul piano degli obblighi di informazione, considerato che la Legge n. 230/1962 stabiliva la forma scritta per la conclusione di un contratto di lavoro a tempo determinato, si sarebbe potuto per esempio prevedere che nel contratto a termine venga fatta specifica menzione (come richiesto dalla Direttiva 91/383/CEE) dei rischi cui il lavoratore va in contro nello svolgimento della prestazione lavorativa5. E segnatamente, ai sensi del comma 2 dell’articolo 3 della direttiva: 1) dell’esigenza di qualifiche o attitudini professionali particolari o di una sorveglianza medica speciale definita dalla legislazione nazionale; 2) dell’esistenza di eventuali rischi aggravati specifici connessi con il posto di lavoro da occupare, quali definiti dalla legislazione nazionale. Con riferimento agli obblighi di formazione, poi, non veniva inserita nella nostra legislazione alcuna disposizione di carattere specifico di contenuto analogo all’articolo 4 della Direttiva n. 91/383/CEE, che affiancasse agli obblighi formativi di portata generale previsti per tutti i 4 M. Tiraboschi, Lavoro atipico e ambiente di lavoro: la trasposizione in Italia della Direttiva n. 91/383/CEE, in DRI, 1996, n. 3, 54-55, 65. 5 M. Tiraboschi, La trasposizione della direttiva n. 91/383/CEE nei principali paesi dell’Unione Europea e l’anomalia del caso italiano, in DPL, 1997, n. 18, 1284. 29 lavoratori un obbligo più specifico diretto a far sì che il lavoratore precario, quantunque (ed anzi proprio perché) non stabilmente inserito nel contesto organizzativo del datore di lavoro che beneficia della prestazione lavorativa, riceva una formazione sufficiente e adeguata alle caratteristiche proprie del suo posto di lavoro, tenuto conto della sua qualificazione e della sua esperienza. Come sostenuto da autorevole dottrina6, poi, per garantire una corretta trasposizione della direttiva il legislatore italiano avrebbe dovuto fare propria (anche per i lavoratori a tempo determinato) la prescrizione contenuta nell’articolo 5 della direttiva, secondo cui agli Stati membri è concessa la facoltà di vietare che si faccia ricorso a forme di lavoro atipico/temporaneo per taluni lavori particolarmente pericolosi per la loro sicurezza o salute ed in particolare per taluni lavori che formano oggetto di una sorveglianza medica speciale secondo quanto previsto dalla legislazione nazionale dei singoli Stati membri. Alla luce di tali osservazioni, non solo il legislatore non aveva recepito questa importante disposizione, ma soprattutto non aveva conseguentemente adempiuto a quanto obbligatoriamente previsto dal comma 2 dello stesso articolo 5, secondo cui quando gli Stati membri non si avvalgono di tale facoltà, devono comunque adottare le misure necessarie affinché i lavoratori assunti con un contratto di lavoro a tempo determinato […] beneficino di una appropriata sorveglianza medica nel caso svolgano attività lavorative che formano oggetto di una sorveglianza medica speciale (corsivo mio).Non era stata introdotta infatti alcuna disposizione nel nostro ordinamento analoga a quella del comma 2 dell’art. 5 della direttiva, che imponesse una sorveglianza medica, eventualmente anche dopo la scadenza del contratto, a favore di un lavoratore che temporaneamente fosse stato inserito in un contesto organizzativo fonte di particolari rischi professionali. Tutti questi elementi danno conferma del fatto che in una prima fase di recepimento della direttiva 91/383 l’Italia si sia collocata in una posizione anomala, dato che il parziale processo di recezione della stessa impediva alla disciplina normativa di tenere effettivamente conto delle peculiarità dei rischi cui sono esposti, in taluni settori, i lavoratori a tempo determinato7. La tutela della salute e sicurezza dei lavoratori temporanei all’epoca costituiva ancora un semplice frammento normativo diretto a incidere su un profilo specifico, ma tutto sommato marginale del lavoro precario. Non era ancora maturata, da parte del legislatore, la consapevolezza del fatto che in materia di salute e sicurezza, il semplice riconoscimento di una astratta parità di trattamento tra lavoratori standard e lavoratori atipici non fosse infatti di per sé solo idoneo a soddisfare i vincoli posti dal legislatore comunitario, essendo invece necessaria l’adozione di regole specifiche e complementari alla normativa generale che tenessero effettivamente conto delle particolari condizioni del lavoro temporaneo8. II.3.2 La tutela della salute e sicurezza degli atipici nella legge Biagi. La prima fase del processo traspositivo della direttiva 91/383, nel nostro ordinamento, presentò sin dall’inizio significative lacune di tipo formale e sostanziale. Il semplice richiamo alla Direttiva nelle premesse del Decreto Legislativo n. 242/1996, rendeva alquanto problematico il riconoscimento della sua avvenuta recezione, mentre nessuna disposizione specifica era stata aggiunta al corpo normativo del Decreto Legislativo n. 626/1994 in modo da tenere effettivamente conto delle peculiarità dei rischi cui sono esposti, in taluni settori, i lavoratori a tempo determinato. Cfr. M. Roccella, T. Treu, Diritto del lavoro della comunità europea, Cedam, Padova, 225. C. Agut Garcia, M. Tiraboschi, Tecniche traspositive di direttive comunitarie in Itala e Spagna in materia di sicurezza sul lavoro, in DRI, 1996, n. 3, 15. 8 M. Tiraboschi, La trasposizione della direttiva n. 91/383/CEE nei principali paesi dell’Unione Europea e l’anomalia del caso italiano, in DPL, 1997, n. 18, 1284. 6 7 30 Più dettagliate disposizioni di tutela della salute e sicurezza per i lavoratori atipici sono contenute in molteplici disposizioni del d.lgs. n. 276 del 2003, che può essere considerato l’atto legislativo che nell’ordinamento italiano ha dato più compiuta attuazione alle disposizioni della direttiva n. 91/383. Pienamente in linea con gli obiettivi comunitari fissati dalla strategia di Lisbona, esso si è posto l’obiettivo di aumentare i tassi di occupazione e di promuovere parallelamente la qualità e la stabilità del lavoro, cercando di arginare l’incomunicabilità tra il canale regolativo della sicurezza degli ambienti di lavoro e quello del mercato del lavoro. La strategia comunitaria, nel suo approccio dinamico alla sicurezza negli ambienti di lavoro, come funzionale alla realizzazione del più elevato valore del benessere della persona nella società, chiedeva infatti agli Stati Membri di evitare che si creasse un primo livello di protezione riferibile ai lavoratori con contratto di lavoro tradizionale caratterizzati per l’alto livello di tutela, a discapito di un secondo livello proprio dei lavoratori con contratto flessibile con protezione inadeguata9. Nel d.lgs. 276/2003 non vi fu uno specifico capitolo dedicato alla sicurezza e all’igiene sui luoghi di lavoro. Si trovano in ordine sparso vari riferimenti di varia natura e portata, finalizzati a confermare, rafforzare e talora ad estendere, in tutto o in parte, alle nuove e vecchie figure contrattuali, le tutele già esistenti per il rapporto di lavoro tradizionalmente inteso. Seguendo l’ordine del complesso articolato il primo riferimento alla materia della salute e sicurezza si rinviene nella definizione di lavoratore contenuta nell’art. 2 comma 1 lett. j indicato come qualsiasi persona che lavora o è in cerca di un lavoro. L’attenzione è dunque rivolta al soggetto che lavora senza ulteriori specificazioni, superando così la tradizionale separazione, in ordine alle tutele accordate, tra lavoro autonomo e lavoro dipendente, ancora presente nella definizione di lavoratore contenuta nell’art. 2, comma 1 lett. a del d.lgs. n. 626/1994, in cui questi viene individuato come persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro10. Importante poi, nel medesimo articolo, al comma 1 lett. h) la definizione degli Enti bilaterali, quali organismi aventi il ruolo di soggetti propulsori di iniziative comuni alle Parti nel campo della sicurezza ed igiene sui luoghi di lavoro. Proprio in virtù di tali disposizioni tali enti hanno acquisito compiti e prerogative parapubblicistiche, che hanno continuato nel tempo ad essere esaltate nella funzione di soggetti preposti alla promozione di iniziative comuni concertate tra le parti sociali, per una gestione partecipata della sicurezza, oltre che deputati alla promozione di buone prassi aziendali nella gestione della salute e sicurezza. Il secondo riferimento alla normativa di salute e sicurezza è contenuto nel regime autorizzatorio proprio delle agenzie per il lavoro. L’art. 4 del d.lgs. 276/2003, istituiva, infatti presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali un apposito albo nel quale debbono essere iscritti tutti i soggetti che intendano svolgere attività di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione professionale. L’albo come noto si articola in cinque sezioni nelle quali esse possono iscriversi. Il successivo art 5. detta i requisiti giuridici e finanziari per l’iscrizione all’albo delle agenzie per il lavoro. Tra questi particolare importanza viene attribuita alla normativa di sicurezza ed igiene sui luoghi di lavoro(comma 1 lettera d).Si stabilisce, infatti che gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti muniti di poteri rappresentativi ed i soci accomandatari, delle società che intendono iscriversi all’albo tenuto presso il ministero del lavoro, al fine di poter operare non debbano ave subito condanne penali per delitti e contravvenzioni previsti da leggi dirette alla prevenzione 9 Comunicazione della Commissione, Adattarsi alle trasformazioni del lavoro e dalla società: una nuova strategia comunitaria per la salute e la sicurezza 2002-2006, COM(2002)118 def., Bruxelles, 11 marzo 2002, 4, in voce Salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. 10 M.R. Iorio, Riforma del mercato del lavoro, forme di lavoro atipico e tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, in M. Tiraboschi ( a cura di), La riforma Biagi del mercato del lavoro, Giuffrè, Milano, 2004, 403. 31 infortuni nei luoghi di lavoro, o in ogni caso previsti da leggi in materia di lavoro e previdenza sociale. Si noti, inoltre che il requisito di onorabilità in parola viene escluso non solo dalla presenza di sentenze di condanna non definitive, ma anche da condanne al pagamento delle sanzioni sostitutive previste dalla legge 689 del 1981, offrendo quindi a tutti gli operatori un segnale forte e chiaro11. Superate queste disposizioni a carattere prettamente definitorio, il d.lgs. 276/2003 si articola poi in un complesso di disposizioni che in maniera più incisiva tutelano la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro, in stretta connessione alle singole tipologie contrattuali in esso contemplate. Il contratto di somministrazione. Con riferimento al contratto di somministrazione, regolamentato dagli artt. 20-28 del d.lgs. n. 276/2003, il legislatore ha rivisto la disciplina del contratto di fornitura di lavoro temporaneo (contratto interinale) abrogando ex art. 85, comma 1, lett. f, gli artt. 1-11 della legge 196/1997, mantenendone però l’ossatura generale. Il dato principale che emerge è che il lavoratore somministrato, per tutta la durata del contratto di somministrazione, svolge la sua attività sotto la direzione ed il controllo dell’utilizzatore, nel cui interesse si trova ad operare, e quindi, proprio perché rimane assoggettato al potere direttivo e di controllo di quest’ultimo (art. 20, comma 2) a questi faranno capo gli oneri più gravosi nell’ambito della tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. L’utilizzatore viene così ad assumere la veste di datore di lavoro, in senso sostanziale, ex art. 2 comma 1 lett. b) del d.lgs. n. 626/199412. Non discostandosi dall’art. 4 della legge 196/1997 esso ribadisce che l’utilizzatore è l’unico esclusivo titolare dei poteri di controllare ed intervenire sui fattori di rischio esistenti nei luoghi di lavoro e pertanto nei suoi confronti saranno vigenti gli obblighi di sicurezza ex art. 2087 cc. Ma poiché il prestatore di lavoro rimane alle dipendenze del somministrante, sia pure formalmente, l’utilizzatore sarà tenuto a comunicare al datore di lavoro gli elementi che formeranno oggetto di eventuali contestazioni disciplinari da parte di quest’ultimo (art. 23, comma 7, analogamente al previgente art. 6, comma 6, della legge n. 196/1997). L’art. 20, poi, comma 5 stabilisce che il ricorso alla somministrazione di manodopera sia vietata alle imprese che non abbiano assolto all’obbligo di effettuare la valutazione dei rischi ex art. 4 del d.lgs. n. 626/1994. A differenza del previgente art. 1 comma 4, lett. e) della legge 196/1997, non sussisteva più l’obbligo di dimostrare alla Direzione provinciale del lavoro di aver svolto la valutazione dei rischi. Il divieto di stipulare contratti di somministrazione in mancanza dell’adozione del documento di valutazione dei rischi costituiva il segnale che la maggior apertura al lavoro “in affitto” non dovesse provocare alcun abbassamento nella soglie di tutela dei lavoratori assunti con tale contratto. L’art. 21 commma1 lett. d) stabiliva, poi, che nel contratto di somministrazione di lavoro, da stipularsi in forma scritta dovessero obbligatoriamente essere indicati i rischi per l’integrità e la salute del lavoratore, nonché le misure di prevenzione da adottarsi conseguentemente. In precedenza l’art. 3, comma 3 lett. h legge n. 196/1997, si limitava a rendere obbligatoria l’indicazione delle eventuali misure di sicurezza necessarie in relazione al tipo di attività, ma non prevedeva alcuna specifica sanzione nel caso della loro omessa indicazione. Al contrario il comma 4 dell’art. 21 sanzionava la mancata indicazione di tali elementi, addirittura con la nullità del contratto e la conseguenza che i lavoratori somministrati debbano essere considerati alle dipendenze dell’utilizzatore. Per evitare tale sanzione, quindi la norma richiedeva un’attenta verifica dei contratti da stipularsi, non essendo sufficiente un generico richiamo ai rischi esistenti ed alle misure di prevenzione adottate, ma è necessario indicare nel modo più analitico possibile per l’integrità e la salute del lavoratore, nonché le misure di prevenzione adottate al fine di evitare le gravose conseguenze sanzionatorie prevista dalla M. Lai, La sicurezza del lavoro nelle nuove tipologie contrattuali, in DLM, 2005, I, 102. C. De Marco, La gestione della sicurezza nel contratto di somministrazione e nel contratto di lavoro a progetto, in RGL, 2006, n. 2, 382. 11 12 32 norma13. Il successivo art. 23, comma 5 conferma che durante la vigenza del contratto di somministrazione e salvo diversa pattuizione contrattuale con l’utilizzatore è fatto obbligo al datore di lavoro somministrante di informare i lavoratori sui rischi per la salute e la sicurezza connessi con le attività produttive in generale, nonché di formarli e di addestrarli all’uso delle attrezzature di lavoro in relazione alle attività per le quali sono assunti, in conformità alle disposizioni contenute nel d.lgs. 626/1994. Questo articolo non presenta alcuna specifica innovazione rispetto a quanto già contenuto nell’abrogato art. 3, comma 5 della legge 196/1997, ma significativamente, il comma 5 dell’art. 23 conclude in analogia con le previsioni dell’abrogato art. 6 legge 196/1997, imponendo in ogni caso all’utilizzatore delle prestazioni lavorative in regime di somministrazione, di osservare tutti gli obblighi di protezione previsti nei confronti dei loro dipendenti. Al somministrante compete, salvo diversa previsione la formazione e l’informazione sui rischi in genere dell’attività produttiva nonché la formazione e l’addestramento all’attività specifica andranno a svolgere, mentre all’utilizzatore compete di assicurare, in concreto ai lavoratori somministrati tutte le misure e cautele come per qualsiasi altro lavoratore14. L’art. 23 comma 5, poi, stabilisce che l’utilizzatore debba informare il lavoratore somministrato in conformità al d.lgs. n. 626/ 1994, nel caso in cui il prestatore di lavoro somministrato si adibito a mansioni che richiedono una sorveglianza medica speciale o comportino rischi specifici. Su questo punto la norma si discosta in pejus dalla previsioni contenute nell’oramai abrogato art. 1 comma 4 lett. f della legge n. 196/1997 che vietava la conclusione di contratti di lavoro temporaneo da parte di aziende che effettuavano lavorazioni richiedenti sorveglianza medica speciale e per lavori particolarmente pericolosi individuati con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, limitandosi a riprodurre le sole disposizioni già contenute nel comma 1 dell’art. 6 della legge 196/1997. Il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, successivamente all’entrata in vigore della legge 196/1997, aveva delimitato il campo delle lavorazioni particolarmente pericolose per le quali era vigente tale divieto. Tuttavia la previsione contenuta nel comma 5 dell’art. 23, nella realtà risolve il contrasto esistente tra le due norme già facenti parte del pacchetto TREU in quanto il legislatore riproponendo il disposto del solo art. 6, comma 1 della legge 196/1997, ha eliminato in modo definitivo la contraddizione che esisteva con l’art 1, comma 4, lett. f) della legge n. 196/1997. Alla stregua delle nuove disposizioni, non sussiste alcuna violazione dell’art. 5 della Direttiva 383/91 in quanto tale articolo stabilisce che gli Stati Membri hanno la facoltà di vietare che si faccia ricorso a lavoratori che hanno un rapporto di lavoro contemplato dall’art.. 1 per taluni lavori particolarmente pericolosi per la loro sicurezza o salute secondo la definizione della legislazione nazionale ed in particolare per taluni lavori che formano oggetto di una sorveglianza medica speciale definita dalla legislazione nazionale. Trattasi di facoltà, ma non di obbligo, per cui non sussiste contrasto alcuno con la normativa comunitaria. Infine nel campo relativo al contratto di somministrazione di lavoro, l’art. 25, comma 3 stabilisce che i premi assicurativi dovuti all’INAIL ai sensi del DPR: n. 1124/1965, siano calcolati in relazione al tipo ed al rischio delle lavorazioni svolte presso l’impresa utilizzatrice, in base al tasso medio o al tasso medio ponderato stabiliti per le lavorazioni svolte ovvero determi9nati per lavorazioni effettivamente eseguite nel caso in cui presso l’impresa utilizzatrice le stesse non siano già assicurate. La norma non apporta alcuna innovazione rispetto alla previgente normativa sul lavoro temporaneo15. Il lavoro a progetto. Altrettanto rilevanti i riferimenti alla normativa sulla salute e sicurezza nell’ipotesi di lavoro a progetto e lavoro occasionale. Ai sensi dell’art. 62, comma 1 lett. e) il contenuto del contratto di F. Mantovani, Salute e sicurezza del lavoro nella riforma Biagi, in GL, 2004, n. 20, 30-33. F. Bacchini, Salute e sicurezza nella riforma del lavoro: il Decreto Biagi, in DPL, 2003, 663. 15 F. Mantovani, Salute e sicurezza del lavoro nella riforma Biagi, cit., 35. 13 14 33 lavoro a progetto, da stipulare con forma scritta ad probationem, doveva ricomprendere tra l’altro le misure di sicurezza specifiche in relazione al tipo di attività svolta dal lavoratore. L’art. 66 comma 4 dispone, inoltre che nel caso in cui il lavoratore a progetto avesse dovuto svolgere la sua attività nei luoghi di lavoro del committente, al rapporto con lo stesso si sarebbero applicate le norme di sicurezza ed igiene sui luoghi di lavoro di cui al 626/1994 nonché le norme di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, le norme di cui all’art. 51, comma 1 della legge 23 dicembre 1999, n. 48816 e del decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale 12 gennaio 200117. L’art. 61, comma 2, poi definisce quale lavoro occasionale, quello prestato a favore di un committente la cui durata annua non sia superiore ai trenta giorni e sempre che il compenso allo stesso non sia superiore ad euro 5.000.000. Nel caso di superamento dei limiti anzidetti, al lavoratore occasionale si applicheranno tout court le norme sul lavoro a progetto ovvero del lavoro subordinato, ivi comprese quelle relative alla sicurezza ed igiene sui luoghi di lavoro già evidenziate. Il lavoratore a progetto operante nei luoghi di lavoro del committente, ai fini della nuova normativa diventava, di fatto, lavoratore ai sensi della lettera a) comma 1 articolo 2 del D.lgs. 626/1994. L’ampliamento della tutela antinfortunistica anche ai lavoratori a progetto è significativa in quanto l’unica norma che in precedenza si occupava in modo organico della tutela da apprestare ai prestatori di lavoro autonomo che operavano all’interno delle aziende, l’art. 7 del d.lgs. 626/94, possedeva un ambito di applicazione limitato, anche se coerente con le finalità di sicurezza perseguite dal legislatore. Al contrario l’applicazione anche a tale rapporto dell’art. 2087 cc. e quindi l’attribuzione in capo al committente dei compiti e delle responsabilità del datore di lavoro, veniva in genere esclusa. L’art. 7 del d.lgs. 626/1994 così come modificato dall’art. 5 del d.lgs. 19 marzo 1996, n. 242 prevedeva che qualora fosse stata affidata l’esecuzione di lavori all’interno delle aziende a lavoratori autonomi, sarebbero insorti obblighi ben precisi a carico sia del datore di lavoro committente, che dei lavoratori autonomi incaricati della esecuzione dei lavori o della prestazione d’opera dedotta contrattualmente. Tali obblighi si sostanziavano nella verifica da parte del committente dei requisiti tecnico-professionali del lavoratore autonomo dell’appaltatore e/o subappaltatore ex art. 7 comma 1 punto a) del D.lgs. n. 626/1994, nella informazione, sempre da parte del committente, sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati ad operare questi lavoratori, sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività(articolo 7 comma 1 punto b del d.lgs. 626/1994) nella cooperazione fra datori di lavoro,appaltatori e committenti, all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto, nel coordinamento della prevenzione, a carico del datore di lavoro committente, degli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, fornendo informazioni anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva (art. 7 commi 2 e 3 d.lgs. 626/1994)18. Gli obblighi a carico del committente, tuttavia, erano stati introdotti nel nostro ordinamento per via giurisprudenziale, già prima della entrata in vigore del D.lgs. 626/1994. La stessa giurisprudenza aveva ampliato gli obblighi del committente ben aldilà del dato normativo rappresentato dall’art. 5 del DPR n. 547/1955, senza però giungere al punto di assimilare in tutto e per tutto il committente al datore di lavoro vero e proprio19. Il lavoratore autonomo e appaltatore, alla luce della nuova disciplina, invece, non solo erano tenuti ad operare in modo coordinato con il committente, ma a porre in essere l’attività Legge finanziaria 2000. Il decreto reca i criteri per la corresponsione dell’indennità di malattia in caso di degenza ospedaliera, agli iscritti alla gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335. 18 F. Mantovani, Salute e sicurezza del lavoro nella riforma Biagi, cit., 36-37. 19 Cass. pen, sez. IV, 8 febbraio 1990, n. 1659, nonché Cass. pen., sez. IV, 13 settembre 2001, n. 33555. 16 17 34 prevenzionale in materia di sicurezza e salute per quanto concerne i rischi specifici della loro attività, nonché a rispettare quanto previsto dalla normativa speciale vigente nel loro specifico ambito professionale, in quanto rilevante ai fini della sicurezza di coloro che con lo stesso lavoratore entravano in contatto. L’operazione di estensione delle norme previste per lavoro subordinato propriamente detto, al lavoro autonomo svolto in regime di parasubordinazione, non costituisce certo novità nella materia giuslavoristica. Le ragioni di tale estensione così come operata dal d.lgs. 276/2003, nel caso del lavoro a progetto, derivano dal fatto che i poteri spettanti al committente sono particolarmente penetranti, portando a completamento l’operazione già intrapresa dalla giurisprudenza, ampiamente dilungatasi sulle problematiche relative a tale operazione. Quest’ultima, infatti, aveva definito quale lavoratore parasubordinato colui il quale realizzi un’opera in collaborazione con il committente e la cui prestazione sia continua e coordinata con l’attività svolta da questi, ma ha altresì stabilito che le norme dettate per il lavoro subordinato non si applichino tout court anche al lavoro parasubordinato, ma solo nei casi espressamente previsti dalla legge. Aveva così riconosciuto a tali forme di lavoro l’applicazione delle norme relative al processo del lavoro e la disciplina delle rinunzie e delle transazioni di cui all’art. 2113 cc. sia pure con qualche oscillazione. Al contrario la stessa giurisprudenza aveva negato, sia pure con qualche eccezione, l’estensione generalizzata al lavoro parasubordinato delle norme sostanziali applicabili al rapporto di lavoro propriamente detto, come ad esempio l’art. 2126 cc. oppure l’articolo 2 della legge n. 604/1966 o l’art. 36 della Costituzione e così via. In considerazione di ciò il legislatore ha previsto ex art. 66 comma 4 d.lgs. 276/2003 espressamente l’estensione ai lavoratori a progetto delle norme di sicurezza dettate per i lavoratori subordinati. Di converso l’esercizio effettivo dei poteri e delle iniziative in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, produce peraltro l’inevitabile conseguenza che esso non potrà mai costituire indica alcuno della diversa natura del rapporto dedotto in contratto. In altre parole non si potrà contestare la natura autonoma del rapporto così dedotto per il solo fatto che il committente abbia esercitato i poteri attribuiti dalla legge nella materia che stiamo esaminando20. In merito poi all’applicazione dell’art. 2087 nell’ambito dei rapporti di lavoro autonomo parasubordinato, la giurisprudenza, dopo un lungo periodo in cui aveva negato tale estensione21, era poi pervenuta a riconoscere che l’art. 2087 cc. in quanto norma integratrice delle disposizioni dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, imponesse anche al committente il dovere di provvedere alle misure di sicurezza dei lavoratori che non siano suoi dipendenti, nel caso in cui lo stesso disponesse dei poteri tecnico organizzativi dell’opera da eseguire, con ciò capovolgendo l’impostazione formalistica comunemente seguita22. Con l’entrata in vigore dell’art. 66 comma 4 del d.lgs. 276/2003 la questione, interessante nei suoi profili evolutivi, perdeva comunque di interesse, data l’equiparazione tra lavoratore a progetto e lavoratore vero e proprio, operata dalla suddetta disposizione. Il lavoro intermittente. Al titolo V capo I del d.lgs. 276/2003 è disciplinato il lavoro intermittente. Ai sensi dell’art. 34 comma 3 lett. c) il ricorso a questa figura di lavoro dipendente non è consentito ai datori di lavoro che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ex art. 4 d.lgs. 626/1994. La norma riproduce l’analogo divieto previsto per il contratto di somministrazione di lavoro, rafforzando ulteriormente la centralità di tale documento nel sistema prevenzionale, anche per i lavoratori assunti con questa tipologia di contratto. 20 F. Roselli, Il lavoro parasubordinato, in G. Santoro Passarelli (a cura di), Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale, Ipsoa, Milano, 2006, 41-44. 21 Cass., sez. lavoro, 16 luglio 2001 n. 9614, nonché Cass., sez. lavoro, 26 gennaio 1995 n. 933. 22 Cass., sez. lavoro, 22 marzo 2002 n. 4129. 35 L’art. 35 comma 1 lett. f prevedeva che nel contratto di lavoro intermittente da stipulare in forma scritta ad probationem, dovessero essere inoltre indicate le misure di sicurezza specifiche in relazione al tipo di attività svolta senza tuttavia riprodurre il divieto già previsto dall’art. 34 comma 3 lett. c). Il lavoratore con contratto di lavoro intermittente veniva infine computato nell’organico aziendale in proporzione all’orario di lavoro svolto nell’arco di ciascun semestre ai sensi dell’art. 39 e ciò ai fini dell’applicazione di normative di legge, ivi comprese dunque quelle riferite alla sicurezza e salute nei luoghi di lavoro. Il lavoro ripartito. Il capo II del medesimo titolo V del d.lgs. n. 276/2003 disciplina invece il contratto di lavoro a prestazioni di lavoro ripartite (job sharing), che per le peculiari modalità di svolgimento della prestazione si presenta particolarmente esposto ai rischi da turn-over e a tutti quelli connessi alla presenza discontinua sul luogo di lavoro. Esso conteneva un isolato quanto importante riferimento alla tutela della salute e sicurezza del lavoratore, stabilendo l’obbligo della forma scritta (ad probationem) contenente l’indicazione, tra l’altro delle misure di sicurezza specifiche in relazione al tipo di attività svolta dai lavoratori e ciò ai sensi dell’art. 42 comma 1 lett. c). Importante, inoltre l’affermazione anche per questa fattispecie contrattuale del principio di non discriminazione rispetto al lavoratore standard. Il lavoro a tempo parziale. Il lavoro a tempo parziale, modificato dall’art. 46 del decreto legislativo 276/2003, viene riformato attraverso l’introduzione di disposizioni che ne potenziano la flessibilità, anche sulla base della sola contrattazione individuale, sia per il part-time supplementare che per quello orizzontale, verticale e misto e per il lavoro straordinario(art. 64, comma 1 lett. f), g), i), r). Quanto alla tutela della salute e sicurezza, il d.lgs. 276/2003, partendo dalla consapevolezza che questa tipologia contrattuale fosse stata a lungo considerata esposta a minori rischi, in ragione di una prestazione lavorativa quantitativamente ridotta, dava attuazione alla direttiva 97/81 CE23 che introduceva il principio di non discriminazione per i part-timer, a meno che un trattamento differente fosse giustificato da ragioni di carattere obiettivo. Un elemento che caratterizza il principio di non discriminazione, come definitivo dalla direttiva europea citata e come recepito nel decreto oggetto di esame è quello relativo alla possibilità di trattare in modo differente i lavoratori a tempo parziale qualora la specificità di un istituto contrattuale lo permetta e lo renda opportuno. Del resto in dottrina è ampiamente assodata la distinzione tra non discriminazione e parità di trattamento, per cui il primo non coincide necessariamente con il secondo24. Non venivano dettate particolari disposizioni di tutela della salute e sicurezza per il contratto di apprendistato e di inserimento professionale, limitandosi il legislatore a sottolineare, per queste fattispecie, l’importanza della certificazione oltre all’applicazione dell’art. 2087 e del decreto legislativo 6262/1994. Gli appalti. Ultimo riferimento va fatto all’art. 86 comma 10 del d.lgs. che interveniva sulla disciplina della salute e sicurezza negli appalti. L’articolo in questione ha modificato la normativa dettata in materia di certificazione di regolarità contributiva nel caso di appalti ex art. 3, comma 8 del d.lgs. 494/1996. Più in particolare essa prevedeva che in sostituzione del previgente obbligo di chiedere alle imprese esecutrici gli estremi delle denunce dei lavoratori all’INPS e d IINAIL, fosse prevista una certificazione di regolarità contributiva rilasciata da tali enti nonché dalle casse edili. Direttiva del Consiglio delle Comunità Europee adottata in data 15 dicembre 1997 relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso da UNICE, CEEP e CES. 24 M.R. Iorio, Riforma del mercato del lavoro, forme di lavoro atipico e tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, cit., 323. 23 36 Prima dell’inizio dei lavori oggetto della concessione edilizia o all’atto della denuncia di inizio di attività, era fissato l’obbligo per il committente di trasmettere all’amministrazione concedente il suddetto certificato, unitamente al nominativo della impresa esecutrice, il Ccnl applicato, l’organico medio annuo distinto per qualifica, dovrà essere. II.3.3 Salute e sicurezza nella legge Biagi. Un approccio innovativo. Anche nella sua specifica torsione, concernente il tema della salute e sicurezza dei lavoratori atipici, il decreto legislativo 276/2003 non è stato esente da critiche. Essendo figlio del Libro bianco sul mercato del lavoro dell’ottobre 2001, avrebbe riprodotto le sue stesse carenze non presentando una sistematica analisi della questione, ma limitandosi ad effettuare una critica sulla complessità del sistema normativo e sulla eccessiva burocratizzazione degli adempimenti in materia e proponendo, come unico paradigma di riferimento, per le politiche in materia di salute e sicurezza sul lavoro, il passaggio dal management by regulation al management by objectives25. Tale approccio avrebbe ignorato il fatto che a livello comunitario salute e sicurezza sul lavoro sarebbero elementi indispensabili per una migliore qualità del lavoro. Il d.lgs. 276/2003 non avrebbe così dedotto i giusti corollari della Strategia comunitaria per la salute e la sicurezza sul lavoro (2002-2006) il cui elemento indefettibile è la garanzia di una ambiente di lavoro sicuro e sano da realizzarsi attraverso il consolidamento della cultura della prevenzione dei rischi, della migliore applicazione del diritto esistente all’impostazione globale del benessere sul lavoro26. Pare innegabile invece che il decreto legislativo abbia profuso grande impegno nella modernizzazione del diritto del lavoro italiano alla luce dei contenuti del Libro Bianco27, del Patto per l’Italia del luglio 2002 e delle linee guida comunitarie in materia di occupazione. Sotto lo stretto profilo della sicurezza e salute dei lavoratori, poi, esso rappresenta un primo passo verso l’allargamento delle tutele prevenzionistiche alle tipologie di lavoro atipico con l’impiego di strumenti diversi. In primo luogo attraverso una più puntuale definizione delle singole fattispecie, avente come principale punto di riferimento il tipo di lavoro che il lavoratore sarà tenuto a svolgere, in modo tale da eliminare il più possibile dubbi di carattere interpretativo circa l’ambito di applicazione delle norme di tutela. In secondo luogo, attraverso, il nuovo concetto di lavoratore sotteso all’impianto del decreto che in una prospettiva evolutiva volta a superare la tradizionale dicotomia tra lavoratore subordinato e lavoratore autonomo, elimina ogni dubbio o perplessità circa la ricomprensione dell’una e dell’altra fattispecie nella prima o nella seconda classificazione ed eleva il lavoratore atipico al rango di lavoratore in coerenza con la proposta di Statuto dei lavori di cui la riforma Biagi costituiva il necessario presupposto culturale e normativo. In terzo luogo la previsione tra gli elementi del contratto delle misure specifiche per la tutela della salute e della sicurezza che concede la possibilità non soltanto alla contrattazione collettiva ma anche alle parti di individuare specifiche esigenze di tutela per quella data fattispecie contrattuale. Si consideri anche il principio cardine di non discriminazione rispetto al lavoratore subordinato. La flessibilità viene così impiegata sia per far emergere le forme del lavoro sommerso, sia per O. Bonardi, La sicurezza del lavoro nella Comunità Europea, nella Costituzione e nella legge di semplificazione n. 229/03, in RGL, 2004, n. 3, 437-484, nonché C. De Marco, La gestione della sicurezza nel contratto di somministrazione e nel contratto di lavoro a progetto, 399. 26 Comunicazione della Commissione per la salute e sicurezza sul lavoro (2002-2006), Bruxelles, 11 marzo 2002, COM(2002)118, def. 27 Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia, proposte per una società attiva ed un lavoro di qualità, Roma, 2001. 25 37 estendere quelle tutele che erano esclusive del lavoro subordinato a tempo indeterminato ai rapporti atipici soprattutto in relazione alla specificità del lavoro prestato. La centralità della valutazione dei rischi. Sotto un profilo più strettamente tecnico, elemento più innovativo del d.lgs. 276/2003 sembra, poi, potersi ravvisare nella crescente valenza attribuita al documento di valutazione dei rischi aziendali e alle ricadute dello stesso nel sistema del lavoro atipico28, avendo l’impianto normativo preso atto dell’importanza che le modalità di adempimento di tale obbligo datoriale stavano assumendo a seguito dell’evoluzione dei modelli di organizzazione del lavoro. La valutazione dei rischi, infatti, è l’elemento che più di ogni altro caratterizza l’aspetto prevenzionale del sistema di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro: grazie ad un costante monitoraggio delle condizioni aziendali, vengono individuate le azioni di prevenzione e ne viene pianificata l’attuazione. Si tratta di una valutazione non astratta che deve tradursi in un documento scritto in cui si programmano le misure di intervento più opportune: un documento da conservare in azienda, da aggiornare a fronte di significative modifiche del processo produttivo e, soprattutto, da integrare con l’eventuale documentazione attestante la valutazione di rischi particolari (lavoratrici madri, giovani lavoratori, lavoro ai videoterminali, protezione da agenti chimici). In tale prospettiva, valutazione dei rischi e documento di valutazione, almeno funzionalmente, si configurano come momenti inscindibili di un unico fondamentale obbligo cui il datore di lavoro è tenuto, obbligo che può essere ritualmente assolto con il coinvolgimento e la collaborazione di tutte le figure aziendali che svolgono un ruolo determinante nell’ambito del sistema prevenzionale, secondo le previsioni dell’art. 4 del d.lgs. 626/1994. Valutare il rischio significa principalmente conoscere in modo approfondito l’organizzazione dell’azienda nonché l’intervento dei lavoratori nelle singole fasi e sottofasi che compongono il ciclo produttivo. Durante tale indagine il datore di lavoro deve avere ben evidenti gli obblighi in materia di sicurezza ed igiene sui luoghi di lavoro, obblighi specificamente normati e ai quali non può che dare stretta osservanza, quindi dovrà valutare i rischi che residuano dopo la prima operazione preliminare di conformità normativa del proprio sistema di sicurezza aziendale. Rispetto al superamento del divieto di assumere lavoratori flessibili, poi l’attività di valutazione richiede un’attenta indagine dei rischi specifici che vi sono connessi, distinti per tipologia contrattuale, contestualizzati alle caratteristiche dimensionali ed organizzative dell’ambiente di lavoro ed all’attività produttiva che vi si svolge. Tale indagine deve essere poi integrata dall’individuazione delle concrete misure di prevenzione e protezione che le risultanze della valutazione abbiano indicato come necessarie. In quanto valutazione specifica di rischio, gli esiti della stessa dovranno adeguatamente risultare nel documento di valutazione, sia come relazione dell’attività effettivamente svolta, sia come individuazione delle misure e della loro attuazione programmata. Del resto dalle stesse valutazioni espresse dalla Corte di giustizia nella sentenza del 15 novembre 200129, ottemperando la quale era stato riformulato il primo comma dell’art. 4 del d.lgs. n. 626 del 1994 (l. n. 39 del 2002, art. 21, comma 2), i dubbi sulla inadeguatezza della valutazione dei rischi relativi all’assunzione dei lavoratori flessibili restavano davvero ingiustificati. Il dettato della norma era stato infatti chiarito nel senso che il datore di lavoro in relazione alla natura dell’attività dell’azienda, doveva valutare tutti i rischi per la sicurezza dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, dunque anche i lavoratori flessibili. F. Mantovani, Salute e sicurezza del lavoro nella riforma Biagi, cit., 40. C. Giust. 15 novembre 2001, causa C-49/2000, di condanna per l’Italia per l’incompleto recepimento delle direttive comunitarie in relazione ai profili delle capacità e delle attitudini necessarie per svolgere i compiti di Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (SPP) così come previsti dal d.lgs. 626/94. 28 29 38 Purtroppo, l’effettività e l’efficacia del modello prevenzionale, imperniato com’è sulla descritta valutazione dei rischi e sulla redazione del relativo documento, sono state a lungo seriamente compromesse da diversi fattori, primo tra tutti la particolare struttura del sistema produttivo del nostro paese caratterizzato da una percentuale altissima di medie, piccole e piccolissime imprese, senza il supporto di una rete efficiente di servizi di vigilanza e di controllo. La peculiare fisionomia del mercato produttivo italiano ha così influito negativamente sulla trasformazione degli obblighi di valutazione dei rischi e di redazione dei relativi documenti in meri oneri burocratici di redazione di un modulo o di una semplice formale autocertificazione. Tali rilevazioni non erano quindi sfuggite in sede di redazione del decreto legislativo 276/2003 in cui la preoccupazione di apprestare tutela alle forme di lavoro ivi contemplate è accompagnata dalla consapevolezza che in ogni caso il datore di lavoro, che si fosse avvalso del lavoro flessibile, non avrebbe potuto più esimersi dal valutare i rischi derivanti dall’utilizzo di siffatte collaborazioni, e ciò indipendentemente dalla circostanza che la legge disponesse espressamente l’obbligatorietà di tale valutazione. Tale consapevolezza derivava proprio dal carattere dinamico ed aperto di tale documento. Le raccomandazioni UE e gli sforzi del legislatore italiano rendevano evidente che tutte le sollecitazioni provenienti dal mercato del lavoro e dalle parti sociali avrebbero dovuto trovare risposte adeguate. Il nostro legislatore, conscio di tutto ciò si è sforzato di adattare la figura tradizionale del prestatore di lavoro a questi nuovi scenari, dilatando nel contempo l’ambito di applicazione delle tutele antinfortunistiche. In questa prospettiva il punto critico per ogni datore di lavoro è rappresentata dal documento di valutazione dei rischi, da concepire in maniera dinamica e aperta. Il d.lgs. 276/2003 si presentava idoneo a perseguire le anzidette finalità aprendo prospettive di adeguamento della gestione della salute e sicurezza dei lavoratori al mutamento dei modelli di organizzazione del lavoro e dei modelli contrattuali da svilupparsi in sede interpretativa ed organizzativa del lavoro in azienda30. II.3.4 Prospettive di evoluzione nell’ottica di elaborazione di un Testo Unico. L’applicazione della parità di trattamento tra lavoratori atipici e lavoratori standard, supportata da specifiche disposizioni organizzative di tutela parametrate alle singole tipologie contrattuali e la esaltazione della valutazione dei rischi nella sua funzione di adempimento chiave nella gestione e prevenzione degli infortuni sul lavoro, sono i punti chiave del decreto legislativo 276/2003, quegli elementi di novità che consentono di considerare l’impianto normativo capace di interpretare fino in fondo lo spirito della direttiva 91/383. Sorprende tuttavia che il suo approccio innovativo al tema della sicurezza sul lavoro, legato alle problematiche dell’organizzazione del lavoro in azienda, non sia stato sviluppato nella prassi applicativa e nei provvedimenti legislativi che si sono succeduti negli anni più recenti. Numerosi sono stati i tentativi, infatti, negli ultimi dieci anni, di dar vita ad un’opera di raccolta sistematica della normativa di tutela della salute e sicurezza negli ambienti di lavoro. I primi tentativi risalgono infatti agli anni Novanta proprio in coincidenza con l’avvio del processo di trasposizione, nel nostro ordinamento, dell’imponente normativa di livello comunitario che regola la materia. Anche dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 6262 del 1994, che ha recepito la direttiva quadro 89/391 e le altre direttive particolari, accorpando in un unico testo di legge la maggior parte della normativa prevenzionistica, non sono mancati importanti tentativi volti alla definizione di un Testo Unico. Il quadro normativo scaturito dalla trasposizione della legislazione comunitaria, come anticipato nei paragrafi precedenti, era apparso subito inadeguato ad assicurare un sufficiente livello di certezza del diritto e di effettività delle tutele per i soggetti destinatari, in particolare per i lavoratori atipici. Questo spiega perché il legislatore già all’indomani 30 F. Mantovani, Salute e sicurezza del lavoro nella riforma Biagi, cit., 40. 39 dell’emanazione del decreto legislativo 626 del 1994 avesse subito ipotizzato la codificazione di un Testo Unico della sicurezza del lavoro. Tale istanza è passata attraverso vari tentativi codificatori non pervenuti a buon fine31. Due importanti schemi di articolato hanno segnato questo iter. Più in particolare si fa riferimento rispettivamente al disegno di legge n. 2389 del 1997 di iniziativa del senatore Smuraglia ed al successivo disegno di legge predisposto da una Commissione di studio istituita con decreto del Ministro del Lavoro del 23 luglio 1996 e presieduta dal Prof. Marco Biagi32. Quest’ultimo venne poi successivamente ripreso con i necessari adattamenti e aggiornamenti dagli estensori dello schema di Testo Unico di attuazione dell’art. 3 della legge 229 del 200333, caratterizzato a dire il vero da una filosofia ancor più marcatamente innovativa. Esso infatti introduceva nel sistema prevenzionistico un meccanismo di aggiornamento automatico degli standard tecnici di sicurezza al progresso scientifico e tecnologico, rinviando sia ai principi generali di sicurezza europei sia alle norme di buona tecnica e alle buone prassi, nella convinzione che la prevenzione in materia di salute e sicurezza sul lavoro dovesse essere affrontata non solo e non tanto in funzione del soddisfacimento degli aspetti meramente formali, ma di quelli più propriamente sostanziali, determinando il passaggio da una gestione della sicurezza per regole e sanzione ad una sostanziale e più efficace per obiettivi34, che tenesse conto delle esigenze di effettività delle tutele, anche in relazione alle categorie di lavoratori più vulnerabili, tra cui inevitabilmente rientrano i lavoratori non standard. Più volte, nel corso di questo iter codificatorio si era ribadito che la gestione della salute e sicurezza negli ambienti di lavoro risentiva, in modo inevitabile, della evoluzione dei modelli di organizzazione del lavoro e della diffusione delle tipologie di lavoro non standard, per loro intrinseche caratteristiche più esposte ad un ambiente di lavoro ostile. Al riguardo, infatti, tra i criteri direttivi delle Linee Guida di un documento programmatico per la formulazione di un TU sulla sicurezza e l’igiene del lavoro, compariva anzitutto la necessità di prendere in considerazione la tematica dei nuovi rischi collegati all’organizzazione del lavoro, agli aspetti relazionali ed alle fattispecie contrattuali. Si sottolineava inoltre che l’estensione di per sé di tutte le norme e misure di sicurezza a tutti i lavori e tipologie contrattuali non fosse sufficiente a colmare le problematiche di gestione legate al lavoro autonomo ed a tutti i lavori frammentati, atipici, eseguiti in luoghi diversi dalla sede principale di lavoro. Per questi ultimi, infatti, l’informazione, la formazione e la vigilanza sono adempimenti meno agevoli da realizzare, da integrarsi necessariamente con indicazioni precise, misure tecniche organizzative e procedurali ispirate ai principi di ergonomia. Si sottolineava inoltre la necessità di dare rilancio all’art. 2087 cc., disposizione di fondamentale importanza per un adeguamento della gestione della sicurezza all’evoluzione dei modelli organizzativi e del mercato del lavoro35. II.3.5 Il decreto legislativo n. 81 del 2008. In questo quadro di maturata consapevolezza si inserisce l’emanazione del decreto legislativo n. 81 del 2008. Si dubita, tuttavia, che il nuovo impianto normativo sia riuscito ad interpretare le istanze di maggiore effettività delle tutele per i lavori non standard. M Tiraboschi, La tutela della salute sicurezza nei luoghi di lavoro alla prova del Testo Unico, in M. Tiraboschi (a cura di), Il Testo Unico della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Commentario al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, Giuffrè, Milano, 2008, 1-3. 32 Entrambi i disegni di legge furono elaborati sulla scorta della Legge comunitaria n. 146/1994. 33 Disegno di legge del 18 novembre 2004 di attuazione dell’art. 3 della legge del 29 luglio 2003, n. 229. 34 M. Tiraboschi, La tutela della salute sicurezza nei luoghi di lavoro alla prova del Testo Unico, cit., 3. 35 Così le valutazioni del Prof. Carlo Smuraglia nelle Linee Guida di un documento programmatico per la formulazione di un TU sulla sicurezza e igiene sul lavoro nella versione definitiva approvata il 14 novembre 2005. 31 40 Tra i profili di maggiore novità del decreto legislativo n. 81 del 2008 particolare attenzione merita l’estensione del campo di applicazione soggettivo della normativa in materia di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori, operato dall’art. 3. La nuova disciplina, interessa ora tutti i lavoratori, indipendentemente dal tipo di contratto che li lega a un determinato utilizzatore, collocandosi così ben oltre la tradizionale area del lavoro dipendente. Il provvedimento trova infatti applicazione non solo nell’ambito del c.d. “lavoro atipico” che, notoriamente, presenta elevati profili di criticità,proprio con riferimento all’elevato grado di incidenza del fenomeno infortunistico, ma anche in quello del lavoro autonomo, sino a interessare, anche i lavori resi fuori mercato come i tirocini ed il volontariato. Esso, pertanto, in modo decisamente innovativo rispetto al decreto legislativo n. 626 del 1994, mira ad adattare il dato giuridico formale alla progressiva perdita di centralità del contratto standard di lavoro subordinato a tempo indeterminato36. Tuttavia alla tanto enfatizzata estensione (formale) del campo di applicazione soggettivo non ha fatto seguito una risposta ordinamentale coerente all’esigenza, di tutele e misure specifiche per l’ampio gruppo dei lavoratori atipici e temporanei. Tant’è che l’articolo 3, comma 7, del decreto legislativo n. 81 del 2008 si limita infatti a prevedere che, «nei confronti dei lavoratori a progetto, di cui agli articoli 61 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni e integrazioni, e dei collaboratori coordinati e continuativi di cui all’articolo 409, n. 3, del Codice di Procedura Civile, le disposizioni di cui al presente decreto di applicano ove la prestazione lavorativa si svolga nei luoghi di lavoro del committente». Per le particolari modalità, anche contrattuali, del lavoro che svolgono, i lavoratori c.d. atipici necessitano, infatti, non solo e non tanto dello stesso livello di protezione di cui fruiscono i lavoratori stabilmente inseriti in un determinato contesto produttivo o di lavoro secondo una logica, tutta formalistica, di assimilazione tipologica e conferma della parità di trattamento. Del resto, le stesse statistiche sull’andamento degli infortuni sul lavoro nel nostro Paese indicano come, a fronte di un globale calo degli incidenti su tutto il territorio, il bilancio per gli atipici continui ad essere molto negativo. Proprio tali gruppi di lavoratori riflettono, infatti, una arretratezza dei modelli prevenzionistici e di valutazione dei rischi che avrebbero imposto, in sede di redazione del Testo Unico, una particolare attenzione37. Da questo punto di vista, dunque il Testo Unico non ha detto molto di più rispetto al decreto 276 del 2003 di attuazione della Legge Biagi che aveva già provveduto ad estendere buona parte della legislazione in materia di sicurezza e tutela della salute nei luoghi di lavoro alle nuove tipologie contrattuali in essa contenute, comprese, in particolare, le collaborazioni coordinate e continuative rispetto alle quali, tuttavia, si rinviava alla adozione del Testo Unico per il concreto adattamento dei principi generali di tutela prevenzionistica alle oggettive peculiarità del lavoro a progetto. Il decreto legislativo n. 81 del 2008 infatti non ha operato l’atteso coordinamento della disciplina prevenzionistica con quella del mercato del lavoro, là dove l’estensione del campo di applicazione soggettivo avrebbe dovuto accompagnarsi, in chiave prevenzionale, con disposizioni più specifiche per tenere conto della sempre più massiccia presenza, nei luoghi di lavoro, di una variegata tipologia di relazioni contrattuali e di soluzioni organizzative38. E ciò, indubbiamente, a partire dall’obbligo di valutazione dei rischi che infatti. L’articolo 28, del decreto legislativo n. 81 del 2008, infatti prevede che «la valutazione di cui all’art. 17, comma 1 lett. a) anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui quelli collegati allo stress lavorocorrelato […] la lavoratrice in stato di gravidanza […] nonché quelli connessi alle differenze di 36 M. Tiraboschi, Campo di applicazione e tipologie contrattuali, in M. Tiraboschi (a cura di), Il Testo Unico della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Commentario al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, cit., 65-72. 37 M. Giovannone, Infortuni sul lavoro in calo, ma per immigrati ed atipici il bilancio è negativo, in A. Antonucci, P. De Vita, M. Giovannone (a cura di), Il Testo Unico della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, Boll. Spec. Adapt, 2008, n. 4, nonché, per approfondimenti statistici, si rinvia a INAIL, Rapporti annuali regionali, 2006. 38 M. Tiraboschi, Campo di applicazione e tipologie contrattuali, cit., 65-72. 41 genere, all’età, alla provenienza da altri paesi». Esso non contiene alcuna prescrizione specifica circa gli oneri gravanti, in capo al datore, nella gestione e prevenzione del rischio, a fronte delle tipologie contrattuali c.d. atipiche o temporanee, ignorando le proposte formulate al riguardo in sede di redazione, dai sindacati. La disciplina positiva relativa alla valutazione dei rischi si limita infatti ad un ampio, quanto generico, riferimento a gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari. Questo gruppo di lavoratori, viene tuttavia identificato sulla base di condizioni meramente soggettive (età, provenienza, genere, condizioni psicofisiche), senza alcun espresso richiamo al modello contrattuale di instaurazione del rapporto di lavoro. Sotto tale aspetto, infatti, la citata norma, pur innovativa, rispetto all’impianto del decreto legislativo n. 626 del 1994, nulla aggiunge all’articolo 21, comma 2, della legge n. 39 del 2002. Anche il raffronto testuale e sistematico della disposizione in oggetto, con l’articolo 2, lett. c), della legge n. 123 del 2007, mette in luce l’approssimazione per difetto, con cui il legislatore ha dato corso alla delega. La norma citata, infatti, tra i principi ed i criteri direttivi generali per la redazione dei decreti attuativi, ha espressamente previsto l’applicazione della normativa in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro a tutti i lavoratori e lavoratrici, autonomi e subordinati, nonché ai soggetti ad essi equiparati, prevedendo misure di particolare tutela per determinate categorie di lavoratori e lavoratrici e per specifiche tipologie di lavoro e settori di attività. Un dettato inequivocabile, da cui traspare che i lavoratori soggetti a rischi particolari, nella ratio legis, sono da individuarsi non soltanto in base a criteri di tipo soggettivo (determinate categorie di lavoratori e lavoratrici), ma anche di tipo oggettivo, e cioè contrattuale ed organizzativo (specifiche tipologie di lavoro), tra cui inevitabilmente ricadono anche le fattispecie contrattuali atipiche. Pare evidente che il legislatore italiano non sia ancora del tutto consapevole del fatto che l’ampio utilizzo di queste fattispecie contrattuali sia legato ad un incalzante fenomeno di trasformazione dei modelli organizzativi del lavoro, in atto nei Paesi industrializzati da almeno venti anni. Eppure, come sottolineato dalla Corte di Giustizia, i rischi professionali che devono essere oggetto di valutazione da parte dei datori di lavoro, non sono stabiliti una volta per tutte, ma si evolvono costantemente in funzione del progressivo sviluppo delle condizioni di lavoro, delle ricerche scientifiche in materia e dei modelli organizzativi e contrattuali del lavoro39. Altra cosa è il dato empirico, in base al quale, non di rado, proprio i lavoratori esposti ai rischi particolari, vale a dire immigrati, giovani e donne, sono presenti nei luoghi di lavoro attraverso contratti di lavoro atipici o temporanei. In tal caso, infatti, l’applicazione di modelli di gestione del rischio specifici, di cui all’articolo 28 del decreto legislativo n. 81 del 2008, finisce per estendersi anche al modello contrattuale. Ciò, tuttavia, accade solo implicitamente e, comunque, in virtù di un fenomeno di assorbimento di tali categorie in quelle direttamente contemplate dal legislatore. È tuttavia da dimostrare che la fruizione indiretta di tali tutele da parte degli atipici, conduca ad esiti positivi, in chiave veramente prevenzionistica, colmandone le carenze contrattuali ed organizzative. L’area dei rischi specifici, dei cosiddetti gruppi deboli è, infatti, solo parzialmente sovrapponibile a quella degli atipici. Lo è qualora le misure specifiche per il rischio da stress giovino al lavoratore precario che, a causa della continua percezione dell’incertezza lavorativa e per il fatto di essere più facilmente adibito a carichi ed orari di lavoro eccessivi, sviluppa facilmente forme di stress permanente40. Non gioveranno invece al lavoratore atipico/temporaneo, in quanto tale, le misure prevenzionistiche previste per gli immigrati al fine di ridurre il rischio specifico, connesso a deficit linguistici. Né gli saranno di particolare giovamento le misure ad hoc per la tutela delle donne in gravidanza. Tali misure, pertanto, non forniscono validi correttivi organizzativi alla scarsa partecipazione aziendale, ai carenti poteri di negoziazione, alla adibizione a mansioni più usuranti e pericolose, al rischio di marginalizzazione all’interno dell’organizzazione aziendale, nonché alla minor protezione legale, connessa a regimi di responsabilità datoriale, fortemente frammentati, ricorrenti nel lavoro atipico. Il pericolo è che, in tal caso, si finisca nuovamente per subordinare la Corte di Giustizia Europea del 15 novembre 2001, sentenza di condanna dell’Italia. Sul punto E. Tompa, H. Scott-Marshall, R. Dolinschi, S. Trevithick, S. Bhattacharyya, Precarious employment experiences and their health consequences: towards a theoretical frame work, Institute for Work & Health, Toronto. 39 40 42 valutazione specifica del rischio, a fattori di natura meramente soggettiva, sganciati cioè dal dato organizzativo e contrattuale. Alla luce di tali osservazioni svolte nei paragrafi che precedono, risulta evidente come il legislatore delegato, pur sensibile alla necessità di riconoscere pari eguaglianza formale tra atipici e lavoratori standard, non abbia saputo adattare il quadro normativo al mutato contesto organizzativo e gestionale limitandosi a farlo in modo parziale ed estemporaneo. L’articolo 30 del decreto legislativo n. 81 del 2008, in conformità all’articolo 6, comma 1, lett. a), del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, contiene invero un’interessante disposizione in tema di modelli organizzativi e di gestione. Più in particolare, esso disciplina un complesso di standard tecnicostrutturali e di obblighi giuridici, per la definizione e l’attuazione di una politica aziendale per la salute e sicurezza. Essi, se applicati e rispettati, consentono alla persona giuridica (l’impresa) di usufruire dell’esimente relativa ai reati di cui gli articoli 589 e 590, comma 3, del Codice Penale, commessi in violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela della salute sul lavoro. La presenza di una siffatta disposizione dimostra la consapevolezza, non del tutto giunta a maturazione, del fatto che un riassetto della materia della salute e sicurezza debba partire “dal basso”, vale a dire dalle scelte organizzative che si fanno in azienda. Ciò non soltanto al fine di evitare all’imprenditore la contestazione di un reato, bensì in chiave prevenzionale, cioè in sede di valutazione diversificata dei rischi correlati alle diverse fattispecie contrattuali. L’articolo 30 avrebbe costituito un valido punto di convergenza, per l’articolo 28, se quest’ultimo non fosse rimasto a metà. La logica premiale che ispira l’articolo 30, infatti, avrebbe potuto giocare un ruolo importante nella tutela specifica dei lavoratori atipici e temporanei, sollecitando meccanismi di responsabilizzazione dell’imprenditore nelle sue scelte di gestione. In questa prospettiva il legislatore avrebbe potuto completare il suo intervento normativo, muovendo dalla rilettura e dalla valorizzazione dell’articolo 2087 del Codice Civile, nell’ottica di raccordo sistematico del panorama legislativo vigente, propria di un Testo Unico. Il potere direttivo dell’imprenditore, quale capo dell’impresa, contemplato dalla citata disposizione, ha una serie di implicazioni, non solo sotto il profilo della responsabilità risarcitoria, ma anzitutto sotto l’aspetto della organizzazione capillare dell’attività d’impresa. L’articolo, infatti, nel prescrivere l’obbligo di adozione di «quelle misure che secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore», si riferisce propriamente all’aspetto organizzativo. Il legislatore, pertanto, nel disciplinare agli articoli 28 e 29, oggetto e modalità di valutazione dei rischi, da parte datoriale, avrebbe dovuto dire di più. La garanzia della salubrità degli ambienti di lavoro, infatti, non si esaurisce sul piano normativo formale, ma presenta problematiche operative che devono essere affrontate e risolte in sede di adozione delle scelte aziendali, a seconda delle peculiarità del settore produttivo e in sintonia con l’evoluzione del mercato del lavoro, di cui i lavori atipici sono fisiologica manifestazione. Glissando sul punto, invece, le suddette norme non hanno tratto i corollari dell’articolo 2087 del Codice Civile, di un progressivo e continuo adattamento del sistema sia alle esigenze imposte dalle nuove e più perfezionate tecnologie sia agli strumenti e ai mezzi indicati, come i più idonei, dall’esperienza e dalla tecnica41. È vero, tuttavia, che l’elenco dei rischi particolari, dettato all’articolo 28,non è esaustivo, potendo dunque arricchirsi in futuro di ulteriori specificazioni. Sul punto è quindi auspicabile, da parte dei soggetti responsabili della valutazione dei rischi, e prima ancora del sindacato, una particolare attenzione ai rischi specifici a cui sono esposti i lavoratori atipici e temporanei. Sarebbe, tuttavia, ancor più auspicabile che in sede emendativa, possa essere realizzata l’integrazione del dato legale, aggiungendo espressamente ed inequivocabilmente i lavoratori non standard, all’elenco dei lavoratori esposti a rischi particolari ex art. 28, inserendovi parallelamente disposizioni ad hoc sulle modalità di effettuazione della valutazione dei rischi e sulle correlate attività formative ed informative per queste categorie di lavoratori. Sotto questo Sulla riaffermazione del ruolo centrale dell’art. 2087 c.c., Cass. pen., sez. IV, 16 luglio 2004 n. 31318; Cass. pen., sez. IV, 16 luglio 2004 n. 31303, nonché sul suo inserimento ope legis nel sinallagma contrattuale, Cass. 14 aprile 2008 n. 9817. 41 43 aspetto, poi, la valutazione dei rischi, con specifico riferimento alla organizzazione del lavoro, alle tipologie contrattuali e alla ergonomia, potrebbe camminare parallelamente alla determinazione di criteri per la previsione di certificazioni di qualità, estesi ai sistemi preventivi, come già anticipato nelle Linee guida di un documento programmatico per la formulazione di un TU sulla Sicurezza e Igiene del Lavoro del 14 novembre 2005. Al momento, però, l’attenzione per le incongruenze organizzative, relative ai lavori flessibili e precari resta una potenzialità inespressa: un vuoto normativo del quale continueranno, presumibilmente, ad usufruire quanti si sono serviti, sino ad oggi, delle fattispecie introdotte dal decreto legislativo n. 276 del 2003, in modo elusivo, gettando ingiuste ombre sul processo di modernizzazione del mercato del lavoro42. S. Ferrua, M. Giovannone, Gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari e tipologie di lavoro flessibile: la valutazione del rischio, in M. Tiraboschi (a cura di), Il Testo Unico della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Commentario al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, cit., 423-429. 42 44 II.4. Focus: il caso tedesco. II.4.1 Introduzione. Le malattie derivanti da cause professionali, così come gli infortuni sul lavoro non solo hanno importanti conseguenze sulla persona del lavoratore, ma determinano un forte impatto sulla produttività e redditività dell’impresa. Contemporaneamente il lavoro in sé o la sua mancanza rappresentano la prima causa di stress nel mondo1. È evidente quindi come la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro siano questioni fondamentali per la dignità dell’individuo, ma anche per il sistema economico nel suo complesso. Si ritiene, di conseguenza, che per ottenere il raggiungimento di standard qualitativi accettabili, finalizzati alla creazione di posti di lavoro dignitosi per tutti, occorre realizzare una grande opera di prevenzione e controllo a tutti i livelli: internazionale, nazionale ed aziendale2. La maggioranza degli incidenti e delle malattie professionali potrebbe essere così prevenuta, anche effettuando una adeguata valutazione dei rischi. Proprio in questa ottica, la Direttiva 89/391/CEE3 impone l’obbligo a tutti i datori di lavoro nell’Unione europea di svolgere un attento monitoraggio dei rischi, con la finalità di individuare gli ambiti d’intervento necessari per migliorare la salute e sicurezza nell’ambiente di lavoro. L’obiettivo di questa Direttiva-quadro è, d’altra parte, quello di assicurare proprio una migliore protezione dei lavoratori sul posto di lavoro, definendo una nuova impostazione di tipo preventivo e integrato. Le chiavi di volta su cui è basato il nuovo approccio sono, infatti: la responsabilità del datore di lavoro, i principi di prevenzione adottati, così come l’informazione, la formazione, la consultazione e la partecipazione dei lavoratori. Se le prime direttive in materia sono risalenti negli anni, il loro iter di trasposizione nelle normative nazionali non è sempre stato rapido. L’attenzione dell’Unione europea sul tema è rimasta però alta, rinnovata, anche recentemente, dal rilancio della strategia comunitaria per la salute e sicurezza sul luogo di lavoro per il periodo 2007-2012 attraverso l’adozione di una Risoluzione del Consiglio4 a seguito di una comunicazione della Commissione5. II.4.2 Il quadro normativo tedesco: l’Arbeitsschutzgesetz e il recepimento della direttiva comunitaria 89/391/CEE. Con riferimento alla materia della tutela della salute e sicurezza sul luogo di lavoro, la normativa tedesca era già sostanzialmente in linea con gli obiettivi della Direttiva 89/391/CEE. Il suo recepimento ha contribuito di fatto a completare e perfezionare la legislazione nazionale vigente6. Cfr. Eurispes, Ispesl, Incidenti sul lavoro e lavoro atipico, Roma, 2003; secondo questo rapporto, il fenomeno riguarda, infatti, il 54% dei casi osservati. In Italia per esempio, colpisce il 41% dei lavoratori, mentre in Germania il 27%. 2 Cfr. ILO, Introductory Report: Decent Work – Safe Work, International Labour Office, Geneva, 2005, 3, in voce Salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. 3 Consultabile in voce Salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. 4 Consiglio dell’Unione Europea, Risoluzione del 25 giugno 2007 su una nuova strategia comunitaria per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro (2007-2012), 2007/C 145/01, in voce Salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. 5 Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale e al Comitato delle Regioni, Migliorare la qualità e la produttività sul luogo di lavoro: strategia comunitaria 2007-2012 per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro, COM(2007)62 def., Bruxelles, 21 febbraio 2007, in voce Salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. 6 La carta costituzione tedesca contiene rimandi al tema della salute e sicurezza, in particolare negli articoli 1, 2, 3, 4, 9 comma 3, 12. Altre norme fondamentali in materia di salute e sicurezza sono contenute: nel Codice civile, art. 305 ss. art. 310 comma 4, art. 611 lettera a) e b), art. 612, artt. 611-615; nella Legge sulla regolamentazione commerciale (Gewerbeordnung) art. 105 e ss; nella Legge sul pagamento degli stipendi nei giorni festivi e in caso di malattia (Gesetz 1 45 È in particolare con l’Arbeitsschutzgesetz del 19967 che viene recepita la direttiva in parola, insieme alla direttiva 91/383/CEE. Accanto ad esse, sono state inoltre adottate altre Direttive su singoli aspetti della tutela della salute e sicurezza, le cui complete trasposizioni sono state realizzate sul piano legislativo interno attraverso specifici regolamenti paralleli all’Arbeitsschutzgesetz. Nel dettaglio, il Verordnung über Sicherheit und Gesundheitsschutz bei der Benutzung persönlicher Schutzausrüstungen bei der Arbeit (Regolamento sulla salute e sicurezza sul luogo di lavoro concernente l’uso di attrezzature di protezione individuale) dà applicazione alla Direttiva 89/656/CEE; il Verordnung über Sicherheit und Gesundheitsschutz bei der manuellen Handhabung von Lasten bei der Arbeit (Regolamento sulla salute e sicurezza sul luogo di lavoro concernente la movimentazione manuale di carichi) è attuativo della Direttiva 90/269/CEE e il Verordnung über Sicherheit und Gesundheitsschutz bei der Arbeit an Bildschirmgeräten (Regolamento sulla salute e sicurezza di attività lavorative svolte su attrezzature munite di videoterminali) ha recepito la Direttiva 90/270/CEE. La trasposizione delle Direttive comunitarie 89/391/CEE e 91/383/CEE è stata realizzata seguendo la filosofia che ispira la legislazione tedesca in questa materia, ossia: portare tutte le imprese tedesche, di piccole e grandi dimensioni, ad assimilare concretamente il concetto di protezione sul lavoro e tutela della salute dei lavoratori. Gli obblighi fondamentali generali di protezione dei lavoratori sui luoghi di lavoro, contenuti nei principi della direttiva-quadro, diventano una componente fondamentale nel già consolidato patto di protezione sociale tedesco. Premesso che rimangono invariate le disposizioni previgenti la trasposizione della direttiva8, l’analisi dettagliata della Arbeitsschutzgesetz evidenzia, innanzitutto, la suddivisione della stessa in cinque sezioni. Le prime tre sono dedicate ai principi generali, agli obblighi del datore di lavoro e ai diritti ed obblighi del lavoratore. Le ultime due sezioni contengono, invece, la delega al Governo alla emanazione di regolamenti attuativi e le disposizioni finali. L’articolo 1, comma 1 della Arbeitsschutzgesetz definisce, in linea con gli obiettivi della direttivaquadro9, che le misure di protezione del lavoro debbono assicurare e migliorare gli standard di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori sul luogo di lavoro, creando un sistema quanto più uniforme possibile di regole valide per tutti gli ambiti di lavoro. In ossequio all’articolo 2, comma 1 della direttiva, secondo cui il campo di applicazione riguarda «[…] tutti i settori d’attività privati o pubblici (attività industriali, agricole, commerciali, amministrative, di servizi, educative, culturali, ricreative, ecc.)», l’articolo 1, comma 1, della norma tedesca stabilisce infatti che la legge sia da applicare in via generale a tutti i settori di attività. Sono previste, tuttavia, delle deroghe, per cui rimangono esclusi dal campo di applicazione di questa norma i lavoratori domestici, i lavoratori marittimi e i lavoratori di imprese minerarie (a cui si applica la legge sulle miniere – Bundesberggesetz) nella misura in cui esistono specifiche normative che regolano tali contesti lavorativi. Con particolare riferimento ai lavoratori domestici, tale deroga è conforme all’articolo 3, lettera a) della direttiva 89/391/CEE, dove, definendo il concetto di lavoratore nell’ambito della stessa, si escludono esplicitamente i lavoratori domestici10. Al contrario, la normativa tedesca non fa propria la possibilità di derogare all’applicazione della direttiva nei confronti delle forze armate11, che invece rientrano nel campo di applicazione della über die Zahlung des Arbeitsentgelts an Feiertagen und im Krankheitsfall – Entgeltfortzahlungsgesetz), nonché nel III IV e V libro del Codice sociale (Sozialgesetzbuch). 7 Per esteso Gesetz über die Durchführung von Maßnahmen des Arbeitsschutzes zur Verbesserung der Sicherheit und des Gesundheitsschutzes der Beschäftigten bei der Arbeit (Legge sulla introduzione di misure di protezione del lavoro per il miglioramento della sicurezza e della tutela della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro) del 7 agosto 1996. 8 Cfr. nota 6. 9 L’art. 1, co. 1 della direttiva n. 89/391/CEE prescrive che: «La presente direttiva ha lo scopo di attuare misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro». 10 L’art. 3, lett. a) della direttiva n. 89/391/CEE afferma «lavoratore: qualsiasi persona impiegata da un datore di lavoro, compresi i tirocinanti e gli apprendisti, ad esclusione dei domestici». 11 Cfr. art. 2, co. 2 della direttiva n. 89/391/CEE: «La presente direttiva non è applicabile quando particolarità inerenti ad alcune attività specifiche nel pubblico impiego, per esempio nelle forze armate o nella polizia…» 46 Arbeitsschutzgesetz o meglio nella definizione di lavoratori ai fini di questa legge (articolo 2, comma 2). Accanto alla definizione della nozione di lavoratore, l’articolo 2, al comma 1, specifica che per misure di protezione sul lavoro sono da intendere tutte le procedure di salvaguardia dei lavoratori al fine di prevenire gli infortuni e i rischi per la salute connessi alla attività lavorativa, compresi metodi e prassi di organizzazione dignitosa del lavoro. Tale concetto (menschengerechte Gestaltung der Arbeit) viene inserito nell’ordinamento tedesco proprio da questo articolo di legge, consentendo di sottolineare l’importanza di adeguare l’organizzazione del lavoro all’uomo, attenuando il lavoro monotono, ripetitivo e riducendone gli effetti sulla salute. Con riferimento alla definizione della nozione di datore di lavoro, contenuta nell’articolo 2 comma 3 della Arbeitsschutzgesetz, individuato in qualsiasi persona fisica o giuridica che sia titolare del rapporto di lavoro con i lavoratori, come definiti nel comma 2 dello tesso articolo, essa traspone piuttosto fedelmente la definizione dell’articolo 3, lettera b) della direttiva 89/391/CEE. La normativa tedesca continua con la statuizione degli obblighi del datore di lavoro. I commi 1 e 2 dell’articolo 3 rappresentano la trasposizione degli articoli 5 comma 1 e 6, comma 1 della direttiva-quadro relativi agli obblighi, per il datore, di adottare, verificandone l’efficienza all’interno della propria impresa, tutte le misure necessarie di tutela e protezione, per garantire e tutelare la salute e l’incolumità dei propri dipendenti, provvedendo costantemente all’aggiornamento di queste misure adottate, per tener conto dei mutamenti di circostanze e tendere al miglioramento delle situazioni condizioni esistenti. Al comma 3 dell’articolo 3 della Arbeitsschutzgesetz, trasponendo l’articolo 6 comma 5 della direttiva, si sancisce che i costi delle misure relative alla sicurezza, all’igiene ed alla salute sul luogo di lavoro siano a carico del datore di lavoro e quindi si impone il divieto di trasferire tali costi sui lavoratori. I principi generali di prevenzione cui il datore di lavoro si deve attenere per tutelare i propri lavoratori sono elencati nell’articolo 4 della norma in commento – recepimento in particolare dell’articolo 6 comma 2 della direttiva – e prevedono di organizzare il lavoro in modo da ridurre al minimo i pericoli per la vita e la salute del lavoratore; di combattere i rischi alla loro fonte; di tener conto del grado di evoluzione della tecnica; di considerare prioritarie le misure di protezione collettiva rispetto a quelle individuali; di impartire adeguate direttive ai lavoratori. Viene inoltre precisato che occorre tenere in dovuta considerazione pericoli e rischi specifici di particolari categorie di lavoratori12, come nel dettaglio prevede l’articolo 15 della direttiva, che viene così trasposto. L’articolo 5 della Arbeitsschutzgesetz definisce l’obbligo della valutazione dei rischi per ogni specifica attività lavorativa e le necessarie misure di protezione che devono essere adottate – come richiesto dall’articolo 9 della direttiva. Sempre nell’ambito della seconda sezione della Arbeitsschutzgesetz, relativa agli obblighi del datore di lavoro in tema di salute e sicurezza, con l’articolo 7 viene recepito l’articolo 6 comma 3, lettera b) della direttiva, stabilendo che nell’assegnare i diversi compiti ai propri dipendenti, il datore di lavoro deve valutare attentamente le loro capacità, scegliendo sempre i più idonei a svolgere le specifiche mansioni, in modo da garantire la sicurezza e la tutela della salute. Questo aspetto acquisisce ulteriore rilevanza alla luce della diffusione delle nuove tipologie contrattuali e nuove forme organizzative della produzione, che possono prevedere la presenza nelle imprese di lavoratori non adeguatamente formati e informati o privi dell’esperienza necessari per svolgere particolari mansioni. Grande importanza viene poi riservata alla cooperazione tra diversi datori che abbiamo dipendenti nello stesso luogo di lavoro al fine di una tutela effettiva ed efficace. L’articolo 8, comma 1 della Arbeitsschutzgesetz – in attuazione dell’articolo 6, comma 4 e dell’articolo 10 della direttiva – prevede infatti che essi debbano coordinarsi nella implementazione di misure relative 12 Esempi di soggetti deboli: giovani, donne in gravidanza, disabili. 47 alla salute e sicurezza dei lavoratori e mettere reciprocamente a disposizione le informazioni relative ai rischi e alle misure di protezione previste. Inoltre, stabilito l’obbligo di informare adeguatamente i propri lavoratori (articolo 8, comma 1 in recepimento dell’articolo 10 della direttiva), nell’eventualità dello svolgimento di una attività lavorativa da parte di dipendenti di altri datori di lavoro all’interno di una impresa, il datore di lavoro di questa impresa – ai sensi dell’articolo 8, comma 2 della legge tedesca, che costituisce trasposizione dell’articolo 12, comma 2 della direttiva – deve assicurarsi che i lavoratori in questione abbiano ricevuto adeguate informazioni e istruzioni con riferimento ai pericoli e alla tutela della loro salute e sicurezza, affinché possano riconoscere le situazioni a rischio, potenzialmente dannose per la loro incolumità, fronteggiando efficacemente tali pericoli. Queste disposizioni sono previste anche dall’articolo 12 delle Arbeitsschutzgesetz, attuazione dell’articolo 12, comma 1 della direttiva, con specifico riferimento ai dipendenti del datore di lavoro, stabilendo che ricevano una formazione appropriata in materia di salute e sicurezza, sotto forma di specifiche informazioni e istruzioni. Su questo stesso filone, l’articolo 9 della Arbeitsschutzgesetz – trasponendo l’articolo 8 comma 3, 4 e 5 della direttiva – stabilisce che il datore di lavoro debba informare tutti i lavoratori che sono o che possono essere esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le misure prese o da adottare in materia di protezione. Lo stesso articolo stabilisce, inoltre, che qualsiasi lavoratore si allontani dal posto di lavoro, in caso di pericolo grave ed immediato per la propria sicurezza e/o quella di altre persone, non possa subire pregiudizio alcuno. Con riferimento all’accesso a zone particolarmente pericolose – recependo l’articolo 6, comma 3, lettera d) della direttiva – l’articolo 9, comma 1 della Arbeitsschutzgesetz statuisce che il datore di lavoro deve adottare misure appropriate affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni possano accedere alle zone che presentano un rischio grave e specifico. Le disposizioni in tema di primo soccorso, evacuazione dei lavoratori ed adozione delle misure anti-incendio, così come previste dai comma 1 e 2 dell’articolo 8 della direttiva, sono recepiti nell’articolo 10 della Arbeitsschutzgesetz. In particolare il datore di lavoro è tenuto ad adottare tutte le misure di prevenzione incendi, di primo soccorso, di evacuazione dei lavoratori che siano idonee al tipo di attività svolta ed alle dimensioni delle imprese. Tra gli obblighi del datore di lavoro, vi è anche quello di garantire, come recita l’articolo 11 della legge tedesca – recependo l’articolo 14, in particolare comma 2, della direttiva – al lavoratore, che ne faccia richiesta, la possibilità di essere sottoposto regolarmente ad un controllo medico, in funzione dei rischi a cui è esposto. A completamento delle disposizione relative agli obblighi del datore di lavoro, sono definite dall’articolo 13 della Arbeitsschutzgesetz le persone che all’interno dell’impresa sono responsabili, accanto al datore di lavoro, per l’adempimento di tali obblighi e che possono essere delegate dal datore di lavoro ad assolvere tale compito. È indubbio che l’insieme delle misure di prevenzione poste a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori e che i datori di lavoro sono obbligati ad adottare e attuare risultano del tutto inefficaci se i lavoratori stessi non rispettano le disposizioni poste a loro tutela, non utilizzano correttamente i macchinari, non segnalano adeguatamente e tempestivamente possibili situazioni di pericolo. Per queste motivazioni, le disposizioni in materia di salute e sicurezza prevedono obblighi anche per i lavoratori, accanto alla individuazione dei loro diritti. Nella Arbeitsschutzgesetz è la terza Sezione dedicata a diritti ed obblighi dei lavoratori. In particolare l’articolo 15 comma 1, recepisce piuttosto fedelmente nell’ordinamento tedesco l’articolo 13 comma 1 della direttiva, stabilendo che i lavoratori sono obbligati ad occuparsi della propria salute e sicurezza e di quella altre persone su cui possono ricadere gli effetti delle loro azioni o omissioni sul lavoro, conformemente alle istruzioni e informazioni fornite dal datore di lavoro. Anche i dipendenti debbono, dunque, cooperare con il datore di lavoro affinché le condizioni di lavoro siano possibilmente prive di rischi per la salute e la sicurezza, contribuendo a rendere possibile, per tutto il tempo necessario, lo svolgimento di tutte le mansioni o l’adempimento di 48 tutti gli obblighi imposti dall’autorità competente per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori durante il lavoro. Per realizzare tali obiettivi, i lavoratori hanno inoltre l’obbligo – ai sensi dell’articolo 15 comma 2, recepimento dell’articolo 13 comma 2 lettera a) – di utilizzare correttamente e diligentemente i macchinari, le apparecchiature, gli utensili, le sostanze pericolose, le attrezzature di trasporto e gli altri mezzi, nonché i dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione dal datore di lavoro. I lavoratori devono inoltre contribuire a garantire la loro sicurezza anche attraverso l’obbligo – articolo 16, comma 1, recepimento del 13 comma 2 lettera d, della direttiva – di comunicare tempestivamente al datore di lavoro o alla persona responsabile un pericolo grave e immediato per la salute e la sicurezza ovvero il malfunzionamento del sistema di protezione. Ai sensi dell’articolo 17, comma 1 della Arbeitsschutzgesetz, i lavoratori sono autorizzati a fare proposte in relazione alla risoluzione di tutte le problematiche che possono sorgere in tema di salute e sicurezza, dando così attuazione all’articolo 11, comma 1 della direttiva, che prevede la consultazione dei lavoratori in questa materia. A tutela della loro salute e sicurezza, i lavoratori – ai sensi dell’articolo 17, comma 2 della legge tedesca, recepimento dell’articolo 11, comma 6 della direttiva – hanno diritto di rivolgersi alla autorità competente, qualora ritengano, sulla base di ragioni concrete, che le misure prese ed i mezzi impiegati dal datore di lavoro non siano sufficienti per garantire la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro. A chiusura della normativa tedesca, le ultime sezioni, come anticipato, contengono la delega al Governo ad emanare regolamenti attuativi circa questioni specifiche la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori e le disposizioni finali, come per esempio la statuizione delle autorità competenti per la sorveglianza sulla materia, le loro azioni, la comunicazione dei dati e la collaborazione con le autorità competenti. II.4.3 La trasposizione della direttiva comunitaria 91/383/CEE. Con la nascita e la diffusione di nuove modalità di organizzazione della prestazione lavorativa, in particolare il lavoro a tempo determinato e il lavoro tramite agenzia, si è avvertita la necessità di regolamentare in modo specifico per queste categorie di lavoratori la materia della salute e sicurezza sul luogo di lavoro. L’approvazione della direttiva 91/383/CEE, riservata proprio ai lavoratori con un rapporto di lavoro a durata determinata o un rapporto di lavoro tramite agenzie, ha inteso portare a completamento le misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul luogo di lavoro. Nel già articolato sistema di protezione del lavoro tedesco nulla cambia con l’introduzione di tale direttiva. Infatti, anch’essa viene recepita nell’ordinamento attraverso la Arbeitsschutzgesetz, le cui disposizioni si applicano anche ai lavoratori con rapporto di lavoro a durata determinata ovvero ai lavoratori tramite agenzia, come definiti dall’articolo 1 della direttiva 91/383/CEE. Tra i diversi obblighi del datore di lavoro, rilevante è quello di informazione dei lavoratori circa i rischi relativi alla salute e sicurezza e alle misure di protezione. Dopo aver richiamato le disposizioni dell’articolo 10 della direttiva n. 89/391/CEE, la direttiva n. 91/383/CEE specifica che occorre infornare il lavoratore dei rischi specifici connesse alle mansioni che deve occupare, poiché si è rilevato che, in generale, i lavoratori aventi un rapporto di lavoro a tempo determinato o tramite agenzia, sono maggiormente esposti a rischio di infortunio sul lavoro e di malattie professionali13. Tuttavia, considerando che questi rischi supplementari, esistenti in taluni settori, sono in parte connessi a particolari forme di inserimento in azienda, essi possono essere diminuiti con un’adeguata formazione ed informazione all’inizio del rapporto di lavoro. La Germania, a tal Per ulteriori approfondimenti cfr. D. Hecker, N. Galais, K. Moser, Atypische Erwerbsverlaeufe und wahrgenommene Fehlbelastungen, Dortmund/Berlin, 2006. 13 49 fine, ricerca un’ampia convergenza tra i vari strumenti a disposizione: legislazione, dialogo sociale, individuazione delle migliori pratiche, responsabilità sociale delle imprese, per diffondere il più possibile il concetto di salute e sicurezza. Grande attenzione viene data a questo obiettivo, cercando di promuovere quanto più possibile la cultura della promozione del benessere e della produttività come primo e più importante fattore di protezione dei lavoratori, oggi in posizioni più articolate rispetto al passato. Le autorità nazionali tedesche, nei frequenti rapporti14 redatti in accordo con quanto stabilito dall’art. 10 comma 3 della Direttiva 91/383/CEE15, identificano, tuttavia, ancora la presenza di inadeguatezze delle misure di tutela della sicurezza dei lavoratori aventi un rapporto di lavoro temporaneo, specie per quanto riguarda le società operanti nei settori dell’edilizia, dove, tra l’altro, molto alta è la diffusione dei cosiddetti “lavoratori atipici”. Per quanto riguarda, invece, la parte relativa alla formazione ed informazione sui rischi e sulla sicurezza, si rileva un’accresciuta sensibilizzazione verso il rispetto delle disposizioni in materia di protezione e sicurezza. Si rileva, inoltre, che le agenzie di lavoro temporaneo, nelle loro ricerche di personale da affidare alle aziende, sono molto più attente nello scegliere solo i soggetti veramente idonei a svolgere determinate mansioni16. II.4.4 Le condizioni lavorative in Germania. Una buona qualità della vita lavorativa e la promozione dell’occupazione e della imprenditorialità sono temi centrali della strategia occupazionale e della politica sociale dell’Unione Europea. Promuovere la qualità del lavoro significa garantire la sicurezza del lavoro; garantire adeguate condizioni di salute e benessere dei lavoratori; promuovere lo sviluppo di capacità e competenze; conciliare vita professionale e vita privata. Per realizzare tali obiettivi attraverso la promozione di adeguate politiche, in particolare in conformità agli indirizzi espressi dalle istituzioni comunitarie, fondamentale risulta l’analisi delle condizioni di lavoro dei diversi Paesi dell’Unione, con riferimento ad alcuni temi fondamentali, quali: l’organizzazione del lavoro, l’orario di lavoro, le pari opportunità, la formazione professionale, la sicurezza sul lavoro ed il livello di soddisfazione dei lavoratori. Una indagine condotta dalla Fondazione europea per il miglioramento della condizioni di vita e di lavoro17, basata su interviste ai lavoratori, fornisce una panoramica piuttosto completa sulle effettive condizioni di lavoro in Europa e sulla percezione da parte dei lavoratori della loro situazione lavorativa. Con particolare riferimento alla Germania, nel complesso, i lavoratori tedeschi sono soddisfatti della propria situazione lavorativa principalmente per il senso di sicurezza del posto di lavoro, per la presenza di un’atmosfera di lavoro positiva e per le opportunità di apprendimento e di crescita. Con riferimento alla conciliazione tra lavoro e vita privata, sono, come ci si attende, i lavoratori impiegati con orari regolari e certi a dare il giudizio migliore. D’altra parte la flessibilità del mondo del lavoro, anche in Germania, influisce in maniera significativa sullo stato di salute e benessere dei lavoratori, specie per quanto riguarda fattori quali: l’ambiente lavorativo, l’organizzazione del lavoro o le personali condizioni psicosociali. Cfr. European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, Annual review of working conditions in the EU 2006-2007, Dublin, 2007. 15 Art.10, comma 3, Direttiva 91/383/CEE: «Ogni cinque anni gli Stati membri riferiscono alla Commissione sull’applicazione nella prassi delle disposizioni della presente direttiva, indicando i punti di vista delle parti sociali». 16 European Foundation for the Improvement of Living and Working conditions, Temporary agency work in the European Union, Dublin, 2007. 17 Cfr. European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, Fourth European Working Conditions Survey, Office for Official Publications of the European Communities, Luxembourg, 2007, in voce Salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. 14 50 Vari elementi di prova suggeriscono che i nuovi tipi di lavoro flessibile possono incidere maggiormente in maniera negativa sulla salute, rispetto ai lavori a tempo indeterminato e, dunque, più stabili. Un primo dato è che le nuove forme contrattuali presentano le stesse incidenze negative della disoccupazione sulla salute dei lavoratori, in quanto la sensazione di incertezza influisce negativamente sulla psiche. A questo si aggiunge il fatto che il lavoratore tende ad esporsi ad elevati rischi lavorativi, senza essere adeguatamente preparato, in quanto alto è il timore di perdere il posto di lavoro. Si rileva, inoltre, come d’altra parte ci si potrebbe attendere, l’esistenza di una forte relazione diretta tra precarietà occupazionale e cattive condizioni di lavoro18. A suffragare questa tesi vi sono variabili di tipo strutturale, ovvero il fatto che i lavori che comportano condizioni di lavoro problematiche sono occupati più frequentemente da lavoratori con contratti di tipo temporaneo (a termine o interinale)19. Durante tutti gli anni ‘90 un numero sempre maggiore di lavoratori tedeschi è stato assunto con contratti atipici o a tempo determinato. Tali forme contrattuali hanno, così, soddisfatto la crescente domanda di flessibilità organizzativa da parte dei datori di lavoro con non poche conseguenze sulla vita dei lavoratori stessi20 per quanto riguarda: stress; difficoltà a conciliare vita lavorativa e vita privata; esposizione diversi rischi per la salute del lavoratore; impossibilità di una adeguata formazione, impossibilità a partecipare alla vita aziendale, ecc. I principali rischi psicosociali emergenti, percepiti dai lavoratori tedeschi, legati al rapporto tra nuove tipologie contrattuali e percezione della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, possono essere ricondotti a: insicurezza del posto di lavoro; intensificazione del lavoro, elevato coinvolgimento emotivo sul lavoro; scarso equilibrio fra vita privata e vita lavorativa. Tuttavia, l’inversione di tendenza che, gradatamente, si sta registrando21 riguarda il fatto che una percentuale sempre più esigua di lavoratori tedeschi considera a rischio la propria salute e la propria sicurezza sul lavoro. Dunque, questo confermerebbe il miglioramento delle condizioni di lavoro, con particolare riferimento alla salute e sicurezza. La Germania dimostra, quindi, attenzione alla qualità del lavoro anche nell’ottica del miglioramento della produttività, perfettamente in linea con gli obiettivi europei, con l’obiettivo di permettere a tutti i lavoratori – indipendentemente dalla tipologia contrattuale con la quale sono assunti – di partecipare pienamente e in maniera produttiva alla vita dell’azienda. Lo Stato tedesco, inoltre, si prefigge il raggiungimento di un contesto in cui il lavoro rafforzi il benessere personale dei cittadini e l’accesso al mercato del lavoro ed il mantenimento del posto di lavoro consentano di migliorare la vita e la salute della popolazione. Tuttavia, nella relazione nazionale redatta per la Commissione europea allo scopo di analizzare l’attuazione pratica delle disposizioni delle direttive concernenti la salute e la sicurezza sul lavoro 89/391/CEE (direttiva quadro), 89/654 (luoghi di lavoro), 89/655/CEE (attrezzature di lavoro), 89/656/CEE (attrezzature di protezione individuale), 90/269/CEE (movimentazione manuale di carichi) e 90/270/CEE (attrezzature munite di videoterminale)22, la Germania ha affermato di non poter fare una valutazione completa dello stato di implementazione delle suddette Direttive Per maggiori approfondimenti si veda l’indagine condotta nell’ambito del programma federale denominato Initiative Neue Qualität der Arbeit (Iniziativa Nuova qualità del lavoro), INQA.DE, Was ist gute Arbeit, Dortmund/Berlin/Dresden, 2008. 19 Cfr. D. Hecker, N. Galais, K. Moser, Atypische Erwerbsverlaeufe und wahrgenommene Fehlbelastungen, Dortmund/Berlin, 2006. 20 Cfr. A. Goudswaard, F. Andries, Employment status and working conditions, European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, Dublin, 2002. 21 Cfr. European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, Fourth European Working Condtions Survey, cit.. 22 Cfr. Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni, sull’attuazione pratica delle disposizioni delle direttive concernenti la salute e la sicurezza sul lavoro 89/391 (direttiva quadro), 89/654 (luoghi di lavoro), 89/655 (attrezzature di lavoro), 89/656 (attrezzature di protezione individuale), 90/269 (movimentazione manuale di carichi) e 90/270 (attrezzature munite di videoterminale), COM(2004)62 def., Bruxelles, 5 febbraio 2004, in voce Salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. 18 51 comunitarie non disponendo di indicatori adeguati. Ciononostante, è evidente la riduzione degli infortuni sul lavoro e con essi gli effetti positivi sulla produttività delle imprese. Le aziende tedesche sono ben coscienti che gli infortuni e le relative assenze comportato notevoli costi aziendali e una grave perdita per la produttività. Si stima, infatti, che in Germania i lavoratori assenti per malattia causino una perdita produttiva, in termini macroeconomici, pari a 64 miliardi di euro di cui un terzo circa è imputabile a malattie professionali e infortuni sul lavoro, per un importo approssimativo di 22 miliardi di euro23. Quindi anche in questa prospettiva le imprese tedesche sono impegnate in una buona gestione della misure relative alla salute e sicurezza sul luogo di lavoro. II.4.5 Il mobbing nell’ordinamento tedesco ed in quello comunitario. Nell’ambito della salute e sicurezza sul lavoro, costituiscono nuove patologie rilevanti per i lavoratori il mobbing e lo stress24. Riferendo i risultati di un’indagine ufficiale della Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, la Risoluzione del parlamento europeo sul mobbing sul posto di lavoro25 riferiva che «l’8% dei lavoratori dell’Unione Europea, pari a 12 milioni di persone, è stato vittima nel 2001 di mobbing sul posto del lavoro, e che si può presumere che il dato sia notevolmente sottostimato». Per questa ragione, il Parlamento riteneva necessario porre una attenzione adeguata a questo fenomeno emergente, in particolare per gli effetti di notevole portata sui lavoratori, ma anche per le connesse conseguenze in termini di costi per le imprese. Il mobbing causa infatti problemi psicologici alla vittima, che accusa disturbi psicosomatici e depressione, ma danneggia sensibilmente anche l’azienda, che nota un calo significativo della produttività nei reparti in cui si verifica il fenomeno. È fisiologico, infatti, che al sorgere di gravi problemi di relazioni tra lavoratori, la produttività aziendale diminuisca drasticamente. Il mobbing hanno un effetto maggiormente amplificato sulla condizione dei lavoratori precari, i quali, il più delle volte, si trovano a dover svolgere lavori ripetitivi e monotoni in tempi brevi, con ritmi estenuanti, in turni pesanti. A questi fattori di rischio per la salute dei lavoratori atipici, non è da escludere il forte stress legato all’incertezza per il futuro, che crea un continuo senso di ansia ed un senso di impossibilità a progettare il proprio futuro. Tale incertezza determina, nei singoli, diffidenza ed una più facile reattività a stimolazioni ambientali, ritenute avversative, in cui la minaccia di un progetto non rinnovato diventa lo strumento per richiedere al lavoratore quantità sempre più elevate di produttività. Gli effetti negativi delle sindromi correlate allo stress, rilevati da studi tedeschi, sono: l’incapacità a relazionarsi, l’apatia, il cinismo, l’indifferenza e il distacco dall’ambiente di lavoro26. Il mobbing è, dunque, una delle patologie emergenti nell’ambito dei fattori di tipo organizzativo e psico-sociale, che a partire dagli anni ‘90 sta acquisendo un ruolo particolarmente rilevante. Se nel 2001 il sondaggio eseguito della Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro27, l’8% dei lavoratori dell’Unione, corrispondente a 12 milioni di casi, è stato vittima di mobbing sul posto di lavoro; in Germania è stato rilevato28 che circa il 12% dei lavoratori abbiano avuto una esperienza di mobbing. Vista l’ampiezza del fenomeno, il mobbing è stato espressamente riconosciuto, in Germania, come malattia professionale e ritenuta causa di infortuni sul lavoro. Ibidem. Cfr. A. Russo, in q. Ricerca. 25 Cfr. Parlamento Europeo, Risoluzione sul mobbing sul posto di lavoro, 2001/2339(INI), 20 settembre 2001. 26 Cfr. K. Nolden, Mobbing – ein multidimensionales Konfliktmodell in der Arbeitswelt, Universität Kaiserslautern. 27 Cfr. Parlamento Europeo, Risoluzione sul mobbing sul posto di lavoro, 2001/2339(INI), 20 settembre 2001. 28 Cfr. IFAK Institut, Mobbing am Arbeitsplatz – keine Ausnahme Jeder achte Beschäftigte hat damit schon Erfahrung, Taunusstein, 8 gennaio 2008, e B. Meschkutat, M. Stackelbeck, G. Langenhoff, Der Mobbing Report – Eine Raepresentativestudie fuer die Bundesrepublik Deutschland, Berlin, 2002. 23 24 52 L’ordinamento tedesco, a differenza di altri, non prevedeva alcuna esplicita norma che sanzionasse il mobbing. Le norme che tutelavano la dignità dei lavoratori e delle persone erano quelle generali contenute nella Costituzione o nella Legge sull’ordinamento aziendale (Betriebsverfassungsgesetz)29. Quindi, mancando norme che tipizzassero il mobbing come fattispecie di reato, era onere dell’interprete ricondurre singoli casi nell’ambito di questo fenomeno. Le fattispecie delittuose di riferimento potevano essere, allora: l’ingiuria, la diffamazione, la violenza sessuale, le lesioni personali colpose30. Il mobbing è stato definito dalla Corte federale del lavoro come una vessazione, un’aperta ostilità o una discriminazione perpetrata, in maniera continuata e continuativa ai danni di un lavoratore, da parte dei colleghi o dei superiori31. Sul piano normativo, non esiste una legge che esplicitamente definisca e sanzioni il mobbing. Nonostante ciò, la Legge sulla parità di trattamento (Allgemeine Gleichbehandlungsgesetz-AGG), introdotta nell’ordinamento tedesco nel 2006, viene comunque considerata una legge Antimobbing, in quanto essa censura comportamenti nell’ambito dei quali si può fare rientrare il mobbing. Nel dettaglio, si ritiene che esso possa essere ricondotto al concetto di “molestia”, così come definito dall’articolo 3, comma 3 della Legge sulla parità di trattamento. La molestia è considerata una particolare forma di danno o pregiudizio alla persona determinato da un comportamento indesiderato di un altro individuo, connesso però ad una discriminazione legata alla razza, all’etnia, all’identità sessuale sesso, alla religione, alla cultura, all’età o alla disabilità. Quindi, per questa ragione, non si può ritenere che la Legge sulla parità di trattamento censuri tutti i casi possibili di mobbing, ma soltanto quelli legati alle ragioni di discriminazione sopracitate. La Legge sulla parità di trattamento costituisce, in ogni caso e a tutti gli effetti il riferimento legale a cui ricorrere in caso di mobbing. Essa diventa particolarmente rilevante con riferimento – ai sensi dell’articolo 15 – agli indennizzi ed al risarcimento dei danni subiti dalle vittime del mobbing. Anche i sindacati da una parte, e il servizio sanitario nazionale dall’altra, hanno posto la loro attenzione su questo fenomeno. Alcuni contratti collettivi, come per esempio quello dei metalmeccanici, prevedono elevati risarcimenti (250.000 euro) per i lavoratori vittime del mobbing ed in generale definiscono forme di tutela contro il mobbing, fino ad istituire anche la figura del “garante antimobbing”. La Volkswagen, già nel 1996, sottoscrisse un accordo con i dipendenti contro mobbing, molestie sessuali ed altre discriminazioni. In particolare la casa automobilistica si impegnava a prevenire molestie sessuali, mobbing e discriminazioni, favorendo e sostenendo un clima di fattiva collaborazione. In caso di fenomeni di mobbing, il datore di lavoro veniva autorizzato ad adottare le sanzioni disciplinari previste in ambito aziendale, per esempio: informazione, avvertimento, multa, trasferimento, diffida o licenziamento. Tanta severità deriva dal fatto che in Germania, come detto, essendo il mobbing considerato malattia professionale, le cure ed i risarcimenti sono a spese del datore di lavoro, sia per quanto riguarda il danno patrimoniale, sia per quello biologico, sia per quello morale. Dal lato del servizio sanitario, le varie casse malattia (Gesundheitskassen) si sono dotate di strumenti per la diagnosi e la cura dei danni da mobbing e generalmente sono ora in grado di offrire un servizio di assistenza completo per i lavoratori oggetto di mobbing, che comprende terapie psicologiche e cure fisiche. Il fenomeno allarma per le rilevanti conseguenze per l’individuo e per il gruppo di lavoro, nonché per i costi sociali, essendo previsto come soluzione anche il prepensionamento. Con riferimento al contesto comunitario, nessuna norma tratta la tematica del mobbing. Le parti sociali europee hanno, invece, concluso nel 2007 l’Accordo quadro sulle molestie e la violenza sul Cfr. art. 75, art.84 comma 1 e 2, art. 85, della Legge sull’ordinamento aziendale. Cfr. art. 223, art. 185 ss., art. 240 del Codice Penale tedesco (StGB). 31 Cfr. La sentenza del Tribunale federale del lavoro, BA Beschluss vom 15. Januar 1997. 29 30 53 luogo di lavoro32, nell’ambito delle quali viene fatto rientrare il mobbing. L’accordo è frutto della convenzione che sia nell’interesse tanto del datore di lavoro quanto dei lavoratori affrontare tali questioni, in considerazione delle gravi conseguenze sociali ed economiche che comportano. Le parti sociali europee riconoscono che le molestie e la violenza possono interessare qualsiasi posto di lavoro e qualsiasi lavoratore, indipendentemente dall’ampiezza dell’impresa, dal settore di attività o dalla forma di contratto o di relazione di lavoro. Tale Accordo-quadro ha l’obiettivo, quindi, di: sensibilizzare maggiormente i datori di lavoro, i lavoratori e i loro rappresentanti sulle molestie e sulla violenza sul luogo di lavoro; fornire ai datori di lavoro, ai lavoratori e ai loro rappresentanti a tutti i livelli un quadro di azioni concrete per individuare, prevenire e gestire le situazioni di molestie e di violenza sul luogo di lavoro. II.4.6 Osservazioni conclusive. I cambiamenti nell’organizzazione del lavoro in Germania, come negli altri paesi, e in particolare le modalità più flessibili di organizzazione del lavoro e una gestione delle risorse umane più individuale e maggiormente orientata al risultato hanno un’incidenza profonda sui problemi legati alla salute e sicurezza sul luogo di lavoro o, più in generale, sul benessere sul luogo di lavoro. Si osserva così che malattie “emergenti”, quali lo stress, la depressione o l’ansia, nonché la violenza sul luogo di lavoro, le molestie e l’intimidazione costituiscono una parte notevole dei problemi di salute legati al lavoro, così come l’occupazione sulla base di contratti non standard accresce l’esposizione al rischio di infortuni. Il datore di lavoro è responsabile della salute e della sicurezza dei propri lavoratori e ciò comporta la necessità di prevedere modalità concrete di prevenzione dei rischi, avvalendosi anche della collaborazione delle organizzazioni sindacali e dei principali attori delle relazioni industriali, consapevoli che adeguata attenzione al problema e in particolare una formazione appropriata dei dirigenti e dei lavoratori possono essere efficaci nel miglioramento delle condizioni di lavoro dei lavoratori, in termini di salute, sicurezza e protezione. 32 54 BUSINESSEUROPE, UEAPME, CEEP, Framework agreement on harassment and violence at work, 26 aprile 2007. II.5. Focus: il caso austriaco. II.5.1 La trasposizione della direttiva n. 91/383/CEE nell’ordinamento giuridico austriaco. Sebbene alcune disposizioni di legge su specifici aspetti della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro risalgano addirittura al secolo scorso, la prima legislazione organica in questa area è stata l’Arbeitnehmerschutzgeset – ASchG del 1972, subito seguita ed integrata da una serie di ordinanze e di decreti di attuazione. Per diverse ragioni, tuttavia, alcuni gruppi di lavoratori non hanno mai beneficiato di questa normativa, rientrando nel campo di applicazione di disposizioni settoriali. È il caso dei pubblici dipendenti e dei lavoratori agricoli. Solo più tardi, in adempimento dei numerosi vincoli comunitari in materia, la normativa su salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è stata completamente riformulata. Con l’Arbeitnehmerschutzgeset – ASchG del 1994, il legislatore austriaco ha infatti provveduto a recepire non soltanto la direttiva quadro n. 89/391/CEE, ma anche le direttive derivate approvate ai sensi dell’articolo 16. Ed è stato proprio mediante l’Arbeitnehmerschutzgeset –ASchG del 1994 che l’ordinamento austriaco ha provveduto alla trasposizione della direttiva n. 91/383/CEE in materia di salute e sicurezza dei lavoratori temporanei (lavoratori a tempo determinato e lavoratori intermittenti tramite agenzia). La direttiva n. 91/383/CEE è stata originariamente trasposta nel diritto austriaco attraverso il paragrafo 9 dell’Arbeitnehmerschutzgeset – ASchG del 1994, che espressamente disciplina la materia della salute e sicurezza con riferimento al lavoro intermittente tramite agenzia, mentre non è stata prevista alcuna esplicita disposizione per il lavoro a tempo determinato. Il silenzio sul lavoro a termine si spiega agevolmente in considerazione della circostanza che in materia di salute e sicurezza i lavoratori assunti a tempo determinato beneficiano della stessa protezione prevista per i dipendenti a tempo indeterminato. Del resto, è la stessa direttiva a rivolgere particolare attenzione alla fornitura di manodopera tramite agenzia, mentre con riferimento al lavoro a termine si limita a stabilire alcune scarne disposizioni applicabili a tutte le ipotesi di lavoro temporaneo. È importante segnalare che il paragrafo 9 dell’Arbeitnehmerschutzgeset – ASchG del 1994, a differenza della direttiva n. 91/383, non si applica unicamente alle “agenzie” di lavoro temporaneo, ma anche a quei datori di lavoro che occasionalmente distacchino temporaneamente propri dipendenti presso imprese terze. In conformità all’articolo 8 della direttiva n. 91/383, il paragrafo 2 dell’ASchG stabilisce che durante il periodo di missione o comando il datore di lavoro beneficiario della prestazione lavorativa è tenuto a rispettare a tutti gli adempimenti di legge previsti in via generale per ogni imprenditore in tema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. L’“agenzia” di lavoro temporaneo, d’altro canto, è tenuta ad informare i propri lavoratori (prima dell’invio presso l’impresa beneficiaria della prestazione lavorativa) circa i rischi cui eventualmente possono essere sottoposti nello svolgimento di ogni missione, le qualifiche richieste per lo svolgimento del lavoro e se opportuno la necessità di una sorveglianza medica speciale (paragrafo 4 dell’Arbeitnehmerschutzgeset – ASchG del 1994. Nel caso in cui si supponga che i lavoratori temporanei debbano svolgere attività lavorative per le quali è obbligatorio uno speciale controllo medico, l’imprenditore utilizzante deve assicurarsi che questo controllo venga effettivamente realizzato e che i lavoratori distaccati siano idonei a svolgere a quella specifica attività. Un’analisi parallela tra la direttiva n. 91/383 e il paragrafo 9 dell’Arbeitnehmerschutzgeset – ASchG del 1994 indica poi che due precetti comunitari non sono stati espressamente implementati. Ci si riferisce, in particolare, all’informazione dei lavoratori di cui all’articolo3 della direttiva e alla formazione dei lavoratori di cui all’articolo 4. 55 L’articolo 3 della direttiva impone all’effettivo beneficiario della prestazione lavorativa il dovere di informare i lavoratori circa gli eventuali rischi aggravanti specifici connessi al lavoro. Ai sensi del diritto austriaco, invece, è il datore di lavoro formale che deve fornire tali informazioni. In pratica, comunque, il sistema previsto dalla normativa austriaca dovrebbe condurre ai medesimi risultati. Con riferimento all’obbligo formativo contenuto nell’articolo 4 della direttiva si può invece ritenere che i vincoli comunitari siano già stati rispettati con l’imposizione di un generale obbligo di formazione dei lavoratori in materia di salute e sicurezza come stabilito dal paragrafo 14 dell’Arbeitnehmerschutzgeset – ASchG del 1994 di attuazione della direttiva quadro n. 89/391. Va comunque rilevato che l’articolo 4 della direttiva stabilisce questo obbligo «senza alcun pregiudizio di quanto stabilito dall’articolo 12 della direttiva 89/391», di modo che è possibile che agli Stati membri venga richiesto di adottare misure ulteriori con riferimento alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro dei lavoratori temporanei. Nel corso degli ultimi anni, poi, come rilevato dal già citato rapporto della Commissione Europea sull’implementazione della direttiva negli Stati Membri1, il concreto impatto della direttiva sull’evoluzione dei modelli di organizzazione del lavoro e sulla gestione della sicurezza dei lavoratori, sembra essersi intensificato. Infatti, nonostante l’assenza di studi statistici ad hoc, relativi all’implementazione della direttiva, le autorità del Governo austriaco sottolineano come i contenuti della stessa abbiano talmente influenzato la prassi aziendale e l’evoluzione dei modelli di organizzazione del lavoro, che gli obiettivi di effettività delle tutele da essa perseguiti possono ritenersi pienamente soddisfatti; il processo traspositivo risulta così pienamente giunto a compimento non solo sotto il profilo della tutela meramente formale, ma anche sotto il profilo della concreta effettività2. Altrettanto intensa, infine, è stata la sensibilizzazione del legislatore austriaco e dei sistemi aziendali alle problematiche di salute e sicurezza legate ai gruppi di lavoratori cosiddetti vulnerabili (giovani, minori, donne ed anziani) che anche in tale contesto nazionale sono più frequentemente occupati in fattispecie contrattuali non standard, risentendo di un ambiente di lavoro più ostile e di un livello di infortuni sul lavoro decisamente più elevato. La protezione di queste categorie rappresenta, così uno dei pilastri fondamentali della normativa austriaca di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, attraverso una macroarea espressamente dedicato all’organizzazione degli orari di lavoro e alle assegnazioni di mansioni. 1 Commission of the European Communities, Report on the implementation of directive 91/383/EEC supplementing the measures to encourage improvements in the safety and health at work of workers with a fixed-duration employment relationship or a temporary employment relationship, 2004. 2 Per approfondimenti consultare il sito del Ministero Federale dell’Economia e del Lavoro della Repubblica Austriaca www.bmwa.gv.at/EN/default.htm. 56 II.6. Focus: il caso inglese. II.6.1 Introduzione: il diritto del lavoro e delle relazioni industriali nel Regno Unito. Il principale obiettivo della presente ricerca è quello di identificare buone pratiche in relazione alla materia della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro nei paesi membri dell’UE, con particolare riferimento all’impatto derivante dalla diffusione delle nuove forme di lavoro (soprattutto atipiche e temporanee) ed ai nuovi modelli organizzativi. Questo report, che si concentra sulla situazione del Regno Unito, affronta il tema adesso illustrato cercando di individuare quelle ipotesi nelle quali i soggetti occupati si trovano maggiormente esposti al rischio “lavoro-correlato” sia di infortuni che di malattie professionali. La disamina muove dal principio per cui il sistema regolatorio dovrebbe indicare alle imprese dei criteri di buone pratiche, e quindi si sofferma sulle situazioni nelle quali questo sistema presenta delle carenze di effettività nella protezione dei lavoratori. Il sistema regolatorio del Regno Unito. L’ordinamento giuridico del Regno Unito presenta numerosi aspetti che lo differenziano da quello di altri Stati membri, in primis per il fatto che il relativo sistema legale è basato sul common law piuttosto che sulle regole di civil law. Il common law, come noto, è di matrice prevalentemente giurisprudenziale, e in tale ambito, la legislazione tende più ad integrare e modificare più che a sostituire il “case law” esistente. In un siffatto contesto non è un caso che il concetto di “contratto di lavoro”, inteso quale fonte principale di una relazione lavorativa, si sia sviluppato attraverso la casistica giurisprudenziale, e che i giudici abbiano tuttora un ruolo fondamentale nella qualificazione di un rapporto di lavoro come subordinato o meno1. La legislazione in tema di salute e sicurezza del lavoro, che verrà illustrata nel corso di questo scritto, continua a riflettere largamente la propria matrice di common law. Può sorprendere il lettore abituato alle categorie di civil law che esistano nel Regno Unito tre ambiti distinti che compongono la branca del diritto in discorso: la regolamentazione legislativa comprensiva delle sanzioni penali è alla base degli standard che le organizzazioni di lavoro debbono seguire a scopo preventivo; v’è poi un diritto satisfattorio che si è sviluppato nell’ambito del common law attraverso la casistica derivante dalle controversie in materia, che consente alle vittime di ottenere la rifusione dei danni subiti qualora la parte resistente risulti responsabile; infine, il sistema di sicurezza sociale si occupa di fornire sostegno a coloro che abbiano riportato un’invalidità sul lavoro o che siano privi di fonti di reddito. Il focus del presente report riguarda il primo dei tre ambiti ora descritti, ossia quello contenente le disposizioni a connotazione penalistica volte alla prevenzione delle lesioni correlate allo svolgimento dell’attività lavorativa. La legislazione di riferimento risale al 1802, ma fino agli anni ‘70 essa è stata diretta soltanto alla protezione di lavoratori operanti in ambiti specificamente individuati, come fabbriche, miniere, pubblici esercizi ed uffici. Attualmente il regime, disciplinato dall’Health and Safety at Work Act del 1974 aspira a fornire un sistema di regolazione, rafforzato dalla presenza di un’agenzia specializzata di sostegno, che prevenga accadimenti lesivi alla persona dei lavoratori «per quanto ragionevolmente praticabile». Questo lavoro cercherà, appunto, di verificare se il sistema funzioni a sufficienza nelle ipotesi di lavoro precario. L’implementazione delle normative europee talvolta rappresenta una vera e propria sfida per l’ordinamento del Regno Unito, viste le differenze fondamentali e filosofiche di approccio fra il common law ed il civil law nella produzione del diritto, e, dal punto di vista dei risultati, il Regno Unito non è sempre parso raggiungere una piena conformità con le direttive-quadro. La Si veda M. Freedland, N. Kountouris, Towards a Comparative Theory of the Contractual Construction of Personal Work Relations in Europe, in Industrial Law Journal, 2008, vol. 37, n. 1. 1 57 Commissione UE ha avviato procedimenti contro il Regno Unito lamentando il mancato rispetto sia della disciplina comunitaria a tutela dei consumatori2, sia di quella relativa alla salute e sicurezza sul lavoro3, ma in entrambi i casi la Corte di Giustizia ha respinto le accuse di non conformità. Il diritto del lavoro e la legislazione protettiva nel Regno Unito. Molta della legislazione lavoristica a carattere protettivo del Regno Unito si è tradizionalmente concentrata sul lavoratore standard, a tempo pieno e indeterminato. Ciò è tuttora vero per ciò che riguarda la tutela contro il licenziamento illegittimo, ed è vero per certi aspetti per la tutela connessa con le prestazioni assistenziali per la disoccupazione e la malattia. La relativa regolamentazione si è sviluppata in tempi nei quali si concepiva unicamente una catalogazione della forza lavoro secondo le due opposte e inconciliabili macrocategorie della subordinazione e dell’autonomia. In base a tale summa divisio si dava per presupposto che i lavoratori subordinati di sesso maschile avessero un’occupazione regolare, a tempo pieno ed a lunga durata, fossero in grande probabilità alle dipendenze di un datore organizzato in forma societaria, e fossero aderenti ad un sindacato riconosciuto dall’azienda come controparte contrattuale per la negoziazione delle condizioni di lavoro. Sull’altro fronte, quello dell’autonomia, si postulava che le relative figure di prestatori, spesso maestri artigiani, fornissero prevalentemente servizi alle imprese attraverso accordi di natura commerciale e si ponessero nei confronti di queste ultime come contraenti indipendenti. Essi potevano avvalersi di uno o due dipendenti, ma avrebbero gestito i loro affari come singoli operatori commerciali, o in partnership, più che attraverso le vesti di un soggetto societario. L’evoluzione delle relazioni di lavoro. È discutibile se la classificazione della forza lavoro di cui si è parlato sopra abbia davvero trovato corrispondenza nei fatti; invero, se ciò è avvenuto, ha costituito la regola solo per il periodo relativamente breve compreso fra la fine della seconda guerra mondiale nel 1945 e l’inizio del governo Thatcher nel 1979. L’implementazione dell’Equal Pay Act del 19704 e del Sex Discrimination Act del 1976 ha incrementato il ruolo delle donne nel mondo del lavoro. Gli ultimi anni del XX secolo hanno testimoniato il declino dell’industria pesante e la crescita di nuove forme occupazionali, e soprattutto delle tipologie di lavoro comportanti l’utilizzo delle tecnologie informatiche. Si è sviluppata la distinzione fra i due concetti di forza lavoro centrale e periferica, così come il fenomeno di lavoratori in esubero, spesso reimpiegati dalla medesima azienda come prestatori autonomi, per fornire gli stessi servizi specialistici che prima rendevano in forma subordinata. I cambiamenti sociali hanno determinato l’impiego delle donne nel lavoro part-time, con poche garanzie di tenuta del rapporto. Si è spesso parlato di […] precarious workforce; characterised by low pay, low status and little by way of job security, training or promotion prospects [5]. I cambiamenti nelle tipologie occupazionali e nella natura delle relazioni di lavoro hanno condotto ad un incremento del numero di coloro che, forse impropriamente, sono descritti come “lavoratori atipici”; questa definizione ricomprende i prestatori autonomi, i lavoratori temporanei Commissione Europea v. Regno Unito, causa C-300/95 [1997] All ER (EC) 481, sul giudizio di conformità rispetto alla direttiva 85/373/CE. 3 Commissione Europea v. Regno Unito, causa C-127/05, sul giudizio di conformità rispetto alla direttiva-quadro 89/391/CE, recante misure per incoraggiare il miglioramento della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. 4 Entrato in vigore nel 1975. 5 S. Fredman, Women at Work: The broken promise of flexicurity, in Industrial Law Journal, dicembre 2004, vol. 33, n. 4, 299319: «[…] forza lavoro precaria; caratterizzata da bassi livelli retributivi, scarso potere contrattuale, bassi livelli di stabilità, formazione o prospettive di carriera» (traduzione nostra). 2 58 tramite agenzia, ed i lavoratori part-time. Sono soggetti che, assieme alle donne, sono considerati “vulnerabili” o “precari”6 perché ad essi non si applicano necessariamente tutte le garanzie della legislazione protettiva che, largamente originatasi negli anni ‘70, è stata modellata sulla figura del lavoratore dipendente a tempo pieno ed indeterminato. Ciò vale soprattutto per i diritti e le tutele connesse con il licenziamento illegittimo, che vengono accordati al lavoratore che abbia trascorso un intero anno come dipendente. La formulazione di parte della legislazione protettiva che include i “lavoratori” in generale, oltre che i “dipendenti”, non necessariamente si rivela utile, se si pensa che incombe su chi invoca la tutela dimostrare di ricadere nell’ambito di applicazione della normativa, e dunque di rientrare nella nozione di “lavoratore” così come intesa dalla specifica disposizione di riferimento7. Il tema dei lavoratori in situazioni di dipendenza sostanziale, a prescindere dall’etichettatura formale, ha attratto l’attenzione degli accademici. Il Professor Mark Freedland, che ha condotto numerose ricerche in quest’area8, è giunto ad identificare sei situazioni-tipo: (1) (2) (3) (4) (5) (6) ‘standard employee’ work relations; the personal work relations of ‘public officials’; the personal work relations of those engaged in ‘liberal professions’; the personal work relations of individual entrepreneurial workers, such as ‘freelance workers’ and ‘consultants’; the personal work relations of marginal workers such as ‘casual’, ‘temporary’, ‘part-time’ workers and ‘volunteers’; and the personal work relations of labour market entrants, such as ‘trainees’ or ‘apprentices’ [9]. La tesi di Freedland è largamente basata sulla considerazione che in ciascuna delle suesposte categorie il prestatore si trova in un’evidente situazione di assoggettamento nei confronti della controparte datoriale, ma che non in tutte vi sia identico accesso alle tutele che assistono i lavoratori dipendenti. Altre ricerche. Nella primavera del 2008 la commissione del TUC sui lavoratori c.d. vulnerabili ha pubblicato i risultati integrali della propria ricerca10. Essa contiene la disamina di una serie di casi anonimi che evidenziano i problemi incontrati da soggetti occupati in lavori precari. È interessante notare, anche ai nostri fini, che questa casistica mostra come l’impatto negativo di tali situazioni lavorative sulla salute ed il benessere della persona sia più spesso indiretto che diretto. L’insicurezza può causare stress e dunque danni psichici; i bassi livelli retributivi inducono a 6 Per un utile commento sul lavoro precario (lo scritto si riferisce tuttavia alla situazione canadese) si rinvia a L.F. Vosko, N. Zukewich, C. Cranford, Precarious Jobs: A new Typology of Employment, in Perspectives on Labour and Income (The online edition), ottobre 2003, vol. 4, n. 10, in http://www.cansim.com/english/studies/75-001/archive/2003/2003-1002.pdf. Lo scritto adotta la definizione di Krahn e include nella nozione il lavoro part-time, temporaneo, autonomo, e le situazioni di lavoro multiplo, con numerosi riferimenti alla UK Labour Force Survey del 2002. 7 Per esempio, in James v. Redcats [2006] UKEAT/10475/06 DM, ad una ricorrente che aveva svolto funzioni di corriere, in situazione di monocommittenza e con l’utilizzo della propria autovettura per le consegne, non è stata riconosciuta la titolarità dei livelli minimi di retribuzione obbligatoria; analogamente sarebbe avvenuto per la regolamentazione dell’orario di lavoro. 8 È assegnatario di una Leverhulme Major Research Fellowship. Si veda M. Freedland, From the contract of employment to the personal work nexus, in Industrial Law Journal, 2006, vol. 35, no.1, 1-29. 9 L’elenco è tratto da M. Freedland, Application of Labour and Employment Law beyond the Contract of Employment, in International Labour Review, 2007, vol. 146, n. 1-2, 6: «(1) la condizione lavorativa del “dipendente standard”; (2) la condizione lavorativa dei “funzionari pubblici”; (3) la condizione lavorativa di coloro che svolgono “libere professioni”; (4) la condizione lavorativa di lavoratori autonomi, quali “free lance” o i “consulenti”; (5 la condizione lavorativa di lavoratori marginali, quali lavoraatori “occasionali”, “temporanei” e “part time”, nonché “volontari” e (6) la condizione lavorativa di lavoratori alla prima occupazione, quali “tirocinanti” e “apprendisti”» (traduzione nostra). 10 TUC Commission on Vulnerable Employment, Hard Work, Hidden Lives, in http://www.vulnerableworkers.org.uk/files/CoVE_full_report.pdf. 59 lavorare un numero maggiore di ore, e costringono a condizioni di vita indigenti e ad una dieta povera. Questi fattori espongono maggiormente alla malattia, e, allo stesso tempo, la mancanza del relativo trattamento assistenziale e l’insicurezza circa la stabilità del rapporto obbligano i soggetti in questione a lavorare anche in situazioni di malessere fisico, così determinando un ulteriore peggioramento delle condizioni di salute. Fatta eccezione per il succitato report del TUC, è stato fatto relativamente poco per investigare se i lavoratori in stato effettivo di dipendenza, privi però delle garanzie formali della subordinazione, siano anche esposti ad un maggiore rischio di danno alla persona rispetto ai lavoratori standard, e non tutto ciò che è stato fatto si è concentrato esclusivamente sulla situazione del Regno Unito. Si è visto poco sopra che il non rientrare fra i destinatari delle disposizioni protettive, può significare non avere una regolamentazione dell’orario di lavoro; ma vi sono state scarse ricerche volte ad indagare se fra gli effetti di tale situazione possa esservi o meno quello di una maggiore esposizione a infortuni o malattie professionali. L’UE, nella comunicazione sulla strategia comunitaria in materia di salute e sicurezza sul lavoro, ha evidenziato come alcuni gruppi di lavoratori siano più a rischio di altri, ed ha espresso la propria intenzione di avviare una ricerca per analizzare le specifiche sfide derivanti dall’integrazione delle donne, dei lavoratori migranti, dei giovani e degli anziani nel mercato del lavoro11. In maniera piuttosto interessante, l’agenzia del Regno Unito a supporto della salute e della sicurezza, ha così commentato: One of the key aims of Revitalising Health and Safety is to ensure that our approach to health and safety regulation remains relevant for the changing world of work over the next 25 years. Responses to our consultation highlighted the need for further action to protect workers in untraditional employment arrangements and to secure the positive engagement of small firms [12]. Nel suo Employment Status Review (Summary of Responses), il dipartimento dell’industria e del commercio ha evidenziato il punto di vista espresso dalle imprese nei confronti dei lavoratori atipici: è stato sostenuto che le cattive pratiche nei confronti di tali lavoratori derivino più dal mancato rispetto, da parte delle imprese, degli obblighi esistenti, piuttosto che dall’inapplicabilità ai medesimi delle garanzie tipicamente riservate ai lavoratori subordinati. Vi sono state alcune ricerche sui temi della salute e sicurezza con specifico riferimento a tali nuovi assetti contrattuali sia a livello europeo, che in diversi stati membri13, mentre nel Regno Unito si registra uno sparuto numero di lavori in materia. Ciò per il fatto che si ritiene che la vigente legislazione sia sufficiente a disciplinare anche le nuove forme di lavoro. L’idea prevalente è che l’attuale sistema regolatorio sia idoneo ad includere anche i soggetti occupati attraverso tipologie contrattuali non standard. I lavoratori temporanei tramite agenzia. Il ridimensionamento della forza lavoro centrale in molte organizzazioni, le difficoltà di coprire vacanze temporanee di personale e il flusso di lavoratori dall’estero, sono fattori che hanno determinato l’incremento nell’utilizzo della fornitura di lavoro temporaneo da parte delle agenzie. 11 Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions, Improving quality and productivity at work: Community strategy 20072012 on health and safety at work, COM(2007)62 final, Brussels, 21 febbraio 2007. 12 Department for the Environment, Transport and the Regions, Revitalising Health and Safety. Strategy Statement, United Kingdom, June 2000, in http://www.hse.gov.uk/revitalising/strategy.pdf, punto 74: «Uno dei propositi chiave del progetto Revitalising Health and Safety è quello di assicurare che il nostro approccio regolativo in tema di salute e sicurezza possa adattarsi ai cambiamenti del mondo del lavoro che avverranno nei prossimi 25 anni. Le risposte alle nostre consultazioni hanno fatto emergere il bisogno di ulteriori azioni per tutelare i lavoratori impiegati in modalità non tradizionali e per garantire un coinvolgimento effettivo delle piccole aziende» (traduzione nostra). 13 Si veda, per esempio, il sito internet della European Agency for Safety and Health at Work, http://osha.europa.eu, nonché B. Barrett, M. Sargeant, Health and Safety Issues in New Forms of Employment and Work Organization, in The International Journal of Comparative Labour Law and Industrial Relations, 2008, vol. 24, n. 2, 243-261. 60 V’è stato un tentativo di regolamentazione legislativa; ma il Temporary and Agency Workers (Prevention of Less Favourable Treatment) Bill presentato alla Camera dei comuni alla fine del 2006 non è mai diventato legge. Questo fallimento riflette, da un lato, la preoccupazione delle imprese di mantenere una certa quota di flessibilità evitando assunzioni stabili, e dall’altro l’esistenza di una consistente percentuale di lavoratori tramite agenzia professionalmente qualificati, come il personale medico e i tecnici informatici, che non vogliono essere qualificati come dipendenti. Nella sintesi delle risposte14 ad una Ricerca sullo stato dell’occupazione15 pubblicata nel marzo del 2006, l’allora dipartimento dell’industria e del commercio16 ha così commentato: It was clear from the responses that UK businesses greatly value atypical employment arrangements which help them to respond to a range of situations, for example fluctuations in demand for products or services, requirements for specialised workers to undertake a specific project or provide a service for the organisation, employee absences or unfilled vacancies. Businesses consider atypical work to be an important element of a flexible labour market. Freedom to vary workforce numbers was one of the key flexibilities associated with atypical work [17]. Il report ha evidenziato, tuttavia, che i sindacati […] would like all employment rights to be extended to all working people except the genuinely selfemployed through a new, broad statutory definition of “employee” which would cover agency workers, homeworkers, “casual” workers, officeholders, freelancers and the nominally “self-employed” who are economically dependent […] [18]. Nondimeno nel maggio 2008 il Governo, il TUC e la CBI si sono accordati per incrementare i diritti dei lavoratori temporanei tramite agenzia, ed il Governo auspica di introdurre la relativa legislazione nell’autunno del 2008. Il 10 giugno 2008 il Consiglio europeo ha approvato i principali punti della direttiva sul lavoro temporaneo in termini che dovrebbero consentire al Regno Unito di lavorare sulle condizioni dell’accordo raggiunto in maggio con le parti sociali. La flexicurity. La Commissione europea ha dichiarato che l’UE dovrebbe promuovere la flessibilità e la sicurezza come strumenti per conciliare le sfide e le opportunità proposte dalla globalizzazione e dal cambiamento19. La relativa pubblicazione si chiede: Perché la flexicurity? Un report del 200620 ha fornito alcune statistiche sul lavoro flessibile in Gran Bretagna: Cfr. Department of Trade and Industry (DTI), Employment Status Review. Summary of Responses, March 2006, in http://www.berr.gov.uk/files/file27471.pdf. 15 Un Documento di Discussione sullo stato dell’occupazione in relazione agli Statutory Employment Rights del 2002 è stato parte della Ricerca. Cfr. Department of Trade and Industry (DTI), Discussion Document on Employment Status in Relation to Statutory Employment Rights, July 2002, URN 02/1058, in http://www.delni.gov.uk/employment_status_consultation_document.pdf. 16 Adesso noto come Department for Business, Enterprise & Regulatory Reform. 17 Department of Trade and Industry (DTI), Employment Status Review. Summary of Responses, March 2006, in http://www.berr.gov.uk/files/file27471.pdf, punto 5: «È chiaro dalle risposte che le aziende del Regno Unito tengono in gran considerazione il lavoro atipico, poiché esso consente loro di fronteggiare una serie di situazioni organizzative, come le fluttuazioni della domanda di prodotti o servizi, la richiesta di lavoratori specializzati per intraprendere uno specifico progetto, o per fornire un certo tipo di servizio, l’assenza di lavoratori, o la copertura di posti vacanti. Il mondo delle imprese considera il lavoro atipico come un importante elemento per un mercato del lavoro flessibile. La libertà di variare la consistenza della forza lavoro è risultata uno degli aspetti della flessibilità più frequentemente associato al concetto di lavoro atipico» (traduzione nostra). 18 Ivi, punto 23: «[…] vorrebbero che tutte le garanzie della subordinazione fossero estese a tutti i lavoratori, fatta eccezione per coloro che sono genuinamente autonomi, attraverso una nuova ed estesa definizione obbligatoria di “lavoratore” che comprenda i lavoratori tramite agenzia, i lavoratori “occasionali”, i gestori di esercizi, i free lance, e tutti coloro che, pur essendo formalmente “autonomi”, si trovano sostanzialmente in situazioni di dipendenza economica […]» (traduzione nostra). 19 Cfr. Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions, Towards Common Principles of Flexicurity:More and better jobs through flexibility and security, COM(2007)359 final, Brussels, 27 giugno 2007. 14 61 - l’8% della forza lavoro è composto da telelavoratori; - il telelavoro è più comune, e cresce più rapidamente, fra i lavoratori più anziani; - il numero delle persone che svolgono un secondo lavoro è aumentato del 68% fra il 1984 e il 2001, per un totale di 1,15 milioni di persone nel 2003; - la maggioranza dei nuovi lavori nel 2014 sarà a part-time. Questi cambiamenti possono presentare delle sfide nell’ambito della salute e sicurezza. Aumenterà l’importanza di un monitoraggio della situazione della salute e sicurezza di un numero sempre maggiore di lavoratori che operano in location lontane o mutevoli, o di un accurato resoconto degli infortuni e delle malattie che si sviluppano fra i lavoratori occupati con schemi di lavoro flessibile o precario, o della garanzia di un metodo per prevenire e gestire i rischi per quei lavoratori con una collocazione non stabile. Fra le varie implicazioni relative al sistema di tutela della salute e sicurezza derivanti dall’incremento dell’utilizzo di schemi di lavoro flessibile si possono elencare le seguenti: - i lavoratori a tempo parziale ed i lavoratori temporanei non sempre possono vedersi assicurate pari opportunità di formazione o tutela sul fronte della salute e sicurezza, se paragonati ai dipendenti stabili e a tempo pieno; - le forme di lavoro precario possono generare sentimenti di insicurezza e stress; possono altresì determinare disparità di benessere e un diverso approccio e impegno nei confronti del lavoro; - i lavoratori temporanei sono probabilmente a maggior rischio di danno alla persona; - il tasso di lesività lavoro-correlata per i lavoratori part-time è più alto; - l’aumento del numero di lavoratori occupati in lavori di passaggio richiede un monitoraggio per verificarne l’incidenza dal punto di vista della salute e sicurezza; - si deve prestare attenzione al telelavoro (che è cosa diversa dal lavoro domestico). Da queste considerazioni e avvertenze derivanti dall’agenzia di supporto britannica sui temi della salute e della sicurezza si può evincere che l’aspirazione dell’UE secondo la quale maggiori e migliori posti di lavoro possono essere create attraverso lo strumento della flexicurity può essere molto difficile da realizzare. II.6.2 Diritto della salute e della sicurezza del lavoro nel Regno Unito. Prevenzione dei danni lavoro-correlati. Il focus del presente report riguarda la legislazione del Regno Unito volta ad assicurare che nei luoghi di lavoro si rendano operativi sistemi di sicurezza in grado di prevenire danni alla persona dei lavoratori connessi allo svolgimento della prestazione. Deve notarsi che il common law, sviluppatosi prevalentemente attraverso la teoria della responsabilità colposa, consente alle vittime di ottenere la refusione dei danni subiti da coloro che, non adottando le misure ragionevolmente esigibili in materia di sicurezza21 abbiano determinato il prodursi della lesione. La legislazione in materia consente altresì a coloro divenuti invalidi per ragioni di lavoro di invocare una prestazione di mantenimento, principalmente correlata allo stato di salute o di disoccupazione22. Questa parte della legislazione del Regno Unito, volta ad assicurare sistemi di sicurezza sui luoghi di lavoro rientra nella disciplina penalistica, e ciò in contrasto con la tendenza che si registra nei sistemi di civil law ad operare attraverso meccanismi di controllo amministrativo, che impongono sanzioni a carattere penale solo nei casi di violazione volontaria o imprudente. 20 Health and Safety Executive (HSE), HSE Horizon Scanning Intelligence Group Short Report. Flexible Working and Employment Patterns, September 2006, in http://www.hse.gov.uk/horizons/precwrkreport.pdf. 21 L’Employers’ Liability (Compulsory Insurance) Act del 1969 richiede ai datori di stipulare un’assicurazione per la responsabilità nei confronti dei dipendenti. 22 L’ipotesi non riguarda i soggetti che volontariamente si espongono a situazioni di disoccupazione, i quali vengono penalizzati dal sistema. Lo schema in parola è sovvenzionato dai contributi di aziende e lavoratori. 62 È possibile tracciare la storia della legislazione in tema di salute e sicurezza nell’ordinamento britannico dal 180223. Un significativo regime regolatorio risale al momento della nomina dei primi ispettori del governo per supportare il Factories Act del 1833. L’apparato disposto da questa legislazione è stato seguito per più di cento anni, con regole che imponevano sanzioni penali nei confronti dei datori di particolari settori produttivi24, che avessero violato le disposizioni a tutela della salute e sicurezza o avessero esposto i dipendenti a rischi specifici25. La legislazione primaria, in particolare i Factory Acts, supportava una serie di normative secondarie, comprensive, per esempio, della disciplina contro l’esposizione a sostanze nocive, come per esempio l’amianto. La struttura della regolamentazione in discorso (emanate nel vigore dei Factory Acts) si caratterizzava per essere destinata alla protezione del lavoro dipendente, ignorando invece i soggetti occupati in rapporti di appalto, spesso lavoratori autonomi, frequentemente ingaggiati per fornire professionalità specializzate (per esempio, lavori di saldatura o elettrici) resesi necessarie in corso d’opera. Nel 1970 il governo iniziò a prendere atto della debolezza di tale sistema regolatorio. Fu nominata un’apposita commissione, presieduta da Lord Robens per rivedere la disciplina. La commissione elaborò il proprio resoconto nel 197226. La proposta che ne derivò, di un radicale cambiamento, soprattutto per la sostituzione di un complesso di leggi dettagliate e minuziose con un unico atto normativo di cornice fu largamente implementata con l’Health and Safety at Work Act del 1974, ma le vecchie disposizioni non furono immediatamente abrogate. L’atto normativo in questione, che si applica strettamente solo a Inghilterra e Scozia27, è tuttora operante come la legislazione principale da cui dipende la normativa di dettaglio e sotto il cui vigore sono state emanate importanti direttive europee. La Sezione 1 (1) della legge del 1974 dichiara gli scopi principali dell’intervento normativo: (a) assicurare la salute, la sicurezza ed il benessere delle persone che si trovano al lavoro; (b) proteggere le persone diverse da coloro che si trovano al lavoro da rischi alla salute e sicurezza che possono derivare da o essere in connessione con le attività delle persone che si trovano al lavoro. Nel 1974 queste finalità si mostravano come radicalmente innovative perché, per quanto riguarda ciò che è affermato sub (a), l’intenzione era di proteggere non solo i lavoratori dipendenti, ma la collettività dei prestatori, e, per ciò che riguarda (b), di proteggere i soggetti terzi; di fornire cioè una protezione omnicomprensiva contro tutti i fattori di rischio correlati al lavoro. La legge dispone una serie di obblighi generali piuttosto ampi (Sezioni 2-9); delinea un sistema amministrativo con previsioni volte alla produzione di regolamenti e codici di buone pratiche (Sezioni 10-17); e si preoccupa di rafforzare il meccanismo sanzionatorio verso i soggetti inosservanti (Sezioni 18-42). Prevede, infine, sistemi di coinvolgimento e partecipazione dei lavoratori (Sezione 2 (4)-(7)). Gli obblighi generali. Le Sezioni 2 e 3 descrivono la parte più importante degli obblighi generali; richiedono ai datori di fare tutto ciò che è “ragionevolmente praticabile” ai fini della tutela della salute e della sicurezza lavoro-correlata. La Sezione 2 impone un obbligo piuttosto vasto di protezione dei lavoratori. La Sezione 3 è formulata in termini simili e richiede a ciascun datore: Act for the Health and Morals of Apprentices. La principale legislazione, oltre ai Factories Acts, comprendeva anche i Mines and Quarries Acts, nonché gli Alkali & Works Acts. A metà del XX secolo ulteriori interventi normativi si occuparono del lavoro in agricoltura, negli uffici, negli esercizi pubblici e nel settore ferroviario. 25 Per esempio, in materia di esplosivi, con legislazioni specifiche sui boiler o sui fuochi d’artificio. 26 Safety and Health at Work, 1972, Cmnd 5034. 27 Questo fondamentale atto normativo copre soltanto Inghilterra e Scozia, ma è stato effettivamente esteso all’Irlanda del Nord da una specifica previsione legislativa, Health and Safety (Northern Ireland) Order del 1978, SI 1978/1039 (NI 19), ed è poi stato esteso alle piattaforme offshore dall’Health and Safety at Work etc Act del 1974 (Application outside Great Britain), Order 1977, SI 1977/1232. 23 24 63 […] to conduct his undertaking in such a way as to ensure, so far as is reasonably practicable, that persons not in his employment who may be affected thereby are not thereby exposed to risks to their health or safety [28]. La Sezione 4 delinea un obbligo in capo ai soggetti che hanno il controllo sugli edifici utilizzati dai lavoratori. È previsto che la responsabilità del controllo possa essere suddivisa fra diversi soggetti, e che ciascuno di essi provveda a fare tutto ciò che è ragionevole per assicurare che le persone lavorino in sicurezza in tali luoghi29. La Sezione 6 richiede ai produttori, agli importatori, ai fornitori di articoli utilizzati sui luoghi di lavoro di assicurare che essi siano sicuri per quanto ragionevolmente praticabile, fermo restando l’uso corretto. C’è un obbligo simile per le sostanze che vengono utilizzate nei luoghi di lavoro30. La Sezione 7 fissa un obbligo a ciascun dipendente che si trovi al lavoro di prendersi cura della salute e della sicurezza propria e delle altre persone; la Sezione 8 proibisce a qualsivoglia persona di interferire intenzionalmente o per negligenza nell’utilizzo di qualsiasi cosa fornita a salvaguardia della salute e della sicurezza, o di fare di essa un uso improprio; la Sezione 9 proibisce a qualsiasi datore di richiedere compensi o contropartite per qualsiasi provvedimento assunto o cosa fornita in ossequio alla legislazione in materia di salute e sicurezza. Le Sezioni 2 e 3 sono le più rilevanti per la salute e la sicurezza di coloro che sono occupati in maniera precaria. La Sezione 2 può coprire direttamente il lavoro occasionale, di modo che i relativi prestatori, pur non avendo garanzia di tenuta del rapporto al momento del recesso, ben possono considerarsi veri e propri dipendenti nella fase di svolgimento del vincolo31. Lo stesso può dirsi dei doveri imposti dalle regolamentazioni emanate in pendenza dell’atto normativo in esame. La cosa più importante è che la responsabilità si configura non appena si verifica un rischio in grado di produrre un danno ai lavoratori, anche qualora, nei fatti, nessuno abbia riportato lesioni32, conseguentemente, l’osservanza delle regole di protezione verso i lavoratori sarà in grado di proteggere una vasta gamma di soggetti ulteriori, anche estranei al rapporto; per esempio, il mantenere sicuri gli stabili proteggerà qualsiasi persona vi faccia ingresso, a prescindere dalla relazione con l’azienda. La sotto-sezione (2) della Sezione 2 disciplina le situazioni alle quali i doveri generali della Sezione 2 si estendono. Questi doveri specifici appaiono finalizzati all’esclusiva protezione dei lavoratori dipendenti, ma nel recente caso R v. Swan Hunter Shipbuilders Ltd and Telemeter Installations Ltd33 è stato dimostrato che è dovere dell’imprenditore tenere in considerazione anche i lavoratori esterni, nei casi in cui i suoi stessi dipendenti necessitino di protezione. Si richiede al datore the provision of such information, instruction, training and supervision as is necessary to ensure, so far as is reasonably practicable, the health and safety at work of his employees [34]. Si veda l’Health and Safety at Work etc Act, 1974, Sezione 3 (1): «[…] di gestire la propria impresa in modo da assicurare, per quanto ragionevolmente praticabile, che le persone che non si trovino alle sue dipendenze e che comunque possano subire lesioni dall’esercizio dell’attività produttiva, non siano esposte a rischi per la loro salute e sicurezza» (traduzione nostra). Cfr. http://www.hse.gov.uk/legislation/hswa.htm. 29 V’è una sorta di sovrapposizione fra le Sezioni 3 e 4, per esempio per l’ipotesi in cui nel luogo di lavoro operino appaltatori. La giurisprudenza mostra che laddove vi siano tali sovrapposizioni, la Sezione 3 impone al destinatario degli obblighi standard più elevati, soprattutto perché non consente una condivisione delle responsabilità. 30 Questa Sezione non è frequentemente utilizzata, poiché in materia esistono regolamentazioni specifiche e dettagliate, che in gran parte riflettono le direttive europee, come le Control of Substances Hazardous to Health Regulations e le Chemicals (Hazard Information and Packaging for Supply) Regulations. 31 Per esempio, si veda North Wales Probation Area v. Edwards, UKEAT/0468/07. 32 Nel caso Bolton Metropolitan Borough Council v. Malrod Insulations Ltd., in Industrial Relations Law Reports,1993, 274, si è dibattuto circa la violazione della Sezione 2 in un caso in cui un ispettore aveva trovato un equipaggiamento elettrico difettoso pronto per essere utilizzato dai lavoratori. 33 In Industrial Relations Law Reports, 1981, 403. 34 Si veda l’Health and Safety at Work etc Act, 1974, Sezione 2 (2) (c): «la predisposizione di informazioni, istruzioni, formazione e supervisione tali da assicurare, nella misura ragionevolmente praticabile, la salute e la sicurezza dei suoi dipendenti» (traduzione nostra). Cfr. http://www.hse.gov.uk/legislation/hswa.htm. 28 64 Nel caso specifico era avvenuto che i lavoratori esterni, durante alcuni lavori di saldatura, avevano provocato un’esplosione. È stato sostenuto che la Sezione 2 (2) (c) impone al datore di richiedere ai lavoratori esterni di operare nel rispetto del manuale per la sicurezza fornito ai propri dipendenti, al fine di assicurare che la condotta dei primi non esponga questi ultimi a rischi35. Nondimeno la lettera della sotto-sezione focalizza l’attenzione sui lavoratori dipendenti, ed è significativo che le altre tipologie di prestatori non hanno diritto alle stesse istruzioni, formazione e supervisione dei soggetti subordinati, fintanto che la loro condotta non è suscettibile di mettere a rischio questi ultimi. Questa stessa enfasi sulla formazione dei dipendenti si ritrova in alcune disposizioni emanate nel vigore della normativa in commento, non ultime le Management of Health and Safety at Work Regulations del 1999, che, in ossequio alla direttiva-quadro comunitaria, richiede ai datori di fornire ai dipendenti informazioni36 e formazione37 sui temi della salute e sicurezza. Queste disposizioni, incentrate esclusivamente sulla tutela del lavoro dipendente, ben possono svantaggiare i lavoratori precari. La Sezione 3, che stabilisce il dovere del datore (Sezione 3 (1)), e dei lavoratori autonomi (Sezione 3 (2)), di gestire la propria impresa in modo da non mettere a rischio coloro che non sono alle sue dipendenze, chiaramente impone un obbligo di protezione dei lavoratori esterni (come, ad esempio, i dipendenti di un appaltatore) così come di quei lavoratori che sono direttamente retribuiti dal datore, ma non prestano la loro attività in forza di un contratto di lavoro subordinato (per esempio, soggetti autonomi). In verità nel caso Swan Hunter si è stabilito che il resistente era incorso nella violazione della Sezione 3 (1), e della Sezione 2 (2) (c), per non aver informato gli appaltatori delle precauzioni necessarie per la loro sicurezza, per le lavorazioni da svolgere presso lo stabile dello stesso committente. La Sezione 3 impone altresì un dovere all’utilizzatore finale del lavoratore somministrato per quei servizi che normalmente l’impresa cliente richiede e paga all’agenzia. Questa Sezione, che rappresenta un grande passo avanti rispetto alle legislazioni delle origini, che proteggevano soltanto i lavoratori dipendenti, ha prodotto alcuni dei casi controversi più interessanti in materia. Uno di questi casi costituisce il chiaro esempio del fatto che le disposizioni sugli obblighi finora visti si applicano quando si verifica un rischio di danno, anche se in concreto nessuna lesione si è verificata38; ma molti casi hanno riguardato la responsabilità del datore per i danni sofferti da lavoratori forniti da organizzazioni legate a quest’ultimo da un rapporto contrattuale. Responsabilità personale. Una così spiccata considerazione dei doveri datoriali imposta dalla legislazione del 1974, ha talmente posto l’accento sulla responsabilità delle organizzazioni, che è stato sostenuto che la Sezione 3 (2) impone al lavoratore autonomo obblighi simili a quelli che la Sezione 3 (1) impone ai datori, e che la Sezione 7 (a) impone sui lavoratori l’obbligo di una ragionevole cura di se stessi e degli altri, durante lo svolgimento del lavoro. La Sezione 7 (b) richiede ulteriormente ai lavoratori di cooperare con gli altri per quanto necessario affinché essi siano messi in grado di rispettare i propri doveri imposti dalla legislazione. Nella pratica, pochi lavoratori sono processati; si sono registrate solo 15 ipotesi nel biennio 2004/2005, di cui 12 sfociate in una condanna39. Normalmente l’idea prevalente è che se un lavoratore tiene una condotta illegittima, la responsabilità è ancora una volta del datore, che non ha assicurato che ciò non avvenisse. Le È stato altresì sostenuto che viola la Sezione 3 la condotta del datore che non rende edotti i lavoratori esterni dei rischi delle opere di saldatura in spazi ristretti. 36 Cfr. Regulation 10. 37 Cfr. Regulation 13. 38 Si veda R v. Board of Trustees of the Science Museum, [1993] 1 WLR 1171; il Museo fu ritenuto responsabile per emissioni potenzialmente dannose provenienti dalla torre di raffreddamento e dirette verso la strada posta esternamente, in ragione della possibilità di rischio per soggetti terzi. 39 Cfr. http://www.hse.gov.uk/enforce/off0405/tables/tab11.htm, condanne per violazione delle Sezioni 7, 36 e 37. Un simile fallimento non si è avuto per tutti gli anni successivi. 35 65 statistiche pubblicate non disaggregano i procedimenti basati sulla violazione della Sezione 3 (1) da quelli fondati sulla violazione della Sezione 3 (2). La responsabilità personale può ricorrere anche in base a quanto disposto dalla Sezione 37, nel caso in cui la violazione perpetrata da un soggetto organizzato in forma societaria è stata commessa con il consenso di, o derivi da condotta negligente da parte di qualsiasi dirigente, manager, segretario o altro simile rappresentante dell’impresa. Nel biennio 2004/2005 solo 10 condanne sono state pronunciate per violazione di questa Sezione. Il fatto che essa non viene utilizzata molto frequentemente ed il fatto che la condanna non può consistere nella reclusione possono aiutare a comprendere la pressione dell’opinione pubblica che ha condotto al Corporate Manslaughter Act ed al Corporate Homicide Act del 2007, anch’essi tuttavia diretti contro le organizzazioni piuttosto che verso gli individui, e dunque sforniti di sanzioni che possano portare alla reclusione di un responsabile. In ogni caso, la casistica mostra che quando il sistema fallisce nelle ipotesi in cui siano coinvolte grandi organizzazioni, è molto difficile punire i singoli individui40. Coinvolgimento delle organizzazioni dei lavoratori. Una delle innovazioni della legge del 1974 è contenuta nella Sezione 2 (4), e consente ai successivi interventi regolativi di prevedere che lavoratori afferenti a organizzazioni sindacali riconosciute siano nominati rappresentanti per la sicurezza per essere consultati dal datore (Sezione 2 (6)) sui temi della salute e sicurezza nel luogo di lavoro. La Sezione 2 (7) consente ai rappresentanti per la sicurezza di richiedere al datore di istituire una commissione per la sicurezza […] having the function of keeping under review the measures taken to ensure the health and safety at work of his employees […] [41]. Queste previsioni sono state implementate dalle Safety Representatives and Safety Committees Regulations del 197742, descrittive, fra l’altro, delle funzioni dei rappresentanti per la sicurezza. Fra queste, quella di rappresentare i membri dell’organizzazione sindacale, di indagare a seguito dei reclami di questi ultimi, di condurre regolari ispezioni dei luoghi di lavoro, nonché, a seguito di infortuni (fornendo indicazioni su ciò che sarebbe stato utile fare ai fini della sicurezza), di visionare documenti di rilievo e fruire di permessi per lo svolgimento delle loro funzioni o per la formazione. I requisiti della direttiva-quadro hanno condotto alle modifiche delle regolamentazioni del 197743, così da imporre ai datori di consultare più ampiamente i rappresentanti dei sindacati, particolarmente sulla pianificazione e sull’introduzione di cambiamenti (per esempio, relativi alle nuove tecnologie) nel luogo di lavoro. Comunque, a seguito dei cambiamenti occupazionali che si sono verificati alla fine del XX secolo, il numero degli appartenenti al sindacato, e con esso il riconoscimento da parte delle aziende dei sindacati quali controparte negoziale, è crollato nettamente, certamente nel settore privato. Oggi sono rimasti pochi e potenti sindacati ad operare fuori dal settore pubblico. La Sezione 2 (5) della legge del 1974 ha disposto l’emanazione di regolamentazioni per la nomina di rappresentanti per la sicurezza nelle aziende sprovviste di sindacati riconosciuti, ma tale normativa non è mai stata implementata ed infatti, in ossequio allo spirito “corporativo” che prevaleva negli anni ‘70 la previsione è stata quasi immediatamente abrogata44. Si sono poi resi necessari cambiamenti più radicali per adeguarsi alle indicazioni europee circa il fatto che tutti i Per esempio, si veda R v. HM Coroner for East Kent ex parte Spooner, (1989) 88 Cr. App. R 10; si veda anche Department of Transport, MV Herald of Free Enterprise: Report of the court No 8074, 1987. 41 Si veda l’Health and Safety at Work etc Act, 1974, Sezione 2 (7): «[…] che abbia la funzione di tenere sotto controllo le misure adottate per assicurare la salute e la sicurezza sul lavoro dei dipendenti […]» (traduzione nostra). Cfr. http://www.hse.gov.uk/legislation/hswa.htm. 42 SI 1977/500. 43 Attraverso l’inserimento della Regulation 4 A. 44 Si veda l’Employment Protection Act del 1975, Sezione 116. 40 66 lavoratori avrebbero dovuto essere consultati dal datore sui temi della salute e della sicurezza. Le Health and Safety (Consultation with Employees) Regulations del 199645 richiesero alle aziende nelle quali vi fossero stati lavoratori non rappresentati dai rappresentanti per la sicurezza nominati nel vigore delle regolamentazioni del 1977, di consultare tali lavoratori sulla materia in discorso, sia individualmente, che attraverso un rappresentante eletto. Queste disposizioni, per il vero, scarseggiano di effettività. L’agenzia di supporto ha sempre ritenuto che il coinvolgimento dei lavoratori sia fondamentale per il raggiungimento di sistemi di sicurezza efficienti, e riconosciuto che ancora molto debba essere fatto per ottenere una maggiore partecipazione46. All’epoca delle prime dichiarazioni in questo senso il governo aveva già stanziato 5 milioni di sterline attraverso il Partnership Fund, per supportare progetti di promozione di partnership fra datori e rappresentanti dei lavoratori nelle aziende47. Attualmente la partecipazione dei lavoratori costituisce un elemento centrale della strategie dell’agenzia di supporto. Essa riconosce che i lavoratori sono spesso i soggetti più idonei ad indicare i temi chiave e a condurre verso il miglioramento del sistema; e che i lavoratori possono influenzare la gestione della salute e sicurezza assumendosi le loro responsabilità personali. Nel 1999 c’è stata una consultazione sul tema della promozione di una maggiore partecipazione da parte dei lavoratori. Le varie opzioni hanno riguardato l’introduzione di rappresentanti per la sicurezza itineranti, l’assegnazione di maggiori poteri ai rappresentanti per la sicurezza, e nuove proposte per aumentare la partecipazione nei luoghi di lavoro non sindacalizzati. Il documento di consultazione non ha determinato alcun cambiamento, ma nell’ultima decade l’agenzia si è battuta per far riconoscere il valore dei rappresentanti per la sicurezza e i vantaggi derivanti dal rafforzamento del sistema. Per esempio, essa ha pubblicato dei case studies che mostrano l’incidenza qualitativa e quantitativa del rapporto fra la partecipazione e consultazione dei lavoratori e una gestione efficiente del sistema di salute e sicurezza48. Il sito web dell’agenzia illustra come ciò funzioni con le organizzazioni sindacali49. Nel 2005 l’agenzia ha disposto un programma di coinvolgimento dei lavoratori ed elaborato un documento di consultazione. A seguito di ciò sono state prese in considerazione due proposte di modifica legislativa, di cui la prima relativa ad un nuovo dovere di consultazione dei rappresentanti per la sicurezza sulla valutazione dei rischi, e la seconda sull’obbligo di rispondere alle istanze. I sindacati erano favorevoli all’utilizzo dello strumento legislativo50, le aziende invece erano meno propense. Nel 2007 l’agenzia ha emesso un paper sui risultati della consultazione51. Per il futuro è prevista, fra le priorità, una rivitalizzazione dell’idea di partecipazione nel settore delle costruzioni e nel settore pubblico. Mentre il sistema può non essere completamente effettivo per ciò che riguarda il reclutamento dei rappresentanti per la sicurezza, la normativa vigente è particolarmente attenta ai diritti di questi ultimi. La Sezione 28 (8) della legge del 1974 richiede agli ispettori di fornire le informazioni SI 1996/1513. È stato asserito che le aziende con rappresentanti per la sicurezza provenienti dal sindacato e commissioni paritetiche per la salute e sicurezza registrano una quantità di infortuni più bassa del 50% rispetto a quelle che non hanno meccanismi di consultazione, cfr. Unions, Safety Committees and Workplace Injuries. Reilly, Paci and Holl. British Journal of Industrial Relations 33.2, giugno 1995 0007-1080. 47 Department for the Environment, Transport and the Regions, Revitalising Health and Safety. Strategy Statement, United Kingdom, June 2000, in http://www.hse.gov.uk/revitalising/strategy.pdf, punto 82. 48 Si veda Health and Safety Executive, The Role and Effectiveness of Safety Representatives in Influencing workplace Health and Safety, Research Report n. 363, 2005, compilato dalla Cardiff University, in http://www.hse.gov.uk/research/rrpdf/rr363.pdf. 49 Cfr. http://www.hse.gov.uk/workers/safetyreps/unions.htm. 50 Cfr. TUC, HSC Consultation on improving worker involvement. What it means and how to respond, in http://www.tuc.org.uk/extras/HSC.pdf. 51 Z. Woodrow, K. Nowicki, S. Bristow, Worker involvement: results of the consultation exercise and a proposed approach to current and future work, Health and Safety Commission, 2007. 45 46 67 raccolte sugli edifici oggetto di verifica, o da azioni intraprese al riguardo da lavoratori o dai loro rappresentanti […] in circumstances in which it is necessary to do so for the purpose of assisting in keeping persons (or the representatives of persons) employed at any premises adequately informed about matters affecting their health, safety and welfare […] [52]. Se tali diritti non sono rispettati, i rappresentanti per la sicurezza possono adire il tribunale del lavoro per ottenere giustizia; di solito, infatti, l’esito positivo della controversia determina la condanna del datore al pagamento di una somma di denaro. L’Employment Rights Act del 1996 protegge i soggetti in esame dal licenziamento (Sezione 100) o dalle discriminazioni (Sezione 44) basati sulle attività svolte come rappresentanti per la sicurezza. Le Sezioni 43 e 47 B adesso prevedono la stessa tutela per il lavoratore che, nell’interesse generale, abbia effettuato rivelazioni c.d. “protette”. La Sezione 43 B (1) (d) include fra queste «quella relativa al fatto che la salute o la sicurezza di qualsiasi individuo sia stata, sia o possa essere messa a repentaglio». La rivelazione, per essere protetta, deve essere stata resa, in prima istanza, dal dipendente al proprio datore o, nel caso in cui non vi sia un rapporto di subordinazione, alla persona responsabile. La Sezione 103 A fornisce al dipendente che sia stato licenziato per aver effettuato una dichiarazione “protetta” la tutela contro i licenziamenti illegittimi. Nessuna delle previsioni che riguardano il coinvolgimento dei lavoratori, fatta eccezione per quella sulle dichiarazioni protette, fornisce particolare tutela ai soggetti precari, sebbene sia possibile che i rappresentanti per la sicurezza invochino, nei confronti dei loro datori, che le condizioni di lavoro degli occupati precari mettano a rischio i lavoratori che essi rappresentano. Un recente paper del TUC sui lavoratori vulnerabili evidenzia il valore del reclutamento di questi soggetti all’interno delle organizzazioni sindacali53. Effettività del sistema. La breve analisi sinora condotta sul sistema giuridico mostra che l’intenzione dell’ordinamento è che la legislazione protettiva si applichi a tutte le persone durante lo svolgimento dell’attività lavorativa, ma vengono date poche indicazioni sulle modalità per rendere effettiva la disciplina. La legge principale di riferimento, come visto, ha ormai 30 anni e durante questo arco temporale v’è stato un significativo cambiamento nella realtà occupazionale. Ed infatti l’agenzia ha fatto di questo argomento un tema principale sin dagli anni ‘90. All’esito di una ricerca sulla disciplina del sistema di salute e sicurezza degli anni 1993-1994 la Health and Safety Commission (HSC)54 ha emanato, nel 1996, un documento di discussione intitolato The Health and Safety Implications of Changing Patterns of Employment. Esso si è concentrato sulle implicazioni dei cambiamenti nella struttura del mercato del lavoro sulla regolamentazione del sistema di salute e sicurezza. I risultati delle successive consultazioni hanno confermato l’opinione della Commissione e cioè che non v’era problema più impellente da risolvere, sul piano dell’applicazione e degli scopi della vigente legislazione in materia di salute e sicurezza. Comunque, stando ad un report della Commissione del 200355, esiste una correlazione fra novità del lavoro e rischio di lesioni. Il tasso di rischiosità nei primi 6 mesi è più del doppio rispetto a quello relativo ai lavoratori che prestano attività per lo stesso datore da almeno un anno. Quasi 3 su 5 (57%) lavoratori temporanei sono occupati con un datore per meno di 12 mesi. I rischi cui sono assoggettati i lavoratori temporanei sono assimilati ai più alti rischi che corrono i lavoratori Si veda l’Health and Safety at Work etc Act, 1974, Sezione 28 (8): «[…] nelle circostanze in cui ciò sia necessario per consentire alle persone (o ai loro rappresentanti) occupate in ogni edificio, di essere adeguatamente informate su questioni relative alla loro salute, della sicurezza e del benessere […]» (traduzione nostra). 53 Si veda TUC Commission on Vulnerable Employment, Hard Work, Hidden Lives, in http://www.vulnerableworkers.org.uk/files/CoVE_full_report.pdf, in particolare il cap. 4. 54 All’epoca una branca dell’agenzia, responsabile delle strategie, abolita nel 2008. Cfr. nota 44. 55 Si veda C. Kerby, HSC changing patterns of employment programme: annual report on progress, Health and Safety Commission, 2003. 52 68 appena entrati in un’azienda. Di tali rischi ha avvertito l’UE in un Commission Staff Working Paper sull’implementazione della direttiva sul lavoro temporaneo56. Con riferimento al report del Regno Unito, nel working paper si è dichiarato: The supervisory authorities have not encountered problems with the regulations specifically concerning temporary workers. These have proved effective in terms of improving working practices and changing attitudes to risk prevention. The general approach to health and safety management at work appears to be generally understood and accepted by the business community. However, the national authorities emphasised the need to clarify the position concerning the rules of all parties with health and safety responsibilities in respect of atypical workers. Some employers are not clear about their obligations and in some cases workers are unaware of their rights [57]. C’è anche una relazione fra il numero di ore lavorate e il tasso di incidenti sul lavoro. Le statistiche elaborate dalla Labour Force Survey58 rivelano che per i lavoratori che hanno un basso numero di ore settimanali di lavoro v’è una più alta probabilità di riportare incidenti sul lavoro rispetto a coloro che lavorano un numero maggiore di ore; coloro che lavorano meno di 16 ore a settimana sono assoggettati a un rischio doppio rispetto a coloro che ne lavorano 30-50. Tabella A – Tasso di incidenti sul lavoro con riferimento alla durata del rapporto. Durata del vincolo Tasso annuale degli incidenti sul lavoro ogni 100.000 lavoratori Meno di 6 mesi 11.400 6-11 mesi 5.600 da 12 mesi fino a 5 anni 4.200 5 anni ed oltre 3.500 Tabella B – Tasso di incidenti durante l’orario ordinario. Fascia di orario normale settimanale Orario medio Tasso di infortuni ogni 100.000 ore Meno di 16 7,5 8.000 16-29 22,5 4.300 30-49 39,5 3.800 50-59 54,5 3.200 60 ed oltre 64,5 3.000 Si veda Commission of the European Communities, Commission Staff Working Paper on the implementation of Directive 91/383/EEC supplementing the measures to encourage improvements in the safety and health at work of workers with a fixed-duration employment relationship or a temporary employment relationship, SEC(2004)635, Brussels, 18 maggio 2004, in http://register.consilium.eu.int/pdf/en/04/st10/st10214.en04.pdf. 57 Ivi, 5: «Le autorità preposte alla supervisione non hanno incontrato problemi con la normativa di riferimento, specie quella sui lavoratori temporanei. Essa si è dimostrata efficace nel miglioramento delle prassi adottate sui luoghi di lavoro e nel cambiare l’approccio alla prevenzione dei rischi. L’atteggiamento generale verso la gestione della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro pare condiviso e accettato dalla comunità delle aziende. Comunque, le autorità nazionali hanno enfatizzato la necessità di chiarire il ruolo di tutte le parti che hanno responsabilità in materia di sicurezza nei confronti dei lavoratori atipici. Alcuni datori non sono ben consapevoli dei loro obblighi e i lavoratori spesso ignorano i loro diritti» (traduzione nostra). 58 Si veda C. Kerby, HSC changing patterns of employment programme: annual report on progress, Health and Safety Commission, 2003. 56 69 Nel giugno 2000 il Governo ha elaborato un documento strategico chiamato Revitalising Health and Safety59. Un capitolo, The modern world of work, conteneva un piano d’azione diviso in 44 Action points. Al n. 16 si leggeva: The Health and Safety Commission will consider further whether the 1974 Act should be amended, as Parliamentary time allows, in response to the changing world of work, in particular to ensure the same protection is provided to all workers regardless of their employment status; and will consider how the principles of good management promoted by the Construction, Design and Management Regulations approach can be encouraged in other key sectors […] [60]. V’è stata particolare preoccupazione per i lavoratori “apparentemente” autonomi, lavoratori domestici, lavoratori ambulanti e volontari. Può notarsi come anche il più recente di questi report risulti adesso come qualcosa di datato. L’Health and Safety Executive (HSE), come ogni altro dipartimento governativo, deve operare con un budget molto ristretto. Secondo il dipartimento, la predisposizione di linee-guida sulla salute e sicurezza, l’uso di un sito web comprensibile e ogni altra forma61 di campagna pubblicitaria accanto alle ispezioni e al rafforzamento del sistema costituiscono il modo più efficace per informare datori e lavoratori sui pericoli insiti nei luoghi di lavoro, e per evitare questi ultimi62. Le risorse vengono principalmente destinate a settori nei quali statisticamente le persone risultano più a rischio. Recentemente, con riferimento alla riduzione del numero di controversie, l’HSE ha dichiarato: […] In 2003 we decided to target more resource to preventative work […]. We are using a range of interventions […].For example, within the construction industry (an area where we had traditionally served many notices) we are intervening in the design and concept stages of projects, working with others to manage down risks before the construction processes begin. During a period in which the sector has been experiencing growth, fewer injuries have been reported and with less enforcement needing to be taken [63]. Uno dei problemi (si veda l’esempio dei pescatori di vongole nella Morecambe Bay, infra, § II.6.7) è che i lavoratori migranti possono benissimo trovarsi nel Regno Unito illegalmente, e dunque la loro presenza può essere ignota finché non si verifica un accadimento infortunistico64. Altri settori presi in considerazione per una più efficace azione sono stati quelli che coinvolgono le piccole imprese, ove v’è necessità di chiarire le responsabilità in materia, tutte le volte che: […] a typical workplace comprises a mix of small contractors, sub-contractors and employees of the parent company. When several contractors, or commercial partners, work side by side, there is a risk of uncertainty 59 Department for the Environment, Transport and the Regions, Revitalising Health and Safety. Strategy Statement, United Kingdom, June 2000, in http://www.hse.gov.uk/revitalising/strategy.pdf. 60 Ivi, Action point 16: «L’Health and Safety Commission considererà altresì se la legge del 1974 debba essere modificata, tempi parlamentari permettendo, per fronteggiare i cambiamenti del mondo del lavoro, e in particolare per assicurare che a tutti i lavoratori sia assicurato lo stesso livello di protezione, senza distinzioni derivanti da loro status occupazionale; e valuterà come i principi di buon management promossi dalle Construction, Design and Management Regulations possano essere estesi ad altri settori chiave […]» (traduzione nostra). 61 Ivi, 18. 62 Attualmente vengono utilizzati i mass media per una campagna che mostri le devastanti conseguenze di cadute e scivoloni. 63 Si veda Health and Safety Executive, Health and Safety Offences and Penalties 2004/2005, in http://www.hse.gov.uk/enforce/off0405/off0405.pdf: «[…] Nel 2003 abbiamo deciso di stanziare più risorse per la prevenzione […]. Stiamo adottando una serie di interventi […]. Per esempio, nell’industria delle costruzioni stiamo agendo già nella fase della progettazione, lavorando con gli altri per limitare i rischi prima che il processo di costruzione abbia inizio. In un periodo in cui questo settore è in una fase di crescita, il numero degli incidenti è diminuito e, di conseguenza, anche il bisogno di operare per vie legali» (traduzione nostra). 64 V’è adesso una speciale UK Border Agency che è deputata al controllo dei flussi migratori nel Regno Unito (si veda il sito http://www.ukba.homeoffice.gov.uk), anche se non sono chiare le sue effettive capacità di controllo, soprattutto su coloro che sono determinati ad entrare nel territorio. 70 about who is responsible for providing information and training on health and safety issues. Effective coordination in these circumstances can be a real challenge. The traditional roles of ‘employer’ and ‘employee’ are no longer the norm. Agency workers, casual and illegal labourers, people working from home and volunteers rarely have a traditional contract of employment. This can present confusion as to who is responsible for health and safety issues. In 1996 the Health and Safety Commission published a discussion document Changing Patterns of Employment and concluded that the framework set by the 1974 Act could cope with these changes. They took steps to revise guidance, particularly for the self-employed working regularly for a single employer, agency workers and contractors. More may need to be done to ensure that everyone in a contracting chain or employment relationship understands their respective responsibilities under health and safety legislation [65]. Il Performance Report del 2007. L’evoluzione del mondo del lavoro dal 2000 ha messo in ombra i risultati relativi agli obiettivi prefissati sino a quel momento, sebbene il Performance Report 2007 dell’Health and Safety Commission mostri una ripresa complessiva. Esso contiene i seguenti risultati statistici: • incidenti fatali – cresciuti dell’11% nel 2006/2007 – per un totale di 241. Quasi un terzo di queste morti si sono verificate nel settore delle costruzioni, restando comunque allarmanti i dati relativi ad altri settori, quali l’agricoltura e lo smaltimento ed il riciclaggio dei rifiuti. Nondimeno, l’HSE è sulla buona strada per il raggiungimento degli obiettivi di riduzione degli infortuni letali e più gravi: il cambiamento fra il 1999 ed il 2007 mostra infatti una diminuzione fra il 7% e l’11%; • il più comune tipo di lesione deriva da una scivolata o da una caduta. Poiché queste tipologie di incidenti non stanno diminuendo significativamente, i piani d’azione includono più intense campagne mediatiche rivolte ai lavoratori dei settori della ristorazione e dell’ospitalità, manifatturiero e dei servizi di manutenzione. Nel settore delle costruzioni, gli obiettivi dell’HSE sono principalmente le società piccole, di edilizia e ristrutturazione; • l’HSE non è al passo con i propri obiettivi di riduzione dei danni alla salute. Il tasso di incidenza di malattie lavoro-correlate autodichiarate è cresciuto ampiamente nel biennio 2006/2007; ciò è attribuibile al massiccio incremento di certificazioni di nuovi casi relativi a disordini muscolo-scheletrici e malattie da stress. Tutto questo nonostante le campagne sui temi dello stress, della tutela contro i danni alla colonna vertebrale e delle mani, e contro l’asbestosi. L’aumento delle malattie da stress ha influito sul raggiungimento dell’obiettivo volto alla riduzione delle giornate di lavoro perse. Riassumendo: - 241 lavoratori rimasti uccisi nello svolgimento dell’attività; - 141.350 lavoratori con gravi conseguenze lesive; - 2,2 milioni di persone sofferenti di malattie che affermano di aver contratto a causa del proprio lavoro o le cui condizioni sono peggiorate a causa di esso, attuale o passato. 646 di questi sono nuovi casi sono del 2006/2007; - 36 milioni di giornate sono stati persi in generale (1,5 giorni per lavoratore), di cui 30 milioni per malattie lavoro-correlate e 6 mesi per infortuni sul lavoro. «[…] il luogo di lavoro comprende un mix di piccoli appaltatori, subappaltatori e lavoratori di imprese collegate. Quando diversi soggetti o partner commerciali lavorano fianco a fianco, c’è rischio di incertezza su chi sia responsabile delle attività di informazione e formazione sui temi della salute e della sicurezza. In certe circostanze un effettivo coordinamento può rappresentare una vera e propria sfida. I tradizionali ruoli di “datore” e “dipendente” non costituiscono più la norma. I lavoratori tramite agenzia, i lavoratori occasionali o irregolari, coloro che lavorano da casa e i volontari, raramente hanno un contratto di lavoro tradizionalmente inteso. Ciò crea incertezza su chi risponda sul piano della salute e sicurezza. Nel 1996 la Health and Safety Commission ha pubblicato il documento di discussione Changing Patterns of Employment, concludendo che il quadro delineato dalla normativa del 1974 avrebbe dovuto fare i conti con i ricordati cambiamenti. Furono mossi i primi passi per rivedere i principi cardine, in particolare per quei soggetti autonomi operanti in favore di una sola azienda, per i lavoratori temporanei e per gli appaltatori. Occorre fare di più per assicurare che ciascun attore che fa parte di una catena contrattuale o di una relazione di lavoro comprenda le proprie rispettive responsabilità impostegli dalla legislazione in materia di salute e sicurezza» (traduzione nostra). 65 71 Il report identifica i settori industriali più pericolosi e fornisce interessanti dettagli sui miglioramenti ottenuti. Quanto segue è estratto dal report. Targeted enforcement Nearly one in three construction refurbishment sites inspected within a two-month period this year put the lives of workers at risk. This startling figure came after HSE carried out over 1500 inspections as part of its rolling inspection programme, resulting in enforcement action on 426 occasions. Work at height remains the biggest concern – over half of the enforcement action taken during this inspection initiative was against dangerous work at height, which last year led to the death of 23 workers. With the number of migrant workers in Great Britain growing rapidly, HSE wants to make sure they receive the same level of protection as other workers. With staff from the Gangmaster Licensing Authority, the police, fire and rescue services and local authorities, HSE inspectors in Cornwall organised joint visits to daffodil and brassica harvesting operations, reaching 1068 migrant workers supplied by 16 separate labour providers. Working conditions were found to be poor in about 40% of visits, with the provision of proper welfare facilities a particular issue. Enforcement action was taken in 12 cases, where conditions were significantly below the standards expected. Further work is continuing with Cornwall’s farmers to achieve the necessary improvements. […] A Bradford businessman was sent to prison for six months for not complying with a Prohibition Notice. This followed a serious accident to a Slovakian casual labourer, who was permanently disabled when he fell during the partial demolition of a house. The circumstances of the injured man meant he was not entitled to any state assistance to pay for his ongoing care and was not in a position to pursue a civil claim. Against this background HSE took the unusual step of successfully seeking a compensation order on his behalf [66]. Nel frattempo, si registra che più della metà dei lavoratori giovani non ha conoscenza di tematiche inerenti alla salute e sicurezza. I ricercatori in materia hanno sollecitato il governo ad inserire la salute e sicurezza sui luoghi di lavoro nei programmi scolastici nazionali67, dopo che è emerso che un teenager ogni 40 minuti riporta serie conseguenze lesive durante lo svolgimento del lavoro, citando l’esempio di un quindicenne rimasto ucciso in un cantiere edile: «Non aveva ricevuto né formazione, né equipaggiamento di sicurezza, e gli era già stato richiesto di demolire un muro di mattoni – una richiesta che lo ha portato alla morte»68. Si veda Health and Safety Commission, Way Ahead. Performance Report 2007, in www.hse.gov.uk/aboutus/reports/performance/performance2007.pdf, 13-14: «Obiettivi di rafforzamento Quasi uno su tre dei siti di ristrutturazione edilizia ispezionati nell’arco di due mesi quest’anno era a rischio per la salute dei lavoratori. Questo dato sorprendente è emerso dopo che l’HSE ha condotto più di 1.500 ispezioni che hanno determinato provvedimenti in 426 occasioni. Il lavoro in altezza resta il più pericoloso, avendo condotto lo scorso anno a ben 23 decessi. L’HSE si preoccupa che l’alto numero di lavoratori migranti goda degli stessi livelli di protezione degli altri lavoratori. In Cornovaglia le autorità locali, i servizi ispettivi, la polizia e i funzionari HSE hanno raggiunto, con un’operazione congiunta, 1.068 lavoratori migranti forniti da 16 diversi somministratori. Nel 40% dei casi le condizioni di lavoro erano insoddisfacenti, con particolare riferimento alla predisposizione di un adeguato sistema di sicurezza. Sono stati assunti provvedimenti in 12 casi, nei quali gli standard erano ben al di sotto di quanto atteso. Ulteriori azioni stanno proseguendo con gli agricoltori della Cornovaglia per raggiungere i necessari miglioramenti. […] Un imprenditore di Bradford è stato condannato a 6 mesi di reclusione per non essersi conformato ad un avviso di infrazione, derivante da un grave infortunio occorso ad un lavoratore occasionale slovacco, che ha riportato un’invalidità permanente durante la semidemolizione di una casa. La vittima non aveva titolo a nessuna forma di assistenza per le proprie cure, e non era legittimata ad intraprendere alcun giudizio civile. In questa circostanza l’HSE, con una procedura inusuale, è riuscito ad ottenere in luogo dell’infortunato e a beneficio del medesimo, un ordine di risarcimento» (traduzione nostra). 67 Si veda, in particolare, British Safety Council, Get Skilled for Work, in http://www.britsafe.org/images/newsimg/bsc-schoolssurvey.pdf. Il British Safety Council (BSC), un’organizzazione formativa del settore del commercio, offre ai soggetti di età compresa fra 14 e 19 anni la possibilità di ottenere il riconoscimento del primo livello di competenza in Workplace Hazard Awareness prima che essi intraprendano la loro prima esperienza lavorativa. Il Work Experience è un sistema che consente di fornire ai bambini in età scolastica l’opportunità di avere un saggio di che cos’è l’esperienza sui luoghi di lavoro. Cfr. http://www.britsafe.org/feedcontents.aspx?id=100101. 68 Brian Nimick (Chief Executive Officier presso il BSC), in un reportage della BBC, 23 aprile 2008, in http://news.bbc.co.uk/1/hi/uk/7362124.stm. 66 72 Monitoraggio dell’effettività della normativa. Un’attività ancora in corso dell’HSE riguarda il monitoraggio dell’effettività della legislazione. Molte delle indagini sono rivolte alla verifica della possibilità di coprire le figure di lavoratori particolarmente vulnerabili. Un interessante esempio (sebbene ora un po’ datato) è il resoconto del Regno Unito alla Comunità Europea relativo al II quinquennio di implementazione pratica della direttiva 91/383/CEE sui lavoratori temporanei. Il report mostrava la ripartizione di questi lavoratori per tipologia di attività. Emergeva che negli anni più recenti per i quali erano stati reperiti dati al riguardo 1,65 milioni di persone erano stati occupati in maniera temporanea, e distribuiti principalmente nelle piccole imprese. Veniva comunque evidenziato che non v’erano rischi ulteriori, per il tipo di attività svolta, oltre a quelli a cui sono assoggettati coloro che sono nuovi ad una certa situazione lavorativa. Si evidenziava poi che l’alto numero di questi soggetti occupati nelle piccole aziende li esponeva a maggiori rischi rispetto a qualsiasi altro dipendente della stessa azienda69. Un esempio di monitoraggio in corso è quello relativo all’utilizzo dell’amianto e all’effettività della legislazione in materia di salute e sicurezza dei lavoratori che entrano in contatto con sostanze letali70. Il 21 aprile 2008 la Commissione Work and Pensions istituita presso la Camera dei Comuni ha pubblicato un report concernente la fusione della Health and Safety Commission e dell’Health and Safety Executive in un unico organismo. Lo scritto ha evidenziato che occorrono maggiori risorse all’HSE per aumentare la conformità delle imprese e ridurre il tasso di infortuni. Conclusioni. L’agenzia di supporto ha identificato alcuni gruppi di lavoratori che sono più assoggettabili ad infortuni o malattie correlate al lavoro, di altri, e sono perciò classificabili come “vulnerabili”. Essi possono poi essere classificati, stando ai risultati delle inchieste dell’HSE, per caratteristiche personali e per tipo di lavoro. Le donne, sebbene non particolarmente a rischio, sono soggette a rischi diversi rispetto agli uomini; così come i lavoratori di ufficio o gli insegnanti sono più esposti allo stress. I giovani, a causa dell’inesperienza, possono essere a rischio. I migranti, a causa delle difficoltà di linguaggio, dell’impiego nel lavoro temporaneo, della mancanza di formazione sono, specialmente se presenti illegalmente sul territorio, estremamente vulnerabili. Un altro tipo di classificazione si basa sulla tipologia di lavoro. I soggetti occupati nell’edilizia o nel settore della manutenzione sono a rischio, spesso in carenza di formazione e supervisione, e svolgono mansioni pericolose, in un contesto di relazioni di lavoro complesse ed articolate. Coloro che hanno a che fare con il pubblico, soprattutto nel settore sanitario o in altre branche del servizio pubblico, sono soggetti a vessazioni ed a stress71. Coloro che sono occupati nelle piccole imprese sono sproporzionatamente a rischio, così come i lavoratori temporanei; in questo caso il rischio deriva da inadeguati sistemi di selezione e formazione, sebbene l’HSE attribuisca il problema, nel caso del lavoro temporaneo, ad una questione più generale relativa alla maggiore incidenza di infortuni per il fatto che il lavoratore è nuovo ad una determinata esperienza lavorativa. Si evidenzia il problema di assicurare il coinvolgimento dei lavoratori e di rafforzare il medesimo attraverso la figura dei rappresentanti per la sicurezza o altre forme di consultazione. L’HSE non considera esplicitamente la vulnerabilità di coloro che svolgono forme di lavoro precario, ma se il lavoro precario è correlato alla instabile tenuta del rapporto, è possibile individuare una forte correlazione fra lavoro temporaneo e vulnerabilità. Lo stesso HSE ha ravvisato situazioni di vulnerabilità nei casi di lavoro a breve termine; i lavoratori temporanei 69 Si veda P. Wilson, 2nd Report to the European Commission on the Practical Implementation of the Temporary Workers Directive (91/383/EEC), Health and Safety Commission, 2003, in http://www.hse.gov.uk/aboutus/meetings/hscarchive/2003/150703/c0397.pdf. 70 Cfr. www.hse.gov.uk/asbestos/index.htm. 71 Le valutazioni del mondo del lavoro attualmente in corso per raggiungere obiettivi di parità retributiva possono coinvolgere anche questioni inerenti alla sicurezza. 73 possono essere impiegati in molti tipi di lavoro e inoltre il lavoro temporaneo è particolarmente utilizzato nell’industria delle costruzioni e delle ristrutturazioni, almeno nel senso che i relativi lavoratori, anche se in servizio presso il medesimo datore di lavoro, si muovono costantemente da un luogo all’altro. I lavoratori migranti sono frequentemente occupati in lavori stagionali, soprattutto in agricoltura. II.6.3 Lavoratori vulnerabili. Questa relazione cerca di identificare in quali settori della forza lavoro è più facile riscontrare rischi di infortuni lavoro-correlati, prendendo in considerazione, se i lavoratori in questione sono soggetti occupati in modo precario, gli aspetti collegati all’insicura stabilità del lavoro, all’adibizione a lavori pericolosi, o alle particolari caratteristiche personali. Si cercherà di verificare se vi sono tipologie di lavoratori che sono particolarmente a rischio, magari perché hanno un lavoro privo di stabilità e sono contestualmente occupati in attività pericolose. La ricerca si baserà largamente sui report del Trades Union Congress (d’ora innanzi TUC) e sui progetti ministeriali sui lavoratori vulnerabili. Definizione ufficiale di lavoratore vulnerabile. Il paper contenente il piano strategico del Governo intitolato Success at Work [72] definisce il lavoratore vulnerabile come someone working in an environment where the risk of being denied employment rights is high and who does not have the capacity or means to protect themselves from that abuse. Both factors need to be present. A worker may be susceptible to vulnerability, but that is only significant if an employer exploits that vulnerability [73]. I risultati della ricerca sul versante delle discriminazioni. Il resto del presente paragrafo riguarda la verifica dei veicoli attraverso i quali i lavoratori vulnerabili vengono particolarmente esposti al rischio di danno alla persona, partendo dalla considerazione per cui molti di questi casi hanno a che fare con la discriminazione di particolari categorie di soggetti, soprattutto disabili, o appartenenti a minoranze etniche, o donne o giovani. Nel 2005 la ricerca Fair Treatment at Work condotta dal Department of Trade and Industry fece emergere che i lavoratori disabili, gay, lesbiche o bisessuali sono soggetti a un rischio doppio di contrarre problemi lavorativi rispetto alle altre persone; i lavoratori di colore sono soggetti ad un rischio maggiore del 50% di subire trattamenti ingiusti rispetto ai lavoratori asiatici, e quasi del doppio rispetto ai lavoratori bianchi74. Similmente l’Hazards Magazine sottolinea i problemi dei migranti75. Ed ancora, un report del Citizens Advice Bureau, intitolato Rooting Out the Rogues, oltre a evidenziare i problemi legati in generale al fenomeno dei “cattivi datori di lavoro”, enfatizza la vulnerabilità dei lavoratori migranti: Whilst the vast majority of employers try hard to meet their legal obligations to their workforce, there are still far too many unscrupulous or rogue employers (and employment agencies) prepared to flout the law and so profit from exploitation. As a result, many tens of thousands of the most vulnerable workers in the UK economy – including many low paid migrant workers from the newly expanded European Union and Department of Trade and Industry (DTI), Success at Work. Protecting Vulnerable Workers, Supporting Good Employers, March 2006, in http://www.berr.gov.uk/files/file27469.pdf. 73 Ivi, 25: «colui che presta attività in un ambiente dove v’è alto rischio di vedere negati i propri diritti di lavoratore, essendo privo della capacità o dei mezzi per proteggersi da tali situazioni di abuso. Entrambi i fattori devono essere presenti. Non è sufficiente che un lavoratore sia esposto a vulnerabilità, ma occorre che vi sia un datore che si approfitta di tale vulnerabilità» (traduzione nostra). 74 Si veda Department of Trade and Industry, The First Fair Treatment at Work Survey: Executive Summary, Employment Relations Research Series, n. 63, 2007, in www.berr.gov.uk/files/file38386.pdf. 75 Cfr. www.hazards.org/migrants/index.htm. 72 74 elsewhere – are failing to benefit from the Government’s very welcome policy programme since 1997 to establish a framework of decent standards in the workplace [76]. Comunque un report redatto dal Policy Studies Institute pubblicato nel 2006 ha evidenziato la vulnerabilità di un soggetto su 5 nell’ambito della forza lavoro77. La Commissione sul “lavoro vulnerabile”. Il TUC ha istituito una Commissione sul lavoro vulnerabile (CoVE). Ciò in ragione della preoccupazione del TUC sul fatto che il lavoro insicuro, mal pagato e instabile determina condizioni di miseria per milioni di lavoratori nel Regno Unito. L’idea di fondo è che il benessere di ciascun singolo lavoratore e della sua famiglia è troppo importante per essere trascurato e lasciato privo di tutela. La Commissione ha ritenuto fosse il tempo di combattere tale sfruttamento e contrastare le situazioni in cui versano i diritti, pochi o insistenti, di milioni di persone che lavorano duramente nel Regno Unito. La Commissione ha così assunto il compito di condurre una più ampia investigazione sulle cause ed i rimedi al lavoro vulnerabile. Sono stati nominati 16 membri fra datori di lavoro, accademici, soggetti provenienti dalla realtà delle organizzazioni sindacali e della società civile, portatori di diverse esperienze e punti di vista. Essi hanno raccolto dati da una nuova ricerca, da una pubblica consultazione, da un programma di visite regionali e da testimonianze di esperti, e hanno prodotto nel maggio 2008 un report finale. Esso considera come il Governo, la società civile, i datori di lavoro e le organizzazioni sindacali possano lavorare insieme per migliorare la vita dei lavoratori più vulnerabili del Regno Unito78. Il report finale del TUC si intitola Hard Work, Hidden Lives79. Il TUC, avendo assunto una posizione critica rispetto alla definizione fornita dal Governo di “lavoro vulnerabile”, sia perché essa considera i lavoratori come “vulnerabili” solo laddove essi siano stati fatti oggetto di sfruttamento e perché si fonda sull’attuale cornice di diritti riconosciuti ai lavoratori, utilizza il primo capitolo per fornire una propria definizione. Innanzitutto il report definisce il lavoro vulnerabile con le seguenti parole: Precarious work that places people at risk of continuing poverty and injustice resulting from an imbalance of power in the employer-worker relationship [80]. E poi continua così: Vulnerable workers are those who undertake vulnerable employment [81]. Il report precisa che: Citizens Advice Bureau, Rooting out the rogues. Why vulnerable workers and good employers need a ‘fair employment commission’, CAB evidence briefing, December 2007, in www.citizensadvice.org.uk/rooting_out_the_rogues.pdf: «Mentre la larga maggioranza di datori tenta con difficoltà di adempiere ai propri obblighi nei confronti della propria forza lavoro, vi sono ancora troppi imprenditori senza scrupoli (e agenzie di lavoro) che operano eludendo la legge ed approfittano della debolezza dei lavoratori. Conseguentemente, molte decine di migliaia dei lavoratori più vulnerabili nell’economia del Regno Unito – compresi i lavoratori migranti pagati con salario bassissimo che provengono dai paesi di nuovo ingresso nell’Unione Europea e da altri paesi – non stanno affatto beneficiando della strategia politica elaborata dal Governo fin dal 1997 per creare una cornice di condizioni standard decenti nei luoghi di lavoro» (traduzione nostra). 77 Cfr. http://www.psi.org.uk/news/pressrelease.asp?news_item_id=188. 78 Cfr. http://www.vulnerableworkers.org.uk/. 79 Si veda TUC Commission on Vulnerable Employment, Hard Work, Hidden Lives, in http://www.vulnerableworkers.org.uk/files/CoVE_full_report.pdf. 80 Ivi, 12: «Il lavoro precario che mette le persone a rischio di continua povertà e ingiustizia risultante da uno squilibrio di potere nella relazione fra datore e lavoratore» (traduzione nostra). 81 Ibidem: «Sono lavoratori vulnerabili coloro che intraprendono un lavoro vulnerabile» (traduzione nostra). 76 75 Vulnerable work is insecure and low paid, placing workers at high risk of employment rights abuse. It holds very little chance of progression and few opportunities for collective action to improve conditions. Those already facing the greatest disadvantage are more likely to be in such jobs, and less likely to be able to move out of them. Vulnerable employment also places workers at greater risk of experiencing problems and mistreatment at work, though fear of dismissal by those in low-paid sectors with high levels of temporary work means they are often unable to take any action to challenge it […] [82]. Il report83 ritiene che ci siano circa 2 milioni di lavoratori vulnerabili nel Regno Unito (la stima peraltro è molto più prudente rispetto ai dati forniti due anni fa dal Policy Studies Institute)84. Esso sostiene poi che tale fenomeno deriva da “molte complesse ragioni”. La Commissione ritiene che il lavoro vulnerabile sia il prodotto delle diseguaglianze sociali ed economiche che si registrano nel paese e derivi dall’approccio del Regno Unito alla regolamentazione del mercato del lavoro. Si sottolinea che negli ultimi 10 anni il tasso di occupazione è cresciuto a tal punto che il 75% dei soggetti in età da lavoro è attualmente occupato, ma c’è un gap del 14% gap fra l’occupabilità generale e l’occupazione di gruppi etnici minoritari85 ed un gap del 27% per i portatori di disabilità, mentre il tasso di occupazione di soggetti non qualificati è solo di poco superiore al 50%86. Il report, riprendendo largamente altre ricerche già pubblicate e la letteratura sul tema, fornisce le seguenti spiegazioni circa l’aumento dei lavoratori vulnerabili87: • I lavori disponibili stanno cambiando. La maggiore domanda, per ciò che riguarda i lavori con scarso apporto di professionalità, è nel settore dei servizi. Si è detto che si sta verificando una polarizzazione dei lavori88. • Più lavoratori sono occupati nelle piccole imprese. Attualmente, più del 40% della forza lavoro è occupata in aziende che occupano meno di 100 dipendenti. L’aumento nelle piccole imprese è attribuibile all’allungamento della catena produttiva. L’84% dei datori si serve di appaltatori; il 14% di questi utilizza appaltatori per svolgere lavori che in precedenza erano affidati ai loro dipendenti. • Lavoro tramite agenzia. Rispetto all’intera realtà del lavoro temporaneo, il lavoro tramite agenzia ha occupato il 17,1% nell’autunno 2007, a fronte del 13% del 199789. • I pagamenti informali nella piccola economia. Dai dati emerge che il fenomeno coinvolge miliardi di sterline90. • Un maggiore affidamento sui lavoratori migranti. • L’impiego delle donne. Le donne vengono pagate il 17,2% meno degli uomini91 e circa il 40% delle donne è occupata a part-time92. Con riferimento alla paga media oraria, le donne che Ibidem: «Il lavoro vulnerabile è quello insicuro e mal pagato che pone i lavoratori ad alto rischio di violazione dei diritti derivanti dal rapporto di lavoro. Esso offre molte poche chance di progresso e poche opportunità di azioni collettive per migliorare le condizioni. Coloro che già affrontano i più gravi disagi hanno maggiori probabilità di imbattersi in questo tipo di lavoro, e minore probabilità di poterne prendere le distanze. Il lavoro vulnerabile pone altresì i lavoratori innanzi ad un maggiore rischio di incontrare problemi e occasioni di maltrattamento sul lavoro, ed il timore di perdere l’occupazione da parte di coloro che operano in settori scarsamente retribuiti e con alte percentuali di lavoro temporaneo rende questi soggetti incapaci di reagire […]» (traduzione nostra). 83 Ivi, Executive summary, 3. 84 Si veda supra. 85 Citando l’Equality and Human Rights Commission. 86 I dati sono tratti dal sito del Department for Work and Pensions, aprile 2008, cfr. http://www.dwp.gov.uk/ofa/indicators/indicator-19.asp. 87 TUC Commission on Vulnerable Employment, Hard Work, Hidden Lives, in http://www.vulnerableworkers.org.uk/files/CoVE_full_report.pdf, 15. 88 Cfr. M. Goos, A. Manning, Lousy and Lovely Jobs: the Rising Polarization of Work in Britain, in The Review of Economics and Statistics, 2007, vol. 89, n. 1, 118-133; I. Kaplanis, The Geography of Employment Polarisation in Britain, Institute for Public Policy Research (IPPR), London, July 2007. 89 Cfr. Labour Force Survey, autunno 2007 ed autunno 1997. 90 Cfr. HM Treasury, The Informal Economy. A report by Lord Grabiner QC, March 2000, in http://www.hmtreasury.gov.uk/documents/taxation_work_and_welfare/tax_issues_publications/tax_grab_report.cfm. 82 76 lavorano part-time guadagnano circa il 60% di ciò che guadagnano gli uomini che lavorano full-time93. • La correlazione fra la bassa retribuzione e l’insicurezza del lavoro. I dati mostrano che essa è aumentata94. • La tendenza a lavorare per un alto numero di ore. Mentre le donne, meno pagate degli uomini, hanno spesso impegni aggiuntivi per doveri di cura dei familiari e sono perciò costrette al part-time, gli uomini tendono a lavorare per un elevato numero di ore anche se hanno responsabilità familiari. I membri della Commissione ritengono che molti casi di sfruttamento avvengono per incapacità prevenzionali della legislazione. Alcuni datori trovano lacune nella legge, ed altri la violano. In certi settori mal pagati, come quello dei servizi di assistenza alla persona, o di pulizie, dell’ospitalità, della sicurezza, dell’edilizia, è dimostrato che la legge venga regolarmente violata. Si ritiene che le agenzie di supporto non abbiano sufficienti risorse per garantire i diritti dei lavoratori. Il report contiene la seguente tabella. Numero di lavoratori a maggior rischio di occupazione vulnerabile95. Indicatori di vulnerabilità Numero di lavoratori Lavoratori non qualificati pagati meno di 6,50 sterline l’ora 942.157 (Labour Force Survey: Summer 2007) Lavoratori temporanei pagati meno di 6,50 sterline l’ora (esclusi i non qualificati) 551.562 (Labour Force Survey: Summer 2007) Nota: i lavoratori temporanei comprendono, approssimativamente per il 20,4% lavoratori a termine, per il 15,7% lavoratori stagionali, per il 16,8% lavoratori tramite agenzia, per il 35,4% lavoratori occasionali e per l’11,7% altri lavoratori non stabili Lavoratori con una residenza stabile che sono pagati meno di 6,50 sterline l’ora (esclusi i non qualificati e i temporanei) 52.924 (Labour Force Survey: Autumn 2007) Totale: 1.546.643 Donne: 958.919 (62%) Uomini: 587.729 (38%) Numero stimato di migranti non registrati 430.000 (Home Office, 2002) Ampiezza stimata dell’economia sommersa (inclusi lavoro pagato al nero e profitti non dichiarati) 1,75% del PIL Totale: stima prudente, 500.000 Fonte: TUC Commission on Vulnerable Employment, Hard Work, Hidden Lives. 91 Cfr. Press release, TUC Response to the ONS Hours and Earnings Survey, 7 novembre 2007, in http://www.tuc.org.uk/equality/tuc-13935-f0.cfm. 92 Cfr. Equal Opportunities Commission, Facts About Women & Men in Great Britain, 2006, 15, in http://83.137.212.42/sitearchive/eoc/Default5961.html?page=14895. 93 Cfr. S. Fredman, Women at Work: The broken promise of flexicurity, in Industrial Law Journal, dicembre 2004, vol. 33, n. 4, 302. 94 Cfr. A. Evans, A. Rossiter, K. Mueller, V. Menne, Anglo-Flexicurity: A Safety Net for UK Workers, Social Market Foundation, London, 2008. 95 Cfr. TUC Commission on Vulnerable Employment, Hard Work, Hidden Lives, in http://www.vulnerableworkers.org.uk/files/CoVE_full_report.pdf, 24. 77 Le 60 raccomandazioni del report96 sono principalmente dirette ai dipartimenti del Governo. Esse enfatizzano il bisogno di assicurare che i diritti legali esistenti vengano rafforzati, ma pongono anche l’accento su almeno tre ambiti nei quali occorrono modifiche legislative. Essi sono indicati nel sommario di apertura: The unequal treatment of agency workers must end. There should be a legal guarantee of equal treatment between agency workers and directly employed staff undertaking the same work […]. It is wrong that ‘workers’ and the bogus self-employed should be denied the legal protections enjoyed by ‘employees’ – employment rights in the UK are assigned using a complicated and outdated system that requires review […]. Many migrant workers are forced into vulnerable employment by immigration regulations. Across the immigration system regulations relating to low-paid migrant workers should be reviewed, with specific consideration given to areas where their impact leads to a higher risk of exploitation […] [97]. Il report si occupa dei modi con cui, attraendo i lavoratori vulnerabili verso le organizzazioni sindacali, è possibile assisterli per aiutarli a superare le difficoltà. È deludente che non si indaghi fino a che punto i lavoratori precari siano esposti a maggiore rischio di danno alla persona. Si rileva, infatti, che le tre ragioni più comuni per cui i lavoratori cercano supporto riguardano […] dismissal/termination, followed by family-friendly rights, pay problems, working time and discrimination and bullying [98]. Comunque il report dichiara che la mancata osservanza della legislazione in materia di salute e sicurezza è ampia e quindi «most legally reportable workplace accidents, including major injuries, are not being reported»99, facendo riferimento ad una ricerca proveniente dall’HSE100. I commissari hanno poi riscontrato una scarsa osservanza della normativa fra i datori privati, come agenzie di lavoro e capi-cantiere101. Essi hanno poi verificato che, pur a fronte di un lavoro rischioso, spesso non è chiaro chi abbia le responsabilità connesse con i temi della salute e della sicurezza. È stato sottolineato che quando l’HSE ha fornito i dati dei propri studi alla Select Committee on Work and Pensions ha illustrato le difficoltà frapposte dalle agenzie per il lavoro all’applicazione delle regole sulla salute e sicurezza. Il direttore dell’HSE ha dichiarato che, nonostante i tentativi dell’HSE di rendere chiaro che le responsabilità in tema di salute e sicurezza non possono essere delegate alle agenzie per il lavoro, la sempre maggiore frammentazione della forza lavoro ostacola il rafforzamento delle politiche e il controllo sulla loro implementazione102. Il report mostra poi che i datori delle piccole ditte non osservano i loro obblighi di intraprendere Ivi, 221-230. Ivi, 4-5: «Il trattamento diseguale dei lavoratori tramite agenzia deve finire. Dovrebbe esserci una garanzia legale che imponga la parità di condizioni fra lavoratori somministrati e lavoratori interni all’azienda che svolgono le stesse mansioni […]. È sbagliato che i “lavoratori non dipendenti” e gli autonomi non genuini si vedano negare i diritti che spettano ai “lavoratori dipendenti” – i diritti di cui godono questi ultimi nel Regno Unito sono attribuiti sulla base di un sistema definitorio datato e complicato che necessita di revisione […]. Molti lavoratori migranti sono costretti al lavoro vulnerabile dalla regolamentazione del lavoro in tema di immigrazione. Il sistema di regolamentazione andrebbe rivisto, con particolare riferimento alla scarsa retribuzione e con specifica considerazione di quei settori nei quali l’impatto dei migranti espone questi ultimi a rischio di sfruttamento […]» (traduzione nostra). 98 Ivi, 120: «il licenziamento/termine, seguito dal problema della fruizione dei diritti connessi con le esigenze familiari, da questioni retributive, o inerenti l’orario di lavoro, discriminazioni, vessazioni» (traduzione nostra). 99 Ivi, 122: «molti infortuni sul lavoro, compresi quelli più gravi, non vengono denunciati» (traduzione nostra). 100 Cfr. Health and Safety Executive, An Investigation of Reporting of Workplace Accidents under RIDDOR using the Merseyside Acccident Information Model, 2007, compilato dalla University of Liverpool. I ricercatori hanno intervistato pazienti ospedalizzati e hanno riscontrato che solo il 30% degli infortuni sono stati denunciati. 101 Cfr. TUC Commission on Vulnerable Employment, Hard Work, Hidden Lives, in http://www.vulnerableworkers.org.uk/files/CoVE_full_report.pdf, 127-128. 102 38 Select Committee on Work and Pensions della Camera dei Comuni, Uncorrected Oral Evidence, One-off Evidence Session, con Judith Hackitt, presidente dell’HSC, e Geoffrey Podger, capo esecutivo HSE, 28 novembre 2007. 96 97 78 la valutazione dei rischi relativi alle lavoratrici in gravidanza, sia per ignoranza dei propri doveri, sia perché ciò pare normale, conforme al sentire comune103. Nel corso della sua ricerca, la commissione TUC ha condotto un’inchiesta presso alcuni giovani lavoratori di un’organizzazione sindacale (UNITE). Ne è risultato che, in generale, il 17% dei giovani lavoratori ha lavorato in posti di lavoro insicuri, e che il 22% degli intervistati si è visto decurtare la retribuzione in caso di malattia104. II.6.4 Lavoratori migranti. Quadro d’insieme. L’HSE ha pubblicato una guida105 per i datori che occupano lavoratori migranti. La pubblicazione del TUC intitolata Hazards at Work106 riguarda i lavoratori migranti. La pubblicazione ribadisce quanto emerso alle pagine 64-66 del report della Conferenza ILO, intitolato Towards a fair deal for migrant workers in the global economy107, circa la rilevanza del tema della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro con riferimento ai lavoratori migranti, e afferma che vi sono due aspetti importanti da considerare: a) sicurezza e salute nei luoghi di lavoro; b) condizioni generali di salute dei lavoratori e delle loro famiglie. Essi sono strettamente correlati. Quello della salute e della sicurezza sul lavoro è un tema importante per i lavoratori migranti, e ciò per diverse ragioni: • i lavoratori migranti tendono ad essere occupati in settori ad alto rischio; • le barriere linguistiche e culturali richiedono un particolare approccio nella comunicazione, nelle istruzioni e nella formazione; • molti di questi lavoratori sono esposti a superlavoro e/o soffrono di scarse condizioni generali di salute, e perciò sono particolarmente soggetti a danni e malattie lavoro-correlati. La pubblicazione riporta altresì che nel settembre 2006 è stato redatto un report per il TUC da parte del Policy Studies Institute, intitolato The Hidden One-in-Five108. Il report utilizzava le statistiche ufficiali per mostrare che circa 5,3 milioni di lavoratori guadagnano un terzo in meno della paga oraria media e non hanno organizzazioni sindacali per negoziare le loro condizioni di lavoro, e perciò sono esposti a sfruttamento. I migranti sono stati riconosciuti una categoria particolarmente assoggettata a condizioni di miseria all’interno della forza lavoro. Il report ha fatto emergere chiaramente che molti migranti sono chiaramente vittime di abusi e che spesso si vedono negare i loro diritti legalmente riconosciuti. Mentre non vi sono accurate statistiche per il numero totale di lavoratori migranti, quasi mezzo milione di persone proveniente dai paesi di nuovo ingresso in Europa è stato registrato fra il maggio 2004 ed il giugno 2006 (sebbene molti nel frattempo abbiano fatto ritorno in patria). Molti migranti sono vulnerabili anche perché è più probabile che lavorino in settori o mansioni con particolari carenze in tema di salute e sicurezza, ed anche perché la loro probabile scarsa esperienza nel particolare lavoro può andare ad aggiungersi ai rischi che normalmente riguardano gli altri lavoratori nelle stesse condizioni. La commissione TUC sul lavoro vulnerabile ritiene che Si veda C.R. Dawson, Pregnancy at Work: Research to Explore Experience of Employers in Small Firms, Acas, COI Communications, 6. 104 Cfr. http://www.vulnerableworkersproject.org.uk/. 105 Visionabile alla pagina http://www.hse.gov.uk/migrantworkers/employer.htm. 106 Si veda TUC, Hazards at Work. Organising for safe and healthy workplaces, 2007. Per un estratto della pubblicazione, cfr. http://www.tuc.org.uk/h_and_s/migrantworkers.cfm. 107 ILO, Towards a fair deal for migrant workers in the global economy, Report VI, International Labour Conference, 92nd Session, Geneva, 2004, in http://www.ilo.org/global/Themes/Labour_migration/lang--en/docName--KD00096/index.htm. 108 TUC, The Hidden One-in-Five. Winning a Fair Deal for Britain’s Vulnerable Workers, 2006. 103 79 The majority of migrant workers have employment rights in the UK, and are acknowledged by the government to “go where the work is, helping to fill the gaps in our labour market, particularly in administration, business and management, hospitality and catering, agriculture, manufacturing and food, fish and meat processing” [109]. Comunque v’è una più ampia percentuale di lavoratori migranti, rispetto alla forza lavoro del Regno Unito, che è impiegata come “prestatore”, piuttosto che con il vero e proprio status di lavoratore subordinato, e quindi con il riconoscimento di tutele minori. I migranti incontrano poi specifiche restrizioni, dal momento che alcuni benefici assistenziali possono essere invocati solo a seguito della dimostrazione del possesso dello status di dipendente da oltre un anno, e dunque i Rumeni e i Bulgari debbono affrontare limitazioni nel loro diritto a lavorare, e coloro che sono in cerca di asilo non hanno addirittura alcun titolo a svolgere attività lavorativa. Vi sono poi risultati della ricerca che mostrano come anche questi limitati diritti, di cui tali lavoratori sono titolari, subiscano abusi illegali. La ricerca intrapresa dall’Università di Oxford, per conto del TUC, si è occupata dell’incremento dell’utilizzo di appalti e subappalti nei settori economici a bassa retribuzione, prendendo atto di come i lavoratori interni godano di condizioni retributive e lavorative migliori di coloro che sono occupati in virtù di una fornitura o di un subappalto. Il report evidenzia l’intenso abuso dei diritti dei lavoratori migranti, con livelli di sfruttamento e di controllo che integrano le nozioni internazionali di “lavoro forzato”. Basti pensare ai datori che trattengono illegittimamente il passaporto, alle minacce fisiche e verbali, alla schiavitù debitoria, ove il lavoro va a compensare il vitto e l’alloggio fornito dal datore, e dunque viene prestato senza alcuna retribuzione. Altre pratiche illegali riguardano pagamenti richiesti dalle agenzie per trovare un lavoro, il diniego di pause lavorative o permessi e scarse condizioni di salute e sicurezza. I lavoratori migranti che non hanno il permesso di lavorare subiscono l’ulteriore rischio della minaccia da parte del datore di denuncia alle autorità per il controllo sull’immigrazione, per indurre a tollerare situazioni di estremo sfruttamento. Quanto segue deriva dalla ricerca pubblicata dall’HSE, Migrant workers in England and Wales110. I fattori che aggiungono ulteriori rischi alla situazione dei lavoratori migranti riguardano: • periodi relativamente brevi di lavoro nel Regno Unito; • una limitata conoscenza del sistema di salute e sicurezza vigente nel Regno Unito; • diversità di regime di gestione della salute e sicurezza nel paese di origine; • le motivazioni, specialmente laddove v’è il desiderio di guadagnare il più possibile nel più breve tempo possibile; • la capacità effettiva di comunicazione con gli altri lavoratori ed i supervisori; • l’accesso alla formazione in tema di salute e sicurezza limitato, in parte per le difficoltà linguistiche; • la mancanza di conoscenza dei diritti connessi agli aspetti relativi alla salute e sicurezza. Vi sono poi scarsi controlli da parte dei datori circa le capacità lavorative e linguistiche. Può inoltre esservi scarsa chiarezza sulla ripartizione delle responsabilità quando il lavoratore migrante presta lavoro autonomo o viene occupato tramite agenzia. I principali aspetti emersi dalla ricerca qualitativa di McKay ed altri (si veda sopra) sono: • Demografici I migranti tendono a lavorare con gli altri migranti. Spesso v’è una nazionalità predominante e ciò rende più facile la comunicazione linguistica. Talvolta v’è invece una Commissione TUC 2006 per i lavoratori vulnerabili, in www.tuc.org.uk/extras/covebriefing.pdf: «La maggioranza dei migranti gode nel Regno Unito dei diritti connessi al rapporto di lavoro, ed è ammessa dal governo ad “andare dove ci sono posti di lavoro, aiutando a riempire i vuoti di personale nel nostro mercato del lavoro, in particolare nel settore amministrativo, degli affari e del management, nel settore dell’ospitalità, ristorazione, agricoltura, manifatturiero, alimentare, della lavorazione della carne e del pesce”» (traduzione nostra). 110 HSE, Migrant workers in England and Wales. An assessment of migrant worker health and safety risks, 2006, in http://www.hse.gov.uk/research/rrpdf/rr502.pdf. 109 80 • • • • • • • • • mescolanza di linguaggi, di differenti capacità ed esperienze, e ciò ostacola la comunicazione. Accesso al lavoro Molti migranti sono reclutati tramite passaparola111, anche se inizialmente i datori assumono tramite agenzia o fornitori di manodopera. Risulta che vi sono scarsi controlli sulle capacità e le qualificazioni di cui sono in possesso i lavoratori migranti per svolgere i lavoro per cui sono assunti, anche se ciò riguarda attività pericolose. Nel settore alimentare e della ristorazione non si controlla la conoscenza delle regole per l’igiene del cibo e solo una minoranza riceve formazione. Uso di agenzie di selezione o di fornitura di lavoro Alcune agenzie e la maggioranza dei migranti non hanno chiara la ripartizione delle responsabilità in materia di salute e sicurezza fra il fornitore e l’utilizzatore di manodopera, soprattutto quando il lavoro è fornito con breve preavviso. Così come vi è scarsa chiarezza su chi debba occuparsi della formazione. Orario di lavoro e ferie Il lavoro dei migranti presenta spesso il tema della durata della giornata lavorativa, di solito molto lunga. Ciò talvolta perché essi sono impiegati in settori connaturati ad orari lunghi, come quello agricolo. C’è poi il desiderio di guadagnare di più in breve tempo. Coloro che vengono retribuiti con la paga base nazionale minima, o addirittura al di sotto, più probabilmente lavoreranno un numero maggiore di ore. V’è poi il fenomeno dei migranti che svolgono più lavori contemporaneamente. Molti non hanno pausa, o non la utilizzano. Alcuni non sono a conoscenza del loro diritto minimo alle ferie. Formazione in tema di salute e sicurezza Più di un terzo degli intervistati non ne ha ricevuta alcuna. Per la maggior parte dei restanti v’è stata solo una breve sessione. Molti datori utilizzano il diretto metodo visivo per superare i problemi di linguaggio (si veda oltre). Salute e sicurezza sui luoghi di lavoro C’è una diffusa ignoranza delle procedure in tema di salute e sicurezza, comprese quelle antincendio. I migranti sono spesso sforniti di abbigliamento protettivo, problema che affligge in particolare coloro che lavorano all’aperto o in settori di refrigerazione. Essi dunque incorrono molto spesso in malattie. Uno su quattro ha avuto diretta esperienza o è stato testimone di incidenti occorsi a migranti. Spesso non vi sono denunce o dichiarazioni per il timore di ripercussioni. Spesso non v’è consapevolezza del diritto alle indennità di malattia. Ispezioni Le ispezioni sono spesso rese difficili dal fatto che i lavoratori sono spesso transitori. Discriminazioni e razzismo Molti ritengono che i migranti siano collocati nei peggiori settori occupazionali e vengano trattati meno favorevolmente rispetto ai cittadini. Vi sono spesso riferimenti a pratiche vessatorie. Conoscenza dell’inglese Molti non sono stati capaci di seguire la formazione in materia di salute e sicurezza per mancanza di conoscenza dell’inglese. Peraltro lavorare un elevato numero di ore, come dimostrato da una ricerca, determina minori opportunità di migliorare la conoscenza del linguaggio112. Conoscenza e tutela dei diritti in tema di salute e sicurezza Si veda la ricerca qualitativa di R. MacKenzie, C. Forde, The Social and Economic Experiences of Asylum Seekers, Migrant Workers, Refugees and Overstayers, Centre for Employment Relations, Innovation & Change, Leeds University Business School, 2007. 112 Ibidem. 111 81 I migranti tendono a lavorare in settori poco sindacalizzati, cosicché molti non hanno canali formali per azionare i loro diritti. V’è anche un basso livello di conoscenza di sistemi di consultazione. Si registrano altresì alcune ostilità da parte dei lavoratori sindacalizzati, che vedono i migranti come una minaccia al proprio lavoro. Particolari problemi sono stati incontrati da alcuni soggetti di nuovo arrivo in una città dell’Inghilterra del nord113, fra cui decurtazioni retributive per l’abbigliamento da lavoro, per gli spostamenti e l’alloggio; maltrattamenti da manager o supervisori; o da colleghi; inaspettato recesso dal rapporto; problemi per ottenere il pagamento del lavoro già svolto. Molti migranti lavorano attraverso le agenzie o i capimastro (si veda oltre). Cosa si può fare? La pubblicazione del TUC, Hazards at Work, suggerisce che i rappresentanti per la sicurezza dovrebbero attivarsi per: • assicurare che le leggi vengano implementate sui luoghi di lavoro per tutti i prestatori, compresi i migranti; • assicurare che i migranti ottengano la guida TUC sulla salute e sicurezza nella loro lingua d’origine; • l’introduzione in ambito sindacale di programmi educativi per la salute e sicurezza per i migranti che parlino l’inglese come seconda lingua; • lo sviluppo di accordi con i datori affinché i diritti dei migranti vengano pienamente rispettati; • assicurare che i migranti ottengano la guida TUC sui diritti dei lavoratori nella loro lingua; • assicurare che le policies aziendali sulla salute e sicurezza si occupino anche degli specifici rischi dei lavoratori migranti; • attivare ispezioni che si concentrino sulla situazione e le condizioni di lavoro e sicurezza dei migranti; • attivare ispezioni che si concentrino sulle informazioni e la formazione impartite ai migranti. Viene sottolineato il vantaggio che è stato tratto da alcuni migranti dalla frequenza di corsi organizzati in sede sindacale (USDAW) nel settore delle vendite al minuto. V’è poi l’esempio degli opuscoli HSE e TUC in materia di sicurezza in 19 lingue diverse. Un’inchiesta TUC di rappresentanti per la sicurezza del 2008 ha rilevato quanto segue, con riferimento al settore vendite: Migrant workers are often particularly vulnerable in the workplace because of difficulties with communication and insecurity over their employment status. They are also more likely to be exposed to racism and racist attacks than other workers. While they are entitled to basic employment rights, migrant workers are often unaware of their rights and unable or unwilling to enforce them. The challenge for the union is to give these people a voice, in order to create a stronger Usdaw and better workplaces for all our members. Research has shown that migrant workers are significantly less likely to be trade union members than UK citizens. Workers from Eastern Europe have the lowest level of membership, at less than 12 per cent [114]. Gli esempi forniti delle azioni per le quali i sindacati dovrebbero attivarsi includono: • la previsione di un servizio di traduzioni, soprattutto per la salute e sicurezza; Ibidem. «I migranti sono spesso particolarmente vulnerabili per le difficoltà di comunicazione e dell’insicurezza sul loro status occupazionale. Hanno anche una maggiore probabilità di essere vittime di razzismo o di attacchi razzisti rispetto ad altri lavoratori. Pur essendo concessi loro i diritti fondamentali in ambito lavorativo, spesso sono essi inconsapevoli di ciò ed incapaci di attivarsi per ricevere tutela. La sfida del sindacato è dare voce a queste persone, per creare un sindacato più forte e luoghi di lavoro migliori per tutti. La ricerca ha mostrato che i migranti sono con maggiore probabilità non sindacalizzati dei cittadini del Regno Unito. I lavoratori dell’Est Europa registrano il minor numero di iscritti, meno del 12 per cento» (traduzione nostra). 113 114 82 • la garanzia che i segnali e gli avvisi si avvalgano di simboli e/o linguaggi adeguati, se possibile; • la promozione dell’apprendimento delle lingue sul luogo di lavoro; • la valorizzazione delle diversità culturali e una chiara presa di posizione contro il razzismo. II.6.5 Lavoratori temporanei, a termine e tramite agenzia. Nell’Europa a 25 circa 30 milioni di lavoratori (14,5%) nel 2005 erano a tempo determinato (il 12,6% nel 2000). 37 milioni erano part-time nel 2006/2007, e di essi il 20% ha dichiarato di esserlo involontariamente (il 15% nel 2002). I dati, stando all’ETUC, mostrano che c’è un’«eccessiva flessibilità nel mercato del lavoro europeo». Questo comporta un certo numero di problemi: in primo luogo i lavoratori flessibili ricevono meno formazione; secondariamente, la mobilità verso l’alto è bassa, e l’innovazione è rallentata per mancanza di attaccamento al lavoro ed impegno da parte dei lavoratori temporanei; infine, il mondo delle aziende cerca modi semplici per affrontare la sfida della competitività (assumere e licenziare piuttosto che innovare)115. I dati della Labour Force Survey116 rivelano che nel Regno Unito vi sono 58 mila lavoratori stagionali, 269 mila occasionali e 644 mila che sono ingaggiati per un periodo definito e per un compito definito. 162 mila non sono comunque stabili. Vi sono 1.380.000 lavoratori temporanei, circa il 5,6% della forza lavoro. L’industria dell’impiego privato è stata regolata dal 1973, data in cui è entrato in vigore l’Employment Agencies Act. Esso è stato modificato dalle Conduct of Employment Agencies and Employment Businesses Regulations del 2003117, che sono divenute effettive nell’aprile 2004. Un’inchiesta avente ad oggetto 2.500 lavoratori tramite agenzia commissionata dal TUC nel 2007 ha rivelato che solo il 28% si sentiva sicuro di conoscere i propri diritti come lavoratore somministrato, mentre il 46% non lo era. V’erano diversi esempi sui modi attraverso i quali il personale proveniente dalle agenzie veniva trattato in maniera peggiore del personale stabile, in particolare il 61% degli intervistati lamentava di non avere gli stessi diritti in relazione all’indennità di malattia118. Il report del TUC afferma altresì che attualmente «i datori nel Regno Unito sono legalmente liberi di offrire condizioni di lavoro peggiori ai lavoratori tramite agenzia, rispetto a lavoratori assunti direttamente. Possono dunque assumere lavoratori temporanei ad una paga oraria molto più bassa di quella che corrisponderebbero a lavoratori assunti direttamente – atteso che essa ammonterebbe almeno alla paga minima – e a peggiori condizioni lavorative. Analogamente, i lavoratori tramite agenzia non hanno titolo per godere di diritti connessi con le esigenze familiari, come i congedi di maternità e paternità, o il diritto a optare per un lavoro più flessibile. Sono spesso esclusi dalle opportunità di formazione, dalla protezione legale contro i licenziamenti illegittimi, dalle indennità di mobilità, dalla indennità di malattia obbligatoria, dalle procedure sindacali e disciplinari»119. Governo e parti sociali hanno raggiunto un accordo nel maggio 2008 avente ad oggetto misure per la parità di trattamento dei lavoratori tramite agenzia dopo 12 settimane di lavoro. L’OECD ha sottolineato che il lavoro temporaneo può funzionare come una trappola foriera di vulnerabilità, specialmente per individui che si trovavano già in una posizione svantaggiata prima di iniziare a lavorare. Ciò deriva da un circolo vizioso di disoccupazione, seguita da instabile Si veda ETUC Resolution, The coordination of collective bargaining 2007, in www.etuc.org; ETUC/CES, Annex 1, Precarious work in Europe, Annexes to the Resolution The coordination of collective bargaining 2007, 2007, in http://www.etuc.org/IMG/pdf/Annexes._7-8-12-2006pdf.pdf. 116 Ripresa dalla Commissione TUC per i lavoratori vulnerabili, cfr. http://www.vulnerableworkers.org.uk/. 117 SI 2003/3319. 118 Risultati pubblicati nel maggio 2007, ricerca condotta dall’agenzia statistica YOUGOV per il TUC, cfr. www.tuc.org.uk/economy/tuc-13311-f0.cfm. 119 Commissione TUC 2006 per i lavoratori vulnerabili, in www.tuc.org.uk/extras/covebriefing.pdf. 115 83 lavoro temporaneo, dove la mancanza di formazione e di possibilità di progredire inibisce le prospettive di carriera di più lungo termine, rendendo anche difficile spezzare tale meccanismo perverso120. Un rapporto di ricerca. Uno studio accademico121 ha rivelato le seguenti caratteristiche della forza lavoro temporanea: (1) i lavoratori di colore e quelli appartenenti a minoranze etniche sono «sovra rappresentati nel lavoro tramite agenzia, se comparati al lavoro permanente», costituendo circa il 13% dei lavoratori temporanei; (2) lo stesso può dirsi per i soggetti di nuovo ingresso nel Regno Unito; quasi uno su sette lavoratori tramite agenzia è arrivato nel Regno Unito dal 2004 e quasi il 5% della forza lavoro occupata tramite agenzia deriva da Stati membri entrati in Europa nel 2004; (3) i due terzi del lavoro tramite agenzia riguarda occupazioni impiegatizie, semi qualificate o non qualificate; (4) la durata media è di 4,5 mesi, e circa il 73% dei casi è caratterizzato da una durata minore di un anno; (5) v’è un gap retributivo orario del 10% rispetto ai lavoratori stabili (che guadagnano di più); (6) la percentuale dei lavoratori tramite agenzia che hanno ricevuto formazione nelle ultime 4 settimane è solo del 9%. In termini di vulnerabilità percepita, lo studio afferma che Agency workers clearly experience the greatest anxiety about all cases of mistreatment, with around one third very anxious about arbitrary dismissal, discrimination and victimisation by management. These findings reinforce the casework evidence highlighting the position of vulnerable agency workers. They also signal the problems created by ambiguity over current employment rights and employment status currently facing agency workers, the very conditions which allow for such vulnerability [122]. Il documento sui lavoratori tramite agenzia e sulle loro condizioni di salute e sicurezza della Recruitment and Employment Confederation. La Recruitment and Employment Confederation (REC) è un’organizzazione sindacale datoriale del settore industriale. Vanta 5.500 membri individuali e 7.800 componenti societari. Il documento123 oggetto del presente paragrafo conclude affermando che […] the position of temporary agency workers’ health and safety is well protected under the law […] [124]. La REC ha un codice di buone pratiche composto di 10 principi. Il principio n. 5, intitolato Respect for Safety, stabilisce che a. Members will act diligently in assessing risks to work seekers and clients and will not knowingly put at risk candidates, clients or others. b. Members will inform work seekers whenever they have reason to believe that an engagement may cause a risk to health and safety [125]. OECD Employment Outlook, 2006, cap. 5. C. Forde, G. Slater, F. Green, Agency working in the UK: What do we know?, Centre for Employment Relations Innovation and Change, Leeds University Business School, Policy Report, 2008, n. 2. 122 Ibidem: «I lavoratori tramite agenzia sono preoccupati principalmente dei maltrattamenti, con circa un terzo angosciato dal timore di licenziamento illegittimo discriminazioni e vittimizzazioni da parte del management. Ciò conferma i dati che evidenziano la vulnerabilità dei lavoratori somministrati. Ciò inoltre evidenzia i problemi derivanti dall’ambiguità circa la fruizione dei diritti di lavoratore e sullo status posseduto, che debbono affrontare queste categorie di prestatori» (traduzione nostra). 123 Recruitment and Employment Confederation (REC), Temporary Agency Workers & Their Health & Safety, 2006, in www.rec.uk.com/filegrab/?ref=26&f=H&SResponseBrandedOct06.pdf. 124 Ibidem: «[…] la salute e la sicurezza dei lavoratori temporanei tramite agenzia gode di discreta protezione da parte della legislazione […]» (traduzione nostra). 120 121 84 L’art. 18 delle Conduct of Employment Agencies and Employment Businesses Regulations (regolamentazioni in materia di condotta delle agenzie per il lavoro) si occupa delle informazioni che l’agenzia deve ottenere dall’impresa cliente. Sono comprese quelle relative (cfr. art. 18 (c)) a the position which the hirer seeks to fill, including the type of work a work-seeker in that position would be required to do, the location at which and the hours during which he would be required to work and any risks to health or safety known to the hirer and what steps the hirer has taken to prevent or control such risks [126]. L’art. 20 (a) (b) stabilisce che (1) Neither an agency nor an employment business may introduce or supply a work-seeker to a hirer unless the agency or employment business has – (a) taken all such steps, as are reasonably practicable, to ensure that the work-seeker and the hirer are each aware of any requirements imposed by law, or by any professional body, which must be satisfied by the hirer or the work-seeker to enable the work-seeker to work for the hirer in the position which the hirer seeks to fill; and (b) without prejudice to any of its duties under any enactment or rule of law in relation to health and safety at work, made all such enquiries, as are reasonably practicable, to ensure that it would not be detrimental to the interests of the work-seeker or the hirer for the work-seeker to work for the hirer in the position which the hirer seeks to fill [127]. Guida per i datori. Il Governo ha predisposto una guida128 per i datori relativa alla salute e sicurezza dei lavoratori somministrati. Essa sottolinea che i datori e le aziende che utilizzano i lavoratori tramite agenzia condividono l’obbligo di proteggere la loro salute e sicurezza. Ciò copre anche la necessità di condurre la valutazione dei rischi, ciò che impone di valutare ogni specifica questione legata al lavoro tramite agenzia, come per esempio una minore conoscenza del lavoro e del linguaggio, e l’agenzia ha la responsabilità di verificare che tale valutazione sia stata effettivamente condotta. La guida poi si occupa di valorizzare la cooperazione fra lavoratori, fra impresa cliente e agenzia, e delle responsabilità relative alla informazione e formazione sui temi della salute e sicurezza; nonché di assicurare che il personale somministrato goda della stessa protezione della forza lavoro stabile; infine, di monitorare la salute e sicurezza dei lavoratori somministrati e di controllare il loro orario di lavoro. Lavoro a tempo determinato. Ibidem: «a. I membri saranno accurati nel valutare i rischi relativi a coloro che sono in cerca di un lavoro ed ai clienti, e non metteranno a repentaglio consapevolmente candidati, clienti, o altri. b. I membri informeranno i candidati ogni qualvolta abbiano ragione di credere che una certa occupazione possa determinare rischi per a salute o la sicurezza» (traduzione nostra). 126 The Conduct of Employment Agencies and Employment Businesses Regulations, SI 2003/3319, art. 18 (c), in http://www.opsi.gov.uk/si/si2003/20033319.htm, «la posizione che si vuole coprire, incluso il tipo di lavoro che il candidato dovrebbe svolgere, il luogo e l’orario della prestazione, nonché ogni rischio per la salute e sicurezza conosciuto dal datore e tutti i mezzi adottati per prevenire o controllare detto rischio» (traduzione nostra). 127 Ivi, art. 20 (a) (b): «(1) Né un’agenzia né un’impresa fornitrice di manodopera può presentare o fornire una persona in cerca d’impiego a un datore, tranne nel caso in cui che l’agenzia o l’impresa fornitrice di manodopera: – a)abbia preso tutte le misure, ragionevolmente praticabili, per garantire che la persona in cerca d’impiego e il datore siano a conoscenza di tutti i requisiti imposti dalla legge o da qualsiasi ordine professionale, i quali devono essere soddisfatti da entrambe le parti, per permettere alla persona in cerca d’impiego di lavorare per il datore nella posizione che quest’ultimo mira a coprire; e (b) abbia svolto, senza pregiudizi nei confronti dei suoi doveri e in maniera conforme a qualsiasi decreto o legge relativa alla salute e alla sicurezza sul lavoro, tutti i tipi di indagine, per quanto ragionevolmente praticabile, per garantire che lavorare per il datore nella posizione che quest’ultimo mira a colmare non arreca danno agli interessi della persona in cerca d’impiego o del datore stesso» (traduzione nostra). 128 Visionabile al sito http://www.businesslink.gov.uk. 125 85 La disciplina del lavoro a termine, contenuta nelle Fixed-term Employees (Prevention of Less Favourable Treatment) Regulations129, implementa la direttiva 99/70/CE. Il principio contenuto nell’art. 3 afferma che il lavoratore a termine non deve essere trattato dal datore meno favorevolmente rispetto ad un lavoratore full-time comparabile. L’art. 15 delle Management of Health and Safety at Work Regulations130 afferma che: (1) Every employer shall provide any person whom he has employed under a fixed-term contract of employment with comprehensible information on – (a) any special occupational qualifications or skills required to be held by that employee if he is to carry out his work safely; and (b) any health surveillance required to be provided to that employee by or under any of the relevant statutory provisions, and shall provide the said information before the employee concerned commences his duties. (2) Every employer and every self-employed person shall provide any person employed in an employment business who is to carry out work in his undertaking with comprehensible information on – (a) any special occupational qualifications or skills required to be held by that employee if he is to carry out his work safely; and (b) health surveillance required to be provided to that employee by or under any of the relevant statutory provisions. (3) Every employer and every self-employed person shall ensure that every person carrying on an employment business whose employees are to carry out work in his undertaking is provided with comprehensible information on – (a) any special occupational qualifications or skills required to be held by those employees if they are to carry out their work safely; and (b) the specific features of the jobs to be filled by those employees (in so far as those features are likely to affect their health and safety); and the person carrying on the employment business concerned shall ensure that the information so provided is given to the said employees [131]. Un report dell’Institute for Employment Studies132 ha condotto uno studio dettagliato sulle organizzazioni che non consultano la propria forza lavoro sui problemi legati a salute e sicurezza. Queste organizzazioni tendono ad essere: - piccoli luoghi di lavoro; il 91% conta fra 1 e 10 dipendenti; - nei settori della distribuzione e dell’ospitalità; il 57% sono negozi, hotel, ristoranti, ecc.; - strutturate in un singolo sito, più che in un insieme di unità; - nuove; si tratta nella stragrande maggioranza di realtà con meno di un anno; - più frequentemente nel settore privato che in quello pubblico o volontario; The Fixed-term Employees (Prevention of Less Favourable Treatment) Regulations, SI 2002/2034, in http://www.opsi.gov.uk/si/si2002/20022034.htm. 130 The Management of Health and Safety at Work Regulations, SI 1999/3242. 131 Ivi, art. 15: «(1) Ogni datore fornirà ad ogni persona occupata a termine informazioni comprensibili su – (a) ogni speciale qualificazione o capacità professionale richiesta al lavoratore per svolgere il lavoro in sicurezza; e (b) ogni controllo sulla salute che è richiesto sia fornito al lavoratore dalla legislazione vigente, e dovrà fornire tali informazioni prima che il lavoratore interessato inizi a svolgere l’attività. (2) Ogni datore o lavoratore autonomo dovrà fornire ad ogni soggetto fornito da un’agenzia per l’impiego per svolgere un lavoro nella sua impresa comprensibili informazione su – (a) ogni speciale qualificazione o capacità professionale richiesta al lavoratore per svolgere il lavoro in sicurezza; e (b)ogni controllo sulla salute che è richiesto sia fornito al lavoratore dalla legislazione vigente. (3) Ogni datore o lavoratore autonomo dovrà assicurarsi che chiunque svolga un’attività di fornitura di manodopera o attività di interposizione o di lavoro, con impiego di propri dipendenti presso le sue strutture riceva comprensibili informazioni su – (a) ogni speciale qualificazione o capacità professionale richiesta ai lavoratori per svolgere il lavoro in sicurezza; e (b) le caratteristiche specifiche dei posti di lavoro che questi prestatori debbono coprire (ivi compresa la misura nella quale tali caratteristiche sono in grado di recare pregiudizio alla salute e sicurezza); e il soggetto che svolge l’attività di fornitura o interposizione dovrà assicurare che tali informazioni siano fornite ai lavoratori in questione» (traduzione nostra). 132 Institute for Employment Studies, Workplace Consultation on Health and Safety, Contract Research Report, 2000, n. 268/, Health and Safety Executive, in http://www.hse.gov.uk/research/crr_pdf/2000/crr00268.pdf. 129 86 - non sindacalizzate. Dal Workplace Health and Safety Survey Programme133 è emerso che circa il 61% dei lavoratori ha nel proprio luogo di lavoro un addetto alla salute e sicurezza nominato dal datore, l’11% ne è privo, mentre circa il 19% ha risposto di non sapere o di non esserne sicuro. Più o meno il 27% ha un rappresentante per la sicurezza nominato dall’organizzazione sindacale o da altri soggetti diversi dal datore, il 30% ne è privo, mentre un ulteriore terzo dei lavoratori ha risposto di non essere sicuro o di non sapere. Complessivamente, stando all’inchiesta, il 7,8% dei lavoratori non ha un addetto né un rappresentante per la sicurezza, e il 13% non è sicuro o non sa di averlo. Questa ricerca è significativamente svalutata, ai nostri fini, da una completa assenza di differenziazioni fra le persone intervistate, che sono state selezionate a random. Non c’è alcuna scorporazione dei dati fra chi è stabile, e chi è precario. Infatti il risultato per cui quasi l’8% dei lavoratori non ha addetti alla sicurezza e che il 13% non è certo di averli è allarmante con riferimento proprio ai lavoratori a breve termine, per i quali questa mancanza di supporto sarà senz’altro più incisiva. Il compiacimento del Governo. L’idea del Governo che l’attuale sistema regolatorio sia sufficiente ad includere i lavoratori non standard emerge chiaramente dalle repliche alle domande poste al Ministro da un membro della Camera dei Comuni: Paul Rowen: To ask the Secretary of State for Work and Pensions what steps he has taken to ensure all temporary and agency workers are incorporated into the legal framework of health and safety. Mrs. McGuire [134]: Temporary and agency workers have been protected by the Health and Safety at Work ecc. Act 1974 since it came into force, and by relevant statutory provisions made under the Act since then, including in particular sections of the Management of Health and Safety at Work Regulations 1999 applying specifically to workers in these categories. The Health and Safety Executive enforces the legislation in respect of this group in the same way as to any other group, as set out in its enforcement policy statement [135]. Stando a ciò, i lavoratori temporanei e tramite agenzia non richiederebbero alcuna misura speciale per la loro protezione sul fronte salute e sicurezza. In ogni caso, come dimostra la risposta alla seguente domanda, non vi sono alcune statistiche su cui basare tale assunto: Paul Rowen: To ask the Secretary of State for Work and Pensions what the rate of accidents among (a) temporary, (b) short-term, (c) low-qualified and (d) permanent workers were in each year since 1997. Mrs. McGuire: Figures from the labour force survey (LFS) for the three-year period 2003-04 to 2005-06 indicate that the average rate of reportable accidents for all workers (which includes temporary, short-term and permanent workers) is 1,090 per 100,000 workers. The figure for workers in occupations requiring few or no qualifications is 2,070 per 100,000 workers. The structure of questions in the LFS does not allow reliable comparison of separate accident rates for temporary, short-term and permanent workers. The J.T. Hodgson, J.R. Jones, S.D. Clarke, A.J. Blackburn, S. Webster, C.S. Huxtable, S. Wilkinson, Workplace Health and Safety Survey Programme: 2005 Worker Survey First Findings Report, Health and Safety Executive, 2005, in http://www.hse.gov.uk/statistics/pdf/whassw1.pdf. 134 Mrs. Anne McGuire, membro del Parlamento, afferisce, sotto il Segretariato di Stato, al Department for Work and Pensions ed è altresì il Ministro di riferimento per i disabili. 135 HC Column 2600W, 5 marzo 2008: «Paul Rowen: Quali misure sono state adottate per assicurare a tutti i lavoratori temporanei e tramite agenzia di essere ricompresi nella cornice legale relativa al sistema di salute e sicurezza? Mrs. McGuire: I lavoratori temporanei e tramite agenzia sono stati protetti dall’Health and Safety at Work Act del 1974 da quando è entrato in vigore, nonché da rilevanti previsioni normative emanate in forza della medesima legge, incluse in particolare alcune Sezioni delle Management of Health and Safety at Work Regulations del 1999 che si applicano specificamente ai lavoratori di queste categorie. L’HSE applica la legislazione nel rispetto di tali categorie, così come delle altre, come disposto nelle proprie dichiarazioni programmatiche relative alle politiche di attuazione delle leggi» (traduzione nostra). 133 87 aforementioned rates quoted are not available for each year requested without incurring disproportionate cost [136]. I capimastro. I capimastro prevalentemente operano nell’industria agricola per fornire manodopera, spesso avvalendosi di migranti. Fino a poco tempo fa tale attività non era del tutto regolata e si registravano molti abusi. Si veda, ad esempio, il seguente report, Nowhere to turn – CAB evidence on the exploitation of migrant workers137 (CAB sta per Citizens Advice Bureau). Adesso la normativa di riferimento è il Gangmasters (Licensing) Act del 2004, che contiene la regolamentazione delle licenze per lo svolgimento delle attività per la fornitura di lavoratori per opere agricole, per la raccolta dei molluschi, per la lavorazione o il confezionamento di prodotti agricoli o ittici. Viene istituita la Gangmasters Licensing Authority, che attribuisce le licenze e controlla le attività di soggetti che svolgono funzioni di caposquadra. Non è possibile operare senza una licenza rilasciata dall’Authority. Vi sono sanzioni per chi svolge attività senza licenza o con falsificazione di documenti, con possibilità di reclusione fino a 12 mesi. Parimenti non si può consapevolmente affidarsi ad un soggetto che non possegga regolare licenza, pena la possibilità di reclusione fino a 51 settimane. La legge consente altresì al ministro di riferimento di nominare ispettori ad hoc che controllino il possesso delle licenze, con ampi poteri di verifica e raccolta di informazione. Si prevede poi una serie di sanzioni, compresa la reclusione, per le attività di ostacolo alle indagini in questione. Per un report completo sulle attività dei capimastro, si veda il Fourteenth Report, 2002-2003, della House of Commons138. II.6.6 Il lavoro precario nell’industria “pericolosa”. Ci sono almeno due settori industriali in cui il rischio di lesioni personali è sempre stato alto, e peraltro essi attraggono proprio coloro che, per circostanze personali o contrattuali, sono da ritenersi vulnerabili. Si tratta del settore agricolo (solitamente classificato assieme a quello della caccia, forestale, e della pesca139), e di quello delle costruzioni. L’agricoltura coinvolge i minori, i lavoratori temporanei, le piccole ditte, i lavoratori tramite agenzia ed i migranti; in alcuni casi questi ultimi sono occupati nelle fabbriche di lavorazione o vicino all’azienda agricola, e poiché non sono propriamente occupati in “agricoltura”, non vengono inclusi nelle statistiche relative agli infortuni di tale settore. L’edilizia, ed il settore della manutenzione degli immobili, nonostante non impieghi minori, solitamente attrae le stesse tipologie di lavoratori del settore agricolo. Le statistiche di cui sotto sono state pubblicate dall’HSE sulla base degli infortuni registrati per l’anno 2006/2007. Deve tuttavia tenersi presente che è stato stimato che solo il 50% degli incidenti registrabili viene effettivamente denunciato140. HC Column 2599, 5 marzo 2008: «Paul Rowen: Qual è il tasso di infortuni che in ciascun anno dal 1997 ad oggi ha riguardato (a) i lavoratori temporanei, (b) i lavoratori a breve termine, (c) i lavoratori con basse qualifiche e (d) i lavoratori stabili? Mrs. McGuire: I dati che emergono dalla Labour force survey (LFS) per il triennio che va dal 2003 al 2006 indicano che la media degli infortuni registrati per tutti i lavoratori (inclusi temporanei, a breve termine e permanenti) è di 1.090 ogni 100 mila. Il dato relativo a soggetti occupati in lavori per cui è richiesta poca o nessuna qualificazione è 2.070 ogni 100 mila. La struttura delle domande poste dalla LFS non permette di comparare i diversi tassi relativi ai lavoratori temporanei, a breve termine e permanenti. I dati sopra menzionati non sono scorporabili per ciascun anno senza costi sproporzionati» (traduzione nostra). 137 In http://www.citizensadvice.org.uk/nowhere-to-turn.pdf. 138 In http://www.publications.parliament.uk/pa/cm200203/cmselect/cmenvfru/691/69102.htm, 691. 139 Esclusa la pesca in acque profonde. 140 Si veda anche HSC, Health and safety statistics 2006/07, in http://www.hse.gov.uk/statistics/overall/hssh0607.pdf. Il 29 aprile 2008 Farmers Weekly ha citato il dato di 8,1 morti ogni 100 mila lavoratori, rilevando che si tratta di un numero 136 88 Settore industriale Lavoratori dipendenti Lavoratori autonomi Incidenti mortali Infortuni Incidenti mortali ogni 100.000 Infortuni ogni 100.000 Incidenti mortali Infortuni Agricoltura 14 1.292 6,1 565,0 20 85 Energia, materie prime, ecc.* 10 1.737 6,4 1.109,4 0 15 Manifatturiero 34 26.795 1,2 925,5 1 183 Costruzioni 50 10.869 4,0 865,3 27 1495 Servizi 77 100.842 0,4 461 8 600 Totale 185 141.535 0,7 535,9 56 2.378 *Incluse le industrie di estrazione. La Labour Force Survey si basa sulle autodichiarazioni e per l’anno 2006/2007, per il settore industriale, rileva i dati di seguito esposti (ogni 100 mila lavoratori nei precedenti 12 mesi). Industria Malattie lavoro-correlate Infortuni sul lavoro Agricoltura 5.010 1.960 Costruzioni 3.870 1.580 Costruzioni. Quello delle costruzioni è il settore con il più elevato numero di incidenti fatali. Ci sono state 77 morti nel 2006/2007, a fronte di 20 nel settore agricolo, ma è da dire che vi sono molti più lavoratori in edilizia rispetto a quest’ultimo ambito industriale, ce comunque ha il più alto tasso di decessi ogni 100 mila abitanti, il 6,1%, se comparato con il 4% dell’edilizia. Quello edile è il settore più consistente dello Stato, con 2,2 milioni di lavoratori. Negli ultimi 25 anni più di 2.800 persone sono morte in conseguenza di lesioni riportate lavorando in edilizia141. In una dichiarazione del 2008, in risposta al report del TUC sui lavoratori vulnerabili (si veda sopra), l’UCATT142, un sindacato dell’industria edile, ha stimato che in tale settore, nel Regno Unito, operano circa 350 mila migranti. In riscontro a ciò, ha citato le affermazioni del Governo polacco, a detta del quale, dopo l’ingresso in Europa, 250 mila lavoratori qualificati delle costruzioni hanno lasciato la Polonia, e la stragrande maggioranza si è diretta verso il Regno Unito. La dichiarazione UCATT prosegue così: The casualised nature of the construction industry has made migrant workers particularly vulnerable to major exploitation in the workplace. Many migrant workers have been promised rates of pay above £10 an hour, but are then on arrival forced to accept wages of £6 an hour. The lack of support networks and having borrowed money for the journey means that they have little option but to accept the work offered. UCATT has developed substantial case history of how migrant workers suffer further exploitation. They are charged excessive deductions for travel, accommodation (hot bedding), payroll charges and charges for personal protective equipment (which is illegal). On many occasions when migrant workers leave a job, their final pay packet is withheld. We have also experienced cases of migrant workers having their return tickets and or passports withheld. quasi 8 volte superiore a ciò che avviene nel settore manifatturiero, nel quale le morti ammontano a 1,1 ogni 100 mila. 141 Molte delle informazioni sono state tratte dal sito web dell’HSE, http://www.hse.gov.uk/construction/index.htm. 142 Cfr. www.ucatt.org.uk. 89 Most worryingly UCATT officials have reported that many migrant workers experience a real or implied threat of violence if they do not accept the pay and working condition imposed on them [143]. Capimastro in agricoltura e nelle costruzioni. Il parlamentare Mr. Jim Sheridan, nell’introdurre alla Camera dei Comuni una misura volta ad estendere il Gangmasters Licensing Act144 all’industria delle costruzioni, ha affermato: Sadly, UK construction has a darker side, where vulnerable workers are ripped off by unscrupulous labour providers, health and safety law is ignored by dodgy employers, and the lives of innocent, hard-working people are lost through criminal, but too often unpunished, negligence [145]. Egli ha poi fornito esempi del perché l’edilizia necessiterebbe di ulteriore regolazione, con particolare riferimento ai temi della salute e sicurezza: Construction workers are being forced to operate under bogus self-employed status so that their employers can avoid their tax and national insurance responsibilities. They are being redesignated as security staff so that they can sleep on site at night. They are being brought in from the EU and sent on to sites without the training or the language skills to understand health and safety warnings. Pay is plummeting as rogue employers force wages below the going rates. Fly-by-night gangmasters are driving down costs and putting legitimate labour providers out of business. Worst of all, health and safety laws are being broken to such an extent that deaths in construction rose by a staggering 25 per cent. last year. In fact, things are now so dangerous that construction workers are seven times more likely to die at work than workers in any other industry. With the greatest respect to our emergency services and our armed forces, whenever there is a death in any of those professions there is widespread reporting by the press and media. However, when construction workers lose their lives it goes largely unreported [146]. La sezione del sito HSE relativa all’edilizia riporta: Falls continue to be the biggest cause of fatal injury in Britain’s workplaces, with 23 of the 77 worker deaths in construction in 2006/07(p) resulting from a fall from height. On top of this, over 4,000 major injuries such as broken bones or fractured skulls are reported to HSE each year by the construction industry. Over half of 143 UCATT, UCATT’s Response to TUC Commission on Vulnerable Employment, in http://www.vulnerableworkers.org.uk/wpcontent/uploads/2008/05/ucatt.doc: «L’approccio disinvolto dell’industria delle costruzioni rende i migranti soggetti al più grave sfruttamento sul posto di lavoro. Molti migranti si vedono promettere paghe superiori a 10 sterline l’ora, ma poi sono costretti ad accettarne 6. La mancanza di reti di supporto e il fatto che spesso essi si trovano indebitati per aver chiesto in prestito il denaro per il viaggio, non lasciano loro scelta. L’UCATT ha riscontrato nella propria casistica ulteriori ragioni di sfruttamento. I migranti subiscono deduzioni eccessive per il viaggio, per l’alloggio, per l’assunzione e per i dispositivi di protezione personali (cosa peraltro illegittima). Molto spesso quando i migranti lasciano il posto di lavoro v’è un’indebita trattenuta delle spettanze di fine rapporto. Ci sono stati casi di sequestro del biglietto per il viaggio di ritorno o del passaporto e di violenza fisica o morale verso migranti che non volevano accettare le condizioni loro imposte» (traduzione nostra) 144 In http://www.opsi.gov.uk/acts/acts2004/pdf/ukpga_20040011_en.pdf. 145 Cfr. Hansard HC Column 779, 13 giugno 2007, in http://www.publications.parliament.uk/pa/cm200607/cmhansrd/cm070613/debtext/70613-0006.htm: «Purtroppo, l’edilizia nel Regno Unito ha un lato oscuro, a causa del quale i lavoratori vulnerabili sono sfruttati da fornitori di manodopera senza scrupoli, la salute e la sicurezza sono ignorate da alcuni datori e le vite di innocenti ed instancabili lavoratori vengono perse a causa di una negligenza criminale, troppo spesso impunita» (traduzione nostra). 146 Ivi: «I lavoratori edili sono costretti ad operare come falsi autonomi, cosicché i datori possano evitare le tasse e le responsabilità assicurative. Sono qualificati come security staff, cosicché possano dormire nei cantieri durante la notte. Spesso vengono da paesi dell’Europa e portati nei cantieri senza la formazione e la conoscenza della lingua necessarie per capire le avvertenze in tema di salute e sicurezza. La paga è al di sotto dei tassi correnti. V’è una corsa al ribasso dei costi da parte dei capimastro spregiudicati che mette fuori mercato i fornitori di manodopera che operano legalmente. Le leggi in materia di salute e sicurezza sono a tal punto violate che le morti nel settore edile sono cresciute del 25 per cento lo scorso anno. Il settore è così pericoloso che i relativi lavoratori hanno 7 volte più probabilità di morire sul lavoro che in altre industrie. Con tutto il rispetto per i nostri servizi di emergenza, o per le forze armate, è da notare che, mentre se v’è un decesso in queste professioni, i media se ne occupano ampiamente, molte morti dell’edilizia non vengono minimamente riportate» (traduzione nostra). 90 these serious injuries involve falls from height or from tripping over materials on walkways and are easily preventable [147]. Agricoltura. L’alta incidenza di infortuni fatali in agricoltura è stata tradizionalmente associata alle interrelazioni fra famiglia e vita lavorativa148. Nel passato l’azienda agricola era di proprietà del fattore e lui e la famiglia vivevano direttamente sul posto. Oggi il settore è composto da grandi fattorie possedute da grandi società, ma è possibile che il luogo sia ancora abitato dal gestore e dalla propria famiglia. Ne deriva che una grossa percentuale di infortuni riguarda i minori. L’HSE ha prodotto un opuscolo149 per i lavoratori dell’agricoltura del Regno Unito. È limitato nei dettagli e i suoi consigli su cosa i datori dovrebbero fare in relazione all’informazione ed alla formazione sono circoscritti a: • Give you the information, instruction and training you need to work safely and make sure you have understood it. • Make sure you can understand any safety signs in your workplace. • Make sure you can always speak to an experienced supervisor and that you can understand each other [150]. Quella degli abusi nel settore agricolo è stata una delle maggiori preoccupazioni della Gangmasters Licensing Authority, istituita dal Gangmasters Licensing Act del 2004, il cui sito internet contiene utili informazioni151. Similitudini con gli infortuni in edilizia. È interessante che quanto registrato dall’HSE mostri che molte delle cause di lesioni personali in agricoltura siano simili a quelle che si verificano nell’edilizia, e infatti in molti casi derivano da attività di costruzione in siti agricoli. Le più consistenti cause di infortuni fatali nel settore derivano da mezzi di trasporto, o sono comunque legate ad operazioni di trasporto, seguite dalle cadute dall’alto. Le fattorie, le foreste e l’orticoltura occupano l’1% della forza lavoro nazionale, ma continuano a registrarsi, proprio in tali ambiti, più del 13% delle cadute fatali. Molte riguardano attività di ristrutturazione o alterazione di edifici, e alcuni lavori di questa natura possono coinvolgere prestatori ingaggiati sui luoghi per svolgere questi particolari opere. Altre ragioni comuni, analizzate nella casistica contenuta nel sito web HSE riguardano contatti con macchinari o con cavi sospesi della tensione. A parte l’altissimo livello di infortuni che coinvolgono minori in agricoltura, ci sono rilevanti somiglianze fra incidenti in questo settore ed in quello edile: entrambi includono la manutenzione di immobili e, in una certa misura, entrambi usano l’appalto per svolgere alcuni lavori. Cfr. http://www.hse.gov.uk/construction/tripsandfalls/, al paragrafo Reducing falls and trips is a priority: «Le cadute continuano ad essere le maggiori cause di lesioni fatali, essendo state (in particolare le cadute dall’alto) in 23 casi su 77 delle morti avvenute nel settore delle costruzioni nel 2006/2007, la ragione del decesso. Più di 4.000 fra i più gravi infortuni, come quelli relativi a fratture ossee o del cranio, vengono riportati ogni anno nel settore edile. Più della metà avvengono cadendo dall’alto o inciampando nei materiali che si trovano sui cantieri, e sarebbero facilmente prevenibili» (traduzione nostra). 148 Le informazioni sul settore agricolo derivano principalmente dal sito web dell’HSE, http://www.hse.gov.uk/agriculture/index.htm. 149 Health and Safety Executive, Working in the UK from overseas? Your health and safety at work in agriculture and food processing, in http://www.hse.gov.uk/pubns/indg410.pdf. 150 Ivi: «– dare informazioni, istruzioni e la formazione necessaria per lavorare in sicurezza e assicurarsi che esse siano state comprese; – assicurarsi che i segnali di sicurezza posti sul luogo di lavoro possano essere capiti;– assicurarsi che sia sempre possibile per il lavoratore parlare ad un superiore con esperienza e che ciascuno possa comprendere l’altro» (traduzione nostra). 151 Cfr. www.gla.org.uk. 147 91 Uso degli appalti. Descrivendo il sistema regolatorio in questo report, è stato notato che un’importante innovazione dell’Health and Safety at Work Act del 1974 è stata la definizione di un obbligo generale per i datori descritto nella Sezione 3, che impone di avere cura della sicurezza di coloro che, pur non essendo alle loro dipendenze, possono essere messi a rischio dalla loro condotta, o comunque nel corso dello svolgimento dell’attività della loro impresa. La Sezione 3 ha riguardato incidenti occorsi quando due organizzazioni si sono trovate a lavorare in prossimità ristretta o quando i lavoratori di un’organizzazione hanno visitato il cantiere di un’altra, avendo un’impresa commissionato all’altra delle opere. Molti casi hanno riguardato lavori di costruzione o ristrutturazione. Il caso Swan Hunter ha riguardato la responsabilità di un cantiere navale verso i suoi dipendenti e quelli di un’altra impresa che si trovavano sul sito per lavori di saldatura di una nave in corso di costruzione152. Vi sono significativi casi di responsabilità di grandi organizzazioni verso prestatori che non erano alle loro dipendenze, ma che si trovavano nei loro stabili. Per esempio, nel caso R v. Associated Octel Ltd153 la società resistente, che gestiva un impianto chimico, aveva ingaggiato una piccola ditta appaltatrice di servizi specializzati per la riparazione del rivestimento di una cisterna, nel periodo di chiusura dell’impianto. La società fu ritenuta responsabile per non aver assicurato che il lavoro fosse svolto in ossequio al sistema di permessi obbligatori nelle installazioni più pericolose, come quella. Fu respinto l’argomento che voleva far leva sul fatto che l’attività produttiva non fosse in corso. Molti casi analizzati dimostrano l’impatto sul sistema di sicurezza della debolezza nella catena produttiva, quando il lavoro è appaltato, ed è interessante vedere come non v’è stato un caso relativo a questioni in tema di sicurezza ove il lavoratore coinvolto avesse lo status di subordinato, sebbene in almeno una fattispecie di quelle analizzate uno dei lavoratori esterni era autonomo154. Nel settore delle costruzioni tradizionalmente si ingaggiano sui cantieri lavoratori specializzati come saldatori e carpentieri e mentre talvolta essi dipendono da piccole aziende, più frequentemente sono autonomi. Dunque l’attenzione andrebbe posta sulle grandi organizzazioni che stipulano appalti per questi servizi, e sulla loro responsabilità. II.6.7 Casi pratici. Quanto segue è un tentativo di illustrare i temi relativi al lavoro vulnerabile. 1. Il report del TUC sui lavoratori vulnerabili (Hard Work, Hidden Lives, si veda supra) è affiancato dallo studio della casistica e mostra l’impatto del lavoro vulnerabile sul sistema di salute e sicurezza dei lavoratori che si trovano in tale situazione; sebbene per la maggior parte lo studio riguarda l’impatto del lavoro sullo stile di vita. Orari lunghi, bassa retribuzione, mancanza di sicurezza, alloggi e dieta poveri, rendono questi lavoratori più esposti a malattie fisiche e psichiche. Ma vi sono anche analisi sui temi della salute e sicurezza sul lavoro. Ecco alcuni estratti dalle storie emerse nelle casistiche: Julie – Una lavoratrice madre che confezionava petardi in casa. La colla e gli scoppi improvvisi potevano mettere a rischio la sua sicurezza, e nonostante ciò ella non aveva ricevuto alcun tipo di formazione. John – Un ex soldato ingaggiato da un’agenzia come addetto alla pulizia delle strade per conto di un’autorità locale. Ha dovuto pagare per l’equipaggiamento protettivo obbligatorio. Il lavoro non era garantito, e così iniziò un secondo lavoro di nettezza, arrivando così a lavorare più di settanta ore a settimana. Angela – Addetta alle pulizie di ufficio per conto di un’impresa appaltatrice di servizi di pulizia. Non aveva diritto [1981] IRLR 403. [1996] 1WLR 1543. 154 Si veda R v. British Steel. 152 153 92 alla sospensione per malattia e non aveva il permesso di recarsi all’ospedale per curarsi il diabete da cui era affetta. La società violava sistematicamente la normativa di sicurezza che impone di dare informazioni sulla miscela di sostanza chimiche. Victor – Un ex operatore di pace proveniente dalla Bosnia che era stato inviato da un’agenzia ungherese nel Regno Unito per imparare l’inglese. Ad onta di quanto promessogli in Ungheria, è stato costretto a uno stile di vita e a condizioni lavorative sotto gli standard accettabili. Dormiva sul pavimento di un appartamento del tutto spoglio con altre 13 persone. Lavorava in una fabbrica di lavorazione di pollami per 10 ore al giorno per 5 giorni alla settimana. Doveva usare coltelli taglienti, ma nessuno gli aveva impartito la formazione. Gli stivali di sicurezza non erano forniti individualmente, ma ognuno doveva accaparrarseli ogni giorno fra quelli disponibili in un grande contenitore. Fu licenziato non appena si ammalò. Imran – Un’agenzia lo collocò come portinaio presso una grande azienda fornitrice di pubblici servizi. Doveva procurarsi da solo l’uniforme e l’equipaggiamento a tutela della salute e sicurezza. Fu licenziato per essersi lamentato di non aver ricevuto la paga. Magda – Una laureata polacca occupata per le pulizie in un hotel; la pesantezza del lavoro le ha causato problemi alla schiena e ha respirato le esalazioni delle sostanze chimiche usate per pulire bagni senza finestra. Jozef – Un laureato polacco con esperienza di management, arrivato nel Regno Unito per imparare l’inglese. Ha lavorato esposto a container per la refrigerazione aperti, e perciò si è spesso ammalato. Jamal – Un migrante occupato come lavoratore occasionale in edilizia. È stato costretto a lavorare in condizioni pericolose senza accessori protettivi e senza formazione in materia di sicurezza. Non si è mai infortunato, ma ha subito le conseguenze dell’inalazione di polveri e conosce molti lavoratori che hanno avuto incidenti. Marak – Un migrante che ha lavorato per due anni e mezzo per la stessa ditta come imbianchino, eppure è stato qualificato come autonomo. Nessuna fornitura di dispositivi di protezione per salute e sicurezza, o di informazioni e formazione. 2. I pescatori di vongole della Morecambe Bay Questo è un esempio del bisogno di protezione dei lavoratori vulnerabili migranti, inclusi coloro che si trovano illegalmente sul territorio. 23 raccoglitori di vongole sono morti intrappolati dall’alta marea nel febbraio 2004. Erano di origine cinese. Dei 21 corpi ritrovati 18 erano uomini e 3 donne, di circa 30 anni. 20 vittime erano della provincia di Fuji nel Sud-Est della Cina ed uno era del Nord-Est. Tre persone sono state condannate alla reclusione per omicidio colposo. Il portavoce del Crown Prosecution Service (CPS), Duncan Birrell, ha dichiarato: […] Today’s convictions send out a powerful warning that the CPS will aggressively pursue anyone who tries to recruit workers illegally into this country and put them to work with no regard for their safety or welfare [155]. Aggiungendo: It is workers who have no employment rights, no choice about the work they do, no rights to contact the authorities to complain about working conditions – indeed the need to avoid the attention of the authorities because of why they came to be in this country – who can be forced into carrying out hazardous work that nobody else wants to do […] [156]. Il Gangmasters Licensing Act è stato adottato in parte in conseguenza di questo incidente. Esso ha istituito un’autorità con poteri investigativi. Press Release, CPS sends signal to illegal employers after Morecambe Bay convictions, 24 March 2006, in http://www.cps.gov.uk/news/pressreleases/archive/2006/117_06.html: «La condanna odierna sia un avvertimento circa il fatto che il CPS perseguirà instancabilmente chiunque provi a reclutare illegalmente lavoratori in questo paese e li faccia operare senza riguardo per la salute o il benessere» (traduzione nostra). 156 Ivi: «Ci sono lavoratori che non hanno diritti, né scelta su cosa fare. Non hanno possibilità di contattare le autorità per lamentarsi delle condizioni di lavoro – per evitare di attirare l’attenzione sulle loro modalità di ingresso nel paese – e che sono costretti a svolgere lavori che nessun altro vuole fare» (traduzione nostra). 155 93 3. Capimastro non in regola con le leggi sugli alloggi157 Anita Pati. Un significativo numero di capimastro che forniscono lavoratori non ottengono la licenza per le condizioni di alloggio che offrono. I dati della Gangmasters Licensing Authority forniti all’Inside Housing mostrano che 30 degli 87 casi di revoca o diniego di licenza sono avvenuti per inosservanza delle regole sugli alloggi. La legge intende assicurare che gli alloggi forniti ai migranti siano in regola con le regole sulle occupazioni multiple e adeguatamente attrezzati. L’autorità ha revocato 49 licenze, delle quali 15 riguardano alloggi sotto gli standard. La Gangmasters Licensing Authority è stata istituita dopo le 23 morti dei raccoglitori cinesi di vongole nella Morecambe Bay nel 2004. Il capo dei progetti di questa autorità Neil Court disse che la sicurezza e il sovraffollamento sono i primi temi da affrontare. «Molti capimastro affollano gli immobili di immigrati e le autorità locali debbono vigilare perché in questi casi si è soggetti alla legislazione relativa alla House Multiple Occupation». 4. Lavoratori polacchi nel settore edile Da un annuncio riportato sul sito web Employment Law del 18 dicembre 2007, Developer and companies fined £110,000 following HSE prosecution for serious injuries to Polish construction worker158 Compagnie multate di 100 mila sterline a seguito di procedimenti avviati dall’HSE per gravi danni a lavoratori placchi del settore delle costruzioni. Il sig. Vijay Kara, un dirigente dell’Euro’s (London) Ltd e della Gargreen Ltd, è stato multato per una somma di 99.900 sterline e condannato ad un risarcimento di 150 mila sterline per aver violato la Sezione 37 dell’Health and Safety at Work Act del 1974. Il procedimento deriva da quanto accaduto a un lavoratore polacco, Pawel Szczotka, rimasto permanentemente inabile perché travolto dalla caduta di due lastroni di cemento armato, in un cantiere di Brent, Londra. È risultato che egli era giunto nel paese per lavorare, poche settimane prima dell’infortunio e che il lavoro gli era stato affidato nonostante non avesse esperienza; era stato pagato al nero in contanti e non aveva avuto formazione. Entrambe le compagnie furono sanzionate per altre violazioni in materia si salute e sicurezza, ma l’incriminazione del sig. Kara deriva dal fatto che egli aveva il controllo finale dell’operazione, e dunque è stato ritenuto personalmente responsabile per le mancanze relative alla salute e alla sicurezza nelle due aziende. 5. Lavorare in sicurezza nell’industria alimentare multiculturale Northwest Food Alliance, 2004 La guida159 si occupa, fra gli altri problemi, delle difficoltà derivanti dall’utilizzo di forza lavoro di provenienze diverse. L’industria alimentare occupa circa 650 mila persone, molte delle quali provenienti dall’estero, che non sempre parlano o capiscono l’inglese. Essa precisa che l’utilizzatore deve accordarsi con il fornitore di manodopera per la ripartizione delle relative responsabilità. Le parti devono convenire che la formazione in tema di salute e sicurezza venga impartita prima del primo giorno di lavoro, e per ciò che riguarda lavori specifici, ripetuta a intervalli regolari. Devono esservi, per ciascuno di questi elementi, accordi specifici su chi deve fornire la formazione, su quanto tempo essa deve durare, su quando debbano esservi le verifiche sull’apprendimento. Si dovrà fare particolare attenzione a fornire le istruzioni con modalità e linguaggio comprensibili per i lavoratori. L’uso di un linguaggio appropriato è ritenuto indispensabile per la prevenzione dei danni. Le informazioni dovranno essere tradotte o in forma non verbale, se possibile, tali da essere comprese; dovranno essere ingaggiati eventuali interpreti per aiutare i supervisori durante il lavoro, ed identificati quei lavori in cui le difficoltà di linguaggio si traducono in un maggior rischio per chi non parla inglese. 6. Lavoratori temporanei privi di scarpe antiscivolo160 Tratto da Anita Pati, Gangmasters break housing rules, 28 marzo 2008, in http://www.insidehousing.co.uk/story.aspx?storycode=1449958. 158 «Compagnie multate di 100 mila sterline a seguito di procedimenti avviati dall’HSE per gravi danni a lavoratori placchi del settore delle costruzioni» traduzione nostra. Per visionare l’articolo, cfr. http://nds.coi.gov.uk/Content/Detail.asp?ReleaseID=339652&NewsAreaID=2. 159 Northwest Food Alliance, Working safely in a multicultural food and drink industry, in http://www.foodnw.co.uk/downloads/working_safely_in_a_multicultural_food_and_drink_industry.pdf. 160 HSE, Temporary Staff Miss Out on Anti Slip Footwear, in http://www.hse.gov.uk/slips/experience/temp-staff.htm. 157 94 Health and Safety Executive La valutazione dei rischi in un impianto di lavorazione del cibo ha identificato le aree a rischio di sdrucciolo. Una di queste aree era quella in cui si lavorava la gelatina per alcuni prodotti a base di maiale. Ciò, nonostante il pavimento venisse spesso lavato. La compagnia restrinse l’accesso verso quest’area, permettendo solo al personale che indossava una nuova marca di scarpe protettive di entrare. Queste scarpe speciali aderivano meglio al pavimento di quelle usate nel resto della fabbrica. La necessità di personale per coprire il turno di notte determinò il trasferimento di un lavoratore tramite agenzia nella stanza in questione. Sfortunatamente i supervisori non avevano ritenuto necessario fornire le nuove scarpe antiscivolo al personale somministrato. Il lavoratore scivolò colpendo una persona che trasportava un contenitore pieno di gelatina bollente. La gelatina uscì ustionandogli il braccio sinistro. Solo dopo l’incidente furono date istruzioni a manager e supervisori sul fatto che la valutazione dei rischi e la dotazione di dispositivi di sicurezza sono obbligatorie per tutto il personale, anche quello in somministrazione. 7. Sicurezza e lavoratori migranti: una guida pratica per i rappresentanti per la sicurezza TUC, 2007 Il documento161 descrive le azioni che possono essere intraprese, con alcuni esempi pratici: The GMB have set up a migrant workers’ branch in Southampton and are using health and safety to help organising. The feedback they received from workers was that health and safety issues are the ones that the majority feel strongest about. Initially this is likely to take the form of a collective grievance around issues such as: lack of provision of PPE (safety footwear, goggles, glasses and gloves) and charging for it in certain instances; no information, instruction or training around the use of work equipment, e.g. guillotines; no translation provided for instruction and training; slip, trip and fall issues; manual handling issues. They are producing a series of health and safety fact sheets and are running monthly advice sessions at the branch meetings, with particular emphasis on employer responsibilities and employee rights around health and safety [162] In the Meat Hygiene Service (MHS), UNISON has raised concern over the fact that many migrant workers in abattoirs are provided by agencies and have no training, and no specific risk assessments. UNISON asked the MHS to carry out its duty under the Management Regulations to work with the providers of agency meat inspectors (mainly European migrant workers) to jointly assess risks to the directly employed meat inspection workforce and to the migrant agency inspectors. They have concerns that agency workers are being asked to work dangerous shift patterns, thereby placing both these workers and other MHS workers in danger from fatigue and resultant workplace accidents. They have also asked the MHS what contract compliance arrangements exist with the agencies in respect of joint health and safety responsibilities [163]. 8. Attività dei capimastro TUC, Safety & Migrant Workers. A practical guide for safety representatives, June 2007, in http://www.tuc.org.uk/extras/safetymw.pdf. 162 Ivi, 5: «Il sindacato GMB [General, Municipal and Boilermakers] ha istituito in Southampton una sezione “lavoratori migranti”. I feedback ricevuti dai lavoratori mostrano che i settori nei quali questa organizzazione appare più forte sono quelli relativi alla salute e sicurezza. La struttura promuove azioni collettive su temi come la mancanza di dispositivi o abbigliamento di sicurezza, l’indebita richiesta di denaro per la loro fornitura, ed ancora per mancanza di informazione e formazione per l’uso degli strumenti di lavoro; per assenza di traduzione delle istruzioni o della formazione. Essa raccoglie poi testimonianze sulla sicurezza e tiene periodicamente delle sessioni di consulenza presso i meeting delle varie sezioni, con particolare riferimento alla responsabilità dei datori ed ai diritti dei lavoratori sui temi della salute e della sicurezza» (traduzione nostra). 163 Ivi, 7: «All’interno del sindacato UNISON del settore dei servizi di igiene della carne (Meat Hygiene Service, MHS) cresce la preoccupazione sul fatto che molti migranti sono occupati nei mattatoi attraverso le agenzie senza formazione o valutazione dei rischi. L’UNISON ha chiesto al MHS di osservare i doveri che derivano dalle Management Regulations e lavorare con le agenzie che forniscono addetti all’ispezione della carne (prevalentemente migranti provenienti da paesi europei) per verificare congiuntamente i rischi per tali prestatori, sia quelli assunti direttamente, sia quelli occupati tramite agenzia. C’è infatti la preoccupazione che ai lavoratori somministrati sia richiesto di lavorare in turni eccessivi, e dunque pericolosi, e che pertanto, sia loro che gli altri addetti al settore MHS siano esposti a eccessiva fatica e conseguentemente ad infortuni. È stato poi richiesto al MHS quali accordi contrattuali esistano con le agenzie a disciplina della responsabilità solidale in materia di salute e sicurezza» (traduzione nostra). 161 95 Si veda il paragrafo sui capimastro. La Camera dei Comuni ha riportato i dati forniti dal Citizens Advice Bureau (CAB): • • • • A Citizens Advice Bureau (CAB) in Norfolk reported a case of a group of Portuguese nationals who were being paid £3.00 each for cutting 1,000 daffodils after deductions for accommodation and travel. A CAB in Cambridgeshire described workers being housed in partitioned containers with no water supply. The conditions of their contracts included an agreement to repay recruitment costs of up to £100 if they left within six months. A CAB in the Midlands described how a woman from the Ukraine had been recruited by a gangmaster who had charged her £600 for documentation which she had never seen. Her wages were less than the minimum wage. Accommodation was provided in portacabins with one kitchen and one toilet between 18 people. CABx have been approached by workers who are in fear of their gangmasters. Intimidation is also sometimes less direct: workers fear that they will lose both their jobs and their accommodation if they complain. CABx report that EU nationals, particularly those from Portugal, are told by their gangmaster that they are working illegally even though they have a right of freedom of movement throughout the EU. This creates a culture of fear and a reluctance to seek advice [164]. 9. Una compagnia multata di 30 mila sterline dopo che un lavoratore tramite agenzia ha perso un braccio in un infortunio sul lavoro165 The Health and Safety Executive (HSE) has reminded companies of their responsibility to provide a safe working environment following the prosecution of a Cheshire company after a man lost his arm when it became trapped in machinery. Airbags International Limited of Viking Way, Congleton, Cheshire, which manufactures components for vehicle safety airbags was fined £30,000 and ordered to pay £4,500 costs when they appeared at Chester Crown Court sentencing. The company had pleaded guilty at Crewe Magistrates Court to a charge under Section 3 (1) of the Health and Safety at Work etc Act 1974 that it failed to ensure a person not in their employment was not exposed to risks to their health and safety. The court heard that agency worker Oliver Britton was working at the factory on the 3 September 2007 when he was tasked with changing a roll of fabric on a machine. Oliver Britton was holding the fabric in place on the machine in the ‘danger area’ when a colleague started up the machine and Mr Britton’s right arm became trapped. He was taken to hospital with severe injuries including several compound fractures and endured 11 hours of operations before his arm was amputated [166]. Si veda House of Commons, The Gangmasters (Licensing) Bill, Research Paper, 2004, n. 17, in http://www.parliament.uk/commons/lib/research/rp2004/rp04-017.pdf, 15: «– Un Citizens Advice Bureau (CAB) nel Norfolk ha registrato il caso di un gruppo di portoghesi pagati 3 sterline ciascuno per raccogliere 1.000 giunchiglie, al netto delle deduzioni per alloggio e viaggio. – Un CAB nel Cambridgeshire ha descritto lavoratori alloggiati in container senza fornitura d’acqua. Le condizioni contrattuali prevedevano che essi dovessero rimborsare fino a 110 sterline i costi di reclutamento in caso di recesso entro 6 mesi. – Un CAB del Midlands ha registrato il caso di una donna ucraina reclutata da un capomastro che ha richiesto 600 sterline per documenti che ella non ha mai visto. La paga era al disotto del minimo, e l’alloggio era costituito da una cabina con una cucina ed un bagno da dividere con 18 persone. – I CAB sono stati avvicinati da lavoratori intimoriti dai loro capimastro, in maniera spesso indiretta: essi infatti non avanzano lamentele per il timore di perdere contemporaneamente alloggio e lavoro. I CAB hanno poi riscontrato che i capimastro fanno spesso creder e a lavoratori di cittadinanza europea, in particolare portoghesi, che essi stanno lavorando illegalmente, nonostante essi abbiano libertà di circolazione in Europa. Ciò contribuisce ad alimentare la cultura del terrore» (traduzione nostra). 165 Cfr. Press Release, Company fined £30,000 after agency worker loses arm in workplace incident, 30 maggio 2008, in http://www.hse.gov.uk/press/2008/coinw00408.htm. 166 Ivi: «L’HSE ha ricordato alle società il loro dovere di fornire un ambiente di lavoro sicuro in seguito al procedimento avviato contro un’impresa del Cheshire, nella quale un lavoratore ha perso un braccio perché rimasto intrappolato in un macchinario. L’Airbags International Limited di Viking Way, Congleton, nel Cheshire, che produce componenti di airbag di sicurezza per veicoli, è stata multata di 30 mila sterline e costretta a pagare un risarcimento di 4.500 sterline per violazione della Sezione 3 (1) dell’Health and Safety at Work Act del 1974, per non aver fornito protezione ad un soggetto non occupato alle proprie dipendenze. Il lavoratore tramite agenzia Oliver Britton stava lavorando in fabbrica il 3 settembre 2007, quando gli fu richiesto di cambiare un rullo di tessuto in un macchinario. Oliver Britton stava collocando la bobina nella macchina, dunque in un’area a rischio, quando un collega azionò la macchina, e il lavoratore rimase intrappolato nel meccanismo. Riportò seri danni e fratture multiple e subì 11 ore di operazione prima dell’amputazione del braccio» (traduzione nostra). 164 96 II.6.8 Appendice 1: L’implementazione delle normative europee. Nel 2000 l’HSC ha avuto la possibilità di dichiarare: The 1980s and 1990s have been characterised by significant legislative activity, much of which has been driven by the European Union. It is now recognised by many, including our European partners, that the legislative framework is broadly complete [167]. La tabella sottostante dà alcune indicazioni sull’influenza delle direttive europee sulla regolamentazione britannica, anche se occorre ricordare che le normative del Regno Unito non sono sempre state di contenuto coincidente con quello delle direttive. A volte diverse direttive sono state coperte in un certo settore di regolamentazione (ad esempio le regolamentazioni relative al controllo sulle sostanze pericolose ha incorporato i requisiti della direttiva europea di riferimento con riguardo a numerose sostanze) e talvolta l’implementazione delle direttive è avvenuta attraverso diversi e separati atti normativi, come avvenuto per la direttiva sul lavoro dei giovani. In tutti i casi, come già ricordato, è stata una vera sfida trascrivere fedelmente in un sistema di common law le indicazioni UE, coniate da una prospettiva di civil law. La tabella mostra i principali collegamenti fra le normative britanniche e le direttive rilevanti in materia. Direttive comunitarie Normativa britannica rilevante Direttiva-quadro 89/391/CE Direttiva 91/383/CE sui lavoratori temporanei Regolamentazioni della gestione del sistema di salute e sicurezza sul lavoro del 1999, SI 1999/3242 (leggermente modificata con l’intervento del SI 2006/438) Direttiva 92/85/CE sulle lavoratrici in gravidanza Aspetti relativi alla salute e sicurezza introdotti nelle Management of Health and Safety at Work Regulations Direttiva 94/33/CE a tutela del lavoro dei giovani Aspetti relativi alla salute e sicurezza introdotti nelle Management of Health and Safety at Work Regulations Direttiva 90/269/CE in materia di movimentazione manuale di carichi Regolamentazione sulla movimentazione manuale di carichi del 1992, SI 1992/2793 (leggermente modificata dall’intervento del SI 2002/2174) Direttiva 89/654/CE Regolamentazione in materia di salute sicurezza e benessere sui luoghi di lavoro, SI 1992/3004 Direttiva 89/656/CE sull’uso dei dispositivi di protezione individuale Regolamentazione dei dispositivi personali di protezione sui luoghi di lavoro del 1992, SI 1992/2966 Direttiva sull’uso di videoterminali 90/270/CE Regolamentazioni in tema di salute e sicurezza (Videoterminali) del 1992, SI 1992/2792 Direttiva 83/477/CE per la protezione dei lavoratori dall’amianto come modificata dalla Direttiva 2003/18/CE Regolamentazioni per il controllo sull’amianto del 2006, SI 2006/2739 (in sostituzione di quelle del 2002, di quelle sulle licenze in materia di amianto del 1983, e di divieti sempre in materia di amianto del 1992) Queste regolamentazioni dell’ordinamento britannico sono frequentemente aggiornate per implementare le varie direttive. Nel giugno 2007 l’UE ha pubblicato una bozza di regolamentazione basata sulla proposta di armonizzazione globale delle Nazioni Unite Regolamentazioni del settore chimico (Informazioni sui pericoli e sul confezionamento delle forniture) del 2002, SI 2002/1689 (modificate dall’intervento del SI 2005/2571) Direttiva 94/33/CE sui giovani lavoratori Regolamentazione in materia di tutela del lavoro minorile del 1998, SI 1998/276 167 Department for the Environment, Transport and the Regions, Revitalising Health and Safety. Strategy Statement, United Kingdom, June 2000, in http://www.hse.gov.uk/revitalising/strategy.pdf, 17, punto 36: «Gli anni ‘80 e ‘90 sono stati caratterizzati da una significativa attività legislativa, molta della quale indotta dall’UE. Ora è riconosciuto da molti, compresi partner europei, che la cornice legislativa è largamente completata» (traduzione nostra). 97 Direttiva 92/57/CE Regolamentazione per il settore delle costruzioni (Design & Management) del 2007, SI 2007/320, e regolamentazione del lavoro in altezza del 2005 Direttiva 98/24/CE sulla protezione dall’esposizione ad agenti chimici Regolamentazione sul controllo dell’uso del piombo sul lavoro del 2002, SI 2002/2676 (a parziale implementazione della direttiva, che copre ulteriori sostanze) Direttiva Seveso 96/82/CE e 2003/105/ED Disciplina per il controllo sugli infortuni gravi 1999 SI 1999/743 (modificata dall’intervento 2005/1088) Direttiva 2003/10/ECF in materia di rumore Disciplina del controllo dei rumori nei luoghi di lavoro del 2005, SI 2005/1643 Normativa britannica in costante aggiornamento l’adeguamento a numerose direttive comunitarie per Disciplina sul controllo delle sostanze pericolose per la salute del 2002, SI 2002/2677 CD 2004/44/CE Disciplina del controllo sulle vibrazioni nei luoghi di lavoro del 2005, SI 2005/1093 Libertà di accesso alle informazioni in materia di ambiente 90/313/CEE Disciplina delle informazioni ambientali del 1992, SI 1992/3240 Svariate direttive relative alla prevenzione degli incendi Ordine di riforma della disciplina antincendio del 2005, SI 2005/1541 Direttiva 92/58/CEE sui segnali di sicurezza Disciplina in materia di avvisi e segnali in tema di salute e sicurezza del 1996, SI 1996/341 Direttive Euratom sulle radiazioni ionizzanti: 96/29/EC Euratom; 90/641 Euratom; 97/43/Euratom Disciplina delle radiazioni ionizzanti del 1999, SI 1999/3232 Standard minimi di salute e sicurezza per l’utilizzo dell’equipaggiamento da lavoro 89/655/CE Disciplina delle operazioni di sollevamento e relativi dispositivi del 1998, SI 1998/2307 (modificata dall’intervento del SI 2002/2174) a parziale implementazione della direttiva Direttive CE 93/67; 92/32; 93/90 Disciplina sulla notificazione di nuove sostanze del 1993, SI 1993/3050 Direttiva macchine 89/292/CEE, e ss.mm. + 95/16/CE, implementazione nel 2009 Disciplina della fornitura di macchinari (Sicurezza) del 1992, SI 1992/3073 (modificata dall0intervento del SI 2005/831 e del SI 2008/1597) Direttiva del Consiglio 93/104 (ora 2003/88/CE)+ 94/33 (Giovani lavoratori) + 2000/34/CE + Direttiva del Consiglio 2000/79 (aviazione) Direttiva in materia di orario di lavoro del personal di guida dal 23/3/05 + Regolamentazione per i neo dottori dal 1/8/04 Disciplina dell’orario di lavoro del 1998, SI 1998/1833 (modificata dall’intervento del SI 2003/1684 e del SI 2001/3256) Direttiva del Consiglio 2001/45/CE sull’equipaggiamento da lavoro per i casi di lavoro in altezza Regolamentazione del lavoro in altezza del 2005, SI 2005/735 (modificata dall’intervento del SI 2007/114) II.6.8 Appendice 2: Indirizzi internet utili UK Border Agency www.ukba.homeoffice.gov.uk Business Link www.businesslink.gov.uk Citizens Advice Bureau www.citizensadvice.org.uk Confederation of British Industry www.cbi.org.uk BERR – Department for Business Enterprise & Regulatory Reform www.berr.gov.uk Equality and Human Rights Commission www.equalityhumanrights.com 98 Hazards Magazine www.hazards.org Health and Safety Executive www.hse.gov.uk Recruitment & Employment Confederation www.rec.uk.com TUC – Trades Union Congress www.tuc.org.uk TUC Commission on Vulnerable Workers www.vulnerableworkers.org.uk 99 II.7. Focus: il caso francese. II.7.1 Introduzione. Il presente contributo intende delineare i principali tratti del sistema francese di salute e sicurezza sul lavoro e di prevenzione dei rischi professionali, concentrandosi in particolare sulle norme e misure che prendono in considerazione l’impatto delle nuove forme di organizzazione del lavoro e delle nuove tipologie contrattuali sulla salute e sicurezza dei lavoratori. A tal fine, il contributo è organizzato come segue: i §§ II.7.2 e II.7.3 tratteggiano il quadro normativo e gli attori coinvolti nella definizione ed applicazione delle politiche di sicurezza sul lavoro; il § II.7.4 presenta il piano pluriennale (il Plan de Santé au Travail 2005-2009) adottato all’inizio del 2005 con l’obiettivo di inaugurare un nuovo approccio alla tematica della salute e sicurezza sul lavoro; il § II.7.5, infine, si sofferma sulla protezione dei lavoratori temporanei e sull’accordo interprofessionale del 2002, come caso esemplificativo della protezione dai “nuovi rischi”. II.7.2 Il quadro normativo e l’implementazione delle direttive comunitarie. Il sistema francese di salute e sicurezza sul lavoro e di prevenzione dei rischi professionali è disciplinato dalla quarta sezione (Santé et securité au travail) del Codice del Lavoro. Essa si articola in otto libri: disposizioni generali; disposizioni applicabili ai luoghi di lavoro; attrezzature professionali e mezzi di protezione; prevenzione di alcuni rischi di esposizione (rischi chimici, rischi biologici, rischi di esposizione al rumore, rischi di esposizione alle vibrazioni meccaniche, rischi di esposizione alle radiazioni ionizzanti, rischi in ambiente iperbarico); prevenzione di rischi legati a determinate attività o operazioni (lavori realizzati in uno stabilimento da parte di un’impresa esterna, impianti nucleari di base ed impianti suscettibili di dare luogo a servigi di utilità pubblica, costruzione e genio civile, altre attività e operazioni); istituzioni ed organismi di prevenzione; controlli e sanzioni; disposizioni relative ai territori di oltremare. Tale sezione è stata ripetutamente integrata e modificata per ottemperare alle numerose direttive comunitarie adottate in materia di salute e sicurezza sul lavoro1. A partire dagli anni Settanta, infatti, prendono forza in Europa due nuovi concetti: il miglioramento delle condizioni di lavoro e la promozione della sicurezza. Concetti che trovano riscontro nelle numerose direttive adottate a livello europeo dalla fine degli anni Settanta e con sempre maggiore frequenza dalla fine degli anni Ottanta. Il punto di partenza di questa intensificazione del processo normativo può essere considerata la direttiva quadro 89/391/CE del 12 giugno 1989. Essa stabilisce i principi per l’introduzione di misure volte a promuovere il miglioramento della salute e sicurezza dei lavoratori e fornisce un Poiché in questo contributo ci concentriamo sulle disposizioni normative e sulle direttive comunitarie che prendono in considerazione i “nuovi rischi”, non ci soffermeremo sulla implementazione di tutte le direttive comunitarie in materia di salute e sicurezza. Si tenga comunque presente che: • in materia di radiazioni ionizzanti, le direttive 90/641/Euratom, 96/29/Euratom e 97/43/Euratom sono state trasposte con l’ordinanza del 28 marzo 2001; • in materia di agenti chimici, le direttive 2000/39/CE e 2006/15/CE sono state trasposte con l’ordinanza del 30 giugno 2004, con il decreto 2007-1539 del 26 ottobre 2007 e con l’ordinanza del 26 ottobre 2007; • la direttiva 2002/44/CE relativa ai rischi derivanti dalle vibrazioni è stata trasposta nella legislazione nazionale con il decreto del 4 maggio 2007; • la direttiva 2003/10/CE relativa ai rischi derivanti dal rumore è stata trasposta nella legislazione nazionale mediante il decreto 2006-892 del 19 luglio 2006 e il decreto 2006-1044 del 23 agosto 2006; • la direttiva 2003/18/CE relativa ai rischi connessi con un’esposizione all’amianto è stata trasposta con il decreto n. 2006-761 del 30 giugno 2006. 1 100 quadro di riferimento per i vari settori, regolamentati tramite una serie di direttive tecniche. Due sono le basi di tale direttiva: da un lato, gli standard minimi individuati creano una condizione di parità per le aziende che operano nel grande mercato europeo. Dall’altro lato i lavoratori possono avere un alto livello di tutela attraverso le misure volte alla prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali2. In Francia, dove già vigeva un alto livello di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, tale direttiva è servita soprattutto per perfezionare il quadro legislativo preesistente. Formalmente essa è stata trasposta nella legislazione francese attraverso la legge del 31 dicembre 1991 relativa alla prevenzione dei rischi professionali. Quest’ultima ha aggiunto circa trenta nuovi articoli al Codice del Lavoro, codificando gli obblighi che incombono sui datori di lavoro ai fini della prevenzione dei rischi professionali. Tuttavia, particolarmente problematico è stato il recepimento dell’articolo 7 (Servizi di prevenzione e protezione), che ha fatto sorgere gravi problemi di conformità. Il Governo francese sosteneva infatti che il servizio di “médicine du travail”, istituito nel 1946, avrebbe correttamente recepito tale disposizione. La Commissione europea non ha però accettato questo punto di vista e ha aperto un procedimento di infrazione, a seguito del quale la Francia ha adottato una legislazione nazionale che recepiva l’articolo 7 con un approccio pluridisciplinare3. Grazie alle direttive comunitarie è stato possibile rafforzare anche la tutela riconosciuta a particolari categorie di lavoratori (cfr. Libro I, Titolo V, del Codice del Lavoro). Benché, infatti, le norme contenute nel Codice del Lavoro si applichino a tutti i lavoratori dipendenti, indipendentemente dalla loro situazione contrattuale4, disposizioni speciali sono previste nel caso di donne in gravidanza, puerpere, o impegnate nell’allattamento; di lavoratori giovani; di lavoratori titolari di un contratto di lavoro a termine o temporaneo (a questo proposito, cfr. § II.7.5). La trasposizione della direttiva 92/85/CEE del Consiglio del 19 ottobre 1992 concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e salute sul lavoro delle donne gestanti, puerpere o in periodo di allattamento ha dato origine, in un primo momento, ad una procedura di infrazione contro la Francia. Il rapporto sulla trasposizione della direttiva presentato dalla Commissione europea nel mese di marzo del 1999 giudicò infatti contrario alla direttiva stessa il fatto che in Francia il diritto ad essere esonerate dal lavoro in mancanza di altre modalità di protezione fosse riconosciuto solo in una circolare ministeriale. Successivamente, la direttiva è stata trasposta nella sua interezza dalla ordinanza 2001-173 del 22 febbraio 2001. Conformemente alla direttiva, attualmente il Codice del Lavoro (artt. da L4152-1 a L4152-2 e da R4152-1 a R4152-28) stabilisce il divieto di impiegare donne in gravidanza, puerpere oppure impegnate nell’allattamento in determinate categorie di lavori (individuati per via regolamentare) che potrebbero comportare rischi per la loro salute o sicurezza. Inoltre, esse beneficiano di una sorveglianza medica maggiore. Si noti anche che ad ogni datore di lavoro che impieghi più di cento lavoratori può essere ingiunto di installare nello stabilimento (o in prossimità) locali dedicati all’allattamento. Per quanto riguarda la trasposizione della direttiva 94/33/CE del Consiglio del 22 giugno 1994 relativa alla protezione dei giovani sul lavoro, è opportuno ricordare che la legislazione francese già prevedeva molte delle disposizioni contenute nel testo comunitario, specialmente in materia di durata del lavoro. Alcuni aggiustamenti si sono comunque resi necessari e la trasposizione della direttiva è stata completata con l’ordinanza 2001-174 del 22 febbraio 2001. Attualmente, il Codice precisa (artt. da L4153-1 a L4153-9 e da D4153-1 a D4154-6) che, ad esclusione di casi particolari come l’apprendistato, è vietato impiegare lavoratori che abbiano COM(2004)62 def., 3. Ivi, 10; si veda anche la Loi de modernisation sociale del 17 gennaio 2002. 4 L’articolo L4111-5 del Codice del Lavoro chiarisce infatti che «Pour l’application de la présente partie, les travailleurs sont les salariés, y compris temporaires, et les stagiaires, ainsi que toute personne placée à quelque titre que ce soit sous l’autorité de l’employeur». 2 3 101 meno di sedici anni di età. Tale soglia è inoltre elevata ai diciotto anni per alcune categorie di lavori (individuati per via regolamentare) particolarmente pericolosi o faticosi. Oltre alla protezione delle suddette categorie considerate “fragili”, il quadro legislativo francese garantisce particolari misure di protezione in presenza di cantieri mobili o temporanei o di attività realizzate da un’impresa esterna. Nel primo caso (Cantieri mobili o temporanei), si fa riferimento alla direttiva 92/57/CE del 24 giugno 1992 e alla sua implementazione. Essa prevede la creazione della funzione del coordinatore in materia di sicurezza; la responsabilità del direttore dei lavori che deve remunerare il coordinatore; il coinvolgimento di tutti gli attori presenti nel cantiere inclusi i lavoratori autonomi; la organizzazione e la predisposizione dei mezzi comuni necessari alla realizzazione del lavoro. L’implementazione di tale direttiva è avvenuta tramite la Legge 93-1418 del 31 dicembre 1993, il decreto 94-1159 del 26 dicembre 1994, il decreto 95-543 del 4 maggio 1995, il decreto 95-607 del 6 maggio 1995 e alcune ordinanze. Nel secondo caso (Attività realizzate da un’impresa esterna), il Libro V, Titolo I del Codice del Lavoro (art. L4511-1 e artt. da R4511-1 a R4515-11) prende in considerazione le attività realizzate da un’impresa esterna e chiarisce la suddivisione di competenze tra i due responsabili (il responsabile dell’impresa utilizzatrice e quello dell’impresa esterna) e i diritti dei lavoratori. L’articolo R4511-1 precisa infatti che il responsabile dell’impresa utilizzatrice assicura il coordinamento generale sia delle misure di prevenzione da lui decise sia di quelle decise dai responsabili dell’impresa esterna. Questi ultimi hanno invece il dovere di far conoscere all’impresa utilizzatrice alcune informazioni di primaria importanza, tra cui la data del loro arrivo e la durata prevista dell’intervento; il numero previsto di lavoratori stanziati; il nome e la qualifica della persona incaricata di dirigere l’intervento, i nomi e i riferimenti di eventuali subappaltatori prima dell’inizio delle attività loro destinate; l’identificazione delle attività subappaltate. Il Codice precisa anche i due casi in cui è obbligatorio stabilire per iscritto un piano di prevenzione prima dell’inizio dei lavori: 1) quando l’operazione che deve essere realizzata dalle imprese esterne rappresenta un numero totale di ore stimato pari almeno a 400 ore su un periodo inferiore o uguale a dodici mesi, sia che le attività siano continue sia che siano discontinue; 2) indipendentemente dalla durata prevista dell’operazione, quando le attività da realizzare sono considerate “attività pericolose”, in base ad una lista elaborata per decreto dal Ministero del lavoro e dal Ministero dell’agricoltura. Il piano di prevenzione è obbligatoriamente messo a disposizione del medico del lavoro dell’impresa utilizzatrice e dei medici del lavoro delle imprese esterne. Per quanto riguarda i diritti dei lavoratori, il Codice stabilisce l’obbligo per il responsabile dell’impresa esterna di informare i lavoratori dei rischi specifici a cui sono esposti e delle misure di prevenzione adottate. Il responsabile deve soffermarsi in particolare sulle aree pericolose, spiegare il funzionamento dei dispositivi collettivi ed individuali di protezione e mostrare le vie di accesso e le uscite di sicurezza. Inoltre, il responsabile dell’impresa utilizzatrice organizza, coinvolgendo eventualmente anche i responsabili delle imprese esterne, ispezioni e riunioni periodiche per assicurare una valutazione costante ed aggiornata delle condizioni di lavoro. II.7.3 Gli attori. In Francia le amministrazioni centrali e decentrate e le parti sociali collaborano per assicurare la corretta applicazione delle norme. In particolare, la direzione generale del lavoro, costituita presso il Ministère du travail, des relations sociales et de la solidarité, definisce il quadro giuridico del lavoro dipendente, le condizioni di lavoro e la politica di prevenzione dei rischi sul luogo di lavoro. Inoltre, essa assicura – a seguito della consultazione delle parti sociali, riunite in sede di Conseil 102 supérieur de la prévention des risques professionels – il controllo delle misure di protezione della salute e sicurezza sul lavoro. Il suddetto Ministero opera in stretta collaborazione con il Ministère de la santé, de la jeunesse et des sports, con il Ministère du budget, des comptes publics et de la fonction publique, con il Ministère de l’agriculture, con il Ministère de l’environnement e con il Ministère de la recherche. L’obiettivo di tale approccio interministeriale è ovviamente quello di tenere conto dei diversi profili collegati alla tematica della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. A livello territoriale, sono attive le 22 Direzioni regionali del lavoro e le 104 Direzioni dipartimentali, che possono contare su circa 1.400 agenti di controllo (di cui più di 400 ispettori). In azienda, la sorveglianza è affidata ai Services de santé au travail, che sono organizzati a livello interaziendale nel caso di piccole e medie imprese. Agli attori statali si affiancano le parti sociali, che svolgono un ruolo essenziale sia attraverso la loro azione a livello aziendale che tramite i diversi organismi di cui fanno parte. È dunque opportuno menzionare la Caisse Nationale de l’Assurance Maladie des Travailleurs Salariés (CNAMTS), che si occupa della gestione dei profili contributivi, e l’Institut National de Recherche et de Securité (INRS), organismo tecnico costituito in forma di associazione gestita in maniera paritaria ed incaricato di realizzare studi e ricerche in materia di salute e sicurezza e di offrire formazione, informazione ed assistenza tecnica alle imprese. Significativo è anche il contributo della Agence Nationale pour l’Amélioration des Conditions de Travail (ANACT), fondata nel 1973, e dei suoi uffici regionali. Essa, infatti, gestisce il Fonds pour l’amélioration des conditions de travail (FACT), che ha l’obiettivo di aiutare le imprese a migliorare le pratiche di sicurezza per mezzo di sovvenzioni finanziarie e a ideare e realizzare progetti che tengano conto non solo degli aspetti economici e tecnici, ma anche dei fattori organizzativi e umani delle condizioni di lavoro. Inoltre, l’ANACT ha implementato sul proprio sito internet una banca dati che raccoglie le buone pratiche in materia di salute e sicurezza. Infine, si deve ricordare l’apporto fondamentale dei Comités d’Hygiène, de Sécurité et des Conditions de Travail (CHSCT), creati dalla legge del 23 dicembre 1982. Costituiti dal responsabile dello stabilimento e da rappresentanti dei lavoratori, essi sono presenti in tutti gli stabilimenti che impiegano almeno 50 dipendenti. Il loro obiettivo è quello di contribuire alla protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori e al miglioramento delle loro condizioni di lavoro. Si noti che i CHSCT sono consultati prima di ogni decisione di ristrutturazione significativa che modifichi le condizioni di igiene e sicurezza o le condizioni di lavoro. II.7.4 Il Plan de Santé au Travail 2005-2009 (PST). Il quadro regolamentare è stato largamente concepito in funzione di un modello – quello del posto di lavoro a tempo indeterminato nelle grandi imprese industriali – ormai non più predominante. Di conseguenza, l’applicazione delle norme si rivela particolarmente difficile nelle piccole e medie imprese e in un contesto di forte esternalizzazione e di predominanza del settore dei servizi. Anche per questo motivo, e con l’obiettivo di prendere in considerazione i nuovi rischi professionali, al corpus normativo sono stati affiancati strumenti di soft law, volti a diffondere una nuova cultura di prevenzione dei rischi professionali. Tra questi strumenti emerge senza ombra di dubbio il Plan de Santé au Travail 2005-2009, che il presente paragrafo si propone di analizzare. Frutto di una collaborazione interministeriale, esso si pone in linea di continuità con la prima Strategia comunitaria per la salute e sicurezza sul lavoro (2002-2006), adottata all’inizio del 2002, di cui condivide gli obiettivi fondamentali. Il Plan de Santé au Travail è infatti un piano organizzativo che, attraverso una nuova dinamica operativa ed una strutturazione più efficace del sistema di prevenzione, si è posto l’obiettivo di ridurre il numero di incidenti sul lavoro e di malattie 103 professionali e di fare di “posti di lavoro di qualità” la regola, e non l’eccezione, del mercato del lavoro francese. Significativamente, il Piano parte dalla constatazione che la tendenza generale alla riduzione dei rischi professionali – in corso dagli anni Settanta – non è omogenea, se è vero che le piccole e medie imprese, alcune categorie di lavoratori e alcuni settori di attività rimangono particolarmente a rischio. È il caso, ad esempio, dei giovani con meno di 25 anni (che benché rappresentino solo l’8,5% dei lavoratori sono coinvolti nel 22% di incidenti che determinano una conseguente interruzione dell’attività), dei lavoratori temporanei (che presentano un rischio di incidenti pari al 13,5% a fronte di una media complessiva della forza lavoro dell’8,5%) e dei nuovi assunti. Il settore più problematico continua invece ad essere quello dell’edilizia che, con una media di 99 incidenti ogni mille lavoratori, presenta un rischio di incidenti due volte superiore alla media degli altri settori. Consapevole di queste sfide, il Piano propone 23 azioni – di portata e natura diverse – organizzate attorno a quattro obiettivi-chiave: 1) sviluppare la conoscenza dei pericoli e dei rischi sul luogo di lavoro; 2) rafforzare l’efficacia dei controlli; 3) riformare gli organismi di gestione e “abbattere le barriere” tra i vari servizi amministrativi; 4) incoraggiare le imprese ad essere attori attivi della salute e sicurezza sul lavoro. Le azioni, che sono il risultato di un’azione concertata con le parti sociali, si pongono anche una serie di obiettivi quantitativi da raggiungere entro il 2009. Da un primo bilancio del Piano, realizzato nel corso del secondo semestre del 2007, emergono progressi soprattutto in tre ambiti. Innanzitutto, in materia di sviluppo della conoscenza dei pericoli e dei rischi professionali, grazie anche agli studi scientifici realizzati dalla Agence Française de Sécurité Sanitaire de l’Environnement et du Travail – AFSSET, creata nel corso del 2005. Inoltre, in termini di mobilitazione della comunità scientifica, tramite la pubblicazione di bandi di ricerca, relativi ad esempio alle malattie professionali. Il PST ha permesso infine di aumentare la pertinenza e l’efficacia delle azioni di controllo realizzate sul terreno, anche grazie alla creazione di cellule regionali di appoggio scientifico e tecnico pluridisciplinari. II.7.5 La protezione della salute e sicurezza dei lavoratori temporanei. Questo ultimo paragrafo intende concentrarsi sulla problematica della protezione della salute e sicurezza dei lavoratori temporanei, a livello comunitario regolamentata dalla direttiva 91/383/CEE e a livello francese dagli artt. da L1241-1 a L1248-11 (contratti di lavoro a tempo determinato) e da L1251-1 a L1254-13 (contratti di lavoro interinale) del Codice del Lavoro e dall’accordo interprofessionale del 26 settembre 2002. In linea di principio il diritto del lavoro nazionale francese era assestato su livelli di tutela dei lavoratori temporanei ben più elevati di quelli che risultano dalla Direttiva 91/383/CEE. Il legislatore francese, preoccupato per la cospicua diffusione di rapporti di lavoro atipici o precari tra il 1982 ed il 1992, aveva infatti promosso nel corso degli anni Ottanta numerose riforme in questo ambito. L’attuale quadro legale è quello che risulta dalla legge 90/613 del 12 luglio 1990. Le parti sociali hanno peraltro sottoscritto un primo accordo nazionale interprofessionale, il 24 marzo 1990, che fissa tutta una serie di diritti a favore dei lavoratori temporanei nonché una serie di obblighi a carico dei datori di lavoro, in particolar modo in tema di prevenzione dei rischi professionali. Per combattere la prassi crescente di ricorso ai contratti atipici il legislatore francese ha definito chiaramente nel Codice del lavoro quando tale ricorso può essere considerato legittimo (artt. da L1241-1 a L1242-6 per i contratti di lavoro a tempo determinato e da L1251-1 a L1251-10 per i contratti interinali). Nel caso di ricorso illegittimo a tali fattispecie contrattuali il rapporto di lavoro è convertito in un contratto a tempo indeterminato. 104 L’art. 2 della direttiva 91/383 stabilisce un principio di non discriminazione tra lavoratori titolari di un contratto a tempo indeterminato e lavoratori temporanei. Anche il codice del lavoro francese è ispirato a tale principio e segue la strada di massima assimilazione tra i lavoratori atipici e quelli assunti a tempo indeterminato. Esso impone la forma scritta sia del contratto a tempo determinato che di quello interinale (sia del contratto tra l’agenzia e l’impresa-utilizzatrice, sia di quello tra l’impresa-utilizzatrice e agenzia). Salvo espresse deroghe legislative «le disposizioni legali, quelle contrattuali, come quelle che risultano dagli usi» applicabili ai lavoratori assunti a tempo indeterminato devono essere applicabili anche a quelli assunti a tempo determinato. Nel caso di lavoro temporaneo il contratto deve indicare le ragioni di ricorso e anche descrivere le modalità dello svolgimento del lavoro e precisare se ci sono dei rischi particolari. Il responsabile dell’impresa è tenuto a organizzare e diffondere informazioni ai lavoratori circa i rischi per la salute e sicurezza e le misure adottate per farvi fronte e ad organizzare una formazione pratica e appropriata in materia di sicurezza. I rappresentanti del personale sono consultati su tali programmi di formazione e sovraintendono alla loro messa in opera effettiva. Il Codice del lavoro sottolinea l’importanza di tali rappresentanti. Le disposizioni del codice del lavoro relative alla formazione e alla sicurezza non possono essere sottoposte alle disposizioni derogatorie rispetto al diritto comune. Le disposizioni del codice del lavoro relative alla formazione e alla sicurezza trovano applicazione anche con riferimento ai lavoratori assunti in base al contratto a tempo determinato o di lavoro interinale. È prevista anche la responsabilità penale per infrazioni. Una formazione ulteriore è prevista anche a favore dei lavoratori precari che possono essere soggetti a rischi particolari in virtù del loro rapporto contrattuale. L’elenco di questi ultimi è stabilito dal responsabile dell’impresa, sentito il parere del medico del lavoro e del Comité d’Hygiène, de Sécurité et des Conditions de Travail o, in mancanza di esso, dei delegati del personale. Tale elenco è tenuto a disposizione dell’ispettorato del lavoro. Coerentemente con quanto stabilito dalla direttiva 91/383, il Codice del lavoro prevede inoltre dei divieti particolari di ricorso al lavoro precario per attività particolarmente pericolosi. Esse sono elencate nel decreto ministeriale dell’8 ottobre 1990. Si tratta da un lato di lavori che comportano l’esposizione a determinati agenti (quali il fluoro gassoso, o anche tetroclormetano) o dall’altro, di determinati lavori di decoibentazione o di demolizione che comportano l’esposizione alle polveri di amianto o la fabbricazione dell’auramina e del magenta). La direttiva 91/383 si occupa anche del controllo medico e dell’organizzazione sanitaria sul posto di lavoro cui devono poter beneficiare i lavoratori atipici, tra cui quelli interinali L’organizzazione dei servizi medici del lavoro può essere quella propria di una singola impresa o anche comune a una pluralità di imprese. Il compito del medico del lavoro è determinato in modo specifico dal legislatore e consiste nell’attività di consulenza sia a favore dei lavoratori che dei datori di lavoro circa, ad esempio, il miglioramento delle condizioni di lavoro, l’igiene generale, i rischi di infortunio e la psicologia del lavoro. Per quanto riguarda le disposizioni specifiche previste per il lavoro interinale, la predisposizione dell’informazione è una cosa essenziale per tutelare il lavoratore contro possibili rischi legati alla prestazione lavorativa. In conformità alle disposizioni comunitarie tale informazione deve essere specificata sia nel contratto tra l’agenzia di lavoro interinale con il lavoratore sia nel contratto che lega l’agenzia e l’impresa-utilizzatrice. Un contratto di messa a disposizione deve essere concluso tra l’impresa di lavoro temporaneo e l’impresa-utilizzatrice obbligatoriamente in forma scritta non più tardi di due giorni dopo la messa a disposizione del lavoratore temporaneo all’impresautilizzatrice. Questo contratto è previsto per ogni singolo lavoratore e deve indicare tutte le caratteristiche della mansione richiesta, il luogo della prestazione, la qualifica e le altre condizioni di lavoro rilevanti. Inoltre deve essere precisata la natura degli equipaggiamenti di protezione individuale che il lavoratore deve utilizzare indicando se essi devono essere forniti dall’agenzia di lavoro temporaneo. 105 Anche il contratto tra l’agenzia e ciascun lavoratore richiede la forma scritta e deve essere inviato entro 2 giorni dopo la messa a disposizione. L’impresa-utilizzatrice è la principale responsabile dell’osservazione delle norme sulla salute e sicurezza determinate dalla legislazione e dai contratti collettivi durante lo svolgimento del lavoro. L’agenzia di lavoro temporaneo, da parte sua deve fornire gli equipaggiamenti di protezione individuale qualora sia richiesto dai contratti collettivi. L’obbligo o il costo di tali equipaggiamenti non possono essere in nessun modo attribuiti ai lavoratori temporanei. L’agenzia è anche responsabile dell’esecuzione degli obblighi inerenti alla medicina del lavoro. Oltre alle disposizioni normative, è necessario ricordare infine l’accordo interprofessionale del 26 settembre 2002 sulla salute e sicurezza per il lavoro temporaneo, che si configura come uno strumento significativo per la tutela dei lavoratori temporanei. Esso in particolare insiste sull’importanza del dialogo tra tutte le parti chiamate in causa al momento della stipula di un contratto temporaneo e specialmente tra l’agenzia di lavoro temporaneo e l’impresa utilizzatrice per garantire una protezione effettiva ai lavoratori. 106 II.8. Focus: il caso spagnolo. II.8.1 La salute e la sicurezza sul luogo di lavoro in Spagna. Il problema dell’efficacia. La legislazione in vigore in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro. La Spagna, come membro dell’Unione europea dal 1986, è vincolata per tutto il patrimonio giuridico comunitario, sia dai Trattati che costituiscono il suo originale diritto, sia dalla disciplina normativa derivata. In questo contesto, ovviamente, il Diritto spagnolo deve adeguarsi alle normative emanate a livello comunitario nell’ambito della salute e di sicurezza sul luogo di lavoro. Lo Stato spagnolo sostanzialmente, in conformità con l’obbligo di trasporre nel suo ordinamento interno la direttiva n. 89/391/CE, relativa all’attuazione delle misure per promuovere il miglioramento della salute e sicurezza dei lavoratori nel luogo di lavoro, promulgò, passati quasi tre anni di ritardo per quanto riguarda alla data prevista dalla propria direttiva, la legge n. 31/1995, del 8 novembre di Prevención de Riesgos Laborales (LPRL, in avanti)1, (Prevenzione dei Rischi nel Lavoro)che, dopo la sua entrata in vigore, costituisce l’impianto normativo generale di protezione della salute dei lavoratori che lavorano in una ditta con sede nel suo territorio2. Questa legge specifica chi sono i soggetti tutelati e chi sono i soggetti che hanno l’obbligo in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro e quali sono i diritti e gli obblighi che corrispondono rispettivamente a entrambe le categorie. La LPRL, una volta entrata in vigore, è stata oggetto di un ampio sviluppo nella regolamentazione attuativa. Tali norme secondarie fanno riferimento a molteplici aspetti: a volte sviluppano taluni aspetti della LPRL, da cui dipendono interamente la sua attuazione pratica e, pertanto, l’efficacia globale (e in questo senso sottolinea il Reale Decreto n. 39/1997, dal Gennaio 17, per cui si approva il Reglamento de los Servicios de Prevención(Regolamento dei Servizi di Prevenzione) – RSP in avanti –, che è responsabile della regolamentazione delle attività preventive di base ritenute necessarie per garantire ai lavoratori la tutela efficace della loro vita, della loro integrità fisica e della salute mentale; altri, sviluppano taluni aspetti organici, vale a dire, sono competenti per regolamentare la composizione, il funzionamento e le competenze di alcuni enti pubblici cui la LPRL attribuisce qualche ruolo in materia di salute e sicurezza sul posto di lavoro. C’è infine una terza serie di norme regolamentari che si occupano della protezione dei lavoratori esposti a rischi professionali particolari o operanti in alcuni settori di attività che, per loro caratteristiche, richiedono un’attenzione particolare parametrata alle specifiche caratteristiche. Senza dubbio, i regolamenti di questo tipo costituiscono il terzo gruppo più folto e sono quelli attraverso i quali si Allo stesso tempo, la LPRL traspone nell’ordinamento giuridico spagnolo altre tre direttive comunitarie in materia di salute e sicurezza sul lavoro di grande importanza: la direttiva n. 92/85/CEE, del 19 ottobre del 1992, relativa all’applicazione delle misure per promuovere il miglioramento della salute e sicurezza sul lavoro della lavoratrice incinta o in periodo di allattamento; la direttiva n. 94/33/CE, del 22 giugno del 1994, relativa alla protezione dei lavoratori giovani; e la direttiva n. 91/383, del 25 giugno del 1991, con cui si completano le misure tendenti a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro dei lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato o delle agenzie di somministrazione di lavoro. 2 Ovviamente, la LPRL non è stata la prima norma che si è incaricata di stabilire nel Diritto spagnolo misure orientate a raggiungere la protezione dei lavoratori in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Le prime disposizioni sul tema che furono promulgate nel nostro paese e che costituirono l’origine di quello che in seguito ha costituito la disciplina giuridica autonoma denominata Diritto del Lavoro erano dirette ad assicurare la protezione della sicurezza e la salute dei lavoratori salariati nel lavoro. La prima norma promulgata nel nostro paese con questo fine fu la Ley de Accidentes del Trabajo (legge di Infortuni sul lavoro), del 30 gennaio del 1900, e a partire da questa, senza soluzione di continuità fino ad oggi, il legislatore si è sempre occupato di regolare questa materia. D’altra parte, bisogna dire che la LPRL è stata oggetto di un ampio sviluppo regolamentare a partire dalla sua entrata in vigore. Nel suo proprio art. 6 fa un riferimento espresso ad alcuni dei principali aspetti nei che la sua regolazione, necessariamente, doveva essere completata attraverso norme regolamentari più concrete e specifiche. 1 107 è avuta la trasposizione delle numerose direttive Comunitarie in materia di salute e sicurezza nel lavoro di carattere specifico3. 3 I regolamenti attuatitivi della LPRL sono principalmente i seguenti: Regio decreto n. 1879/1996, del 2 agosto, che regola la composizione della Comisión Nacional de Seguridad y Salud en el Trabajo (Commissione Nazionale di Salute e Sicurezza sul Lavoro), modificato con il Regio decreto n. 301/2001, del 23 marzo, e con il Regio decreto n. 195/2004, del 2 Luglio; Regio decreto n. 39/1997, del 17 gennaio, che approva il Regolamento dei Servizi di Prevenzione, modificato posteriormente attraverso il Regio decreto n. 780/1998, del 30 aprile, e del Regio decreto n. 604/2006, del 19 maggio; Regio decreto n. 413/1997, del 2 marzo, che contempla la protezione operazionale dei lavori esterni con rischio di esposizione a radiazioni ionizzanti per intervento in zona controllata; Regio decreto n. 485/1997, del 14 aprile, su disposizioni minime in materia di segnaletica di sicurezza sul lavoro; Regio decreto n. 486/1997, del 14 aprile, per il quale si stabiliscono le disposizioni minime di salute e sicurezza sul lavoro; Regio decreto n. 487/1997, del 14 aprile, su disposizioni minime di sicurezza e salute relative alla manipolazione manuale di carichi che penetri rischi, per i lavoratori; Regio decreto n. 488/1997, del 14 aprile, su disposizioni minime di sicurezza e salute relativa al lavoro con strumenti che includono schermi di visualizzazione; Regio decreto n. 664/1997, del 12 maggio, sulla protezione dei lavoratori contro i rischi relazionati con l’esposizione ad agenti biologici durante il lavoro; Regio decreto n. 665/1997, del 12 maggio, sulla protezione dei lavoratori contro i rischi da esposizione ad agenti cancerogeni durante il lavoro; Regio decreto n. 773/1997, del 30 maggio, sulle disposizioni minime di sicurezza e salute relative all’utilizzo deidispositivi di protezione individuale; Regio decreto n. 1215/1997, del 18 luglio, che stabilisce le disposizioni minime di sicurezza e salute sull’utilizzo delle attrezzature da lavoro, modificato dal Regio decreto n. 2177/2004, del 12 novembre; Regio decreto n. 1216/1997, del 18 luglio, che stabilisce le disposizioni minime di salute e sicurezza sul lavoro a bordo delle navi da pesca; Regio decreto n. 1389/1997, del 5 settembre, che approva le disposizioni minime destinate a proteggere la sicurezza e salute dai lavoratori in attività miniera; Regio decreto n. 1627/1997, del 5 settembre, che approva le disposizioni minime destinate a proteggere la sicurezza e salute nelle opere di costruzione, modificato dal Regio decreto n. 604/2006, del 19 maggio; Istruzione del 26 febbraio 1996, della Segreteria di Stato per l’Amministrazione pubblica, per l’applicazione della legge 31/1995, di 8 novembre, di Prevenzione dei Rischi sul Lavoro, all’Amministrazione dello Stato; Ordine di 22 aprile del 1997, che regola il regime di funzionamento delle Mutuas de Accidentes de Trabajo y Enfermendades Profesionales de la Seguridad Social (Mutuo degli Infortuni sul lavoro e le Malattie Professionali della Previdenza Sociale) nello sviluppo delle attività di Prevenzione dei rischi sul lavoro; Regio decreto n. 949/1997, del 20 giugno, per il quale si stabilisce il certificato di professionismo dell’occupazione di prevenzione dei rischi sul lavoro; Ordine del 27 giugno 1997, che sviluppa il Regio decreto n. 39/1997, del 17 gennaio, sul ruolo degli RSP; Ordine del 25 marzo 1998, che adatta in funzione del progresso tecnico il Regio decreto n. 664/1997, del 12 maggio, sulla protezione dei lavoratori contro i rischi da esposizione ad agenti biologici durante il lavoro; Regio decreto n. 1488/1998, del 10 Luglio, di adattamento della legislazione di rischi lavorativi all’Amministrazione Generale dello Stato; Regio decreto n. 1932/1998, dell’11 settembre, che adatta i Capitoli III ed IV della LPRL all’ambito dei centri e stabilimenti militari; Regio decreto n. 216/1999, del 5 febbraio, sulle disposizioni minime di salute e sicurezza sul lavoro, nell’ambito delle imprese di lavoro temporaneo; Regio decreto n. 258/1999, del 12 maggio, che stabilisce le condizioni minime sulla protezione della salute ed assistenza medica dei lavoratori del mare; Regio decreto n. 1254/1999, del 16 luglio, che approva posteriormente le misure di controllo dei rischi inerenti agli incidenti gravi nei quali intervengano sostanze pericolose, modificato con il Regio decreto n.D 119/2005, del 4 febbraio, e 948/2005, del 29 luglio; Regio decreto n. 374/2001, sulla protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori contro i rischi da agenti chimici; Regio decreto n. 614/2001 che fissa le disposizioni minime per la protezione della salute e sicurezza dei lavoratori di fronte al rischio elettrico; Regio decreto n. 783/2001, del 6 luglio, che approva il Regolamento su protezione sanitaria contro radiazioni ionizzanti; Regio decreto n. 707/2002, del 19 luglio,che approva il Regolamento sul procedimento amministrativo speciale di attuazione dell’ITSS per l’imposizione di dosate correttive di inadempimenti in materia di prevenzione di rischi sul lavoro nell’ambito dell’Amministrazione Generale dello Stato; Regio decreto n. 171/2004, del 30 gennaio, che sviluppa l’art. 24 dalla legge 31/1994, dell’8 novembre, di Prevenzione dei Rischi sul Lavoro, in materia di coordinazione delle attività imprenditoriali; Risoluzione del 17 febbraio di 2004, della Segreteria di Stato per l’Amministrazione Pubblica, che approva e dispone la pubblicazione del modello del Sistema de Gestión de Prevención de Riesgos Laborales para la Administración General del Estado (Sistema di Gestione di Prevenzione dei Rischi sul Lavoro per l’Amministrazione Generale dello Stato); Regio decreto n. 2267/2004, del 3 dicembre, che approva il Regolamento di sicurezza contro incendi negli stabilimenti industriali; Regio decreto n. 179/2005, del 18 febbraio, su prevenzione dei rischi sul lavoro dei Carabinieri; con l’Ordinanza INT/724/2006, del 10 marzo, si disciplina il funzionamento degli organi di prevenzione dei rischi nel corpo dei Carabinieri; Regio decreto n. 688/2005, del 10 giugno, che regola il regime di funzionamento delle Mutue di Infortuni sul lavoro e Malattie Professionali come servizi di prevenzione esterni; Regio decreto n. 689/2005, del 10 giugno, di modifica del Regolamento di organizzazione e funzionamento dell’Ispezione di Lavoro e Previdenza sociale, approvato per il Regio decreto n. 138/2000, del 4 febbraio, ed il Regolamento Generale sui procedimenti per l’imposizione di sanzioni per infrazioni nell’ordine sociale e per gli espedienti liquidatori di quote al previdenza sociale approvato per il Regio decreto n. 928/1997, del 14 maggio, per regolare le attuazioni dei tecnici cassieri in 108 Alla luce di quanto premesso si evince che l’attuale legislazione spagnola in materia di sicurezza e salute sul lavoro è molto ampia, ma, a differenza della situazione esistente prima della promulgazione della LPRL, ha un assetto omogeneo, ispirata com’è ai principi generali sanciti nella LPRL. Le caratteristiche principali della LPRL sono le seguenti. In primo luogo, essa riconosce esplicitamente a favore dei lavoratori il diritto di godere di una protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro e parallelamente stabilisce un corrispondente obbligo dei datori di lavoro che deve adottare tutte le misure necessarie a tal fine (art. 14, co. 1 e 2 LPRL). Esso sancisce così un vero e proprio diritto soggettivo a favore dei lavoratori alla salute e sicurezza sul luogo di lavoro, esigibile nei confronti del datore di lavoro. Il datore di lavoro è il soggetto che, secondo il regolamento attualmente in vigore in Spagna, deve soddisfare il diritto riconosciuto a favore dei lavoratori di godere di alcune condizioni di lavoro sicure per la loro salute. Secondo la LPRL la protezione dei lavoratori in materia di salute e sicurezza sul lavoro dovrebbe essere realizzata principalmente dal datore di lavoro, all’interno dell’azienda4. La consacrazione di questo diritto-dovere di salute e sicurezza sul luogo di lavoro costituisce il perno intorno al quale ruota tutta la normativa preventiva attualmente in vigore. Riguardo a questo problema conviene aggiungere che nella LPRL sono considerati «lavoratori» e, quindi, titolari dello specifico diritto individuale di godere di una protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro, non solo i lavoratori dipendenti strictu sensu, cioè quelli che fanno parte di un rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 1.1 del Estatuto del Trabajador (Statuto dei Lavoratori) e, in conseguenza, sono vincolati giuridicamente al loro datore di lavoro attraverso un contratto di lavoro, ma anche quei soggetti che eseguono prestazioni personali di servizi per le autorità pubbliche nel quadro di un vincolo giuridico di natura pubblica – funzionale o statutaria –, nonché coloro che siano soci di una cooperativa e allo stesso tempo eseguano a favore della stessa prestazioni di servizi di carattere personale (art. 3.1 LPRL). Pertanto, i titolari del diritto materia di prevenzione di rischi lavorativi; Regio decreto n. 1311/2005, del 4 novembre, sulla protezione della salute e sicurezza dei lavoratori dai rischi derivan dall’esposizione a vibrazioni meccaniche; Regio decreto n. 2/2006, del 16 gennaio, che stabilisce norme sulla prevenzione di rischi lavorativi nell’attività dei funzionari del Corpo Nazionale di Polizia; Regio decreto n. 286/2006, del 10 marzo, sulla protezione della salute e la sicurezza dei lavoratori contro i rischi da esposizione al rumore; Regio decreto n. 396/2006, del 31 marzo, che stabilisce le disposizioni minime di sicurezza e salute applicabili ai lavori esposti all’amianto; Regio decreto n. 604/2006, del 19 maggio, che modifica il Regio decreto n. 39/1997, del 17 gennaio, che approva il Regolamento dei Servizi di Prevenzione ed il Regio decreto n. 1627/1997, del 24 ottobre, che stabiliscono le disposizioni minime di sicurezza e salute nelle opere di costruzione; Regio decreto n. 1114/2006, del 29 settembre, di modifica del Regio decreto n. 1406/1989, del 10 novembre, che impone limitazioni al commercio e all’uso di certe sostanze e preparati pericolosi; Regio decreto n. 1299/2006, del 10 novembre, che approva il Cuadro de Enfermedades Profesionales en el sistema de la Seguridad Social (Quadro di Malattie Professionali nel sistema del Previdenza Sociale) e stabilisce i criteri per la sua notificazione e registro; Regio decreto n. 597/2007, del 4 maggio, sulla pubblicazione delle sanzioni per infrazioni molto gravi in materia di prevenzione dei rischi sul lavoro, Regio decreto n. 902/2007, del 6 luglio, di modifica del Regio decreto n. 1561/1995, del 21 settembre, sulle giornate speciali di lavoro, con riguardo al tempo di lavoro dei lavoratori che realizzano attività mobili di trasporto su strada, Regio decreto n. 1109/2007, del 24 agosto, di attuazione della legge 32/2006, del 18 ottobre, sulla regolamentazione del subappalto nel settore delle costruzioni, Regio decreto n. 1755/2007, sulla prevenzione dei rischi sul lavoro del personale militare delle Forze Armate e dell’organizzazione dei Servizi di Prevenzione del Ministero di Difesa. Inoltre, attualmente bisogna tenere in conto la legge 32/2006, del 18 ottobre, che disciplina il subappalto nel settore delle costruzioni, non ancora integrata nel testo della LPRL, sviluppata per il Regio decreto n. 1109/2007, del 24 agosto. In merito a tali regolamenti attuativi della LPRL, la Professoressa J. Vida Soria, El marco normativo de la Prevención de riesgos laborales, in AA.VV., Manual para la formación en prevención de riesgos laborales, Lex Nova, Valladolid, 2001, 132. 4 Si parte dall’idea che la protezione dei lavoratori in materia di salute e sicurezza sul lavoro per risultare davvero «efficace» richiede misure specifiche in base ai rischi cui il lavoratore si sente esposto in relazione alla specifica attività svolta. Cioè, le azioni dirette per proteggere i lavoratori in materia di salute e sicurezza sul lavoro si devono realizzare fondamentalmente nell’ambito dell’impresa e a partire dalla sua organizzazione, art. 1.1 RSP. A fronte di tali esigenze è il datore di lavoro, il soggetto principalmente responsabile e garante della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori in quanto titolare dell’attività produttiva dotato del potere di dirigere ed organizzare l’attività di tutti i suoi lavoratori. Ciò lo colloca nella posizione giuridica ed economica idonea per organizzare il lavoro in modo tale che sia più sicuro possibile. 109 soggettivo a una protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro sono lavoratori dipendenti da un datore di lavoro privato, il personale civile funzionario e statutario alle dipendenze della pubblica amministrazione cui appartengono e i soci lavoratori o soci delle cooperative, rispetto alla cooperativa di cui fanno parte. Pertanto, ai fini dell’applicazione della LPRL «datore di lavoro», non è solo il soggetto che riceve i servizi di un lavoratore dipendente che è giuridicamente vincolato da un contratto di lavoro subordinato, ai sensi dell’art. 1.2 del Reale Decreto Legislativo 1/1995, che approva il Texto Refundido della legge dello Statuto dei Lavoratori(in avanti: SL), ma anche le amministrazioni pubbliche per quanto riguarda tutto il personale al loro servizio e le società cooperative nei confronti dei loro soci o dei soci lavoratori. Di conseguenza, il LPRL ha ampliato il campo di applicazione soggettivo delle tutele al di là delle relazioni di lavoro strettamente dipendente, estendendole a rapporti giuridici di natura diversa. In secondo luogo, la LPRL ha stabilito che il diritto soggettivo attribuito ai lavoratori dipendenti di godere una protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro si traduce, in generale, nel diritto alla tutela della loro vita, dell’integrità fisica e psichica e della loro salute rispetto ai rischi professionali. Ciò implica che il correlativo dovere del datore di lavoro è, in particolare, quello di prevenire i rischi professionali cui in ogni caso i lavoratori sono esposti nello svolgimento della loro prestazione. Per soddisfare il diritto di protezione estesa per i lavoratori non è sufficiente, quindi, che il datore di lavoro adotti misure per proteggerli contro i danni derivanti dal lavoro, ma dovrà altresì adottare misure destinate direttamente ed immediatamente a prevenire i rischi professionali che riguardano ogni lavoro e ogni lavoratore, al fine di evitare qualsiasi possibilità che i lavoratori soffrano danni per la salute legati alla loro prestazione. Solo qualora l’eliminazione totale del rischio alla fonte non sia possibile in relazione al livello di sviluppo scientifico e tecnologico del momento, il datore sarà tenuto ad adottare le misure che riducano i rischi esistenti al minimo e in cui il rischio residuale sia tollerabile5.In definitiva, i lavoratori, secondo la LPRL, sono titolari di un diritto soggettivo di godere condizioni di lavoro senza rischi per la loro vita, la loro integrità fisica e psichica e per la loro salute – ovvero ad essere esposti al più basso livello possibile di rischio compatibile con l’organizzazione e la tecnica – ferma la responsabilità del datore di lavoro per l’adozione delle necessarie misure preventive o comunque di quelle più adatte a tale scopo. L’imposizione al datore di lavoro del dovere di prevenire i rischi professionali e non semplicemente di evitare i danni professionali non costituisce tuttavia una novità della LPRL poiché gli obblighi preventivi si sono imposti sempre al datore di lavoro in tutte le norme che, in materia di salute e sicurezza sul posto di lavoro, si sono succedute in Spagna. Già nella Ley de Accidentes de Trabajo de 1900 (legge di Infortuni sul lavoro di 1900), la quale fu accompagnata da una disciplina regolamentare denominata «Catálogo de mecanismos preventivos» (Catalogo di meccanismi preventivi) si stabilivano non semplicemente obblighi specifici di adozione di misure finalizzate ad evitare i danni per la salute del lavoratore bensì si poneva il più ambizioso obiettivo di prevenire i rischi. E su questa via ha proseguito la legislazione successiva. Il fatto che la LPRL abbia imposto il dovere del datore di lavoro di proteggere i lavoratori, come il dovere di prevenire i rischi professionali a cui in ogni caso sono esposti, non significa che egli sia obbligato a garantire una sicurezza assoluta, cioè, un «rischio zero». Questo in parte perchè, per la natura stessa dell’attività lavorativa una percentuale di rischio è sempre presente in qualunque attività umana e ancor più quando questa è svolta in un ambito di organizzazione e direzione altrui, (in regime di subordinazione)6. Concordemente alle definizioni della LPRL, tanto in materia di prevenzione (art. 4.1) quanto in materia di rischi sul lavoro (art. 4. co. 2), il datore di lavoro è obbligato ad adottare tutte le misure e a realizzare tutte le attività preventive, in tutte le fasi dell’attività lavorativa dell’azienda, 5 È così, secondo le definizioni che forniscono i commi 1° e 2° dell’art. 4 della LPRL, rispettivamente, di «prevenzione» e di «rischio sul lavoro». 6 Va ricordato che, gli obblighi impossibili sono giuridicamente incontrollabili, in conformità con le disposizioni dell’art. 1272 del Codice Civile. 110 necessarie ed adeguate per evitare o diminuire qualunque possibilità che i suoi lavoratori (presi singolarmente e collettivamente), soffrano un determinato danno connesso all’attività lavorativa, evitando così che sperimentino qualunque malattia, patologia o lesione derivata del lavoro. La LPRL obbliga quindi il datore di lavoro a prevenire i rischi professionali in tutti gli aspetti del lavoro e ad adottare quante misure siano necessarie per raggiungere questo obiettivo (art. 14.2 LPRL), cioè, a sviluppare una «attività preventiva» nei termini concreti stabiliti dalla LPRL (conforme ai diversi obblighi stabiliti in essa come parte del suo dovere in materia di salute e sicurezza sul lavoro), e non a garantire il risultato di un rischio zero. La LPRL ha ampliato il concetto tradizionale di rischio sul lavoro e del fattore di rischio, considerando che qualunque condizione di lavoro può costituire un fattore di rischio sul lavoro per la salute dei lavoratori. Di conseguenza il datore di lavoro deve prevenire i rischi nel lavoro derivanti da qualunque condizione di lavoro. Accanto ai fattori di rischio tradizionali, legati alle attrezzature e ai mezzi di lavoro (macchine, attrezzi, materie prime, sostanze maneggiate, ecc., o degli agenti fisici, chimici o biologici) presenti nell’ambiente di lavoro, vi è stato un ampliamento a tutte le caratteristiche del lavoro, comprese quelle relative alla sua organizzazione che possano influire sull’entità dei rischi ai quali sia esposto il lavoratore. Così è chiaro che si è dato espresso riconoscimento ai fattori di rischio di carattere psicosociale legati all’organizzazione del lavoro e allo sviluppo delle relazioni di lavoro all’interno dell’azienda (rischi di molestie sessuali, molestie o mobbing, ecc.). Essendo stato ampliato per legge il concetto di rischio sul lavoro, logicamente, si è ampliato in un’importante misura l’oggetto del dovere del datore di lavoro(deve dirigere la sua attività a condizioni di lavoro che prima della LPRL non si consideravano come fattori di rischio sul lavoro). Ora il datore di lavoro deve prevenire più rischi sul lavoro (estensione quantitativa del contenuto del suo dovere), e ciò ha grande influenza anche sulle modalità attraverso cui dovrà realizzare la sua attività preventiva. È di grande importanza dunque la nuova configurazione che la LPRL ha dato a questo dovere e l’incorporazione all’interno dello stesso di una serie di nuovi obblighi, che hanno dato luogo ad un’importante modificazione qualitativa dello stesso rispetto alla legislazione anteriore come si vedrà più avanti. Il dovere di prevenire i rischi imposto al datore di lavoro ha, pertanto, un carattere integrale, poiché, come appena evidenziato, ha per oggetto qualunque fattore di rischio ovvero come stabilisce l’art. 14.2 LPRL «tutti gli aspetti legati al lavoro». Il carattere integrale dell’attività preventiva svolta dal datore di lavoro ha inoltre, un secondo versante o manifestazione, inerente al fatto che il datore di lavoro deve prevenire i rischi sul lavoro «con tutte le misure necessarie per la protezione della sicurezza e la salute dei lavoratori». Questo significa che il datore di lavoro si sente obbligato ad adottare in ogni caso la misura preventiva che serva per raggiungere il maggiore livello di protezione dei suoi lavoratori, sempre che tale misura esista. La cosa determinante è che la misura più efficace esista nel mercato e non che si senta espressamente raccolta in una norma di salute e sicurezza sul lavoro. In questo modo, benché nessuna norma stabilisca qual è la misura preventiva più efficace per un determinato rischio, oppure lo faccia ma quella misura non risulti più efficace nel momento della sua applicazione perché superata da altre che permettono di raggiungere un maggiore livello di prevenzione del rischio, il datore di lavoro si sente obbligato ad adottare la misura di sicurezza più efficace incorrendo, quando non lo faccia, in un inadempimento del suo dovere di prevenzione e, pertanto, nella conseguente responsabilità. Il limite a quest’obbligo del datore di lavoro è unicamente quello per cui la misura sia «organizzativamente e tecnicamente fattibile», in base al grado di evoluzione tecnico-scientifico del momento e alle possibilità organizzative esistenti nell’impresa. Quello che in nessun caso sarà mai considerato come criterio ammissibile per giustificare, in un caso concreto, la mancata adozione della misura di sicurezza più efficace possibile è l’impossibilità economica (così si segnala espressamente nel preambolo del direttiva n. 89/391/CEE, conosciuta come direttiva Macro), poiché si considera che, dati i beni giuridici della persona del lavoratore che si pretendono tutelare attraverso l’attività preventiva (vita, 111 integrità e salute), di rilevanza costituzionale, (art. 15 e 43.1 CE, rispettivamente) non risulta ammissibile la subordinazione della loro protezione a criteri puramente economici o monetari. Se si ammettessero i condizionamenti economici sul punto,la garanzia di protezione dei lavoratori in gran misura rimarrebbe priva di tutela (soprattutto, nelle piccole e medie imprese). Va detto inoltre che la LPRL ha configurato il datore di lavoro come autentico «garante» della salute e sicurezza di tutti e ognuno dei lavoratori alle sue dipendenze. Il datore di lavoro, per espressa disposizione della LPRL, è l’individuo al quale spetta assicurarsi che tutti i lavoratori lavorino nelle condizioni più sicure per la salute nell’ambito delle misure organizzative e tecnicamente fattibili. Per questo motivo non basta più l’adozione da parte sua di misure concrete di prevenzione dei rischi sul lavoro, ma è necessario, inoltre, che adotti previamente una serie di accorgimenti che rappresentino realmente, in ogni momento, le misure di sicurezza più efficaci per prevenire ciascun rischio professionale – persino quelli derivanti dall’imprudenza dello stesso lavoratore7 – realizzandosi così un nuovo approccio alla tutela della salute e sicurezza sul luogo di lavoro rispetto a quello vigente prima della LPRL, la cosiddetta Ordenanza General de Seguridad e Higiene en el Trabajo (l’Ordinanza Generale di Sicurezza ed Igiene sul posto di Lavoro), approvata attraverso un Ordine Ministeriale del 9 di marzo di 1971 (OGSHT d’ora in poi). Questo nuovo approccio instaurato con la LPRL non risponde a un’iniziativa esclusiva del legislatore spagnolo, ma deriva anche direttamente dalle esigenze stabilite nella direttiva quadro. Il «nuovo approccio» alla tutela salute e sicurezza nei luoghi di lavoro introdotto con la LPRL ha introdotto nell’ordinamento spagnolo un modo realmente nuovo di trattare questa materia. Nel suo ambito, e a differenza di quello che succedeva prima dell’entrata in vigore della LPRL, affinché la protezione della salute e sicurezza dei lavoratori sul lavoro sia davvero «efficace» non è sufficiente che il datore di lavoro adotti misure preventive specifiche contro i rischi concreti che colpiscono i suoi lavoratori come conseguenza della esecuzione della prestazione, ma è assolutamente obbligatorio che questi integri tutte le attività preventive nel sistema di gestione globale delle risorse della sua organizzazione imprenditoriale. Il datore di lavoro, perciò, si sente giuridicamente obbligato a gestire la prevenzione dei rischi sul lavoro8, il che, significa, prevedere e pianificare l’attività preventiva che sarà sviluppata nell’impresa dallo stesso progetto imprenditoriale. In questo modo, il datore di lavoro adempirà il suo dovere e sarà realmente efficace la protezione apprestata, quando il datore integri l’attività preventiva in tutte le decisioni prese nell’azienda, a qualunque livello gerarchico, in modo che si tenga conto degli effetti che tutte le decisioni imprenditoriali possono avere sulla salute e sicurezza dei lavoratori, e nel caso di effetti negativi, vadano accompagnati dalle misure preventive necessarie e più adeguate. Con l’entrata in vigore della LPRL, l’attività preventiva che s’impegna a realizzare il datore di lavoro per soddisfare e garantire ai suoi lavoratori il diritto a godere di condizioni di lavoro sicure e salutari, ha smesso di essere considerata come un’attività esterna all’organizzazione e al funzionamento dell’impresa per diventare un elemento fondamentale dell’organizzazione dell’impresa. L’attività preventiva non è una questione che nell’azienda riguarda esclusivamente il datore di lavoro e la specifica organizzazione preventiva specializzata alla quale abbia fatto ricorso, ma è un compito che deve coinvolgere tutte le unità imprenditoriali e tutti i lavoratori. Tuttavia, è il datore di lavoro il principale obbligato a stabilire i mezzi necessari affinché tutte le decisioni prese nell’impresa, da qualunque soggetto competente e a tutti i livelli gerarchici, tengano conto delle conseguenze che questa decisione può avere sulla salute e sicurezza dei lavoratori coinvolti. Il fondamentale adempimento attraverso cui il datore di lavoro adempie tale obbligo è la di un Piano di Prevenzione dei Rischi sul Lavoro nell’azienda (art. 16.1 LPRL e art. 2 RSP). Si consideri che per garantire una protezione efficace in materia di salute e sicurezza ai lavoratori, che lavorano di forma congiunta e coordinata in una stessa organizzazione produttiva, non basta Così lo prevede espressamente l’art. 15.4 della LPRL. Per imperativo dell’art. 14.2 della LPRL e dell’art. 1 Reale Decreto 39/1997, del 17 gennaio, per il quale si approva il Regolamento dei Servizi di Prevenzione. 7 8 112 adottare misure di sicurezza isolate (soprattutto quando tali rischi sul lavoro sono stati scoperti a posteriori una volta che si sono materializzati in un incidente), ma è necessario realizzare un lavoro previo di analisi che tenga conto di quali sono i rischi che colpiscono ogni lavoratore nel suo posto di lavoro e nell’insieme dell’organizzazione imprenditoriale, come interagiscono tra di loro, valutare la loro entità e, sulla base di tali informazioni adottare le misure di sicurezza che siano necessarie e più efficaci per raggiungere il massimo livello di protezione di tutti ed ognuno dei lavoratori di fronte ai differenti ed eterogenei rischi cui sono esposti, dando giusto rilievo al fatto che il fatto di lavorare insieme, in un stesso ambito di organizzazione imprenditoriale, costituisce già un importante fattore di rischio per ognuno di loro. Si richiede necessariamente un lavoro previo di pianificazione. Questa costituisce la principale novità della LPRL,un’impostazione che non si rilevava in nessuna norma anteriore, almeno in modo esplicito, benché l’art. 4.1 lett. d) SL si riferiva già al diritto dei lavoratori all’integrità fisica e ad un’adeguata «politica di sicurezza e igiene», ed è su questo concreto obbligo che insisteranno le successive leggi riformatrici della LPRL. Del resto è proprio l’inadempimento di questo cruciale obbligo che spiega il perché in Spagna il tasso di infortuni sul lavoro non è riuscito a ridursi, continuando ad essere il più elevato nell’ambito dell’Unione Europea. L’attività preventiva dovuta dal datore di lavoro si deve realizzare in maniera integrata nella gestione globale dell’impresa abbandonando così l’impostazione per lungo tempo seguita secondo la quale sarebbe una questione puramente tecnica ed esterna all’organizzazione e al funzionamento abituale dell’impresa, essendo invece uno degli elementi imprescindibili ed essenziali della sua gestione e una condizione o presupposto della qualità imprenditoriale espressa in termini di «qualità totale». Riguardo a questa rilevante questione, conviene aggiungere che la LPRL non si è limitata a stabilire in che cosa consiste, in modo generale il nuovo approccio alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro e in che cosa si traduce lo stesso rispetto al datore di lavoro, ma, inoltre, ha realizzato un lavoro di specificazione degli obblighi concreti che questi deve compiere per integrare in maniera effettiva ed adeguata l’attività preventiva nel suo sistema globale di gestione di risorse dell’impresa e, in conseguenza, per compiere in modo adeguato il suo dovere di garantire ai lavoratori una protezione efficace. Si tratta di obblighi di sicurezza assolutamente nuovi che non si trovavano raccolti nella normativa di sicurezza in precedenza vigente in Spagna e che sono gli elementi caratterizzanti del «nuovo approccio» alla materia della salute e sicurezza sul lavoro, così com’è stato richiesto dalla direttiva quadro. Tali obblighi preventivi che il datore di lavoro deve compiere in ogni caso, sono i seguenti. A) L’obbligo di elaborare e applicare un Piano di Prevenzione di Rischi sul Lavoro (art. 16.1 LPRL e art. 2 RSP). B) L’obbligo della identificazione dei rischi sul lavoro che colpiscono ai lavoratori nell’impresa e valutare quelli che non possano essere evitati (art. 16.2 a, LPRL ed arts. 3 a 7 del RSP). C) L’obbligo di pianificare le misure di sicurezza necessarie per prevenire i rischi sul lavoro previamente valutati ed applicare tali misure conformemente a quanto stabilito nella pianificazione (art. 16.2 b, LPRL ed artt. 8 a 10 RSP). In ogni caso, devono esserci misure di emergenza, di vigilanza periodica dello stato di salute, di formazione dei lavoratori in materia preventiva e d’informazione sull’attività preventiva sviluppata nell’impresa. L’adozione e pianificazione di tutte ed ognuna delle misure preventive dovrà farsi rispettando sempre i principi dell’azione preventiva consacrati nell’art. 15 LPRL che più che principi, costituiscono criteri obbligati di attuazione da parte del datore di lavoro nel momento di pianificare ed eseguire le misure di sicurezza dovute per proteggere in maniera efficace i suoi lavoratori. Sono autentici obblighi che garantiscono che le misure di sicurezza adottate sono in ogni caso quelle che realmente riescono a proporzionare a tutti i lavoratori che sviluppano la sua prestazione di forma 113 congiunta e coordinata nella stessa organizzazione imprenditoriale una protezione realmente efficace di fronte a tutti e ognuno degli specifici rischi lavorativi al quale si trovino esposti9. D) L’obbligo di contare su un’organizzazione preventiva nell’impresa-intesa come un insieme di risorse materiali ed umane specializzate di salute e sicurezza nel lavoro- che permetta al datore di lavoro di adempiere il suo dovere di garantire ai suoi lavoratori una protezione efficace della sua salute di fronte ai rischi lavorativi, secondo le modalità previste dalla normativa vigente (artt. 30 a 32 bis LPRL e art. 10 a 22 RSP)10. L’art. 10.1 RSP dispone che l’organizzazione delle risorse necessarie per lo sviluppo delle attività preventive deve essere realizzata dal datore di lavoro secondo le seguenti modalità: a) assumendo personalmente tale attività; b) nominando uno o più lavoratori per portarla a termine; c) costituendo un servizio di prevenzione interno; d) ricorrendo ad un servizio di prevenzione esterno. E) l’obbligo di controllare periodicamente l’adeguamento e l’efficacia dell’attività preventiva condotta nell’impresa e dei mezzi materiali e umani predisposti per la realizzazione della stessa in quelle ipotesi in cui lo esige espressamente la normativa vigente (in concreto, quando detta attività preventiva venga realizzata da parte del datore di lavoro esclusivamente attraverso risorse proprie o mediante un sistema misto di risorse interne ed esterne all’impresa). Questo obbligo viene denominato «auditoría preventiva», (art. 30.6 LPRL ed artt. 29 a 33 bis RSP)11. L’art. 30.1 RSP definisce espressamente la consulenza in materia di prevenzione dei rischi sul lavoro come lo strumento di gestione della prevenzione dei rischi sul lavoro che riflette fedelmente la configurazione del sistema di prevenzione dei rischi sul lavoro dell’impresa, valutando la sua efficacia e scoprendo le deficienze che possano dare luogo a inadempimenti della normativa vigente,onde permettere l’adozione di misure dirette al suo perfezionamento e miglioramento. Al margine di questa definizione legale, in maniera più generale si può definire la consulenza preventiva come una valutazione esterna ed a posteriori dell’attività preventiva realizzata in una determinata impresa con l’obiettivo di controllare e stimare il suo adeguamento e la sua effettiva conformità a quanto legalmente richiesto, tenendo in debito conto le necessità preventive della stesse in funzione della tipologia e della dimensione dei rischi esistenti nella stessa. Essa tiene anche conto del volume organizzativo d’impresa, del numero di centri di lavoro e della loro ubicazione, nonché del numero di lavoratori impiegati. Si tratta di stimare non solo i risultati finali dell’attività preventiva portata avanti ma anche l’adeguamento di tutto il sistema preventivo organizzato nell’impresa, tanto nella sua progettazione quanto nella applicazione effettiva. Sia la LPRL che il RSP si riferiscono esclusivamente alle consulenze preventive esterne, cioè, a quelle valutazioni dell’efficacia dell’attività preventiva realizzata nelle imprese da persone o entità indipendenti all’azienda nello svolgimento del loro compito di verifica e di controllo. 9 In realtà, non tutte le previsioni contenute nei diversi commi dell’art. 15 LPRL possono considerarsi realmente principi dell’azione preventiva che il datore di lavoro deve applicare e rispettare in ogni caso nel momento di pianificare ed adottare le misure preventive. I più importanti principi dell’azione preventiva stabiliti in questo precetto sono i seguenti: evitare i rischi; valutare i rischi che non possano evitarsi; controllare i rischi alla fonte; adattare il lavoro alla persona, in relazione alla concezione dei posti di lavoro, alla scelta degli strumenti e dei metodi di lavoro e di produzione, onde evitare il lavoro monotono e ripetitivo; tenere in conto l’evoluzione della tecnica; sostituire lo strumento o la sostanza pericolosa con quelle che siano meno dannose; pianificare la prevenzione, cercando un’organizzazione che contempli tecnica, attribuzione di mansioni, condizioni di lavoro, relazioni sociali e influenza dei fattori ambientali; adottare le misure necessarie che antepongano la protezione collettiva a quella individuale; dare le dovute istruzioni ai lavoratori; prendere in considerazione le capacità professionali dei lavoratori in materia di salute e sicurezza nell’assegnazione dei compiti; adottare le misure necessarie al fine di garantire che solo i lavoratori che abbiano ricevuto informazione sufficiente ed adeguata possano accedere a zone di rischio grave e specifico: prevedere le eventuali distrazioni o imprudenze del lavoratore nel momento dell’adozione delle misure preventive; tenere in debito conto i rischi addizionali. 10 Cfr. art. 10.1 RSP. 11 Cfr. art. 30.1 RSP. 114 Secondo l’art. 29 RSP, è obbligatorio per il datore di lavoro ricorrere a consulenze o valutazioni esterne del sistema preventivo adottato in azienda quando, come conseguenza della valutazione dei rischi, abbia dovuto sviluppare qualche tipo di attività preventiva col fine di evitare o diminuire i rischi esistenti e abbia fatto ricorso a sistemi di prevenzione esterni oppure costituiti esclusivamente con risorse proprie (cioè, quando l’attività preventiva sia stata realizzata nella sua totalità o direttamente dal datore di lavoro personalmente, ovvero da uno o più lavoratori designati o da un servizio di prevenzione esterno ovvero con una combinazione di queste modalità) (così disponeva anche l’art. 30.6 LPRL), oppure ad un sistema misto costituito simultaneamente per risorse proprie e per risorse altrui12. Nonostante questa regola generale, esiste un’ipotesi in cui proprio la RSP (art. 29.3) consente al datore di lavoro di esimersi dall’obbligo legale di portare a termine una consulenza o valutazione esterna del suo sistema di prevenzione: quando sia il titolare di un’azienda avente fino a 6 lavoratori le cui attività non siano comprese nella lista delle attività particolarmente pericolose, elencate nell’Allegato I RSP, quando il datore di lavoro abbia assunto personalmente le funzioni di prevenzione o avrebbe designato uno o più lavoratori per lo svolgimento delle stesse, sempre che risulti evidente, senza necessità di ricorrere a una consulenza, l’efficacia del sistema preventivo adottato per il limitato numero di lavoratori e la scarsa complessità delle attività preventive. In questo caso si rileverà immediatamente che il datore di lavoro ha adempiuto il suo obbligo di realizzare la consulenza, ovvero quando rimetta all’Autorità del lavoro, una notifica sulla sussistenza delle condizioni che secondo il RSP non rendono necessario ricorrere alla consulenza esterna, secondo il modello stabilito a questi effetti nell’Allegato II del RSP13. Tuttavia, è possibile che in queste ipotesi le imprese possano vedersi obbligate a realizzare la consulenza esterna nei termini stabiliti con carattere generale nel RSP a tutte le aziende comprese nei due supposti in cui si impone come obbligatoria: quando l’Autorità del lavoro, previa informazione dell’ispezione del Lavoro e della Previdenza Sociale e, nel suo caso, degli organi tecnici in materia preventiva delle Comunità Autonome, richiedano espressamente la realizzazione delle stesse quando, a tenore della documentazione relativa alla valutazione dei rischi della stessa e la sua situazione preventiva particolare ed in presenza dei dati di infortuni in essa o nel settore produttivo al che appartenga o di qualunque altro tipo di informazione nel suo potere, abbia costanza della speciale pericolosità delle attività che si sviluppano in detta azienda o dell’inadeguatezza del suo sistema preventivo(art. 29.4 RSP). Nonostante si parta dalla presunzione che in questo tipo di microimprese l’attività preventiva è semplice e non richiede speciali conoscenze e, pertanto, la protezione dei lavoratori è efficace senza la necessità di sottometterla a un controllo a posteriori, detta presunzione ammette prova contraria, in modo che quando si evidenzi per qualunque mezzo che la presunzione legalmente stabilita non concorda con la realtà, soprattutto attraverso il controllo pubblico effettuato dall’Ispettorato del Lavoro e della Previdenza sociale, scatta l’obbligo per le aziende in questione di sottomettersi al regime generale di controllo di effettività dell’attività preventiva sviluppata attraverso la sua sottomissione ad una consulenza o valutazione esterna nei termini legalmente richiamati. Si tenta di garantire in ogni caso l’effettività dell’attività preventiva in ogni tipo di impresa di conseguenza, l’efficace protezione di tutti ed ognuno dei lavoratori che in essa prestano la propria attività14. Cfr. art. 29 RSP. L’Autorità del lavoro dovrà registrare queste notificazioni e ordinare per attività le imprese e dovrà fornire un’informazione completa sulle stesse agli organi di partecipazione istituzionale in materia di sicurezza e salute (fondamentalmente alla Commissione Nazionale di Salute e sicurezza sul lavoro). 14 In questa materia il RSP cerca di perseguire alla lettera l’obiettivo della direttiva quadro di evitare regole azioni in tema di salute e sicurezza sul lavoro che creino formalismi di carattere amministrativo, finanziario e giuridico, non necessari, che impediscano la creazione e lo sviluppo di piccole e medie imprese. Con l’obiettivo di raggiungere scrupolosamente quest’obiettivo la nostra normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro facilita soprattutto l’adempimento da parte delle microimprese degli obblighi preventivi partendo dal presupposto che in esse, i rischi sul lavoro ai quali si sentono esposti i lavoratori sono minore e/o risultano più facili da prevenire e, in conseguenza, si 12 13 115 La realizzazione delle consulenze esterne costituisce un nuovo obbligo del datore di lavoro in quelle concrete ipotesi in cui lo stabilisca espressamente la normativa vigente, chiaramente orientata a garantire che l’attività preventiva realizzata nell’impresa sia effettivamente la più adeguata, tenendo in conto lo stato di evoluzione tecnico-scientifica del momento, onde garantire ai lavoratori il livello più alto di protezione a fronte dei concreti rischi cui sono sposti(in funzione del loro tipo e della loro grandezza così come delle mutue interrelazioni tra essi). Anche nelle ipotesi in cui viga l’obbligo di ricorrere alle consulenze esterne,il datore di lavoro non è sottratto all’obbligo di vigilare attraverso propri mezzi sull’adeguatezza dell’attività preventiva realizzata per proteggere nel modo più efficace i suoi lavoratori nonché di modificare detta attività quando, attraverso qualunque mezzo si scopra che essa ormai non sia più efficace. Oltre a queste due ipotesi in cui il ricorso ad una gestione esterna del sistema di prevenzione aziendale è obbligatoriamente imposto dalla legge, (casi in cui le consulenza si dovrà portare a termine compiendo scrupolosamente tutti i requisiti fissati nel Capitolo V del RSP), è sempre possibile per qualunque datore di lavoro ricorrere a consulenze esterne al fine di valutare l’efficacia del suo sistema di prevenzione e, se del caso, di apportare i miglioramenti necessari. A queste consulenze facoltative fa riferimento attualmente l’art. 33 bis RSP(introdotto a seguito della riforma operata dal recente Regio decreto n. 604/2006 del RSP), che al comma 2 stabilisce che tale tipologia di consulenze può essere effettuata tanto nei casi in cui la consulenza esterna non sia obbligatoria quanto come nelle altre situazioni che si realizzano con una maggiore frequenza o con una portata più ampia di quanto stabilito nel capitolo V del RSP per le consulenze obbligatorie. Quando il datore di lavoro ricorre a risorse esterne, cioè ad uno o più servizi di prevenzione esterni, la consulenza non risulta obbligatoria poiché in questo caso il meccanismo legalmente previsto per garantire l’effettività e l’adeguamento dell’attività preventiva realizzata in ogni azienda si articola attraverso l’accreditamento preventivo da parte dell’Autorità del lavoro competente (che comprende un’autorizzazione dell’Autorità sanitaria). Esso è un meccanismo di controllo esterno e pubblico a priori perché tenta di assicurare che in ogni caso i servizi di prevenzione, in ogni caso abbiano i mezzi materiali e umani necessari per realizzare l’attività preventiva nei termini legalmente richiamati. Nei casi concreti in cui la realizzazione di una consulenza preventiva esterna sia obbligatoria, il datore di lavoro deve portarla a termine rispettando scrupolosamente tutti i requisiti stabiliti nel RSP. Secondo l’art. 30.2 RSP, gli interventi esterni devono consistere, in ogni caso, in un’analisi sistematica, documentata e oggettiva dei sistemi preventivi. Più in particolare, tale analisi deve dirigersi a valutare gli elementi dell’attività preventiva realizzata, di seguito elencati: 1) come si è realizzata la valutazione iniziale e periodica dei rischi sul lavoro, analizzando i suoi risultati e verificandoli in caso di dubbio; 2) se la tipologia e la pianificazione delle attività preventive aderiscono a quanto disposto dalla normativa sulla salute e sicurezza sul lavoro in generale e, in particolare, alla normativa su rischi specifici che risulti applicabile nel caso concreto, tenendo in conto i risultati della valutazione dei rischi sul lavoro realizzata; 3) l’adeguamento tra i procedimenti e i mezzi richiesti per realizzare le attività preventive necessarie e le risorse di cui dispone il datore di lavoro, propri o combinati, tenendo conto, inoltre, del modo in cui tali risorse sono organizzate e coordinate tra loro; 4) il grado d’integrazione della prevenzione nel sistema generale di gestione dell’impresa, tanto nell’insieme delle sue attività quanto nei vari livelli gerarchici, mediante l’introduzione e l’applicazione del Piano di Prevenzione dei Rischi sul Lavoro, L’efficacia del sistema per la stabiliscono obblighi meno esigenti ai datori di lavoro titolari delle stessi. L’obiettivo normativo in questi casi è rendere compatibile l’effettività della protezione dei lavoratori con l’adattamento alle circostanze concrete in cui si trova ogni impresa tentando di flessibilizzare le esigenze in quelle realtà produttive che per il ridotto volume sono considerate più deboli economicamente. 116 prevenzione, identificazione, valutazione dei rischi, nonché per correggere e controllare i rischi sul lavoro in tutte le fasi dell’attività dell’impresa. La valutazione dell’integrazione dell’attività preventiva si dovrà eseguire sotto vari aspetti, tra cui obbligatoriamente i seguenti: la direzione dell’azienda, i cambiamenti di attrezzature, prodotti e organizzazione dell’impresa, i lavori di manutenzione di impianti e attrezzature e la supervisione delle attività potenzialmente pericolose; 5) quando la consulenza riguarda aziende che sviluppino la propria attività preventiva con risorse proprie e altrui, detta consulenza si dovrà realizzare su quella parte dell’attività preventiva realizzata dal datore di lavoro con risorse proprie e la sua integrazione nel sistema generale di gestione dell’impresa, tenendo in conto l’incidenza del fatto che l’attività preventiva si realizza simultaneamente mediante risorse proprie e altrui (sistema misto). Anche in questo caso si dovrà valutare il modo in cui le risorse proprie e altrui rivolte all’attività preventiva siano coordinate tra loro nella cornice del Piano di Prevenzione dei Rischi sul Lavoro(comma primo dall’art. 31 bis RSP). Le consulenze preventive, quando risultino obbligatorie, necessariamente devono essere riferite al controllo di questi quattro aspetti sopra menzionati. I risultati dell’attività di consulenza devono essere raccolti per iscritto in una Relazione (art. 31 RSP). Questa viene poi consegnata all’impresa, la quale è obbligata ad adottare le misure preventive necessarie per correggere le carenze evidenziate dai risultati della consulenza, che mettono in luce la normativa sulla salute e la sicurezza in vigore. Non va dimenticato che la ratio della consulenza preventiva esterna è precisamente quella di mettere a fuoco i deficit dell’attività preventiva realizzata in una determinata impresa così che si possano apportare i correttivi più idonei a garantire ai lavoratori il più alto livello di protezione, entro il limite delle possibilità tecniche e scientifiche del momento. L’impresa è obbligata a mettere questo documento a disposizione tanto dell’Autorità del lavoro quanto dei rappresentanti dei lavoratori perché tutti questi soggetti possano conoscere la realtà dell’impresa in materia di salute e sicurezza nel lavoro e soprattutto per consentire al datore di lavoro di correggere le carenze rilevate in questo documento. Come appena visto, il RSP si riferisce solo alle consulenze «esterne», eseguite da soggetti o entità esterne all’impresa. Si tenta in tal modo di garantire l’indipendenza dei consulenti e, conseguentemente, l’obiettività della loro valutazione sul grado di effettività dell’attività preventiva realizzata nelle imprese. Gli artt. 32 e 33 del RSP fissano i requisiti che tali soggetti devono soddisfare. Più in particolare: 1) la consulenza può essere realizzata tanto da persone fisiche che da persone giuridiche, ma in ogni caso i mezzi umani devono disporre di una conoscenza e di una formazione sufficiente in materia; 2) tali soggetti, dotati dell’idonea formazione devono disporre delle risorse materiali necessarie per svolgere la propria attività. L’art. 32.3 del RSP prevede che nel caso in cui le verifiche da realizzare siano complesse, i soggetti incaricati di portare a termine la consulenza potranno ricorrere ad altri professionisti che abbiano le conoscenze, i mezzi e gli strumenti necessari. La disposizione non specifica ulteriormente quali debbano essere le risorse necessarie, sebbene l’adeguatezza delle stesse possa essere oggetto di un controllo attraverso il meccanismo dell’autorizzazione da parte dell’Autorità del lavoro (prevista nell’art. 33 RSP). Tale autorizzazione si dovrà pronunciare, se esiste la richiesta, sulle concrete attività che il soggetto consulente può subappaltare ad altri soggetti; 3) inoltre i soggetti e le entità esercenti l’attività di consulenza non possono intrattenere, con le imprese nelle quali realizzino la propria attività rapporti commerciali, finanziari o di qualunque altro tipo, tali da inficiare la loro indipendenza ed influire sul risultato stesso della consulenza. Con questa finalità è proibito espressamente ai consulenti di realizzare per la stessa o distinta azienda attività di coordinazione delle attività preventive, come attività in qualità di servizio di prevenzione esterno; è anche proibito avere qualunque servizio di prevenzione esterno, 117 qualunque tipo di vincolo commerciale, finanziario o di qualunque altro tipo, con due eccezioni: da una parte si permette all’impresa consulente di accorrere a un servizio di prevenzione altrui affinché si realizzi l’attività preventiva al che, come qualunque altra impresa si sente obbligata col fine di garantire anche ai suoi propri lavoratori una protezione efficace davanti ai rischi sul lavoro; e per un altro, i servizi di prevenzione esterni – che possono essere anche imprese e pertanto, hanno l’obbligo di fornire ai lavoratori alcune condizioni di lavoro sicure e salutari – possono anche ricorrere anche a queste persone o entità consulenti col fine che le stesse realizzino la valutazione esterna del suo sistema preventivo; 4) contare su un’autorizzazione previa dell’Autorità del lavoro competente del posto dove si trovino gli impianti principali. Anche se il RSP non dispone nulla circa l’onerosità dell’attività di consulenza, i soggetti che svolgono questo tipo di attività sono enti privati che mirano al conseguimento di un beneficio con la prestazione di queste specifico servizio di consulenza alle imprese. Il rapporto tra i consulenti e l’impresa è una fattispecie contrattuale regolata esclusivamente dal diritto civile o dal diritto commerciale, mai dal diritto del lavoro). F) L’obbligo di portare a termine l’attività preventiva nell’azienda contando con la partecipazione dei lavoratori (art. 34.1 LPRL15 art. 1.2 RSP16). L’attivo coinvolgimento dei lavoratori nell’attività di gestione e prevenzione del rischio, costituisce uno dei tratti fondamentali del «nuovo approccio» alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro introdotto in Spagna dalla LPRL, presupposto fondamentale di detta attività. Si ritiene che i lavoratori non debbano essere soltanto i destinatari finali del regime di protezione legalmente stabilito nella LPRL, ma che debbano essere considerati parte attiva di tale sistema. Si parte del presupposto che il datore di lavoro in nessun caso potrà compiere il suo dovere di garantire ai suoi lavoratori una protezione efficace in materia di salute e sicurezza nel lavoro se non c’è il coinvolgimento degli stessi nel progettare tale attività e nella sua realizzazione concreta e messa in pratica. La partecipazione dei lavoratori previsto dalla LPRL si articola in due momenti: uno individuale ed uno collettivo. Il versante «collettivo» si riferisce all’intervento dei lavoratori dell’impresa o del centro di lavoro, dove si realizza l’attività preventiva da parte del datore di lavoro, attraverso l’operato dei loro rappresentanti oppure, in assenza di questi, attraverso l’intervento diretto di tutti i lavoratori collettivamente. Questo intervento collettivo può essere denominato in senso ampio e generale «partecipazione» dei lavoratori in materia di salute e sicurezza nel lavoro, sebbene, in realtà, salvo l’ipotesi di intervento dei rappresentanti nell’organo paritetico denominato Comité de Seguridad y Salud en el Trabajo(CSST) (Comitato della Salute e Sicurezza nel Lavoro)regolato negli artt. 38 e 39 LPRL, quella partecipazione collettiva rimane ristretta a una mera rappresentanza d’interessi. L’intervento o partecipazione collettiva dei lavoratori nell’attività preventiva è riferita nella LPRL concretamente ai seguenti diritti: diritto a ricevere informazione sui rischi esistenti e sulle misure di sicurezza adottate per prevenirli; diritto ad essere consultati previamente all’adozione di qualunque misura che possa avere ripercussioni sulla sicurezza e la salute dei lavoratori; diritto a formulare proposte al datore di lavoro col fine di migliorare i livelli di sicurezza esistenti nell’impresa; diritto a vigilare e controllare l’adeguato compimento per il datore di lavoro di ciascuno degli obblighi che secondo la normativa in vigore costituiscono il suo dovere di prevenzione di rischi lavorativi; e, soprattutto, diritto ad essere presenti attraverso i suoi rappresentanti specializzati in prevenzione dei rischi sul lavoro – i Delegati di Prevenzione – nel denominato Comité de Seguridad y Salud en el Trabajo che è un organo collegiale di composizione paritetica destinato alla discussione e al dibattito di tutte le azioni che in materia di salute e sicurezza nel lavoro si realizzano nell’azienda, (art. 38 e 39 LPRL). Si tratta fondamentalmente dei 15 16 Cfr. art. 34.1 della LPRL. Cfr. art. 1.2 RSP. 118 diritti o delle facoltà fondate sulla collaborazione e non sul conflitto(salvo quella relativa alla vigilanza e al controllo). L’elezione dei Delegati di Prevenzione corrisponde, secondo quanto stabilito nell’art. 35.2 LPRL, ai rappresentanti unitari costituiti nell’impresa esclusivamente tra i suoi propri membri. Nonostante, questa previsione normativa costituisca diritto dispositivo, suscettibile di essere spostato per quello che gli accordi collettivi dispongano al riguardo(art. 35.4 LPRL). Alla contrattazione collettiva sono state assegnate due possibilità chiaramente differenziate in quanto alla sua intensità dispositiva rispetto al regime legalmente previsto di elezione dei rappresentanti dei lavoratori aventi compiti di realizzare funzioni partecipative e rappresentative dei lavoratori in materia di salute e sicurezza nel lavoro17. La prima via aperta alla contrattazione collettiva consiste nello stabilire altri sistemi di designazione dei Delegati di Prevenzione, purché si garantisca che la facoltà di designazione appartenga ai lavoratori o ai loro rappresentanti. La seconda possibilità concede maggiore libertà agli individui negoziatori poiché questi potranno decidere che in un determinato ambito le competenze riconosciute in questa legge ai Delegati di Prevenzione siano esercitate per organi specifici creati per la propria contrattazione collettiva, – compresi gli accordi su materie concrete previste nell’art. 83.3 SL –, i quali potranno assumere, competenze generali rispetto alle single imprese interessate dall’accordo, per facilitare la migliore applicazione della normativa sulla prevenzione dei rischi sul lavoro. Questa seconda possibilità concessa all’autonomia collettiva permetterà in molti casi di emendare il deficit di partecipazione collettiva dei lavoratori delle aziende con meno di dieci lavoratori, o in ogni caso, di meno di sei, nei quali, altrimenti, non esisterebbe nessun rappresentante, né generico né specifico, dei suoi interessi in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Secondo il regime giuridico che la LPRL ha stabilito sull’elezione dei Delegati di Prevenzione, si può dire che la facoltà di disporre di questo organo specializzato di rappresentanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro nell’impresa o centro di lavoro non è stato attribuito – o, almeno, garantito – per la LPRL a tutti i lavoratori, bensì soltanto a quelli che lavorino in un’azienda o centro di lavoro che hanno un organigramma di dieci o più lavoratori18, oppure, tra sei e dieci lavoratori, se i propri lavoratori hanno deciso per accordo maggioritario di nominare tra loro un rappresentante unitario, un Delegato di Personale, in questo caso sarà anche lui stesso il Delegato di Prevenzione(art. 35.2 LPRL). Pertanto, i lavoratori delle microimprese, per espressa decisione legislativa, non hanno questa facoltà, che in pratica pregiudicherebbe l’efficacia della protezione contro i rischi specifici che li colpiscono, e non tanto perché non possono esercitare gran parte dei loro diritti collettivi, bensì perché l’efficacia di quell’esercizio diretto è appena assicurata. Questa opzione legislativa, naturalmente, merita delle critiche poiché il criterio utilizzato per privare i lavoratori di questa facoltà partecipativa, non sembra avere l’entità sufficiente per giustificare tale decisione, dato che tali lavoratori sono molto numerosi in Spagna a causa della struttura tanto frammentata del tessuto imprenditoriale. Nonostante la frammentazione questi lavoratori non sono tuttavia sottoposti a meno rischi o rischi meno gravi rispetto agli altri lavoratori che sviluppano la loro prestazione in imprese di maggiori dimensioni. Anzi, spesso, succede il contrario (per esempio, in piccole imprese i cui lavoratori normalmente eseguono la loro prestazione nei centri di lavoro di altre imprese principali che se ne servono). Forse, la Sul trattamento per la contrattazione collettiva degli aspetti participativi della salute e sicurezza sul lavoro, vedere l’esaustivo studio realizzato da A. Cámara Botía, F.A. González Díaz, Derechos de participación y representación en materia de seguridad y salud laborales: un estudio sobre su aplicación, in Revista del Ministerio de Trabajo y Asuntos Sociales, 2004, n. 53, 219-263, spec. 233 ss. 18 Sul tema della «soprapresentazione» generale dei lavoratori nelle piccole e medie imprese vedere M. Biagi, El Derecho del Trabajo en pequeñas y medianas empresas ¿Flexibilidad o ajuste? Reseñas relativas a las relaciones colectivas, in Revista Española de Derecho del Trabajo, 1994, n. 63, 50; B. Quintanilla Navarro, Dimensión de la empresa y órganos de representación, Tirant lo Blanch, Valencia, 2000; F. Valdés Dal-Ré, La participación de los trabajadores en la Ley de Prevención de Riesgos Laborales, in Tribuna Social, 1997, n. 73, 38, che allude in concreto al «carácter limitado del derecho de participación reconocido a los trabajadores, que sólo alcanza a las empresas que cuenten con un censo laboral superior a seis trabajadores». 17 119 spiegazione di questa regolamentazione così poco protettiva dei lavoratori risiede nella volontà del legislatore di ostinarsi nella configurazione dei Delegati di Prevenzione nel regime giuridico, comprese le procedure di elezione delle rappresentanze unitarie, nonché nell’interesse di rispettare, più del necessario la previsione comunitaria sancita nella Exposición de Motivos de la Directiva Marco (Esposizione di Motivi della direttiva quadro) di «evitare problemi di carattere amministrativo, finanziario e giuridico che ostacolino la creazione e lo sviluppo delle piccole e medie imprese». L’unica possibilità di correggere questo deficit di partecipazione dei lavoratori nelle imprese di meno di dieci o di meno di sei lavoratori potrebbe consistere nel fatto che gli agenti negoziatori facessero uso della facoltà concessa dal secondo paragrafo dell’art. 35.4 LPRL, di stabilire attraverso la contrattazione collettiva, oppure altri sistemi di designazione dei Delegati di Prevenzione – permettendosi che la sua elezione si realizzi direttamente per i propri lavoratori, con i quali non è necessario che sia costituito nell’impresa nessun organo di rappresentanza unitaria –, oppure la creazione di un organo di rappresentanza specifico in materia di salute e sicurezza sul lavoro diverso dei Delegati di Prevenzione, il cui campo d’azione sarà quello dello stesso contratto collettivo in cui sia stabilito che possa essere superiore a quello dell’impresa. Inoltre, bisogna tenere in conto, che in queste imprese in cui i lavoratori non possano avere rappresentanti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, i lavoratori si vedono allo stesso tempo privati della possibilità di esercitare i diritti a livello collettivo. Prevale così una realtà non più conciliativa bensì conflittuale(negoziazione collettiva, soprattutto), dato che in esse non possono neanche essere costituiti gli organi di rappresentanza unitaria, cui solitamente compete l’esercizio di queste funzioni. La partecipazione collettiva dei lavoratori nelle imprese che non abbiano Delegati di Prevenzione, rimane legalmente molto limitata, ed in conseguenza, ne resta anche lesa l’efficace protezione dei lavoratori davanti a tutti gli specifici rischi sul lavoro che li colpiscono, dato che secondo il nuovo approccio della LPRL la partecipazione effettiva dei lavoratori si considera un presupposto essenziale dell’efficacia dell’attività preventiva realizzata dal datore di lavoro e, quindi, dell’efficacia della protezione goduta dai lavoratori i fronte ai rischi sui luoghi di lavoro. Inoltre, nelle imprese di più di 50 lavoratori, si dovrà costituire un organo partecipativo in senso stretto: il Comitato di Salute e sicurezza sul Lavoro, configurato come un organo paritetico, formato per i Delegati di Prevenzione e uguale numero di rappresentanti del datore di lavoro la cui funzione principale è la discussione e il dibattito su tutta l’attività preventiva che si pretenda di portare a termine nell’impresa col fine di arrivare a un accordo al riguardo. Nonostante si arrivi ad un accordo, lo stesso non sarà giuridicamente vincolante per il datore di lavoro, anche se questi dovrà giustificare perché non segue gli orientamenti e le proposte contenute in detto accordo. Tutte le facoltà che la LPRL concede ai lavoratori di partecipare collettivamente all’attività di prevenzione svolta dal datore di lavoro, al fine di garantire una protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul lavoro, pur avendo incrementato il livello delle tutele, in realtà, permettono soltanto una partecipazione «debole» dei lavoratori in questa materia, senza alcun meccanismo giuridicamente vincolante che costringa il datore di lavoro a prendere in considerazione le loro opinioni. Attualmente, soprattutto a partire dalla riforma del RSP attraverso il Regio decreto n. 604/2006, si insiste molto sulla partecipazione dei lavoratori nella gestione della prevenzione dei rischi all’interno dell’impresa, in tutti i suoi aspetti: introduzione e applicazione del Piano di PRL, valutazione dei rischi, pianificazione delle misure di sicurezza e organizzazione preventiva stabilita in ogni caso nell’impresa, ciò il meccanismo della consultazione e dell’accesso alla documentazione corrispondente(art. 1.2, primo paragrafo, del RSP)19. 19 In questo senso si deve tenere in conto di maniera specialmente distaccata, anche se l’art. 1.2 LPRL non fa nessun riferimento espresso allo stesso, l’art. 39.1 LPRL nel che, tra le competenze o funzioni attribuite al Comitato di Sicurezza e Salute si trova la relativa a «Participar en la elaboración, puesta en práctica y evaluación de los planes y programas de prevención de riesgos en la empresa. A tal efecto, en su seno se debatirán, antes de su puesta en práctica y en lo referente a su incidencia en la prevención de riesgos, los proyectos en materia de planificación, 120 Più in particolare, la partecipazione individuale dei lavoratori alla gestione della prevenzione si traduce in una serie di obblighi di collaborazione con il datore(art. 29e ss. LPRL). Si stima che l’attività preventiva sviluppata da parte del datore di lavoro, essendo assolutamente imprescindibile per garantire ai lavoratori una protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul lavoro, non risulterà di per sé stessa sufficiente se i lavoratori, non collaborano con lo stesso facendo in modo che quell’attività risulti efficace e raggiunga i suoi obiettivi. Si tratta di obblighi di collaborazione di carattere complementare poiché esigono che anticipatamente il datore di lavoro abbia adempiuto gli obblighi di formazione e informazione e di adozione delle misure di sicurezza,su di lui incombenti. Il datore di lavoro, come garante dell’efficace protezione dei suoi lavoratori, deve aver pertanto già adempiuto gli obblighi fondamentali su cui si innesta poi la collaborazione dei lavoratori, per proteggere efficacemente se stessi, i loro colleghi ed i terzi presenti nell’azienda. Il datore di lavoro è garante e deve promuovere e facilitare la necessaria e imprescindibile collaborazione dei suoi lavoratori, anche adottando misure disciplinari, a tale fine, poiché senza quella collaborazione dei lavoratori, il datore di lavoro non potrà mai rispettare, nei termini legalmente stabiliti, il suo dovere di garantire ai suoi lavoratori una protezione efficace. Inoltre, come dispone l’art. 15.4 LPRL, deve garantire la loro protezione efficace dai rischi sul lavoro derivanti dai loro stessi comportamenti imprudenti, sempre che sia una imprudenza professionale e non temeraria. In caso contrario, il datore incorrerà in responsabilità per inadempimento del suo dovere di garanzia. Tutti questi obblighi imposti al datore di lavoro, derivanti dalla sua condizione di garante del «nuovo approccio» alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro introdotto nell’ordinamento spagnolo con la LPRL, hanno un carattere strumentale in quanto non sono tanto finalizzati a prevenire i concreti rischi cui sono esposti i lavoratori, ma permettono, in ogni caso, di assicurare che le misure di sicurezza adottate siano le più efficaci, cioè, quelle che permettono di raggiungere il maggior livello di protezione possibile. Il Regio decreto n. 39/1997, del 17 di gennaio, che ha approvato il Regolamento de los Servicios de Prevención (Regolamento dei Servizi di Prevenzione) (RSP) recentemente modificato con il Regio decreto n. 604/2006, del 19 di maggio 2008, si occupa di regolare nel dettaglio tutti gli aspetti dell’attività preventiva che permettono di integrare la prevenzione dei rischi sul lavoro nel sistema di gestione globale delle risorse dell’azienda. Nonostante la sua denominazione, il RSP non si occupa soltanto di regolamentare le distinte modalità di organizzazione della prevenzione di rischi sul lavoro nell’impresa, cosiddetti «Servizi di Prevenzione», ma sviluppa parallelamente l’elemento centrale del nuovo approccio alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, introdotto dalla LPRL: l’obbligo imprenditoriale di gestire i rischi sul lavoro nell’ambito del sistema di gestione generale dell’impresa, secondo i quattro pilastri che la caratterizzano. A parte questi nuovi obblighi di carattere strumentale che, come si è detto, servono per introdurre nel Diritto spagnolo un nuovo approccio alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro e, contemporaneamente, per ottenere che il datore di lavoro possa garantire effettivamente a tutti e ciascuno dei suoi lavoratori una protezione efficace della propria vita e dell’integrità fisica e organización del trabajo e introducción de nuevas tecnologías, organización y desarrollo de las actividades de protección y prevención a que se refiere el artículo 16 de esta Ley y el proyecto de organización de la formación en materia preventiva». D’altra parte, secondo quanto prescritto dal secondo paragrafo dell’art. 36.1 d) LPRL, questa competenza sarà esercitata dai Delegati di Prevenzione in quelle imprese che, d’accordo con il disposto nell’art. 38.2 LPRL, non abbiano un CSST, perché non raggiungono quel numero minimo di lavoratori richiesto (50). I Delegati di Prevenzione, inoltre, hanno la funzione di vigilanza e controllo sull’adeguato adempimento da parte del datore di lavoro dei suoi obblighi preventivi (art. 36.1 d) LPRL) ed in virtù di essa potranno vigilare affinchè il Piano di prevenzione di rischi sul lavoro sia stato elaborato correttamente ed applicato in azienda nei termini previsti. Bisogna tenere in conto che i Delegati di Prevenzione, in quanto rappresentanti dei lavoratori specializzati in materia di salute e sicurezza sul lavoro, dispongono di una formazione specifica affinchè possano espletare effettivamente e adeguatamente le proprie funzioni e, inoltre, hanno accesso in ogni momento al Piano di prevenzione dei rischi sul lavoro, il quale, per legge (art. 23.1 a) LPRL e l’art. 2.1 RSP) deve essere in ogni caso documentale. 121 psichica, la LPRL impone al datore di lavoro un altro ampio elenco di obblighi indirizzati direttamente a prevenire i concreti rischi sul lavoro. Si tratta di obblighi che, in un modo o nell’altro, sono comparsi in tutte le norme vigenti in Spagna in materia di salute e sicurezza sul lavoro a partire dalla Ley de Accidentes de Trabajode materia de 1900 (legge di Infortuni sul lavoro di 1900). I principali obblighi di questo tipo sono: utilizzare attrezzature da lavoro ergonomicamente proporzionate alle esigenze corporee dei lavoratori lavoratrici (art. 17.1); dotare i lavoratori di dispositivi di protezione individuale adeguati e sorvegliare che gli stessi vengano utilizzati effettivamente (art. 17.2); informare i lavoratori sui rischi esistenti e sulle misure di sicurezza adottate per prevenirli (art. 18.1); dare formazione adeguata ai lavoratori, parametrata alle necessità preventive concrete e specifiche del posto di lavoro che occupano (art. 19); adottare misure di emergenza (art. 20); vigilare periodicamente lo stato di salute dei lavoratori (art. 22); adottare misure specifiche finalizzate a proteggere i lavoratori che si trovano in determinate situazioni che si considerano degne di speciale protezione: ipotesi dei lavoratori esposti ad un tipo di rischio particolarmente pericoloso, il cosiddetto rischio lavorativo «grave ed imminente»20 (art. 21), lavoratori che eseguono la prestazione insieme a lavoratori dipendenti da altri datori di lavoro distinti e/o con altri lavoratori autonomi (art. 24), lavoratori che risultano particolarmente esposti a determinati rischi per il loro stato di salute o che si sentano esposti a rischi che colpiscano le capacità procreative (art. 25), lavoratrici incinta, puerpere o in periodo di allattamento (art. 26), lavoratori minori di età (art. 27) e lavoratori con contratti di lavoro temporaneo o assunti attraverso agenzie di somministrazione di lavoro (art. 28). Inoltre, in molte delle norme applicative della LPRL, si contemplano molti altri obblighi di sicurezza riferiti all’adozione di concrete misure di sicurezza per prevenire i rischi sul lavoro specifici (rumore, vibrazioni, agenti cancerogeni, fisici, chimici, biologici, elettrici, d’incendio, ecc.), che dovranno essere adottate quando tale classe di rischio sia stato scoperto nell’impresa. Dalla disamina sin quì condotta possono trarsi le seguenti osservazioni. 1) Il fulcro principale intorno al quale ruota attualmente tutta la regolamentazione spagnola in materia di salute e sicurezza sul lavoro, a partire dalla LPRL, è il riconoscimento di un diritto soggettivo di tutti e ognuno degli individui considerati lavoratori, ai sensi della LPRL stessa, di godere di una protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul lavoro e l’imposizione al rispettivo datore di lavoro di un correlativo dovere di garantire la protezione efficace della loro vita, della loro integrità fisica e psichica e della loro salute, attraverso la prevenzione dei rischi sul lavoro ai quali siano esposti. Il datore di lavoro è obbligato assolutamente a proteggere la sicurezza e la salute di suoi lavoratori sul posto di lavoro, in quanto si trova nella posizione, giuridica21 ed economica, più idonea per controllarli. 2) Il dovere imposto legalmente al datore di lavoro di garantire a tutti i lavoratori al suo servizio, una protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul lavoro si traduce, in un dovere di prevenire i rischi sul lavoro ai quali si sentano esposti in ogni caso. Il legislatore non lascia al datore di lavoro grande libertà nella gestione della prevenzione, imponendo vincoli formali e procedurali determinati che mirano alla integrazione dell’attività preventiva all’interno del sistema globale di gestione delle risorse imprenditoriali. Ciò ha implicato una estensione del contenuto del dovere di gestione delle risorse imprenditoriali rispetto alla normativa anteriore. La LPRL ha incorporato una serie di nuovi obblighi che hanno un carattere strumentale poiché la loro osservanza è imprescindibile affinché il datore di lavoro possa adottare, in ogni momento, le misure di sicurezza che permettano di ottenere il maggiore livello di sicurezza e di protezione possibile. Una volta che il datore di lavoro ha osservato tali obblighi strumentali sarà già nella Forma espressa nell’art. 4. 4° LPRL. Il datore di lavoro è titolare del diritto alla libertà d’impresa, riconosciuto dall’art. 38 della Costituzione Spagnola, e in virtù dello stesso, ha il potere di creare organizzazioni produttive col fine di produrre beni e servizi e collocarli nel mercato onde ottenerne un beneficio economico. Alla libertà d’impresa si aggiunge il potere di organizzare, dirigere e controllare tutte le risorse produttive dell’impresa, comprese le risorse umane. Così è stabilito espressamente nell’ordinamento giuridico (lavorativo, art. 20 SL). 20 21 122 condizione di adottare quelle misure di sicurezza più adeguate per garantire a tutti ed a ciascuno suoi lavoratori il maggiore livello di protezione possibile, cioè, la protezione più efficace possibile. Solo se il datore di lavoro osserva tutti gli obblighi che integrano il contenuto del suo dovere di protezione e prevenzione, come prescritti dalla LPRL, si ritiene che abbia adempiuto adeguatamente tale dovere e, pertanto, solo in tale caso, rimarrà esente da qualunque tipo di responsabilità per inadempimento dello stesso. 3) Benché il datore di lavoro sia l’individuo al quale legalmente spetta più di ogni altro la protezione dei lavoratori, mediante la realizzazione dall’attività preventiva come specificata nella LPRL, la legge impone obblighi in materia di salute e sicurezza sul lavoro anche in capo ad altri soggetti: organi pubblici (art. 5 a 13), fabbricanti, importatori e somministratori degli strumenti e delle attrezzature da lavoro(art. 41), ed agli stessi lavoratori (art. 29). Si tratta di obblighi strumentali, direttamente orientati a garantire ai lavoratori una protezione efficace. Tanto si evince chiaramente all’art. 14.4 della LPRL, che stabilisce espressamente che l’imposizione di obblighi di sicurezza a questi individui distinti del datore di lavoro non esime il datore dalle sue responsabilità. In particolare i lavoratori non possono far valere i propri diritti, riconosciuti dalla LPRL, direttamente innanzi a questi individui distinti dal datore di lavoro, verso i quali potrà agire il solo datore di lavoro. La politica in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro. La sviluppo della sicurezza e salute dei lavoratori sul luogo lavoro costituisce un obiettivo perseguito anche dai poteri pubblici. Così è stato storicamente quando dalla metà del secolo XIX cominciarono a essere emanate leggi con questa finalità, e così sino a oggi, tanto a livello comunitario quanto a livello nazionale. In effetti, nell’ambito dell’Unione Europea lo stimolo di alcune condizioni di lavoro sicure e salutari per i lavoratori costituisce, come stabilito nel proprio Tratado de las Comunidades Europeas (Trattato delle Comunità Europee), uno degli obiettivi della sua politica sociale e, in conseguenza, una delle competenze delle istituzioni comunitarie. Nell’ordinamento spagnolo, poi, proprio la Costituzione del 1978, raccomanda espressamente ai poteri pubblici di «proteggere la sicurezza e l’igiene sul luogo di lavoro» (art. 40.2.). Essendo così, l’idea chiave è che ai poteri pubblici corrisponde un distaccato ruolo nel conseguimento dell’obiettivo di migliorare i livelli di salute e sicurezza sul luogo di lavoro e, in conseguenza, raggiungere un maggiore livello di sicurezza e di protezione della salute dei lavoratori. I poteri pubblici, perciò, si sentono giuridicamente obbligati a intervenire attivamente nelle relazioni di lavoro col fine specifico di garantire che i lavoratori possano svolgere la loro prestazione nelle condizioni più sicure e salutari. E in linea con questo dovere, sono obbligati ad adottare misure direttamente orientate a questa finalità. La principale ragione che giustifica l’attribuzione ai poteri pubblici di questa funzione di promuovere la sicurezza e la salute sul lavoro si trova nel fatto che i beni giuridici tutelati (salute, vita, integrità fisica e psichica) sono riconosciuti come diritti umani di carattere fondamentale, tanto a livello internazionale e comunitario quanto nazionale. Stando così le cose non solo ogni lavoratore ha un interesse legittimo per cui tali beni non vengano lesi a seguito dello svolgimento di una prestazione (interesse privato di ogni lavoratore esposto a rischi nel suo lavoro), ma gli stessi poteri pubblici hanno interesse affinché tali beni, data la loro natura, vengano protetti (interesse pubblico alla promozione della effettività della tutela di questi beni e dei diritti umani direttamente orientati a garantire la protezione degli stessi). Vi sono poi da considerare fattori socioeconomici: in primo luogo, lo sviluppo di alcune condizioni di lavoro sane e sicure determina una riduzione delle contingenze professionali (infortuni sul lavoro e malattie professionali) con una diminuzione dei costi sociali, diminuendo le spese previdenziali per coprire i costi degli infortuni sul lavoro e le patologie professionali;poi il miglioramento dei livelli di salute e sicurezza sul lavoro è funzionale ad aumentare, in modo 123 significativo, il rendimento dei lavoratori e, quindi, delle aziende e della loro competitività, garantendo così crescita economica. Oggi, poi, in Spagna sulla scia della Strategia Europea di Impiego consolidata a partire dal Consiglio Europeo di Lisbona dell’anno 2000, la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro costituiscono dei presupposti essenziali delle politiche di impiego, perche, mirano contemporaneamente all’aumento dei posti di lavoro ed al miglioramento della sua qualità, come espressamente sottolineato dalla Comunicazione della Commissione del 21 di febbraio di 2007 «Migliorare la qualità e la produttività del lavoro: strategia comunitaria della salute e sicurezza sul luogo di lavoro (2007-2012)»). L’attività normativa è ovviamente il primo fondamentale step per il conseguimento di questi obiettivi. Attualmente, le norme regolatrici della salute e sicurezza sul lavoro attribuiscono specialmente ai poteri pubblici funzioni di sensibilizzazione, divulgazione, informazione, formazione ed assistenza su tutte le questioni legate al tema della salute e sicurezza sul lavoro, così come i compiti di somma importanza di vigilare e controllare che tutti gli altri individui implicati nell’attività preventiva – specialmente il datore di lavoro – adempiano gli obblighi in materia (si veda il Capitolo II della LPRL: art. 5 a 13). Anche se il ruolo attribuito ai poteri pubblici ha un’enorme rilevanza in merito, in ogni caso non bisogna perdere di vista che il soggetto che in assoluto è maggiormente investito di compiti di tutela resta il datore di lavoro. Le funzioni attribuite ai poteri pubblici in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro compiono una funzione essenzialmente «strumentale» o coadiuvante rispetto agli obblighi datoriali: sono direttamente orientate a che il datore di lavoro si trovi effettivamente nelle condizioni necessarie ed adeguate ed adempia tutti gli obblighi imposti dalla legge. L’insieme delle misure adottate dagli organi pubblici per l’attuazione delle previsioni normative in vigore in materia di salute e sicurezza sul lavoro costituiscono la cosiddetta «politica preventiva». Le misure pubbliche adottate in materia di salute e sicurezza sul lavoro sono rivolte essenzialmente a promuovere l’effettivo compimento da parte dei vari individui giuridicamente obbligati – soprattutto da parte del datore di lavoro –, dei rispettivi obblighi contenuti nella legislazione in vigore, i quali, come già accennato, e come espressamente sottolinea la LPRL, sono orientati direttamente alla prevenzione dei rischi sul lavoro, perché questo compimento volontario degli obblighi volti direttamente a eliminare o ridurre i rischi sul lavoro, che incidono sulla vita, l’integrità psicofisica e la salute dei lavoratori e costituiscono la forma più efficace per ridurre gli infortuni sul lavoro e ancora di più, a garantire ai lavoratori un maggior benessere sul lavoro ovvero una migliore qualità nei posti di lavoro. In più di undici anni dall’entrata in vigore della LPRL si è rilevato che i soggetti obbligati in materia di salute e sicurezza sul lavoro sono reticenti all’osservanza della normativa. Ciò ha obbligato le istituzioni ad adottare misure dirette per il miglioramento dell’efficacia dell’attuazione degli organismi incaricati della vigilanza e controllo dell’efficacia dell’attività preventiva portata a termine nelle organizzazioni imprenditoriali, così come in ultima istanza, a rinforzare l’efficacia dei meccanismi sanzionatori degli inadempimenti già effettivamente prodotti. Si capisce che, dato l’alto indice di incidenti sul lavoro esistente in Spagna, con gli elevati costi umani, sociali ed economici correlati, i meccanismi coercitivi devono costituire uno strumento efficace in primo luogo al fine di punire il trasgressore per il suo inadempimento, tenendo in conto tutti gli effetti nocivi che tale inadempimento provoca, e in secondo luogo per dissuadere gli individui obbligati da futuri inadempimenti, spingendoli all’osservanza degli obblighi preventivi. Come già detto i poteri pubblici, prima e dopo la LPRL, hanno svolto un rilevante ruolo nella promozione della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro adottando diversi tipi di misure. Queste misure normalmente erano il risultato dell’attività ciascuno degli organismi pubblici con competenze in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Il risultato di quest’attività normalmente si traduceva in misure isolate e sconnesse che a volte risultavano perfino incompatibili tra loro per rispondere ai criteri od obiettivi molto diversi, ciò si 124 traduceva nella loro assoluta carenza di effettività. Oggi, nel perseguimento degli obblighi sanciti dall’art. 11 LPRL, specialmente quelli di coordinazione ed efficacia, la politica preventiva è oggetto di una pianificazione strategica accurata. Questo nuovo modo di agire è molto importante se si tiene conto del fatto che dentro la politica preventiva coinvolge non solo le istituzioni del lavoro e della previdenza sociale, ma anche ma anche le istituzioni sanitarie, scolastiche e quella industriali, con una rete organizzativa non solo a carattere centrale, ma anche locale. Oggi la politica spagnola in materia di salute e sicurezza sul lavoro, è fortemente orientata a che i diversi individui implicati nell’attività preventiva adempiano gli obblighi imposti dalla normativa in vigore, che è sistematizzata con carattere generale nella cosiddetta Estrategia Española de Seguridad y Salud en el Trabajo (Strategia Spagnola di Salute e sicurezza sul lavoro (2007-2012)), promossa il 28 giugno 2007(accordata dal Governo spagnolo, le associazioni imprenditoriale CEOE e CEPYME e le centrali sindacale UGT e CCOO nel seno della Commissione Nazionale della Salute e Sicurezza sul lavoro e vidimata posteriormente per il Governo) il cui antecedente più immediato è il Plan de actuación para la mejora de la seguridad y la salud en el trabajo y la reducción de los accidentes laborales, (Piano di attuazione per il miglioramento della sicurezza e la salute sul lavoro e la riduzione degli infortuni sul lavoro” presentato per il Ministero di Lavoro e Temi Sociali il 22 aprile di 2005).Essa dichiara di essere lo strumento per stabilire le politiche di prevenzione dei rischi sul lavoro nel breve, ma soprattutto nel medio e nel lungo periodo, tanto a livello statale che locale (Comunità Autonome). Tanto questa nuova Strategia preventiva quanto il Piano di attuazione anteriore mettono chiaramente in rilievo la grande importanza che il Governo statale attuale attribuisce alla sicurezza e alla salute sul lavoro, considerando che il miglioramento delle condizioni al riguardo, e soprattutto la riduzione degli incidenti sul lavoro, costituiscono una delle priorità della sua politica del lavoro. Essa è evidentemente ispirata alla Strategia comunitaria di salute e sicurezza sul lavoro (2007-2012), approvata con la Risoluzione del Consiglio, del 25 giugno 2007, ed anche nell’anteriore Strategia comunitaria sulla salute e sicurezza sul lavoro, vigente durante il periodo 2002-2006. Esse invitano gli Stati Membri a sviluppare e ad applicare politiche di prevenzione coordinate, coerenti e adattate alle realtà nazionali. Le misure contemplate in questa nuova Strategia spagnola si dirigono fondamentalmente a promuovere l’attuazione effettiva della LPRL e del resto della normativa preventiva in vigore22. Con l’elaborazione della Strategia spagnola della salute e sicurezza sul lavoro (2007-2012), il Governo centrale, contando sulla partecipazione degli attori sociali, tenta di pianificare le misure che devono adottare le diverse amministrazioni pubbliche con competenze in materia di salute e sicurezza sul lavoro, con obiettivi perfettamente definiti e partendo da una dettagliata analisi delle reali condizioni di sinistrosità sul lavoro. Attraverso questa Strategia inoltre la politica preventiva viene a connotarsi di un carattere integrale e trasversale. Infatti, da una parte si adotta una visione globale della prevenzione dei rischi sul lavoro cercando conseguentemente di prevedere tutti i tipi di misure che possano ripercuotersi favorevolmente sulla riduzione della sinistrosità nei posti di lavoro, dall’altra si cerca di porre la riduzione della sinistrosità ed il miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro quali elementi imprescindibili nella programmazione della altre politiche. Il punto chiave della Strategia spagnola si situa, principalmente, nel fatto di stabilire il quadro generale di riferimento per l’attuazione di tutte le azioni pubbliche in materia di salute e sicurezza sul lavoro durante i prossimi cinque anni. Criterio cardine nello svolgimento dei rispettivi ruoli delle amministrazioni è quello del coordinamento, che solo può garantire che le misure adottate da tutti e ognuno di essi siano conformi agli obiettivi della Strategia, e coerenti tra loro, evitando qualunque spreco delle risorse disponibili. Si tratta così di dare attuazione al compito di Sui nuovi approcci che dovrebbe assumere la politica preventiva, tanto in Spagna quanto nello scenario internazionale e comunitario, rinvio M. Rodríguez-Piñero, “Nuevos enfoques de la prevención de los riesgos laborales, in Relaciones Laborales, 2005, n. 1, Editorial. 22 125 coordinazione, stabilito con carattere generale nell’art. 103.1 della Costituzione Spagnola di 1978 come uno dei principi al quale deve sottomettersi in ogni caso l’operato delle Amministrazioni pubbliche, richiamato dall’art. 5.1 della stessa LPRL. Giustamente la manifestazione concreta dell’azione coordinata delle diverse Amministrazioni pubbliche è la pianificazione, attraverso la quale si specificano gli obiettivi da perseguire e le azioni per la loro realizzazione nel modo più rapido e con la maggiore utilizzazione delle risorse materiali e umane disponibili. In definitiva, si cerca di progettare un sistema generale di coordinazione di tutte le azioni pubbliche, considerando che quella coordinazione costituisce un presupposto assolutamente imprescindibile dell’efficacia delle misure che si adottano. Logicamente, prima dell’elaborazione di questa Strategia i poteri pubblici avevano portato anche a termine importanti programmi di attuazione ed implementazione della LPRL e di tutte le altre norme di rango regolamentare che la sviluppano,per ridurre il numero di infortuni sul lavoro e delle malattie professionali. La differenza è che ora, attraverso la Strategia, quelle misure sono il risultato di una pianificazione previa, alla quale hanno preso parte gli stessi datori di lavoro ed i lavoratori attraverso le rispettive organizzazioni sindacali, elemento che contribuisce ad una maggiore effettività di tali misure e alla riduzione significativa dei danni professionali che soffrono i lavoratori. Il punto di partenza delle misure contemplate nella Strategia è la valutazione che l’alto indice di infortuni sul lavoro in Spagna ha la sua causa principale in un’inadeguata applicazione della normativa preventiva. In conseguenza, tutte le misure proposte sono direttamente orientate a ottenere la piena applicazione di detta normativa in «tutte» le aziende a tutela di tutti i lavoratori. Il suo obiettivo essenziale è la prevenzione dei rischi sul lavoro e l’applicazione del «nuovo approccio» alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro consacrato nella LPRL, basato fondamentalmente sull’integrazione dell’attività preventiva all’interno del sistema di gestione globale delle risorse dell’impresa e sul coinvolgimento attivo degli stessi lavoratori nella progettazione e nell’attuazione di questa attività da parte del datore di lavoro, che è il principale obbligato. Per riuscire a raggiungere tale obiettivo e, una volta conosciute le cause di questa generalizzata mancanza d’applicazione della normativa preventiva in vigore, nella Strategia si stabiliscono una serie di linee di attuazione che devono seguire tutti i poteri pubblici implicati nella materia di salute e sicurezza sul lavoro, per correggere questa situazione. La Strategia si articola intorno a due grandi obiettivi generali, il cui conseguimento esige, allo stesso tempo, il raggiungimento di otto obiettivi operativi più specifici. Per ognuno di essi, poi, si progettano linee di attuazione che dovranno essere seguite da tutti gli organi pubblici aventi competenze in materia di prevenzione dei rischi sul lavoro, (Amministrazione Generale dello Stato, Amministrazioni autonome, parti sociali, il cui coinvolgimento si considera assolutamente fondamentale per il conseguimento degli obiettivi fissati.(principio della «partecipazione istituzionale» raccolto già nell’art. 5.1.b, della LPRL)23. In ognuna delle linee di attuazione sopra citate, poi, vi sono una o più misure più concrete la cui esecuzione corrisponde ai diversi organismi pubblici con competenze in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro, e la cui attuazione deve orientarsi in ogni caso in base al principio di coordinazione. Gli obiettivi generali sono i seguenti: • da una parte, ottenere una riduzione costante e significativa degli incidenti sul lavoro e l’avvicinamento ai valori posti dall’Unione Europea, tanto in relazione agli infortuni sul lavoro quanto alle malattie professionali; • dall’altra, coerentemente a quanto disposto dalla LPRL, il miglioramento continuo e progressivo delle condizioni della salute e sicurezza sul lavoro, non soltanto evitando il verificarsi dei danni professionali, bensì prevenendo i rischi sul lavoro in modo che i lavoratori possano Uno dei principali fondamentali sanciti dalla LPRL, sul ruolo degli organismi pubblici aventi competenze in materia di sicurezza e salute sul posto di lavoro, è quello della «partecipazione istituzionale». In questo senso vid. L’art. 5.1 b) di questa legge. 23 126 svolgere la loro prestazione in condizioni più sicure e, quindi, godere di un maggior benessere sul lavoro. Quest’obiettivo risponde anche a una finalità economica, poiché la qualità del lavoro si ripercuote direttamente su un maggior rendimento dei lavoratori e, pertanto, in una maggiore produttività delle imprese. Gli otto obiettivi operativi, rivolti al conseguimento di questi due obiettivi generali, si raggruppano, a loro volta, in due grandi gruppi. 1 Obiettivi operativi: destinati al miglioramento dei sistemi di prevenzione delle imprese. Sono obiettivi riferiti alle aziende, cioè, che devono essere raggiunti da esse attraverso i meccanismi di aiuto pubblico fissati. Gli obiettivi operativi compresi in questo primo gruppo sono i seguenti. a) Riuscire ad ottenere una migliore e più efficace attuazione della normativa, con speciale attenzione alle piccole e medie imprese. Si tenta di favorire l’attuazione in tutte le imprese della normativa preventiva mediante misure che siano adattate alla realtà sociale ed economica di ognuna di esse, perché in un altro caso, non risulteranno efficaci. Si rivolge speciale attenzione alla promozione della sicurezza e la salute sul lavoro nelle piccole e medie imprese, e soprattutto, quelle che contano tra 1 e 49 lavoratori, che costituiscono la maggior percentuale e del tessuto imprenditoriale (il 98%), in cui vi è un indice di incidenti medio molto superiore a quello delle imprese di maggiori dimensioni. b) Migliorare l’efficacia e la qualità del sistema di prevenzione, ponendo l’accento sui soggetti specializzati nella prevenzione (servizi di prevenzione esterni). Si tenta di garantire a queste ultime le risorse necessarie per compiere adeguatamente le loro funzioni nelle distinte imprese che se ne avvalgono, e soprattutto che stiano in condizioni di contribuire all’integrazione dell’attività preventiva nel sistema di gestione di tutte e ognuna delle differenti imprese alla quale prestano i suoi servizi. c) Fortificare il ruolo degli interlocutori sociali ed il coinvolgimento dei datori di lavoro e dei lavoratori nel miglioramento della sicurezza e la salute sul lavoro. Si insiste sull’importanza della partecipazione dei lavoratori nella progettazione dell’attività preventiva adottata in ogni tipo di impresa, anche in quelle che, per le ridotte dimensioni, ai sensi della LPRL, non possono disporre di organi di rappresentanza. 2 Obiettivi operativi destinati ai poteri pubblici col fine di razionalizzare e migliorare le azioni di ognuno di essi in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Gli obiettivi operativi che integrano questo secondo gruppo sono i seguenti. a) Sviluppare e consolidare la cultura della prevenzione nella società spagnola che considera l’integrazione nel sistema globale di gestione imprenditoriale dell’attività preventiva, condizione fondamentale per una maggiore effettività. b) Perfezionare i sistemi d’informazione ed ispezione in materia di salute e sicurezza sul lavoro. c) Potenziare la formazione in materia di prevenzione dei rischi sul lavoro. d) Rinforzare le istituzioni dedicate alla prevenzione dei rischi sul lavoro. e) Migliorare la partecipazione istituzionale e la coordinazione delle Amministrazioni pubbliche nelle politiche di prevenzione di rischi sul lavoro. Questo è l’obiettivo fondamentale poiché dal suo conseguimento dipende l’efficacia dalle misure adottate dalle diverse Amministrazioni pubbliche con la finalità di raggiungere il resto degli obiettivi operativi previsti nella Strategia. Come si è già indicato in precedenza, la Strategia fa riferimento anche agli attori sociali, per riuscire a raggiungere in maniera effettiva ognuno degli obiettivi operativi previsti e, in ultima istanza, i due obiettivi generali ai quali risultano funzionali. Questa Strategia è stata accompagnata da un «Plan de Acción para el impulso y la Estrategia Española de Seguridad y Salud en el Trabajo (2007-2012)», (Piano di Azione per l’impulso e la Strategia Spagnola della Salute e sicurezza sul lavoro), nel quale si specificano le azioni concrete che, nel quadro generale previsto dalla Strategia, devono eseguirsi in maniera immediata nel breve 127 periodo compreso tra luglio del 2007 ed aprile del 2008. Si tratta, in definitiva, di un insieme di misure che il Governo considera prioritarie per la riduzione dei costi umani, sociali ed economici sottesi agli incidenti sul lavoro. È importante segnalare che, anche questo piano, come la strategia, è stato considerato un piano coinvolgente tutti gli attori implicati nella prevenzione dei rischi sul lavoro. Infatti, la sua esecuzione sarà promossa dal Governo con il massimo coinvolgimento tanto delle Comunità Autonome, date le rilevanti competenze in materia di prevenzione dei rischi sul lavoro, quanto degli interlocutori sociali. Solo così la Strategia potrà spiegare tutti i suoi effetti in vista di ottenere i suoi due obiettivi basici: la riduzione costante e rilevante della sinistrosità e il miglioramento continuo e progressivo delle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro. Si contemplano così le seguenti misure: • miglioramento dell’efficacia e della qualità della prevenzione, Facilitando l’attuazione della normativa a livello delle piccole e medie imprese ed elevando il livello di salute e sicurezza dei lavoratori autonomi e dei lavoratori che prestano servizi per imprese subappaltatrici; • controllo e vigilanza dell’attuazione della normativa, ricorrendo ai mezzi indicati dal Piano di Azione per la riduzione della sinistrosità; • consolidamento della cultura della prevenzione nella società, attraverso la sua integrazione nel sistema scolastico e la realizzazione sistematica di campagne di sensibilizzazione sociale che promuovano condotte che garantiscano la salute e sicurezza sul lavoro; • impulso e perfezionamento del sistema di informazione ed ispezione in materia di prevenzione di rischi sul lavoro necessario per la progettazione delle politiche preventive pubbliche mediante la creazione dell’INSHT nell’ambito dell’Osservatorio Statale di Condizioni di Lavoro e lo stabilimento di una rete statale di istituti pubblici scientifici e tecnici nella materia, per potenziare la capacità tecnica e mediante la coordinazione e la sinergia di tutte le risorse pubbliche disponibili nello Stato; • rafforzamento delle istituzioni dello Stato competenti, come l’Ispettorato del Lavoro e della Previdenza Sociale e l’Istituto Nazionale di Sicurezza e Igiene sul lavoro, come organismo scientifico e tecnico dello Stato e Centro di riferimento nazionale nella materia cui la Strategia assegna una missione indispensabile e fondamentale per lo sviluppo della stessa; • miglioramento della coordinazione tra le Amministrazioni Pubbliche competenti, mediante la creazione nel seno dell’INSHT della Commissione Tecnico-mista come organo collegiale per la cooperazione e coordinazione delle politiche preventive pubbliche tra l’Amministrazione Generale dello Stato e quella delle Comunità Autonome ed il miglioramento della partecipazione istituzionale mediante il processo di rivalutazione della Commissione Nazionale di Salute e sicurezza sul lavoro. Per il resto, il Governo invita Comunità Autonome, organizzazioni sindacali ed associazioni imprenditoriali ad attuare le misure contemplate dalla Strategia e che ricadano nel loro ambito di responsabilità e competenza, in maniera compatibile con l’aspirazione della Strategia di progettare la cornice comune e condivisa delle azioni in materia di prevenzione dei rischi sul lavoro a sviluppare per il Governo, le Comunità Autonome e gli interlocutori sociali. Come si è segnalato, il Piano abbraccia un periodo di dieci mesi (da luglio del 2007 fino ad aprile del 2008) trascorso il quale sarà necessario verificare il grado di attuazione delle misure da esso contemplate. Questo sarà il momento per definire la nuova agenda del Governo per l’impulso della Strategia Spagnola per la Salute e Sicurezza sul lavoro almeno fino al 2010, in cui avrà luogo la revisione intermedia della Strategia. Infine si osserva che la maggior parte degli obiettivi proposti e delle misure concrete di attuazione che si stabiliscono per raggiungerli, in realtà, non costituiscono una vera novità della politica preventiva sviluppata dal Governo spagnolo, poiché in precedenza vi erano già state diverse azioni simili e con gli stessi obiettivi. Il principale apporto e la novità della Strategia 2007-2012 si rinviene, quindi, non tanto nei suoi aspetti materiali, bensì nel suo approccio metodologico: nel fatto di pianificare in modo coerente e razionale tutta la politica preventiva da sviluppare in 128 Spagna nei prossimi cinque anni da parte di tutti gli organismi con competenze in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro, a tutti i livelli territoriali24. D’altra parte, recentemente sono state adottate anche importanti misure orientate a rinforzare la repressione degli inadempimenti della normativa preventiva. In concreto si tratta delle misure orientate a punire adeguatamente gli inadempimenti più gravi della normativa preventiva attraverso un uso più adeguato degli strumenti di responsabilità penale già legalmente previsti. Questo gruppo di misure sono previste nel «Protocolo Marco de colaboración entre el Consejo General del Poder Judicial, el Ministerio del Interior, el Ministerio de Trabajo y Asuntos Sociales y la Fiscalía General del Estado para la investigación eficaz y rápida de los delitos contra la vida, la salud y la integridad física de los trabajadores y la ejecución de las sentencias condenatorias», firmato il 19 settembre 2007. Questo Protocollo Quadro di collaborazione firmato dal Consiglio Generale del Potere Giudiziale, il Ministero dell’Interno, il Ministero di Lavoro e Temi Sociali e la Procura Generale dello Stato – cui hanno aderito anche le organizzazioni sindacali UGT e CCOO, così come l’Associazione Generale dell’Avvocatura – col fine di avere una rilevazione efficace e rapida dei delitti contro la vita, la salute e l’integrità fisica dei lavoratori e garantire l’esecuzione effettiva delle sentenze di condanna pronunciate nei processi penali, costituisce manifestazione del nuovo orientamento che i poteri pubblici stanno dando alla politica sulla salute e sicurezza sul lavoro, incentrata essenzialmente sulla coordinazione delle attività facenti capo alle distinte Amministrazioni e organismi pubblici competenti. La coordinazione interamministrativa risulta ancora più forte che nella Strategia, probabilmente grazie ad un approccio ancor più concreto. In effetti, mentre la Strategia spagnola della salute e sicurezza sul lavoro (2007-2010) si riferisce a tutte le misure necessarie che devono adottarsi nel breve e nel medio periodo per ottenere che tutte le aziende attuino effettivamente e adeguatamente la normativa preventiva in senso stretto, il Protocollo in questione, contiene le misure orientate a ottenere l’effettiva applicazione della normativa sanzionatoria di carattere penale affinché gli inadempimenti più gravi della normativa preventiva non rimangano impuniti, garantendo contemporaneamente il rispetto del principio costituzionale ne bis in idem. Il motivo principale che giustifica l’elaborazione di questo Protocollo Quadro si trova nella constatazione empirica, attraverso lo Studio realizzato dal Servizio di Pianificazione e Analisi del Consiglio Generale del Potere Giudiziale su «Siniestralidad Laboral: análisis de la respuesta jurisdiccional» (Sinistrosità Lavorativa: analisi della risposta giurisdizionale), approvato nel Plenum di detto organismo il 17 gennaio del 2007, da un lato dell’alta sinistrosità sul lavoro esistente ed i correlati gravi danni individuali e sociali che implica, e dall’altra dello scarso numero dei processi penali iniziati nei confronti dei soggetti inadempienti responsabili di tali eventi. Il presupposto di base è che gli infortuni sul lavoro costituiscono un grave problema sociale che richiama un’adeguata risposta penale che, in Spagna, nonostante le astratte previsioni legali, non trova adeguata applicazione pratica. L’applicazione pratica di questa metodologia nelle politiche pubbliche in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in realtà, non costituisce una novità della «Strategia spagnola della salute e sicurezza sul lavoro (2007-2012)», poiché la stessa deriva dal «Piano di attuazione per il miglioramento della salute e sicurezza sul posto di lavoro e la riduzione degli incidenti sul lavoro», presentato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nell’aprile 2005, che stabiliva gli stessi obiettivi della Strategia, in virtù dei quali il Governo centrale ha adottato e spinto diverse misure: la segregazione delle attività preventive delle Mutue di Infortuni sul lavoro e Malattie Professionali rispetto alle attività sviluppate da queste come servizi di prevenzione altrui, la riforma del Regolamento dei Servizi di Prevenzione per favorire l’integrazione della prevenzione dei rischi sul lavoro nelle imprese, l’aumento delle risorse destinate all’Istituto Nazionale di Sicurezza e Igiene sul Lavoro, l’Ispezione di Lavoro e Previdenza Sociale, la istituzione della Fondazione per la Prevenzione dei Rischi sul lavoro e la formazione in materia preventiva, la emanazione della legge regolatrice del subappalto nel settore dell’edilizia, la nuova tariffa per la quotazione alla Previdenza Sociale per gli infortuni sul lavoro e per le malattie professionali e il nuovo sistema di dichiarazione, notificazione e registro delle malattie professionali. Bisogna tenere in conto, inoltre, i Piani già elaborati dal Governo centrale in relazione alle varie Comunità Autonome. 24 129 La contrattazione collettiva. L’art. 2.2 della LPRL stabilisce che le disposizioni contenute in essa e nelle norme applicative hanno in ogni caso il carattere di «diritto minimo indisponibile» e che, di conseguenza, possono essere migliorate dagli accordi collettivi. Questa regola generale ha soltanto un’eccezione prevista nell’art. 35.4 della stessa LPRL. Questo precetto concede il carattere di «diritto dispositivo» alla regolamentazione legale relativa al sistema di designazione dei Delegati di Prevenzione nelle imprese o centri di lavoro permettendo che attraverso la contrattazione collettiva si stabiliscano sistemi di designazione diversi e che possano crearsi organi specifici di rappresentazione dei lavoratori in materia di salute e sicurezza sul lavoro distinti dei Delegati di Prevenzione. Conformemente alla regola generale stabilita nell’art. 2.2 della LPRL alla contrattazione collettiva è riconosciuto un’importante ruolo in materia di salute e sicurezza sul lavoro. In primo luogo, possono regolare in melius le condizioni legali e regolamentari di protezione minime stabilite dalla legge. Inoltre, anche se la LPRL non lo sancisce espressamente, hanno un’importante funzione di «adattamento» della normativa preventiva, nelle aziende e in settori concreti, ai costanti cambiamenti, funzione essenziale per ottenere l’effettività di detta normativa. La contrattazione collettiva costituisce uno strumento voluto dal legislatore per garantire che l’attività preventiva sviluppata nelle imprese si fondi in misura adeguata sulla partecipazione dei lavoratori e si adatti alle sue particolarità, e in conseguenza, risulti veramente efficace25. E ciò, sopratutto per quanto riguarda quei gruppi di lavoratori che per le loro intrinseche peculiari caratteristiche richiedano un’attenzione particolare nella protezione efficace della salute e sicurezza sul luogo di lavoro, gruppi rispetto ai quali la normativa preventiva – salvo eccezioni – stabilisce una regolazione molto generica che deve essere specificata in ogni singolo caso, o addirittura nulla dispone26. Tuttavia, l’evoluzione pratica di questo ruolo teorico che la contrattazione collettiva dovrebbe avere è risultata abbastanza deludente. Da una prospettiva generale e storica si può dire che la contrattazione collettiva si è poco occupata di salute e sicurezza sul lavoro e quando l’ha fatto, salvo poche eccezioni, si è limitata a richiamare la legislazione preventiva vigente oppure a occuparsi dei temi troppo circoscritti, in maniera distaccata e grossolana (bonus di tossicità e salubrità sul lavoro e della vigilanza della salute, dei riconoscimenti medici o di determinate misure preventive, per esempio(dei capi d’abbigliamento di sicurezza). Va detto, tuttavia, che negli ultimi anni, grazie alla progressiva applicazione della LPRL, si è apprezzato un notevole incremento dell’interesse della contrattazione collettiva sul tema grazie, soprattutto, al fatto che le organizzazioni sindacali e imprenditoriali più rappresentative l’hanno considerato uno degli aspetti fondamentali. In effetti, negli Accordi Interconfederali più recenti, la salute e la sicurezza sul lavoro sono tra gli aspetti prioritari che devono essere presenti in tutti gli accordi collettivi. Per esempio nell’AINC dal 2007, nel suo capitolo VII, dedicato specificamente alla salute e sicurezza sul lavoro, dopo avere ribadito la necessità del forte impegno degli attori sociali (CCOO, UGT, CEOE e CEPYME) di contribuire con maggior efficacia alla prevenzione dei rischi sul lavoro e alla riduzione degli incidenti sul lavoro in Spagna, si specificano i principali aspetti che in questa materia devono essere oggetto di trattazione, essi 25 La dottrina e la stessa LPRL nella sua Exposición de Motivos (Esposizione di Motivi) hanno messo in risalto il fatto che le norme in materia di sicurezza salute sul lavoro, per essere efficaci, richiedono un adattamento costante e un adeguamento permanente alle trasformazioni dell’organizzazione produttiva e all’evoluzione dei rischi ad essa connessi. Si veda, per tutti., J. Aparicio Tovar, S. González Ortega, Comentarios a la Ley 31/1995 de Prevención de Riesgos Laborales, Trotta, Madrid, 1996, 18-19. 26 Tuttavia, qualche autore ha reso evidente che, in realtà, lo spazio che la normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro di rango legale e regolamentare lascia alla contrattazione collettiva è molto ridotto, soprattutto per i profili concernenti il dovere di sicurezza del datore di lavoro, regolamentato con gran ampiezza e dettaglio in detta normativa. Così lo segnala J. Cruz Villalón, Ambiente de trabajo y nuevas técnicas normativas, in Relaciones Laborales, 2006, n. 10, Editorial, che sottolinea espressamente che la prevenzione dei rischi sul lavoro deve essere affrontata nell’ambito delle relazioni industriali, a dispetto di quanto sostenuto dalla tecnica normativa più tradizionale, che sostiene la rigida regolamentazione statale. 130 sono:l’integrazione della prevenzione; la vigilanza della salute, intesa come qualcosa di più ampio che un mero riconoscimento medico e direttamente vincolata alla valutazione dei rischi; la formazione dei lavoratori in funzione delle caratteristiche di ogni posto di lavoro; la formazione dei Delegati di Prevenzione; l’elezione, il credito orario e le forme di collaborazione con il datore di lavoro dei Delegati di Prevenzione; i procedimenti attraverso i quali il datore di lavoro esegue il suo obbligo di informazione e consultazione in relazione all’elaborazione l’attuazione del Piano di Prevenzione di Rischi sul Lavoro e della valutazione di rischi anche in relazione a quelli legati a situazione di compresenza di più imprese su uno stesso luogo di lavoro e delle misure preventive di coordinazione che debbano adottarsi per affrontarli; la fissazione dei procedimenti per conoscere l’incidenza del consumo di alcool ed altre sostanze sulla salute e sicurezza sul lavoro e l’adozione delle corrispondenti misure preventive nel quadro della politica sociosanitaria; e finalmente, si fa un’espressa menzione dello stress, segnalandosi la convenienza di introdurre attraverso la contrattazione collettiva l’Accordo Quadro europeo sullo stress, così come accaduto attraverso l’AINC del 2003 per il recepimento dell’Accordo Quadro Europeo sul telelavoro. Oggi pare che la salute e sicurezza sul lavoro siano un aspetto delle relazioni industriali che, anche se con evidente sforzo e lentezza, sta guadagnando quota progressivamente nella contrattazione collettiva spagnola, anche se da un punto di vista qualitativo è ancora abbastanza limitato l’approfondimento che con essa si realizza del dettato normativo, limitandosi il più delle volte a rinviare alla LPRL27, limitandosi a reiterare quanto stabilito dalla normativa preventiva vigente; a realizzare semplici dichiarazioni di intenzioni senza efficacia giuridica immediata; a creare organi specifici di rappresentanza dei lavoratori in materia di salute e sicurezza sul lavoro od organismi paritetici con la finalità di adottare determinate misure orientate a promuovere la sicurezza e la salute sul lavoro nell’ambito di applicazione dell’accordo; ad ampliare le competenze e facoltà dei Delegati di Prevenzione, pur senza arrivare mai a stabilire il diritto di veto di questi rappresentanti; a regolamentare i riconoscimenti medici; a stabilire le modalità di organizzazione della prevenzione cui il datore di lavoro è tenuto per adempiere effettivamente il suo dovere di sicurezza; a pronunciarsi su determinate misure di sicurezza specifiche di speciale attinenza ad un ambito settoriale cui l’accordo collettivo risulti applicabile28. Logicamente, in questo deludente quadro generale, si possono trovare alcune eccezioni importanti, relative soprattutto ad accordi collettivi di ambito nazionale corrispondenti a settori di attività di speciale pericolosità e con alti indici di infortuni sul lavoro. Tra essi risaltano, per esempio, attualmente i vigenti accordi collettivi dei settori dell’industria chimica29 e dell’edilizia30. In questo ultimo, per esempio, dei suoi 241 articoli, 128 sono dedicati alla regolamentazione di aspetti concernenti la salute e sicurezza sul lavoro (Libro II: dell’art. 113 al 241). Le ragioni principali che spiegano il perché la contrattazione collettiva rimanga poco ricettiva a trasformarsi in un poderoso strumento per ottenere più elevati livelli di protezione dei lavoratori con carattere generale sono fondamentalmente tre: • la mancanza di una cultura preventiva generale che coinvolga anche i rappresentanti collettivi dei lavoratori, in modo che durante il processo di negoziazione uno dei primi temi posti sul tavolo delle trattative sia quello della prevenzione dei rischi sul lavoro, la quale continua ad essere considerata ancora in molti casi come un aspetto secondario delle relazioni industriali, pronto a cedere davanti ad altre questioni più rilevanti, tra cui gli incrementi salariali; • la mancanza di formazione adeguata degli individui negoziatori in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Bisogna avere presente che i rappresentanti dei lavoratori che negoziano Sugli aspetti dei quali dovrebbe occuparsi la contrattazione collettiva, vedere J.R. Mercader Uguina, A.B. Muñoz Ruíz, El futuro de la negociación colectiva en materia de prevención de riesgos laborales, in Aranzadi Social, 2002, n. 14. 28 Un importante studio empirico sul punto è stato elaborato dall’Instituto Sindical de Trabajo, Ambiente y Salud (ISTAS) (Istituto Sindacale di Lavoro, Ambiente e Salute) sulla salute sul luogo del lavoro nella contrattazione collettiva, pubblicato nel 2003 e cofinanziato dall’Agenzia Europea della Salute e Sicurezza sul luogo di Lavoro, che contiene una raccolta delle «buone clausole» convenzionali sulla materia durante il periodo 1998-2002. 29 XV Convenio de la Industria Química, a cura del Boletín Oficial del Estado, 29 agosto del 2007. 30 Convenio General de la Construcción, in Boletín Oficial del Estado, 17 agosto 2007. 27 131 accordi collettivi in Spagna sono, o i sindacati nel caso degli accordi collettivi generali, o i rappresentanti unitari e sindacali costituiti nell’azienda nel caso di accordi collettivi d’impresa o ambito inferiore. Gli organi specifici di rappresentanza dei lavoratori in materia di salute e sicurezza sul lavoro, che dispongono di formazione specializzata in materia, non hanno in nessun caso questa competenza a negoziare; • il preponderante ruolo che storicamente hanno avuto i poteri pubblici in Spagna nella materia della sicurezza e la salute sul lavoro. Fino all’entrata in vigore della LPRL, infatti, si considerava quasi esclusivamente una materia di competenza fondamentalmente statale, regolata e controllata dagli organismi pubblici competenti. I deficit nella contrattazione collettiva si devono anche alla scarsa forza rappresentativa che hanno questi lavoratori i cui interessi concreti non arrivano a essere conosciuti o, se lo sono, non sono assunti dagli organi rappresentativi competenti per negoziare. Uno dei motivi di questo scarso potere rappresentativo sta, inoltre, nella preponderante precarietà dei lavoratori più esposti (frequenti sono i casi delle donne e dei giovani con contratti temporanei). Un’eccezione a questa regola è rappresentata dai lavoratori immigranti, in quei settori dove la loro presenza è più massiccia, soprattutto nel settore dell’edilizia, il cui accordo collettivo generale contiene disposizioni specifiche orientate ad ottenere un adeguato livello di protezione degli stessi (relative specialmente a proporzionare una formazione ed informazione adeguata alle sue caratteristiche, soprattutto nel caso in cui ignorino la lingua). Meccanismi di soft law. Non c’è dubbio che, attualmente, i profondi cambiamenti sperimentati nel mondo del lavoro come conseguenza della globalizzazione e l’evoluzione tecnologica hanno messo di rilievo che le tecniche giuridiche più tradizionali di tutela dei lavoratori, basate in norme nazionali interne e, almeno nell’ambito europeo continentale, di origine pubblica (legale e regolamentare), non risultavano più efficaci(si pensi, per esempio, al fenomeno della delocalizzazione imprenditoriale). La sua inefficacia deriva dalla mancanza di adattamento di tali strumenti alle nuove situazioni e alle nuove sfide del mondo delle relazioni industriali, come conseguenza dei fenomeni generali citati. Tale disadattamento non deriva unicamente dalla forte internazionalizzazione delle relazioni industriali. Essa è anche conseguenza della nascita di nuove realtà e fenomeni che si allontanano degli standard generali e tradizionali che costituiscono il presupposto di regolazione di tali norme. Così è successo, per esempio, per il lavoro cosiddetto atipico e a seguito della proliferazione dei nuovi tipi di rischi sul lavoro o alla diversificazione dei modelli di organizzazione produttiva. Ovviamente, la legislazione del lavoro dovrebbe adattarsi a questi nuovi fenomeni, ma a volte non è sufficiente ed è per questo che bisogna cercare altri strumenti adeguati che rendano possibile ottenere la tutela adeguata degli interessi che in caso ogni caso si considerino degni di protezione. Si è già detto che in Spagna l’ampia disciplina preventiva di rango legale e regolamentare sta risultando chiaramente inefficace, perfino quella di natura convenzionale, il cui ruolo resta poco importante, pur avendo introdotto diverse riforme volte a promuovere il suo adeguato e stretto compimento. A fronte di tale fenomeno sembra che la soluzione debba passare necessariamente attraverso la ricerca di nuove tecniche normative tali da ridurre il tasso di infortuni sul lavoro e migliorare le condizioni di salute e sicurezza di tutti i lavoratori in ogni tipo di azienda31. Quindi, una volta disciplinate normativamente le condizioni minime di tutela, si dovrebbe ricorrere ad altri tipi di misure d’incentivazione che promuovano la realizzazione di condotte che superino quegli standard minimi di obbligata osservanza. Si tratta delle cosiddette misure di soft law – in senso ampio – direttamente rivolte a raggiungere l’obiettivo citato. Non può negarsi che proprio la materia della salute e sicurezza sul luogo di lavoro, sia una di quelle più restie all’ammissione di queste moderne tecniche normative, aggrappandosi al mantenimento degli ampi spazi regolativi 31 Su questo problema, si veda J. Cruz Villalón, Ambiente de trabajo y nuevas técnicas normativas, cit. 132 conquistati. Va detto, al riguardo, le tecniche di soft law non sono in realtà incompatibili col mantenimento di una regolazione legislativa, e anche convenzionale che stabilisca indipendentemente gli standard minimi di protezione che devono assicurarsi in ogni caso a ogni tipo di lavoratore. Al contrario, queste tecniche possono costituire importanti strumenti al servizio dell’effettività di detta normativa giuridica e dell’adeguata adattabilità della stessa alle circostanze particolari. Questa è proprio la sua speciale virtù. Lo stabilimento di questi meccanismi regolativi della soft law può spettare a distinti individui: poteri pubblici; attori sociali nonché agli stessi datori di lavoro. Il ruolo dei poteri pubblici in questa materia è fondamentale poiché nell’espletamento del loro dovere costituzionale di proteggere la salute e sicurezza sul lavoro e d’accordo con le funzioni specifiche attribuite loro dal capitolo III della LPRL, possono, progettare meccanismi per premiare i comportamenti più adeguati ed efficaci dal punto di vista della salute e sicurezza sul lavoro. Benché tradizionalmente in Spagna i poteri pubblici siano stati contrari allo stabilimento di questo tipo di meccanismi, oggi a fronte della persistente inefficacia della normativa preventiva in vigore, sembra esserci un cambiamento di prospettiva, lungo il quale avanzare. Così recentemente sono stati introdotti due importanti meccanismi premiali. 1) Nelle due ultime Leggi dei Presupposti Generali dello Stato si è proceduto a ridurre il peso medio della tariffa di quotazione per infortuni sul lavoro adattandola meglio alla sinistrosità di ogni settore economico ed è prevedibile che negli anni successivi continuerà ad adeguarsi in modo più proporzionato, verso l’alto o verso il basso. 2) La previdenza sociale ha dato attuazione al sistema di «bonus-malus», previsto nell’art. 108.3 del Testo Refundido della legge Generale della Previdenza sociale (TRLGSS). Le imprese che si distinguano per le buone pratiche nella riduzione della sinistrosità sul lavoro potranno vedere ridotta la loro quotazione questo stesso anno fino a un massimo del 10%. Per il 2008 è stato previsto per la prima volta un budget di partenza pari a 90.260.008 milioni euro destinati a questo scopo. Questo importo varia ogni anno perché proviene dal 15% al 80% delle eccedenze delle Mutue degli Infortuni sul lavoro e Malattie Professionali per la sviluppo della straordinaria performance delle imprese nella prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, secondo quanto stabilito nella disposizione finale ottava dei Bilanci del 2008. Per mettere in pratica questo sistema di incentivi, che penalizza anche le imprese che violano la normativa in materia di prevenzione, con un possibile aumento del contributo di fino al 20%, condizione preliminare è stato l’aggiornamento del tasso di incidenti sul lavoro, entrato in vigore il 1° di gennaio del 2007. L’obiettivo di questo sistema «bonus-malus», è la reale riduzione degli infortuni sul lavoro comprovata attraverso indicatori che confrontano i risultati di un’impresa con quelli del proprio settore di attività, in modo che non prevalgano alcune imprese o settori con minori rischi su altri che ne abbiano maggiori. Questi indicatori consentono anche di valutare gli sviluppi nel corso del tempo della situazione di un’azienda come l’effettività delle misure adottate. L’attuale configurazione della tariffa d’incidenti in base alla CNAE permette di farlo vedere di questa maniera. Le imprese con meno di dieci lavoratori avranno un trattamento differenziato; si escluderanno gli incidenti in itinere ed gli episodi cardiovascolari, poiché in questi casi non è possibile l’azione preventiva dell’impresa, e avrà anche una considerazione specifica degli incidenti in missione. Questi indicatori sono compilati con le informazioni provenienti da banche dati della Previdenza Sociale che dispone, ovviamente, del costo associato a ognuna delle contingenze da considerare. Secondo il suo schema finale, sarà fissato il livello che ogni particolare azienda dovrà soddisfare per essere creditrice di un bonifico che la renda capace di raggiungere, per esempio, il 20% o il 30% sotto l’indice settoriale corrispondente. Il raggiungimento dei livelli di compimento previsti, sarebbe la condizione iniziale previa per essere candidati al bonifico. 133 Fondamentalmente si intende retribuire le azioni positive che ridurranno gli infortuni. Il sistema terrà in conto l’evoluzione dell’incidenza e l’adozione di misure positive nell’impresa. Tra le azioni positive sono considerati il grado di conformità alla normativa vigente; la costituzione dei servizi di prevenzione propri dentro l’azienda o gli investimenti in servizi di prevenzione esterni; esistenza di piani di mobilità; gli investimenti in prevenzione dei rischi oltre quanto legalmente esigibile, ed, in relazione alle malattie professionali, il monitoraggio della riduzione dei lavoratori esposti a un determinato rischio. 3) Riduzione nel contributo alla previdenza sociale della lavoratrice che sia cambiata del posto di lavoro per rischio durante la gravidanza o l’allattamento La LPRL all’art. 26 disciplina gli obblighi specifici del datore di lavoro al fine di garantire la salute e la sicurezza delle lavoratrici incinta o in situazione di parto recente, e sono brevemente come segue: • dovrà, nella valutazione dei rischi, ai sensi dell’art. 16, determinare gli agenti, procedimenti o condizioni di lavoro che possano avere influenza negativa sulla salute della lavoratrice o del feto; • se i risultati della valutazione rivelassero una possibile ripercussione sulla gravidanza o sull’allattamento, si riadatteranno le condizioni o tempo di lavoro; • se non fosse sufficiente quanto previsto nel paragrafo precedente la lavoratrice sarà soggetta ad un mutamento di mansioni compatibili col suo stato, d’accordo con le regole della mobilità funzionale; • nel caso in cui non esistesse posto di lavoro o funzione compatibile, la lavoratrice potrà essere destinata a un posto non corrispondente al suo gruppo professionale o categoria equivalente; • extrema ratio, se il cambiamento del posto di lavoro non risultasse tecnico od obiettivamente possibile, o non possa ragionevolmente essere richiesto per motivi giustificati, il contratto può essere sospeso dalla lavoratrice interessata. La LPRL raccoglie quindi tutta una serie di misure che il datore di lavoro deve prendere prima di procedere alla sospensione del contratto di lavoro. Col fine di incoraggiare, ove possibile, il datore di lavoro a realizzare il cambiamento del posto di lavoro della lavoratrice incinta o che abbia partorito recentemente o che sia in periodo di allattamento, anziché ricorrere direttamente alla sospensione del contratto di lavoro – che è quello che sta accadendo nella maggioranza finora, trasferendo in questo modo il costo dell’inadempimento alla Previdenza Sociale che è quella che deve pagare alla lavoratrice le prestazione sociale che gli corrisponde secondo la LGSS –, nella Disposizione addizionale quinta della legge n. 51/2007, del 26 di dicembre, di Presupposti Generali dello Stato, si è stabilito una riduzione del 50 per 100 dell’apporto imprenditoriale nella quotazione alla Previdenza Sociale per contingenze comuni. Precisazione: sembra che la legge abbia voluto incoraggiare l’ipotesi nella quale la lavoratrice è trasferita a un posto del suo stesso gruppo professionale o categoria equivalente, senza chiarire se ciò genererebbe il diritto ad un posto non corrispondente al suo gruppo o categoria(mobilità discendente). 4) Riduzione del contributo alla Previdenza Sociale posto a carico del datore di lavoro per il suo lavoratore, in caso del cambiamento del posto di lavoro o di contrazione di una malattia professionale. Ai sensi delle disposizioni nell’art. 196 del Testo Refundido della legge Generale della Previdenza Sociale, tutte le imprese che debbano coprire posti di lavoro con rischio di provocare malattie professionali sono costrette a sottoporre ad accertamenti medici, prima dell’ammissione, i lavoratori e giornali che si stabilisca nelle norme corrispondenti per ogni tipo di malattia professionale. Se da queste indagini emerge che un lavoratore non è in grado di continuare a occupare il posto di lavoro, il TRLGSS vieta che il lavoratore prosegua,con diritto di essere adibito ad altra 134 mansione compatibile col suo stato o, nel suo caso, causando un licenziamento ai sensi dell’art. 128.1 b) del TRLGSS (periodo di osservazione per la diagnosi di malattia professionale). La Disposizione quinta addizionale della legge n. 51/2007, nel suo paragrafo secondo, ha voluto anche promuovere i casi di cambiamento di posto del lavoro nei casi di malattia professionale, riconoscendo per questo caso la stessa riduzione che nel comma anteriore: il 50 per 100 dell’apporto imprenditoriale nella quotazione alla Previdenza sociale per contingenze comuni. Precisazione: va osservato che, a differenza di ciò che accade nei casi di rischio durante la gravidanza o allattamento naturale, la legge dei Presupposti Generali dello Stato, condiziona l’applicazione della riduzione nei casi di malattia professionale al fatto che essi siano determinati espressamente, tramite regolamenti attuativi. Per questo sembra che l’attuazione della previsione non sarà immediata e bisognerà attendere l’adozione degli stessi. Altro tipo di misura soft sono quelle che hanno a che vedere con la Responsabilità Sociale Corporativa (RSC). In effetti, siccome la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro fanno parte dei contenuti che integrano il concetto di RSC, l’adozione di misure di incentivazione della stessa contribuiranno in un’importante misura a promuovere la sicurezza e la salute sul lavoro. Ciò è specialmente importante nelle ipotesi supposti di delocalizzazione imprenditoriale, per evitare di ridurre i livelli di protezione dei lavoratori dell’impresa quando dette imprese si sentano ubicate in paesi nei quali la legislazione preventiva è molto più permissiva o praticamente inesistente o inefficace. La misura prevista nell’art. 49.5 della LPRL e sviluppata attraverso il Regio decreto n. 597/2007, del 4 maggio, consistente nel pubblicare le sanzioni per infrazioni molto gravi in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro nel Bollettino Ufficiale corrispondente, entro tre mesi seguenti dalla data in cui la sentenza è divenuta definitiva. In detta pubblicazione compariranno tutti i dati identificativi dell’impresa sanzionata, cosa che potrebbe pregiudicare il suo prestigio nel mercato, e che, quindi, indirettamente costituisce almeno un incentivo a non incorrere negli inadempimenti più gravi degli obblighi di sicurezza. Un altro tipo di misure di incentivo alla corretta attuazione delle misure per la tutela della salute e sicurezza sul lavoro sono quelle consistenti nella elaborazione e diffusione di materiale informativo che faciliti agli imprenditori e ai lavoratori l’applicazione della normativa preventiva in vigore e li informino sui comportamenti più sicuri. In quel senso in Spagna vale la pena di rilevare il lavoro dell’Istituto Nazionale di Sicurezza e Igiene sul lavoro (INSHT) e della Fondazione per la Prevenzione dei Rischi sul lavoro (FPRL). L’INSHT, regolato nell’art. 8 della LPEL, è un organismo autonomo di carattere scientificotecnico, integrato nel Ministero di Lavoro e Immigrazione, tra le sue numerose funzioni vi è quella di elaborare e diffondere Guide Tecniche di carattere preventivo, concernenti rischi, settori o forme di organizzazione del lavoro che non contano su una regolazione propria o che pur avendola sono di difficile comprensione o applicazione (così, ad esempio, possono citare le Guide Tecniche relative alle piccole e medie imprese, al settore della edilizia, ecc.). Questo lavoro facilita i datori di lavoro nell’attuazione della normativa preventiva ed è uno strumento molto adeguato per l’elaborazione e diffusione delle buone pratiche nella materia. Da parte sua, la Fondazione per la Prevenzione dei Rischi sul lavoro (FPRL), si trova alle dipendenze del Ministero di Lavoro e Immigrazione, con partecipazione tanto delle Amministrazioni Pubbliche, quanto delle Organizzazioni rappresentative del Datori di Lavoro e Lavoratori, ed ha la funzione fondamentale di promuovere, specialmente nelle piccole e medie imprese, le attività destinate al miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza nel lavoro. Questa Fondazione è finanziata dal Ministero del lavoro e Immigrazione con un finanziamento annuale equivalente al 20% del Fondo di Prevenzione e Riabilitazione, proveniente dalle eccedenze della gestione realizzata dalle Mutue di Infortuni sul lavoro e Malattie Professionali del Previdenza sociale. 135 Per compiere la funzione di promozione del miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro, specialmente nelle piccole imprese, le attività alle quali principalmente deve dedicarsi sono le seguenti: • informazione: diffusione tra i datori di lavoro e i lavoratori dei principi dell’azione preventiva dei rischi sul lavoro o dei rami concreti di applicazione di questi principi; • assistenza tecnica: è diretta allo studio e alla risoluzione di problemi derivanti dell’applicazione pratica e materiale delle norme preventive; • formazione: consiste nel disegno dei metodi e dei contenuti di programmi che possono essere impartiti in settori e sottosettori dell’attività produttiva, specialmente in quelli la cui struttura è costituita fondamentalmente per piccole imprese; • applicazione della normativa su prevenzione dei rischi sul lavoro: il suo obiettivo è lo stimolo della conoscenza e l’applicazione da parte degli imprenditori e dei lavoratori delle disposizioni legali, regolamentari e convenzionali in materia di Prevenzione di Rischi Sul lavoro, specialmente attraverso meccanismi e strumenti sviluppati negli ambiti settoriali e territoriali dell’attività produttiva. Per la realizzazione delle sue azioni, la Fondazione può agire in modo diretto, per propria iniziativa o della Commissione Nazionale di Salute e sicurezza sul lavoro, quando si tratta di azioni di ambito statale; o in modo indiretto, mediante l’assegnazione delle risorse a determinate entità e organizzazioni rappresentative d’interessi degni di speciale tutela32. La pianificazione, lo sviluppo e il finanziamento di azioni nei distinti ambiti territoriali avrà in considerazione la popolazione occupata, il volume delle imprese e gli indici di sinistrosità lavorativa. I principali tipi di azioni che ha realizzato la Fondazione di Prevenzione di Rischi sul Lavoro, hanno prodotto ad oggi i seguenti risultati: 1) ottenere la promozione della cultura della prevenzione che coinvolge cambiamenti di atteggiamento nella società in generale e non solo tra i datori di lavoro ed i lavoratori, per la diffusione di conoscenze sull’esistenza della normativa di prevenzione di rischi sul lavoro; 2) diffondere il suo ruolo quale punto di riferimento e coesione dei soggetti individui individuali e collettivi, pubblici e privati, coinvolti nella promozione del miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro; 3) condurre campagne di informazione settoriali e territoriali affinché si conoscano i costi e le conseguenze negative dei rischi sul lavoro, tanto per le persone come per l’economia in generale; 4) contribuire alla formazione dei lavoratori in generale, dei datori di lavoro che assumano le attività preventive e dei delegati di prevenzione; 32 La Fondazione per la Prevenzione dei Rischi sul Lavoro realizza una convocazione pubblica di azioni. Il Patronato è l’organo cui compete stabilire la convocazione pubblica e approvare le azioni da sviluppare, considerando, oltre alle disponibilità preventive per ogni esercizio, principalmente in funzione della tassazione, gli impegni sulla ripartizione territoriale delle risorse che sono state approvate e criteri generali di priorità e tariffario di punteggiatura che si ricordino per ogni convocazione. Possono sollecitare l’assegnazione di risorse della Fondazione per la realizzazione di azioni indirette della stessa, gli enti di seguito indicati: gli organi Tripartiti territoriali, con natura simile alla Commissione nazionale di salute e sicurezza sul lavoro; le Fondazioni settoriali di ambito statale costituite da datori di lavoro e lavoratori che condividano l’obiettivo di promuovere delle attività destinate al miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro; le organizzazioni firmatarie di accordi collettivi di ambito statale previo accordo delle azioni nel quadro dell’accordo; le associazioni imprenditoriali e federazioni sindacali settoriali di ambito statale; le confederazioni sindacali e imprenditoriali di ambito statale che non abbiano la condizione di patroni della Fondazione; l’Amministrazione pubblica e le organizzazioni imprenditoriali e sindacali più rappresentative delle città di Ceuta e Mellilla, previo accordo. Gli organi della Fondazione saranno addetti a portare a termine il corrispondente controllo e le valutazione dei risultati ottenuti in relazione agli obiettivi inizialmente previsti. Con questo fine, le differenti organizzazioni ed entità incaricate devono giustificare economicamente le azioni che sono state da loro sviluppate per loro, rispetto al cui operato la Fondazione realizzerà la valutazione di efficacia ed efficienza. 136 5) promuovere, mediante la diffusione informativa pertinente, atteggiamenti e comportamenti sicuri sul lavoro, potenziando la partecipazione e il coinvolgimento dei lavoratori nell’attività di prevenzione delle imprese; 6) fornire assistenza tecnica ai datori di lavoro, lavoratori e loro rappresentanti, per migliorare le loro capacità in materia di intervento preventivo nelle aziende, in particolare nella preparazione di una relazione dei problemi tecnici comuni e delle possibili soluzioni che possano sorgere nell’applicazione delle attuazioni preventive nei distinti settori dell’attività produttiva; 7) proporre strumenti preventivi ai datori di lavoro, lavoratori ed ai loro rappresentanti, al fine di facilitare l’azione preventiva nelle imprese; 8) ridurre, attraverso campagne informative, la diffusione di tutti i reati e delle sanzioni connessi agli inadempimenti della normativa di prevenzione dei rischi sul lavoro; 9) divulgare i rapporti di tutti gli enti di prevenzione accreditati e fare un catalogo contenente tutti i programmi formativi in materia di prevenzione dei rischi sul lavoro e tutti gli enti che li impartiscono; 10) promuovere tutti i tipi di azioni che permettano il raggiungimento degli scopi della Fondazione; Sia che si tratti di azioni dirette o indirette, i beneficiari sono i lavoratori e le imprese, specialmente quelle di piccole dimensioni. Le azioni sono gratuite per i beneficiari, senza che la Fondazione possa percepire alcun compenso in cambio dei servizi prestati. Come si può vedere facilmente in virtù delle funzioni raccomandate legalmente alla FPRL, quest’organismo costituisce specialmente un importante strumento di sviluppo e applicazione di buone prassi in un settore particolare, quello delle piccole e medie imprese che, come si vedrà, è più esposto ad un fallimento della tutela prevenzionale e dove, pertanto, risulta più necessario impiantare una cultura della prevenzione e promuovere comportamenti e condotte preventive. Oltre ai poteri pubblici, un ruolo fondamentale nel promuovere la progettazione e l’attuazione nelle azioni qualificabili di soft law spetta ai rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro. Questo tipo di azioni può essere introdotto attraverso la realizzazione congiunta o in forma separata di azioni di ricerca e/o diffusione di «buone prassi»33 in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro oppure attraverso la contrattazione collettiva. È abbastanza comune che le organizzazioni sindacali o delle imprese diffondano studi su buone prassi, completando in molti casi il lavoro di Amministrazione. Ultimamente si sta concentrando molto l’attenzione sulla protezione dai rischi psicosociali, la tutela delle donne lavoratrici e degli immigranti e la protezione efficace dei lavoratori nelle piccole e medie imprese. In questo senso si Si denominano “buone prassi” quelle pratiche aziendali che nel rispetto della normativa vigente permettono un abbassamento del livello di infortuni al di sotto della media e che rispondono ad una gestione migliorativa delle condizioni di lavoro. Le informazioni fornite a tal fine devono: - permettere a chi le utilizza di avere i requisiti dei processi normativi corrispondenti, comprese le direttive comunitarie, le legislazioni nazionali ed i regolamenti; - affrontare problematiche di salute e sicurezza ritenute degne di attenzione da parte delle autorità competenti; - indicare le misure e i metodi che possono da adottare in azienda per migliorare le condizioni di lavoro ovvero indicare le misure e i metodi che possono essere adattati nell’ambito di un’organizzazione per migliorare le condizioni di lavoro e ridurre i rischi; - essere efficaci ed eticamente accettabili; - proporre alcune misure che possano identificarsi come fattori per ridurre i rischi. L’applicazione dell’informazione sulle buone pratiche deve avere come risultato: - una riduzione di tutte le possibilità di provocare un danno ai lavoratori; - migliorare le condizioni di lavoro ed essere efficace per promuovere la salute e la sicurezza; - ridurre in modo permanente e visibile dei rischi. Prima di applicare le buone prassi bisogna fare una valutazione dei rischi, compresi quelli di natura psicosociale, legati al posto di lavoro. Se questo non si fa prima di applicare le buone prassi, si rischia non solo di non riuscire a controllare i rischi ma anche che le risorse vengano sprecate a causa della scarsa attuazione. Alcuni criteri da tenere in conto per raccogliere le informazioni utili al consolidamento di buone prassi sono: qualità e credibilità del contenuto; informazione aggiornata; convenienza ed utilità per l’utente; e faciltà di uso e possibilità di accesso. 33 137 allude alla creazione di Osservatori specializzati sugli infortuni sul lavoro e sui rischi sul lavoro. Si pensi ad esempio all’Osservatorio Permanente di Rischi Psicosociali creato per il sindacato UGT, che tra le altre cose si dedica allo studio, allo sviluppo e alla diffusione di buone prassi per questa importante categoria dei rischi (si consulti la pagina http://www.ugt.es/slaboral/observatorio/indexbp.htm); o diversi Osservatori di ambito regionale di Prevenzione dei Rischi sul Lavoro creati nel seno del CCOO; si sottolinea anche la fondazione autonoma di carattere sindacale promossa per il sindacato CCOO denominato Istituto Sindacale di Lavoro, Ambiente e Salute (ISTAS) il cui obiettivo è promuovere il miglioramento delle condizioni del progresso sociale, in cui particolare posto è occupato dalla salute e sicurezza sul lavoro, (si veda www.istas.ccoo.es)34. Per quanto riguarda la contrattazione collettiva, come già detto,essa non ha ancora ben sviluppato tutto il suo potenziale in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro e la sua regolamentazione è, per la maggior parte, poco ambiziosa e innovativa. Tuttavia, possono trovarsi già alcuni accordi collettivi che sviluppano aspetti importanti che possono considerarsi buone prassi in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Questo è il caso del Convenio General de la Construcción (Accordo Generale della Costruzione) (2007-2011). Questo accordo collettivo, al fine di adattarsi alle importanti innovazioni normative in materia di salute e sicurezza sul lavoro prodotte negli ultimi tempi in edilizia, la legge 32/2006, del 18 ottobre, regolatrice del subappalto nel settore della edilizia, sviluppata dal Reale Decreto 1109/2007, del 24 di agosto, regola con ogni dettaglio l’aspetto dell’accreditamento della formazione in prevenzione dei rischi sul lavoro. A questi effetti, si è creato il cosiddetto Tarjeta Profesional de la Construcción (TPC) (Biglietto Professionale della Edilizia). Esso è un documento, spedito dalla Fundación Laboral de la Construcción (Fondazione Lavorativa della Edilizia), mediante il quale si accreditano, tra gli altri, i seguenti fattori: la formazione impartita al lavoratore in relazione alla prevenzione dei rischi specifici di quel settore; la sua categoria professionale; e i suoi periodi di occupazione nelle distinte aziende nelle quali abbia esercitato la sua attività. I vantaggi della TFC sono multipli. Per i lavoratori: accertare che sia stata fornita, almeno, la formazione iniziale in materia di prevenzione dei rischi sul lavoro, in armonia con quanto previsto nell’Accordo Generale del Settore della Edilizia 2007-2011, come nell’art. 10 della legge n. 32/2006, regolatrice del subappalto nel Settore della Edilizia; accertare altre tipologie di formazione; accertare la categoria professionale e l’esperienza nel settore; accertare che il lavoratore sia stato sottoposto alle visite mediche (vigilanza della salute) secondo quanto stabilito nel citato accordo; facilitare l’accesso ai servizi della Fondazione di Lavoro della Edilizia. Per i datori di lavoro, invece, il vantaggio si è tradotto nel poter disporre di un supporto che permetta loro di: certificare che i lavoratori dispongono, almeno, della formazione iniziale in materia di prevenzione dei rischi sul luogo di lavoro; constatare che i lavoratori di nuova incorporazione possiedano, almeno, la formazione iniziale prima citata; comprovare che i lavoratori appartenenti alle aziende subappaltatrici abbiano tale formazione. Bisogna dire che il possesso di questo documento sarà volontario fino al 31 di dicembre del 2011, passando ad essere obbligatorio per accreditare la formazione a partire da quella data. Come si può dedurre dal suo regolamento, l’obiettivo dello stabilimento della TPC è lo stimolo ad un’adeguata formazione dei lavoratori del settore della edilizia per considerarsi che detta formazione costituisca uno degli elementi chiave della sua efficace protezione di fronte ai rischi sul lavoro. Infine, le buone prassi dovrebbero venire soprattutto dalle imprese contando sulla partecipazione dei lavoratori che operano direttamente nel particolare settore in cui si verifichino i rischi. Logicamente quest’azione deve essere incentivata per i poteri pubblici attraverso misure di diverso tipo, ma soprattutto, attraverso la diffusione ed introduzione di un’autentica cultura della Si veda, tra gli altri, Organización del trabajo, salud y riesgos psicosociales, Guía para la intervención sindical (Guida per l’intervento dei delegati e delegate sindacali in materia dei rischi psicosociali), 2006. 34 138 prevenzione. In questo senso si può dire che in Spagna la cultura preventiva è ancora scarsa e ciò è una delle principali cause dell’inefficacia della normativa preventiva. Ecco perché essa rappresenta uno dei principali obiettivi delle politiche pubbliche. L’effettività di quest’obiettivo richiede che la diffusione di questa cultura e sensibilità verso la prevenzione siano rivolte a tutta la società e siano integrate in tutti i livelli educativi, così com’era già previsto per l’Esposizione di Motivi della LPRL dalla sua versione originaria dal 1995. Questo deficit di cultura di prevenzione si rileva soprattutto nelle piccole e medie imprese che sono la maggioranza in Spagna. Invece, nelle grandi imprese ogni volta si osserva un maggiore impegno con la prevenzione dei rischi sul lavoro poiché la vincolano direttamente alla produttività e ai suoi obiettivi di qualità. Queste grandi imprese, normalmente multinazionali, investono in sicurezza e tentano di migliorare continuamente i loro sistemi di prevenzione dei rischi sui luoghi di lavoro perché l’esperienza ha dimostrato che ciò è anche redditizio dal punto di vista economico. Il fatto più rilevante è che questo tipo di aziende estendono il loro impegno e le buone prassi dalle stesse sviluppate anche alle imprese con le quali contrattano e subappaltano parte della propria attività. Tale è il caso, per esempio, delle imprese come Iberdrola. Si sottolinea al riguardo lo sviluppo di buone prassi in materia da parte delle cosiddette Mutuas de Accidentes de Trabajo y Enfermedades Profesionales de la Seguridad Social (MARTEP, in avanti) (Mutue di Infortuni sul lavoro e di sicurezza sociale) che hanno sviluppato al loro attività ancor prima dell’entrata in vigore della LPRL del 1995. Le MATEP sono associazioni d’impresari senza scopo di lucro che, previo accreditamento amministrativo, collaborano con l’Istituto Nazionale del Previdenza Sociale nella gestione delle prestazioni sociali. Essendo questa la loro funzione originaria ed esclusiva, successivamente la LPRL ha attribuito loro la possibilità di poter esercitare il servizio di prevenzione altrui e svolgere le attività corrispondenti a questa modalità organizzativa della sicurezza e salute sul lavoro per quelle imprese associate che volontariamente ricorrano a loro per adempiere il loro obbligo di disporre delle risorse preventive necessarie e più adeguate per potere sviluppare l’attività preventiva che sia necessaria in ogni caso, a seconda della specifica situazione dell’impresa e dei suoi lavoratori. Già prima della LPRL le Mutue assunsero un importante ruolo all’interno delle imprese associate in materia di formazione, informazione e assistenza sulla prevenzione dei rischi sul lavoro disponendo per ciò delle risorse umane specializzate e di qualificati mezzi tecnici. Si deve sottolineare, inoltre, che le attività preventive legate strettamente alla loro attività di collaborazione con la Previdenza Sociale nella gestione delle prestazioni sociali derivate degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali risultano gratuite per le imprese. Quello che si vuole mettere in risalto è l’importante lavoro che le MATEP hanno sviluppato storicamente in Spagna in relazione alla ricerca, divulgazione, formazione, informazione e assistenza alle imprese, in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Compito, inoltre, che fino all’entrata in vigore della LPRL,hanno realizzato in sostanza in modo esclusivo. In questo senso, non c’è dubbio che le Mutue hanno costituito e continuano a costituire uno strumento fondamentale per lo sviluppo e l’applicazione di buone prassi preventive nelle imprese, soprattutto tenendo in conto che la loro attività la realizzano «al piede dell’opera» e che, pertanto, conoscono direttamente l’autentica realtà delle imprese. L’attività preventiva sviluppata dalle Mutue, come enti che collaborano con la Previdenza Sociale è di grande interesse per quest’ultima, per il fatto che contribuisce a ridurre gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e, in conseguenza, a ridurre le spese in prestazioni per tale classe di situazioni professionali. Per questo motivo la Previdenza Sociale promuove e dirige le azioni preventive sostenute dalle Mutue. Il principale strumento per farlo sono i Piani Generali di Attuazione Preventiva della Previdenza Sociale che si mettono in moto con carattere, generalmente annuale. L’ultimo, corrispondente all’anno 2007, stabilisce che, con carattere generale, le azioni delle Mutue si orienteranno preferibilmente alla cooperazione nelle piccole imprese e nelle imprese o settori con maggiori livelli di infortuni sul lavoro, per la migliore incorporazione, nei piani e programmi preventivi delle distinte amministrazioni competenti, allo 139 sviluppo della I+D+i (specificare), alla divulgazione, educazione e sensibilizzazione in prevenzione degli infortuni sul luogo di lavoro e malattie professionali. Inoltre, sviluppa sei programmi specifici d’azione. 1 Programma di assistenza tecnica alle PMI per favorire l’integrazione della prevenzione nell’impresa e migliore la sua gestione attraverso visite ai luoghi di lavoro delle imprese associate e azioni specifiche che avranno come finalità: a) nelle imprese di meno di 6 lavoratori, in cui il datore di lavoro assume personalmente l’attività di prevenzione, la consulenza personale e diretta al datore di lavoro in tutti gli aspetti necessari per il conseguimento dell’efficace ed effettiva gestione della prevenzione (valutazione, pianificazione ed esecuzione); b) nelle imprese aventi fino a 49 lavoratori, diverse da quelle previste sopra, e la cui attività è compresa tra quelle elencate nell’allegato aggiunto, l’assistenza personale e diretta al lavoratore designato in tutti quegli aspetti necessari per il conseguimento dell’efficace ed effettiva gestione della prevenzione(valutazione, pianificazione ed esecuzione); c) programmi di formazione specifici per i datori di lavoro e per i lavoratori di imprese associate affinché possano assumere o essere nominati per la gestione dell’attività preventiva dell’impresa. 2) Programma di visite e azioni per promuovere la riduzione degli infortuni nelle imprese da 1 a 49 lavoratori appartenenti ai settori con maggior rischio di infortuni sul lavoro gravi e mortali, secondo l’allegato aggiunto, con l’obiettivo di dare indicazioni al datore di lavoro e al lavoratore nominato, al fine di eliminare, controllare o diminuire le situazioni che hanno causato questi danni. La mutua realizzerà un programma di monitoraggio per valutare l’impatto delle loro azioni. 3) Programma di elaborazione e diffusione, mediante attuazioni specifiche, di codici di buone prassi per attività, volte a imprese comprese nei rami di attività previsti dall’allegato. Le attività di divulgazione terranno in conto gli aspetti riguardanti la lingua e la cultura della popolazione emigrante. 4) Programma di elaborazione e diffusione di un codice di buone prassi relative al miglioramento dell’integrazione della prevenzione nell’impresa o della coordinazione dell’attività preventiva, rivolta ad imprese associate alle mutue che si trovino in situazioni di concorrenza di imprese e lavoratori autonomi nello stesso posto di lavoro, sia come azienda principale, che come appaltatore, subappaltatore o lavoratore autonomo, in conformità alle disposizioni del Reale Decreto 171/2004, del 30 di gennaio, per il quale si sviluppa l’art. 24 LPRL, in materia di coordinazione di attività imprenditoriali. 5) Lo sviluppo dei seguenti programmi d’azione I+D+i: a) ricerca sull’incidenza dei disturbi muscolo-scheletrici, studiandone le cause e le misure preventive, con una classificazione sistematica dei fattori di rischio per rami di attività. Studio comparativo tra l’incidenza delle malattie professionali di natura muscolo-scheletrica e tasso di incidenti causati per grandi sforzi fisici durante l’anno 2007 rispetto agli anni anteriori, 2005 e 2006, nonché la realizzazione di un programma di divulgazione, educazione e sensibilizzazione in prevenzione nel quadro della «Campagna Europea 2007: Alleggerisce il carico»; b) elaborazione di uno studio sulle malattie professionali segnalate dal 1 gennaio fino al 31 di ottobre dell’anno 2007 che includa un studio comparativo con i dati relativi a periodi anteriori, che dovrà analizzare e valutare i vari fattori che influenzano il loro sviluppo, con speciale riferimento alle tabelle del Reale Decreto 1299/2006, del 10 di novembre, che ha approvato il quadro delle malattie professionali nel sistema del Previdenza Sociale e che si stabilisce criteri per la loro rilevazione. Tale studio deve contenere conclusioni sullo stato dell’arte e proposte di sviluppo futuro; c) a partire dalle incapacità causate per esposizioni ad agenti fisici (rumore) vibrazioni, campi elettromagnetici, radiazioni ottiche, determinazione dei posti di lavoro e della mansioni, delle caratteristiche dei compiti e rami di attività che presentano alcuni livelli di esposizione più elevati, stabilendo codici di buone pratiche rivolti all’eliminazione, diminuzione o controllo di rischi; 140 d) sviluppo dei programmi di I+D+i autorizzati, compresi nel piano di attività preventiva presentato dalle mutue. 6) Programmi di formazione, sensibilizzazione e assistenza tecnica al lavoratore autonomo la cui attività si realizzi nei rami di attività selezionati nell’allegato che abbiano per finalità l’identificazione e la qualificazione dei rischi sul lavoro nel quadro degli obblighi stabiliti nell’art. 24 della LPRL. Infine, si evidenzia che in tempi molto recenti, attraverso la legge Organica n. 3/2007, del 22 marzo, per la parità effettiva tra donne e uomini (LOI in avanti), si impone a ogni tipo di imprese l’obbligo di adottare misure specifiche per prevenire attualmente due tipi di rischio sul lavoro di carattere psicosociale di massima rilevanza e, sfortunatamente, abbastanza frequenti: le molestie sessuali e le molestie basate sul sesso. La LOI impone che l’adozione di queste misure sia negoziata con i rappresentanti dei lavoratori presso l’azienda. Se quest’accordo non si raggiunge quindi il datore di lavoro dovrà ugualmente, in forma sussidiaria ma obbligatoria, prendere i provvedimenti necessari per prevenire questa classe di rischi sul lavoro direttamente collegati al sesso della persona. Conviene rilevare che la prevenzione delle molestie sessuali e del mobbing era già contemplata dalla legge di Uguaglianza emanata a seguito della LPRL, secondo la quale questo tipo di atteggiamento persecutorio, oltre ad altre implicazioni, costituisce innegabile fattore di rischio sul lavoro e, come tale, deve essere prevenuto dal datore di lavoro (art. 14 LPRL). E ciò nonostante non esista nessuna norma nell’Ordinamento spagnolo che stabilisca quali sono le misure preventive che devono adottarsi in questi casi. La novità che ha introdotto la legge di Uguaglianza riguardo a questo tema non è stata, pertanto, quella di obbligare il datore di lavoro a prevenire questo tipo di rischi sul lavoro bensì quello di costringere a negoziare tali misure con i rappresentanti dei lavoratori nell’impresa (rappresentanti unitari o sindacali e specializzati in materia di prevenzione dei rischi sul lavoro) e solo se essi non raggiungono un accordo, ad adottarli di maniera unilaterale. Inoltre, la legge di Uguaglianza, pur non portando a termine una regolamentazione dettagliata, allude ai principali tipi di misure che devono prendersi per prevenire le molestie sessuali e quelli basati sul sesso della persona: devono instaurarsi procedimenti specifici per dare voce in capitolo ed impulso ai soggetti che ne siano stati vittime; elaborare e diffondere codici delle buone prassi; realizzare campagne informative e azioni di formazione specifiche. In questo senso si osserva come la promozione del LOI in modo chiaro e diretto all’attuazione delle buone prassi tra tutte le imprese, indipendentemente dalla loro dimensione e organizzazione, è incoraggiato dal fatto che si fonda anche sulla progettazione e la messa in la pratica della partecipazione attiva dei rappresentanti dei lavoratori. Questo coinvolgimento attivo di tali rappresentanti, sensibilizza i lavoratori di fronte al problema delle molestie sessuali e alle molestie fondate sul sesso. II.8.2 I cambiamenti nell’organizzazione del lavoro, trasformazioni nelle relazioni industriali e nella salute e sicurezza sul luogo di lavoro. Anche se nelle premesse della LPRL si dichiara l’obiettivo di stabilire una regolazione unitaria per tutti i soggetti inclusi dentro del suo ambito e campo di applicazione-considerati come «lavoratori», in realtà non tutti sono sottoposti esattamente alla stessa regolamentazione. In alcuni casi, per quegli individui compresi nel suo ambito di applicazione, che non sono parte di un contratto di lavoro, ma di un altro tipo di relazione giuridica (casi di relazioni tra funzionari pubblici e Amministrazione e tra i soci lavoratori e la cooperativa), è prevista una serie di peculiarità, le quali devono tenere conto della distinta natura del vincolo giuridico e della distinta normativa da applicare, dato che la LPRL contiene una regolamentazione che presuppone la piena applicazione della normativa relativa ai rapporti di lavoro in senso stretto. In altri casi, poi, 141 seguendo le linee guida comunitarie al riguardo, esistono lavoratori strictu sensu, così definiti per la presenza di determinati fattori, esterni o interni, che richiedono necessariamente e inevitabilmente, un’attenzione specifica, adattata alle particolari circostanze soggettive e oggettive in cui essi versano, se si vuole garantire loro una protezione autenticamente efficace in materia di salute e sicurezza sul lavoro. È il caso dei lavoratori che risultano particolarmente sensibili a tutti o determinati rischi sul lavoro per il loro stato di salute fisica o psichica; dei lavoratori giovani, dei lavoratori temporanei o in somministrazione, delle lavoratrici incinta, puerpere o in allattamento, dei lavoratori delle imprese appaltatrici o subappaltatrici che eseguono la loro prestazione di lavoro nell’ambito di organizzazione del datore di lavoro principale o utilizzano mezzi di lavoro di questi, specialmente nel settore dell’edilizia. Oltre a questi gruppi di lavoratori, che espressamente la LPRL riconosce degni di un’attenzione speciale, la realtà del mondo di lavoro35, con speciale riferimento alle nuove forme di organizzazione del lavoro, dimostra che molti altri tipi di lavoratori, nonostante il silenzio della normativa preventiva vigente, richiedono un’attenzione speciale se realmente si vuole garantire loro una protezione efficace. È il caso dei lavoratori immigranti, delle donne lavoratrici, dei lavoratori delle piccole e medie imprese, ecc. Nel Diritto spagnolo, sulla base degli orientamenti del Diritto comunitario, questo ineludibile adattamento costituisce un obbligo specifico integrato nel contenuto del dovere di sicurezza imposto al datore di lavoro con carattere generale. Una delle sue manifestazioni si rinviene nell’art. 15.1 lett. d) SL, quella di «Adaptar el trabajo a la persona, en particular en lo que respecta a la concepción de los puestos de trabajo, así como a la elección de los equipos y los métodos de trabajo y de producción, con miras, en particular, a atenuar el trabajo monótono y repetitivo y a reducir los efectos del mismo en la salud». Per rendere effettivo questo autentico obbligo giuridico del datore di lavoro,è necessario sottolineare le particolarità e le speciali necessità di protezione che richiede ognuno di questi gruppi, se realmente si vuole ottenere il massimo rendimento e disporre di un’organizzazione produttiva, competitiva e di qualità. Ugualmente, a fronte del silenzio della legge, è necessario individuare le misure di protezione specifiche per ognuno di questi gruppi vulnerabili. L’attuazione di queste misure di promozione della salute e sicurezza sul lavoro per questi gruppi di lavoratori si può tradurre, perciò, in operazioni pubbliche specifiche, di informazione, formazione, assistenza, divulgazione, ispezione, ecc., in azioni previste nella contrattazione collettiva o, semplicemente, in misure risultanti dell’attuazione delle organizzazioni private o delle stesse aziende. D’altra parte, le nuove forme di organizzazione del lavoro e delle relazioni di lavoro hanno determinato il sorgere dei nuovi tipi di rischi sul lavoro. Questo è il caso dei rischi psicosociali, cioè, quelli che hanno a che vedere col carico mentale indotto dal lavoro o con le relazioni che si stabiliscono all’interno dell’azienda. Essi, in realtà, esistono da sempre, ma solo attualmente, a causa della loro proliferazione, sono stati considerati giuridicamente come rischi sul lavoro che il datore di lavoro si sente obbligato a prevenire. Casi di concorrenza aziendale e di appalto e subappalto delle attività, con speciale riguardo al settore dell’edilizia. Nel caso in cui lavoratori di diverse aziende concorrano in uno stesso centro organizzato di lavoro36 – siano o meno le diverse imprese vincolate giuridicamente tra loro37 – gli imprenditori Come dicono J.R. Mercader Uguina, A.B. Muñoz Ruíz, El futuro de la negociación colectiva en materia de prevención de riesgos laborales, cit., 14. 36 Anche se l’art. 24 non definisce cosa si deve intendere per «centro di lavoro», l’art. 2 del regolamento d’attuazione del Regio decreto n. 171/2004, del 30 gennaio, in parte lo definisce assumendo una concezione ampia, già sostenuta in precedenza da dottrina e giurisprudenza. Secondo il citato art. 2, centro di lavoro è «qualunque area, edificata o no, nella quale i lavoratori debbano rimanere o accedere in relazione al proprio lavoro». 37 Si trova attualmente stabilito in modo espresso nell’art. 4.1 del Regio decreto n. 171/2004 che ha disposto che «il dovere di cooperazione è imposto a tutte le imprese e lavoratori autonomi concorrenti nel centro di lavoro, vi siano o meno relazioni giuridiche tra gli stessi». Già precedentemente, e nonostante l’inesistenza di una consacrazione normativa al riguardo, questa idea era sostenuta dalla dottrina maggioritaria. Si veda F. Pérez De Los Cobos Orihuel, 35 142 sono obbligati, secondo quanto previsto nell’art. 24.1 LPRL, a cooperare tra loro nell’applicazione della normativa sulla salute e sicurezza sul luogo di lavoro. Questo dovere di cooperazione riguarda l’esecuzione di qualsiasi azione preventiva necessaria a prevenire i rischi sul lavoro che colpiscono tutti i lavoratori vincolati con ciascuno di essi durante il compimento della loro prestazione e in particolare, affinché ognuno degli imprenditori concorrenti possa trasmettere ai suoi lavoratori l’informazione in materia preventiva necessaria, in relazione alle specifiche circostanze, secondo quanto previsto nell’art.18.1 LPRL38. La disposizione parte della valutazione che il concorso di attività imprenditoriali nello stesso posto di lavoro conduce inevitabilmente a un nuovo e specifico fattore di rischio per la salute e sicurezza dei lavoratori, legato alla compresenza e alle interferenze dei vari imprenditori concorrenti39.Essa impone un dovere di collaborazione interaziendale nell’applicazione delle misure di sicurezza. Qui la sicurezza collettiva, presupposto dell’efficace protezione individuale di ogni lavoratore e intesa come sicurezza di un determinato ambito di organizzazione imprenditoriale, viene riferita a un unico centro di lavoro nel quale convergono distinti imprenditori, con i loro rispettivi poteri e doveri verso i lavoratori, compreso il dovere di sicurezza. La sicurezza collettiva in questi casi dipende non soltanto delle azioni del datore di lavoro e dalla collaborazione dei suoi lavoratori, bensì dell’azione di tutti i datori e dalla collaborazione dei rispettivi lavoratori. Logicamente, l’efficacia della sicurezza collettiva in queste ipotesi di concorrenza imprenditoriale esige la coordinazione delle misure di prevenzione di tutti gli imprenditori coinvolti, esigendosi una pianificazione coordinata40. L’obbligo di cooperazione che s’impone ai distinti imprenditori o lavoratori autonomi concorrenti in uno stesso posto di lavoro è stato configurato legalmente, in principio, come un obbligo interaziendale, operante tra i distinti imprenditori concorrenti in uno stesso centro di lavoro41 – al margine di qualunque altro requisito addizionale – e non meno un obbligo di questi imprenditori di fronte ai rispettivi lavoratori. Così i lavoratori, in virtù del loro diritto soggettivo, non potrebbero esigere direttamente dal proprio datore di lavoro l’adempimento di tale obbligo di coordinazione. L’obbligo per ognuno degli imprenditori concorrenti di coordinare le rispettive attività preventive si trova specificato attualmente nel Regio decreto n. 171/2004, del 30 gennaio, che dà attuazione all’art. 24 dalla legge n. 31/1994, dell’8 novembre, di Prevenzione di Rischi Sul lavoro, in materia di coordinazione di attività imprenditoriali. Di seguito, nell’art. 24.2 LPRL si stabilisce una serie di obblighi del datore di lavoro titolare dell’impresa nella quale sviluppino l’attività produttiva anche altre imprese42. Questi sono obblighi imposti a un datore di lavoro in particolare, ossia a colui che è il «titolare del centro di lavoro» La prevención de riesgos laborales en las estructuras empresariales complejas, in Revista del Ministerio de Trabajo y Asuntos Sociales, 2004, n. 48, 7. 38 Questo precetto concorda con quanto disposto ai sensi dell’art. 6.4 della direttiva Quadro nonché con il disposto dell’art. 17 dell’Accordo OIL n. 155. 39 Così lo considera anche T. López, Representantes de los trabajadores y Comités de Seguridad y Salud laboral (IV), in AA.VV., Riesgo y Trabajo. Legislación y formación en seguridad. Responsabilidades, Fundación MAPFRE, Universidad de Salamanca, Madrid, 1996, 285. 40 Su questo problema, cfr. F. Navarro Nieto, Coordinación de actividades empresariales y prevención de riesgos laborales, Bomarzo, Albacete, 2005. 41 Così J.M. Goerlich Peset, Coordinación de actividades empresariales y prevención de riesgos laborales, in Actualidad Laboral, 1997, n. 8, 128, che considera che il sottotitolo n. 1 dell’art. 24 della LPRL parte da una concezione di interaziendale con carattere orizzontale, vale a dire una situazione in cui ogni società è nella stessa posizione rispetto alle altre. Qui il fatto di svolgere l’attività nello stesso luogo di lavoro rappresenta l’unico elemento importante per la nascita dell’obbligo di cooperazione, indipendentemente da eventuali altri dati. 42 Secondo l’art. 2 del Regio decreto n. 171/2004, impresario «titolare del centro di lavoro» è «quella persona che ha la capacità di mettere a disposizione e gestire il luogo di lavoro». Cfr. R. Aguilera Izquierdo, El desarrollo reglamentario del art. 24 de la LPRL: la coordinación de actividades empresariales, in Revista del Ministerio de Trabajo y Asuntos Sociales, 2004, n. 53, 269. 143 dove gli altri imprenditori sono presenti con le loro attività produttive43. Gli specifici obblighi che sono imposti al datore di lavoro titolare del centro di lavoro sono anche obblighi verso agli altri imprenditori – e/o lavoratori autonomi – che concorrono in questo centro44. Il datore di lavoro titolare di un’attività in cui operino altre imprese, sarà obbligato ad adottare tutte le misure che siano necessarie affinché questi altri imprenditori ricevano l’informazione e le istruzioni adeguate riguardo ai rischi sul lavoro esistenti nel centro di lavoro ed alle misure di protezione e prevenzione corrispondenti, così come sulle misure di emergenza ad applicare, in modo che questi, a loro volta, possano fornire tali informazioni e istruzioni ai rispettivi lavoratori. Si deduce, logicamente, che affinché il datore di lavoro titolare del posto di lavoro possa adempiere quest’obbligo, debba eseguire una previa valutazione dei rischi e aver pianificato ed eseguito le misure di sicurezza necessarie e adeguate per la sua prevenzione, nonchè avere ricevuto informazione sui distinti imprenditori concorrenti nel centro di lavoro del quale è il titolare. Il contenuto concreto dell’obbligo stabilito nell’art. 24.2 LPRL a carico del datore di lavoro titolare del centro di lavoro in cui convergono i lavoratori di altre imprese si trova sviluppato anche ai sensi del già menzionato Regio decreto n. 171/2004, del 30 gennaio. Quest’obbligo del datore di lavoro titolare del centro di lavoro, che, a parere di chi scrive, sembra operativo, anche se questo datore di lavoro non sia un datore di lavoro ai sensi dell’art. 1.2 della SL45, è progettato giuridicamente, come un obbligo interaziendale, un obbligo imposto al datore di lavoro titolare del centro di lavoro rispetto agli imprenditori che utilizzano il centro di lavoro ma che sono datori di lavoro dal punto di vista del Diritto del Lavoro – o lavoratori autonomi, ai sensi dell’art. 24.5 LPRL – così come previsto per l’obbligo di coordinazione. L’obbligo che ricade sul titolare del centro di lavoro, è di carattere informativo affinché le imprese, i cui lavoratori operino nello stesso centro di lavoro, possano adempiere i propri obblighi di adozione delle misure di coordinamento. Da questa prospettiva, i lavoratori che eseguano la loro prestazione in uno stesso centro di lavoro non potranno, esigere direttamente dal titolare di detto centro l’adempimento degli obblighi informativi e istruttivi che la legge impone, ma dovranno rivolgersi al loro rispettivo datore di lavoro affinché adotti le misure necessarie a tale fine(art. 14.2 LPRL). Sul presupposto che il datore di lavoro vincolato in senso lavorativo con i lavoratori non esiga dal datore di lavoro titolare del centro di lavoro l’osservanza degli obblighi imposti, l’art. 24.2 LPRL,violerà il suo dovere di garantire la protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro per i lavoratori al suo servizio. Nei commi 3 e 4 l’art. 24 LPRL dedica un regime di protezione specifico in materia di salute e sicurezza sul lavoro per i lavoratori di imprese appaltate o subappaltate da un’altra impresa principale per la realizzazione di opere o servizi corrispondenti alla « attività» di quest’ultima46. 43 Logicamente, gli obblighi che sono imposti a ciascun datore di lavoro verso i suoi rispettivi lavoratori, sono soggetti al necessario coordinamento imposto dal sottoparagrafo 1 dell’art. 24 LPRL, di cui sono responsabili tutti i diversi datori di lavoro concorrenti, incluso il titolare del centro di lavoro. Si veda J.M. Goerlich Peset, Coordinación de actividades empresariales y prevención de riesgos laborales, in Actualidad Laboral, 1997, n. 8, 132; in senso simile I. García Ninet, Breves notas y exposición subrayada (con pretensiones meramente didácticas) del RD 171/2004, de 30 enero (BOE del 31), por el que se desarrolla el artículo 24 de la Ley 31/1995, de 8 de noviembre, de Prevención de Riesgos Laborales, en materia de coordinación de actividades empresariales (Primera parte), in Tribuna Social, 2004, n. 159, 9. 44 Su tale posizione, vedere J. García Piqueras, Régimen jurídico de las responsabilidades empresariales en las contratas y subcontratas de obras y servicios, Tirant lo Blanch, Valencia, 1998, 63. 45 Della stessa posizione è R. Aguilera Izquierdo, El desarrollo reglamentario del art. 24 de la LPRL: la coordinación de actividades empresariales, cit., 270. 46 Le due grandi interpretazioni che la giurisprudenza ha fornito del concetto di «attività propria» in questo concreto ambito, al margine delle numerose sfumature che in ciascuna di esse si sono introdotte, sono le seguenti: la prima, una concezione restrittiva di tale concetto legale, secondo la quale l’attività oggetto di appalto o subappalto deve coincidere essenzialmente con quello dell’impresa principale, per cui le funzioni che costituiscono l’attività produttiva fondamentale dell’impresa principale devono essere le stesse che realizza l’impresa ausiliare con la quale si stipula un contratto; la seconda, opposta a questa, assume una considerazione ampia o estensiva del concetto di «attività propria» col fine di ricomprendervi il maggior numero possibile di attività imprenditoriali che siano oggetto di appalto o subappalto, sostenendo che sia sufficiente per aversi «attività propria una minima connessione col processo produttivo di questa, anche se si tratta di qualche servizio accessorio, lasciando fuori dal concetto di «attività propria» 144 Quando poi i lavoratori eseguano la loro prestazione nel centro di lavoro dell’impresa principale,essa è obbligata, non solo ad adempiere gli obblighi di coordinazione, d’informazione e di istruzione ai sensi dei commi 1 e 2 dell’art. 24 LPRL47, ma anche a vigilare sull’esatto adempimento di questi obblighi da parte delle imprese appaltatrici e subappaltatrici, della normativa di prevenzione dei rischi sul lavoro48. Come dimostra la dottrina, in questi casi si rafforzano i doveri di sicurezza delle imprese che contrattano o subappaltano col fine di garantire la protezione efficace in materia di salute e sicurezza dei lavoratori vincolati in senso lavorativo con le imprese appaltatrici49, ma senza alterare lo schema generale per cui è il datore di lavoro giuridico-formale, o più correttamente, quello che esercita effettivamente i poteri di direzione, organizzazione e controllo delle prestazioni realizzate dai lavoratori, il soggetto obbligato in ogni caso a garantire la protezione efficace dei lavoratori al suo servizio. Il contenuto dell’obbligo principale di vigilanza del datore di lavoro consiste nell’adeguato adempimento da parte delle imprese appaltatrici e subappaltatrici del suo dovere di sicurezza rispetto ai lavoratori che eseguano la loro prestazione per la durata del contratto o subappalto,sono specificati nell’art. 10 del Regio decreto n. 171/2004. La finalità è quella di obbligare il datore di lavoro principale ad adempiere non soltanto quest’obbligo in maniera puramente formale ma anche effettiva, e senza che la sua esigenza possa oltrepassare i criteri della «ragionevolezza»50. Il dovere di vigilanza obbliga tutti i datori di lavoro implicati nella catena di contratti e subappalti in senso verticale discendente. Ciò si deduce chiaramente dall’art. 10.2 del Regio decreto n. 171/2004 che incorpora l’opinione dottrinale e giurisprudenziale maggioritaria anteriore, disponendo che quel dovere rispetto ai concreti obblighi di sicurezza delle imprese appaltatrici e subappaltatrici si estende anche all’impresa appaltatrice quando subappalti ad altro, la realizzazione dell’opera o del servizio. In questo modo è l’impresa appaltatrice che deve dimostrare che l’impresa subappaltatrice, prima dell’inizio dell’attività, abbia eseguito i suoi obblighi di sicurezza rispetto ai lavoratori che eseguono le opere e i servizi ed informato l’impresa principale. Quest’obbligo di vigilanza imposto all’impresa principale, anche se costituisce senza dubbi un mezzo importante di garanzia della protezione efficace in materia di salute e sicurezza dei lavoratori delle imprese appaltatrici o subappaltatrici che sviluppino la loro prestazione nell’impresa principale e in conseguenza si sentano esposti ai rischi sul lavoro derivanti dell’organizzazione della stessa, non si stabilisce come un obbligo contrattuale né dà luogo a una solo quelle meramente occasionali o eccezionali. Per una panoramica sulla dottrina e sulla giurisprudenza sul punto, si veda F. Pérez De Los Cobos Orihuel, La seguridad y salud en el trabajo en los supuestos de concurrencia de actividades empresariales. A propósito del posible desarrollo reglamentario del art. 24 LPRL, in Actualidad Laboral, 2003, n. 30, 545-547; questo stesso autore ha elaborato un «test» per determinare se l’attività produttiva dell’impresa o appaltatrice costituisce «attività propria» dell’impresa principale basandosi sulla dottrina unificatrice stabilita al riguardo nelle sentenze del STS del 18 gennaio del 1995, 24 novembre del 1998 e 22 novembre di 2003, in F. Pérez De Los Cobos Orihuel, La prevención de riesgos laborales en las estructuras empresariales complejas, cit., 75-77; in tal senso, sulle diverse interpretazioni della nozione di “attività propria”, si veda anche J.M. Goerlich Peset, Coordinación de actividades empresariales y prevención de riesgos laborales, cit., 142-144. 47 Si veda AGUILERA IZQUIERDO, R., “El desarrollo reglamentario del art. 24 de la LPRL: la coordinación de actividades empresariales”, op. cit., pag. 271, la quale si riferisce agli obblighi cumulativi, cioè quelli che non escludono quelli anteriori, ma che vi “si sovrappongono in maniera graduale” 48 Cosí PÉREZ DE LOS COBOS ORIHUEL, F., “La prevención de riesgos laborales en las estructuras empresariales complejas”, Revista del Ministerio de Trabajo y Asuntos Sociales, num. 48, 2004, pag. 77: “Si no se da esta coincidencia espacial determinada por la empresa principal en cuanto que comitente, la obligación de vigilancia no nacerá”. 49 Cosí, SEMPERE NAVARRO, A. V., GARCÍA BLASCO, J., GONZÁLEZ LABRADA, M. y CARegio decreto n.ENAL CARRO, M., Derecho de la Seguridad y Salud en el Trabajo, Cívitas, 3ª ed., Madrid, 2001, pag. 186; e anche AGUILERA IZQUIERDO, R., “El desarrollo reglamentario del art. 24 de la LPRL: la coordinación de actividades empresariales”, op. cit., pag. 276. 50 Nello stesso senso, vid. AGUILERA IZQUIERDO, R., “El desarrollo reglamentario del art. 24 de la LPRL: la coordinación de actividades empresariales”, op. cit., pág. 277. 145 facoltà soggettiva in favore dei lavoratori di poter reclamare legittimamente quella vigilanza e quel controllo al datore di lavoro principale51. Attualmente, tuttavia, a causa delle modifiche introdotte nello SL recentemente attraverso il Reale Decreto legge n. 5/2006, del 9 giugno, per il miglioramento della crescita e dell’impiego, in quelle ipotesi in cui l’impresa principale e l’impresa appaltatrice e subappaltatrice condividano in maniera continuata uno stesso centro di lavoro, i rappresentanti dei lavoratori dell’impresa appaltatrice o subappaltatrice potranno riunirsi con i rappresentanti dei lavoratori dell’impresa principale «al fine di coordinarsi in relazione alle condizioni di esecuzione dell’attività di lavoro (nuovo comma 7 dell’art. 42 SL)»ciò, permetterà ai rappresentanti dei lavoratori dell’impresa appaltatrice o subappaltatrice di vigilare e controllare che il datore di lavoro principale esegua gli obblighi di vigilanza necessari in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Se i lavoratori dell’impresa appaltatrice o subappaltatrice non hanno dei propri rappresentanti, potranno formulare ai rappresentanti dei lavoratori dell’impresa le principali questioni concernenti l’esecuzione dell’attività sul lavoro(nuovo comma 6 dell’art. 42 SL), attraverso le quali potranno rivolgere richiami al datore di lavoro principale mediante tali rappresentanti affinché espletino il loro dovere di sorveglianza. Si tratta in ogni caso di un sistema indiretto poiché ai lavoratori delle imprese appaltatrici o subappaltatrici non è attribuita la diretta legittimazione per esigere dal datore di lavoro principale l’adempimento dei suoi obblighi di sicurezza, sia direttamente che attraverso i suoi rappresentanti, bensì soltanto la possibilità di esporre tali questioni davanti ai rappresentanti dei lavoratori dell’impresa principale. Dato che l’obbligo di vigilanza del datore di lavoro principale non è stato concepito come un obbligo rispetto ai lavoratori dell’impresa appaltatrice o subappaltatrice, se il datore di lavoro principale non lo rispetta non incorrerà in nessun caso in una responsabilità nei confronti dei lavoratori dell’impresa appaltatrice o subappaltatrice, ma soltanto in una responsabilità di natura pubblica, la responsabilità amministrativa prevista ai sensi dell’art. 42.3 LISOS52, di carattere solidale con l’impresa appaltatrice o subappaltatrice che non compie il suo obbligo di protezione nei riguardi di quei lavoratori che svolgono la loro prestazione nell’ambito organizzativo dell’impresa principale, sempre che l’infrazione si sia materializzata in tale ambito e in pendenza del contratto53. Vi è anche una responsabilità civile per danni condivisa con il datore di lavoro appaltatore o subappaltatore principale, nei confronti del lavoratore che ha sofferto il danno derivato da un incidente sul lavoro. Essa è una responsabilità di natura non contrattuale(art. 1101 del Codice Civile) quindi extracontrattuale o aquilana(art. 1902 del Codice Civile). Quelli che avrebbero il diritto di esigere dal datore di lavoro principale l’adempimento del suo obbligo di vigilanza sulla corretta osservanza, da parte dei datori di lavoro appaltatori o subappaltatori, dei rispettivi obblighi di sicurezza, sarebbero i suoi stessi lavoratori, solo quando l’inosservanza di tale obbligo fosse origine di rischi per la loro stessa salute e sicurezza (rischi creati dai lavoratori dell’azienda appaltatrice o subappaltatrice inaffidabile). Da parte sua, l’art. 42.4 della SL stabilisce l’obbligo dell’azienda principale che appalti o subappalti ad altre imprese parte della propria attività produttiva, in ogni caso, nelle ipotesi in cui l’attività di queste ultime si riferisca alla « attività propria» di quella, di informare i rappresentanti legali dei suoi lavoratori, tra altri estremi, sulle «Misure previste per la coordinazione d’attività dal punto di vista della prevenzione dei rischi sul lavoro» (lettera e) dell’art. 42.4 SL. Questi rappresentanti legali – unitari – potranno richiedere al datore di lavoro questa informazione al rispetto, senza la possibilità di esigere anche il compimento effettivo del proprio obbligo di coordinazione e delle misure di sicurezza in cui ogni supposto sia stato tradotto. Inoltre, secondo quanto disposto dal punto 5 dell’art. 42 SL, l’impresa appaltatrice o subappaltatrice dovrà informare anche i rappresentanti dei suoi lavoratori, prima dell’inizio dell’esecuzione del contratto, sulle misure previste per la coordinazione dell’attività con l’impresa 51 L’art. 2 del Regio decreto n. 171/2004, definisce il datore di lavoro principale come quello «che appalta o subappalta ad altri la realizzazione di opere o servizi corrispondenti alla propria attività». 52 Cfr. art. 42.3 LISOS. 53 Vedere PÉREZ DE LOS COBOS ORIHUEL, F., op. cit., pag. 78 alla 80. 146 principale in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro. Esso sancisce anche il diritto di informazione da parte dei rappresentanti unitari dei lavoratori delle imprese appaltatrici e subappaltatrici che si aggiunge a quanto stabilito nell’art. 18 LPRL – i cui destinatari sono i lavoratori stessi individualmente e/o i loro rappresentanti specifici in materia di salute e sicurezza sul lavoro, i Delegati di Prevenzione – che inoltre, deve essere fornita prima di avviare l’attuazione del contratto o subappalto, e che si riferisce alle «Misure previste per la coordinazione di attività», e che conferma la natura necessariamente pianificata di tali azioni di coordinamento e di integrazione nella gestione di ciascuna delle imprese partecipanti. Quando i lavoratori di imprese appaltatrici o subappaltatrici non eseguano la loro prestazione nei centri di lavoro di queste ultime ma, utilizzino macchinari, strumenti, prodotti, materie prime dell’impresa principale, il datore di lavoro titolare della stessa, secondo quanto disposto nell’art. 24.4 LPRL, ha gli stessi obblighi sanciti dall’art. 41.1 LPRL si invia per i fabbricanti, importatori e somministratori di quei mezzi di lavoro o strumenti di protezione individuale. Gli obblighi del datore di lavoro principale rispetto agli imprenditori appaltatori o subappaltatori, in questi casi, sono i seguenti: deve garantire che le attrezzature da lavoro non costituiscano una fonte di pericolo per il lavoratore e che siano installate e utilizzate nelle condizioni, nella forma e per le finalità raccomandate; nel caso di uso di sostanze chimiche esse devono essere tenute in modo che si permetta la loro conservazione e manipolazione in condizioni di sicurezza e per identificarne con chiarezza il contenuto e i rischi per la sicurezza o la salute dei lavoratori che ne vengono in contatto; deve fornire informazioni che indichino il modo corretto di utilizzo ai lavoratori, le misure preventive addizionali che debbano prendersi e i rischi sul lavoro che comporta tanto un uso normale delle stesse, quanto un uso improprio; nell’attribuzione dei dispositivi di protezione individuale(DPIs) avrà l’obbligo di assicurare l’effettività degli stessi, sempre che siano installati e usati nelle condizioni e nella forma raccomandate; dovranno dare l’informazione necessaria agli appaltatori e subappaltatori, affinché l’utilizzo e la manipolazione di macchine, attrezzature, prodotti, materie prime e strumenti di lavoro avvengano senza che si verifichino rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori. Anche in questo caso si tratta di obblighi interaziendali, e anche se hanno la funzione di garantire che i datori di lavoro appaltatori o subappaltatori possano adempiere questo dovere secondo i termini della normativa preventiva attualmente in vigore. I lavoratori nel caso previsto nell’art. 24.4 LPRL avranno diritto a esigere direttamente dal datore di lavoro – titolare dell’impresa appaltatrice o subappaltatrice – che vengano loro somministrati i mezzi di lavoro nelle condizioni di sicurezza indicate, così come l’informazione necessaria per gestire in modo corretto e senza rischi. Il datore di lavoro appaltatore o subappaltatore, in adempimento del suo proprio obbligo di garantire la protezione efficace dei suoi lavoratori, nel caso in cui il datore di lavoro principale motu proprio non rispetti alcuno di questi obblighi dovrà fare un richiamo secondo le vie modalità previste dall’ordinamento incorrendo, in caso contrario, in un inadempimento del proprio dovere di protezione e nella conseguente responsabilità, senza che possa allegare come scusa esimente che il datore di lavoro principale non ha presso l’iniziativa per la fornitura dei mezzi di lavoro adeguati o per la somministrazione dell’informazione necessaria e pertinente. Non bisogna dimenticare che qualunque datore di lavoro è «garante» dell’efficace protezione dei suoi lavoratori e in questo caso il garante, secondo la costruzione normativa, non è altro che il datore di lavoro appaltatore o subappaltatore sul lavoro vincolato con i lavoratori che utilizzano mezzi di lavoro altrui. Speciale riferimento al subappalto nel settore dell’edilizia: oltre a questa, esiste una regolamentazione specifica per il settore dell’edilizia, nel quale, gli indici d’infortunio sul lavoro sono molto alti. Secondo i dati forniti dall’INSHT per il 2006, in questo settore si sarebbero verificati 255.636 infortuni sul lavoro, di cui 252.368 lievi (98.7%),2969 gravi(1.2%), e 2999 mortali, (0.1%). Gli infortuni di questo settore rappresentano il 27% del totale degli infortuni sul lavoro in Spagna durante quest’anno. Nell’interpretazione di questi dati bisogna tenere conto di un fattore essenziale, rappresentato dall’alto ricorso a lavoro temporaneo(superiore al 50%) ed al turn-over. 147 La normativa in materia è abbastanza complessa. Preliminare è la definizione di impresa edile e di opere di costruzione. A - Per quanto riguarda le aziende edilizie, alle stesse viene applicato, oltre alla normativa specifica in funzione dei differenti tipi di rischi sul lavoro, nel caso di concorrenza imprenditoriale di qualunque tipo, compresa quella relativa alla contrattazione e subappalto, la normativa generale già analizzata e raccolta nell’art. 24 LPRL e nel Regio decreto n. 171/2004 che sviluppa questo precetto. Ci rimettiamo all’analisi previamente realizzata. In aggiunta, si applica l’importante legge n. 32/2006, del 18 ottobre, regolatrice del subappalto nel settore della edilizia, a sua volta sviluppata dal Regio decreto n. 1109/2007. Il presente regolamento si applica sia al settore privato che al pubblico. Si applica, infine, quanto disposto nell’Accordo Generale della Edilizia attualmente vigente, che porta a termine una regolamentazione molto ampia e dettagliata. La legge n. 32/2006 introduce per la prima volta in Spagna una regolamentazione del regime giuridico del subappalto, non con carattere generale, ma riferito esclusivamente al settore dell’edilizia, nella quale non ha solo un’importante tradizione, ma ha sperimentato un progressivo aumento della sua importanza negli ultimi trent’anni. Nella sua Esposizione di Motivi si rinviene che la contrattazione e il subappalto di opere e servizi sono, diretta espressione del diritto alla libertà d’impresa riconosciuto nell’art. 38 della Costituzione Spagnola e pertanto, nel quadro di un’economia di mercato, è una forma di organizzazione perfettamente legittima «finché non offenda l’ordinamento giuridico». Inoltre si fa riferimento a una serie di aspetti del subappalto che contribuiscono a incrementare l’efficienza imprenditoriale: essa infatti, da una parte, permette in molti casi un maggiore grado di specializzazione e caratterizzazione dei lavoratori e un più frequente utilizzo dei mezzi tecnici che sono utilizzati, cosa che influenza positivamente gli investimenti in nuove tecnologie; dall’altro, facilita la partecipazione delle piccole e medie imprese nell’attività della edilizia, quello che contribuisce alla creazione di impiego. E in secondo luogo, si mette in luce che, nonostante i vantaggi che senza dubbio ha il subappalto come modello di organizzazione produttiva, l’eccesso delle catene di cui esso si avvale, in particolare nel settore edile, oltre a non apportare nessun elemento positivo da un punto di efficienza imprenditoriale che deriva dalla maggiore specializzazione e caratterizzazione dei lavoratori, dà luogo, in non pochi casi, alla partecipazione di imprese prive di una struttura organizzativa che permetta di far fronte agli obblighi di protezione della salute e sicurezza dei lavoratori. Accade così che la loro partecipazione nella catena successiva e ingiustificata di subappalti, opera in diminuzione dei margini imprenditoriali e della qualità dei servizi offerti in modo progressivo fino al punto che, negli ultimi anelli della catena, questi margini sono praticamente inesistenti, favorendo il lavoro sommerso, proprio nell’elemento finale che deve rispondere alle condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori che svolgono le opere. Perciò gli eccessi di subappalto possono facilitare l’emergere di pratiche incompatibili con la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro. In sintesi, la premessa di partenza della regolamentazione stabilita nella legge n. 32/2006 è l’esistenza di un particolare conflitto d’interessi giuridici nello specifico settore dell’edilizia tra il diritto costituzionale alla libertà d’impresa e il diritto dei lavoratori alla salute e sicurezza sul lavoro, il cui fondamento ultimo sono i diritti costituzionali alla vita e all’integrità psicofisica (art. 15 CE) e il diritto alla protezione della salute (art. 43 CE), conflitto che si cerca di risolvere in una maniera ponderata attraverso lo stabilimento di una serie di requisiti e limitazioni alle possibilità di subappalto in questo settore. Questa limitazione si giustifica alla luce del fatto che la causa principale che determina l’elevato livello di incidenti in questo settore è principalmente l’eccessivo prolungamento delle catene di subappalto e gli inadempimenti delle imprese che ne sono parte, dei principali obblighi preventivi. Le misure aventi questa finalità e che, indubbiamente, operano una restrizione della libertà organizzativa delle imprese del settore dell’edilizia, nel ricorso all’appalto sono le seguenti: 148 a) Chiedere una serie di condizioni materiali e formali alle imprese per intervenire nel processo di subappalto nel settore dell’edilizia come appaltatore o subappaltatore. Questi requisiti sono: - Possedere una propria organizzazione produttiva, con risorse e mezzi materiali e umane necessarie per lo sviluppo e l’uso dell’attività contrattata. Per quanto riguarda le loro risorse umane sono tenuti espressamente a verificare che gli stessi abbiano la formazione necessaria sulla prevenzione dei rischi sul lavoro. Provare inoltre che essi abbiano un’organizzazione preventiva idonea. - Assumere rischi, obblighi e responsabilità propri dello sviluppo dell’attività imprenditoriale. - Esercitare direttamente le facoltà di organizzazione e direzione dei lavoratori dipendenti e, nel caso dei lavoratori autonomi, eseguire il lavoro con autonomia e responsabilità propria e fuori dell’ambito di organizzazione e direzione dell’impresa che l’abbia contrattato. - Aver un numero minimo di lavoratori, quando si tratti di imprese in cui l’attività sia «abitualmente» richiesta per la realizzazione di lavori nel settore edile – non, quando il suo rendimento in questo settore è sporadico: tale numero minimo dovrà essere determinato dal regolamento, ma in nessun caso potrà essere inferiore al 10% del suo organigramma nel corso dei primi 18 mesi di validità della legge, né al 20% nel periodo dal diciannovesimo al trentaseiesimo mese, né al 30% nel periodo fino al trentasettesimo mese. L’art. 11 del Regio decreto n. 1109/2007, del 24 agosto, per il quale si sviluppa la legge 32/2006, precisa quando un’impresa nel settore edile si possa definire abituale, nonché il numero minimo dei lavoratori a tempo indeterminato che in tal caso dovrebbe avere. - Essere iscritte nel Registro de Empresas Acreditadas, (Registro di Imprese Accreditate). Tale iscrizione è subordinata alla verifica da parte dell’Autorità competente, della presenza di tutti i requisiti necessari, mediante una dichiarazione sottoscritta dal rappresentante dell’impresa davanti a detto Registro. Questo Registro ha come fine quello di permettere l’accesso pubblico ai dati identificativi delle imprese iscritte, essenzialmente attraverso l’accesso pubblico ai suoi dati e l’emissione di certificazioni concernenti le iscrizioni praticate. Le imprese appaltatrici e subappaltatrici dovranno iscriversi nello stesso, rinnovare l’iscrizione ogni tre anni e chiedere la cancellazione dell’iscrizione quando non si adeguino ai requisiti previsti per l’entrata e la permanenza nel Registro, anche se l’autorità lavorativa ha il potere di procedere in ogni caso alla cancellazione d’ufficio di quell’iscrizione. b) Limitare la catena di subappalto: con carattere generale essa non potrà sorpassare il terzo livello54 – neanche attraverso lavoratori autonomi. In maniera eccezionale si permette un anello addizionale nella catena di subappalto, fino al quarto livello, nei tre seguenti casi, che devono essere interpretati restrittivamente: se ricorre caso fortuito; se reso necessario dalle esigenze di specializzazione dei lavori; e in caso di complicazioni tecniche della produzione o di forza maggiore di fronte alle quali si possano trovare i soggetti operanti. L’inadempimento di ognuno di questi obblighi costituisce un’infrazione amministrativa che oltre ad impedire all’impresa inaffidabile di continuare a partecipare alla catena di contratti e subappalti nel settore della costruzione, la sottopone a sanzione. Si possono trarre le seguenti conclusioni: La limitazione è verticale e non orizzontale, in modo che ogni datore di lavoro può assumere direttamente il numero di soggetti che vuole, visto che tutti si troveranno nel primo livello. 54 149 1 - La protezione efficace contro i rischi sul lavoro dei lavoratori delle imprese coinvolte nel settore dell’edilizia è legata direttamente alla qualità del lavoro, perciò una gran parte dei requisiti che sono imposti alle imprese per agire come appaltatori o subappaltatori nello stesso è direttamente orientata a evitare cessioni illegali di manodopera, vietate espressamente nell’ordinamento spagnolo nell’art. 43 dello SL. Si tenta di garantire che le imprese siano vere organizzazioni produttive con le risorse necessarie per portare adeguatamente a termine la loro attività. 2 - Si cerca di dare trasparenza al settore attraverso la creazione di uno specifico Registro di Imprese Accreditate, l’iscrizione al quale avrà validità in tutto il territorio nazionale. L’obbligo, per qualunque impresa, d’iscrizione in un registro specifico, sulla base della dimostrazione del possesso di tutti i requisiti della legge n. 32/2006, costituisce un meccanismo, che attuato adeguatamente, potrà garantire un effettivo espletamento dei principali obblighi preventivi, e quindi una protezione più efficace dei lavoratori. L’entità delle conseguenze giuridiche della mancanza di iscrizione – l’impossibilità assoluta di poter stipulare appalti o subappalti con un’altra impresa in detto settore – deve costituire sufficiente incentivo per spingere le imprese del settore a tale adempimento. Anche questa iscrizione obbligatoria costituisce un meccanismo efficace per ridurre il lavoro nero o irregolare in questo settore. Questo requisito di trasparenza è intensificato ancora dal fatto che si esige da ogni datore di lavoro di dimostrare di aver soddisfatto tutti i requisiti previsti dalla legge n. 32/2006, iscrivendosi così conseguentemente nel Registro di Imprese Accreditate acquisendo l’autorizzazione legale per intervenire in qualità di appaltatore o subappaltatore nel settore dell’edilizia, del cosiddetto «Libro di Subappalto». In questo Libro che dovrà rimanere in ogni momento in azienda, si dovranno riflettere, per ordine cronologico dal principio dei lavori, gli aspetti seguenti: tutti gli appalti realizzati in una determinata opera con imprese subappaltatrici e lavoratori autonomi; il rispettivo livello di subappalto e di impresa committente; l’oggetto del contratto; l’identificazione della persona che esercita i poteri di organizzazione e di gestione per ogni subappaltatrice e dei rappresentanti legali dei lavoratori della stessa; le rispettive date di consegna della parte del Piano di Salute e Sicurezza relativo a ciascuna impresa subappaltatrice e a ciascun lavoratore autonomo; le istruzioni impartite dal coordinatore di salute e sicurezza per evidenziare le dinamiche e lo sviluppo della procedura di coordinazione stabilita; le annotazioni effettuate per la direzione facoltativa di ogni subappalto eccezionale nei casi in cui la stessa sia possibile secondo la legge n. n. 32/2006. 3 - Il legislatore è consapevole che il problema dell’elevato tasso di infortuni sul lavoro nel settore dell’edilizia non è dovuto esclusivamente all’eccessiva estensione della catena di appalti e subappalti ed al fatto che negli ultimi anelli della stessa spesso le organizzazioni imprenditoriali non possiedono i mezzi minimi necessari per garantire ai lavoratori una protezione efficace in materia di salute e sicurezza. L’elevato livello di infortuni è infatti attribuibile anche all’elevato ricorso al lavoro temporaneo(più del 50%), di molto superiore al tasso di contrattazione temporanea già di per sé alto in Spagna (il 31,9%) attualmente. In questo modo si cerca di affrontare in maniera unitaria il problema generale di precarietà che, senza dubbio, affligge il settore dell’edilizia in Spagna55. - Fermo restando che, come qualunque altro datore di lavoro, gli imprenditori coinvolti nei processi di appalto e subappalto nel settore dell’edilizia devono assolutamente soddisfare tutti gli obblighi preventivi stabiliti nella LPRL e nel RSP, così come le specifiche misure in materia di coordinazione contenute nel Regio decreto n. 171/2004, vi sono due importanti esigenze da rispettare: quella dell’adeguata formazione in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro dei Un analisi su questo tema si può vedere in DURÁN LÓPEZ, F. TUDELA CAMBRONERO, G. y VALDEOLIVAS GARCÍA, Y., Informe sobre la situación de la prevención de riesgos laborales en el sector de la construcción en España, EDISOFER-Confederación Nacional de la Construcción, Madrid, 2008, pag. 166 alla 178. 55 150 lavoratori e quella di contare su un’organizzazione di risorse preventive che permettano di compiere tutti gli obblighi preventivi nei termini richiesti dalla legge. L’adeguata formazione dei lavoratori si considera così uno dei presupposti essenziali per poter assicurare alcune condizioni di lavoro sicure. Per questo motivo la legge stabilisce meccanismi che garantiscono che i lavoratori abbiano ricevuto tale formazione e che questa sia sufficiente e adeguata in ogni momento. Non va dimenticato che il datore di lavoro per iscriversi nel registro delle Imprese Accreditate e, in conseguenza, potere agire come appaltatore o subappaltatore nel settore dall’edilizia, deve dimostrare che i suoi lavoratori hanno ricevuto questo tipo di formazione. Il Regio decreto n. 1109/2007 fa riferimento alla certificazione della formazione da parte della contrattazione collettiva settoriale d’ambito statale, stabilendo un sistema di accreditamento sussidiario per l’ipotesi in cui la contrattazione collettiva non risponda. Come già segnalato, l’attuale Accordo Generale dell’Edilizia ha risposto alla richiesta della legge n. e a tal fine ha creato il cosiddetto «Tarjeta Profesional de la Construcción» (Biglietto Professionale dell’Edilizia), spedito dalla Fondazione del Lavoro dell’Edilizia, accreditante della formazione preventiva corrispondente. Il sistema alternativo per accreditare la formazione preventiva delle risorse umane delle imprese che vogliano agire come appaltatori e subappaltatori nel settore dall’edilizia,stabilito dal Regio decreto n. 1109/2007 e applicabile attualmente quando non si ricorra già al sistema convenzionale vigente, è il seguente: - L’organizzazione preventiva del datore di lavoro sarà la condizione grazie alla quale viene rilasciata la certificazione sulla formazione specifica fornita a tutti i lavoratori dell’impresa edilizia. Ciò è possibile solo se l’impresa dispone di persone che, sulla base del piano di prevenzione, esercitano funzioni di direzione e hanno ricevuto la formazione necessaria per integrare la prevenzione dei rischi sul lavoro nell’insieme delle sue attività e decisioni. - La formazione verrà fornita attraverso qualunque entità accreditata dall’Autorità del lavoro o educativa per impartire formazione in materia di prevenzione dei rischi sul lavoro, e dovrà avere una durata non inferiore a dieci ore, dovendo comprendere i seguenti contenuti minimi: 1. Rischi sul lavoro e misure di prevenzione e protezione nel Settore dell’Edilizia. 2. Organizzazione della prevenzione e integrazione nella gestione dell’impresa. 3. Obblighi e responsabilità. 4. Costi degli infortuni e redditività della prevenzione. 5. Legislazione e normativa basica in materia di prevenzione. In relazione al tema della formazione nel settore dell’edilizia è importante fare riferimento al lavoro svolto dalla Fondazione del lavoro nell’edilizia. Si tratta di un’entità privata senza scopo di lucro, creata nel 1992 attraverso il Convenio General del Sector de la Construcción (Accordo Generale del settore dell’Edilizia) per iniziativa delle organizzazioni imprenditoriali e sindacali più rappresentative del settore: la Confederación Nacional de la Construcción (CNC); la Federación Estatal de Construcción, Madera y Afines de CCOO (Fecoma-CCOO.) y Metal, Construcción y Afines de UGT (MCA-UGT). È sostenuta dal settore stesso, che, attraverso l’Accordo Generale, ha stabilito una quota obbligatoria calcolata sulle basi di quotazione alla Previdenza Sociale. La Fondazione del lavoro nell’edilizia ha come obiettivo lo stimolo della formazione professionale, il miglioramento della sicurezza e la salute sul lavoro, come la professionalità e la dignità dell’impiego nel settore, con misure come la spedizione della Tarjeta Profesional de la Construcción(Biglietto Professionale dell’Edilizia) (TPC). Senza dubbio, il suo speciale campo di azione è la formazione e, in particolare, la formazione in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro. In questo senso, e tra la varie attività, nel gennaio del 2008 ha pubblicato uno studio su Buenas prácticas de formación en seguridad y salud laboral en el sector de la construcción (Buone prassi di formazione sulla salute e sicurezza sul luogo di lavoro nel settore dell’edilizia),che enuncia una 151 serie di esperienze effettuate in determinate imprese e che, senza dubbi, potranno aiutare molte altre ad avanzare in questo terreno importante per riuscire a ridurre gli elevati indici di incidenti registrati in questo settore. Inoltre, essa è competente, secondo quanto disposto nell’Accordo Generale del Settore dell’Edilizia, a spedire il Biglietto Professionale dell’Edilizia. Nel settore dell’edilizia, data l’ampia regolamentazione applicabile in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro56, il campo della contrattazione collettiva e delle buone prassi si è rivolto specialmente al miglioramento e allo sviluppo della formazione e della protezione di quelli gruppi di lavoratori maggiormente esposti a rischio di incidenti, specialmente gli immigranti. B - Per quanto riguarda le opere edilizie, la normativa applicabile è fondamentalmente quella stabilita nel Regio decreto n. 1627/1997 che recepisce la direttiva n. 92/57/CEE, che stabilisce le disposizioni minime di salute e sicurezza da applicare alle opere edili temporanee o mobili. In primo luogo il Regio decreto n. 1627/1997 parte dalla consapevolezza che nelle opere edilizie57 intervengono soggetti che hanno delle loro specificità, non assoggettati ad altre leggi precedenti che si occupino specificamente di loro. Così, la legge si occupa degli obblighi del promotore, del progettista, dell’appaltatore e del subappaltatore (questi due ultimi individui sono stati gli impresari nelle opere edili), e dei lavoratori autonomi, spesso presenti in questo settore. Inoltre, e come risultato delle disposizioni della direttiva, sono state introdotte le figure del coordinatore in materia di salute e sicurezza durante l’elaborazione del progetto d’opera e del coordinatore in materia di salute e sicurezza durante l’esecuzione dell’opera. In secondo luogo, il Reale Decreto prende in considerazione gli aspetti che si sono rivelati utili per la sicurezza nelle opere che sono state presenti nel Regio decreto n. 555/1986, cha ha stabilito l’obbligatorietà dell’inclusione di uno studio di sicurezza e igiene nei progetti di edificazione e opere pubbliche, modificato attraverso una regola che in qualche modo ha ispirato il contenuto della direttiva n. 92/57/CEE. A differenza della precedente normativa, il presente Reale Decreto include nel suo ambito di applicazione qualunque opera, pubblica o privata, nella quale si realizzino lavori edili o di ingegneria civile. Infine, il Reale Decreto stabilisce meccanismi specifici per l’applicazione della legge di Prevenzione dei Rischi sul Lavoro e del Regio decreto n. 39/1997, del 17 di gennaio, che approva il Regolamento dei Servizi di Prevenzione, in un settore di attività tanto peculiare com’è quello relativo alle opere di costruzione. Quando nell’esecuzione dell’opera intervenga più di un’impresa e/o lavoratori autonomi, per garantire la sicurezza e la salute di tutti i lavoratori dipendenti e autonomi che realizzino la loro prestazione di servizi, si stabilisce che il committente58 dell’opera deve nominare un Coordinatore di salute e sicurezza per l’esecuzione della stessa. Quest’obbligo si anticipa al momento del progetto dell’opera quando lo stesso sia realizzato da vari progettisti59. È espressamente insistente sul fatto che la designazione da parte del promotore di questo Coordinatore di salute e sicurezza sul lavoro non lo esime dagli obblighi e dalle responsabilità che gli competono in questa materia secondo la normativa vigente. Secondo l’istituzione dei lavori, già nella fase del progetto della stessa si dovrà elaborare o uno «Studio di salute e sicurezza», oppure uno «Studio di base sulle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro». In entrambi casi essi devono essere elaborati da personale tecnico. Quando sia stato designato il Coordinatore di sicurezza, questo si potrà incaricare della sua elaborazione. In entrambi i casi si tratta di una pianificazione previa dell’attività preventiva che dovrà essere Si veda DURÁN LÓPEZ, F., TUDELA CAMBRONERO, G. y VALDEOLIVAS GARCÍA, Y., Informe sobre la situación de la prevención de riesgos laborales en el sector de la construcción en España, op. cit., pag. 153. 57 L’art. 2.1 a) del Regio decreto n. 1627/1997 definisce l’opera edile come «qualsiasi opera, pubblica o privata, nella quale si fanno lavori edili o di ingegneria civile». 58 L’art. 2.1 c) del Regio decreto n. 1627/1997, definisce la figura dello sponsor come “qualsiasi persona fisica o giuridica per conto della quale si svolge un’opera”. 59 L’art. 2.1 d) del Regio decreto n. 1627/1997, definisce il progettista come «l’autore o gli autori, scelto dal promotore di tutto o parte del progetto». 56 152 compiuta in tutta l’opera edile considerata nel suo insieme, anche se, naturalmente, i requisiti sono più ampi e più numerosi, nel primo caso che nel secondo. Posteriormente, ciascuno degli appaltatori e subappaltatori partecipanti all’esecuzione dell’opera, prima di iniziare detta esecuzione, dovranno elaborare un Piano di Salute e sicurezza sul lavoro in un’analisi per esplorare, studiare, sviluppare e completare le previsioni contenute nello studio o studio basico, in funzione del sistema di esecuzione dell’opera. Il piano comprende, nel suo caso, le proposte di misure alternative di prevenzione che l’appaltatore proponga con la corrispondente giustificazione tecnica che non potrà implicare diminuzione dei livelli di protezione previsti nello studio. Il Piano di salute e sicurezza dovrà essere approvato, prima dell’inizio dell’opera, dal Coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante l’esecuzione dell’opera. Nel caso di opere delle Amministrazioni pubbliche, il Piano, con la corrispondente relazione del coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante l’esecuzione dell’opera, sarà portato all’approvazione dell’Amministrazione pubblica che abbia vinto aggiudicazione dell’opera. I responsabili per l’attuazione dei piani di lavoro, oltre alle persone e gli organismi con responsabilità in materia di prevenzione nonché i rappresentanti dei lavoratori, potranno presentare, per iscritto, i suggerimenti alternativi che ritengono opportuni. A tal fine, il Piano di salute e sicurezza sarà in azienda a disposizione permanente degli stessi. Oltre ad elaborare un Piano di Salute e sicurezza sul lavoro proprio che serve ad attuare durante l’esecuzione di un’opera il corrispondente Studio o Studio basico di sicurezza, gli appaltatori e subappaltatori, nell’esecuzione di detto Piano saranno obbligati a: a) Applicare i principi generali di azione preventiva che si ritirano nell’art. 15 della legge di Prevenzione di Rischi sul Lavoro, e in particolare i seguenti: il mantenimento dell’opera in buon ordine e pulizia; la scelta della collocazione dei posti ed aree di lavoro, tenendo in conto le sue condizioni di accesso, e la determinazione delle vie o zone di spostamento o circolazione; la manipolazione dei distinti materiali e l’utilizzo dei mezzi ausiliari; il mantenimento, il controllo previo alla messa in servizio e il controllo periodico delle installazioni e dei dispositivi necessari per l’esecuzione dell’opera, con oggetto di correggere i difetti che potessero colpire la salute e sicurezza dei lavoratori; la delimitazione e il condizionamento delle zone di immagazzinamento e deposito dei distinti materiali, se si tratta di materie o sostanze pericolose; la raccolta dei materiali pericolosi utilizzati; l’immagazzinamento e l’eliminazione o l’eliminazione di residui e rottami; l’adattamento, in funzione dell’evoluzione dell’opera, del periodo di tempo effettivo che si dovrà dedicare ai diversi lavori o fasi di lavoro; la cooperazione tra gli appaltatori, subappaltatori e lavoratori autonomi; le interazioni e incompatibilità con qualunque altro tipo di lavoro o attività realizzata nell’opera o vicino al posto dell’opera. b) Compiere e far compiere al personale quanto stabilito nel Piano di Salute e sicurezza. c) Rispettare la normativa in materia di prevenzione dei rischi sul lavoro, tenendo in conto gli obblighi di coordinazione delle attività imprenditoriali ai sensi dell’art. 24 della LPRL. d) Fornire le istruzioni adeguate ai lavoratori autonomi su tutte le misure che si devono adottare in riferimento alla salute e sicurezza nell’esecuzione dell’opera. e) Rispondere alle indicazioni ed eseguire le istruzioni del coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante l’esecuzione dell’opera. Gli appaltatori e i subappaltatori saranno responsabili per la corretta esecuzione delle misure preventive fissate nel piano di salute e sicurezza per quanto riguarda i loro obblighi. Inoltre, gli appaltatori e i subappaltatori risponderanno solidalmente per le conseguenze che siano derivate dall’inadempimento delle misure previste nel piano. Le responsabilità dei coordinatori, della direzione facoltativa e del promotore non esimeranno gli appaltatori e i subappaltatori dalle loro responsabilità. Da parte loro, i lavoratori autonomi che eseguono i loro servizi in un’opera edile, sono soggetti ai seguenti obblighi: 153 a) Applicare i principi dell’azione preventiva,come risultante dall’art. 15 della legge di Prevenzione di Rischi sul Lavoro, in particolare per sviluppare i compiti o le attività indicate nell’art. 10 dal presente Reale Decreto. b) Rispettare le disposizioni minime di salute e sicurezza stabilite nell’allegato IV del presente Reale Decreto, durante l’esecuzione dell’opera. c) Adempiere gli obblighi in materia di prevenzione dei rischi previsti per i lavoratori dall’art. 29, comma 1 e 2, della legge di Prevenzione dei Rischi sul Lavoro. d) Adattare la realizzazione dell’opera conformemente ai doveri di coordinazione delle attività imprenditoriali stabiliti nell’art. 24 della legge di Prevenzione di Rischi sul Lavoro. e) Utilizzare strumenti di lavoro conformi ai requisiti previsti dal Reale Decreto 1215/1997 che stabilisce le disposizioni minime di salute e sicurezza per l’utilizzo delle attrezzature di lavoro. f) Scegliere e utilizzare strumenti di protezione individuale nei termini previsti nel Reale Decreto 773/1997, sulle disposizioni minime di salute e sicurezza relative all’utilizzo per i lavoratori di attrezzature di protezione individuale. g) Rispondere alle indicazioni e seguire le istruzioni del coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante l’esecuzione dell’opera o, nel caso, della direzione facoltativa. Infine segnalare l’opera edile come un’area di particolare pericolo che richiede, modalità di organizzazione particolari per le distinte imprese coinvolte nell’opera, la presenza in ognuna di esse durante l’esecuzione dell’opera di una serie di risorse preventive specifiche e addizionali il cui ruolo sarà quello di vigilare il sul rispetto delle misure comprese nel Piano di Salute e Sicurezza sul Lavoro e comprovare l’efficacia di queste. Sarà il Piano di Sicurezza a dover precisare le modalità di esecuzione della presenza delle risorse preventive in ogni impresa appaltatrice, in modo da garantire la loro attuazione coordinata. Lo scopo di questa misura è, senza dubbio, quello di migliorare l’effettività dell’attuazione da parte di ciascuna impresa appaltatrice e subappaltatrice del rispettivo Piano di sicurezza e di rinvenire al più presto le possibili deficienze esistenti, per porvi subito rimedio. Il caso dei gruppi di imprese. In linea di principio, il fatto che i lavoratori sono vincolati ad imprese giuridicamente indipendenti ma che, da un punto di vista economico, sono sottoposte, con maggiore o minore intensità, a una direzione economica unitaria, dando origine a quello che si definisce gruppo d’impresa60, non produce nessuna particolarità in relazione alla protezione della salute e sicurezza sul lavoro. Sembra chiaro che, in principio, in questi casi di concentrazione economica i lavoratori dovranno esercitare le facoltà comprese nel loro diritto a una protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul lavoro davanti al datore di lavoro col quale hanno stipulato il contratto di lavoro(art. 3 in relazione con l’art. 14.1 LPRL) poiché è a questi che giuridicamente compete l’esercizio del potere di direzione nelle sue varie manifestazioni. Il datore di lavoro – datore di lavoro giuridico – non può esimersi, in ogni caso, dal compimento dei suoi obblighi di sicurezza nei confronti dei lavoratori. Questione differente è il fatto che il datore di lavoro obbligato giuridicamente a garantire quella protezione efficace – il datore di lavoro «lavorativo», art. 1.2 SL –, dovrebbe richiedere la collaborazione degli altri imprenditori che effettivamente prendano le decisioni, all’interno del gruppo, quando le stesse abbiano ripercussioni in materia di salute e sicurezza dei suoi lavoratori. Ciò in quanto, secondo l’art. 14.2 LPRL, c’è l’obbligo di integrare l’attività preventiva dentro la Si veda CAMPS RUÍZ, L. M., “Problemática jurídico laboral del grupo de empresas: puntos críticos”, en AAVV (BAYLOS GRAU, A. y COLLADO, L., Edits.), Grupos de empresas y Derecho del Trabajo, Trotta, Madrid, 1994, pag., 87; rispetto ai gruppi di impresa in generale nei suoi multipli aspetti e problematica, vedere nuovamente a CAMPS RUÍZ, L. M., La problemática jurídico-laboral de los grupos de sociedades, Ministerio de Trabajo y Seguridad Social, Madrid, 1986; CRUZ VILLALÓN, J., “Notas acerca del régimen contractual laboral de los grupos de empresa”, Temas Laborales, 1996; MOLINA NAVARRETE, C., El Derecho nuevo de los grupos de empresas, Ibidem, Madrid, 1997; BAZ RODRÍGUEZ, J., Las relaciones de trabajo en la empresa de grupo, Comares, Granada, 2002. 60 154 gestione globale delle risorse dell’impresa e di adottare quante misure siano necessarie per riuscire a garantire in maniera effettiva la protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul lavoro di tutti al suo servizio61. Senza dubbio, uno strumento utile a questo scopo per le distinte imprese integranti del gruppo sarebbe costituire un Servizio di Prevenzione associato tra tutte loro come modalità di organizzazione della prevenzione dei rischi sul lavoro, modalità prevista nel secondo paragrafo dell’art. 21.1 RSP . Inoltre, bisogna tenere in conto che per poter garantire una protezione efficace sul lavoro ai lavoratori vincolati con imprese facenti parte di un gruppo di imprese, tenendo presente che questo diritto è stato configurato legalmente come essenzialmente un diritto partecipativo, risulterebbe imprescindibile ottenere che gli organi di rappresentazione dei lavoratori con competenze in materia di salute e sicurezza sul lavoro, di collaborazione, partecipazione e controllo, potessero essere costituiti e agire in quegli ambiti imprenditoriali dove realmente si prendono le decisioni economiche e organizzative in modo che la partecipazione collettiva dei lavoratori riesca a essere effettiva e compia la sua funzione – legalmente attribuita – di contribuire alla protezione dei lavoratori in materia di salute e sicurezza sul lavoro davvero efficace. I diritti d’informazione e consultazione ovvero la costituzione di un comitato di impresa europeo, meccanismi previsti nella legge 10/1997, regolatrice dei diritti di informazione e consultazione dei lavoratori nelle imprese e gruppi di impresa di dimensione comunitaria, possono risultare canali adeguati affinché, almeno nei gruppi di impresa di dimensione comunitaria, si ottenga l’effettiva partecipazione dei lavoratori di tutte le imprese parte del gruppo economico, all’attività del nucleo dove si prendono le decisioni principali, molte delle quali avranno un impatto diretto e immediato sulle condizioni di lavoro e che possono essere fonte di rischio per la vita, l’integrità e la salute. Dobbiamo anche tenere in conto la possibilità che attribuisce alla contrattazione collettiva il secondo comma dell’art. 35.4 LPRL di creare un organo specifico di rappresentanza dei lavoratori in materia di salute e sicurezza sul lavoro, con competenze identiche a quelle assegnate per legge ai Delegati di Prevenzione che agiscono in tutte le imprese o centri di lavoro incluse nell’ambito di applicazione dell’accordo collettivo. Un accordo collettivo il cui ambito di applicazione sia di gruppo potrebbe stabilire un organo rappresentativo dei lavoratori specifico nella materia della salute e sicurezza sul lavoro a quel livello che contribuirebbe a realizzare un’attività preventiva più integrata nell’ambito del gruppo imprenditoriale. Potrebbe risultare anche fattibile per le imprese integrate nel gruppo fare uso della possibilità prevista nel secondo comma dell’art. 38.3 LPRL, nel senso che quando ognuna di esse abbia costituito un Comitato di Salute e Sicurezza organo di partecipazione in senso stretto nella concreta materia della prevenzione dei rischi nelle imprese e/o centri di lavoro possono decidere, previo accordo coi rappresentanti dei lavoratori in ognuna di esse, la creazione di un Comitato Intercentri, con le funzioni che il proprio accordo di costituzione gli attribuisca. D’altra parte, è chiaro che, se questa partecipazione collettiva dei lavoratori all’assunzione delle decisioni di vertice non è ancora giuridicamente stabilita in modo espresso e generale, è certo che tenendo conto della configurazione che la LPRL e le altre normative preventive hanno fissato del dovere del datore di lavoro di garantire la protezione efficace dei lavoratori, con accento particolare all’informazione e consultazione e quella di adottare «cuantas medidas sean necesarias para la protección de la seguridad y salud de los trabajadores» (quante misure siano necessarie per la protezione della salute e sicurezza dei lavoratori), (art. 14.2 della LPRL) così come il dovere che ha di agire in buona fede (art. 20.2 del SL), sembra chiaro che già nell’ordinamento vigente, il datore di lavoro in questi casi si sentirebbe costretto, da una parte, a richiamare e ottenere dal gruppo di imprese o dall’impresa madre tutte le informazioni necessarie per un’efficace 61 Data la proliferazione di questo fenomeno economico-imprenditoriale con innegabili ripercussioni giuridiche, e mancando nel diritto interno un regime giuridico delle relazioni industriali – salvo quanto disposto nella legge 10/1997, del 24 aprile, che disciplina i diritti d’informazione e consultazione dei lavoratori nelle imprese e gruppi di imprese di dimensione comunitaria –, sarà la via convenzionale la più idonea per regolare la necessaria collaborazione interaziendale in materia di salute e sicurezza sul lavoro in questi casi. 155 protezione dei lavoratori per poterle così trasmettere ai lavoratori o ai loro rappresentanti aziendali in modo che questi possano esercitare le loro competenze nei termini previsti dalla LPRL, e contemporaneamente, a rifiutarsi di eseguire attività che comportino un rischio per la vita, integrità o salute dei suoi lavoratori, o accompagnandole con le misure preventive necessarie. La tutela dei lavoratori temporanei e in somministrazione. Il carattere temporaneo della prestazione di servizi è considerato espressamente come un altro fattore qualificato di rischio sul lavoro62 di carattere oggettivo cui dedica un’attenzione specifica l’art. 28 LPRL. Esso recepisce nell’ordinamento interno spagnolo la direttiva n. 91/383/CEE, del Consiglio, del 25 di giugno, che completa le misure volte a promuovere il miglioramento della salute e sicurezza dei lavoratori con una relazione sul lavoro di durata determinata o di imprese di lavoro temporaneo63. Bisogna avere in conto che in Spagna il numero di contratti di durata determinata raggiunge alcuni indici particolarmente elevati, circa il 31,4%. Questo elevato tasso di temporalità aumenta per determinati gruppi di lavoratori, per esempio i giovani tra 16 e 24 anni (47%), o in alcuni settori di produzione, in particolare quello dell’edilizia (più del 50%). L’art. 28 riconosce in maniera esplicita a questi lavoratori il diritto a godere dello stesso livello di protezione in materia di salute e sicurezza dei lavoratori standard, non giustificandosi in nessun caso un trattamento differenziato in relazione alla protezione della sicurezza e della salute, riconoscendosi tutte le facoltà in generale riconosciute ai lavoratori standard, sia quelle previste per i lavoratori delle agenzie interinali (ALT), sia quelle di carattere strumentale, sostantivo o materiale, rivolte direttamente e immediatamente alla prevenzione dei rischi specifici che li colpiscono (art. 28.1 LPRL). In realtà, nell’art. 28 LPRL non si fa riferimento a nessuna facoltà sostantiva specifica a beneficio dei lavoratori temporanei né di quelli in somministrazione. L’unica peculiarità degna di menzione è che i lavoratori in somministrazione per esercitare la loro prestazione in un’impresa utilizzatrice potranno rivolgersi, in tema di salute e sicurezza, solo al datore di lavoro titolare dell’impresa utilizzatrice(art. 28.5 LPRL), che nonostante non sia l’effettivo datore di lavoro lavorativo (art. 1.2 ET), è colui che esercita il potere di direzione64. E ciò non significa che possano esigere solo le misure previste per i lavoratori dipendenti dall’utilizzatore, ma anche quelle altre specifiche misure legate alla loro condizione di lavoratori temporanei. In questo senso bisogna segnalare anche che ai sensi dell’art. 8 del Regio decreto n. 216/1999, che stabilisce le disposizioni minime di salute e sicurezza sul lavoro nell’ambito delle Imprese di Lavoro Temporaneo65, i lavoratori 62 La relazione di Papandreu del 11 gennaio del 1990 già mostrava chiaramente il rapporto negativo inesperienza nel lavoro e scarsa conoscenza del luogo di lavoro che è direttamente proporzionale al numero degli infortuni occorsi ai lavoratori temporanei, di gran lunga più elevato di quello degli infortuni occorsi ai lavoratori standard. Nella dottrina si è evidenziato, tra tanti, MOLINA NAVARRETE, C., “La protección de colectivos especiales de trabajadores”, AAVV (VIDA SORIA J. Dir. y VIÑAS ARMADA, J. M. Coord.), La formación en prevención de riesgos laborales. Programa formativo para el desempeño de las funciones de nivel básico, Lex Nova, Valladolid, 2001, pags. 408-409; RODRÍGUEZ RAMOS, M. J., “Grupos especiales de riesgo en la Ley de Prevención de Riesgos Laborales”, AAVV (OJEDA AVILÉS, A., ALARCÓN CARACUEL, M. R., y RODRÍGUEZ RAMOS, M. J., Coords.), La prevención de riesgos laborales. Aspectos clave de la Ley 31/1995, Aranzadi, Pamplona, 1996, pag. 537; la misma autora también en “La responsabilidad de la empresa cesionaria en la Directiva (CEE) sobre seguridad y salud en el trabajo de los trabajadores temporales”, AL, n. 12, 1992, pag. 1up97; LÓPEZ, T., “Representantes de los trabajadores y Comités de Seguridad y Salud laboral (IV)”, op. cit., pag. 285; AAVV (SUPIOT, A., Coord.), Transforçaões di Trabalho e futuro do Direito do Trabalho na Europa, Coimbra Editora, Coimbra, 2003, pag. 135; y también PÉREZ DE GUZMÁN PADRÓN, S., “Una aproximación sociológica a las relaciones laborales en la pequeña empresa”, AAVV (CRUZ VILLALÓN, J. y FUENTES RODRÍGUEZ, F., Coords.), Las relaciones laborales en la pequeña empresa, Servicio de Publicaciones de la Universidad de Cádiz, Cádiz, 2003, pag. 68. 63 Si veda il Preambolo di tale direttiva. 64 Vedere RODRÍGUEZ RAMOS, M. J., “Grupos especiales de riesgo en la Ley de Prevención de Riesgos Laborales”, op. cit., pag. 411. 65 Per un’analisi dettagliata di questa norma, si veda MARTÍN HERNÁNDEZ, M. L., “Prevención de riesgos laborales en las empresas de trabajo temporal”, Carta Laboral, num. 17, 1999, pags. 1 a 13. 156 temporanei per un’impresa di lavoro temporale hanno diritto a non svolgere nell’impresa utilizzatrice quelle attività elencate in detta disposizione caratterizzati da peculiare pericolosità66. La tutela dei lavoratori autonomi. I lavoratori autonomi in Spagna, sono stati esclusi dell’ambito soggettivo di applicazione della LPRL, per non essere considerati espressamente come «lavoratori» ai suoi effetti, secondo il disposto dell’art. 3. Si parte dal presupposto che il regime di protezione consacrato nella LPRL si basa sull’imposizione al datore di lavoro del dovere di garantire ai suoi lavoratori una protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro adottando le misure necessarie. Detto regime non poteva risultare applicabile ai lavoratori autonomi, i quali, per definizione, realizzano per proprio conto la prestazione professionale assumendosi il rischio della loro attività e dei risultati della stessa e senza inserirsi nell’ambito di direzione e organizzazione altrui. Non esiste quindi la figura del datore di lavoro. Da questa prospettiva, il lavoratore autonomo che, ovviamente, con l’adempimento della sua attività professionale corre anche rischi per la propria vita, integrità fisica e psichica e la sua salute, era l’unico responsabile per l’adozione delle misure di sicurezza necessarie per proteggersi dagli stessi e,agli effetti della LPRL assumerebbe la condizione di datore di lavoro e, in conseguenza, si sentirebbe legalmente obbligato a realizzare l’attività preventiva necessaria per garantire a ogni lavoratore una protezione efficace contro i rischi sul lavoro. I lavoratori autonomi devono adottare tutte le misure per la tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Tuttavia, dal momento che nel 1995 il legislatore si rese conto che ricorrevano molte ipotesi in cui il lavoratore autonomo, senza modificare la sua condizione giuridica, eseguiva la sua opera in organizzazioni imprenditoriali altrui, e di conseguenza era esposto ai rischi sul lavoro che da solo non poteva controllare. Così succede, in concreto, quando egli realizza contemporaneamente la sua attività in un centro di lavoro nel quale sono presenti altri dipendenti e/o altri lavoratori autonomi e, soprattutto, quando ha contrattato i suoi servizi con un altro datore di lavoro e realizza la sua attività nell’ambito di organizzazione e direzione di questo oppure utilizza mezzi di lavoro forniti dallo stesso. Ed è giustamente in questi casi che LPRL ha attribuito, già nella sua versione originaria del 1995, determinati diritti e obblighi in materia di salute e sicurezza sul lavoro ai lavoratori autonomi(art. 24.5 della LPRL). In realtà, ai lavoratori autonomi in queste ipotesi sono stati imposti più obblighi che diritti, avvicinando la loro posizione più a quella di un datore di lavoro che a quella di un lavoratore, L’art. 8 Regio decreto n. 216/1999, del 5 febbraio, intitolato «Actividades de especial peligrosidad», dispone: «In conformità a quanto disposto nell’art. 8, comma b) della legge 14/1994, del 1 giugno, che disciplina il regime delle agenzie di somministrazione di lavoro, non si possono stipulare contratti di messa a disposizione per la realizzazione dei seguenti lavori in attività di speciale pericolosità: a) Lavori in opere edili cui si riferisce l’Allegato II del Reale Decreto 1627/1997, del 24 ottobre, sulle disposizioni minime di sicurezza e salute nelle opere edili; b) Lavori del settore minerario a cielo aperto e di interno cui si riferisce l’art. 2 del Reale Decreto 1389/1997, del 5 settembre, di attuazione delle disposizioni minime destinate a proteggere la sicurezza e salute dai lavoratori nelle attività minerarie che richiedano l’impiego di tecnica mineraria; c) Lavori propri delle industrie estrattive cui si riferisce l’art. 109 del Regolamento Generale di Norme Basiche di Sicurezza Mineraria come modificato dal il Regio decreto n. 150/1996, del 2 febbraio; d) Lavori in piattaforme marine; e) Lavori direttamente di fabbricazione, manipolazione e utilizzo di esplosivi, compresi gli articoli pirotecnici e altri oggetti o strumenti che contengano esplosivi, disciplinati dal Regolamento sugli esplosivi, approvato dal Reale Decreto 230/1998, del 16 febbraio; f) Lavori che implichino l’esposizione a radiazioni ionizzanti in zone controllate secondo il Reale Decreto 53/1992, del 24 gennaio, sulla protezione sanitaria contro radiazioni ionizzanti; g) Lavori che implichino l’esposizione ad agenti cancerogeni, mutagenici o tossici per la riproduzione, di prima e seconda categoria, secondo il Reale Decreto 363/1995, del 10 marzo che approva il Regolamento sulla notificazione di sostanze nuove e sulla classificazione, imbottigliamento ed etichettatura di sostanze pericolose, e il Reale Decreto 1078/1993, del 2 luglio, sulla classificazione, imbottigliamento ed etichettatura di preparati pericolosi, e le rispettive disposizioni di adattamento al progresso tecnico; h) Lavori che implichino l’esposizione ad agenti biologici dei gruppi 2 e 4, fissati dal Reale Decreto 664/1997, del 12 maggio, sulla protezione dei lavoratori contro i rischi da esposizione agli agenti biologici durante il lavoro, come le sue norme di modificazione, sviluppo ed adattamento al progresso tecnico; i) Lavori esposti a rischio elettrico ad alta tensione». 66 157 bisognoso di protezione. Bisogna tenere in conto che il lavoratore autonomo in queste ipotesi di concorrenza imprenditoriale non si vede solo esposto ai rischi sul lavoro non creati direttamente da lui e che quindi non è in grado di prevenire da solo, ma, inoltre, egli stesso, con la sua presenza e lo sviluppo della sua attività professionale costituisce anche una fonte di rischi per i lavoratori dipendenti e/o gli altri lavoratori autonomi presenti nello stesso posto di lavoro. La protezione dei lavoratori autonomi in questi casi di concorrenza in uno stesso posto di lavoro con altri imprenditori e/o lavoratori autonomi, si riteneva dovesse essere perseguita dalla LPRL attraverso l’imposizione a tutti gli imprenditori e lavoratori autonomi di una serie di obblighi di coordinazione delle rispettive attività preventive, scambiandosi informazioni e adottando insieme le misure di sicurezza necessarie per i rischi comuni. Logicamente in capo al titolare del centro di lavoro restano alcuni obblighi addizionali e rinforzati di informazione e di adozione delle misure di sicurezza specifiche per i rischi direttamente derivanti dalle condizioni di detto centro, comprese le misure di emergenza. In definitiva, la protezione dei lavoratori autonomi in questi casi di altre imprese e/o gli altri lavoratori autonomi, avveniva ai sensi dei commi 2 e 3 dell’art. 24 LPRL. Inoltre, in questo regime generale, al lavoratore autonomo è stata prestata un’attenzione speciale nel settore dell’edilizia, perché in tale settore vi è una presenza molto significativa degli stessi ed i rischi per la sua vita, la sua integrità e la sua salute sono più alti. Per ciò, ai lavoratori autonomi coinvolti nel settore dell’edilizia che prestano i loro servizi «opere edili» sono imposti una serie di obblighi specifici e addizionali, stabiliti dall’art. 12 del Regio decreto n. 1627/1997. Si tratta di molti obblighi il cui rispetto in molti casi dipende dalla collaborazione diegli altri individui corresponsabili, nell’adempimento degli obblighi di sicurezza su di loro incombenti. Più in particolare essi dipendono dal fatto che sia stato elaborato e messo in pratica il Piano di Salute e Sicurezza per il datore di lavoro appaltatore o subappaltatore con cui il lavoratore autonomo è giuridicamente vincolato poiché è un obbligo incombente sulle imprese appaltatrici e subappaltatrici. D’altra, parte, è anche vero che l’effettività di quel Piano di Sicurezza dipenderà dalla collaborazione dei lavoratori autonomi con l’appaltatore e subappaltatore ad una adeguata esecuzione, adottando comportamenti sicuri e utilizzando i mezzi di lavoro sicuri e gli strumenti di protezione più adeguati. Bisogna tenere presente, inoltre, che la legge n. 32/2006 regolatrice del Riappalto nel settore edile, include nel suo ambito di applicazione i lavoratori autonomi, e vieta rigorosamente il subappalto dei lavori ad essi affidati(qualunque sia il livello di riappalto in cui sono trovati). Questa era la situazione fino all’approvazione della legge 20/2007, dello Estatuto del Trabajo Autónomo (Statuto del Lavoro Autonomo) (ETA in poi). L’ambito soggettivo di applicazione di questa legge è molto ampio perché si applica praticamente a quasi tutti tipi di lavoratori autonomi: dal lavoratore autonomo più tradizionale al «lavoratore autonomo economicamente dipendente» (art. 11) che, come che il suo nome suggerisce, è un tipo di lavoratore autonomo che è giuridicamente autonomo67, tuttavia, fornisce i suoi servizi in forma abituale, personale, diretta e predominante per un altro datore di lavoro, denominato cliente, dal quale dipende economicamente percependo dallo stesso almeno il 75 % del totale delle sue entrate. L’ETA, con tale «statuto», ha cercato di creare un regime giuridico unitario per l’attività professionale dei lavoratori autonomi, anche sotto il profilo contrattuale, fiscale e di Previdenza Sociale. Quanto alla protezione della salute e sicurezza sul lavoro, la norma di riferimento è l’art. 8. 67 Non può avere alle sue dipendenze altri lavoratori per conto altrui né appaltare o subappaltare parte o tutta la sua attività a terzi in nessun caso; deve disporre di struttura produttiva e materiali propri, necessari per l’esercizio dell’attività e del tutto indipendenti da quelli del suo cliente, quando in detta attività siano rilevanti economicamente; deve sviluppare la sua attività con criteri organizzativi propri, rispettando le indicazioni tecniche che possa eventualmente ricevere dal suo cliente; e la sua controprestazione economica dipende dal risultato della sua attività e non dal semplice sviluppo della stessa, d’accordo con quanto stabilito col cliente e assumendo il rischio della stessa. 158 Questa disposizione – che si applica a tutti tipi di lavoratori autonomi, compresi quelli economicamente dipendenti – è in realtà meno innovativa di quella che in principio ci si aspettava. Il regime stabilito è il seguente: In primo luogo, stabilisce i diritti e gli obblighi dei lavoratori autonomi nei casi in cui concorrano in uno stesso centro di lavoro con altri imprenditori e/o con altri lavoratori autonomi. Si stabilisce il regime già previsto dall’art. 24.5 della LPRL, si aggiungono però due novità, che estendono ai lavoratori autonomi due garanzie che prima risultavano applicabili unicamente ai lavoratori dipendenti delle imprese appaltatrici e subappaltatrici, esse sono68: a) L’impresa che si avvale di un lavoratore autonomo per svolgere un’attività professionale corrispondente che il lavoratore autonomo eseguirà nel suo stabilimento, è tenuta a vigilare che detto lavoratore autonomo adempia i suoi obblighi di sicurezza. b) L’impresa che si avvalga di un lavoratore autonomo e gli fornisca mezzi di lavoro che questi dovrà utilizzare nell’esecuzione di detta attività (macchinario, strumenti, prodotti, attrezzature, ecc.), anche se l’esecuzione sia realizzata fuori dei suoi locali, deve garantire che detti mezzi di lavoro abbiano tutti i requisiti di sicurezza previsti dalla normativa in vigore e inoltre deve informarlo in modo chiaro sull’utilizzo adeguato e sicuro degli stessi. Se l’impresa che si avvale del lavoratore autonomo non compie alcuno degli obblighi preventivi imposti per legge e, in conseguenza di ciò, il lavoratore autonomo soffre qualche tipo di danno per la sua vita, la sua integrità o la sua salute, detta impresa sarà l’unica responsabile del pagamento delle indennità civili corrispondenti ai danni causati a detto lavoratore autonomo, e questo indipendentemente dal fatto che il lavoratore ferito si abbia rivolto o non, ai benefici per contingenze professionisti69. - In secondo luogo si riconosce espressamente a beneficio dei lavoratori autonomi il diritto a interrompere la loro attività e abbandonare il luogo di lavoro quando ritengano che detta attività comporti un «rischio grave e imminente» per la sua vita o salute. Neanche questa previsione può considerarsi una novità. Anche se è vero che nessuna norma anteriore riconosceva espressamente questo diritto a beneficio dei lavoratori autonomi, tuttavia, non c’è nessun dubbio sul fatto che essa fosse già in qualche modo contemplata dato che si tratta di un diritto che deriva direttamente dal diritto fondamentale alla vita e l’integrità fisica e morale sancito a beneficio di tutte le persone nell’art. 15 della Costituzione70, eccetto il caso in cui operino il caso fortuito e la forza maggiore. - L’ETA poi ha attribuito ai poteri pubblici una serie di funzioni importanti nella promozione della sicurezza e la salute sul luogo di lavoro di tutti tipi di lavoratori autonomi, specialmente in materia di formazione, informazione e assistenza tecnica(comma 1 e 2 dell’art. 8 e Disposizione addizionale dodicesima ETA), seguendo così l’orientamento della Raccomandazione 2003/134 del Consiglio, del 18 di febbraio del 2003, relativa al miglioramento della protezione della salute e la sicurezza sul lavoro dei lavoratori autonomi. Questa costituisce la principale novità dell’ETA in materia di protezione della salute e sicurezza sul lavoro dei lavoratori autonomi, la quale si inserisce nella filosofia generale dell’ETA di attribuire ai poteri pubblici il ruolo principale nel compito di promuovere il lavoro autonomo in Spagna. Si può sostenere così che la garanzia 68 Una completa analisi di questo regime è stata realizzata da PALOMEQUE LÓPEZ, M. C., «El derecho de los trabajadores autónomos alla seguridad y salud en su trabajo», Revista de Derecho Social, num. 40, 2007, pags. 3 a 30. Un trattamento ampio del regime di protezione dei lavoratori autonomi davanti ai rischi sul lavoro si realizza per MARTÍNEZ BARROSO, M. R., Protección de la salud y seguridad de los trabajadores autónomos, Bomarzo, Albacete, 2006. 69 Ugualmente se il lavoratore autonomo non osserva gli obblighi di cooperazione che la normativa preventiva in vigore impone, dovrà rispondere davanti al datore di lavoro titolare del centro di lavoro o davanti al datore di lavoro principale e/o appaltatore o subappaltatore, o davanti ai possibili autonomi danneggiati. Cfr. MONTOYA MELGAR, A. Y MARTÍN JIMÉNEZ, R., Estatuto del Trabajo Autónomo. Comentario a la Ley 20/2007, de 20 de julio, cit., pag. 38. 70 Così l’ha interpretato il Tribunale Costituzionale, tra le altre, nelle sue sentenze 120/1990, del 20 giugno; 215/1994, del 14 luglio; 35/1996, dell’11 marzo; 207/1996, del 15 dicembre; 119/2001, del 24 maggio; 5/2002, del 14 gennaio, e 62/2007, del 27 marzo. 159 dell’efficace protezione dei lavoratori autonomi dipende, soprattutto, dalle azioni pubbliche, e tra queste, specialmente, quelle destinate alla formazione adeguata in questa materia. L’adeguata formazione preventiva si considera così il presupposto fondamentale affinché i lavoratori autonomi possano eseguire la loro attività professionale in condizioni di lavoro sicure e salutari, e non è sorprendente, dato che in una gran misura, la loro protezione dai rischi sul lavoro dipende proprio dalle prestazioni svolte. Nonostante il fatto che nella Disposizione addizionale dodicesima dell’ETA sia ribadita la finalità di ridurre gli infortuni ed evitare la comparsa di malattie professionali nei rispettivi settori, le associazioni rappresentative dei lavoratori autonomi e le organizzazioni sindacali più rappresentative potranno realizzare programmi permanenti di informazione e formazione per questi gruppi, promossi dalle Amministrazioni pubbliche competenti in materia di prevenzione dei rischi sul lavoro e di riparazione delle conseguenze degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali. Cioè, si invitano le organizzazioni rappresentative degli interessi propri dei lavoratori autonomi – Associazioni di lavoratori autonomi – e le organizzazioni sindacali ad essere coinvolte nello sviluppo di azioni formative. Il ruolo degli organismi collettivi di rappresentanza è fondamentale per promuovere condizioni di lavoro più sicure tra i lavoratori autonomi e ciò è dovuto, soprattutto, al fatto che queste organizzazioni conoscono meglio la realtà del lavori autonomi, quali sono le loro carenze e le loro necessità, pertanto, potranno progettare e applicare programmi formativi adattati a tali circostanze, garantendo maggiore effettività. In questo senso bisogna dire che già prima dell’entrata in vigore dell’ETA, le Associazioni di lavoratori autonomi come la Asociación de Trabajadores Autónomos (Associazione di Lavoratori Autonomi) (ATA), e la Unión de Profesionales y Trabajadores Autónomos (Unione di Professionisti e Lavoratori Autonomi) (UPTA), anche in collaborazione con le Amministrazioni pubbliche, hanno operato in tale direzione: per esempio, realizzando programmi e piani di attività preventive rivolti agli autonomi, elaborando e diffondendo codici di buone prassi per la prevenzione dei rischi sul lavoro per settori concreti del lavoro autonomo e, in generale, diffondendo tra essi la cultura della prevenzione della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Così, per esempio, La Federazione Nazionale di Lavoratori Autonomi, (ATA), in collaborazione col Ministero di Lavoro e la Confindustria delle mutue (AMAT), ha sviluppato nel 2005, per il secondo anno consecutivo, un piano di attività in sulla prevenzione dei rischi sul lavoro che ha portato beneficio ad oltre 20.000 autonomi. Durante il Piano 2004, ATA ha soddisfatto per proprio conto più di 2.000 consultazioni dei lavoratori in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle microimprese, ha ripartito 12.000 guide di buone prassi e ricevuto circa 25.000 visite alla sua pagina web dedicata alla prevenzione (www.prevencion-autonomos.com). Il nuovo Piano delle attività preventive 2005 ha introdotto come novità, un programma specifico per autonomi dei seguenti settori: commercio, uffici e autofficine. Nell’ambito del questo piano, ATA ha stabilito sette uffici di assistenza gratuita in Andalusia, Madrid, Castilla – La Mancha, Cataluña, Castilla y León, Comunidad Valenciana e Navarra che lavoreranno per risolvere i dubbi degli autonomi in materia preventiva. La Federazione ha diffuso anche guide di buone prassi e attraverso la sua pagina web di prevenzione è possibile accedere ai corsi gratuiti dei rischi sul lavoro, ottenere assistenza attraverso posta elettronica o partecipare a chat specializzate. In questa pagina web si sono anche aggiunti strumenti di autodiagnosi affinché gli autonomi conoscano le misure da apprestare a tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Un altro esempio si può vedere nella Guía de Buenas Prácticas Laborales (Guida di Buone Prassi sul Lavoro)pubblicata nel 2005 per l’UPTA al fine di diffondere condotte preventive tra gli autonomi in tre settori in questione. L’elaborazione di questa Guida di Buone Pratiche Lavorative sul lavoro Autonomo che mira a raccogliere e diffondere le azioni preventive più adeguate per evitare i rischi specifici derivati del lavoro in tre settori: trasporti, parrucchiere e drogheria. In essi, da un lato si scoprono i principali rischi sul lavoro esistenti in ciascuno di questi settori, e dall’altro, si descrivono i comportamenti preventivi più adeguati per prevenire tali rischi. La Pubblicazione di 160 questa Guida si inquadra nelle azioni previste dal Progetto elaborato per UPTA in virtù dell’accordo AMAT-UPTA per l’esecuzione della campagna di informazione prevista nel Piano Generale di Attività Preventive della Previdenza Sociale da sviluppare per le Mutue di Infortunio sul lavoro e Malattie Professionali della Previdenza Sociale durante il periodo 2003-2005. La tutela dei soci di cooperative e soci lavoratori. I soci lavoratori delle cooperative impegnate nel fornire una prestazione personale di servizi costituiscono un altro dei gruppi di lavoratori considerati tali dalla LPRL, (art. 3.1, secondo paragrafo), e, pertanto, titolari del diritto una tutela efficace in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro, ma per loro si prevede espressamente che il regime di protezione dovrà tenere in conto le particolarità derivate del fatto che la loro attività professionale è sottoposta ad un regime giuridico di diritto commerciale, non di diritto del lavoro71 (art. 3.2 LPRL). Il motivo per cui la LPRL, espressamente, dispone il necessario adattamento del suo regime di protezione alle caratteristiche specifiche di questo gruppo di prestatori di servizi non dipende dal fatto che essi siano esposti a rischi sul lavoro diversi da quelli dei lavoratori dipendenti strictu sensu o che siano specialmente sensibili a determinati rischi, ma dipende da fattori di natura eminentemente giuridica. In effetti, l’obbligato adattamento del regime di protezione della LPRL alle peculiarità dei scoi di lavoro e soci lavoratori delle cooperative deriva dal fatto che il regime di protezione dei lavoratori in materia di salute e sicurezza sul lavoro effettuato dalla LPRL, ha preso quasi esclusivamente come parametro di riferimento il lavoro standard, per cui non può essere applicato completamente in tutti i suoi termini ad altri ambiti. Le «peculiarità», gli «adattamenti» e le «particolarità» del regime giuridico del diritto soggettivo a una protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul lavoro previste per questi individui considerati titolari di detto diritto soggettivo ai sensi della LPRL ma che non sono lavoratori ai sensi dell’art. 1.1 SL consistono in regole adattate al regime giuridico specifico. Queste differenze non possono implicare in nessun caso una riduzione del livello di protezione. La LPRL non ha attribuito la titolarità del diritto a una protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul lavoro a qualunque socio di una cooperativa bensì esclusivamente a quelli che inoltre eseguano nella cooperativa della quale sono parte, una prestazione personale di servizi. Ci si riferisce pertanto ai soci di alcuni tipi molto specifici di cooperative: principalmente ai soci delle cooperative di lavoro associato(art. 80.1 della legge 27/1999, di 16 di luglio, delle Cooperative)72. Questa inclusione dei soci di lavoro configurata dalla LPRL, determina, in primo luogo, l’espansione dell’ambito tradizionale di applicazione delle norme giuridiche sul lavoro, costituendo una manifestazione di un innegabile fenomeno di ravvicinamento giuridico tra il diritto del lavoro e il diritto societario, risultato del riconoscimento delle similitudini di fatto esistenti tra il modo di esecuzione delle prestazioni dei soci e soci lavoratori delle cooperative e quelle sviluppate dai lavoratori dipendenti in senso stretto73, dando così minore rilevanza al tipo di vincolo giuridico in virtù del quale si sviluppano materialmente tali prestazioni identiche74. 71 Sull’applicazione della LPRL ai soci di lavoro e soci lavoratori delle cooperative, vedere CARegio decreto n.ONA RUBERT, M. B., “Prevención de riesgos laborales en las cooperativas”, Aranzadi Social, num. 4, 2001. 72 In questo precetto le cooperative di lavoro associato sono definite come quelle società cooperative che «hanno per oggetto l’offerta ai rispettivi soci di lavoro, mediante il loro sforzo personale e diretto, in tempo parziale o completo, attraverso l’organizzazione in comune della produzione di beni o servizi per terzi». 73 La relazione dei soci di lavoro con la cooperativa alla quale appartengono non è considerata una relazione giuridica di natura giuslavoristica, ma è assoggettata al diritto commerciale e non al Diritto del Lavoro. Essendo così, la sua inclusione espressa nell’ambito di applicazione della LPRL costituisce un’inclusione cosiddetta «costitutiva»-. Anche se la legge sulle cooperative – legge statale e molte leggi autonome – afferma espressamente che la relazione dei socilavoratori con la cooperativa di lavoro associato è «societaria» e che per questo resterebbe fuori dall’ambito di applicazione del diritto lavoro, non si discute sul fatto che il crescente numero di questa tipologia di relazioni rappresenti, in realtà una delle «zone grigie» del mercato di lavoro di più difficile delimitazione. A tal riguardo si ritrovano diverse sentenze. Al tempo stesso il regime previdenziale ad esse applicato rimane nell’orbita del Regime Generale (Disposizione addizionale quarta LGSS). A sostegno del carattere giuslavoristico di tali relazioni si esprimeva la dottrina del TCT e, tra le altre, le SSTS del 22 febbraio del 1990 e 4 dicembre del 1996; in senso 161 I temi su i quali la LPRL prevede in concreto la sua applicazione adattata ai soci lavoratori delle cooperative sono solo due: La prima, prevista all’art. 29.3 LPRL, riguarda le conseguenze giuridiche dell’inadempimento da parte dei soci lavoratori delle cooperative degli obblighi di sicurezza. Per i soci lavoratori delle cooperative si stabilisce che tale inadempimento avrà le conseguenze precise stabilite espressamente nei Regolamenti di Regime Interno della cooperativa in questione. Questi Regolamenti costituiscono uno sviluppo degli Statuti della Cooperativa e stabiliscono il regime disciplinare da applicare agli inadempimenti di questi soci lavoratori in materia di prevenzione dei rischi sul lavoro. La seconda previsione espressa della LPRL in adattamento alle particolarità organizzative e di funzionamento delle cooperative è prescritta nella Disposizione addizionale decima, e si riferisce al procedimento da seguirsi per l’elezione dei Delegati di Prevenzione, distinguendo al riguardo se esistono o no, insieme ai soci di lavoro, lavoratori dipendenti75. Al di là di questi due aspetti concreti, in cui l’applicazione della LPRL avviene necessariamente «con qualche peculiarità», ne esistono anche altri che, nonostante il silenzio legale, varieranno in base alle peculiarità che presenta il rapporto tra il socio lavoratore e la cooperativa rispetto alla relazione strettamente di lavoro. Deve però necessariamente esistere una ragione obiettiva e ragionevole che lo giustifichi col fine di evitare che con questo pretesto il livello di protezione in materia di salute e sicurezza sul lavoro di questo gruppo si veda ridotto. Questo sarebbe il caso, ad esempio, della paralisi dell’attività per i rappresentanti generici dei lavoratori in caso di rischio grave e imminente (art. 21.3 LPRL), poiché i soci di lavoro e i soci lavoratori non dispongono in nessun caso di questo tipo di organi di rappresentanza nell’ambito della cooperativa. A giudizio di chi scrive, non si può interpretare la norma nel senso che i soci di lavoro non abbiano diritto, alla tutela collettiva della salute e della sicurezza sul lavoro, ciò del resto si evince dall’art. 21.3 LPRL, in virtù del quale essi possono esercitare tale diritto, «per decisione della maggioranza dei Delegati contrario invece le sentenze della Corte suprema del 19 maggio del 1987 e 24 ottobre del 1988. Per la sua parte VALDÉS DAL-RÉ, F., «Las relaciones de trabajo en las cooperativas de trabajo asociado: algunos aspectos de su regulación jurídica en la normativa estatal y autonómica”, en AAVV, Primeros Encuentros Cooperativos de la Universidad del País Vasco, Servicio de Publicaciones del Gobierno Vasco, Vitoria, 1986, pag. 79, allude a ciò che denomina il fenomeno della «cooperativizazzione» delle istituzioni di lavoro, questo è, l’utilizzo per la legislazione cooperativa di istituti e garanzie proprie dell’ordinamento del lavoro, regolate nella sua ordinazione, tuttavia, in base alle specificità che presenta il lavoro cooperativo o alle specificità organizzative in cui questo si sviluppa. 74 Vedere in senso simile, MONEREO PÉREZ, J. L. y MOLINA NAVARRETE, C., “Objeto, ámbito de aplicación y definiciones”, AAVV (MONEREO PÉREZ, J. L., MOLINA NAVARRETE, C. y MORENO VIDA, M. N., Dirs.), Comentario a la Ley de Prevención de Riesgos Laborales y sus desarrollos reglamentarios, Comares, Granada, 2004, pag. 46; SEMPERE NAVARRO, A.V., GARCÍA BLASCO, J. F, GONZÁLEZ LABRADA, M., CARegio decreto n.ENAL CARRO, M., Derecho a la seguridad y salud en el trabajo, Derecho de la seguridad y salud en el trabajo, Cívitas, Madrid, 1996., pag. 58; e anche PÉREZ CAMPOS, A. I., “Ámbito de aplicación de la Ley de Prevención de Riesgos Laborales: sujetos protegidos”, Revista del Ministerio de Trabajo y Asuntos Sociales, núm. 53, 2004, pag. 71. 75 Nella misura in cui esista questa concorrenza di prestatori di servizi soggetti a vincoli giuridici differenti, di natura giuslavoristica o commerciale, allora si stabilisce che alcuni e altri si dovranno calcolare congiuntamente all’effetto di decidere il numero di Delegati di Prevenzione, e che, logicamente, la designazione di questi rappresentanti specializzati in materia di salute e sicurezza sul lavoro deve avvenire in modo unitario per entrambe le tipologie di personale al servizio della cooperativa. La previsione in base alla quale i rappresentanti dei lavoratori vengono scelti dai dipendenti e dai soci lavoratori di cooperative, in modo uniforme significa che essi sono sottoposti alle medesime condizioni di lavoro e, in conseguenza, agli stessi rischi, la cui prevenzione richiede un’attuazione unitaria ed integrata che prescinda dalla natura giuridica del vincolo che lega ognuno di essi. Questa soluzione, per i motivi appena esposti,avrebbe dovuto essere adottata dalle Amministrazioni pubbliche, perché oltre a risultare più efficace, contemporaneamente, è la meno costosa. Nel caso in cui non concorrano lavoratori dipendenti il procedimento di elezione dei Delegati di Prevenzione incaricati di rappresentare i soci lavoratori dovrà essere stabilito negli Statuti della Cooperativa. È logico che in questo caso, non esistendo lavoratori sottomessi al Diritto del Lavoro, la LPRL, che contiene una disciplina giuslavoristica, preveda un adattamento al Diritto societario delle sue prescrizioni, altrimenti le sue previsioni sarebbero di impossibile applicazione -per esempio, per tutto ciò che concerne la partecipazione e la rappresentanza, di cui altrimenti i soci lavoratori ed i soci di cooperative non godrebbero. 162 di Prevenzione quando non sia possibile riunire, con l’urgenza richiesta, all’organo di rappresentazione del personale». La tutela dei lavoratori nelle microimprese. Uno dei tanti gruppi di lavoratori rispetto ai quali la normativa di salute e sicurezza sul lavoro vigente, nonostante non preveda espressamente una regolazione parzialmente adattata alle peculiari circostanze e necessità, effettua previsioni specifiche, è costituito dai lavoratori appartenenti alle cosiddette microimprese76, cioè, imprese che contano su un organigramma di meno di sei lavoratori, o, in ogni caso, con nove lavoratori come massimo, che costituiscono una parte molto significativa del sistema imprenditoriale spagnolo. E al momento le previsioni mirano ancora verso un aumento maggiore di questo tipo d’imprese come conseguenza, soprattutto, del progressivo avanzamento del fenomeno di decentralizzazione dei processi produttivi che ha un impatto diretto nei sui modelli di organizzazione imprenditoriale e anche sui modelli delle relazioni industriali77. La LPRL, in linea di principio e, in generale, riconosce il diritto soggettivo a una protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul lavoro a tutti i lavoratori su piano di parità, al margine completamente delle dimensioni dell’impresa per la quale lavorano. Tuttavia, mentre contiene alcuni precetti che, in attuazione dell’art. 137.2 TCE, stabiliscono che le azioni adottate per la loro tutela «eviteranno di stabilire problemi di carattere amministrativo, finanziario o giuridico siano ostacolo per la creazione e lo sviluppo della piccola e media-impresa»78 – con esplicito riferimento Sui diversi temi che sono presentati in materia di lavoro, in generale, le piccole imprese, si veda AAVV (CRUZ VILLALÓN, J y FUENTES RODRÍGUEZ, F. Coords.), Las relaciones laborales en la pequeña empresa, Servicio de Publicaciones de la Universidad de Cádiz, Cádiz, 2003, e dentro il libro citato, in relazione particolare alla materia della salute e sicurezza sul luogo di lavoro, il capitolo scritto per LOZANO LARES, F., “La prevención de riesgos laborales en la pequeña empresa”, pags. 185 a 235; GONZÁLEZ ORTEGA, S. et altri, La prevención en la pequeña empresa, La Ley-Actualidad, Madrid, 1999; y MARTÍNEZ GIRÓN, J., “La seguridad y la salud laboral en la pequeña empresa”, Actualidad Laboral, num. 43, 1999. 77 Costituisce attualmente un fatto indubitabile, verificato empiricamente, che tanto in Spagna come nel resto dell’Unione Europea, le piccole e medie imprese con carattere generale (PYMES), e dentro esse, le microimprese in questione, rappresentano una parte molto significativa dei rispettivi tessuti imprenditoriali, così come, che le stesse danno occupazione a un ampio numero di lavoratori, diventando una delle principali fonti di impiego. Secondo i dati estratti dello studio elaborato per la Subdirección General de Estadísticas Sociales y Laborales del Ministerio de Trabajo y de Asuntos Sociales (Vicedirezione Generale di Statistiche Sociali e di Lavoro del Ministero di Lavoro e di Temi Sociali), (data dell’analisi statistica: 17 marzo del 2006), in Spagna ci sono 3.161.480 PYMES, (tra 0 e 249 impiegati), delle quali più del 90 percento del volume imprenditoriale spagnolo è costituito da imprese che contano meno del 10 impiegati (2.973.857 imprese), tenendo in conto che il 75 percento, ha un organigramma che non supera i 6 lavoratori; d’altra parte, le imprese con tra 10 e 49 lavoratori costituiscono il 5,18 percento del totale di imprese spagnole (163.825 imprese) e le organizzazioni imprenditoriali che hanno tra 50 e 29 lavoratori costituiscono lo 0,75 percento del totale (23.798 imprese). D’altra parte, secondo i dati somministrati da CEPYME su «La estructura empresarial española» (La struttura imprenditoriale spagnola), marzo del 2007, (fonte DIRCE), il numero di lavoratori che forniscono il loro servizio in Spagna in PYMES è stato di 8.534.743 su un totale di 14.347.700 di lavoratori regolarmente assunti. E più particolare, il numero di lavoratori impiegati in imprese con una forza di lavoro tra 1 e 10 arriva a 3.736.810. 78 Secondo CAMAS RODA, F., La normativa internacional y comunitaria de seguridad y salud en el trabajo, Tirant lo Blanch, Valencia, 2003, pag. 191, per l’analisi interpretativa di questa clausola si deve partire dalla propria dichiarazione realizzata per i paesi firmatari della Conferenza Intergovernativa del 1986, che ha osservato «che nelle deliberazioni sul comma 2 dell’art. 118 a TCEE è stato elaborato un accordo sul fatto che, nella definizione di norme minime destinate a proteggere la sicurezza e la salute dai lavoratori, la Comunità non ha l’intenzione di discriminare i lavoratori delle piccole e medie imprese». Inoltre, è necessario portare la sistemazione STJCE del 12 novembre del 1996, (AssuntoC-84/94) che risolse che la clausola contenuta nell’art. 118 A.2, secondo paragrafo, non esclude che le PYMES siano tutelate attraverso misure vincolanti, che implicitamente, suppone che siano poste misure(meno esigenti) per le restanti imprese di maggiori dimensioni, anche se sembra che l’origine o fondamento ultimo del disposto nel secondo comma dell’art. 118 A.2 TCEE era puramente economico e non giuridico, cioè, poneva un trattamento favorevole delle PYMES in materia essenzialmente economica. Attualmente bisognerebbe prendere in considerazione la Dichiarazione no 26 del Trattato di Amsterdam nella quale si afferma che al momento della redazione dell’art. 118 A.2 AUE, è stato convenuto che «la Comunità non ha intenzione di stabilire rispetto ai lavoratori della piccola e media impresa una discriminazione ingiustificata per la minore dimensione di tali imprese». 76 163 al Preambolo della direttiva quadro, surrettiziamente producono l’effetto di limitare le garanzie di protezione dei lavoratori che lavorano in imprese o centri di lavoro che contano su scarso organigramma, soprattutto in materia di partecipazione collettiva dei lavoratori e di organizzazione delle risorse per realizzare materialmente l’attività preventiva79. In particolare ai sensi della LPRL non è possibile che i lavoratori di imprese con meno di sei lavoratori possano disporre di qualunque tipo di rappresentante con competenze in materia di salute e sicurezza sul lavoro – a meno che la contrattazione collettiva abbia raggiunto altre condizioni–, mentre sarà proprio il datore di lavoro titolare di queste microimprese il soggetto che organizza e sviluppa personalmente l’attività preventiva diretta alla protezione efficace dei suoi lavoratori davanti ai rischi derivati sul lavoro salvo, in ogni caso, la vigilanza della salute (art. 11.2 RSP)80 –, così come non è previsto l’obbligo di effettuare consulenze esterne per verificare l’adeguatezza dell’attività preventiva svolta nell’impresa. Quindi, in relazione ai lavoratori delle microimprese in generale, e di quelle con meno di sei lavoratori in particolare, la LPRL, anche se in principio riconosce uno stesso livello di protezione, contemporaneamente non rende agevoli le condizioni che più direttamente permettono di assicurare che l’attività preventiva sviluppata dal datore di lavoro nella sua impresa sia effettivamente la più adeguata per garantire ai lavoratori una protezione efficace davanti dai rischi sul lavoro. a) Difficoltà di partecipazione dei lavoratori In primo luogo, impedisce che i lavoratori d’imprese che abbiano meno di dieci lavoratori possano disporre di organi rappresentativi, né unitari né specializzati in salute e sicurezza sul lavoro (Delegati di Prevenzione), poiché, secondo la LPRL, questi ultimi si devono scegliersi per e tra quello, (art. 35.2 LPRL). Questa differenza di trattamento rispetto agli altri lavoratori, basata esclusivamente sul criterio quantitativo del numero di lavoratori, possono essere emendati nelle imprese tra sei e dieci lavoratori se questi per loro conto decidono a maggioranza di scegliere un rappresentante unitario(un Delegato di Personale), il quale dovrà agire contemporaneamente come Delegato di Prevenzione. Con un carattere più generale, in tutte le microimprese l’emendamento può avvenire da parte della contrattazione collettiva. In effetti, in conformità con l’art. 35.4 LPRL, nella contrattazione collettiva si può stabilire o la designazione dei Delegati di Prevenzione in imprese con meno di dieci lavoratori, o la creazione di organi specializzati in salute e sicurezza sul lavoro che potranno esercitare le stesse funzioni che la LPRL attribuisce ai Delegati di Prevenzione, e il cui ambito di attuazione sarà quello di tutte le imprese facenti parte dell’ambito di applicazione del contratto collettivo, indipendentemente dal numero dei lavoratori. Riguardo a questi autori, (tra altri, SEMPERE NAVARRO, A. V. y PÉREZ CAMPOS, A. I., “El lugar de la política social comunitaria”, Noticias de la Unión Europea, 2001, pags. 127 ss.), hanno commentato che questa Dichiarazione implica il fatto di riconoscere espressamente che la priorità fondamentale in ogni caso è la protezione del lavoratore, compresi i lavoratori che svolgano la prestazione in una PMI, e che solamente si potrà stabilire legittimamente un trattamento differenziato rispetto agli stessi quando nel caso concreto esistano circostanze oggettive che lo giustifichino. In questo modo, attribuire agli impresari delle piccole e medie imprese meno obblighi in materia di tutela della salute e sicurezza ovvero obblighi più flessibili che a tutti gli altri potrebbe costituire una discriminazione completamente ingiustificata dei lavoratori rispetto agli altri. 79 Della stessa opinione sono MONEREO PÉREZ, J. L. y MOLINA NAVARRETE, C., “Las razones de la Ley: qué fue de la «cultura de la prevención»?”, AAVV (MONEREO PÉREZ, J. L., MOLINA NAVARRETE, C. y MORENO VIDA, N. Dirs.), Comentario a la Ley de Prevención de Riesgos Laborales y sus desarrollos reglamentarios, Comares, Granada, 2004, pag. 11; tuttavia, è in scontrasto col stesso tema LOZANO LARES, F., “La prevención de riesgos laborales en la pequeña empresa”, op. cit., pag. 199. 80 Anche se non sempre, solo quando concorrano tutti i requisiti dell’art. 11.1 RSP. Questo precetto dispone che il datore di lavoro potrà sviluppare personalmente l’attività di prevenzione, a eccezione delle attività relative alla vigilanza della salute dei lavoratori, solo quando concorrano le seguenti circostanze: che siano imprese con meno di sei lavoratori; che le attività sviluppate nell’impresa non stiano comprese nella lista di attività specialmente pericolose stabilite nell’Allegato I del proprio RSP; che abitualmente sviluppi la sua attività professionale nel centro di lavoro; e che abbia la capacità corrispondente alle funzioni preventive a sviluppare d’accordo con le disposizione del Capitolo VI e anche del RSP in cui identifica le capacità formative che devono prendersi in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro per realizzare funzioni preventive dipendendo dalla complessità di queste. 164 In definitiva, com’è previsto con carattere generale nella LPRL, e salvo che il contratto collettivo applicabile disponga un’altra cosa, i lavoratori delle microimprese non potranno avere rappresentanti specializzati che proteggano i loro interessi in materia di salute e sicurezza nel lavoro81. E anche se è vero che la maggior parte delle funzioni attribuite dalla LPRL ai Delegati di Prevenzione, (informazione, consultazione, formulazione di proposte, accesso alla documentazione concernente l’attività preventiva realizzata nell’impresa, ecc.)82, possono essere esercitate direttamente dai lavoratori in modo collettivo(art. 34.1), tuttavia, per l’esercizio delle stesse i lavoratori non dispongono delle garanzie strumentali che contemporaneamente la LPRL attribuisce ai Delegati di Prevenzione col fine di facilitare il loro esercizio di queste competenze ed evitare che arrivino a sperimentare qualunque tipo di danno da parte del datore di lavoro come conseguenza del suo esercizio(i lavoratori in nessun caso dispongono di formazione specializzata in prevenzione dei rischi sul lavoro, né di un credito orario per l’esercizio delle funzioni preventive, né possono accompagnare i tecnici né gli Ispettori di Lavoro nelle loro visite alle imprese, né presentarsi immediatamente nei posti di lavoro dove si sia prodotto un infortunio sul lavoro, né tenere riunioni periodiche con il datore di lavoro, ecc.)83. E dunque con questo regime la tutela in materia di salute e sicurezza sul lavoro risulta in realtà diminuita in modo molto significativo. A proposito di questo problema vale la pena sottolineare che una delle funzioni principali che la LPRL attribuite ai Delegati di Prevenzione è quella di promuovere la collaborazione dei lavoratori nell’attività preventiva svolta dal datore di lavoro. La LPRL nel comma 1 del suo art. 29 consacra individualmente l’obbligo dei lavoratori di proteggere la loro salute e sicurezza sul lavoro e quella dei colleghi nonchè quella dei terzi presenti nell’impresa (che non siano considerati lavoratori a effetti della LPRL d’accordo con le disposizioni nel suo art. 3.1.). Questo obbligo generico è tradotto in una serie di obblighi specifici enumerati fondamentalmente nel comma 2 dello stesso art. 29 LPRL, anche se in altri articoli della stessa disposizione si allude a un’altra serie di obblighi concreti dei lavoratori in materia di salute e sicurezza sul lavoro, i quali si sono tradotti in forme di collaborazione con il datore di lavoro. La ragione principale che giustifica l’imposizione legale ai lavoratori di un elenco obblighi di collaborazione col datore di lavoro nell’attività preventiva si trova in tre ordini fattori: il primo prima è che molte delle misure di sicurezza adottate dal datore di lavoro non potranno raggiungere il loro obiettivo se tale protezione non sia è utilizzata adeguatamente; la seconda è che in molti casi le decisioni del datore di lavoro in merito alla più efficace misura di sicurezza dipende in gran misura dalle informazioni che ricevono i lavoratori; e la terza è che i lavoratori, attraverso la loro condotta nell’impresa, possono originare rischi sul lavoro tanto per se stessi come per i colleghi e/o per terzi, rischi la cui prevenzione richiede necessariamente la cooperazione dei soggetti che hanno concretamente collaborato a creare la situazione di rischio. Risulta imprescindibile allora la collaborazione dei lavoratori dell’impresa con il datore affinché questi possa garantire la loro protezione efficace in materia di salute e sicurezza. La promozione della stessa spetta al datore di lavoro e, soprattutto, ai suoi rappresentanti specializzati in prevenzione dei rischi sul lavoro nell’impresa, i Delegati di Prevenzione, se questi rappresentanti non esistono, è più probabile che i lavoratori non sono in 81 Il ruolo della contrattazione collettiva in materia di salute e sicurezza sul lavoro è di fondamentale importanza. Costituisce uno strumento idoneo tanto per migliorare i minimi legali (art. 2.2 LPRL), sopratutto in quelle disposizioni in cui, come succede rispetto ai lavoratori delle microimprese, la propria legislazione consacra un livello inferiore di garanzie dell’efficacia della sua protezione della salute e sicurezza; e anche, con carattere generale, con la finalità di adattare alle caratteristiche e necessità specifiche di ogni organizzazione imprenditoriale le disposizioni legali e regolamentari in vigore. 82 Non tutte le competenze attribuite dalla LPRL ai Delegati di Prevenzione possono essere esercitate direttamente dai lavoratori quando quegli organi di rappresentazione specializzati non siano costituiti nelle imprese. Non potranno esercitare la funzione di vigilanza e controllo del compimento da parte del datore di lavoro obbligato dei suoi obblighi in materia di salute e sicurezza sul lavoro. 83 Vedere fondamentalmente l’art. 36.2 LPRL. 165 grado di collaborare nella gestione della prevenzione e di conseguenza, la loro protezione non sarà efficace. Bisogna tenere inoltre in conto che non solo nelle microimprese, ma anche nelle piccole imprese in generale, (quelle con fino a cinquanta lavoratori), la possibilità di partecipazione dei lavoratori destinatari dell’attività preventiva si riducono se non c’è possibilità di costituire, salvo che la contrattazione collettiva non preveda diversamente, un Comitato di Salute e sicurezza sul Lavoro (art. 38 LPRL) che è stato configurato dalla LPRL quale organo paritetico per la discussione tra i lavoratori e il datore delle questioni legate alla salute e sicurezza sul lavoro nell’organizzazione imprenditoriale, e dove i lavoratori possono partecipare veramente all’attività preventiva. b) Deficienze delle modalità di organizzazione della prevenzione. In secondo luogo, la LPRL prevede che nelle imprese con meno di sei lavoratori il datore di lavoro possa adempiere il suo obbligo di avvalersi di un insieme di risorse umane e materiali direttamente orientate al rispetto dei molteplici obblighi insiti nel suo dovere di garantire ai lavoratori una protezione efficace sviluppando egli stesso necessarie per la formazione di tali risorse specializzate E vero che si tratta di un’opzione e che non è assolutamente possibile per tutti i datori di lavoro che hanno una forza di lavoro di almeno sei impiegati dato che è condizionata al concorso di una serie di requisiti stabiliti nell’art. 11 del RSP, ma non c’é dubbio che la messa in pratica di questa opzione risulta meno garantista delle altre, soprattutto, se è aggravata dal fatto che in questo tipo di piccole imprese non ha molto attecchito la nuova cultura del «nuovo approccio» alla tutela della sicurezza e la salute sul lavoro instaurato con la LPRL84. Questa situazione risulta ancora più grave se inoltre si tiene in conto, da un lato, che in questo tipo di imprese raramente ci sono rappresentanti dei lavoratori che possano svolgere le funzioni di promuovere l’adeguato adempimento da parte del datore di lavoro di tutti gli obblighi. In secondo luogo, come si evidenzierà oltre, questo tipo di imprese nella maggior parte dei casi sono esenti dall’obbligo di sottoporsi a un controllo preventivo esterno che controlli l’adeguatezza dell’attività preventiva sviluppata nell’impresa e, quindi, dell’efficacia della protezione dei lavoratori che svolgono la loro prestazione.(art. 36.3 RSP). D’altra parte, e in relazione allo stesso tema delle modalità di organizzazione dell’attività preventiva, alla luce delle possibilità offerte dalla LPRL e dal RSP, questo tipo d’imprese devono tenere in conto che la cosa più frequente in esse è il ricorso ai servizi di prevenzione esterni, sia perché questo servizio si possa occupare di eseguire tutta l’attività preventiva necessaria, sia perché esso può occuparsi unicamente di una parte di quest’attività, cioè quella che il datore di lavoro non può portare personalmente a termine (in questi casi il servizio di prevenzione è tenuto a svolgere obbligatoriamente il monitoraggio della salute dei lavoratori, visto che l’art. 11.2 RSP vieta, senza eccezione, la realizzazione di questa concreta azione preventiva ai datori di lavoro che assumano lo svolgimento dell’attività preventiva nella loro impresa). Il RSP – contraddicendo quanto disposto dalla LPRL e dalla direttiva quadro, al fine di facilitare al massimo qualunque impresa, soprattutto alle piccole e medie, l’accesso alle risorse necessarie per eseguire l’attività preventiva senza che ciò sia troppo costoso e possa ostacolare la loro competitività nei mercati – in principio e con carattere generale, permette a qualunque datore di lavoro, salvo quelli che sono obbligati legalmente, a costituire un servizio di prevenzione proprio85, di esternalizzare completamente le attività preventiva attraverso uno o vari servizi di Così rimane riflessa espressamente la Strategia Spagnola di Salute e sicurezza sul lavoro (2007-2012), adottata il 28 giugno 2007. 85 Va ricordato che, anche l’accordo relativo al RSP, si è venuto a costituire un servizio di prevenzione proprio prenotato per le imprese che per le sue maggiori dimensioni o la maggiore pericolosità della loro attività si debba essere più diligente nell’attività preventiva realizzata se si vuole garantire, cioè la protezione efficace dei lavoratori che lavorano in esse, in quelli che si considera che l’applicazione del nuovo approccio risulta più necessaria e per ciò si impegna a disporre delle risorse più adeguate per riuscire,il Servizio di Prevenzione potrebbe costituirlo semplicemente coi requisiti minimi dell’art. 15 RSP, in modo che l’attività preventiva sarebbe una solo parte minima, stabilendo che è possibile esternalizzare il resto attraverso il concerto con un servizio di prevenzione altrui. Questa 84 166 prevenzione esterni86. Ma tenendo presente che la caratteristica principale del «nuovo approccio» alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro stabilito nella LPRL si trova, giustamente, nella necessità di integrare l’attività preventiva nella gestione globale di risorse dell’impresa, di modo tale che la prevenzione dei rischi, dovrà essere incorporata all’insieme delle sue attività e decisioni(nei processi tecnici, nell’organizzazione del lavoro e nelle condizioni in che cui questo si presti), e in tutti i livelli della sua linea gerarchica (art. 1.1 RSP), non sembra coerente raccomandare l’esercizio della facoltà così prevista, a meno che ciò non avvenga con le dovute garanzie di realizzazione, nei termini legalmente previsti, da parte dei servizi esterni di tutte le condizioni organizzative ed esigenze preventive, richiesta dalla legge87. A mio giudizio, la modalità dei servizi di prevenzione altrui o esterni all’impresa, soprattutto se usati come modalità preventiva unica, non costituisce uno strumento adeguato per integrare l’attività preventiva nella gestione imprenditoriale nei termini richiesti dalla LPRL ed il RSP poiché quell’integrazione richiede, in ogni caso, di contare sulle risorse proprie dell’impresa. Ma perfino quando queste risorse proprie esistono, come succede quando il datore di lavoro assume parte dell’attività preventiva nelle microimprese, l’integrazione dell’attività preventiva nell’organizzazione e funzionamento dell’impresa risulta difficoltosa, soprattutto perché è molto difficile che questo tipo di modalità di organizzazione preventiva possa conoscere il sistema globale delle risorse di tutte le molteplici realtà aziendali presso cui abbiano svolto la loro attività di consulenza. Le principali ragioni di ciò si trovano nel fatto che normalmente esse non hanno le risorse sufficienti per poter compiere le loro funzioni negli termini stretti richiesti dalla LPRL88; e interpretazione in gran parte assunta dalla promulgazione ed entrata in vigore del RSP, tuttavia, sembra che si comincia modificare recentemente a livello giurisprudenziale. Così, per esempio, la SSTS del 24 aprile di 2001 e del 3 novembre 2005, considerano che le grandi imprese obbligate a contare su un SP proprio non possono esternalizzare parte delle loro attività preventive. 86 Questa deficienza che inoltre, come ho detto, costituisce una regolazione regolamentare contra legem, si è tentato di emendare nella riforma del quadro normativo della prevenzione dei rischi sul lavoro svolta mediante la legge 54/2003, del 12 dicembre, di riforma del quadro normativo della prevenzione dei rischi sul lavoro, mediante l’introduzione di un nuovo precetto nel testo originario della LPRL, l’art. 32 bis, nel quale si è stabilito l’obbligo del datore di lavoro che in determinate condizioni, quelle che si considerano specialmente pericolose, al margine della modalità di organizzazione della prevenzione dei rischi sul lavoro alle quali sarebbe accorso, si basi sulla presenza nella propria impresa di alcuni risorse preventive materiali e umane minime. Questa previsione legale è stata recentemente sviluppata con il Regio decreto n. 604/2006, del 19 maggio, attraverso l’incorporazione al RSP di un nuovo art. 22 bis. Data la regolazione dei minimi che stabiliscono questi precetti e la applicazione non generale, il regime stabilito in essi non costituisce un mezzo efficace per garantire l’efficace protezione dei lavoratori nei termini perseguiti dalla LPRL. 87 In questo senso, la Strategia Spagnola sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro (2007-2012) fa eco del grave problema di inefficacia dell’attività preventiva svolta nelle imprese come conseguenza del fatto che la maggior parte di queste sono ricorse in esclusiva ai servizi di prevenzione altrui come organizzazione preventiva -3 su 4- e, in conseguenza, stabilisce come uno dei suoi obiettivi operativi principali quello di migliorare l’efficacia e la qualità dei sistemi di prevenzione, mettendo una speciale enfasi nelle entità specializzate nella materia. Per raggiungere tale obiettivo,da una parte si richiedono delle misure dirette all’uso di risorse proprie (ricorrano a uno o vari dei suoi lavoratori delle stesse, o costituiscano servizi di prevenzione propri); e, dall’altro lato, si incide sulla necessità di adottare criteri che garantiscano in maniera reale ed effettiva la qualità delle attività svolte dai servizi di prevenzione altrui. L’idea chiave al riguardo è già consacrata originariamente nella LPRL: ottenere che i datori di lavoro compiano l’obbligo di contare su un sistema di prevenzione ricorrendo inizialmente alle risorse proprie, e solo quando queste non siano sufficienti per realizzare tutta l’attività preventiva che sia necessario realizzare nell’impresa, possano ricorrere, in forma complementare, ad entità al di fuori della società stessa. 88 E nonostante che, così come richiede tanto la LPRL (art. 31.5), come il RSP, (Cap. V, art. 23 a 28), per cominciare ad agire come servizio di prevenzione altrui risulta imprescindibile contare su un accreditamento amministrativo previo, il quale, in principio, prevede che ci siano tutti i mezzi materiali e umani necessari per poter svolgere adeguatamente le sue funzioni preventive -nei termini previsti nella propria normativa di salute e sicurezza sul lavoro: comma 3 e 4 dell’art. 31 LPRL- tenendo in conto il numero prevedibile di imprese al quale prestano i loro servizi, l’ubicazione e attività produttiva delle stesse e il numero di lavoratori occupati in esse e destinatari finali di quell’attività, nella pratica si sta verificando che non è così e che la sua attuazione rimane ridotta, nella maggior parte delle occasioni, all’assistenza e applicazione per conto del datore di lavoro delle misure di sicurezza concrete per i rischi sul lavoro più evidenti, e in relazione alla gestione, si limitano alle attuazioni generali non in relazione alla realtà particolare di ogni impresa. La conclusione che finora, i servizi di prevenzione altrui, con carattere generale e salvo 167 che in esse non hanno attecchito in gran misura la cultura preventiva e le implicazioni del «nuovo approccio»della sicurezza e la salute sul lavoro basato nella gestione integrale dell’attività preventiva nell’impresa; e infine nel fatto che spesso i servizi di prevenzione esterni stessi sono imprese con scopo di lucro, la cui attività in molti casi si realizza con una disposizione minima di risorse e, in conseguenza, con un inevitabile inadempimento degli obblighi o anche al mero compimento formale delle stesse. c) Flessibilizzazione dei meccanismi di vigilanza e controlli interni dell’efficacia dell’attività preventiva svolta. Va detto poi che il RSP, esime le imprese con meno di sei lavoratori, dall’obbligo stabilito con carattere generale per tutte le imprese dal sottoporsi a un controllo esterno per verificare il livello di adeguamento della loro attività preventiva alle necessità reali di protezione dei lavoratori nella stessa, cosiddetta consulenza preventiva. Secondo le disposizioni del comma 3 dell’art. 29 RSP, la regola generale è che le imprese con fino a sei lavoratori, la cui attività non sia comprese nell’Allegato I del RSP, nella quale il datore di lavoro avrebbe assunto personalmente le funzioni di prevenzione o avrebbe designato uno o più lavoratori per svolgerli, non sono obbligate a sottomettere l’attività preventiva a una valutazione esterna, con il solo dovere di rimettere all’Autorità di lavoro una notificazione sulla presenza effettiva delle condizioni che non le esimono dal ricorso alla stessa, come stabilito nell’Allegato II. Questa regola generale di esenzione dell’obbligo di sottoporsi a una consulenza preventiva può avere eccezione nel caso previsto nel comma 4 dello stesso art. 29 RSP: quando così lo stabilisca l’Autorità di lavoro mediante una risoluzione espressa, risoluzione che unicamente può giustificarsi nella circostanza che vi sia un elevato indice di infortuni nell’impresa o nel settore cui essa appartiene, della pericolosità delle attività che sviluppa o dell’inadeguatezza dell’attività preventiva svolta. In questo modo, la LPRL elimina altri dei principali mezzi di vigilanza e controllo sul compimento da parte del datore di lavoro dei suoi molteplici obblighi preventivi e, pertanto, sull’adeguatezza dell’attività preventiva sviluppata nella sua impresa. È uno strumento particolarmente qualificato, visto che è realizzato da persone o entità esterne all’impresa con formazione tecnica specializzata, che inoltre, si trovano nelle migliori condizioni per consigliare al datore di lavoro trasgressore in questa materia, come porre rimedio alle carenze del suo sistema prevenzionale. Tenendo in conto le peculiarità che la LPRL e il RSP stabiliscono rispetto alla protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori delle microimprese in generale, e di quelle con meno di sei lavoratori in particolare, si possono estrarre tre importanti considerazioni: la prima è che in queste imprese, l’intervento e il coinvolgimento dei lavoratori nell’attività preventiva sviluppata dal datore di lavoro, a differenza del regime generale, non si considera una condizione essenziale dell’efficacia di detta attività e, pertanto, neanche della protezione dei lavoratori, restringendo così in questo tipo di organizzazioni produttive uno dei presupposti essenziali del nuovo approccio della sicurezza e la salute sul lavoro stabilito nella LPRL,la partecipazione dei lavoratori; la seconda, è che risulta più difficile l’applicazione del nuovo approccio alla tutela della sicurezza e ciò, soprattutto,a causa del fatto che la normativa permette, e in certi casi favorisce che in esse l’attività preventiva sia eseguita dal datore di lavoro personalmente e/o tramite i servizi di prevenzione esterni che, in realtà, non garantiscono sufficientemente quell’integrazione; e la terza, direttamente collegata alla prima, è che in questo tipo di imprese compete esclusivamente all’Ispezione di Lavoro il controllo del corretto compimento da parte del datore di lavoro del suo dovere di garantire una protezione efficace dei lavoratori in tema di salute e sicurezza. poche eccezioni, non hanno assunto il significato del «nuovo approccio della salute e sicurezza sul lavoro instaurato per la LPRL, e in logica conseguenza, questo nuovo approccio non risulta applicato. Questa è una delle principali cause che spiegano perché in Spagna, anche se la LPRL sia quasi da dodici anni in vigore, è riuscita a ridurre solo in parte gli alti indici di infortuni sul lavoro. 168 Da questo momento si cercherà di analizzare se attualmente, dentro la politica preventiva svolta dai poteri pubblici spagnoli, sono previste misure direttamente orientate a promuovere la salute e sicurezza sul luogo di lavoro nelle microimprese, e se del caso quali sono queste misure. Bisogna però tenere in conto le azioni che sono venute sviluppandosi in questo specifico ambito tramite la Fondazione per la Prevenzione dei Rischi sul Lavoro, prevista nella Disposizione addizionale quinta della LPRL che ha il compito di promuovere le condizioni di salute e sicurezza sul lavoro fondamentalmente attraverso azioni d’informazione, assistenza tecnica, formazione e promozione dell’attuazione della normativa di prevenzione dei rischi. La scarsa applicazione della normativa preventiva in questo tipo di organizzazioni produttive di piccole dimensioni evidenzia chiaramente che le azioni sviluppate da quest’organismo istituzionale sono risultate poco efficaci finora,col risultato che vedremo di seguito, della urgenza di maggiore efficacia della normativa preventiva. In effetti, la Estrategia Española de Salud y Seguridad en el Trabajo (2007-2012) (Strategia Spagnola di Salute e Sicurezza sul Lavoro) promossa il 28 giugno del 2007, presta un’attenzione molto forte al miglioramento dell’attività preventiva nelle PYMES, e dentro esse, specialmente nelle piccole, cioè, quelle aventi un organigramma inferiore a cinquanta lavoratori, comprese, pertanto, le microimprese. In primo luogo, stabilisce tra i suoi obiettivi operativi specifici «il raggiungimento di un miglior e più efficace compimento della normativa, con speciale attenzione alle PYMES». E per raggiungere questo concreto obiettivo si prevedono diverse misure o linee di attuazione. Si parte dal supposto che nelle PYMES in generale, e anche nelle microimprese in particolare, risulta molto più difficile l’attuazione della normativa di salute e sicurezza attualmente in vigore, e per ciò, tutte le misure che essa prevede in relazione a questo tipo di organizzazioni imprenditoriali consiste, in un modo o nell’altro, in aiuti istituzionali alle stesse che facilitino al massimo il corretto compimento degli obblighi preventivi imposti dalla la normativa vigente. Le misure concrete che sono previste col fine di favorire l’attuazione della normativa da parte delle PYMES e delle microimprese sono le seguenti: Si permette la realizzazione in forma semplificata del Piano di Prevenzione dei Rischi sul Lavoro e della pianificazione dell’attività preventiva da parte delle imprese che contano fino a cinquanta lavoratori che non si dedichino a nessuna delle attività specialmente pericolose elencate nell’Allegato I del RSP. Queste non sono esentate da questi due obblighi fondamentali rivolti ad ottenere l’effettiva integrazione dell’attività preventiva nel suo sistema globale di gestione delle risorse, ma semplicemente si tenta di facilitare gli imprenditori nella traduzione documentale delle stesse tenendo in conto il ridotto volume delle organizzazioni aziendale di cui sono titolari89. Si pone l’esenzione dall’obbligo di consulenza alle imprese che abbiano fino a cinquanta lavoratori che organizzino i sistemi di prevenzione con risorse proprie, salvo che l’Autorità di lavoro ne richieda la realizzazione, in presenza degli infortuni del settore o di dati che evidenzino la pericolosità dell’attività sviluppata per l’impresa o l’inadeguatezza del suo sistema di prevenzione. Le imprese dispensate dovranno presentare l’autocertificazione di cui all’Allegato II del RSP. Si cerca di favorire che sia proprio il datore di lavoro il responsabile del sistema di prevenzione nelle microimprese. Le misure sono previste per questo sono di tre tipi: A questi effetti è disposto che «Los documentos indicados deberán formularse en términos comprensibles y más fácilmente aplicables por el empresario, ya desarrollen las actividades con recursos propios, ya hubieran concertado las actividades preventivas con un servicio de prevención ajeno […] Para ello el Plan de Prevención de Riesgos Laborales, la evaluación de riesgos y la planificación de las actividades preventivas se reflejaran en un documento de extensión reducida, plenamente adaptado a la actividad y al tamaño de la empresa, que establezca las medidas operativas para realizar la integración de la prevención de los riesgos laborales en la actividad de la impresa, los puestos de trabajo con riesgo y las medidas concretas para controlarlos, jerarquizadas en función del nivel de riesgo». 89 169 a) si consente che il datore di lavoro possa incaricarsi personalmente dell’attività preventiva che si debba svolgere conformemente alla normativa in vigore nelle imprese con fino a dieci lavoratori, (sempre che inoltre concorrano il resto dei requisiti richiesti per l’art. 11 RSP). b) si prevede l’adozione delle misure formative dirette a questi imprenditori col fine che possano occuparsi adeguatamente dell’attività preventiva che in ogni caso sia necessario sviluppare nella microimpresa. c) si promuove l’assistenza pubblica sull’organizzazione della prevenzione e sulle questioni tecniche. È previsto il funzionamento di programmi pubblici specifici diretti alle imprese con fino a cinquanta lavoratori che volontariamente li adottino, la cui finalità sarà quella di migliorare le condizioni di salute e sicurezza sul lavoro in funzione delle necessità particolari di ognuna di esse. Questi programmi potranno disporre che le imprese che decidono di aderirvi non saranno soggette a sanzione sempre che sia compiuta la pianificazione stabilita, per il miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro, e che non si siano verificati infortuni sul lavoro molto gravi o malattie professionali. Si prevede il miglioramento dei sistemi di diffusione e d’informazione in materia di prevenzione dei rischi sul lavoro al fine di facilitare che le PYMES arrivino a conoscere effettivamente quali sono gli obblighi di sicurezza e qual è la forma più adeguata per rispettarli in base alla legislazione in vigore. Fondamentale è lo svolgimento di questo compito da parte della Rete Spagnola di Salute e Sicurezza e dall’Istituto Nazionale di Sicurezza e Igiene sul lavoro. In particolare si chiede all’Istituto Nazionale di Sicurezza e Igiene sul lavoro di redigere specificamente una guida sull’applicazione della normativa di prevenzione da parte delle piccole e medie imprese e delle microimprese90. E infine, si stabilisce che in tutte le future norme su prevenzione dei rischi sul lavoro dovrà esistere una relazione sulla loro applicazione nelle PYMES e l’aggiunta di misure differenziate per questo tipo di organizzazioni imprenditoriali. Come si può vedere, alcune delle misure previste esigono una riforma della LPRL e del RSP, in particolare sarebbero da introdurre: la disposizione che permette alle microimprese di realizzare Piani di Prevenzione dei Rischi Sul lavoro e pianificazioni preventive in modo abbreviato; quella che ampia l’esenzione dall’obbligo di sottoporsi a una consulenza esterna alle imprese aventi fino a cinquanta lavoratori, questa possibilità è solo contemplata per quelle con meno di sei lavoratori; e quella che abilita il datore di lavoro ad assumere in modo personale l’attività preventiva nella sua impresa in imprese con fino a dieci lavoratori, quando finora questa opzione è solo permessa a coloro che hanno meno di sei lavoratori. Con la seconda e la terza misura, quello che si promuove in forma chiara è un maggiore rilassamento delle esigenze legali rispetto alle piccole imprese e alle microimprese91, e ciò si giustifica con il fatto che potrebbe contribuire al compimento da parte degli imprenditori titolari delle stesse degli obblighi preventivi risultando per loro più facile e più economicamente conveniente. Con queste misure i poteri pubblici interni vogliono, inoltre, dare compimento a quell’esigenza comunitaria, tante volte ripetuta, di non creare problemi amministrativi e finanziari non necessari alla creazione e al mantenimento di questo tipo di imprese, in quanto la loro presenza risulta imprescindibile per la creazione di posti Si stabilisce inoltre che tutte le altre guide elaborate per l’Istituto Nazionale di Sicurezza e Igiene sul Lavoro sull’applicazione della normativa di salute e sicurezza sul lavoro, dovranno contenere un capitolo specifico sulla applicazione all’ambito dalle PYMES. 91 Invece la previsione che le PYMES possano elaborare Piani di Prevenzione dei Rischi sul Lavoro semplificati si costituisce una misura destinata semplicemente a facilitare o a diminuire gli obblighi di carattere burocratico e amministrativo poiché non implica, o non deve implicare, una minor fermezza nell’elaborazione dei contenuti dello stesso che, in ogni caso, devono essere perfettamente adattati all’organizzazione della propria impresa e alle necessità preventive della stessa, le quali vengono determinate, più che dalle dimensioni dell’impresa, dall’attività produttiva alla quale si dedicano. 90 170 di lavoro nei termini previsti dal Consiglio Europeo di Lisbona dell’anno 2000. Si dimentica, però che così, come segnala espressamente la Comunicazione della Commissione del 21 di febbraio del 2007, Mejorar la calidad y la productividad en el trabajo: estrategia comunitaria de salud y seguridad en el trabajo (2007-2012), (Migliorare la qualità e la produttività sul lavoro: strategia comunitaria della salute e sicurezza sul lavoro l’obiettivo di semplificare la legislazione per ridurre i carichi amministrativi superflui non può mettere in pericolo in nessun caso gli obiettivi di protezione efficace dei lavoratori davanti ai rischi sul lavoro. Non vanno confusi gli obblighi strettamente formali o amministrativi con quelli di carattere materiale o di natura sostanziale cui sono funzionali gli adempimenti formali. In secondo luogo, oltre alle misure direttamente orientate a ottenere il miglioramento dei livelli di salute e sicurezza sul lavoro attraverso una più adeguata ed effettiva applicazione della normativa vigente in materia di salute e sicurezza sul lavoro, la Strategia Spagnola introduce riferimenti specifici alle PYMES e le microimprese con la finalità di raggiungere altri obiettivi operativi specifici e il cui campo di effettività è generale. Si parte così dal presupposto che l’adeguata applicazione della normativa preventiva nelle PYMES in generale e nelle microimprese in particolare esige necessariamente l’adozione di misure specifiche che tengano conto del loro ridotto volume e, soprattutto, della peculiare forma di organizzazione che deriva dallo scarso organigramma disponibile. Per quanto riguarda l’obiettivo di rafforzare il ruolo degli interlocutori sociali e il coinvolgimento dei datori di lavoro e dei lavoratori nel miglioramento della salute e sicurezza sul lavoro(obiettivo numero 3), si prevede che attraverso la contrattazione collettiva settoriale statale, si creino una serie di organi specifici di carattere paritetico(che potranno avere per esempio la denominazione, e tra altri possibili, di «agenti settoriali di prevenzione»), che in ogni caso forniranno formazione specifica nel loro settore di attività e capacità tecnica adeguata in materia preventiva, dedicata a sviluppare in quelle imprese coinvolte e che abbiano tra sei e cinquanta lavoratori e non abbiano rappresentanti dei lavoratori, programmi diretti alla divulgazione e informazione sui rischi professionali esistenti nel concreto settore nel quale agiscano, come sui diritti e obblighi preventivi del datore di lavoro e dei lavoratori, e la promozione delle attività preventive. Questi organismi paritetici sono tenuti a svolgere ispezioni presso le imprese, previa pianificazione e comunicazione alle stesse ed esse potranno sottrarsi a tali controlli. Nel caso che questo tipo di visite siano svolte, i membri di questi organismi paritetici dovranno mantenere il segreto professionale nei termini stabiliti nell’art. 37.3 LPRL. Questi tipi di organi paritetici potranno anche essere creati sussidiariamente mediante accordi tra le organizzazioni imprenditoriali, sindacali e le Comunità Autonome. Chiaramente ci sono garanzie con le quali si profilano questi organismi paritetici: potranno solo esercitare le loro competenze se l’impresa in particolare permette il loro accesso e inoltre, dato il carattere settoriale, non è garantito che possano conoscere in profondità l’organizzazione e il funzionamento delle diverse imprese nelle quali debbano sviluppare la loro attività. Oltre al disposto citato, si adottano anche una serie di misure particolari in relazione alle microimprese che sono soltanto quelle con meno di sei lavoratori, le quali, in principio, non dispongono di rappresentanti dei lavoratori né sono comprese nell’ambito di applicazione degli accordi anteriori. Per esse si prevede lo stabilimento da parte della Commissione Nazionale di Salute e Sicurezza di un Programma Speciale di attuazione che avrà l’obiettivo concreto di favorire il coinvolgimento dei lavoratori e degli impresari nel miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro, come quella di promuovere il compimento degli obblighi e i diritti stabiliti nella normativa prescrittiva. In questo Programma Speciale figureranno, in ogni caso, i seguenti aspetti: incentivi al compimento da parte delle imprese degli obblighi preventivi e meccanismi di assistenza e supporto tecnico preventivo di base, che potranno avere tanto un carattere oculare nel proprio centro di lavoro, come un carattere esterno. Per quanto riguarda l’obiettivo specifico di sviluppare e consolidare un’autentica cultura della prevenzione nella società spagnola (obiettivo numero 4), si contempla la realizzazione di 171 campagne di consapevolezza e sensibilizzazione per la riduzione degli infortuni sul lavoro e il miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro. Queste campagne devono avere tanto un carattere generale (ad esempio, per favorire l’integrazione della prevenzione, per promuovere il compimento degli suoi obblighi da parte dei datori di lavoro e lavoratori, per eliminare cattive abitudini preventive, ecc.), quanto un aspetto più selettivo, in funzione delle diverse realtà settoriali, produttive, di popolazione e territoriali, segnalandosi di seguito che uno degli ambiti particolari al quale devono dirigere queste campagne di consapevolezza in materia preventiva è quello delle PYMES e quello delle microimprese, adattandosi alle speciali necessità preventive che concorrono in esse. Rispetto all’obiettivo specifico di potenziare la formazione in materia di prevenzione dei rischi sul lavoro (obiettivo numero 6), che è configurato come uno dei pilastri essenziali della Strategia, si segnala che dovrà essere promosso l’accesso alla stessa dei lavoratori con più elevate esigenze formative tra cui in particolare i lavoratori delle PYMES92. Infine, all’interno del gruppo di misure stabilite per raggiungere l’obiettivo specifico di rafforzare le istituzioni pubbliche dedicate alla prevenzione dei rischi sul lavoro (obiettivo numero 7), è posto l’accento sul rafforzamento del ruolo della Fondazione per la prevenzione dei rischi sul lavoro, la cui funzione principale è, precisamente, com’è osservato in precedenza, quella di sviluppare diversi tipi di azioni nelle PYMES col fine immediato di favorire il compimento in esse della normativa su salute e sicurezza sul lavoro. In conformità a tutto quanto esposto, si può concludere che la LPRL ha stabilito una regolamentazione che in alcuni casi specifici produce l’effetto di ridurre l’efficace protezione dei lavoratori che eseguono la loro prestazione di servizi nelle microimprese soprattutto in quelle il cui organigramma non supera cinque impiegati. Questa regolamentazione restrittiva della LPRL sembra essere il risultato di due presupposti assunti dal legislatore: il primo di essi è che i rischi in questo tipo di imprese di piccole dimensioni sono minori, rispetto alle altre imprese, identificando automaticamente le dimensioni dell’impresa con un ambito di rischi e pericoli sul lavoro; il secondo è che queste organizzazioni sono deboli economicamente e non sono in grado di far fronte alle esigenze preventive che sono imposte agli altri datori di lavoro con carattere generale93. Naturalmente, il primo presupposto non sembra corretto, almeno in termini generali, perché il livello di rischio non dipende direttamente dal volume dell’impresa, almeno non è l’unico fattore e neanche il più importante, bensì, e soprattutto, dall’attività produttiva realizzata, dall’organizzazione del lavoro, dalle condizioni dello stesso e dei propri dipendenti94. E ciò, inoltre, in un quadro come l’attuale che è caratterizzato, dalla proliferazione dei fenomeni di decentramento dei processi produttivi e dalla conseguente esternalizzazione delle prestazioni dei servizi, aumentando il numero di imprese con un organigramma esiguo, nelle quali i rischi per i Su questo tema la Strategia spagnola afferma che la formazione rappresenta uno dei pilsstri fondamentali della tutela della salute e sicurezza sul lavoro e che «pues para consolidar una auténtica cultura de la prevención es necesario tomar conciencia de que la prevención no comienza en el ámbito laboral, sino en etapas anteriores, en especial en el sistema educativo […] Por un lado, en el mercado laboral español se necesitan trabajadores cualificados y parte de esa calificación debe consistir en una sólida formación en materia de prevención de riesgos laborales, no sólo desde el punto de vista teórico, sino también desde la práctica efectiva de la misma. Por otra parte, el sistema educativo debe proporcionar profesionales adecuados con capacidad y en suficiente número para el desempeño de las funciones preventivas en las empresas […]. El objetivo perseguido es integrar la formación en seguridad y salud en el trabajo en todos los niveles de la enseñanza reglada (en la enseñanza obligatoria desde la Educación Infantil, en la Formación Profesional reglada y en la formación universitaria), y también en la formación para el empleo (en el marco del desarrollo y ejecución del IV Acuerdo Nacional de Formación, del Acuerdo de Formación Profesional para el Empleo y del Regio decreto n. 395/2007, de 23 de marzo, por el que se regula, entre otras cosas, el subsistema de Formación Profesional para el Empleo)». Si deve partire dalla consapevolezza che una buona tutela della salute e sicurezza non parte solo dall’ambiente di lavoro, ma inizia da buoni interventi di formazione e informazione, quale percorso integrato che debe coinvolgere tutte le istituzioni formative. 93 Vedere LÓPEZ GANDÍA, J., y BLASCO LAHOZ, J. F., Curso de prevención de riesgos laborales, Tirant lo Blanch, Valencia, 4ª edición, 2002, pag. 50. 94 Nel stesso senso, LOZANO LARES, F., “La prevención de riesgos laborales en la pequeña empresa”, op. cit., pag. 192 - 195. Concretamente en relación a la previsión de la Directiva Marco en las págs. 194-195. 92 172 lavoratori sono spesso addirittura superiori a quelli presenti in imprese di maggiore volume, a causa della presenza di lavoratori di altre imprese o di lavoratori autonomi, soprattutto, quando eseguano la prestazione nell’ambito organizzativo di un altro datore di lavoro, e, più ancora, quando il posto della prestazione cambia continuamente, (come ad esempio, nel settore dell’edilizia). D’altra parte, non è neanche vero, in un gran numero di casi, che queste microimprese siano deboli economicamente e che una richiesta stretta alle stesse di adempiere gli obblighi di salute e sicurezza sul lavoro (comparabili al richiesto a quelle di maggior dimensione),sia sproporzionata e effettivamente respinta dalle stesse, e neanche che impedisca il loro consolidamento nel mercato, sempre più globalizzato e competitivo. Come tale, essa potrebbe anche arrivare ad affermare che nell’ambito delle piccole imprese non si dovrebbero ridurre non solo le garanzie di protezione dei lavoratori davanti ai rischi sul lavoro ma dovrebbero essere rafforzate95. E con molta più ragione se si tiene conto che lo sviluppo che spesso risulta autenticamente paternalistico o autoritario delle relazioni industriali in questa classe di imprese, potenziato al giorno d’oggi in larga misura dagli elevati tassi di disoccupazione e dall’elevato grado di precarietà, appare un terreno fertile per il mancato esercizio, da parte dei lavoratori che compiono la loro prestazione, delle facoltà facenti parte dei diritti alla salute e sicurezza riconosciuti dalla LPRL. Inoltre, come già detto, nella maggior parte dei casi in queste aziende non si costituisce nessun organo di rappresentanza dei diritti dei lavoratori. Nel caso dei lavoratori che eseguono la loro prestazione nelle microimprese si può affermare che la mancanza di uniformità che caratterizza il regime di protezione sancito dalla LPRL per gli individui ai quali essa stessa ha attribuito lo specifico diritto soggettivo a una protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul lavoro con carattere generale costituisce non più una mera modulazione o adattamento alle circostanze obiettive e/o soggettivi concorrenti, bensì un’implicita ma autentica restrizione del contenuto del diritto di protezione in paragone col resto dei lavoratori che sviluppano la loro prestazione in imprese o centri di lavoro con un organigramma uguale o superiore a dieci lavoratori o, in ogni caso, superiore a cinque lavoratori96. E ciò è dovuto soprattutto al fatto che si eliminano legalmente o almeno si attenua tanto la partecipazione dei lavoratori all’attività preventiva realizzata, quanto i più importanti strumenti di vigilanza e controllo privati dell’adeguatezza dell’attività preventiva sviluppata. Questo rilevato trattamento differenziato dei lavoratori delle microimprese, non esplicitamente assunto dalla normativa preventiva e riferito non direttamente al livello di protezione dai rischi bensì ad alcuni dei meccanismi più importanti che permettono di garantire l’efficacia della protezione dei lavoratori, basato esclusivamente sul livello di occupazione dell’impresa, non sembra che risulti ammissibile. E anche se formalmente trova la sua giustificazione in quella clausola del TCE e della stessa direttiva quadro che invita agli Stati membri a non stabilire misure 95 6. In senso simile manifestano GONZÁLEZ ORTEGA, S. et altri, La prevención en la pequeña empresa, op. cit., pag. 96 Secondo CAMAS RODA, F., La normativa internacional y comunitaria de seguridad y salud en el trabajo, op. cit., pag. 197, nonostante le disposizioni di cui nell’118 A. 2 della Corte di Giustizia delle Comunitò Europee (attuale art’137.2 TCE) in relazione alle PYMES, e nello stesso senso nel Preambolo della direttiva Quadro «[…] la obligación empresarial de proteger, con carácter general, la seguridad y la salud de los trabajadores no puede tener límites diversos según el tamaño de la empresa […] su imposición en el art. 5 de la Directiva 89/391/CEE alcanza con igual intensidad a todo tipo de empleador, sin que en consecuencia, se prevean diferentes estándares de conducta en función de si la empresa es pequeña, mediana o grande […] No obstante, la Directiva 89/391/CEE establece ciertas garantías en orden al mantenimiento de un status especial para las PYMES (…)»; concluyendo en la pág. 199 que «en todos estos preceptos no se configuran unos deberes de prevención diferenciados o distintos en función del tamaño de la empresa, sino que más bien, la Directiva 89/391/CEE regula unas obligaciones empresariales de proteger la seguridad y la salud de los trabajadores comunes a todo tipo de empresas, aunque adapta su aplicación a las características especiales de las PYMES». Il problema si sposta quindi a determinare quando tali adattamenti sono reali e oggettivamente connessi alla dimensione dell’impresa e quando no. Non appare ammissibile un trattamento differenziato nella protezione della salute e sicurezza a seconda delle dimensioni aziendali poiché la Direttiva 391 del 1989 impone di apprestare misure a tutela della salute e sicurezza, indipendentemente dalle dimensioni. 173 che costituiscano ostacoli di carattere amministrativo97 o finanziario per la creazione o lo sviluppo delle PYMES, non sembra che possa essere sufficiente quando è in gioco la tutela alla vita e dell’integrità fisica e morale dei lavoratori98. E ancora meno in un contesto come quello attuale in cui l’utilizzazione di tutte le risorse umane e le buone condizioni di lavoro, comprese quelle relative alla salute e sicurezza sul lavoro, costituiscono obiettivi prioritari dell’attuale Strategia Europea per l’Impiego che come si sa, non sono solo quantitativi, ma anche qualitativi (qualità nell’impiego). Questa clausola di promozione delle PYMES in tutto l’ambito comunitario si deve tradurre in un tentativo di semplificazione delle procedure amministrative durante la creazione e il funzionamento di questa classe di imprese, nonché in un adattamento delle esigenze legali alle circostanze socioeconomiche delle stesse, ma in nessun caso ciò deve permettere un abbassamento dei diritti fondamentali dei lavoratori, tra cui il diritto alla salute e sicurezza sul lavoro, direttamente connesso, come si è appena osservato, con i diritti più intrinsecamente vincolati alla condizione di essere umano, come lo sono la vita, l’integrità psicofisica e la salute. Non si può neanche dire, a mio giudizio, che conformemente al Diritto comunitario, si giustifichino le diminuzioni di obblighi di carattere sostanziale con l’obiettivo di ridurre gli oneri fiscali per questo tipo di piccole imprese poiché proprio la direttiva quadro stabilisce espressamente che il compimento degli obblighi preventivi da essa stabiliti non può sottomettersi in nessun caso a condizionamenti di tipo economico. Il fatto empiricamente dimostrato è che, con la normativa vigente in questo momento in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro, i lavoratori, le PYMES, e specialmente quelli delle microimprese, sono stati e continuano a essere quelli che soffrono di incidenti sul lavoro. L’attuale legislazione preventiva che com’è stato detto, contiene una regolamentazione molto meno efficace a tutela dei lavoratori delle microimprese, rispetto agli altri non si mette in dubbio. Di fronte al fallimento nelle PYMES dei principali strumenti caratterizzanti il «nuovo approccio» alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro introdotto tanto dalla direttiva quadro quanto dalla LPRL, insiste per una riduzione ulteriore degli oneri per queste imprese col fine di promuovere il maggior e miglior adempimento da parte delle stesse degli obblighi preventivi, così come accade da parte delle altre imprese di maggiori dimensioni. Si mira fondamentalmente a ottenere l’applicazione effettiva e adeguata della legislazione di salute e sicurezza sul lavoro in questa particolare classe di imprese. Il fatto che da una parte la legislazione preventiva vigente può permette in questo tipo di imprese di ridotto organigramma l’applicazione di alcuni meccanismi che contribuiscono con carattere 97 Su questo tema, vid. la Comunicación de 24 de enero de 2007 de la Comisión sobre el «Programa de Acción para la reducción de cargas administrativas en la Unión Europea». Il presente documento segnala espressamente che «El programa de Acción no es una iniciativa de desregulación. Tampoco pretende alterar los objetivos políticos fijados en la legislación comunitaria en vigor o las aspiraciones de los actos legislativos existentes. Se trata más bien de un notable empeño con el que se pretende racionalizar y aligerar la forma en que se aplican los objetivos políticos -un indicador importante de la calidad de la reglamentación a todos los niveles- las cargas administrativas innecesarias y desproporcionadas pueden tener un impacto económico real. Además, son percibidas como una molestias y una pérdida de tiempo para las empresas ya menudo son señaladas como aspecto prioritario de las iniciativas de simplificación. La Comisión está decidida a contribuir a la supresión de estas cargas innecesarias a todos los niveles y destaca que esta responsabilidad incumbe conjuntamente a los Estados miembros y a las instituciones europeas». Si tratta non di una deregolamentazione, ma di una iniziativa di semplificazione che debe essere attuata a favore delle piccole e medie imprese. 98 Ugualmente difende la ingiustizia di queste approccio FITA ORTEGA, F., La pequeña y mediana empresa en el ordenamiento jurídico-laboral, Tirant lo Blanch, Valencia, 1997, pag. 358. Tuttavia, la sentenza della Corte Costituzionale 6/1984, del 24 gennaio, ha giustificato la differenza di trattamento delle piccole e medie aziende in senso più favorevole e meno esigente rispetto al resto delle organizzazioni produttive, basato esclusivamente sulle dimensioni, rilevando che questa differenza di trattamento « si spiega con l’obiettivo di proteggiore l’impresa di medio – piccole dimensionise hace con la finalidad de proteger a la pequeña y mediana empresa, en conexión con una consideración global de la crisis de empleo y de la forma de salir de ella». Vid. también, sobre las disfuncionalidades que provoca el criterio ocupacional, BIAGI, M., “El Derecho del Trabajo en pequeñas y medianas empresas ¿Flexibilidad o ajuste? Reseñas relativas a las relaciones colectivas”, Revista Española de Derecho del Trabajo, num. 63, 1994, pag. 63. 174 generale a garantire che il datore di lavoro possa compiere adeguatamente tutti i suoi obblighi preventivi correttamente(come sottolineato dalla Strategia spagnola di salute e sicurezza sul lavoro [2007-2012]) e che dall’altra le misure concrete in cui si traduce la politica preventiva attuale in relazione alle PYMES e le microimprese, intende far passare determinati obblighi preventivi dai datori di lavoro ai poteri pubblici, determina che in Spagna attualmente nelle microimprese il ruolo protagonista nell’attività preventiva smette di appartenere al datore di lavoro e si sposta verso i poteri pubblici con competenze in materia di salute e sicurezza sul lavoro, producendo un cambiamento sostanziale di ruoli rispetto al modello sancito nella direttiva quadro e dalla LPRL, nei quali, come è stato ripetuto già tante volte, il datore di lavoro è stato configurato come il principale obbligato a sviluppare l’attività preventiva nella sua impresa. In questa classe di imprese l’attuazione dei poteri pubblici in materia di salute e sicurezza sul lavoro smette di avere un carattere puramente strumentale rispetto all’attività preventiva del datore e acquista un carattere assolutamente principale. In altre parole, nelle microimprese, l’efficacia della protezione della vita, l’integrità fisica e psichica dei lavoratori dipende, soprattutto, dalle azioni dei poteri pubblici e non tanto del datore di lavoro. Non si può tuttavia negare che nel conseguimento di un’efficace protezione dei lavoratori delle microimprese giocano anche un ruolo fondamentale gli agenti sociali. Così sono riconosciuti espressamente da parte dei poteri pubblici, tanto comunitari quanto nazionali, e così sono plasmati nelle politiche preventive. Dal comportamento degli agenti sociali, dipende in una misura molto importante la possibilità per i lavoratori delle microimprese di disporre delle stesse garanzie di protezione degli altri lavoratori, tanto intervenendo sull’attività preventiva svolta dal datore di lavoro, quanto sulla attività di vigilanza. Ciò che consente agli attori sociali di svolgere tale ruolo è il fatto di disporre di una formazione adeguata e sufficiente. Non si può perdere di vista il fatto indiscutibile che, anche se, in effetti, la protezione efficace dei lavoratori delle microimprese dipende, in conformità con la legislazione e le politiche preventive vigenti, dalla previsione di misure nei diversi strumenti del dialogo sociale, in realtà, dipende soprattutto dalla sua adeguata esecuzione a livello di ogni singola impresa essendo necessaria una formazione adattata all’organizzazione e ai rischi esistenti in ciascuno di essi. E se, com’è previsto negli attuali strumenti di politica preventiva, la funzione formativa in prevenzione dei rischi sul lavoro – come quella di promuovere un’autentica cultura preventiva – corrisponde essenzialmente ai poteri pubblici, ancora una volta si giunge alla conclusione che l’efficace protezione dei lavoratori delle microimprese in materia di salute e sicurezza sul lavoro è subordinata, fondamentalmente, al fatto che i poteri pubblici possano esercitare le proprie competenze in tal senso. La tutela dei telelavoratori. I lavoratori a domicilio il cui specifico contratto è regolato nell’art. 13 SL, sono quelli che eseguono la prestazione nel proprio domicilio o nel posto liberamente eletto a tal fine senza vigilanza diretta da parte del datore di lavoro, che in ogni caso deve inserire il concreto posto di esecuzione della prestazione nel contratto «affinché siano determinate le necessarie misure di igiene e sicurezza ». Siamo, dunque, davanti a un’autentica e indiscutibile prestazione di lavoro, tralasciando altri casi di lavoro autonomo che possano avere alcune similitudini, meramente esterne, col lavoro a domicilio99. 99 Vedere PALOMEQUE LÓPEZ, M. C. y ÁLVAREZ DE LA ROSA, M., Derecho del Trabajo, CEURA, Madrid, 2004, pag. 659-660, per cui il lavoro a domicilio coinvolge «una evidente debilidad en la incorporación al mercado y en la efectividad de las normas laborales (…) Il lavoro a domicilio, carratterizzato dalla assenza di una diretta vigilanza da parte del datore di lavoro, è un fenomeno di decentramento dell’organizzazione produttiva dell’impresa. Si tratta di forme di lavoro nelle quali il potere di controllo del datore di lavoro resta comunque fermo e si esplica sul risultato della prestazione». 175 I lavoratori a domicilio sono lavoratori dipendenti a tutti gli effetti e di conseguenza sono titolari del diritto soggettivo a una protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Essi non sono stati esclusi dall’ambito di applicazione della LPRL né è previsto per essi nessun adattamento o particolarità in modo espresso. In linea di principio, per la loro condizione di lavoratori il rapporto è regolato dal SL, si applicano tutte le previsioni della LPRL e tutta la normativa preventiva costitutiva del regime comune di tutela100. Senza dubbio, però c’è una circostanza caratteristica di questo tipo di prestazione di lavoro che può avere influenza sulla gestione della salute e sicurezza: il fatto che si realizza al margine del controllo diretto del datore di lavoro, in un posto scelto eletto e controllato solo dal lavoratore. Per capire i termini di applicazione effettiva della regolamentazione della LPRL a questa fattispecie, bisogna partire da due dati rilevanti: Il primo di essi è che, come è stato descritto, che ci troviamo davanti a una relazione di lavoro in senso stretto, nella quale convergono tutte le caratteristiche di lavoro di cui all’art. 1.1 SL, comprese quelle di estraneità e subordinazione del lavoratore, poiché i mezzi di produzione appartengono al datore di lavoro, anche se è possibile che vi siano anche mezzi dello stesso lavoratore, che dovrà ricevere una controprestazione economica del datore di lavoro. Così, almeno in una certa misura, la prestazione di lavoro del lavoratore a domicilio deve essere organizzata e controllata dal datore di lavoro, pur non essendo tale controllo diretto o immediato. In conseguenza, il datore di lavoro è l’individuo che anche in questo caso si trova obbligato a garantire l’efficace protezione dei lavoratori al suo servizio(art. 14.1 LPRL), anche se non controllando direttamente e permanentemente l’esecuzione della prestazione, si ostacola in una misura molto rilevante la realizzazione del suo dovere di tutela della sicurezza negli stretti termini previsti dall’attuale normativa preventiva. Questa difficoltà aumenta quando il luogo della prestazione coincide effettivamente con il domicilio del lavoratore – o perfino il domicilio privato di un terzo –, perché allora entrano in gioco altri diritti fondamentali degni di protezione, come il diritto alla privacy personale e familiare del lavoratore(art. 18.1 CE), e il diritto all’inviolabilità del domicilio(art.18.2 CE)101. D’altra parte, e in secondo luogo, già nell’art. 13.2 SL si è stabilito, prima della LPRL la significativa cautela consistente nell’esatta indicazione del luogo della prestazione all’interno del contratto, in modo che il datore di lavoro possa conoscerlo e in ogni caso adottare le misure di sicurezza necessarie in funzione dei rischi esistenti. Questa cautela è funzionale tanto al controllo imprenditoriale generale sulla prestazione quanto al possibile controllo da parte delle amministrazioni pubbliche competenti del compimento imprenditoriale di tutti i suoi obblighi. Alla luce di tute queste previsioni normative, tanto la SL quanto la LPRL, si può concludere che il datore di lavoro è obbligato a realizzare l’attività preventiva rispetto ai lavoratori a domicilio negli stessi termini previsti per qualunque altro lavoratore della sua impresa, ovvero che i lavoratori a domicilio sono titolari del diritto a una protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul lavoro negli stessi termini previsti per gli altri lavoratori, compresi i diritti collettivi esercitati attraverso i rappresentanti, dato che, senza dubbio, l’art. 13.5 riconosce a questi lavoratori l’esercizio dei diritti di rappresentanza conformemente a quanto disposto nella SL, e, pertanto, dovrebbe essere anche interpretato in conformità alla LPRL, visto che la rappresentanza specifica in materia di salute e sicurezza sul lavoro, salvo che il contratto collettivo stabilisca un’altra cosa (art. 35.4 LPRL), ha come base la rappresentanza unitaria regolata ai sensi del Titolo II SL, e la LPRL non ha stabilito nessuna restrizione in questo senso. Essendo così dal punto di vista generale e secondo la lettera della legge, le speciali circostanze concorrenti nello sviluppo del lavoro a domicilio provocheranno, inevitabilmente, importanti 100 Véase ALBIOL MONTESINOS, I., CAMPS RUÍZ, L. M., LÓPEZ GANDÍA, J. y SALA FRANCO, T., Derecho del Trabajo. Tomo II, Contrato individual, 3ª edición, Tirant lo Blanch, Valencia, 2001, pág. 696, che rimanda ad una normativa successiva sulla protezione della salute e sicurezza sul lavoro. 101 Véase SCHNEIDER DE VILLEGAS, G., “Trabajadores a domicilio: necesidad de una protección especial”, Revista Internacional de Trabajo, n. 3, 1990, págs. 361 y ss. 176 difficoltà e ostacoli all’adeguato compimento da parte del datore di lavoro dei suoi obblighi di vigilanza e controllo dell’idoneità della gestione preventiva, così come al controllo di quell’idoneità da parte dell’Ispezione di lavoro – che in ogni caso, prima di poter entrare nel domicilio privato per esercitare le sue funzioni di vigilanza e controllo, richiederà sia il consenso del lavoratore, oppure un’autorizzazione giudiziale – per cui la protezione efficace di questa classe di lavoratori esigerà una particolare attenzione da parte del datore di lavoro nel pianificare l’attività preventiva. In ogni caso, poi, vi saranno da considerare le condizioni del posto di lavoro, i possibili rischi psicosociali, l’adeguatezza delle attrezzature di lavoro e di protezione individuale, la vigilanza nonché gli obblighi di informazione e formazione adeguati e permanenti, nei confronti di questi lavoratori, fornendo loro le adeguate istruzioni affinché possano compiere la loro prestazione senza rischi o con i minori rischi possibili. È anche da analizzare, in tale ambito, la collaborazione dello stesso lavoratore a domicilio, in maniera tale che sia coinvolto nella sua protezione efficace, compiendo strettamente gli obblighi di sicurezza stabiliti nell’art. 29 LPRL, adottando comportamenti sicuri e concedendo il suo consenso al datore di lavoro e all’Ispezione di Lavoro affinché possano svolgere le rispettive funzioni. A conferma dell’importanza della cultura preventiva come presupposto chiave di qualunque attività preventiva concreta che ha l’obiettivo di essere efficace nei termini stabiliti nel Diritto vigente. Ovviamente, gli imprenditori che hanno lavoratori con contratti di lavoro a domicilio dovranno agire ugualmente sempre col massimo rispetto dei diritti fondamentali alla privacy e inviolabilità del domicilio. Si tenta di ponderare e di conciliare la protezione dei beni personali del lavoratore di rilevanza costituzionale (art. 15 e 43. 1 CE), e il diritto fondamentale alla privacy personale e familiare e l’inviolabilità del suo domicilio(art. 18 CE). In conclusione, i lavoratori con contratti di lavoro a domicilio, sono titolari del diritto soggettivo a una protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro, e quindi, potranno esercitare tutte le facoltà riconosciute in materia dalla LPRL, alla pari di qualunque altro lavoratore, anche se è vero che, viste le peculiarità della prestazione cui dà luogo questa tipologia contrattuale, la protezione risulta ancora più necessaria e fondamentale, rispetto agli altri lavoratori. Si sottolineano in realtà evidenti difficoltà nel garantire l’efficace protezione di questi lavoratori e le misure da adottare sono difficili da realizzare102. Negli ultimi tempi, e come modalità specifica del lavoro a domicilio,ha avuto diffusione il telelavoro, che in realtà costituisce un fenomeno più ampio del mero lavoro a domicilio103. A 102 Sulla difficoltà di proteggere efficacemente i lavoratori a domicilio avverso i rischi che colpiscono tali lavoratori, vedere SMURAGLIA, C., Voz “Salute III: Tutela de la salute- Diritto del Lavoro”, Enciclopedia TRECCANI, Vol. XXVII, Roma, 1990, pág. 5: «Va rilevato tuttavia, per concludere sul punto, che dell´efficacia di questa complessiva disciplina del lavoro decentrato, agli effetti del diritto alla salute è del tutto lecito dubitare … E giustamente si è rilevato che scarsi rimedi l´ordinamento appresta contro il rischio più rilevante, quale quello (per il lavoro a domicilio) che deriva degli stretti ritmi di lavoro, imposto dalla necessità di adempiere a lavori affidati in modo incalzante. Il discorso sull´organizzazione complessiva del lavoro è, in questo campo, ancora meno avanzato e, tutto sommato, meno agevole; sicchè può ben dirsi che siamo ancora lontani da una tutela dotata di quella effettività che dovrebbe scaturire dalla rilevanza di un interesse costituzionale garantito e che non appartiene soltanto al singolo (…)». 103 Il telelavoro, in realtà è un fenomeno di organizzazione produttiva che integra diversi scenari di realizzazione della prestazione con mezzi informatici e telematici di trasmissione dei dati: il lavoro personale e per conto altrui realizzato nel domicilio del lavoratore o in un altro posto eletto per queste, il lavoro realizzato in centri di lavoro specializzati separati degli altri centri di attività dell’impresa, il telelavoro realizzato in regime di autonomia e il riappalto imprenditoriale di imprese specializzate nella prestazione di questi servizi di trasmissione informatizzata di informazione. Solo la prima delle manifestazioni enumerate è integrata nella categoria di lavoro a domicilio che, secondo i dati disponibili, si costituisce nella modalità meno utilizzata di telelavoro, almeno nell’ambito dell’UE. Nella seconda manifestazione del fenomeno del telelavoro, esiste anche relazione di lavoro del telelavoratore con il datore di lavoro ma è una relazione di lavoro comune, senza nessuna particolarità, con la quale il datore di lavoro è in perfette condizioni di controllare l’attività di lavoro dei suoi lavoratori e di compiere i suoi obblighi di sicurezza come qualunque altro datore di lavoro. La terza categoria è quella dei telelavoratori autonomi, i quali si sentono esclusi dell’ambito protettivo della LPRL (vid. Infra.) per quello che questi non sono titolari del diritto a un’efficace 177 questa forma di organizzazione del lavoro risulterebbero pienamente applicabili le stesse considerazioni fatte per il lavoro a domicilio in generale, con l’unica particolarità che qui sarà fondamentale l’applicazione del Regio decreto n. 488/1997, che stabilisce le disposizioni minime di sicurezza relative al lavoro con strumenti che includono schermi di visualizzazione104. In Spagna, il Acuerdo Interconfederal para la Negociación Colectiva, (Accordo Interconfederale per la Contrattazione Collettiva), sottoscritto il 30 di gennaio del 2003, per CC.OO., UGT, CEOE y CEPYME, che prevede con carattere obbligatorio i criteri e le azioni da assumere da parte delle organizzazioni firmatarie degli accordi collettivi da loro negoziati durante quest’anno, previsto come uno di loro, quello di promuovere durante il suo periodo di adattamento e lo sviluppo dell’Accordo Quadro sul Telelavoro alla realtà spagnola. In conformità con la clausola ottava del presente Accordo, il datore di lavoro è il responsabile della protezione della salute e sicurezza del telelavoratore e dovrà informarlo sulla politica dell’impresa in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro, in particolare sulle esigenze concernenti l’uso di schermi di visualizzazione. Il telelavoratore, da parte sua, deve osservare i suoi obblighi legali e applicare la politica di sicurezza imprenditoriale nel modo giusto. La tutela di fronte ai rischi psicosociali. L’Observatorio Permanente de Riesgos Psicosociales (Osservatorio Permanente di Rischi Psicosociali) di UGT ha recentemente elaborato uno schema della situazione in Spagna a partire da più di 5000 inchieste in 11 settori di attività. Tra le sue conclusioni figura che l’impatto di detta classe di rischi è analogo in tutti i settori di attività (istruzione, industria alberghiera, tessile, sicurezza privata, teleoperatori, della carne, ceramiche e piastrelle). Secondo UGT, in Spagna il 68% dei lavoratori manifesta alti livelli di carico mentale, risultato di dover lavorare con termini e date stretti, dell’obbligo di mantenere un alto livello di attenzione durante tutta la giornata, dover lavorare a ritmo molto veloce ed eseguire compiti complessi. Il 23% considera che le loro condizioni ambientali non siano adatte(brutta illuminazione, eccessivo rumore, alte o basse temperature, ecc.), e il 65% dichiara che non dispone di autonomia né partecipa alla pianificazione dei compiti e all’organizzazione del lavoro. Il risultato finale è che il 81% dei lavoratori spagnoli presenta un alto rischio di stress. Per la maggior parte delle fonti di rischio sul lavoro non è una norma regolamentare specifica che determina le misure concrete per prevenire questo tipo di rischio psicosociale, per cui questo è un protezione davanti ai rischi sul lavoro, salvo che compiano la loro prestazione nell’impresa o con attrezzature informatiche della stessa, nel qual caso risulterebbe da applicare il regime protettivo previsto nell’art. 24 LPRL che è anche quello che si applicherà al quarto e ultimo caso di formalizzazione giuridica del telelavoro in questa materia. Per un’analisi completa ed esaustiva del fenomeno del telelavoro, si veda THIBAUT ARANDA, J., El Teletrabajo, CES, Madrid, 2001; RODRÍGUEZ-SAÑUDO, F., «La integración del teletrabajo en el ámbito de la relación laboral», Vol. II, Tecnos, Madrid, 1999; también. SANGUINETI RAYMOND, W., Teletrabajo y globalización, Ministerio de Trabajo y Asuntos Sociales, Madrid, 2003, cui segnala nella pag. 15 che, nonostante le evidenti differenze tra i distinti supposti inclusi nel concetto di «telelavoro», tutte sono situazioni con un nucleo comune relativo all’applicazione delle nuove tecnologie dell’informazione e le comunicazioni ai processi di lavoro, i quali facilitano notevolmente la realizzazione a distanza delle attività relazionate con il trattamento e la trasmissione di informazione, e che inoltre, producono effetti molto simili sulla localizzazione e la geografia tradizionali dell’impiego; la Guía de actuación de la Inspección de Trabajo en relación con las condiciones laborales y de seguridad y salud en el trabajo, Ministerio de Trabajo y Asuntos Sociales, Madrid, 2002, en la pág. 16; y la Guía de buenas prácticas para la mejora de las condiciones laborales y de la seguridad y salud en el teletrabajo, Ministerio de Trabajo y Asuntos Sociales, Madrid, 2002, pag. 21 y 22. 104 Com’è noto, il telelavoro, è un orfano di regolazione legale negli ordinamenti nazionali dei paesi membri dell’Unione Europea, del quale la Spagna non è un’eccezione, poiché vi è stato un Accordo Quadro Europeo, sottoscritto il 16 giugno del 2002, ai sensi dell’art. 138 TEU tra gli interlocutori sociali europei (CES, UNICE/UEPAME e CEEP). L’Accordo, che risponde all’obiettivo fondamentale della Cumbre de Lisboa, che è stata quella di fare della società europea una società della conoscenza come garanzia della sua prosperità economica, vuole promuovere il telelavoro, che considera un mezzo di modernizzare l’organizzazione del lavoro per le imprese e conciliare la vita professionale e personale per i lavoratori, consentendo una maggiore autonomia nello svolgimento dei compiti. 178 campo particolarmente favorevole per la regolazione convenzionale e lo sviluppo di codici di condotta e buone prassi. Il riferimento di tutte esse è Acuerdo Marco Europeo de Estrés Laboral de 2004(Accordo Quadro Europeo di Stress sul Lavoro), risultato del Dialogo Sociale. Infatti, nell’Attuale Accordo Confederale per la Contrattazione Collettiva si stabilisce espressamente l’integrazione di quest’Accordo negli accordi collettivi, adattandolo alle circostanze concrete del settore o imprese per le quali trovi applicazione. In generale, le principali misure per prevenire i rischi di natura psicosociale sono relative alla formazione e la vigilanza della salute dei lavoratori. Tuttavia gli studi dimostrano che il presupposto fondamentale per l’adozione di misure efficaci è la sensibilizzazione di tutti nelle imprese e l’impegno alla prevenzione di questo tipo di rischi come un’adeguata pianificazione e organizzazione del lavoro. Così lo Lo segnala l’Osservatorio Permanente dei Rischi Psicosociali dell’organizzazione sindacale UGT. Per quanto riguarda in concreto la prevenzione delle molestie o mobbing, questo organismo indica che devono seguire le seguenti indicazioni: a) Nell’impresa: Formazione e informazione: È necessario conoscere in che cosa consistono qeuste violenze psicologiche mediante, colloqui, conferenze, cartelli e volantini come la formazione specifica ai Delegati di Prevenzione e superiori affinché possano identificare condotte persecutorie e cercare soluzioni. Valutazione dei rischi: Valutazione dei rischi psicosociali così come la diagnosi precoce delle situazioni di ansia, ecc., attraverso la vigilanza della salute. Dichiarazione di principi: È necessario che la volontà dell’impresa contempli in maniera nitida il rifiuto e la persecuzione di ogni tipo di molestie e che siano raccolte attraverso un documento. b) Nell’ambiente: - Aggiornamento del concetto di malattie professionali, facilitando il riconoscimento delle nuove malattie non previste nell’elenco. - Che l’Ispettorato di Lavoro verifichi che nelle valutazioni dei rischi siano stati contemplati i fattori psicosociali e nel caso di mancanza di quest’ultimo, deve obbligare alla loro considerazione. Le misure preventive per le molestie devono essere progettate al fine di evitare l’apparizione di conflitti, quello che si ottiene attraverso una soddisfacente organizzazione del lavoro. La prevenzione deve affrontare le carenze del luogo di lavoro, cercando di ottenere bassi livelli di stress, maggior controllo sui compiti, fornendo un’autonomia sufficiente ed elevando la capacità di decisione dei lavoratori. Essa deve aiutare i dirigenti, abilitandoli per riconoscere conflitti e per gestirli adeguatamente, conoscere i sintomi delle molestie e scoprirle precocemente, sviluppando regole chiare, esplicite e pubbliche sulla risoluzione di conflitti. Per ciò, come già si è detto, devono impiantare programmi informativi e formativi per promuovere cambiamenti nella cultura imprenditoriale che conducano all’eliminazione di determinate pratiche imprenditoriali basate sull’autoritarismo, paternalismo, ecc. II.8.3 Gruppi di lavoratori che richiedono di particolare attenzione per essere considerati come «gruppi specifici di rischio». La tutela dei lavoratori che per il loro stato di salute specifico sono particolarmente esposti a taluni rischi professionali. Secondo quanto disposto nell’art. 25.1 LPRL105, il datore di lavoro non potrà usare i lavoratori che per le sue proprie caratteristiche personali o per lo stato biologico siano particolarmente L’art. 15 della direttiva 89/391, CEE, del 12 giugno, disponeva che i gruppi di lavoratori esposti a rischi specialmente sensibili devono essere protetti contro i pericoli che li colpiscano in maniera specifica. 105 179 sensibili a determinati rischi in «quei posti di lavoro nei quali, a causa delle caratteristiche personali, stato biologico o per la sua incapacità fisica, psichica o sensoriale riconosciuta, possano essi, gli altri lavoratori o altre persone relazionate con l’impresa mettersi in situazione di pericolo o, in generale, quando siano apertamente in stati o situazioni transitorie che non rispondano alle esigenze psicofisiche dei rispettivi posti di lavoro». Una disciplina simile si trova già nell’art. 189 del TRLGSS di 1974 che stabiliva che «Senza danno delle norme specifiche sui lavori vietati a donne e minori, le persone che soffrano difetti o indisposizioni fisiche, ad esempio epilessie, crampi, vertigini, sordità, vista difettosa o qualunque altra debolezza o malattia di effetti analoghi, non saranno usate in macchine o lavori nei quali, a causa di detti difetti o indisposizioni possano loro o i colleghi, mettersi in specialmente pericolo». In conformità con l’art. 25.1 LPRL, nel caso in cui la speciale suscettibilità dei lavoratori ai rischi sul lavoro per causa delle loro condizioni psicofisiche sia conosciuta prima di iniziare la loro prestazione, il datore di lavoro avrà due opzioni: o non assumerli oppure assumerli ma adottando le misure di sicurezza che siano necessarie e più adeguate per proteggerli efficacemente. Questi lavoratori prima di stipulare il contratto potrebbero chiedere al futuro datore di lavoro di adottare le misure di sicurezza necessarie per proteggerli efficacemente, anche se il datore di lavoro non potrebbe essere costretto a compiere tali obblighi di salute e sicurezza, non intercorrendo ancora alcun rapporto di lavoro. In questo caso il datore di lavoro, in virtù del principio di libertà di contrattazione, potrebbe decidere legittimamente di assumere altri lavoratori che non fossero sensibili a quei rischi specifici che li colpiscono nei posti di lavoro Ovviamente, se non esiste nessuna misura di sicurezza, la cui adozione permetta di garantire a tali lavoratori l’efficace protezione negli stessi termini previsti per gli altri lavoratori che occupino quel posto di lavoro o svolgano le stesse funzioni nell’impresa, al datore di lavoro rimarrà soltanto l’opzione di non assumerli106.Realmente non si può dire che i lavoratori compresi in questo speciale gruppo di rischio abbiano un diritto alla non assunzione da parte del datore di lavoro in questo concreto posto specialmente pericoloso per essi, poiché in ogni caso potrebbero decidere liberamente di non stipulare il contratto di lavoro senza dover ricorrere a qualsiasi giustificazione specifica – o se ci fosse stato un contratto preliminare, per evitare di indennizzare il datore di lavoro per i danni causati dalla mancata stipula, visto che esisterebbe una causa giustificata imputabile al datore di lavoro per essersi rifiutato di stipulare il contratto di lavoro –, o a posteriori, estinguerlo unilateralmente per dimissione o per risoluzione volontaria se si verificano i requisiti dell’art. 50. 1.c) SL. Dalla loro parte, gli altri lavoratori dell’impresa che a seguito dell’assunzione di quei lavoratori specialmente sensibili possano vedersi colpiti per i rischi sul lavoro derivati della loro presenza o dalla esecuzione della loro prestazione, in esercizio del proprio diritto soggettivo a godere di una protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul lavoro, potrebbero richiedere ugualmente al datore di lavoro, individualmente o attraverso i loro rappresentanti, la previa adozione delle misure di sicurezza opportune davanti a tali rischi o, se ciò non risultasse possibile sotto il profilo tecnologico od organizzativo, chiedere la non assunzione di tali lavoratori. Nell’ipotesi in cui la situazione di suscettibilità del lavoratore al posto di lavoro fosse sopravvenuta, il lavoratore avrebbe diritto ad esigere dal suo datore di lavoro tutte le misure di sicurezza che fossero necessarie – sia quelle previste nelle norme regolamentari che tutte le altre che fossero necessarie, nei limiti delle possibilità tecnologiche ed organizzativamente – per tutelarli da quei rischi di natura soggettiva, perché come segnala il primo paragrafo dell’art. 25.1 LPRL, il datore di lavoro deve garantire in maniera specifica la protezione di questi lavoratori e, a tale fine, “dovrà tenere in conto detti aspetti nelle valutazioni dei rischi e, in funzione di queste, adotterà le misure preventive e di protezione necessarie.” In ogni caso l’obiettivo è adottare quelle misure preventive che permettano di garantire a questi lavoratori specialmente sensibili ai rischi derivanti dal posto di lavoro che occupano o dell’organizzazione imprenditoriale nella quale Rispetto ai problemi che può esporre l’applicazione di questa previsione normativa, si veda, MOLINA NAVARRETE, C. 106 180 eseguono la loro prestazione lo stesso livello di protezione degli agli altri lavoratori che occupano lo stesso posto o svolgono le stesse funzioni nell’impresa. E anche se tra tali misure preventive e di protezione non si indicano specificamente le misure organizzative di cambiamento di luogo di lavoro, di trasloco o spostamento, o di modificazione sostanziale di condizioni di lavoro, si ritiene che, se ciò è possibile d’accordo col regime giuridico previsto per queste istituzioni giuridicolavorative (art. 39, 40 e 41 SL) rispettivamente, il datore di lavoro si sentirebbe obbligato a esercitare tali poteri nell’ambito del suo stesso potere di gestione e organizzazione, dato che l’art. 14.2 LPRL lo obbliga in virtù del suo dovere di protezione mediante la realizzazione di azioni preventive ad adottare «quante misure siano necessarie» per a questo fine107. Così, questo tipo di misure organizzative fanno parte del contenuto del diritto soggettivo di questi lavoratori specialmente sensibili a godere una protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul lavoro e, quindi, potrebbero richiedere legittimamente al datore di lavoro le misure necessarie e più adeguate affinché la loro protezione sia garantita. L’applicazione del nuovo approccio alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro basato nell’integrazione di tutta l’attività preventiva nella gestione globale delle risorse dell’impresa esige non l’adozione di misure di sicurezza di carattere soltanto tecnico ma anche organizzativo, e tra tali misure obbligatorie possono essere trovate quelle che fino all’entrata in vigore della LPRL sono state semplicemente facoltà ad esercizio discrezionale da parte del datore di lavoro integrate nel contenuto del suo potere di direzione. Un’interpretazione diversa in cui non sia ammessa l’adozione di tali misure organizzative come misure di sicurezza efficaci quando ciò sia giuridicamente possibile condurrebbe inevitabilmente alla conclusione che in questi casi l’unica possibilità di ottenere una protezione efficace di questi lavoratori passerebbe per l’estinzione del rapporto di lavoro, che non può considerarsi veramente come un’alternativa ammissibile. Invece, se non esistesse nessuna misura di sicurezza possibile ed efficace, non soltanto il datore di lavoro potrebbe, ma, in ragione del suo dovere di garantire la protezione efficace di tutti i suoi lavoratori con quante misure siano necessarie, si sentirebbe giuridicamente obbligato a licenziarli o, in caso di situazione transitoria, a sospendere il loro contratto di lavoro. La tutela dei lavoratori minori e dei lavoratori giovani. L’art. 27 LPRL si riferisce ai lavoratori minori d’età, fattore di rischio specifico di carattere intrinseco. Attraverso questa disposizione si è trasposta nell’ordinamento spagnolo la direttiva n. 94/33/CEE, del 22 di giugno, relativa alla protezione dei giovani sul lavoro, anche se solo parzialmente, poiché la protezione dei lavoratori minori di età si trova anche nella disciplina precedente dello SL, (art. 6, 34.4, 37.1 fondamentalmente)108. Questo precetto ha il principale obiettivo di garantire la protezione efficace dei lavoratori tra 16 e 18 anni, i quali, per la mancanza di esperienza professionale, l’immaturità, la mancanza di formazione, ecc., che la giovane età porta con sé, sono considerati come specialmente sensibili ai rischi sul lavoro – come dimostrato scientificamente e statisticamente. Tuttavia, tale disposizione, può considerarsi indirettamente rivolta anche alla protezione degli altri lavoratori dell’impresa con cui i minori siano a contatto sul posto di lavoro. Essi infatti possono vedersi colpiti da situazioni di rischio derivanti dalle possibili condotte insicure dei minori nello svolgimento della loro prestazione. I lavoratori minori hanno il diritto a non occupare posti di lavoro in cui non vi siano misure di prevenzione efficaci o che pur essendone forniti e non siano state di fatto adottate dal datore di lavoro, risultino specialmente pericolosi non solo per la loro vita, la loro integrità psicofisica e la loro salute, ma anche per le loro possibilità di sviluppo. Per quanto riguarda i lavoratori minori di età si osserva come la LPRL assume espressamente un concetto ampio di salute, oltre la mera Si veda RODRÍGUEZ RAMOS, M. J., “Grupos especiales de riesgo en la Ley de Prevención de Riesgos Laborales”, op. cit., pag. 412-413. 108 Vedere RAMÍREZ MARTÍNEZ, J. M., “Reflexiones en torno al art. 27 de la Ley de Prevención de Riesgos Laborales”, Tr.ibuna Social, núms 128-129, 2001, pag. 9 alla 12. 107 181 assenza di infortuni o malattia, comprendendovi anche la protezione dai rischi per il libero sviluppo della personalità – ancora non formata – del lavoratore minore109. Se i lavoratori giovani sono venuti occupando un posto di lavoro che per il cambiamento delle condizioni di lavoro diventa specialmente pericoloso, avranno diritto a esigere dal datore di lavoro l’adozione delle misure di sicurezza necessarie, sufficienti e adeguate, e se tali misure non esistono – risultano inefficaci – comprese quelle relative al cambiamento delle mansioni sul posto di lavoro, alla modifica delle loro condizioni di lavoro o, perfino, al cambiamento di posto di lavoro (art. 39, 40 e 41 SL); avranno anche diritto, sussidiariamente, a sospendere il loro contratto di lavoro se il rischio è temporaneo – con diritto a continuare a prendere i salari quando la causa del rischio è imputabile al datore di lavoro, ai sensi delle disposizioni dell’art. 30 SL; o a estinguerlo per dimissioni o per volontà unilaterale dello stesso per giusta causa, se ricorrono i requisiti previsti nell’art. 50 SL. Dobbiamo anche tener presente che, inoltre, che ci saranno lavoratori giovani e inesperti nonostante, maggiori di 18 anni, in molti casi, anche se la LPRL non lo dispone espressamente, il datore di lavoro dovrà adottare le misure di sicurezza necessarie per proteggerli efficacemente dai rischi sul lavoro, inclusi quelli strettamente soggettivi derivati dalla loro gioventù, inesperienza, immaturità, mancanza di formazione ecc., come si puà dedurre essenzialmente dagli artt. 14, 15 e 16 LPRL. Nell’art. 27.2 è prevista una misura preventiva diretta alla protezione più efficace possibile dei lavoratori minori di diciotto anni, poiché con questa si vogliono, senza dubbio, eliminare completamente i rischi sul lavoro: la previsione di limitazioni all’assunzione dei giovani minori di età in lavori che possano presentare rischi specifici, cioè, la determinazione di una serie di attività professionali e di posti di lavoro nei quali potranno essere occupati i lavoratori tra 16 e 18 anni particolarmente pericolose da determinare l’inefficacia iuris et de iure dei relativi contratti. A questa proibizione regolamentare si riferiva già l’art. 6.2 SL, che espressamente stabiliva che i lavori vietati saranno non solo quelli che siano considerati insalubri, penosi, nocivi o pericolosi per la salute dei lavoratori giovani ma anche quelli che siano nocivi per la loro formazione personale e umana, e indirettamente anche il comma 4 dello stesso precetto statutario restringe la partecipazione dei minori di 16 anni in spettacoli pubblici ai casi in cui siano eccezionalmente autorizzati, espressamente e per iscritto dall’Autorità di Lavoro purché ciò non li esponga ad un pericolo per la loro salute fisica e la loro formazione professionale e umana. Fino a che il Governo de renda operativo il regolamento corrispondente continuerà a essere applicabile a questi effetti il vecchio Decreto del 26 di luglio di 1957 sui lavori vietati a donne e minori110, vigente in questo momento solo rispetto a quest’ultimo gruppo poiché rispetto alle donne la disposizione è stata oggetto di abrogazione, perché ritenuto discriminatorio per ragioni legate al sesso. Non c’é dubbio che detta norma risulta obsoleta attualmente, e quindi, chiaramente inefficace. Si veda GARCÍA-PERROTE ESCARTÍN, I., “Protección de trabajadores especialmente sensibles a determinados riesgos”, AAVV (CASAS BAAMONDE, M. E., PALOMEQUE LÓPEZ. M. C. y VALDÉS DALRÉ, F. Coords.), Seguridad y salud en el trabajo. El nuevo derecho de la prevención de riesgos profesionales, La LeyActualidad, Madrid, 1997, pag. 49, si esprime con chiarezza che i lavoratori minori possono essere colpiti per rischi ai quali sono immuni gli adulti che occupano uguali posti di lavoro o svolgono sostanzialmente le stesse funzioni”. 110 A questo proposito è utile indicare che, al fine di ottenere un’adeguata armonizzazione tra le legislazioni nazionali, l’art. 7.2 della direttiva 94/33/CEE, del 22 giugno raccoglie un’intelligente orientativa, non esaustiva, di lavori, agenti e procedimenti che possono comportare rischi specifici per i lavoratori giovani e rispetto ai quali gli Stati membri dell’UE sono obbligati a stabilire le misure di protezione. Si tratta di un catalogo dei fattori di rischio ideato per il legislatore comunitario affinché possa servire come al legislatore nazionale quando questo svolga il mandato di limitare o vietare ai minorenni tali attività. A ogni modo, mentre non sia trasportato completamente al nostro ordinamento quelle previsioni della direttiva comunitaria recepite le proibizioni in essa stabilite non derivano da applicazione diretta, anche possono avere un’influenza significativa anche indiretta attraverso l’attuazione giudiziale e perfino amministrativa, in particolare dell’Ispezione di Lavoro e Previdenza Sociale, sebbene è certo che tale applicazione non smetterà di esporre importanti problemi di carattere pratico. 109 182 L’art. 6 del SL già richiamato, raccoglie anche altre previsioni riguardanti direttamente l’efficace protezione dei lavoratori minori dai rischi sul lavoro: la prima e più concludente è quella che vieta l’ammissione al lavoro degli individui minori di sedici anni che è una norma imperativa di carattere assoluto(art. 6.1 SL); essa vieta inoltre gli straordinari(art. 6.3), per cui se il datore esigesse il compimento della loro prestazione a tali condizioni il lavoratore minore potrebbe reclamare contro quest’ordine dichiarando la sua irregolarità. Infine, l’art. 36.4 del SL fissa per i lavoratori minori di diciotto anni un periodo di riposo minimo di trenta minuti quando la loro giornata di lavoro sia continua ed ecceda le quattro ore e mezza, e l’art. 37.1, anche del SL, stabilisce il diritto di questo gruppo di lavoratori di godere di un riposo settimanale di almeno due giorni ininterrotti. La ratio di questi periodi di riposo minimi, che suppongono una deroga in melius rispetto al regime generale rivisto per gli altri lavoratori, deriva direttamente dalla necessità di speciale protezione di cui questi lavoratori necessitano, a partire di un maggior riposo. Essi infatti essendo ancora in fase di sviluppo fisico, si stancano prima e il loro adeguato recupero di forze richiede di un maggior tempo di riposo, per mantenere il loro stato di salute e ottenere il completo e adeguato sviluppo fisico e psichico quanto e per poter raggiungere livelli di rendimento adeguati. Anche il resto dei lavoratori dell’impresa, direttamente o attraverso i rappresentanti, si sentono legittimati, nell’esercizio del loro diritto di protezione, a richiedere al datore di lavoro la non assegnazione di lavoratori minori a determinati posti di lavoro, vietati espressamente nella norma regolamentare in vigore,o che risultino comunque particolarmente pericolosi e, in questo secondo caso, a che si adottino le misure preventive opportune. La tutela delle lavoratrici. Nonostante l’esistenza, nell’ambito delle relazioni di lavoro, di differenze tra uomini e donne, non si può negare che il forte accesso delle donne al mercato del lavoro costituisce uno dei fenomeni sociali ed economici più importanti verificatisi in Europa negli ultimi dieci anni. Questa incorporazione della donna nel mondo del lavoro è stata promossa nel particolare ambito delle Comunità Europee dalla metà degli anni settanta: inizialmente, è stata costituita già nel principale obiettivo della politica comunitaria di uguaglianza e non discriminazione tra uomini e donne; e dopo, dal Consiglio Europeo del Lussemburgo di 1997 e del Trattato di Amsterdam, dalla Strategia Europea, consolidata pienamente a partire dal Consiglio Europeo di Lisbona del 2000. La Spagna, in quanto Stato membro delle Comunità Europee dal 1986, è stata destinataria di queste politiche comunitarie e, anche con un certo ritardo, ha sperimentato anche un aumento significativo del tasso di impiego femminile. In Spagna il tasso di occupazione femminile è attualmente al 55. 1%, e anche se è incrementato abbastanza negli ultimi anni(più di 10 punti dall’anno 2000), è ancora sotto la media europea che alla fine del 2007 era pari al 58.7%. Questo incremento quantitativo significativo dell’impiego femminile,ha influito non solo sulla struttura dei mercati del lavoro ma anche tutti gli aspetti delle relazioni di lavoro. L’obiettivo perseguito non è stato in nessun caso unicamente ottenere una maggior presenza delle donne nell’occupazione, ma da sempre, in maggiore o minor misura, esso è stato accompagnato da un altro altrettanto importante: la parità di trattamento e non la discriminazione delle donne rispetto agli uomini, tanto nell’accesso all’impiego come in tutte le altre condizioni di lavoro esistenti, obiettivo questo che, nell’ambito comunitario, rivolto al conseguimento della parità reale ed effettiva tra uomini e donne in tutti gli aspetti relativi al lavoro. In effetti, la parità tra uomini e donne nell’impiego, oltre a vincolarsi, come manifestazione concreta della parità tra uomini e donne in generale, a un’esigenza derivata direttamente dalla dignità umana e, in conseguenza, essere considerata come un diritto umano fondamentale in se stesso, si è trasformato nel tempo in uno dei presupposti essenziali della qualità dell’impiego. Si tratta, in definitiva, di promuovere l’accesso delle donne all’impiego e, contemporaneamente e in modo assolutamente imprescindibile, di ottenere che le loro condizioni di lavoro siano equiparabili a quelle dei colleghi 183 maschi, senza che siano considerate ammissibili le differenze di trattamento basate esclusivamente sul sesso della persona lavoratrice. La finalità perseguita è quella di raggiungere la parità piena tra uomini e donne tanto nelle possibilità di ottenere – e mantenere – un posto di lavoro, come nelle condizioni di lavoro godute per i singoli lavoratori. A questo proposito, si è scoperto che per raggiungere una piena e autentica parità tra i sessi nell’impiego, non bastano le misure di riparazione delle situazioni discriminatorie già prodotte, ma risulta necessario l’applicazione di una serie di misure addizionali orientate direttamente a compensare la storica posizione svantaggiosa di partenza del gruppo femminile nell’ambito delle relazioni di lavoro dipendenti. Questo secondo tipo di misure sono quelle denominate misure di azione positiva, le quali non pretendono soltanto la parità formale tra gli uomini e le donne nell’occupazione, bensì la parità reale ed effettiva tra entrambi i gruppi nello specifico ambito lavorativo in cui è stata tradizionalmente sottolineata la disuguaglianza di genere. In questo contesto si posizionano le misure dirette a proteggere la salute e la sicurezza dalle donne lavoratrici sul lavoro, perché secondo il principio di uguaglianza tra uomini e donne nell’impiego e in tutte le condizioni di lavoro, stabilite tanto nel Diritto comunitario quanto nel Diritto spagnolo, e d’accordo anche con gli obiettivi di qualità nell’impiego delle politiche che su questo tema si stanno sviluppando negli ambiti comunitario e nazionale, le donne hanno diritto a godere delle stesse condizioni di salute e sicurezza sul luogo di lavoro dei colleghi maschi. Quindi in virtù della stretta applicazione del principio di parità tra i sessi nello specifico ambito di lavoro, le donne lavoratrici hanno diritto a godere dello stesso livello di sicurezza e di protezione della salute e sicurezza sul lavoro dei colleghi maschi. Non c’é dubbio che le donne che eseguano la loro prestazione in modo personale in virtù di un contratto di lavoro, di una relazione di carattere civile, o di una relazione societaria con una cooperativa, sono «lavoratori» ai sensi dell’art. 3.1 LPRL, e, pertanto, titolari del diritto soggettivo riconosciuto e regolato dalla stessa a una protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul lavoro, intesa, come si è vista, in un diritto per la cui garanzia il datore di lavoro deve adottare quante misure siano necessarie e più adeguate per prevenire i rischi sul lavoro. E anche se né la LPRL né alcuna altra disposizione normativa dell’ordinamento spagnolo si riferisce in maniera implicita o esplicita alla protezione della vita, dell’integrità fisica e psichica e della salute delle donne lavoratrici, tale tutela si legittima alla luce del diritto costituzionale alla parità e non discriminazione per ragione di sesso(art. 14 CE). Esso inoltre è stato espressamente ripreso dal diritto del lavoro come un diritto dei lavoratori nella relazione di lavoro, (art. 4.c, e 17.1 SL). In effetti, le donne lavoratrici hanno diritto a godere, con carattere generale, delle stesse condizioni di lavoro applicate ai loro colleghi maschi, senza che possa considerarsi come legittima nessuna differenza basata esclusivamente sul sesso. Questa parità tra uomini e donne nelle condizioni di lavoro è stata recentemente rafforzata attraverso la promulgazione ed entrata in vigore della legge Organica 3/2007, del 22 di marzo, per la parità effettiva di donne e uomini, nella cui l’Esposizione dei Motivi si manifesta una particolare attenzione alla correzione delle disuguaglianze nell’ambito specifico delle relazioni di lavoro. Questa previsione è stata poi sviluppata nel suo Titolo IV, relativo a El derecho al trabajo en igualdad de oportunidades (Il diritto al lavoro in uguaglianza di opportunità), applicabile tanto all’ambito delle relazioni di lavoro strictu sensu, come all’impiego pubblico, compresi espressamente gli ambiti delle Forze armate e delle Forze e Corpi di Sicurezza dello Stato. Inoltre, si devono ricordare in particolare le previsioni nel suo art. 4, nel quale si stabilisce con carattere generale che «La igualdad de trato y de oportunidades entre mujeres y hombres es un principio informador del ordenamiento jurídico y, como tal, se integrará y observará en la interpretación y aplicación de las normas jurídicas» (L’uguaglianza di trattamento e di opportunità tra uomini e donne è un principio informatore dell’ordinamento giuridico e, come tale, sarà integrato e osservato nell’interpretazione e applicazione delle norme giuridiche), tra esse, logicamente, delle norme regolatrici della protezione dei lavoratori in materia di salute e sicurezza sul lavoro. 184 Tra le condizioni di lavoro nelle quali, senza dubbio, deve raggiungersi la parità effettiva tra donne e uomini sul lavoro, vi sono quelle relative alla salute e sicurezza sul lavoro. Pertanto, le donne che, secondo la disciplina della LPRL, siano «lavoratori», hanno il diritto a godere delle stesse condizioni di salute e sicurezza sul lavoro previste per i colleghi maschi. O meglio le donne lavoratrici, non appena titolari del diritto soggettivo a una protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul lavoro, hanno diritto a godere lo stesso livello di protezione rispetto ai rischi sul lavoro applicato ai lavoratori del sesso maschile che occupino lo stesso posto di lavoro. La parità tra uomini e donne in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro deve essere riferita non alle misure di prevenzione concrete che siano adottate per proteggere dai rischi sul lavoro, ai quali si sentano esposti in ogni caso, bensì alla «efficacia» della protezione. Questo vuole dire che potrebbe risultare perfettamente legittima l’adozione di misure di sicurezza differenti per proteggere lavoratori e lavoratrici che occupino lo stesso posto di lavoro e che si sentano esposti agli stessi rischi sul lavoro, purché in quel modo si riesca a garantire il massimo livello di protezione della loro vita, della loro integrità fisica e psichica e della loro salute sul lavoro. Questa è, senza dubbio, la premessa dalla quale bisogna partire, perché la parità nel livello di protezione in materia di salute e sicurezza sul lavoro tra uomini e donne costituisce una delle condizioni per raggiungere la parità effettiva tra i sessi nello specifico ambito dell’impiego e delle relazioni di lavoro. Le donne lavoratrici, a differenza di altri gruppi specifici di lavoratori – come quelli che risultano specialmente sensibili a determinati rischi sul lavoro a causa del loro stato di salute, i lavoratori minori o i lavoratori temporanei –, non sono stati considerate dal legislatore spagnolo come un gruppo che abbia alcune caratteristiche proprie e speciali tali da necessitare di un regime di protezione in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro speciale. Solo l’art. 26 LPRL prevede una regola particolare per le lavoratrici che sono in stato di gravidanza, puerperio o allattamento, regime questo che, ha unicamente come obiettivo la protezione efficace della vita, dell’integrità e della salute delle lavoratrici che si trovino in alcuno degli stati biologici delineati – e anche nel suo caso, del feto e del neonato – e non di tutte le donne lavoratrici in quanto tali. Così accade anche nell’ambito del Diritto Comunitario e del Diritto Internazionale, in cui non è stata ancora adottato nessuna disposizione con forza giuridica destinata direttamente a garantire in particolare la salute e sicurezza sul lavoro delle donne lavoratrici111, anche se negli ultimi tempi stanno emergendo diversi documenti di natura non vincolante che fanno già riferimento a questo problema. Tuttavia nonostante quanto recentemente dimostrato, la normativa preventiva in vigore non dispone un regime specifico di protezione per le donne lavoratrici che garantisca la loro protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Eppure è fuor di dubbio che le donne, in generale, presentano particolarità o differenze fisiche, psichiche, e perfino sociologiche, rispetto agli uomini112, che possono avere una significativa incidenza sulla salute sicurezza sul lavoro che devono essere considerate per non violare il loro diritto fondamentale alla parità e non discriminazione per ragione di sesso. Tali peculiarità o differenze derivano, a loro volta, da una serie di fattori o circostanze di carattere obiettivo che, in larga misura, mettono di rilievo che molti passi avanti siano stati fatti in materia di parità tra uomini e donne nello specifico ambito delle relazioni di lavoro, anche se non è stata ancora raggiunta una parità reale ed effettiva tra loro. In primo luogo, non c’é dubbio che le donne e gli uomini siano diversi da un punto di vista psicofisico. Le condizioni fisiche e psichiche proprie del sesso femminile – tra essi anche la gravidanza – determinano l’esistenza di rischi sul lavoro specifici per forma e per intensità. 111 Critico in questo senso si mostra CAMAS RODA, F., La normativa internacional y comunitaria de seguridad y salud en el trabajo, Tirant lo Blanch, Valencia, 2003, pag. 323, che chiede perché, davanti a questo panorama, tanto l’OIL come l’UE decidano di affrontare direttamente la protezione della sicurezza e salute delle lavoratrici attraverso una riorientamento dei criteri basati sulla divisione sessista del lavoro. 112 Su questo tema, si veda GIL PÉREZ, M. E., “Mujer y salud laboral”, AAVV (RUIZ PÉREZ, E. Coord.), Mujer y Trabajo, Bomarzo, Albacete, 2003, pag. 129 a 156. 185 - In secondo luogo, la forte presenza della donna nel mercato di lavoro non è stata accompagnata da un parallelo adattamento dell’organizzazione del lavoro alle caratteristiche e necessità del sesso femminile, ma ha proceduto ancorata ai tradizionali modelli organizzativi tipicamente maschili, perfino in quei settori che sono considerati tipicamente «femminizzati» (il settore tessile, sanitario, quello dell’educazione, ecc.). L’organizzazione del lavoro continua prendendo come riferimento il lavoratore maschile113. Questi rischi specifici possono essere sia di natura tecnica che di natura psicosociale, come le molestie sessuale e morali o le conseguenze delle loro condizioni di precarietà e instabilità in materia di occupazione114. - In terzo luogo non si può ignorare che l’accesso delle donne al mercato del lavoro non è stato accompagnato da un parallelo sgravio dai compiti domestici e familiari, ciò ha portato la dottrina a parlare di una «doppia giornata di lavoro» delle donne lavoratrici115. Questo fenomeno significa che abitualmente le donne lavoratrici sono esposte a ulteriori rischi per la loro salute derivanti dal fatto di essere obbligate a lavorare anche in casa e prendersi cura delle responsabilità familiari(maggiore stanchezza, stress, rischi addizionali di contrarre malattie, ecc.), che, a loro volta, causano maggiore vulnerabilità e ai rischi sul lavoro generici, presenti anche per i lavoratori maschi. La sfera privata e di lavoro nel caso delle donne lavoratrici sono in stretta relazione tra loro, molto più di quanto accada ai lavoratori di sesso maschile, e ciò ha implicazioni rilevanti sulla loro salute. Alla luce di quanto precede, si conferma pienamente che la posizione della donna lavoratrice in materia di salute e sicurezza sul lavoro presenta chiare peculiarità rispetto ai lavoratori di sesso maschile116. Essendo effettivamente così, conviene insistere sull’idea che, anche se la normativa preventiva vigente non considera le donne lavoratrici come uno dei gruppi che richiedano un regime di protezione specifico dovuto alle loro «particolarità», è chiaro che in esse concorrono circostanze certamente speciali per cui onde ottenere che la loro protezione in materia di salute e sicurezza sul lavoro risulti efficace, è assolutamente necessario portare a termine un adattamento Uno studio realizzato in Europa con 7000 persone, guidato da Manolis Kogevinas y Joseph María Antó, ricercatori del Centro per la Ricerca in Epidemiologia Ambientale (CREAL) e pubblicato recentemente nella rivista The Lancet, ha rivelato che il 25% di asma in adulti è dovuto alle condizioni del luogo di lavoro e che “le infermiere e il personale di pulizia sono i le più colpite poiché si tratta di professioni esercitate in maggioranza per donne, che rappresentano tra un 3 e 4% dell’occupazione totale in Spagna”. Nel caso delle infermiere, una delle cause principali è il contatto con la polvere di lattice dei guanti, anche possono essere anche esposte ad altri allergeni respiratori e prodotti irritanti, come una sostanza di uso comune in processi di sterilizzazione nell’ambito sanitario, il glutaraldeide. Quanto al personale di pulizia, il rischio di soffrire asma proviene dall’utilizzo di determinati detergenti e dell’inalazione di determinate sostanze che, anche per se stesse possono risultare innocue, tuttavia, quando si mischiano possono costituire un importante fattore di rischio (per esempio, la combinazione di sulfamán e candeggina). 114 L’inserimento della donna nel mondo del lavoro non ha significato avere le stesse condizioni degli uomini, bensì in alcune condizioni di svantaggio e disuguaglianza, anche h certo che hanno continuato progressivamente a diminuire, si mantengono ancora, (sono le donne lavoratrici quelle che hanno contratti di lavoro precari in maggiore proporzione, quelle che prendono un salario minore per un lavoro uguale a quello realizzato dai colleghi maschi, quelle che in larga misura occupano posti di lavoro di minore prestigio sociale e quelle che hanno maggiori difficoltà di ascesa). 115 Mantenere il ruolo tradizionale della donna responsabile in primo luogo dei carichi familiari si deve ancora alla sopravvivenza nella società spagnola di una mentalità chiaramente sessista. Si veda “Un encuentro sindical plantea que el acoso sexual se considere riesgo laboral”, Diario EL PAÍS (Edición Andalucía), venerdì, 20 maggio del 2005, pag. 9, In cui il Segretario della Donna dell’UGT -Andalucía, Lola Gavilán, lamentava la scarsa conoscenza esistente sulla salute nel lavoro delle donne, di cui poco si dispone, e sulla quale neanche si detta regolamentazione negli accordi collettivi. “El único aspecto que tocan el conjunto de medidas laborales tiene que ver con la protección de la reproducción, el embarazo y la maternidad”, E ha sostenuto che non tiene conto dei problemi di salute come lo «stress per doppio carico» che soffrono le donne. “La sociedad nos obliga a ser cuidadoras y al mismo tiempo nos penaliza por ello. No podemos promocionarnos ni formarnos por ser cuidadoras y soportamos enfermedades arrastradas por este motivo como el estrés, la fatiga, las depresiones o los dolores músculo-esqueléticos”, los cuales, a su juicio, deberían ser considerados como enfermedades laborales. 116 Su questo tema, vedere CAMAS RODA, F., La normativa internacional y comunitaria de seguridad y salud en el trabajo, op. cit., pag. 320 alla 325. 113 186 dell’attività preventiva a quelle circostanze soggettive biologiche e sociologiche proprie e particolari e, in questo modo. Questo necessario adattamento dell’attività preventiva alle innegabili particolarità che presentano le donne lavoratrici, anche se non considerate dalla LPRL espressamente come fonte di un obbligo concreto del datore di lavoro integrato nel contenuto del suo ampio dovere di proteggere i suoi lavoratori in materia di salute e sicurezza sul lavoro, costituisce un obbligo giuridico specifico integrato nel contenuto di tale dovere nella ratio generale della legge. Infatti, la LPRL stabilisce che il datore di lavoro si sente obbligato a sviluppare l’attività preventiva che in ogni caso sia la più adeguata per raggiungere il massimo livello di protezione dei suoi lavoratori e, per raggiungerlo, deve, in primo luogo, identificare tutti i rischi sul lavoro che li riguardano nei loro rispettivi posti di lavoro, e quelli derivati dalle condizioni di lavoro esterne (rischi obiettivi) come quelli derivati dalle circostanze soggettive del lavoratore(rischi soggettivi), e di seguito, eliminarli; e solo quando la loro eliminazione non sia possibile in base all’evoluzione tecnico-scientifica del momento, sarà obbligato a valutarli nella loro entità e ad adottare le misure preventive che riescano a ridurrli al massimo(art. 16.2.a) LPRL e art. 3 A-7 RSP). Il legislatore è stato pienamente consapevole del fatto che i rischi sul lavoro che possono colpire la salute dei lavoratori sul luogo di lavoro non sono unicamente derivanti delle condizioni del posto di lavoro e dell’organizzazione imprenditoriale, ma anche dallo stato psico-fisico del lavoratore che lo occupi, perciò non tutti i lavoratori che occupano lo stesso posto di lavoro e realizzano le stesse funzioni nell’impresa risultano altrettanto suscettibili ai rischi sul lavoro derivati delle condizioni di lavoro117. Essendo così, e se le donne presentano certe particolarità fisiche, psichiche e sociali rispetto ai lavoratori maschi, che occupino lo stesso posto di lavoro nell’impresa, al momento della identificazione e valutazione dei rischi sul lavoro, il datore si sente è obbligato, per imperativo legale, a tenere conto di questa particolarità. Questo è un passo essenziale, poiché solo se si ha coscienza del fatto che le donne possono essere esposte in maniera diversa dagli uomini ai rischi sul lavoro, potranno essere adottate le misure di sicurezza più adeguate per garantire una protezione efficace che tenga conto delle circostanze soggettive particolari. In questo senso bisogna avere presente che la LPRL, nel suo art. 15.1 d) esige dal datore di lavoro che, in ogni caso, al momento di adottare le misure preventive necessarie per garantire ai suoi lavoratori una protezione efficace dai rischi sul lavoro, «adatti il lavoro alla persona» del lavoratore (perfino già nel proprio progetto imprenditoriale).In questo modo, il datore di lavoro, nel momento di decidere le misure di sicurezza che deve adottare per proteggere i suoi lavoratori, quando questi appartengano al sesso femminile, terrà necessariamente in conto quali sono le sue condizioni personali specifiche, e dovrà prendere le misure di sicurezza che permettano di raggiungere il maggior livello di protezione, e meglio possano essere adattate a tali circostanze. Stando così le cose, non c’è dubbio che la regolazione giuridico-positiva della LPRL, anche se non stabilisce in maniera espressa un regime di protezione specifico e adattato alle innegabili particolarità concorrenti nelle donne lavoratrici, garantisce pienamente la protezione efficace delle stesse in materia di salute e sicurezza sul lavoro, costituendosi il principio generale dell’azione preventiva sancito nell’art. 15.1 d) LPRL, relativo all’adattamento del lavoro alla persona del lavoratore, per raggiungere l’uguaglianza reale ed effettiva delle donne lavoratrici in relazione alla salute e sicurezza sul lavoro. Questo trattamento adattato ai diversi concorrenti nelle donne lavoratrici rispetto ai suoi compagni maschi risulta imprescindibile non solo per ottenere la piena effettività del diritto a una protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul lavoro delle donne, ma, Come ha detto BERTIN, J., “Salud, seguridad e igualdad en el trabajo”, AAVV, Enciclopedia de salud y seguridad en el trabajo, Vol. I, Parte III, Cap. 24, OIT, versión en castellano del Ministerio de Trabajo e Inmigración, 3ª edición, Ginebra, 2001, pag. 24.10, “En términos ideales, las capacidades y las necesidades de los trabajadores deben evaluarse individualmente, y deben ajustarse, en la medida de lo posible, a las necesidades individuales”. Nello stesso senso si è pronunciata la sentenza del Tribunal Superior de Justicia de Cantabria del 3 luglio del 2006. 117 187 inoltre, costituisce una condizione indispensabile per garantire la piena effettività del diritto alla parità di trattamento nello specifico ambito di lavoro118. Un’altra cosa è che, nella pratica, questo regime legale non sia applicato correttamente. Data la constatazione empirica che finora gli imprenditori non stanno tenendo conto delle peculiari condizioni delle donne lavoratrici, nell’adempimento del loro dovere di sicurezza, sarebbe conveniente che proprio i rappresentanti dei lavoratori, attraverso la contrattazione collettiva e la partecipazione all’attività preventiva sviluppata nell’impresa dal datore di lavoro, portassero a termine attuazioni programmi direttamente volti a promuovere l’effettività della protezione delle donne lavoratrici in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in modo che esse possano arrivare a raggiungere un benessere fisico, psichico e sociale nel lavoro119. Ciò come, allo stesso tempo, presupporrebbe un’azione promotrice della parità di trattamento della donna sul lavoro in un aspetto che fino a poco tempo fa si teneva dimenticato. In questo senso risulterebbe molto conveniente che le donne lavoratrici avessero una presenza significativa negli organi rappresentativi aziendali, tanto in quelli di natura generica, quanto in quelli specializzati in materia di prevenzione dei rischi sul luogo di lavoro (i Delegati di Prevenzione)120. Da un lato, i rappresentanti generici dei lavoratori nell’impresa o nel centro di lavoro(unitari e sindacali), potrebbero avere influenza sull’incorporazione attraverso la contrattazione collettiva di riferimenti espressi alla protezione delle donne lavoratrici in materia di salute e sicurezza sul lavoro, migliorando e specificando la normativa in vigore in materia di salute e sicurezza nel lavoro121 e, soprattutto, rendendo coscienti tutti gli individui inclusi nell’attività preventiva svolta nell’impresa della necessità di adattare quest’attività alle innegabili peculiarità presenti nelle donne lavoratrici. Ciò contribuirà a migliorare la qualità del lavoro andando avanti nel faticoso cammino per raggiungere la parità effettiva. Al riguardo va aggiunto che, la parità tra uomini e donne nell’efficacia della loro protezione dai rischi sul lavoro costituisce una manifestazione specifica dell’obiettivo più generale di raggiungere una parità reale ed effettiva tra nel lavoro e nelle condizioni di lavoro, in conformità alla legge sulla Parità. Le misure preventive necessarie per raggiungerla dovranno essere adottate da parte del datore di lavoro previa negoziazione e in accordo con i rappresentanti legali dei lavoratori nell’impresa (art. 45.1). Infatti, in generale, le imprese sono obbligate a rispettare il principio di parità di trattamento e di opportunità nell’ambito del lavoro e con tale finalità dovranno adottare misure dirette per evitare qualunque tipo di discriminazione sul lavoro tra donne e uomini, tra esse, logicamente, misure dirette per assicurare alle donne lavoratrici lo stesso livello di protezione riconosciuto agli uomini. Questo già previsto dalla LPRL in applicazione del diritto costituzionalmente garantito alla parità e non discriminazione tra i sessi, direttamente applicabile all’ambito delle relazioni di lavoro. La particolarità che ha introdotto la legge di Parità in questa materia, con il fine di promuovere l’effettività del design e nell’applicazione delle misure ugualitarie nell’impresa, è stata quella di costringere il datore di lavoro, anzitutto ad adottare tali misure e a negoziarle con i rappresentanti aziendali dei lavoratori, per raggiungere un accordo. Non è tuttavia imposto un dovere di raggiungere in ogni caso un accordo, ma semplicemente un dovere Si veda nello stesso senso SÁNCHEZ URÁN-AZAÑA, Y., “Igualdad de género y salud laboral: propuestas institucionales, realidad normativa, y práctica convencional”, Revista del Ministerio de Trabajo y Asuntos Sociales, num. 53, 2004, pag. 153. 119 Così lo definisce attualmente l’Organizzazione Mondiale della Salute il concetto di salute. Si tratta di una definizione ampia e integrale che comprende tutte le dimensioni della persona, facendolo equivalere a benessere e qualità di vita. Come In base a questa definizione, la salute è molto di più che la semplice assenza di malattia. 120 Sulla necessaria partecipazione delle proprie lavoratrici in materia di salute e sicurezza sul lavoro, incanalata attraverso le diverse forme di partecipazione nell’impresa, al fine di contribuire a ottenere l’introduzione di un’attività preventiva che tenga in conto le sue peculiarità fisiche e sociologiche, si veda, AREAL CALAMA, I., “Salud laboral de la mujer: más allá de la salud reproductiva”, AAVV (LÓPEZ LÓPEZ, J., Coord.), Nuevos escenarios para el Derecho del Trabajo: familia, inmigración y noción de trabajador. Homenaje a Máximo D´Antona, Marcial Pons, Madrid, 2001, pág. 179 y ss.; y también GIL PÉREZ, M. E., “Mujer y salud laboral”, AAVV (RUIZ PÉREZ, E., Coord.), Mujer y Trabajo, Bomarzo, Albacete, 2003, pag. 155-156. 121 Cfr. l’art. 2.2 della LPRL. 118 188 di negoziare. Se l’accordo si raggiunge, le misure paritarie generali e quelle particolari legate alla protezione delle lavoratrici in materia di salute e sicurezza sul lavoro, saranno il risultato di quell’accordo che in ogni caso dovrà rispettare i minimi diritti necessari stabiliti nella LPRL e in tutte le altre norme regolamentari che la sviluppano, così com’è richiesto dall’art. 2.2 della LPRL stessa. E, infine, se il processo di contrattazione collettiva non riesce a culminare in un accordo, allora il datore di lavoro dovrà adottare da solo le misure a favore della parità, comprese quelle relative alla protezione e promozione della salute delle donne lavoratrici ritenute più opportune e sempre, logicamente, rispettando la normativa vigente sulla salute e sicurezza sul luogo di lavoro. In definitiva, si incoraggia il fatto che la lotta contro la discriminazione e le misure a favore della parità di genere nei rapporti di lavoro adottati nell’impresa siano adottate congiuntamente dal datore di lavoro e i rappresentanti dei lavoratori, ma senza che ciò sia oggetto di un obbligo. In questo modo, anche se non esiste un accordo con i rappresentanti dei lavoratori, ciò non esime il datore di lavoro dall’obbligo di adottare le misure necessarie e più adeguate per offrire alle donne lavoratrici della sua impresa lo stesso livello di protezione apprestato ai colleghi di sesso maschile(senza dimenticare che il livello di protezione che, per imperativo legale, si sente obbligato a dispensare il datore di lavoro a tutti i suoi lavoratori, indipendentemente dal sesso, non è quello che decida liberamente o quello che gli permetta la sua disponibilità economica, ma è, in ogni caso, il massimo possibile in base allo stato di evoluzione tecnico-scientifica del momento). Questa è la regola generale, ma nelle imprese che abbiano più di 250 lavoratori, la legge di Parità è più esigente poiché obbliga il datore di lavoro ad adottare e impiantare non nella sua impresa semplicemente misure a beneficio della parità di trattamento e di opportunità, bensì un autentico Piano di Parità (art. 45.2.) Questo Piano di Parità, definito nell’art. 46.1 della legge di Parità come «un conjunto ordenado de medidas, adoptadas después de realizar un diagnóstico de situación, tendentes a alcanzar en la empresa la igualdad de trato y de oportunidades entre mujeres y hombres y a eliminar la discriminación por razón de sexo»122, (un insieme ordinato di misure, adottate dopo aver realizzato una diagnosi di situazione, tendenti a raggiungere nell’impresa la parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini e a eliminare la discriminazione per ragione di sesso, deve esservi anche negoziato in ogni caso con i rappresentanti legali dei lavoratori nell’impresa con il fine che che il risultato del negoziato sia un accordo tra questi e il datore di lavoro). Anche se in ogni caso esso deve essere negoziato con i rappresentanti legali dei lavoratori nell’impresa, se la negoziazione fallisce, allora il Piano di Parità dovrà essere progettato e applicato in modo unilaterale dal datore di lavoro. Nei casi in cui il datore di lavoro sia obbligato a elaborare e applicare nella sua impresa un Piano di Parità123, oppure lo elabori e lo impianti in modo volontaria124, nello stesso dovranno esservi le misure orientate direttamente all’obiettivo di garantire alle donne lavoratrici dell’impresa una protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul lavoro, allo stesso livello di quella offerta ai lavoratori maschi, adattate alle loro particolarità e rispettando, come sempre, la legislazione preventiva in vigore. Anche se l’art. 46.2 della legge di Parità, relativa agli aspetti materiali che devono essere presenti nei Piani di Parità, non si riferisce espressamente con carattere generale alle misure a beneficio della protezione in condizioni di parità delle donne lavoratrici dai rischi sul lavoro, 122 In conformità con l’art. 46.1 della legge di Parità è specificato il contenuto generale dei piani di parità: devono essere fissati i concreti obiettivi di parità raggiungibili, le strategie e pratiche da adottare per la loro realizzazione e dei sistemi di controllo e valutazione degli obiettivi fissati. 123 In conformità con l’art. 45 della legge di Parità, le imprese costrette a sviluppare e mettere in pratica autentici piani di parità non sono solo quelle che abbiano più di duecento cinquanta lavoratori, che sono in ogni caso e senza eccezione obbligate a predisporre tale Piano di Parità; lo saranno anche quelle altre comprese nell’ambito di applicazione di un accordo collettivo che lo stabilisca così espressamente, nei termini previsti nello stesso; e infine, anche le imprese per le quali l’Autorità lo stabilisca in un procedimento sanzionatorio prevedendo la sostituzione delle sanzioni accessorie per l’inadempimento di alcuno dei loro obblighi per l’elaborazione e applicazione di detto piano, nei termini previsti in tale accordo. 124 Che sarà sempre possibile per il datore di lavoro, previa consultazione della rappresentanza legale dei lavoratori nell’impresa, perché così lo prevede espressamente l’art. 45.5 della legge di Parità. 189 bensì soltanto a quelle dirette alla prevenzione di due tipi di rischi specifici, quali le molestie sessuali e le molestie fondate sul sesso, non c’é dubbio che tali misure dovranno fare, in ogni caso, parte del contenuto generale di detti piani quando nell’impresa vi siano lavoratori di sesso femminile, poiché l’elenco dei contenuti al quale si riferisce detto precetto non è esaustivo125. D’altra parte, non si può dimenticare che, come dispone la LPRL, i Delegati di Prevenzione si costituiscono nel principale organo di rappresentanza attraverso il quale i lavoratori possono intervenire nell’attività preventiva sviluppata dal datore di lavoro, e che a tale fine, possono collaborare con essi nel miglioramento dell’attività preventiva, possono vigilare e controllare l’adeguamento della stessa, possono formulare proposte al fine di migliorare i livelli di protezione esistenti nell’impresa, ecc. in questo modo, i Delegati di Prevenzione costituiscono uno strumento specialmente adeguato per ottenere che il datore di lavoro, nel momento di realizzare l’attività preventiva necessaria per garantire a tutti e ognuno dei suoi lavoratori una protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul lavoro, includa nella stessa una prospettiva di genere. I Delegati di Prevenzione che per il corretto esercizio delle loro funzioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro, hanno la facoltà di disporre della formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro necessaria e adeguata in funzione delle circostanze dell’impresa dove debbano esercitare la loro funzione rappresentativa (art. 37.2 LPRL)126, saranno i rappresentanti che, in realtà, si trovino nelle migliori condizioni per conoscere le necessità delle lavoratrici dell’impresa. A costoro spetterà proporre le misure preventive più adeguate a tale fine, tanto al datore di lavoro quanto ai rappresentanti dei lavoratori costituiti nell’impresa, affinché queste misure siano incorporate nella contrattazione collettiva, nei Piani di Parità, nei piani di prevenzione dei rischi sul lavoro e, in ogni caso, previo accordo con i rappresentanti dei lavoratori. La cosa principale, pertanto, al fine di raggiungere la piena efficacia della protezione delle donne lavoratrici dai rischi sul lavoro cui sono esposte nello svolgimento della loro prestazione e quindi, la piena effettività del principio di parità di trattamento e di opportunità nelle imprese in questo concreto aspetto, è è che il datore di lavoro prenda coscienza della questione. È necessario, inoltre, che venga dato risalto ai rappresentanti dei lavoratori tanto generici quanto specializzati. Affinché questi rappresentanti assumano la prospettiva di genere nello svolgimento delle loro funzioni partecipative in materia di salute e sicurezza sul lavoro, è essenziale la presenza delle donne lavoratrici all’interno di tali organi. Tuttavia per ottenere quest’obiettivo di parità effettiva tra uomini e donne nella protezione dai rischi sul lavoro, non si può negare l’importante ruolo spettante ai poteri pubblici. Ciò anche se è apparso già dalla regolamentazione preventiva e sanitaria generale (art. 14.10), è stato considerato espressamente come uno dei criteri generali di funzionamento di tutti i poteri pubblici che hanno il compito di favorire l’effettività del principio di parità tra donne e uomini nelle relazioni giuridico-lavorative in generale e con specifico riguardo alla materia della salute e sicurezza sul lavoro, aggiungendo un nuovo comma nell’art. 5 della LPRL, (il numero 4), il quale recita: «Las Administraciones públicas promoverán la efectividad del principio de igualdad entre mujeres y hombres considerando las variables relacionadas con el sexo tanto en los sistemas de recogida y tratamiento de datos como en el estudio e investigación generales en materia de prevención de riesgos laborales, con el objetivo de detectar y prevenir posibles situaciones en las que los daños derivados del trabajo puedan aparecer vinculados con el sexo de los trabajadores» (Le Amministrazioni pubbliche promuoveranno come l’effettività del principio di parità tra uomini e donne considerando le variabili relazionate con il sesso tanto nei sistemi di raccolta e trattamento di dati nello studio ricerche generali in materia di prevenzione dei rischi sul lavoro, con l’obiettivo 125 Essa rileva che, per conseguire gli obiettivi, i piani di parità «potranno» contemplare, «tra altri» le seguenti materie: accesso all’impiego, classificazione professionale, promozione e formazione, retribuzioni, la prevenzione delle molestie sessuali. 126 Questa formazione specializzata in materia di salute e sicurezza sul lavoro ai Delegati di Prevenzione costituisce uno dei multipli obblighi che, secondo la LPRL, integrano il contenuto del dovere del datore di lavoro di garantire ai lavoratori una protezione efficace avverso i rischi sul lavoro. 190 di scoprire e prevenire possibili situazioni nelle quali i danni derivati del lavoro possano apparire vincolati con il sesso dei lavoratori). In questo modo, tutte le Amministrazioni pubbliche con competenze in materia di salute e sicurezza sul lavoro (fondamentalmente l’Amministrazione del lavoro, la sanitaria, l’educativa e quella dell’industria), devono integrare la dimensione di genere nell’esercizio delle loro funzioni. Abbiamo già detto che, nella LPRL, l’individuo principalmente obbligato a proteggere i lavoratori sul lavoro, è il datore di lavoro, configurato espressamente come garante di quella protezione, ma che, contemporaneamente, la stessa LPRL imponeva obblighi anche ad altri individui, tra cui in modo particolare, ai poteri pubblici, così da aiutare gli imprenditori ad adempiere i loro doveri in materia. Tra le funzioni strumentali raccomandate ai poteri pubblici vi è in particolare quella di promuovere la parità e la non discriminazione per ragioni fondate sul sesso, nell’esercizio di tutte le loro funzioni di promozione della salute e sicurezza dei lavoratori, in particolare quelle di ricerca, di formazione, di assistenza, di informazione e divulgazione, di vigilanza e controllo. Ciò si inscrive nell’esigenza di favorire lo sviluppo di un’autentica cultura preventiva in tutta la società, mettendo in evidenza le particolarità che riguardano le donne lavoratrici e la notevole necessità che le stesse siano prese in considerazione nella protezione della salute e sciurezza sul lavoro127. Al tempo stesso la legge di Parità non prevede con carattere generale l’obbligo di tutte le Amministrazioni pubbliche, con competenza in materia di salute e sicurezza sul lavoro, di introdurre la prospettiva di genere, ma fa uno speciale riferimento all’Amministrazione sanitaria (art. 27). Si stabilisce che la prestazione dei servizi a tutti gli utenti del Sistema Nazionale di Salute – compresi, pertanto, anche i lavoratori – si dovrà effettuare in condizioni di parità effettiva e qualità, evitando specialmente ogni discriminazione tra donne e uomini; con carattere più specifico,poi, si dispone che le prestazioni dei servizi sanitari pubblici, tra le quali si trova quella di promuovere e proteggere la salute sul lavoro, si dovranno eseguire attribuendo speciale attenzione e considerazione ai rischi e alle necessità specifiche dalle lavoratrici128. Il ruolo dell’Amministrazione è particolarmente importante per garantire un’efficace protezione della salute delle donne lavoratrici e ciò in quanto detta Amministrazione non ha ruolo di pura assistenza sanitaria per i sinistri e le malattie già verificatisi, ma svolge anche un importante lavoro di prevenzione, dovendo collaborare intensamente con i datori di lavoro e con i servizi di prevenzione alla gestione dei rischi sul lavoro esistenti nelle imprese129. In questo senso, l’informazione fornita dall’Amministrazione sanitaria ai datori di lavoro sulle cause dei danni professionali ha gran valore affinché questi possano identificare di adeguatamente i rischi e adottare le decisioni più adeguate sulle misure di sicurezza. A questo proposito va fatta un’altra precisazione importante. Essendo assolutamente imprescindibile e necessario migliorare la protezione delle donne lavoratrici dai rischi sul lavoro, è richiesta grande diligenza nella scelta delle misure adottate a tal fine. Bisogna evitare che l’adozione di misure specifiche di protezione della salute della donna sul lavoro, siano d’ostacolo al loro accesso all’impiego e al pieno godimento di tutti gli altri diritti sul lavoro. In altre parole, non possono essere ammissibili né legittime quelle misure che facciano riemergere «vecchie» forme di discriminazione della donna sul lavoro, legittimate dalla debolezza fisica e psicologica 127 Lo stimolo e l’introduzione in tutta la società di una cultura preventiva è considerato già nella versione della LPRL, (nel comma 4 della sua Esposizione dei Motivi), uno dei presupposti essenziali per raggiungere l’effettività del nuovo approccio della salute e sicurezza sul lavoro introdotto in essa. Nell’ambito di tale consapevolezza in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro non c’é dubbio che, soprattutto a partire dall’entrata in vigore della legge di Parità, deve essere assegnata una speciale considerazione alla necessità di incorporare una dimensione di genere nell’attività svolta nelle imprese. 128 Vedere la Disposizione Addizionale 9ª della legge di Parità, per la quale sono stati modificati vari precetti della legge 16/2003, del 28 maggio, di Coesione e Qualità del Sistema Nazionale di Salute. 129 Si veda l’art. 10 LPRL sulle «Actuaciones de las Administraciones públicas competentes en materia sanitaria»; e il Capitolo VII RSP (arts. 38 y 39) sobre «Colaboración de los servicios de prevención con el Sistema Nacional de Salud». 191 del sesso femminile, con il mero intento d aggravare il loro tradizionale ruolo di responsabili principali delle faccende domestiche e della cura dei familiari130. La piena garanzia del diritto soggettivo a una protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul lavoro delle lavoratrici che non portino con sé un parallelo pregiudizio del loro diritto fondamentale alla parità e non discriminazione sul lavoro, esige che il datore di lavoro tenga in conto, nel momento della valutazione dei rischi e del pianificare e adozione delle misure preventive corrispondenti, le speciali caratteristiche psicofisiche e sociologiche delle sue lavoratrici. Il datore di lavoro dovrà adempiere il suo dovere di garantire la protezione efficace di tutti i lavoratori così come previsto nella LPRL vigente attualmente. Egli non dovrà invece adottare misure di protezione per le donne che siano ostacolo del loro accesso all’impiego, alimentando per questa via altre discriminazioni. In definitiva, la protezione efficace delle donne lavoratrici in materia di salute e sicurezza sul lavoro, richiede l’integrazione della prospettiva di genere nell’attività preventiva realizzata dal datore di lavoro, ovvero l’applicazione del principio di parità e non discriminazione per ragion legate al sesso. E quell’imprescindibile integrazione della parità di trattamento passa necessariamente per l’applicazione del principio sancito nella normativa preventiva di «adattare il lavoro alla persona», che implica l’obbligo del datore di lavoro, al momento della progettazione del posto di lavoro, di identificare i rischi sul lavoro in essi presenti, di valutare la loro entità, di intraprendere la pianificazione delle misure di sicurezza che sono necessarie in ogni caso e metterle in pratica, oltre al fatto di valutare tutte le altre circostanze oggettive e soggettive pertinenti, anche quelle relative al sesso del lavoratore. Questo trattamento adattato costituisce un obbligo specifico del datore di lavoro derivato direttamente dal suo dovere di garantire a tutti i lavoratori una protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul lavoro ma anche del suo obbligo generale di adottare tutte le misure necessarie per garantire nella sua impresa la parità effettiva tra donne e uomini nelle condizioni di lavoro. Tra i rischi professionali che possono colpire in maniera specifica le donne per la loro speciale condizione psicofisica e/o sociale, due sono molto rilevanti e di gran lunga più frequenti: le molestie sessuali e le molestie per ragione di sesso al punto che il legislatore, nazionale e comunitario, ha vincolato direttamente la loro protezione alla parità. Anche se nessuna norma giuridica in vigore considera espressamente questi tipi di comportamenti come specifici rischi per la salute dei lavoratori, non c’é dubbio che, secondo la regolazione stabilita nella LPRL, devono essere considerati come autentici rischi sul lavoro131 e, in La Costituzione Spagnola del 1978 ha posto una rottura rispetto alla tradizione anteriore nella quale la protezione della donna è stata centrata sul divieto della realizzazione dei determinati lavori con l’intenzione di proteggere la manodopera femminile (questa protezione comprendeva, per esempio ma significativamente, il divieto generalizzato del quale la donna realizzasse lavori notturni). Come ha indicato il Tribunale Costituzionale, nella sua sentenza 229/1992, del 14 dicembre, il mandato di non discriminazione per ragione di sesso dell’art. 14 CE, esige l’eliminazione di tutte quelle norme giuridiche che (con eccezione della gravidanza e la maternità) determinano la traduzione della divisione sessista dei lavori e funzioni mediante l’imposizione alle donne di limiti apparentemente vantaggiosi, ma che costituiscano un ostacolo per il loro accesso al mercato di lavoro. Sulla relazione che deve esistere tra la salute e sicurezza sul lavoro e la parità, si veda BERTIN, J., Salud, seguridad e igualdad en el trabajo, op. cit., pag. 24.6 a 24.10; concretamente nella pag. 24.7 dichiara che “A pesar de la adhesión casi universal a los principios de igualdad en el trabajo y el deseo de aplicar prácticas equitativas, estos objetivos quedan frustrados en ocasiones, irónicamente, al considerarse que entran en conflicto con los fines de salud y seguridad en el trabajo. Este tipo de razonamientos son especialmente manifiestos en relación con las mujeres en edad fértil, las embarazadas y las nuevas madres. A diferencia de otros trabajadores, que por lo común disfrutan del derecho del derecho a desempeñar el trabajo para el que están cualificados, las mujeres suelen verse sometidas a restricciones involuntarias en nombre de la protección de su salud o la de sus hijos. Unas veces, estas disposiciones garantizan la obtención de prestaciones imprescindibles, otras, imponen un alto precio en lo que se refiere al acceso a la independencia económica y a la autonomía personal”. 131 Sulla necessità e convenienza di considerare le molestie sessuali sul luogo di lavoro come un rischio sul lavoro rispetto al quale bisogna prendere le misure di prevenzione, si veda BALANDI, G., “Individuale e collettivo nella tutela della salute nei luoghi di lavoro: l´art. 9 dello Statuto”, Lavoro e Diritto, núm. 2, 1990, pag. 222; e anche, MONTUSCHI, L., “Problemi di danno alla persona nel rapporto di lavoro”, Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, I, 130 192 conseguenza, devono essere prevenuti dal datore di lavoro adottando nella sua impresa le misure che in ogni caso risultino necessarie e più adeguate. Questo è chiaro dalle definizioni contenute nella LPRL tanto di «rischio sul lavoro» quanto di «condizioni di lavoro», raccolte, rispettivamente, nei comma 2 e 7 del suo art. 4. I rischi sul lavoro, definiti come qualunque possibilità che un lavoratore arrivi a soffrire di un determinato danno derivato dal lavoro, di derivazione dalle condizioni di lavoro, e «condizione di lavoro» sono definite come qualunque caratteristica dello stesso che possa avere un’influenza significativa nella generazione dei rischi per la sicurezza e la salute del lavoratore), specificando di seguito che sono considerate come tali condizioni di lavoro da cui possono derivare rischi per la salute dei lavoratori le seguenti: le caratteristiche generali di locali, installazioni, attrezzature, a altri prodotti esistenti nel centro di lavoro; la natura degli agenti fisici, chimici e biologici presenti nell’ambiente di lavoro e le loro corrispondenti intensità, concentrazioni o livelli di presenza; i procedimenti per l’utilizzo degli agenti citati anteriormente; e, tutte quelle altre caratteristiche del lavoro, comprese le relative alla loro organizzazione e ordinazione che possano influire sulla grandezza dei rischi ai quali sia esposto il lavoratore. In questo modo, la LPRL parte dal fatto che i rischi per la salute dei lavoratori possono avere origine in qualunque condizione di lavoro, comprese espressamente quelle di carattere organizzativo, cioé, quelle che hanno a che fare con la forma di organizzazione imprenditoriale: l’organizzazione gerarchica, le relazioni sociali, la durata dei contratti di lavoro, l’importo dei salari, ecc. Attraverso questa ampia definizione di condizioni di lavoro, la LPRL ha introdotto un’importante novità rispetto alla legislazione anteriore in materia di salute e sicurezza sul lavoro, perché ha ampliato il concetto tradizionale di rischio sul lavoro. Ora si considerano rischi sul lavoro non solo quelli derivati delle condizioni di lavoro in relazione ai mezzi e agli strumenti di lavoro e alla presenza di agenti fisici, chimici e biologici, ma anche quelli derivanti da qualunque tipo di condizione di lavoro.Stando cosi le cose, non c’é dubbio che le molestie sessuali e le molestie per ragione di sesso possono arrivare a causare danni sulla salute132 dei lavoratori che ne siano vittima – e, persino anche, indirettamente o per effetto riflesso, sulla salute di altri lavoratori colleghi di lavoro133. Essi perciò devono essere considerati come autentici rischi sul lavoro134, e, in conseguenza, tutti i lavoratori hanno diritto a una protezione efficace dagli stessi e il datore di lavoro è obbligato a prevenirli negli stessi termini di qualunque altro tipo di rischio sul lavoro135 1994, pag 330; DÍAZ DESCALZO, C., “Los riesgos psicosociales en el trabajo. Estrés laboral, síndrome del quemado y acoso laboral. Su consideración como accidente de trabajo”, Revista de Derecho Social, núm. 17, 2002; y SÁNCHEZ-URÁN AZAÑA, Y., “Igualdad de género y salud laboral: propuestas institucionales, realidad normativa y práctica convencional”, op. cit., pag. 154. 132 Va sottolineato, al fine di evitare confusioni che le molestie sessuali e le molestie per ragione di sesso costituiscono condotte che sono rischi per i lavoratori e, quindi, possono arrivare a provocare danni sulla sua salute (stress, depressione, angoscia, lesioni fisiche, ecc.). Ma deve essere chiaro che questo tipo di molestie non costituiscono danni professionali, ma solo cause che possono arrivare a produrli. 133 Si veda PÉREZ DEL RÍO, T., “El acoso sexual en el trabajo: su sanción en el orden social”, Relaciones Laborales, num. 17, 1990, pag. 34-38. 134 La protezione dei lavoratori contro le condotte costitutive di questi due tipi di molestie si riferisce direttamente alla protezione della sua dignità umana nello specifico ambito di lavoro, ma anche, contemporaneamente, non c’é dubbio che si sente protetta anche la salute e sicurezza sul lavoro. Chiaramente la proprietà del lavoratore non sono solo la dignità e la sua libertà sessuale nel caso delle molestie sessuali, ma anche la salute e l’integrità psicofisica. Quindi, ciò lo richiama alle molestie sessuale PÉREZ DEL RÍO, T., nella La protección frente a la discriminación en el Derecho Comunitario: las D/2000/43/CEE, D/2000/78/CEE y D/2002/73/CEE. Modificación de la D 76/207/CEE”, Revista de Derecho Social, num. 19, 2002, pag. 101; e con riguardo alle molestie morale, l’ho indica MOLINA NAVARRETE, C., “Una nueva patología de gestión en el empleo público: el acoso institucional (Mobbing). Reflexiones a propósito de la Sentencia del Tribunal Supremo (Sala 3ª), de 23 de julio de 2001, La Ley, n. 5436, 2001; y también con gran rotundidad las sentencias del TSJ de Cataluña, de 11 de abril de 2005 y del TSJ de Madrid, de 18 de marzo de 2002. 135 Si veda in relazione alle molestie sessuali e con l’attuale giurisprudenza, DÍAZ DESCALZO, M. C., “El acoso sexual en el trabajo”, AAVV (RUIZ PÉREZ, E. Coord.), Mujer y Trabajo, Bomarzo, Albacete, 2003, pag. 191 alla 193 incorrendo, in caso contrario, in un inadempimento del suo dovere a garantire a tutti i lavoratori al suo servizio, una protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul lavoro136. In particolare, sono rischi derivati delle condizioni organizzative dell’impresa che hanno che vedere con le relazioni sociali dentro la stesse. La dottrina li include più in particolare, nel gruppo dei rischi di natura psicosociale137. È vero che tutti i lavoratori possono essere esposti sul luogo di lavoro ai rischi di molestie sessuali e molestie per ragione di sesso. Tuttavia, numerosi studi statistici e di ricerca al riguardo hanno evidenziato che le donne sono più esposte138. Questa evidenza ha provocato, tanto a livello comunitario quanto interno, la tendenza a considerarli come condotte discriminatorie basate sul sesso della persona. Attualmente, esiste già nell’ordinamento giuridico spagnolo una definizione legale tanto delle molestie sessuali e delle molestie per il sesso del lavoratore. Questa definizione non viene visualizzata nella LPRL, bensì nella legge di Parità recentemente promossa, (comma 1 e 2 dell’art. 7), poiché queste specifiche classi di molestie sono vincolate fondamentalmente alla parità di trattamento e al divieto di discriminazione per ragione di sesso e non alla protezione della salute delle persone(art. 7.3 della legge di Parità). Le definizioni giuridiche di questo tipo di condotte di molestie non si riferiscono soltanto alle molestie sessuali sul lavoro o alle molestie per ragione di sesso prodotto nell’ambito delle relazioni di lavoro, ma sono definizioni generali operative in tutti gli ambiti delle relazioni sociali, tra cui, ovviamente, quello lavorativo, pubblico e privato. In primo luogo, si definiscono molestie sessuali(art. 7.1),: «Sin perjuicio de lo establecido en el Código Penal, a los efectos de esta Ley, constituye acoso sexual cualquier comportamiento, verbal o físico, de naturaleza sexual que tenga el propósito o produzca el efecto de atentar contra la dignidad de una persona, en particular cuando se crea un entorno intimidatorio, degradante u ofensivo». (Fatto salvo il Codice Penale, ai fini della presente legge, costituisce molestie sessuali qualunque comportamento, verbale o fisico, di natura sessuale che abbia il proposito o produca l’effetto di violare la dignità di una persona, in particolare quando tali condotte creano un ambiente intimidatorio, umiliante o offensivo). In secondo luogo, si definiscono molestie per ragione di sesso(art. 7.2) «Constituye acoso por razón de sexo cualquier comportamiento realizado en función del sexo de una persona, con el 195, che indica che un datore di lavoro «diligente» a questi effetti sarebbe quello che non reagisca solo quando conosce che si producono condotte di molestie nella sua impresa, bensì quello che realizzi una adeguata e reale politica anti-molestie che implica, tra altri, i doveri di prevenzione, di individuazione iniziale, di vigilanza continua, di istruzione e, in generale, di organizzazione. E a proposito delle molestie morali in generale, si veda la sentenza del TSJ de Cantabria, del 3 giugno del 2006, che prevede che «En el caso particular del acoso, el empresario tiene la obligación de prevenir la aparición de posibles conductas de hostigamiento psicológico en la empresa. Y lo debe hacer a través de la información, formación, medidas organizativas, etc.» 136 Si tiene in conto che l’art. 14.2 LPRL obbliga di forma esplicita al datore di lavoro, in compimento del suo dovere di protezione, a garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori al suo servizio «in tutti gli aspetti relazionati col lavoro». 137 Riguardo ai rischi psicosociali, si veda, con carattere generale, AGUSTÍ JULIÁ, J., Riesgos psicosociales y su incidencia en las relaciones laborales y seguridad social, Cuadernos de Derecho Judicial, Consejo General del Poder Judicial, Madrid, 2005. 138 Secondo la Relazione dell’OIL sulla «Violenza nel lavoro», realizzato nel 1998, si dimostra che le aggressioni fisiche e psicologiche nel lavoro, come le molestie sessuali sono relativamente frequenti e hanno come vittime nella maggioranza le donne. Lo stesso succede con le molestie psicosociali, un’inchiesta europea pubblicata per l’OIL in dicembre del 2000, mostra che la maggior parte delle vittime di questo rischio sono le donne, soprattutto nell’ambito dell’Amministrazione pubblica e nell’industria alberghiera. Da parte sua, la Comunicazione della Commissione dell’11 marzo del 2002 su «Come adattarsi ai cambiamenti nella società e nel mondo del lavoro: una nuova strategia comunitaria di salute e sicurezza (2002-2006)», ha anche dimostrato che la violenza nel lavoro, le molestie e l’intimidazione sono responsabile di una percentuale elevata di problemi di salute connessi al lavoro, di frequenza due volte superiore in settori fortemente femminizzati. In Spagna, secondo l’ultimo studio realizzato per l’Istituto della Donna, il 15% delle donne che lavorano nel nostro paese (1,3 milioni), soffrono delle molestie sessuali nel lavoro. 194 propósito o el efecto de atentar contra su dignidad y de crear un entorno intimidatorio, degradante u ofensivo». (Costituisce molestia per ragione di sesso qualunque comportamento realizzato in funzione del sesso di una persona, col proposito o l’effetto di attentare alla sua dignità e di creare un ambiente intimidatorio, umiliante o offensivo). Questa è molestia morale o «mobbing» di carattere discriminatorio. Queste due definizioni recepiscono quelle contenute nella direttiva n. 2002/73/CE, del 23 di settembre, riformata dalla direttiva n. 76/207/CEE, relativa all’applicazione del principio di parità di trattamento tra le donne e uomini nell’accesso all’impiego, alla formazione e all’orientamento professionale e alle condizioni di lavoro. Oltre a questo, si fa anche riferimento esplicito al ricatto sessuale e al ricatto per ragione di sesso (art. 7.4 della legge di Parità), il quale si verifica quando le vittime della condotta la consentano in virtù di alcune aspettative esprimendo in ogni caso un consenso viziato (art. 1265 del Codice Civile)139. Tuattavia, in passato, soprattutto dalla sentenza del Tribunale Costituzionale n. 224/1999, del 13 dicembre 1999, la giurisprudenza era venuta interpretando il concetto di molestie sessuali nello stesso senso ampio raccolto espressamente nel Diritto positivo, considerando con tale, sia la «molestia ambientale» che il «ricatto sessuale»140. Come si può vedere, nelle definizioni della legge di Parità, di molestie sessuali e di molestie per ragione di sesso non si allude in assoluto al fatto che rappresentino un rischio per la salute fisica e/o psichica dei lavoratori. Ciò si spiega perché, così come si è già detto, questa legge riguardava solo la parità di trattamento e non il problema delle discriminazioni per ragione di sesso. Tuttavia, ciò non esclude che se questo tipo di condotte si verificano sul luogo di lavoro, debbano essere esaminate come un vero e proprio rischio sul lavoro, perché è evidente che l’esposizione a tali condotte può arrivare a provocare significativi danni per la salute dei lavoratori(stress, depressione, angoscia, lesioni corporali di diverso tipo, ecc.), causati per motivo o occasione del lavoro, non vi è dubbio che devono essere considerati come autentici danni professionali(art. 4.3 LPRL)141. Dato che le donne lavoratrici sono più esposte al rischio di molestie sessuali e di molestie per ragione di sesso rispetto ai lavoratori maschi, il datore di lavoro è obbligato a prestare una 139 Secondo l’art. 1265 del Codice Civile “Será nulo el consentimiento prestado por error, violencia, intimidación o dolo”. 140 La sentenza del Tribunale Costituzionale 224/1999, del 13 dicembre, ha inteso che nell’ambiente di lavoro sono vietate non solo le molestie nelle quali la sottomissione della donna o l’uomo si realizza mettendo a repentaglio la stabilità del posto di lavoro la promozione o la formazione professionale o altre condizioni nel lavoro o nel salario, ma anche le molestie sessuali in un comportamento di carattere libidinoso non desiderato che genera un ambiente ostile, offensivo o umiliante per il lavoratore. Generalmente stabilito che le molestie sessuali «…ha de manifestarse en una conducta, un comportamiento físico o verbal manifestado, actos, gestos, palabras, comportamientos que se perciban como indeseados o indeseables para la víctima, que sea grave, capaz de marcar un clima radical, odioso, ingrato…..ese carácter hostil no puede depender de la sensibilidad de la víctima” y “debe, en consecuencia, ser ponderado objetivamente, atendiendo al conjunto de circunstancias concurrentes, como puede ser la intensidad de la conducta, la susceptibilidad de la víctima, el entorno laboral en que se desarrolle la actividad y su desempeño por la víctima en relación con el resto de compañeros de trabajo, puesto que, en caso contrario, nos encontraríamos que ante un término que ha sido recibido como «mobbing» se utilizaría de manera indiscriminada ante cualquier tipo de insatisfacción en el trabajo cuando incluso puede derivar de un comportamiento ajeno al empresario y provenir del perfil psicológico del propio trabajador». 141 Di conseguenza, i risultati nocivi sulla salute del lavoratore derivanti da molestie di tipo sessuale o motivate per il sesso della persona del lavoratore, in quando legate direttamente al lavoro, devono essere qualificati giuridicamente come veri infortuni sul lavoro, perché risponde pienamente alla definizione di contingenza professionale dall’art. 115 LGSS. Con carattere generale è inteso per infortunio sul lavoro «ogni lesione corporale che il lavoratore soffra in relazione o per conseguenza del lavoro che esegua per conto altrui» Inoltre, bisogna tenere in conto il proprio art. 115, nel suo comma 3o, il quale stabilisce una presunzione iuris tamtum considerando come infortunio sul lavoro tutte le lesioni che soffra il lavoratore per il tempo e nel posto di lavoro. Si veda ad esempio, la sentenza del TSJ della Cantabria del 23 novembre di 2006 che ha descritto come infortunio sul lavoro la patologia sofferta, ( associazione di stress postraumatico con un quadro associato ansioso-depressivo, per una lavoratrice in conseguenza delle molestie sessuali della quale fu vittima nel lavoro da parte del suo datore di lavoro), considerando inoltre che, i danni sofferti sono stati costitutivi di un’incapacità permanente al lavoro. 195 speciale attenzione alle stesse per una protezione efficace. Questo significa che anche se tenuto a proteggere tutti i lavoratori dai rischi di molestie, deve tenere specialmente in considerazione il fatto che le donne lavoratrici normalmente sono più esposte a questo fenomeno. La prevenzione dei rischi di molestie sessuali e di molestie per ragione di sesso sul lavoro per le lavoratrici costituisce attualmente una delle manifestazioni più chiare del vincolo esistente tra la protezione della sicurezza e la salute delle donne lavoratrici sul lavoro e la parità effettiva tra donne e uomini nelle relazioni di lavoro. Attraverso l’adempimento di questo specifico dovere, il datore di lavoro, inoltre, risponderà simultanemante al suo obbligo generale di evitare qualunque tipo di discriminazione sul lavoro tra donne e uomini, espressamente sancito nell’art. 45.1 della legge di Parità – e che, a sua volta, risponde al diritto espressamente riconosciuto dall’art. 4.2 c) SL ai lavoratori nelle relazione di lavoro a non essere discriminati, direttamente o indirettamente, anche per motivi legati al sesso142 –, e, come parte del contenuto di tale dovere, al suo obbligo più specifico di «promuovere condizioni di lavoro che possano prevenire le molestie sessuali e le molestie per ragione di sesso», stabilita nell’art. 48.1 della legge di Parità. Né la LPRL alcun altra norma in materia di salute e sicurezza sul lavoro in vigore stabiliscono quali sono in concreto le misure che il datore di lavoro deve adottare per riuscire a prevenire nella sua impresa tali rischi. Ciò non esime il datore dall’osservanza di questo obbligo. La LPRL, infatti, riconosce in generale il dovere di protezione del datore di lavoro di garantire ai suoi lavoratori una protezione efficace da tutti i rischi sul lavoro e, in virtù di ciò, il datore di lavoro si trova obbligato giuridicamente a integrare l’attività preventiva nella sua impresa e ad «adottare le misure necessarie per la protezione della sicurezza e la salute dei lavoratori»(art. 14.2 LPRL). Il limite del dovere imprenditoriale di protezione non si trova né nella sua disponibilità economica né nel fatto che ci sia una norma che stabilisca espressamente le misure di sicurezza da applicare, ma le possibilità tecniche e organizzative del momento. In questo modo, il datore di lavoro, in adempimento del suo dovere sarà costretto ad adottare le misure preventive che in ogni caso siano necessarie e le più adeguate per proteggere i suoi lavoratori e lavoratrici di fronte a questi rischi pur non esistendo nessuna norma che specifichi quali sono, in particolare, tali misure preventive. Come regola generale, per quanto riguarda qualsiasi tipo di rischio professionale, in relazione ai rischi di molestie sessuali e molestie legate al sesso si consideri che la legge di Parità non ha solo imposto al datore di lavoro il dovere di promuovere condizioni di lavoro che possano evitare tali molestie nella sua impresa, vincolandolo, ma ha anche specificato alcune delle misure che potrà prendere per prevenire tale classe di molestie. Questo non è un elenco esaustivo, ma solo illustrativo: lo sviluppo e la diffusione dei codici di buone prassi, la realizzazione di campagne di informazione, lo sviluppo di azioni di formazione e, come meccanismo di chiusura, la fissazione dei procedimenti per rilevare le accuse e denunce formulate dalle vittime, (comma 1 e 2 dell’art. 48). Oltre a queste misure espressamente elencate nella legge di Parità in queste ipotesi, probabilmente, l’esercizio del potere disciplinare per il datore di lavoro acquisirà un’importanza Non dobbiamo dimenticare che le molestie sessuali e le molestie per ragione di sesso costituiscono condotte «pluri-offensive» nel senso che possono essere lesive di multipli diritti della persona che soffre queste condotte. Nello specifico ambito delle relazioni di lavoro, tra i diritti della persona del lavoratore che possono essere interessati da tale classe di molestie, si è già detto della vita, l’integrità fisica e psichica e la salute e l’uguaglianza e non discriminazione per ragione di sesso. Ma non sono gli unici, può risultare anche leso il diritto alla privacy e, in ogni caso, la dignità della persona che è il bene giuridico in cui, in ultima istanza, si mettono insieme tutti questi diritti. In questo senso bisogna tenere in conto che nella nostra normativa di lavoro, le molestie sessuali e le molestie per ragione di sesso sono legati al diritto fondamentale all’intimità e alla dignità della persona. In effetti, l’art. 4.2 e) SL stabilisce che i lavoratori, nella relazione di lavoro, avranno diritto «al rispetto alla loro intimità e della loro dignità, compresa la protezione avverso le molestie per ragione di origine razziale o etnica, religione o convinzioni, handicap, età o orientazione sessuale, e davanti alle molestie sessuali e alle molestie per ragione di sesso. » Questo precetto è stato modificato attraverso il numero 1 della Disposizione Addizionale decimo prima della legge di Parità. Attraverso questa si è aggiunto in forma espressa che il diritto dei lavoratori al rispetto alla loro intimità e la loro dignità durante il lavoro comprende anche la protezione avverso molestie sessuali e molestie per ragione di sesso. 142 196 fondamentale e si trasformerà in una misura di sicurezza obbligatoria143. Quando l’esercizio del potere disciplinare sia l’unica misura possibile nei limiti di ciò che è tecnicamente e organizzativamente fattibile per prevenire questa classe rischi sul lavoro, questo esercizio non sarà più discrezionale per il datore di lavoro e diventerà obbligatorio, dato che non si basa più su un interesse proprio ed esclusivo del datore, ma sulla necessità di protezione dell’interesse dei lavoratori sottoposti a tale rischio per la loro integrità fisica e psichica e la loro salute. Le misure di prevenzione di queste molestie sono considerate nella legge di Parità espressamente come misure contro la discriminazione, devono essere in ogni caso, per imperativo legale, negoziate con i rappresentanti dei lavoratori nell’impresa(secondo paragrafo dell’art. 48.1 della legge di Parità). Raggiunto l’accordo le misure di prevenzione da adottare saranno quelle previste in tale accordo. Se, al contrario, dopo il processo di negoziazione, non si riesce a raggiungere un accordo, il datore di lavoro dovrà adottare ugualmente le misure preventive necessarie. Risulta pienamente applicabile quì il regime generale sull’obbligo imprenditoriale di adottare misure a favore della parità tra uomini e donne, sancito nell’art. 45 della legge di Parità. In questo modo, nelle imprese di più di 250 lavoratori, le misure preventive delle molestie sessuali e del mobbing discriminatorio dovranno essere incluse in ogni caso nel Piano di Parità che, ai sensi dell’art. 45.2 della legge di Parità, deve esistere nelle stesse; e in tutte le altre, dovrebbe essere parte delle misure contro la discriminazione da adottare nell’impresa, salvo che il datore di lavoro decida volontariamente di creare un Piano di Parità . In questo senso bisognerebbe segnalare che le misure preventive delle molestie sessuali e delle molestie per ragione di sesso,oltre ad avere carattere antidiscriminatorio, mostrano chiaramente una dimensione protettiva della sicurezza e della salute dei lavoratori e dovrebbero far parte dei piani di parità delle imprese, nell’elenco delle misure volte a promuovere la parità di genere e nella pianificazione dell’attività preventiva realizzato dal datore ai sensi dell’art. 16.2 b) LPRL e degli art. 8 e 9 RSP. Pertanto, la conclusione ottenuta è che per la decisione sul tipo di misure preventive di tali molestie si incoraggia l’adozione del procedimento d’integrazione dell’attività preventiva alla gestione globale dell’impresa stabilita nella LPRL. La particolarità di questa classe di misure preventive è che, per legge, esiste un obbligo di negoziazione delle stesse, mentre dall’altro, esiste solo un obbligo di consultare dei rappresentanti dei lavoratori(art. 33 LPRL)144. In ogni caso, quello che deve rimanere perfettamente chiaro è che, esista o meno un accordo tra il datore di lavoro e i rappresentanti dei lavoratori nell’impresa, il datore di lavoro deve adottare misure preventive per questa specifica classe di rischi professionali, affinché le stesse possano risultare davvero efficaci e riescano a proteggere la salute dei lavoratori e, contemporaneamente, evitare le discriminazioni, promuovendo la parità tra i generi nelle relazioni di lavoro. Esse stesse devono essere il risultato dell’adempimento degli obblighi strumentali che la LPRL ha introdotto al fine di assicurare che le misure di sicurezza adottate siano in ogni caso le più efficaci da un punto di vista preventivo, che tengano conto dei rischi esistenti e che garantiscano il maggiore livello di protezione della salute dei lavoratori esposti ad essi. Anche se, com’è già osservato, non esiste in Spagna nessuna norma giuridica in tema di salute e sicurezza che regoli le misure da adottare a fronte di tali molestie, sono state elaborati a livello comunitario alcune disposizioni che raccolgono le misure specifiche dirette alla prevenzione di questo tipo di rischio professionale. Queste disposizioni possono servire da aiuto e guida al Vedere la sentenza della TSJ della Cantabria del 17 settembre 2001, la quale ha dichiarato che il licenziamento disciplinare di un lavoratore che ha molestato sessualmente un altro sul posto di lavoro, ritenendo che tale comportamento costituisce una violazione della buona fede del contratto di cui l’art. 54,2 d), SL si pone come una violazione grave e colpevole del lavoratore che giustifica la decisione aziendale di licenziamento disciplinare. 144Anche se la legge di Parità non lo segnali espressamente, quest’obbligo di negoziazione delle misure preventive deve essere inteso come estensibile anche al resto delle misure dirette a proteggere specificamente le donne lavoratrici per tutti gli altri rischi sul lavoro ai quali si sentano esposte, dato che, come si è già detto, tali misure risultano imprescindibili per garantire a loro alcune condizioni di lavoro equiparabili e non discriminatorie rispetto a quelle godute dai colleghi maschi. 143 197 datore di lavoro nel momento in cui sia necessario proteggere i lavoratori da tali rischi145. Questi strumenti normativi sono particolarmente rilevanti: In primo luogo, la Raccomandazione della Commissione 92/131/CEE, del 27 di novembre del novembre 1991, sulla «Dignità dell’uomo e della donna sul lavoro» che è stata completata con l’elaborazione di un Codice pratico di condotta per la protezione della dignità dell’uomo e la donna sul lavoro, destinato a suggerire e raccomandare l’adozione di determinate misure che si sono rivelate efficaci per eliminare il rischio delle molestie sessuali e di qualunque altro comportamento relazionato col sesso che danneggi la dignità della persona del lavoratore, tanto nel settore privato come nel pubblico. Occorre poi fare riferimento all’Accordo Quadro europeo su«La violenza e molestie sul posto di lavoro», sottoscritto nell’ambito del processo di dialogo sociale europeo146 che stabilisce un termine di tre anni dalla sua firma per essere applicato147. Anche se si riferisce a tutti i tipi di molestie prodotte sul lavoro, indipendentemente dal fattore sessuale, le misure stabilite ivi indicate si applicano ovviamente anche a queste specifiche tipologie di molestie. Infine, va rilevato che la legge di Parità attribuisce un ruolo molto importante ai rappresentanti dei lavoratori. In effetti, come succede nell’ambito della sicurezza e la salute sul lavoro, si considera che per ottenere una vera efficacia delle misure prese dal datore di lavoro, onde prevenire tali atteggiamenti persecutori connessi con il sesso, è imprescindibile il coinvolgimento degli stessi lavoratori. Anche se non espressamente sancito, si presume che per ottenere un’efficace protezione da tali rischi, non basta che il datore di lavoro adotti misure rivolte direttamente a tale finalità, ma risulta assolutamente imprescindibile la collaborazione attiva dei lavoratori. E ciò non è strano dato che in molte occasioni le molestie ai lavoratori non provengono dal datore di lavoro bensì da altri lavoratori. Questa collaborazione dei lavoratori, prevista dalla la legge di Parità, si esprime attraverso i rappresentanti dei lavoratori nell’impresa, attribuendo a loro direttamente una serie di competenze specifiche: oltre al potere di negoziare in tutte le imprese le misure che il datore di lavoro deve adottare (art. 48.2), hanno anche compiti di sensibilizzare dei lavoratori e delle lavoratrici sul tema invitandoli a denunciare eventuali situazioni già verificatesi.(art. 48.2). È indispensabile, pertanto, il coinvolgimento dei lavoratori per garantire che il datore di lavoro possa adottare finalmente le misure più adeguate per prevenire i rischi delle molestie sessuali e delle molestie per ragione di sesso, e tale coinvolgimento deve essere espresso attraverso i rappresentanti dei lavoratori nell’impresa, tenendo conto che questo tipo di rischi colpiscono ancor più le donne Ciò spiega ancora una volta la necessità di una maggiore presenza femminile in questi organi di rappresentanza. La tutela delle lavoratrici in gravidanza, puerpere o in periodo di allattamento. Anche se fino alla sua recente modificazione attraverso la legge di Parità, la LPRL non faceva nessun riferimento espresso alla protezione della salute delle donne lavoratrici, tuttavia, già dalla sua versione iniziale del 1995,fu istituito un regime di protezione specifico per le lavoratrici incinta, puerpere e in periodo di allattamento. Ciò significa che le donne lavoratrici che si 145 Tuttavia, bisogna tenere in conto che sono già troppo numerosi gli studi e ricerche dedicati allo studio su questo tipo di rischi sul lavoro. Si veda ad esempio quello realizzato dall’Instituto Nacional de Seguridad e Higiene en el Trabajo en el año 2001 por PÉREZ BILBAO, J., NOGAREDA CUIXART, C. MARTÍN DAZA, F., y SANCHO FIGUEROA, T., titulado Mobbing. Violencia física y acoso sexual. 146 Quest’Accordo è stato sottoscritto per le seguenti organizzazioni sindacali e imprenditoriali di ambito europeo: per i sindacati UNICE e ETUC e per le organizzazioni imprenditoriali UEAPME e CEEP (y también por el Comité de enlace EUROCADRES/CEC). 147 Ai sensi dell’art. 139 TUE, si delega ai membri di UNICE, UEAPME, CEEP ed ETUC, e il comitato di unione EUROCADES/CEC, l’implementazione di questo Accordo Quadro, in accordo coi procedimenti e le pratiche specifici che si effettuano negli Stati membri e nei paesi dell’Area Economica Europea. 198 trovassero in queste situazioni legate alla maternità148, erano considerate dalla LPRL espressamente come un gruppo vulnerabile meritevole di un’attenzione speciale per garantire la loro protezione efficace dai rischi sul lavoro. La previsione di un’attenzione individualizzata a questo specifico gruppo di donne lavoratrici deriva direttamente della necessità di trasporre nell’ordinamento interno la direttiva n. 92/85/CEE del Consiglio, del 19 di ottobre del 1992, relativa all’applicazione delle misure per promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute della lavoratrice. Come si vedrà più avanti, si tratta di un regime di protezione proprio, specialmente rafforzato e garantista. Si stabiliscono normativamente una serie di misure di sicurezza specifiche che pretendono intendono proteggere la salute dalla donna lavoratrice, non tanto come donna, bensì specificamente come donna incinta, puerpera o lattante. Cioè che l’obiettivo è proteggere la salute dalla donna lavoratrice davanti a quei rischi sul lavoro ai quali sia esposta, specificamente per lo stato di maternità e, in questo modo, garantire il massimo livello di protezione possibile, lo stesso che a tutti gli altri lavoratori – di uno e un altro sesso – che non si trovino in tali stati biologici relazionati con la maternità. Tale protezione si estende espressamente alla salute del feto e del neonato. Pertanto, il regime specifico di protezione sancito nella LPRL non risulta applicabile né per proteggere le donne lavoratrici incinta, puerpere o lattanti davanti ai rischi o danni che non abbiano la loro causa sul lavoro, e neanche per proteggerli di fronte a qualunque rischio sul lavoro, bensì unicamente davanti a quelli che, in particolare, possano arrivare a pregiudicare la loro salute(quella del feto o quella del neonato), per ragione del particolare stato biologico in cui si trovano149. Tanto nel Diritto comunitario quanto nel Diritto interno, la previsione di un regime di protezione particolare per queste lavoratrici, che in principio presuppone una differenza di trattamento in relazione ai lavoratori maschi e, perfino, in relazione alle altre donne lavoratrici che non si trovino in tale situazione, attualmente si giustifica giuridicamente per il fatto che la gravidanza e la maternità sono considerate circostanze obiettive che giustificano ragionevolmente una differenza di trattamento favorevole alle donne che si trovino in tale stato. Pertanto, questo regime di protezione specialmente incisivo e favorevole non è considerato come una violazione del diritto costituzionale alla parità e alla non discriminazione basata sul sesso ma piuttosto, un’esigenza derivata dall’effettività stessa di detto diritto costituzionale150. Ciò è stato confermato dal L’art. 26 LPRL si riferisce alle facoltà che come contenuto del loro diritto a un’efficace protezione dai rischi professionali a cui sono sottoposte le lavoratrici che si sono già in stato di gravidanza o puerpere, facoltà che tendono immediatamente a proteggerle da quei rischi che le colpiscono precisamente per essere in tale stato fisiologico e che si aggiungono a quelle che le riguardano con carattere generale come lavoratrici. Invece, l’art. 25.2 LPRL si riferisce alla protezione di qualunque lavoratore, uomo o donna, contro alcuni rischi specifici: quelli che possano incidere sulla funzione di procreazione dei lavoratori e lavoratrici, in particolare per l’esposizione agli agenti fisici, chimici e biologici che possano esercitare effetti mutageni o di tossicità per la procreazione, tanto negli aspetti della fertilità come dello sviluppo della procreazione. Tali fattori di rischio dovrebbero essere individuati, valutati i rischi a cui danno luogo e di seguito prevenuti mediante l’adozione delle misure di sicurezza necessarie. Tutto ciò, naturalmente costituisce una facoltà dei lavoratori e un correlativo obbligo di carattere specifico del datore di lavoro, integrato nella sua azione preventiva generica di valutare tutti i rischi esistenti nell’impresa e che colpiscano in ogni momento tutti i lavoratori al suo servizio. 149 Nello stesso senso, si veda RODRÍGUEZ RAMOS, M. J., “Grupos especiales de riesgo en la Ley de Prevención de Riesgos Laborales”, op. cit., pag. 422. 150 A questo proposito, vedere CAVAS MARTÍNEZ, F., “Maternidad y salud laboral (Comentario a la Directiva 92/85/CEE, de 19 de octubre, sulla migliore protezione della lavoratrice in gravidaza, puerpera o lattanteNoticias de la Unión Europea, num. 127-128, pag. 55, in cui afferma che «la discriminación, como reiteradamente nos enseña el tribunal Constitucional, se define, en su sentido más genérico, como la desigualdad de trato arbitraria o carente de una justificación objetiva y razonable» por lo que «cabe reputar legítimas dos tipos de normas protectoras de la mujer trabajadora […]: - las normas que contienen medidas específicas de protección de la mujer en razón de su maternidad, que comprende las fases de embarazo, parto, puerperio y lactancia […]; - las normas que, partiendo de la situación de desigualdad de hecho o inferioridad social que padecen las mujeres, persiguen eliminar tales discriminaciones objetivas estableciendo transitoriamente ventajas o beneficios a favor de aquéllas […] (principio de acción positiva)». 148 199 Tribunale Costituzionale nella sua sentenza 109/1993, del 25 di marzo151, che ha stabilito che «la maternidad y, por tanto, el embarazo y parto, son una realidad biológica diferencial objeto de protección, derivada directamente del art. 39.2 CE y, por tanto, las ventajas y excepciones que determine para la mujer no pueden considerarse discriminatorias para el hombre»152 (la maternità e, pertanto, la gravidanza e il parto sono una realtà bilogico oggetto di protezione ai sensi dell’art. 39.2 CE e, pertanto, i vantaggi e le eccezioni previste per la donna non possono essere considerati discriminatorie verso gli uomini). In effetti, la più recente giurisprudenza costituzionale considera che qualunque discriminazione sul lavoro di queste lavoratrici per ragione della loro maternità costituisce un rischio sul lavoro – di carattere psicosociale o organizzativo – dal quale devono essere protette in ogni caso, in maniera tale che il divieto di discriminazione persegue un doppio scopo: prevenire la violazione del diritto costituzionale sancito nell’art. 14 CE; e, nel contempo, proteggere la salute e la sicurezza dalle lavoratrici incinta, puerpere o in allattamento naturale, sul luogo di lavoro153. Il regime di protezione specifico in materia di salute e sicurezza sul lavoro applicabile alle stesse, si traduce nell’art. 26 LPRL, attraverso il quale, pertanto, è trasposta nell’ordinamento spagnolo la direttiva n. 92/85. L’art. 26 LPRL concede a tali lavoratrici, il cui posto di lavoro le esponga a una situazione di rischio direttamente connessa con la loro situazione di gravidanza o di post-parto, una serie di facoltà «a cascata» al fine di proteggere efficacemente il feto o il neonato. La qualificazione di «a cascata» applicata al regime giuridico positivo stabilito dall’art. 26 si basa sul fatto che tali facoltà sono esercitabili l’una di seguito all’altra, secondo l’ordine stabilito in questo precetto, in modo che solo se la prima non sia adottabile o sia inefficace, la lavoratrice potrà esercitare quella successiva e così via. Come questione previa bisogna determinare cosa si intende per lavoratrice incinta, puerpera o in allattamento, poiché solo le lavoratrici che sono in situazioni di questo tipo hanno i poteri di azione specifici previsti nell’art. 26 LPRL154. Bisogna partire dal fatto che l’ordinamento spagnolo non specifica quando una donna è incinta, puerpera o allattamento al fine dell’applicazione della tutela specifica stabilita in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Tuttavia, l’art. 2 della direttiva n. 92/85/CEE le definisce come quelle che, oltre a trovarsi effettivamente in tali situazioni biologiche e fisiche, ne abbiano dato comunicazione al datore di lavoro in base alle leggi e/o le pratiche nazionali155. In base al Diritto comunitario, solo quelle lavoratrici che oltre a trovarsi concretamente in quella situazione ne abbiano messo in qualche modo a conoscenza il datore di lavoro, potranno godere di quei vantaggi e solo a partire da questo momento. In linea con questo criterio che il Tribunale di Giustizia delle Comunità Europee dalle sentenze del 12 luglio del 1984 (Asunto HOFMANN) e del 15 maggio del 1986 (Asunto HOHNSTON). 152 Questo è anche indicato per GIL PÉREZ, M. E., “Mujer y salud laboral”, op. cit., pag. 132. Dice questo autore «Questa discriminazione è giustificata dalla necessità di proteggere questa particolare condizione biologica della donna ». 153 Vedere le sentenze del Tribunale Costituzionale 17/2003, del 30 gennaio e 182/2005, del 4 luglio 2004. Nella prima sentenza prevede che «La protección de la mujer no se limita a la de su condición biológica durante el embarazo y después de éste ni a las relaciones entre la madre y el hijo durante el período que sigue al embarazo y al parto, sino que también, en el ámbito estricto del desarrollo y vicisitudes de la relación laboral, condiciona las potestades organizativas y disciplinarias del empresario evitando las consecuencias físicas y psíquicas que medidas discriminatorias podrían tener en la salud de la trabajadora y afianzando al mismo tiempo todos los derechos laborales que le corresponden en su condición de trabajadora al quedar prohibido cualquier perjuicio derivado de aquel estado». 154 Secondo la sentenza del Tribunale Costituzionale 222/1992, del 14 dicembre, la regolazione contenuta nell’art. 26 LPRL non mira a proteggere la donna come tale ma in relazione a una particolare situazione biologica, nella quale si possono trovare solo le lavoratrici del sesso femminile. Così lo segnala anche MOLINA NAVARRETE, C.,La protección de colectivos especiales de trabajadores, op. cit., pag. 402. 155 Vedere MORENO GENÉ, J., ROMERO BURILLO, A. M. y PARegio decreto n.ELL VEÁ, A., “La protección de la maternidad: de la Directiva 92/85/CEE a la Ley 31/1995, de Prevención de Riesgos Laborales”, Aranzadi Social, num. 5, 1997. 151 200 Nel Diritto interno, data l’assenza di previsione normativa su questo tema, ci sono pareri discordanti, ma senza un’opinione maggioritaria. Si osserva tuttavia che anche se sarebbe più garantista non esigere tale comunicazione al datore, perché per evitare possibili condotte imprenditoriali di carattere discriminatorio, tuttavia, il datore di lavoro responsabile non potrà adempiere i suoi obblighi sul tema se non ha conoscenza dello stato delle lavoratrici. In questo modo, adottando una posizione intermedia, ciò che conta è che affinché le lavoratrici possano esercitare le loro specifiche facoltà e il datore di lavoro si senta obbligato a garantire la loro protezione da questi rischi specifici legati alla maternità,il datore di lavoro debba conoscere lo stato di gravidanza, parto o allattamento in cui esse si trovano effettivamente,pur non esistendo nell’ordinamento spagnolo un obbligo giuridico per le donne di comunicare formalmente le loro condizione al datore di lavoro. Questa interpretazione è coerente con gli orientamenti della corte di Giustizia delle Comunità Europee, che ha concluso nel senso che la comunicazione al datore di lavoro dello stato di gravidanza da parte della lavoratrice non risulta obbligatorio in nessun caso156. L’aspetto determinante affinché le lavoratrici incinta, puerpere o in periodo di allattamento naturale possano esercitare le loro prerogative specifiche di protezione contro i rischi sul lavoro e affinché il datore le protegga, è la circostanza della conoscenza da parte del datore di lavoro della loro condizione, indipendentemente dalla forma attraverso la quale il datore di lavoro ne venga a conoscenza anche se le lavoratrici non sono obbligate giuridicamente a tale comunicazione. Anche se ci sono obblighi di protezione che il datore di lavoro dovrà rispettare in ogni caso, conosca o meno lo stato di gravidanza, parto o allattamento – come le misure relative alla valutazione dei rischi specifici. all’informazione sui possibili o la pianificazione delle misure di sicurezza più opportune e adeguate –, tuttavia, l’esecuzione effettiva delle misure di prevenzione specifiche non potrà essere mai richiesta se il datore di lavoro non conosce effettivamente la situazione delle lavoratrici in quello stato157. Questo lo stabilisce implicitamente anche l’art. 26 LPRL che esige che affinché le lavoratrici possano esercitare le facoltà di protezione specifiche previste dovranno presentare una certificazione dei Servizi Medici dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale o delle Mutue, con la relazione del Servizio Nazionale di Salute che le assiste facoltativamente in ogni caso, cosa che comporta il metterne a conoscenza il datore. Infine, affinché questi tipi di lavoratrici possano esercitare tutte le facoltà specificamente riconosciutegli,ai sensi dell’art. 26 LPRL, è necessario che il datore di lavoro conosca il loro lo stato. I casi che potrebbero sorgere sono due: Il primo è che il datore di lavoro possa conoscere lo stato di gravidanza, puerperio o allattamento in cui si trova la lavoratrice attraverso l’adempimento di tutti o uno degli obblighi che conformano il contenuto del suo dovere di protezione dei lavoratori (ad esempio attraverso le visite mediche). In questo caso la lavoratrice non sarebbe obbligata a comunicarlo direttamente al datore di lavoro per avere diritto a godere della protezione prevista nell’art. 26 LPRL e, pertanto, il datore di lavoro, anche se manchi una comunicazione formale, sarà obbligato ad adottare il regime di protezione specifico previsto. Il secondo caso si verifica quando il datore di lavoro, nonostante il corretto adempimento di tutti i suoi obblighi preventivi, non sia riuscito a conoscere lo stato di gravidanza, puerperio o allattamento in cui si trova la lavoratrice. In questo caso neanche esiste giuridicamente l’obbligo di comunicazione formale, ma, a differenza del caso precedente, il datore di lavoro non sarà obbligato ad adottare le misure di sicurezza necessarie per prevenire i rischi sul lavoro legati allo stato biologico derivato della gravidanza o della maternità in cui si trovano, né, pertanto, incorrerà in un inadempimento del suo obbligo di proteggere efficacemente tali lavoratrici. Si può 156 Si veda la sentenza del Tribunale di Giustizia delle Comunità Europee, dell’8 novembre del 1990 (Asunto Dekker), che è venuto a non considerare se una lavoratrice dipendente che ha nascosto il suo stato di gravidanza o maternità al suo datore di lavoro ha il diritto all’applicazione dello specifico regime di protezione in materia di salute e sicurezza sul lavoro stabilito per tali situazioni. 157 Contro questo punto di vista si pone, ad esempio, GIL LÓPEZ, M. E., Mujer y Salud Laboral, op. cit., pag. 133. 201 arrivare a dire che la non comunicazione della propria condizione da parte della lavoratrice in questo caso, potrebbe essere costitutiva di una condotta decisiva della nascita di una serie di rischi per la loro salute, del feto o del neonato, la cui prevenzione, in conformità dell’art. 15.4 LPRL, rimarrebbe fuori dal dovere del datore di lavoro di garantire la protezione efficace in materia di salute e sicurezza. In conformità con le disposizioni dell’art. 26 LPRL si dispone che le lavoratrici incinte, puerpere o in periodo di allattamento, il cui posto di lavoro esponga a rischi per le stesse, per il feto o per il neonato, in primo luogo, avranno diritto a che il loro datore di lavoro adotti le misure necessarie per evitare tali rischi. A tal fine risulta sufficiente che il datore di lavoro non adibisca la lavoratrice al lavoro notturno o in regime di turni(art. 26.1 LPRL). Se tali misure preventive sono di adattamento del posto di lavoro, o se tra esse si trova quella del divieto di adibizione al lavoro notturno o al lavoro a turni, dipenderà dalla presenza di specifici rischi – di tipo oggettivo o di tipo soggettivo158. Se l’adattamento delle condizioni o del tempo di lavoro non fosse possibile o, nonostante tale adattamento, le condizioni del posto di lavoro continuassero ad avere influenza negativa sulla salute della lavoratrice cioè fosse certificato dai Servizi Medici dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale o delle Mutue, con la relazione del Servizio Nazionale di Salute che assista facoltativamente la lavoratrice, questa ha diritto a occupare un’altro posto di lavoro o svolgere una mansione diversa o compatibile con il suo stato, cioè, senza rischi159 (e, pertanto, il datore di lavoro è obbligato a fornirlo). Si riconosce esplicitamente a beneficio della lavoratrice, il diritto alla mobilità funzionale – ordinaria –, cioè, a un cambiamento di posto di lavoro che non crei rischi per lei, per il feto o per il neonato, dentro lo stesso gruppo professionale o appartenente ad una categoria professionale equivalente a quella occupata fino a quel momento160. In questo cambiamento di posto o di funzioni, la cui spiegazione sta nell’efficace protezione della salute della lavoratrice incinta, del feto o del neonato, saranno applicate le regole stabilite nell’art. 39.1 e 3 SL. Se non esistesse nell’impresa un posto di lavoro o qualche funzione compatibile con lo stato di salute della lavoratrice incinta, del feto o del neonato, corrispondente allo stesso gruppo professionale o una categoria professionale equivalente, la lavoratrice avrà diritto a essere destinata a un posto di lavoro non corrispondente al suo gruppo professionale o la sua categoria professionale equivalente. Nel caso in cui il posto di lavoro al quale sia temporaneamente destinata per proteggerla contro i rischi sul lavoro corrisponda a un gruppo o categoria inferiore, la lavoratrice avrà diritto a conservare la retribuzione che percepiva nel posto di origine. Invece, se deve occupare un posto di lavoro compreso in un gruppo o categoria professionale di livello superiore, la lavoratrice avrà diritto a ricevere il salario corrispondente a quello che va ad occupare effettivamente. Anche se l’art. 26 LPRL non lo prevede espressamente, è chiaro dall’applicazione generale delle regole stabilite nell’art. 39 SL in materia di mobilità funzionale verticale o straordinaria. Questo cambiamento di funzioni della lavoratrice incinta, puerpera o in periodo di allattamento avrà durata temporanea: potrà solo durare fino a quando possa ritornare nel posto precedente in 158 Vedere GARCÍA-PERROTE ESCARTÍN, I., Protección de trabajadores especialmente sensibles a determinados riesgos, op. cit., pag. 44. 159 Si veda RODRÍGUEZ RAMOS, M. J., Grupos especiales de riesgo en la Ley de Prevención de Riesgos Laborales, op. cit., pag. 422, que opina que En todo caso existe la necesidad de acreditar la situación de riesgo que da lugar a la protección; lo que implica que no todas las mujeres trabajadoras embarazadas, que den a luz o en período de lactancia resultan protegidas en dicho precepto, sino tan sólo aquéllas que acrediten tal situación. 160 Così come lo stabiliscono MORENO GENÉ, J., ROMERO BURILLO, A. M. y PARegio decreto n.ELL VEÁ, A., “La protección de la maternidad: de la Directiva 92/85/CEE a la Ley 31/1995, de Prevención de Riesgos Laborales”, op. cit., pag. 34,«Il posto di lavoro assegnato alla lavoratrice deve avere le seguenti caratteristiche : devono essere rispettate le caratteristiche professionali della lavoratrice e devono essere garantiti i medesimi diritti connessi al contratto di lavoro, compreso il mantenimento della medesima retribuzione» 202 condizioni sicure o fino all’inizio del periodo di sospensione del contratto di lavoro per maternità, previsto nell’art. 45.1 d) riguardo all’art. 48.4,entrambi dello SL. Il comma numero 3 dell’art. 26 LPRL stabilisce che se neanche questo cambiamento di posto di lavoro fosse possibile per motivi tecnici od obiettivi, o non potesse esigersi «ragionevolmente» per motivi giustificati, la lavoratrice avrà diritto alla sospensione del contratto di lavoro per rischio durante la gravidanza o l’allattamento naturale previsto nell’art. 45.1 d) SL. In entrambi casi, per il tempo di sospensione del contratto per rischio, siccome la lavoratrice smetterà di percepire il salario corrispondente, avrà diritto a ricevere una prestazione della Previdenza Sociale, regolata negli articoli 135 e 136 del Regio decreto legislativo n. 1/1994, di 20 di giugno, che ha approvato il Testo Refundido della legge Generale di Sicurezza Sociale161. Con questa previsione dell’art. 26.3 LPRL, non c’é dubbio che si garantisce al massimo l’efficacia della protezione delle lavoratrici incinta, puerpere o in periodo di allattamento, giacché si riescono a eliminare completamente i rischi sul lavoro ai quali si sentono esposte ma, tenendo conto che i presupposti per l’adozione da parte del datore di lavoro della sospensione del contratto come misura preventiva,sono espressi in maniera generica e indeterminata, esiste la possibilità che il datore di lavoro ricorra a questa misura senza aver cercato di continuare a prendere i tipi di misure preventive stabilite nei comma 1 e 2 dell’art. 26 che permettessero alla lavoratrice di continuare a lavorare162. Così, il regime giuridico di protezione delle lavoratrici incinta, puerpere o in periodo di allattamento stabilito nell’art. 26 LPRL non riesce a limitare i poteri organizzativi del datore di lavoro in modo che li possa esercitare nel senso più favorevole alla protezione delle lavoratrici. Le misure imposte al datore di lavoro non riescono a garantire che questi adotti le misure di sicurezza necessarie e più efficaci, e che permettano alle lavoratrici di continuare a lavorare (esercitando il loro diritto al lavoro), ma, al contrario, lascia un ampio margine di libertà per giustificare che non c’é nell’impresa un posto di lavoro adatto alla lavoratrice incinta spostando il carico di quel rischio al sistema di Previdenza Sociale. Con l’obiettivo di limitare questo tipo di pratica imprenditoriale, che sposta sulla Previdenza sociale il costo di tale inadempimento del dovere di sicurezza,la legge dei Presupposti Generali dello Stato per 2008 ha stabilito una riduzione delle quote imprenditoriali alla Previdenza sociale (50%), quando il datore di lavoro modifichi la mansione per i rischi cui è esposta Ricorrere direttamente alla sospensione del contratto di lavoro come misura preventiva nei casi di rischio durante la gravidanza e durante l’allattamento naturale, senza avere tentato di adottare misure dirette ad adattare le condizioni o il tempo di lavoro alle specifiche esigenze, costituisce non solo un inadempimento da parte del datore di lavoro del suo dovere di protezione rispetto alle lavoratrici, ma anche, una violazione del diritto costituzionale al lavoro (art. 35.1 CE), della lavoratrice e, allo stesso tempo, una discriminazione sul lavoro per motivi legati alla sua condizione, che a sua volta, si considera espressamente una discriminazione per ragione di sesso163. Così si è espressa la più recente giurisprudenza costituzionale164. Contrariamente a quanto di solito è normale nel sistema di Previdenza Sociale, con questa nuova prestazione economica, consistente nella percezione di una sovvenzione sostitutiva del salario durante il periodo di sospensione del contratto di lavoro, non si aspira a riparare o compensare un danno o una situazione di necessità aggiornata poiché si tratta nettamente di una prestazione preventiva che cerca di evitare, precisamente, la trasformazione del rischio in danno preservando la salute della lavoratrice. Così lo dimostra MOLINA NAVARRETE, C., «La protección de colectivos especiales de trabajadores», op. cit. pag. 404. Si deve tenere presente che la legge di Parità ha sollevato l’importo di questa prestazione dal precedente 75 percento della base regolatrice corrispondente, al 100 percento della stessa (nuovo art. 135.3 LGSS). 162 Si veda, PIZA GRANADOS, J., «Maternidad y prevención de riesgos laborales en la Ley 39/1999», Aranzadi Social, num. 20, 2000, pag. 92 alla 100. 163 Così l’ha affermato nel’art. 8 della legge di Parità. 164 Così, ad esempio, le sentenze del Tribunale Costituzionale 17/2003, del 30 gennaio e 161/2004, del 4 ottobre che ritengono che la creazione a favore di una lavoratrice incinta di un posto di lavoro nell’impresa compatibile con il suo stato, per il caso che tale posto esista, e ricorrere alla sospensione del contratto di lavoro costituisce una misura discriminatoria nelle condizioni della donna nel lavoro in ragione della sua gravidanza. 161 203 Saranno i rappresentanti dei lavoratori e l’Ispettorato del Lavoro e della Previdenza Sociale – in quanto organismo pubblico165, con carattere generale, i responsabili della vigilanza e del controllo dell’adeguato compimento da parte del datore di lavoro di tutti gli obblighi che, secondo la normativa preventiva in vigore, integrano il suo dovere di garantire una protezione efficace a tutti i lavoratori al suo servizio. Essi dovranno verificare che la misura sospensiva sia effettivamente usata coma extrema ratio. Il tempo di durata di questa sospensione contrattuale sarà, nel caso delle lavoratrici incinte (sospensione per rischio durante la gravidanza), il tempo necessario per garantire un’efficace protezione della loro salute o di quella del feto, vale a dire, verrà mantenuta più a lungo l’incapacità della lavoratrice, nell’attesa che possa riprendere il suo posto precedente o un altro posto compatibile con la sua condizione166, ovvero, fino all’inizio della sospensione del suo contratto per causa di maternità (come prevede espressamente l’art. 48.5 SL). Nel caso delle lavoratrici che siano in periodo di allattamento naturale, sospensione per rischio durante l’allattamento naturale, la quale non era prevista nella LPRL fino alla riforma avutasi con la legge di Parità167, la sospensione si potrà esercitare solo quando il figlio lattante sia minore di nove mesi e la sua durata massima sarà compresa la tra l’inizio della stessa e la data in cui il figlio lattante raggiunga l’età di nove mesi. Essa dovrà finire prima se l’impossibilità della lavoratrice di ritornare al lavoro finisce prima che il figlio lattante raggiunga l’età indicata168. Logicamente, in questo caso si deve produrre l’allattamento naturale effettivo per tutto il tempo di sospensione del contratto di lavoro, in modo che se l’allattamento naturale si interrompe, da quello stesso momento dovrà finire la sospensione contrattuale. Il meccanismo di chiusura previsto dalla LPRL di garantire alle lavoratrici incinta, o in periodo di allattamento naturale (e/o al feto o il figlio lattante)169, una protezione efficace contro i rischi sul lavoro legati all’esecuzione della prestazione è, come si è visto, la sospensione del loro contratto di lavoro. Questa previsione dovrebbe essere messa in connessione con le disposizioni dell’art. 53.4 b) del SL, che stabilisce la nullità dei licenziamenti per cause oggettive delle donne incinta, dalla data di inizio della gravidanza fino all’inizio del periodo di sospensione del loro contratto, a meno che il datore di lavoro non dimostri la presenza di comportamenti della lavoratrice che vi abbiano dato causa. Secondo un’interpretazione congiunta dell’art. 26 LPRL e dell’art. 53.4 b) SL, la conclusione alla quale si arriva è il fatto che in caso esistano rischi nel posto di lavoro occupato da una lavoratrice incinta e non esistano misure di sicurezza adeguate per proteggere la salute dalla stessa, del feto o del neonato, né esista nell’impresa un altro posto compatibile con il suo stato, non si giustifica la decisione del datore di lavoro di licenziare quella lavoratrice, né per mancanza di attitudine sopravvenuta all’esercizio delle proprie funzioni ai sensi della lettera a) dell’art. 52 SL, né per mancanza di adattamento alle modificazioni tecniche operate nel loro posto 165A questo proposito occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 14 della legge di Parità, uno dei criteri generali che deve ispirare l’attuazione di tutti i poteri pubblici è quello della protezione della maternità, con speciale attenzione all’assunzione per la società degli effetti derivati della gravidanza, parto o allattamento. 166 Questo quarto passo o livello di tutela non si trova nella versione iniziale della LPRL del 1995, anche se era previsto nella normativa comunitaria. La sua introduzione è attribuibile in seguito dalla legge 39/1999, del 3 marzo, di Conciliazione della vita familiare e di lavoro delle persone lavoratrici. 167 In effetti, in precedenza all’entrata in vigore della legge di Parità, la misura preventiva di sospensione del contratto di lavoro non risultava applicabile alla situazione di allattamento naturale, dedicandosi così un regime di protezione inferiore a quello stabilito nella direttiva 92/85. Questo deficit di protezione è stato emendato attraverso il numero 2 della Disposizione Addizionale dodicesima della legge di Parità che aggiunge al comma 4 dell’art. 26 della LPRL il seguente contenuto: «Podrá, asimismo declararse el pase de la trabajadora afectada a la situación de suspensión del contrato por riesgo durante la lactancia natural de hijos menores de nueve meses contemplada en el art. 45.1 d) del Estatuto de los Trabajadores, si se dan las circunstancias previstas en el número 3 de este artículo. 168 Questo è stato stabilito nella nuova redazione che la Disposizione Addizionale undicesima ha dato all’art. 48.5 SL. 169 Nel caso delle lavoratrici in maternità, non si stabilisce recentemente questa possibilità di licenziamento come misura per non compiere gli obblighi di protezione stabiliti nell’art. 26 LPRL poiché tali lavoratrici, per imperativo legale, (art. 48.4 SL), avranno il loro contratto sospeso per ragione della loro maternità, almeno per le sei settimane successive al parto. 204 di lavoro con la finalità di prevenire i rischi sul lavoro che la colpivano (lettera b), dell’art. 52 SL, né per il concorso di cause economiche, tecniche, organizzative o di produzione (prevista nella lettera c), dell’art. 52 SL. Il datore di lavoro in tali casi, per imperativo legale, è obbligato ad adottare lo specifico regime di protezione sancito nell’art. 26 LPRL, e in conseguenza, l’ultima misura alla quale può ricorrere per garantire alle lavoratrici una protezione efficace è quella di sospendere il loro contratto di lavoro, ma non di licenziarle. Il licenziamento in questo caso è completamente vietato: si considera discriminatorio per essere basato direttamente sullo stato di gravidanza della donna lavoratrice170. Rispetto alle lavoratrici in allattamento, la presunzione di nullità del licenziamento prevista nell’art. 53.4 b) SL è relativa, a meno che contemporaneamente non esercitino il permesso o la riduzione della giornata lavorativa concesso dall’art. 37.4 SL. Questo non significa che in tale caso sia legittimo che il datore di lavoro possa licenziare le lavoratrici che occupino posti di lavoro con rischio per la loro salute o quella del loro figlio minore di nove mesi. In questo caso, si applica pienamente il regime di protezione stabilito nell’art. 26 LPRL, in modo che il datore di lavoro dovrà ricorrere alla sospensione del contratto di lavoro della lavoratrice che sia in quella situazione. Infatti, se il datore di lavoro invece di sospendere il contratto, decide licenziare la lavoratrice, quel licenziamento dovrà essere considerato anche nullo ai sensi dell’art. 53.4 a, SL, che sancisce la nullità dei licenziamenti prodotti comminati durante il periodo di sospensione del contratto per rischio durante l’allattamento. In effetti, se il datore di lavoro non riesce a soddisfare il suo obbligo di protezione della salute della lavoratrice in allattamento e, inoltre, approfitta della situazione per licenziarla ed esimersi dal rispetto degli obblighi preventivi, anche se in realtà non esiste la situazione contrattuale di sospensione e si applica ugualmente la conseguenza giuridica prevista per i licenziamenti illegittimi, ossia la nullità. Diversamente si favorirebbe l’inadempimento da parte del datore di lavoro dei suoi obblighi preventivi e si danneggerebbe il diritto alla parità e non discriminazione delle lavoratrici in allattamento171. Logicamente, affinché si possa produrre la nullità del licenziamento la lavoratrice dovrà dimostrare in giudizio l’effettiva situazione di esposizione a qualche tipo di rischio sul lavoro durante l’allattamento e l’inadempimento da parte del datore di lavoro degli obblighi di protezione stabiliti nell’art. 26 LPRL. Sarebbe anche discriminatorio, e pertanto nullo, il licenziamento di una lavoratrice incinta,puerpera o in periodo di allattamento naturale che, per necessità derivate della protezione della salute propria, del feto o del figlio sia stata adibita da altra mansione dal datore ai sensi dell’art. 26.2 LPRL e non si adatti adeguatamente allo stesso o non realizzi adeguatamente le sue prestazioni. Qui risulterebbe direttamente applicabile la disposizione dell’art. 39.3 SL, che impedisce di invocare le cause di licenziamento oggettivo di inettitudine sopravvenuta o di mancanza di adattamento alla nuove mansioni cui la lavoratrice è assegnata, perché l’art. 26.2 della LPRL segnala espressamente che al cambiamento delle mansioni prodotto da fattori di salute e sicurezza sul lavoro delle lavoratrici incinta,puerpere o in periodo di allattamento Si ritiene che il licenziamento delle lavoratrici in queste specifiche situazioni relazionate con la maternità costituisce un rischio sul lavoro specifico rispetto al quale logicamente devono essere protette. Anche se questa connessione diretta tra divieto legale di licenziamento delle lavoratrici incinta, puerpere o in periodo di allattamento, e protezione avverso i rischi sul lavoro delle stesse non è espressamente annoverato nel nostro ordinamento di lavoro interno, tuttavia, la relazione risulta innegabile se si tiene in conto che quella disposizione statutaria suppone la trasposizione nel nostro Diritto interno, come è previsto nell’art. 10 della direttiva n. 92/85/CEE, del Consiglio, del 19 ottobre 1992, relativa all’applicazione delle misure per promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute nel lavoro della lavoratrice incinta, puerpere o in periodo di allattamento. 171 Com’è sottolineato in generale per MORENO GENÉ, J., ROMERO BURILLO, A. M. y PARegio decreto n.ELL VEÁ, A., “La protección de la maternidad: de la Directiva 92/85/CEE a la Ley 31/1995, de Prevención de Riesgos Laborales”, op. cit., pag. 10, sulla protezione della maternità dalla prospettiva di lavoro, questa afferma «la protezione apprestata dall’ordinamento risponde ad una duplice finalità, ossia tanto a quella di proteggere la mamma e il feto quanto a quella di proteggere la mamma da un punto di vista professionale, prevedendosi che la maternità, in nessun caso può essere fonte di discriminazione per la donna». 170 205 naturale, sono applicabili le regole e criteri della mobilità funzionale, ossia, del regime giuridico previsto nell’art. 39 SL. Ne consegue che, ai sensi delle normative vigenti in materia di protezione dai rischi sul lavoro delle lavoratrici incinta, puerpere o in allattamento, risultanti dell’applicazione combinata dell’art. 26 LPRL e del divieto di licenziamento, non si assicura soltanto una protezione efficace rispetto ai rischi che si corrono sul lavoro, ma si protegge la donna da possibile discriminazione sul lavoro connessa con la condizione biologica in cui si trova, poiché si impedisce l’esposizione a determinati rischi legati direttamente a tale stato biologico ma anche il rischio di un licenziamento discriminatorio In definitiva, le lavoratrici incinte, puerpere o in allattamento, dispongono di una tutela efficace in materia di salute e sicurezza sul lavoro, a non essere licenziate, a meno che il datore di lavoro riesca a dimostrare che esiste una causa ulteriore che giustifichi legalmente il licenziamento, poiché il licenziamento in questo caso si considera che costituisca un rischio specifico sul lavoro per questa classe di lavoratrici. La tutela dei lavorati immigrati. Il rischio di lesione per infortunio sul lavoro è più elevato tra i lavoratori immigrati. Uno studio recente mostra che questi hanno il 34% in più di probabilità di avere un incidente mortale sul lavoro – e il 13% in più degli incidenti non mortali – rispetto a un lavoratore nativo. Questo aumento del rischio tra i lavoratori immigrati si verifica in tutta la Spagna, e in particolare in alcuni comunità autonome come Aragón, (426% e 76%, rispettivamente), o Cataluña (79% e 16%, rispettivamente), com’è evidenziato in un documento pubblicato nell’ultimo numero della Revista Española de Salu Pública. La differenza è già stata identificata nel 2006 in un altro documento pubblicato nello Journal of Epidemiology and Community Health. Questa situazione di maggior rischio può essere spiegata da diverse cause. Tra esse, d’accordo con uno studio qualitativo realizzato a Madrid, Barcellona, Valencia, Huelva e Alicante, e coordinato dall’Unidad de Investigación en Salud Laboral de la Universidad Pompeu Fabra, si rileva che questi lavoratori occupano posti di lavoro nei settori e nelle professioni più pericolose, per le loro povere condizioni materiali e di organizzazione(durata della giornata o turni). Ad esempio, un numero significativo di donne immigrante lavora(senza contratto nell’immensa maggioranza dei casi), in compiti domestici e di cura di persone, sostituendo le spagnole – principali responsabili di questi compiti – esposte a rischi ergonomici (manipolazione di carichi pesanti, scomode posture, ecc.), igienici (prodotti di pulizia, ecc.), e psicosociali (esigenze emozionali, problemi di trattamento, isolamento, monotonia, aspettative, ecc.), poco riconosciuti e ancor meno controllati. Inoltre, questi lavoratori hanno poche possibilità di modificare le loro condizioni di lavoro, data la precarietà della loro relazione di lavoro, con frequenti rinnovi del loro contratto di lavoro, quando esiste questo contratto172. Ma l’aspetto più preoccupante della situazione evidenziato dalle statistiche ufficiali è che la realtà può essere ancora peggiore, poiché in caso di un infortunio sul lavoro di uno spagnolo che probabilmente si dichiari, ma se questo succede ad un lavoratore straniero la probabilità che si proceda alla dichiarazione di infortunio sul lavoro è minore. La loro situazione di precarietà di lavoro – di informalità o di irregolarità li lede ancor di più. Inoltre, il loro accesso alle misure preventive è minore. Tutto ciò porta a concludere che i lavoratori immigranti costituiscono un gruppo altamente vulnerabile che richiede l’attuazione urgente di una serie di misure di sicurezza. In caso contrario, questi lavoratori perderanno la loro salute, e a volte anche la vita, in maniera più veloce rispetto agli altri per il semplice fatto di essere in altri paesi, specialmente se poveri. a) Lavoratori immigranti «regolari» Sembra ovvio che i lavoratori stranieri che lavorano nel territorio spagnolo quando si trovino in situazione amministrativa «regolare», cioè, quando hanno i permessi di lavoro e di soggiorno per Si veda PORTHÉ V., AMABLE, M. y BENACH, J., “La precariedad laboral y la salud laboral de los inmigrantes en España”, Archivo de Prevención de Riesgos Laborales, num. 10, 2007, pags. 34 alla 39. 172 206 la legislazione vigente, LO sui diritti e libertà degli stranieri in Spagna e la loro integrazione sociale, riformata parzialmente dalla LO 8/2000, del 22 di dicembre (LODE d’ora in poi), sono titolari pieni di tutti i diritti individuali e collettivi che l’Ordinamento giuridico di lavoro riconosce in favore dei lavoratori nazionali173. E non potrebbe essere diversamente in virtù del principio costituzionale di parità e non discriminazione(art. 14 CE)174, per motivi di nazionalità,origine o razza, che hanno una manifestazione espressa non solo nella legislazione del lavoro, negli art. 4.2 c) e 17.1 SL, ma anche nell’art. 23 del LO 4/2000175. Così i lavoratori stranieri che hanno richiesto il loro permesso di lavoro, come autentici lavoratori ai fini della LPRL, sono indubbiamente titolari del diritto di godere di un’efficace protezione dai rischi sul lavoro, e di tutte le altre tutele del caso sia nazionali che comunitarie. La LPRL non fa nessun riferimento né implicito né esplicito al riguardo ma, senza dubbio, alla luce dell’ordinamento giuridico attuale, a partire dalla Costituzione, esso si può dedurre. Vanno messe in rilievo altre circostanze. La prima è relativa al fatto che, se non in tutti, è in gran parte dei casi che i lavoratori stranieri occupano posti di lavoro poco qualificati e sono sottoposti ad alcuni condizioni di lavoro specialmente penose, con nuovi e più gravi rischi per la loro vita, la loro integrità e la loro salute, le quali normalmente sono accompagnate dalla loro mancanza di una formazione adeguata. La seconda si riferisce al fatto che in molti casi, gli immigrati non parlano la lingua spagnola la conoscono molto poco, così come le altre lingue ufficiali in determinate Comunità Autonome. Questa è una circostanza che può essere un ostacolo notevole per la loro comprensione delle misure di protezione e prevenzione. Questo fatto significa che, anche se ricevono dal datore di lavoro l’informazione, la formazione e le istruzioni adeguate sulla materia, queste sono completamente inefficaci e inefficienti, per la mancanza di comprensione dei destinatari, dando luogo a protezione carente, all’aumento dei rischi nell’impresa per gli altri lavoratori, e infine, all’impossibilità assoluta che questi lavoratori stranieri possano rispettare gli obblighi di prevenzione che l’art. 29 LPRL impone a tutti i lavoratori come meccanismo di chiusura della garanzia tanto della propria salute quanto di quella degli altri lavoratori. Se il datore di lavoro nei casi in cui sia necessario non assume un interprete affinché il lavoratore straniero possa comprendere perfettamente le informazioni e istruzioni ricevute,pur potendolo fare, incorre in un inadempimento di tali obblighi. Non si può dimenticare che ciò che è in questione in questo caso è l’effettiva protezione dei lavoratori dai rischi sul lavoro e ciò richiede di attuare in modo materiale e non puramente formale gli obblighi legali. Altro fattore è mancanza integrazione sociale e lavorativa del lavoratore straniero nel posto di lavoro, che oltre a dare luogo a rischi di natura psicosociale specifici per se stesso, può anche diventare un fattore aggiunto di rischio sul lavoro per gli altri lavoratori dell’impresa con cui egli si coordina. La protezione efficace sul lavoro dei lavoratori immigranti, richiede la stretta applicazione da parte del datore di lavoro, nel compimento del suo dovere di garantire tale protezione efficace sul lavoro, delle stesse condizioni applicate a qualunque altro lavoratore nazionale della sua impresa. Il datore di lavoro dovrà conoscere tali circostanze speciali, valutare i rischi addizionali e specifici 173 Vedere RODRÍGUEZ PIÑERO, M., “Principio de igualdad y estatuto del trabajador inmigrante”, Relaciones Laborales, num. 8, 2001, pag. 3 y 4. 174 Cfr. l’Accordo n. 97 dell’OIL del 1949 e la raccomandazione associata n. 86, sui lavoratori migranti, e successivamente aggiornato dall’Accordo n. 143 e la raccomandazione n. 151 del 1975, cui si aggiungono disposizioni volte a eliminare le condizioni di lavoro abusivo e a garantire i diritti umani fondamentali e la parità di trattamento dei lavoratori migranti; e anche l’Accordo Internazionale su Protezione dei diritti dei Lavoratori Migranti e i Membri delle loro famiglie del 1990 dell’ONU, nel quale si riconosce il diritto dei lavoratori migranti ad avere il riconoscimento degli stessi diritti sul lavoro 175 L’art. 23 della LO 4/2000, sotto il titolo di «Actos discriminatorios» stabilisce che: «1. Agli effetti di questa legge rappresenta discriminazione tutto ciò che, direttamente o indirettamente, comporta esclusione, restrizione o esclusione per motivi legati alla razza ed a motivi etnici o religiosi e che non tenga conto delle condizioni di libertà ed uguaglianza che sono i contenuti fondamentali dei diritti umani». 207 cui sono esposti il lavoratore straniero e gli altri lavoratori, adottando le misure di sicurezza necessarie e adeguate per prevenirli, tanto quelle espressamente raccolte nelle norme legali e regolamentari, quanto tutte le altre necessarie e possibili, come in generale lo prevedono gli articoli 14.2 e 16 LPRL. In definitiva, si deve rispettare in maniera diligente il principio fondamentale dell’attività preventiva consistente nell’adattare il lavoro alla persona del lavoratore (art. 15.1 d) LPRL). a) Lavoratori immigranti «irregolari». Per quanto riguarda i lavoratori immigranti in situazioni irregolari, chiamati anche «senza documenti», ossia quelli che svolgono una prestazione di lavoro in Spagna senza avere ottenuto previamente il permesso di lavoro né il loro datore di lavoro ha l’autorizzazione amministrativa per assumerli, secondo quanto disposto dai commi 1 e 3 dell’attuale art. 36 LODE, la questione che si pone immediatamente è quella di sapere la posizione giuridica che corrisponde agli effetti del loro lavoro, quali sono i diritti che gli spettano, anzitutto quelli individuali. Tutto ciò al fine di capire se i lavoratori stranieri non regolarizzati sono titolari o meno del diritto soggettivo a un’efficace protezione dai rischi che possono sorgere per la loro vita, integrità psico-fsica e la loro salute nel luogo di lavoro in relazione al contratto di lavoro176. La risposta a questa domanda si riferisce direttamente alla determinazione dell’efficacia o validità del contratto di lavoro sottoscritto tra l’immigrante straniero in situazione irregolare e il datore di lavoro, che sono stati oggetto di un ampio e controverso dibattito in giurisprudenza ed in dottrina. Al fine di comprendere e di spiegare la situazione attuale, vale la pena analizzare l’evoluzione della regolamentazione esistente in Spagna al riguardo e l’interpretazione e applicazione che ne è seguita. La prima Ley de Extranjería (legge sulla condizione di Straniero), è stata la OL 7/1985, che non stabiliva nessuna conseguenza per il caso che lo straniero lavorasse senza permesso di lavoro, così come i due successivi regolamenti applicativi, il Regio decreto n. 1119/1986 e il Regio decreto n. 155/1996, che ha abrogato il precedente. La posizione unanime dei tribunali – salvo piccole variazioni – è stata di consolidare la dottrina nata prima del OL 7/1985, nel senso della nullità del contratto di lavoro sottoscritto senza il permesso di lavoro177. Questa soluzione ha portato a una situazione davvero ingiusta per gli stranieri senza permesso di lavoro perché permetteva che alcuni datori di lavoro si proteggessero nell’illegalità della contrattazione per non procedere, per esempio, al pagamento delle indennità, favorendo prassi di inadempimento da parte dei datori di lavoro178. Anche se questa situazione di chiara ingiustizia è stata oggetto di critica da parte della dottrina, perché nessuno poteva smettere di tenere in conto che l’interesse del divieto di lavorare senza permesso rimaneva già sufficientemente protetto con la sanzione imposta alle parti contrattuali(multa per il datore di lavoro e multa o espulsione per il lavoratore), e che la nullità risultava non solo inefficace ma, pregiudicava i soggetti contrattuali, 176 Su questo tema si veda lo studio di CAMAS RODA, F., “Inmigración y seguridad y salud laboral”, AAVV (MENDOZA NAVAS, N. y SERRANO GARCÍA, J. M. Coords.), Estudios sobre Extranjería, Bomarzo, Albacete, 2005. 177 Detta dottrina si è basata sulla sua interpretazione dell’art. 7 c) SL e dell’art. 6.3 del Codice Civile. In base a questa normativa l’assenza del permesso di lavoro determinava, da una parte, la mancanza delle capacità per contrattare, e dall’altro, l’infrazione di una norma proibitiva (dell’art. 15 il 7/1985), producendo in entrambe le circostanze, la nullità contrattuale. In questo senso, tra le altre, la STS del 21 marzo del 1997. In contrasto con questa interpretazione si mostrava RODRÍGUEZ-PIÑERO y BRAVO-FERRER, M., “Principio de igualdad y estatuto del trabajador inmigrante”, op. cit., pag. 7. La principale conseguenza della nullità del contratto era che l’atto del datore di lavoro di dare per finita prestazione dei servizi non si considerava licenziamento e i loro effetti erano limitati alle disposizioni previste nell’art. 9.2 SL che attribuiva al lavoratore in quei casi il diritto alla remunerazione del lavoro realizzato. Pertanto, questo non aveva diritto all’indennità che gli si poteva corrispondere a titolo di licenziamento né, in generale, a nessun altro diritto che non fosse controprestazione dell’attività effettivamente eseguita, come, in generale, qualsiasi altro diritto di risarcimento o delle prestazioni di Previdenza sociale originate da contingenze professionali. 178 Di «enriquecimiento injusto» del datore di lavoro si riferisce DEL VAL TENA, A. L., “El derecho de los extranjeros a la protección de la salud”, Revista Española de Derecho del Trabajo, num. 109, 2002, pag. 68. 208 sia il lavoratore non regolare che il datore(il quale, perfino, si avvantaggiava di ciò poiché al lavoratore straniero era riconosciuto solo il diritto alla controprestazione per il lavoro realizzato e non tutti gli altro diritti derivanti dalla relazione di lavoro), e con cui si diminuiva in larga misura il costo del fattore lavoro, quella, nonostante tutto, nella maggioranza, accettava la nullità del contratto come incontrovertibile179. In questo contesto, sanzionando il contratto con la nullità radicale e quindi, l’inefficacia assoluta di tutti i suoi effetti, la logica immediata conduceva a negare a questi lavoratori la protezione in materia di salute e sicurezza sul lavoro come previsto nell’OGSHT e nell’art. 19 SL, che appariva applicabile in via esclusiva ai lavoratori con i quali è stato concluso un contratto di lavoro valido. Si passò poi alla promulgazione del LO 4/2000. L’art. 33.1 di questa legge esigeva la domanda del permesso di lavoro agli stranieri che desiderassero lavorare in Spagna ma, inoltre l’art. 33.3 segnalava «los empleadores que contraten a un trabajador deberán solicitar y obtener autorización previa del Ministerio de Trabajo y Asuntos Sociales» (i datori di lavoro che assumano un lavoratore dovranno fare la domanda e ottenere l’autorizzazione previa del Ministero di Lavoro e Temi Sociali), e posteriormente dichiarava che «la carencia de la correspondiente autorización para contratos por parte del empleador, sin perjuicio de las responsabilidades a que dé lugar, no invalidará el contrato de trabajo respecto de los derechos del trabajador extranjero», (la mancanza della corrispondente autorizzazione per contratti da parte del datore di lavoro, senza danno delle responsabilità, non invaliderà il contratto di lavoro rispetto ai diritti del lavoratore straniero). Un’interpretazione letterale e sistematica di questo precetto evidenziava che erano previste due autorizzazioni diverse e non equiparabili in nessun aspetto, essendo quella prevista nell’art. 33.3 un’autorizzazione della quale dovevano dotarsi i datori di lavoro, in modo che il riferimento espresso alla loro mancanza non implicherebbe l’invalidità del contratto, non sembrava che potesse estendersi anche alla mancanza del permesso di lavoro. Se il precetto diceva di una autorizzazione diversa dal permesso di lavoro, la cui mancanza non invalidava il contratto, le implicazioni contrattuali della mancanza del permesso continuavano a non essere qualificate, così si continuava a seguire l’orientamento precedente della giurisprudenza che sanzionava la mancanza del permesso di lavoro per il lavoratore assunto con la nullità del contratto. Tuttavia, è possibile trovare sentenze che non fanno propria questa interpretazione maggioritaria e che hanno considerato che non solo quando manca l’autorizzazione per il datore di lavoro, ma neanche la mancanza del permesso di lavoro determinava la nullità del contratto di lavoro concluso180. Altre, invece, non notarono nessun cambiamento al riguardo nella nuova LO 4/2000, il che significa che il suo art. 33.1 non determina altro che una ripetizione dell’art. 9.2 SL, e che, pertanto, il contratto di lavoro continuava a essere nullo in entrambi i casi181. La situazione sembra cambiare con la LO 8/2000, del 22 di dicembre che modifica parzialmente ma con sostanza alcuni aspetti all’anteriore legge sulla condizione del Straniero. Di questa ultima legge, in generale, si può dire che ha condizionato il riconoscimento dei diritti ai lavoratori stranieri affinché vengano regolarizzati. Gli immigranti in situazione irregolare e che effettivamente lavorano sono soggetti ad una complessa problematica di qualificazione giuridica e di applicazione di tutele. L’art. 36.1 secondo la formulazione data dalla nuova legge che concorda con l’art. 33.1 dell’anteriore legge, esige che gli stranieri ottengano il permesso di lavoro quando vogliano lavorare in Spagna e, l’art. 36.3 segnala che «los empleadores que deseen contratar a un extranjero no autorizado para trabajar deberán contar, conforme a lo dispuesto en el apartado 1 de este artículo, con autorización del Ministerios de Trabajo y Asuntos Sociales» (i datori di lavoro che desiderino assumere uno straniero non autorizzato per lavorare, dovranno contare, come è 179 Ciò è dimostrato TARABINI-CASTELLANI AZNAR, M., “Las consecuencias contractuales de la falta de permiso de trabajo tras las nueva Ley de Extranjería. A propósito della sentencia del TSJ de Cataluña de 14 de mayo de 2002”, Actualidad Laboral, num. 10, 2003, pag. 161 e 162. 180 Questa è la posizione espressa nella sentenza Andalucía/Granada, del 16 maggio 2001. 181 In tal senso vedi la sentencia del TSJ de La Rioja, de 27 de noviembre de 2001. 209 previsto nel comma 1 di questo art., sull’autorizzazione dei Ministeri di Lavoro e Temi Sociali). Questo terzo numero dell’art. 36 nella sua versione attuale altera il senso dell’art. 33.3 il 4/2000, equipara l’autorizzazione amministrativa per potere assumere stranieri con il permesso di lavoro dei lavoratori stranieri dal momento che afferma che i datori di lavoro devono ottenere le autorizzazioni previste nel 36.1 LOE, relativo ai permessi di lavoro, per cui l’autorizzazione del datore di lavoro ed il permesso di lavoro si riconducono a questo ultimo. Ebbene, se tale autorizzazione che il datore di lavoro deve ottenere è un permesso di lavoro e non una autorizzazione indipendente, l’art. 36.3 LOE sembra incorporare una norma rivoluzionaria come poche nella legge spagnola sulla condizione dello Straniero. Dopo la LO 8/2000 dovrebbe essere chiaro che la dichiarazione finale dell’art. 33.3 LO 4/2000 che stabiliva che la carenza di detta autorizzazione non invaliderebbe il contratto rispetto ai diritti del lavoratore straniero, e che è rimasto nell’attuale art. 36.3 LOE, è predicabile ugualmente della mancanza del permesso di lavoro, per cui non è più solo la mancanza di autorizzazione amministrativa per il datore di lavoro bensì neanche l’assenza del permesso di lavoro provocano la nullità del contratto di lavoro182. Anche se probabilmente l’intenzione del legislatore controriformista era quella di provocare questo effetto giuridico, non c’è dubbio che l’attuale regolamento consente di realizzare un’interpretazione che rappresenta un radicale cambiamento rispetto alla precedente situazione183. Questa interpretazione, al di là del Diritto positivo, si basa sul fatto che, come è dimostrato da molti autori, la legge sulla condizione di straniero e la legislazione susseguente a questa politica, non devono ignorare il fatto che le persone interessate hanno i diritti propri della persona umana184, e che anche come lavoratori, sono titolari dei diritti costituzionali e giuridicamente vincolati al fatto della prestazione di lavoro retribuito per conto di terzi185. La predominanza degli aspetti amministrativi legati al loro ingresso su quelli relativi alla disciplina dei rapporti di lavoro, nel momento dell’accoglienza degli immigranti, non può ignorare che questi, una volta che hanno attraversato le frontiere e si trovano nel territorio spagnolo e vi prestano attività lavorativa, sono lavoratori a tutti gli effetti, per l’ordinamento giuslavoristico, con tutti i suoi strumenti, e dunque hanno diritto a ricevere la protezione186. In ultima analisi, assumendo l’interpretazione del LO 8/2000 più favorevole al riconoscimento ed effettività dei diritti sul lavoro degli stranieri, la conclusione alla quale si arriva è che la conclusione dei contratti di lavoro con lavoratori stranieri in situazione irregolare non implica più la conseguenza giuridica della nullità di detti contratti bensì la piena validità degli stessi. E se è così, il successivo risultato che segue immediatamente da questo è che l’immigrato irregolare avrà tutti i diritti corrispondenti alla sua condizione di lavoratore già maturati187. 182 Si veda nello stesso senso, RODRÍGUEZ-PIÑERO Y BRAVO-FERRER, M., “Principio de igualdad y estatuto del trabajador inmigrante”, op. cit., pag. 8. 183 In questo senso si manifesta già la sentenza del TSJ de Cataluña de 14 de mayo de 2002; e nello stesso senso vedi anche RODRÍGUEZ-PIÑERO, M., “Principio de igualdad y estatuto del trabajador inmigrante”, op. cit., pag. 6. Per quest’autore questa posizione non deriva solo dalla riforma legale della legislazione sui diritti degli stranieri in Spagna ma basterebbe applicare i valori tradizionali e propri dell’Ordinamento giuridico del lavoro. 184 Così, ASÍS ROIG, R., “Inmigrantes: sujetos de derechos”, Revista Telemática de Filosofía del Derecho, núm. 8, 2004/2005, pag. 259 (www.filosofiayderecho.com), che difende con carattere generale che «una politica sull’immigrazione deve necessariamente coinvolgere la tutela dei diritti umani». 185 Relazione al fenomeno dell’immigrazione in Italia, ma che può paragonarsi al fenomeno in Spagna, GAROFALO, M. G., y McBRITTON, M., “Immigrazione e lavoro”, Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, n. 3, 2000, pag. 511, segnalano che, una volta che si è assunto che la presenza dei cittadini stranieri nella società italiana costituisce un fenomeno autenticamente strutturale e non puramente congiunturale, è pericoloso per il buon funzionamento di questa società , il fatto che quegli immigrati non abbiano gli stessi diritti rispetto ai cittadini della nazione e per ciò non possano essere integrati in questa società, e per evitare questo rischio postulano la necessità e convenienza che anche il contratto sociale sancito nella Costituzione si applica anche pienamente a questo gruppo di lavoratori. 186 Ibidem, pag. 9. 187 Sulla questione esistono opinioni molto diverse e anche contraddittorie rispetto al significato e interpretazione dell’art. 36.3 della legge sulla condizione dello Straniero nella sua versione attualmente in vigore. 210 Questo pieno riconoscimento dei loro diritti è in linea con la necessità di rispondere alla preoccupazione comunitaria di assicurare agli immigranti alcune adeguate e soddisfacenti condizioni di vita e di lavoro e l’integrazione nel paese di destinazione e di eliminare forme esistenti di discriminazione e di esclusione sociale, importante funzione in cui le istituzioni giuridiche sono chiamate ad avere un ruolo rilevante188. Infine, anche se l’ultima riforma in materia di immigrazione, avutasi con la LO 14/2003, del 20 novembre, realizza una modificazione dell’art. 36.3 della LO nella sua ultima versione giuridicopositiva, risultato della LO 8/2000, essa tuttavia, non influisce su ciò che qui ci interessa, perché semplicemente dispone di lasciare intatta la disposizione per cui la mancanza della corrispondente autorizzazione amministrativa da parte del datore di lavoro, oltre a non invalidare il contratto di lavoro rispetto ai diritti del lavoratore straniero, (quello già detto prima di questo precetto dopo la sua riforma per la LO 8/2000), no será de obstáculo para la obtención de las prestaciones que pudieran correspponderle (non sarà ostacolo per ottenere le prestazioni che potessero corrispondergli), e, logicamente, farà incorrere ai datore di lavoro nelle corrispondenti responsabilità in materia di Previdenza sociale. Pertanto, il lavoratore immigrato è titolare pieno dei diritti soggettivi legati al lavoro, come gli altri lavoratori ed è pertanto titolare anche di una protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul lavoro, potendo esercitare le facoltà a parità di condizioni rispetto ai lavoratori nazionali o agli stranieri regolarizzati. Devono comunque essere prese in considerazione le circostanze particolari che derivano dalla condizione di immigrato (scarsa famigliarità con la lingua, cultura e abitudini in molti casi differenti alla nostra, ecc.), e che sono già state delineate in relazione ai lavoratori stranieri in situazione di regolarità, alle quali bisogna aggiungere inoltre il fatto che gli abusi spesso derivano proprio dal datore di lavoro poiché la situazione di irregolarità li pone in uno stato di inferiorità crescente fino ad assumere i contorni della autentica schiavitù189. Questi abusi sono evidenti in quasi tutti gli aspetti del rapporto di lavoro, e naturalmente, le condizioni di salute e sicurezza sono un ambito importantissimo. In sintesi, le circostanze particolari soggettive del lavoratore immigrato irregolare devono essere tenute necessariamente in considerazione per determinare quali sono gli obblighi di sicurezza del datore di lavoro al fine di soddisfare nei termini legalmente richiesti il loro diritto a godere una protezione dai rischi, con parità rispetto agli altri lavoratori. In caso contrario, questi lavoratori finiscono per trasformarsi in autentiche vittime in conseguenza della loro situazione di immigranti irregolari, e rischiano di essere non protetti sia dal diritto cha dai fatti. Oltre alla tutela efficace della vita, dell’integrità psicofisica e della salute di questi lavoratori,che senza dubbio è la cosa principale, vi è anche da considerare la questione della concorrenza sleale in cui incorrono i datori di lavoro che assumono questo tipo di lavoratori così vulnerabili. In effetti, i datori di lavoro che assumono lavoratori immigranti in situazione irregolare senza rispettare la maggior parte degli obblighi legali preventivi e di Previdenza Sociale, riescono a ridurre notevolmente i costi di manodopera, e ciò permette di porre il loro prodotto sul mercato a prezzi più economici e, pertanto, molto più competitivi, rispetto a quelli degli imprenditori che rispettano strettamente gli obblighi giuridici. II.8.4 Conclusioni. A questo proposito, l’art. 54.1 d) della vigente legge sulla condizione dello Straniero definisce come infrazione imprenditoriale molto grave «stipulare un contratto di lavoro, senza aver prima ottenuto un permesso di lavoro», stabilendosi che il datore di lavoro incorrerà in un’infrazione di questo tipo per ognuno dei lavoratori stranieri occupati in quelle condizioni di illegalità. La sanzione che corrisponde a questa infrazione, in conformità dell’art. 55.1.c) della stessa legge è una multa da 6000 fino a 60.000 euro. 189 Si vesa RODRÍGUEZ-PIÑERO y BRAVO FERRER, M., «Principio de igualdad y estatuto del trabajador inmigrante”, op. cit. pag. 13 e 14. Si tratta di apprestare le necessarie tutele per i lavoratori immigrati, senza dimenticare che essi contribuiscono al fenomeno dell’economia sommersa, cosicchè emergono anche ragioni di politica economica. 188 211 Alla luce di quanto esposto si traggono le seguenti conclusioni: 1 - La legislazione spagnola in materia di salute e sicurezza sul lavoro appare pienamente conforme alla normativa comunitaria in materia, tanto in quello che riguarda la regolamentazione generale, trasposizione della direttiva n. 89/391/CEE – direttiva quadro – attraverso la legge n. 31/1995, del 8 di novembre, di Prevenzione dei Rischi sul Lavoro, quanto in ciò che concerne la regolazione specifica, trasposizione delle numerose direttive specifiche derivate della direttiva quadro. Così succede anche in concreto rispetto alle direttive comunitarie relative a determinati gruppi specifici in relazione a condizioni oggettive e soggettive particolari, che li rendono esposti a rischi specifici per la salute che richiedono un’attenzione speciale: lavoratrici incinta, puerpere o in periodo di allattamento; i lavoratori giovani; lavoratori con contratti temporanei ed i lavoratori del settore edile. La trasposizione delle direttive relative ai primi tre gruppi si è compiuta direttamente con la LPRL (articoli 26, 27 e 28, rispettivamente). 2 - Il legislatore spagnolo ha tendenza a trasporre la normativa preventiva comunitaria realizzando una copia quasi letterale del testo delle direttive, cosa che produce un’eccessiva genericità delle stesse e una scarsa adattabilità alla realtà nazionale. Questo, certamente, influisce negativamente sulla loro efficacia. Proprio a causa di questa tendenza del legislatore spagnolo di regolare solamente gli aspetti della salute e sicurezza sul luogo di lavoro, previamente regolati dal Diritto comunitario, non si è potuta affrontare la regolazione della protezione di un’altra serie di gruppi particolarmente vulnerabili e sensibili a determinati rischi e garantire loro una protezione efficace: i lavoratori delle piccole imprese e i lavoratori immigrati. L’unica eccezione a questa regola generale è rappresentata dai lavoratori autonomi. Tuttavia, la protezione di tutti questi gruppi di lavoratori, determinando obblighi di adattamento dell’attività preventiva alle condizioni concrete dell’impresa è derivata direttamente dal regime generale nella LPRL, che obbliga il datore di lavoro a proteggere i lavoratori da tutti i rischi sul lavoro con quante misure siano necessarie a tal fine adeguate alle condizioni di ciascun lavoratore. Inoltre, il Regolamento dei Servizi di Prevenzione, nel regolare la valutazione dei rischi, insiste sul fatto che quella valutazione deve essere realizzata per posti di lavoro e che nella stessa si devono tenere in conto i rischi legati a fattori oggettivi e soggettivi, al fine di assicurare che in ogni caso le misure preventive adottate siano le più efficaci per proteggere il lavoratore e, in conseguenza, per garantire a ognuno di essi, una protezione della sicurezza e della salute autenticamente «efficace». 3 - Tuttavia ciò che è al di sopra è la regolamentazione elaborata per la tutela dei lavoratori di imprese appaltatrici e subappaltatrici nel settore edile al fine di ridurre l’elevato tasso di incidenti (legge n. 32/2006), che suppone una significativa limitazione alla facoltà di contrattazione e riappalto in questo specifico settore. 4 - Conviene inoltre insistere sul fatto che, sebbene la LPRL non faccia riferimento espresso ai rischi di natura psicosociale, non c’è dubbio che gli stessi sono considerati come tali nell’ordinamento spagnolo poiché in essa si assume un concetto onnicomprensivo di rischio sul lavoro, considerando che l’origine degli stessi può essere qualunque condizione di lavoro, comprese quelle relative all’organizzazione del lavoro. Recentemente la legge Organica di Parità si è riferita a due tipi specifici di rischi psicosociali: le molestie sessuali e le molestie per ragione di sesso, imponendo espressamente al datore di lavoro l’obbligo di adottare le misure specifiche per evitare questo tipo di condotte nella sua impresa. 5 - La Spagna resta il paese dell’Unione Europea con il più alto tasso di infortuni sul lavoro e, se è vero che negli ultimi anni sta riuscendo finalmente a ridurli, ciò evidenzia chiaramente che la normativa spagnola in materia di salute e sicurezza sul lavoro, nonostante segua alla lettera le linee guida dell’Unione Europea e nonostante abbia introdotto il «nuovo approccio» alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, non ha ancora raggiunto livelli soddisfacenti di effettività. Questa inefficacia è apprezzata sopratutto in quegli ambiti che più evidenziano gli importanti cambiamenti verificatisi nel mondo del lavoro, soprattutto la globalizzazione e i progressi tecnici, scientifici e tecnologici. In particolare, in relazione ai lavoratori temporanei (atipici), che in 212 Spagna sono molto numerosi nel mercato di lavoro (più del 31%); alle piccole imprese, e soprattutto le micro-imprese (quelle di meno di 10 lavoratori) che rappresentano un’alta percentuale del tessuto produttivo spagnolo(il 94%); i lavoratori immigranti (che in Spagna, tra salariati ed autonomi, sono quasi 3 milioni); il settore dell’edilizia, (nel quale sono occupati più di 2.100.000 lavoratori); lavoratori giovani (più di 4.700.000 di lavoratori con età comprese tra 16 e 29 anni). 6 - Per promuovere l’efficacia delle norme in materia di salute e sicurezza non ha dato un grande contributo la contrattazione collettiva. Anche se progressivamente sono aumentati gli accordi collettivi che introducono in qualche modo questo aspetto nel loro contenuto normativo. Tuttavia ancora non si può affermare che la contrattazione collettiva abbia assunto l’importante ruolo che potrebbe arrivare ad avere in questa materia. Questo ruolo dovrebbe essere non tanto di miglioramento dei minimi legali – che è l’unico al quale fa riferimento espresso la LPRL – dato che i minimi legali sono già molto esigenti, ma anche, soprattutto, di riuscire ad adattare alle circostanze concrete di ogni settore o impresa le disposizioni statali più generali. Queste carenze della contrattazione collettiva mettono in rilievo una carenza di coinvolgimento in questa materia dei rappresentanti dei lavoratori e datori di lavoro, la cui partecipazione è considerato uno dei presupposti essenziali del nuovo approccio alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro sancito innovativamente nel Diritto spagnolo attraverso la LPRL e, in conseguenza, come una condizione imprescindibile per ottenere che l’attività preventiva svolta nelle imprese sia davvero efficace. 7 - Di fronte al problema della inefficacia della normativa di salute e sicurezza sul lavoro in Spagna, i poteri pubblici hanno adottato misure direttamente orientate a ottenere l’effettiva applicazione di detta normativa in quegli ambiti e settori nei quali si è scoperto un più alto grado di inadempimento. Le misure adottate hanno puntato soprattutto sulla diffusione di una cultura preventiva, sull’assistenza tecnica e sull’adeguata formazione e informazione dei lavoratori e dei datori di lavoro nella materia, e sempre più mirate specificamente a quei settori e ambiti che lo richiedono (PYMES ed edilizia attualmente). Questa politica si è sviluppata tanto a livello statale e presso le comunità locali, contando sulla partecipazione e la collaborazione delle organizzazioni rappresentative di lavoratori e datori di lavoro nonché delle cosiddette Mutue di Infortuni sul lavoro e Malattie Professionali. Nonostante il fatto che in Spagna esista un organismo specifico incaricato di coordinare le politiche pubbliche in materia di salute e sicurezza sul lavoro, la Commissione nazionale di salute e sicurezza sul lavoro, ha rilevato che dati i molteplici organismi con competenze nella materia preventiva, appartenenti inoltre ad Amministrazioni di distinto ambito territoriale, le attuazioni di promozione e stimolo della salute e sicurezza sul lavoro sono state realizzate in maniera non coordinata, cosa che ha portato in molti casi alla loro inefficacia come a un ingiustificato spreco di risorse. Per porre rimedio a queste deficienze e cercare di dare una coerenza a tutta la politica sviluppata in Spagna in materia di prevenzione dei rischi sul lavoro, è stata elaborata la Strategia spagnola sulla Salute e sicurezza sul lavoro (2007-2012). Questa Strategia è stata il risultato del dialogo sociale: nella sua progettazione hanno partecipato le organizzazioni imprenditoriali e sindacali più rappresentative, le Comunità Autonome e il Governo centrale. 8 - Alla luce delle attività svolte da poteri pubblici, agenti sociali e imprese al fine di migliorare le condizioni di salute e sicurezza sul luogo di lavoro che, almeno nella teoria, sono molto numerose, si può affermare che le deficienze esistenti in Spagna in materia di salute e sicurezza sul lavoro sono perfettamente scoperte. Si conosce che gli ambiti nei quali si deve agire in modo molto incisivo sono le PYMES e il settore dell’edilizia; che i gruppi di lavoratori che richiedono una speciale attenzione sono i lavoratori immigrati, i lavoratori con contratti di temporanei e i lavoratori giovani; che, come conseguenza delle nuove forme di organizzazione del lavoro, i rischi psicosociali ogni volta sono più numerosi ma sono anche più difficili da scoprire e da prevenire; si sa anche che la protezione dei lavoratori a domicilio in generale e dei telelavoratori in particolare, ha bisogno di un adattamento del regime di protezione specifico, tenendo soprattutto 213 in conto che il telelavoro costituisce sempre di più una forma di organizzazione in espansione. D’altra parte,i poteri pubblici ed i rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro hanno utilizzato risorse in ricerche che studino le misure da adottare in ognuno dei casi appena citati per offrire ai lavoratori una protezione efficace in materia di salute e sicurezza sul lavoro, e diffondere tra i datori di lavoro e i lavoratori tali misure (buone prassi). Perfino i poteri pubblici hanno previsto diversi tipi di misure premiali di tipo economico per promuovere la corretta applicazione della normativa preventiva. Tuttavia, le prospettive restano alquanto deludenti: nel 2007 si sono verificati 934.351 infortuni sul lavoro, dei quali 8733 gravi, 844 mortali e il resto lievi. È certo che, finalmente, si riesce a ridurre il tasso di infortuni, soprattutto, negli incidenti mortali: infatti nel 2007 si riuscirono a ridurre in un 12.7 % rispetto all’anno anteriore. 9 - Il problema degli infortuni sul lavoro in Spagna non è, pertanto, un problema derivato dell’inadeguatezza della normativa vigente né dall’inoperosità dei poteri pubblici, ma è stato soprattutto dovuto a una mancanza di cultura preventiva, e non solo nei datori di lavoro, ma anche nei lavoratori e nella società in generale. Ciò sta provocando che le azioni preventive svolte nell’impresa siano progetti puramente formalistici e burocratici e non autentiche forme di gestione integrata della prevenzione dei rischi sul lavoro nel sistema globale delle risorse dell’impresa. La gestione è proprio il perno dell’efficacia delle attività di prevenzione sviluppato dalla società e quindi la protezione effettiva dei diritti di tutti e ciascuno dei lavoratori, perché è l’unico modo per dare un’adeguata attenzione alla loro situazione particolare e adottare misure più efficaci possibili per fornire il più alto livello di sicurezza e di salute sul luogo di lavoro. Anche se l’acquisizione di una cultura preventiva in tutti gli ambiti della società e non solo in quello strettamente professionale (lavoratori e impresari) – inteso come reale convinzione della necessità e della convenienza di assicurare ai lavoratori alcune condizioni di lavoro sicure e salutari –, è stato uno degli obiettivi della LPRL nella sua versione iniziale nel 1995 e continuava ad esserlo nel 2003, anno che ha visto l’ultima grande riforma ella legge LPRL, ugualmente l’evidenziava come l’Esposizione dei Motivi della legge 54/2003, questo obiettivo rimane al giorno d’oggi incompiuto. Se ci vuole un’attuazione materiale e non semplicemente formale degli obblighi che la LPRL impone principalmente al datore di lavoro – ma anche ai lavoratori dato che tanto la loro collaborazione individuale come la loro partecipazione collettiva sono considerate essenziali per garantire i più alti livelli di salute e sicurezza delle condizioni di lavoro – e l’applicazione del «nuovo approccio» alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro basato nella necessità di integrare la LPRL nella gestione imprenditoriale globale, risulta assolutamente imprescindibile che si conoscano i vantaggi di ciò, oltre il fatto che costituisce un obbligo giuridico. Deve riuscire a rendere consapevoli i datori di lavoro, da una parte, dei vantaggi economici – della significativa riduzione dei costi – che l’esatto adempimento del suo dovere di sicurezza nei termini legalmente richiesti (strumento essenziale per raggiungere i suoi obiettivi di qualità totale), mentre il semplice rispetto formale non serve a niente poiché, oltre a procurare comunque costi non riuscirà a evitare i costi derivati – molto più elevati di quello che inizialmente sembra: costi diretti e indiretti – degli infortuni sul lavoro che si arrivino a produrre; dall’altra del fatto che i valori in gioco sono la vita, l’integrità fisica e psichica e la salute, beni della personalità che costituiscono il presupposto della stessa capacità lavorativa e dell’esercizio pieno di tutti gli altri diritti del lavoratore in quanto tale e come cittadino. Inoltre, è necessario che anche i lavoratori prendano coscienza espressa dell’importanza della loro collaborazione con il datore di lavoro per riuscire a raggiungere in maniera reale ed effettiva un miglioramento delle loro condizioni di salute e sicurezza sul lavoro. In relazione a questo ultimo bisogna tenere in conto che questa consapevolezza e promozione della collaborazione dei lavoratori nell’attività preventiva nell’impresa spetta ai poteri pubblici, ma anche espressamente ai Delegati di Prevenzione, che hanno un ruolo rilevante in relazione all’obiettivo di ottenere un’adeguata applicazione della propria LPRL. Il tema si situa allora nella necessità di riuscire che i 214 propri rappresentanti abbiano quella cultura preventiva poiché ciò contribuirà a renderli più coinvolti nell’attività preventiva nell’impresa. Questo compito è il presupposto dell’efficacia di tutte le altre condizioni, per ciò tutti gli individui devono essere coinvolti, principalmente i poteri pubblici e le organizzazioni sindacali e imprenditoriali. In questo senso sarebbe molto importante integrare nei percorsi di studio, sin dai primi livelli, un alto livello di istruzione e formazione in materia di sicurezza e di salute sul luogo di lavoro. Questo è il suggerimento della LPRL e dell’attuale strategia della sicurezza e della salute sul luogo di lavoro, ma non è ancora riuscito a realizzarsi. Solamente così si potrà ottenere che la sicurezza e la salute sul lavoro abbiano la massima considerazione all’interno della società e che tutti possano contribuire alla sua realizzazione. Una volta raggiunto questo obiettivo oggetto fondamentale, si dovrebbe poi incidere non solo su misure o azioni concrete, ma anche sulla necessità di gestire l’attività preventiva nelle imprese: insegnare e facilitare a tutti i datori di lavoro l’integrazione dell’attività preventiva nel loro sistema globale di risorse, perché questa è l’unico modo per potersi adeguare alle diverse situazioni del settore produttivo: volume dell’impresa, tipologia contrattuale, livello di caratterizzazione, origine, razza, stato previo di salute, età, sesso. Questo è anche l’unico modo, inoltre, per rendere redditizi gli investimenti in attività preventive da parte del datore di lavoro nel medio e nel lungo periodo: i suoi lavoratori disponendo di alcune migliori condizioni di salute e sicurezza, lavoreranno meglio, otterranno un maggiore rendimento individuale e, in conseguenza, il rendimento dell’impresa e la sua posizione competitiva in un mercato sempre più globalizzato migliorerà. Se l’organizzazione del lavoro e delle imprese cambia e se questo riguarda la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro, il solo modo efficace per prevenire i rischi professionali derivanti da tale cambiamento è l’integrazione dell’attività di prevenzione nell’organizzazione delle imprese facendo tutto ciò che è necessario, senza pregiudizio per il datore di lavoro, in qualità di titolare della società, che è il principale soggetto responsabile. Per ottenere questo in Spagna, è necessario limitare le quasi infinite possibilità che il Regolamento dei Servizi di Prevenzione concede a tutti gli imprenditori di esternalizzare l’attività preventiva attraverso il ricorso a una o varie organizzazioni preventive esterne all’impresa, i cosiddetti Servizi di Prevenzione esterni – in contraddizione a quanto disposto dalla LPRL e dalla direttiva quadro giustificandosi, in linea di principio, col tentativo di facilitare al massimo a qualunque impresa, soprattutto alle piccole e medie, l’accesso alle risorse necessarie per eseguire l’attività preventiva senza che ciò sia troppo costoso e possa arrivare a essere ostacolo per la loro ascesa e competitività nei mercati, obiettivo indicato espressamente nella direttiva quadro –. Si ritiene che il funzionamento dei servizi di prevenzione esterni, soprattutto se agisce come modalità preventiva unica, non costituisce uno strumento adeguato per integrare l’attività preventiva nella gestione imprenditoriale nei termini richiesti dalla LPRL e dal RSP, poiché quell’integrazione richiede, in ogni caso, di poter contare sulle risorse proprie dell’impresa dove tale attività si gestisce. Dato che la caratteristica essenziale del nuovo approccio alla salute e sicurezza sul lavoro stabilito dalla LPRL è, giustamente, la necessità di integrare l’attività preventiva nella gestione globale delle risorse dell’impresa in modo tale che la prevenzione dei rischi sul lavoro si integri nell’insieme delle attività e decisioni, tanto nei processi tecnici, nell’organizzazione del lavoro quanto nella linea gerarchica dell’impresa, compresi tutti i livelli della stessa, (art. 1.1 RSP), non sembra coerente che si possa affidare tale funzione, con le dovute garanzie realizzate nei termini legalmente previsti, a entità esterne all’impresa che svolgano l’attività preventiva in numerose imprese, molto differenti tra loro. Questa deficienza si è tentato di colmarla nella riforma del quadro normativo della prevenzione di rischi sul lavoro svolta mediante la già citata legge n. 54/2003, del 12 di dicembre, mediante l’introduzione di un nuovo precetto nella LPRL, l’art. 32 bis, che ha istituito l’obbligo del datore di lavoro che in determinati casi considerano specialmente pericolosi, indipendentemente dalle 215 modalità di organizzazione della prevenzione dei rischi sul lavoro realizzata, con la presenza nella propria impresa di alcuni risorse preventive materiali e di risorse umane minime. Dato il minimo di regolamentazione che si stabilisce in questo precetto e la sua applicazione non generale, il regime in esso stabilito non costituisce un mezzo efficace per garantire, anche nei casi concreti in cui risulta applicabile, l’integrazione dell’attività preventiva nella gestione imprenditoriale delle risorse e, di conseguenza, per garantire protezione efficace dei lavoratori nei termini perseguiti dalla LPRL. A questo proposito, occorre ricordare che, anche secondo la formulazione letterale del RSP, è stato sostenuto che nei casi in cui il datore di lavoro è indissolubilmente tenuto a costituire un Servizio di Prevenzione interno, a causa delle maggiori dimensioni o della maggiore pericolosità della sua attività debba essere più diligente nell’attività preventiva realizzata se si vuole garantire la protezione efficace dei lavoratori che lavorano in essa, perciò è costretto a disporre delle risorse più adeguate per raggiungere quest’obiettivo, potendo in realtà adempiere tale obbligo rispettando i minimi requisiti richiesti dall’art. 15 RSP, in modo che l’attività di prevenzione da organizzare internamente sarebbe una parte minima, potendo anche essere esternalizzato il resto attraverso il concerto con un servizio di prevenzione dei terzi. Questa interpretazione in gran parte assunta dalla promulgazione e entrata in vigore del RSP, tuttavia, sembra che, giustamente si stia cominciando a modificare recentemente a livello giurisprudenziale, (ad esempio, le sentenze della Corte Suprema del 24 di aprile del 2001 e dal 3 novembre 2005, considerano che le grandi imprese obbligate di maniera legale e regolamentare a istituire un Servizio di Prevenzione proprio non può esternalizzare parte delle sue attività preventive). Una volta che i datori di lavoro svolgono la loro corretta attività preventiva in ogni caso la loro integrazione nel sistema globale di gestione delle risorse imprenditoriali (che è vero e proprio obbligo derivato direttamente della LPRL, il principale di tutte quelle che sono attualmente parte del contenuto del suo dovere di sicurezza), il passo successivo è quello di ricercare la migliore forma di prevenzione dei nuovi rischi sul lavoro legati alle nuove forme di organizzazione del lavoro e, quindi dare luogo ad una massima diffusione della tutela. Non che l’attività di promozione di buone prassi in materia di salute e sicurezza sul lavoro non sia importante – soprattutto per certi tipi di rischi professionali, come avviene per quanto riguarda la maggior parte dei gruppi di lavoratori vulnerabili –, ma l’efficacia delle stesse dipende comunque, come si è detto ripetutamente in queste pagine, dalla loro integrazione all’interno di un sistema di gestione globale di prevenzione dei rischi professionali, rendendole adeguate così alle circostanze particolari di ciascuna impresa e dei suoi rispettivi lavoratori. 216 II.9. Focus: il caso dei Paesi nordici. II.9.1 L’implementazione delle direttive comunitarie. In Europa il periodo tra il 1955 e il 1975 è stato caratterizzato dalla forte crescita e modernizzazione. In quell’epoca il numero degli incidenti sul lavoro è diminuito in una maniera considerevole. Grazie a questi progressi a partire dagli anni ‘70 prendono forza due nuovi concetti: quello di miglioramento delle condizioni di lavoro e quello di promozione della sicurezza. A partire dagli anni ‘80 sono state adottate numerose direttive europee in materia della salute e sicurezza e in seguito alla adozione di queste direttive, il numero degli incidenti mortali sul lavoro nel periodo 1994-2000 è ulteriormente diminuito del 30% e del 15% per gli incidenti particolarmente gravi. Una rapida evoluzione del quadro normativo europeo in materia di salute e sicurezza si è verificata negli anni ‘90. Il punto di partenza di questa intensificazione del processo normativo potrebbe essere giustamente considerata la direttiva europea quadro 89/391/CEE del 12 giugno 1989 la quale stabilisce i principi per l’introduzione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori e fornisce un quadro generale sulla tutela della sicurezza negli specifici ambienti di lavoro, delineato nelle direttive particolari. L’obiettivo di diffondere una cultura della prevenzione,a ben vedere, si fonda su due basi. Da un lato, le prescrizioni minime creano una condizione di parità per le aziende che operano nel grande mercato europeo. Da un altro lato i lavoratori possono avere un alto livello di tutela attraverso le misure della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali1. Danimarca, Finlandia e Svezia non hanno avuto bisogno di modificare in maniera sostanziale le proprie previgenti legislazioni in quanto esse erano già più o meno conformi alla normativa europea. Sulla base di questa direttiva quadro che ha posto le regole basilari e generali in materia di prevenzione dei rischi professionali. sono state adottate un’altra ventina di direttive tecniche applicabili ai settori specifici. Così a metà degli anni ‘90 si è registrata una accelerazione del processo normativo a causa della comparsa di nuovi rischi per la salute dovuti ai rapidi processi di innovazione tecnologica. Si può costatare che ad oggi esistono circa 50 direttive in materia di salute e sicurezza che coprono settore specifici e il quadro normativo in questo ambito si può dire in continua evoluzione. Alcune direttive erano già state trasposte con successo nella legislazione nazionale mentre altre devono essere ancora trasposte. II.9.2 I casi nazionali. Finlandia. Per quanto riguarda la Finlandia, primo Stato ad essere preso in considerazione, il nuovo testo normativo denominato Safety at work Act è entrato in vigore il 1° gennaio 2003. Esso definisce gli standard minimi per tutti i rapporti di lavoro, indipendentemente dalla loro durata. Inoltre esso contiene provvedimenti specifici sulla tutela del lavoratore. È stata adottata una nuova legge che riforma il profilo relativo alle malattie professionali, ma secondo il parlamento finlandese la legge contiene alcune lacune importanti per quanto riguarda l’area del lavoro a termine e del lavoro tramite agenzia. Non erano state infatti adottate alcune 1 COM(2004)62 def., 3. 217 importanti misure per far circolare informazione sulle nuove disposizioni in vigore. La nuova regolamentazione sulla legislazione in materia della salute e sicurezza al lavoro e medicina professionale tende invece a tutelare il lavoro nelle piccole e medie imprese. Questo, in combinato con diverse attività condotte dall’ispettorato del lavoro, ha portato sicuramente alla maggiore consapevolezza della valutazione dei rischi nelle imprese. Infatti, nel 2001 il governo finlandese ha adottato un programma di prevenzione dei rischi professionali per promuovere la cultura denominata zero accident, programma volto ad azzerare gli incidenti in tutti i luoghi di lavoro. Non sono stati registrati cambiamenti nelle prassi di controllo nel quadro della direttiva. L’unico punto di rilievo riguarda essenzialmente la necessità di informare e formare i lavoratori sulle loro condizioni di lavoro. Anche se autorità di vigilanza e controllo hanno riconosciuto che i lavoratori temporanei tramite agenzia e i lavoratori a tempo determinato possono essere discriminati rispetto ai lavoratori a tempo pieno, questo non si è tradotto in una maggiore tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Danimarca. La legislazione danese in materia di salute e sicurezza non fa alcuna distinzione tra i lavoratori a tempo indeterminato o determinato. La direttiva copre tutti i lavoratori, senza alcuna distinzione. Svezia. La legislazione svedese in materia di salute e sicurezza dei lavoratori temporanei o lavoratori tramite agenzia è stata completata nel 2001. Questo nuovo intervento legislativo, concernente il monitoraggio sistematico della sicurezza sul luogo di lavoro, che è entrato in vigore nel luglio 2001, insieme ad un Atto sull’ambiente di lavoro, costituisce la modalità normativa attraverso cui è stata trasposta la direttiva 389/1991. Sono state seguite due linee, una relativa al costante monitoraggio delle condizioni di sicurezza del lavoro, e l’altra sulle condizioni di carattere psico sociale. Sebbene queste non riguardino i lavoratori specificamente coperti dalla direttiva 91/393, le istituzioni ritengono che si applichino queste linee anche ai lavoratori non standard. II.9.3 La regolamentazione mediante soft law. Il significativo corpus normativo che disciplina la materia della salute e sicurezza è rafforzato anche dai documenti strategici che hanno carattere di soft law, tra cui innanzitutto vengono menzionate le strategie comunitarie. La prima strategia comunitaria per la salute e la sicurezza sul lavoro (2002-2006)2 ha contribuito allo sviluppo della normazione in questo ambito portando all’adozione delle direttive 2003/18, 2002/44/CE, 2003/10/CE, 2004/40/CE, ecc. Nel quadro della strategia l’adozione della direttiva REACH (registrazione, valutazione, autorizzazione dei prodotti chimici), entrata in vigore il 1° giugno 2007 nell’Europa a 27 ha permesso di rafforzare la protezione della salute e sicurezza grazie alla rapida identificazione delle precise sostanze chimiche più pericolose che provocano il cancro. La seconda strategia europea per 2007-20123 è stata adottata il 25 giugno 2007. Essa spinge verso un maggior utilizzo delle misure di soft law. L’impatto dell’attività nell’ambito della salute e sicurezza a livello europeo non può essere limitato solamente all’attività della Commissione europea. In effetti, al fine di ottenere maggiori progressi la Commissione viene affiancata sia dai partners sociali europei sia dai numerosi organismo europei tra cui vi sono l’agenzia europea della salute e sicurezza sul lavoro di Bilbao, la Fondazione europea per il miglioramento delle 2 3 Cfr. http://europa.eu/scadplus/leg/it/cha/c11147.htm. Cfr. http://www.europafacile.net/Elettera/eurolettera_schede_news.asp?ID=1985&id_elettera=47. 218 condizioni di vita e di lavoro di Dublino, il comitato tripartito consultativo a Lussemburgo e un gran numero di comitati tecnici. La missione principale dell’agenzia a Bilbao consiste nella raccolta e diffusione di tutte le informazioni disponibili e pertinenti alla salute e sicurezza in tutto il mondo. Inoltre l’agenzia analizza i rischi professionali e, a questo scopo, nel 2004 è stato creato un osservatorio di rischi nel seno dell’agenzia che si occupa maggiormente dell’anticipazione dei nuovi rischi emergenti. Di recente proprio l’Agenzia di Bilbao ha evidenziato come l’introduzione di nuove tecnologie, processi e strumenti di lavoro ha determinato un tale cambiamento dell’organizzazione del lavoro, che potrebbe condurre ad un serio deterioramento delle condizioni mentali e psichiche. II.9.4 Le recenti evoluzioni in materia di sicurezza sul lavoro. Appare opportuno analizzare un recente rapporto sul cambiamento delle condizioni di salute e sicurezza in Finlandia negli anni 2000-2006. Secondo tale Rapporto alla fine del 2006, la percentuale dei cittadini lavoratori si attestava intorno al 69%. Il più alto numero di incidenti sul lavoro si verifica nel settore dell’edilizia, ma alto rimane anche il tasso delle morti sul lavoro nel settore dell’agricoltura. Circa 1 milione e mezzo di lavoratori sarebbero esposti a rischi psichici nell’ambiente di lavoro, mentre circa metà della popolazione in età lavorativa è esposta al rischio chimico e sempre la metà dei lavoratori lamenta il contatto con il videoterminale e i problemi da esso derivanti. Infatti il 96% dei lavoratori è esposto all’uso del computer per almeno un’ora lavorativa in una giornata. Un dato sicuramente interessante che trova espressione in questo studio è anche quello che potrebbe impropriamente definirsi “atmosfera lavorativa”: infatti si rileva che, nei luoghi di lavoro con meno di 10 lavoratori, è rilevabile una migliore circolazione delle informazioni e una migliore qualità del lavoro, là dove si lavora in gruppo. Un altro importante rilievo da fare sulla Finlandia è quello relativo al fatto che, alla fine del 2005 si registrava che circa 5.000 società non avevano adempiuto all’obbligo di tenuta del registro in cui si effettuano i rilievi circa la presenza di sostanze pericolose. In questo senso il Sak, la più importante confederazione finlandese, ha rilevato innanzitutto che il limite per la costituzione della rappresentanza dei lavoratori per la sicurezza, che ora si costituisce per almeno 10 lavoratori (la proposta del Sak è quella di costituirla ogni 5 lavoratori) ha rilevato, inoltre, che maggiore attenzione dovrebbe porsi sulla corretta tenuta e aggiornamento dei registri sulla salute e sicurezza sul lavoro. Un altro studio ha messo in evidenza la grossa incidenza del non semplice bilanciamento tra vita lavorativa e vita privata: un’incidenza negativa, superiore a quella, anch’essa negativa, determinata dal ricorso al lavoro temporaneo. Il suddetto rapporto ha evidenziato anche un’altra problematica: le condizioni lavorative risentono anche delle differenze di genere 4. Per quanto riguarda poi i rischi specifici la Confederazione Danese dei Costruttori ha analizzato i dati emergenti dal registro dell’esposizione ad agenti cancerogeni, rilevando una serie di occupazioni caratterizzate da una fortissima e preoccupante esposizione a sostanze cancerogene . Per esempio l’esposizione a mesotelioma, per gli idraulici, è tre volte superiore ai livelli normali, mentre un livello sicuramente grave di esposizione a tumore è riscontrabile negli imbianchini. II.9.5 Conclusioni. Per un maggiore approfondimento si veda European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, Survey highliths rise in psicological demands at work, 2007. 4 219 Appare interessante concludere con una rilevazione fatta dal direttore della European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions sulla qualità del lavoro e sul tasso di soddisfazione dei lavoratori della Danimarca. Il dato più interessante è sicuramente che il 54% dei lavoratori danesi è coinvolto nelle decisioni relative ai cambiamenti dell’organizzazione del lavoro. Addirittura la percentuale raggiunge il 60% in Svezia e il 72% in Finlandia. Quattro lavoratori su 5 sono correttamente informati circa i rischi sulla salute e sicurezza sul lavoro. Si tratta senza dubbio di buone pratiche che contribuiscono ad innalzare i livelli del lavoro, ed il tasso di produttività, ossia essenzialmente gli obiettivi della Strategia di Lisbona. 220 II.10. Focus: il caso dei Paesi dell’Est-Europa. II.10.1 Ungheria. Il sistema di norme ed istituzioni in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro in Ungheria1 è attualmente in primo luogo regolato dall’Act XCVII on Labour Protection del 1993, che tiene conto dei principi di base applicati nell’Unione europea e attua le più importanti disposizioni della direttiva quadro 89/391/CEE, poi dai decreti ministeriali che specificano ed armonizzano le singole direttive, ed infine dal decreto del Governo n. 295 del 2006 (XII 23) sull’Ispettorato del lavoro ungherese. Grazie ad un processo di armonizzazione giuridica gradualmente attuato nel corso degli ultimi anni, il sistema normativo ungherese in materia di salute e sicurezza sul lavoro è pienamente conforme al dettato dell’Unione europea. Inoltre le disposizioni della Carta sociale europea sono state applicate dal 1999 in Ungheria e, a parte poche eccezioni, è stata ratificata anche la maggior parte delle principali convenzioni internazionali in materia di salute e sicurezza sul lavoro. In conformità con la prassi europea, la legge ungherese sulla Protezione del Lavoro è un atto complesso che affronta simultaneamente entrambi i profili caratterizzanti la protezione del lavoro – la sicurezza professionale e la salute sul luogo di lavoro – e soprattutto ne definisce i requisiti minimi. Sempre in armonia con le normative europee, il suo campo di applicazione si estende a tutte le “attività organizzate” prestate nell’interesse e a favore di qualcun altro, a prescindere dalla loro forma organizzativa o di diritto. La risoluzione parlamentare 20/2001 (III. 30) sul programma nazionale di Tutela sul luogo di Lavoro, che definisce i compiti dello Stato e quelli dei datori di lavoro al fine di attuare la strategia oggetto del programma, è tesa ad elevare lo standard di sicurezza sul lavoro ungherese verso il più avanzato livello europeo. Il piano dettagliato delle misure e delle azioni, rilasciato dal governo ogni anno al fine di attuare il programma, specifica i compiti dei singoli ministeri ed individua anche le risorsee gli strumenti necessari. L’ispettorato del lavoro ungherese (Munkavédelmi Országos és Munkaügyi Főfelügyelőség (OMMF) – che è sotto la supervisione del ministro del lavoro e che opera su base centrale e regionale avvalendosi separatamente di autorità per la protezione del lavoro e di autorità di ispezione sul lavoro – e l’Ufficio Ungherese dell’attività mineraria e della geologia diretto dal ministro per gli Affari economici, sono i responsabili ufficiali della sicurezza sul lavoro. A partire dal 1° gennaio 2007, un importante cambiamento in questo settore è stato rappresentato dal trasferimento della direzione professionale in materia di salute e di igiene sul luogo del lavoro alle autorità e ai compiti dell’OMMF, contrariamente alla precedente separazione tra organizzazioni, gestione e competenza. Questo ha ora creato una struttura di riferimento che opera in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro. L’OMMF partecipa ai lavori delle organizzazioni di livello internazionale che si occupano di tutela del lavoro, e, come autorità nazionale designata, svolge i compiti del Focal Point dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (fornendo informazioni sulla sicurezza del lavoro e coordinando la partecipazione ai programmi dell’Agenzia). Una nuova cultura giuridica e l’aumento del numero di ispettori garantisce migliori condizioni per le ispezioni del lavoro. Grazie a questo, il numero di lavoratori irregolari rilevati è aumentato di sette volte rispetto alle statistiche degli anni precedenti e il numero di ammende inflitte è 1 Per approfondimenti in materia, in ambito ungherese, si veda European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, Fourth European Working Conditions Survey, Office for Official Publications of the European Communities, Luxembourg, 2007, in http://www.eurofound.europa.eu/pubdocs/2006/98/en/2/ef0698en.pdf; Országos Munkavédelmi és Munkaügyi Főfelügyelőség (OMMF), Report on Tasks completed in Q1 2008, in http://www.ommf.gov.hu/index.php?akt_menu=172&hir_reszlet=167; Informative Report for the Government on the State of Labour Protection in the National Economy in 2006, in http://www.ommf.gov.hu/index.php?akt_menu=237. 221 aumentato quasi del 300%. Gli incidenti sul lavoro sono diminuiti totalmente del 13%, e il numero di incidenti mortali del 27%, anche se il miglioramento in quest’ultimo indice è dovuto principalmente al calo del numero dei lavoratori occupati nei settori più colpiti e dalla presenza ancora di numerosi incidenti sul lavoro non segnalati. L’industria edile, l’agricoltura, l’industria manifatturiera ed il commercio all’ingrosso e al dettaglio, sono ancora considerati gli ambienti di lavoro che maggiormente necessitano di attività ispettiva. L’OMMF sta compiendo molti sforzi per accrescere i bassi livelli di sensibilizzazione sociale in materia di sicurezza, per porre rimedio all’inadeguata gestione della salute e della sicurezza sul posto di lavoro e all’ignoranza generale esistente in questo settore, fornendo sempre una sempre maggiore ed ampia informazione su questi temi e attraverso la formazione e la ricerca in materia di sicurezza del lavoro. Nel decennio scorso l’Ungheria ha vissuto di fatto una fase di transizione del suo sistema politico, sociale e economico sfociata poi nell’ingresso nell’Unione Europea e si sono verificati molti cambiamenti che hanno interessato il mondo del lavoro – tra cui la crescita del settore dei servizi e la nascita di forme atipiche di lavoro. Tuttavia, per quanto riguarda la struttura produttiva ungherese, essa è formata da piccolissime, piccole e medie imprese – che presentano un grado di tutela del lavoro notevolmente più flebile; resta basso invece il numero di imprese che impiegano più di 50 lavoratori e hanno capitali per lo sviluppo. Contemporaneamente, l’attuazione di un sistema di gestione della sicurezza del lavoro adatto per le piccole e medie imprese e la realizzazione di un ampio programma di formazione sono compresi tra i compiti del programma nazionale di sicurezza sul lavoro per il prossimo anno. Accanto a ciò, quale conseguenza dell’impatto economico, sociale e fiscale sui datori di lavoro e sui lavoratori, della mancanza di capitali e della minaccia crescente della disoccupazione, in Ungheria si registra ancora un elevato ricorso al mercato nero in cui le garanzie di tutela del lavoro sono pochissime o inesistenti (le statistiche nazionali al riguardo indicano che quasi un lavoratore su cinque è impiegato nel mercato nero, soprattutto nel settore edile). Analogamente agli altri paesi dell’Europa centrale e orientale, il numero degli occupati nel settore agricolo ed industriale in Ungheria è ancora superiore alla media UE, insieme alla crescente occupazione nel settore dei servizi di assistenza alla clientela. Quasi il 30 per cento di tutti i dipendenti lavora in questo settore e circa un quinto dei lavoratori, invece, nel settore edile e del commercio. Il ricorso alle cosiddette forme di lavoro atipico, al centro del dibattito dell’Unione Europea, è in Ungheria ancora ben al di sotto della media europea, anche se se ne registra la presenza e il loro numero è in costante aumento. Circa il cinque per cento di tutti i lavoratori dipendenti lavora a tempo parziale, e circa il sette per cento è impiegato con contratti a tempo determinato o di lavoro temporaneo tramite agenzia. Data l’ampia definizione del campo di applicazione della legge ungherese sulla protezione del lavoro, i gruppi di lavoratori sopra richiamati rientrano anch’essi tra i destinatari della normative; non sono state loro destinate disposizioni speciali in materia di sicurezza del lavoro e pertanto si applicano le stesse norme valide per i lavoratori impiegati con contratti di lavoro “tradizionali”. Il Labour Protection Act dispone diversamente invece solo per i tele-lavoratori, data la specialità del loro rapporto di lavoro. Accanto a queste forme di occupazione, vanno menzionati anche i lavoratori autonomi il cui numero – in particolare nel settore dell’agricoltura, caratterizzato da aziende agricole a conduzione familiare e su piccola scala dai produttori agricoli – è relativamente più elevato in Ungheria rispetto alla media UE. Tuttavia, nonostante la loro presenza significativa, i lavoratori autonomi non rientrano in Ungheria tra i destinatari della legge in oggetto. Pertanto, fornire maggiori informazioni a tali lavoratori in queste materie dovrebbe essere considerato un obiettivo prioritario per il governo. Anche se non vi sono studi statistici circa la tutela del lavoro realizzati appositamente per queste categorie, i risultati delle ispezioni eseguite negli ultimi anni – soprattutto in edilizia, agricoltura, 222 industria manifatturiera, commercio e nel settore alberghiero e di ristorazione – hanno indicato che questi gruppi di lavoratori dipendenti sono sempre più a rischio di espulsione dal mercato del lavoro proprio per la scarsa o nulla tutela che ricevono. In questi settori professionali ispezionati è elevato il ricorso al lavoro occasionale – certificato da contratti che consentono al lavoratore di prestare legittimamente la sua attività professionale per un arco di tempo non breve – e a contratti di lavoro temporaneo tramite agenzia. Sulla scorta dei risultati di tali controlli, l’opinione generale è che le persone che lavorano con tali forme contrattuali dette atipiche non ricevono alcuna formazione circa la sicurezza sul lavoro, questi lavoratori sono generalmente giovani e hanno qualifiche professionali non molto elevate; quindi non sono in grado di riconoscere i pericoli e sono meno equipaggiati in materia di sicurezza sul lavoro. Questi lavoratori non si sottopongono di norma nemmeno agli esami medici di idoneità, obbligatori secondo le norme in materia di salute e sicurezza; inoltre la prassi ci dice che i datori di lavoro con un numero di dipendenti che varia spesso, non forniscono adeguata assistenza medica né controlli sanitari per i loro lavoratori. Sebbene questi gruppi di lavoratori dipendenti oggi ricevano una maggiore attenzione nel corso delle ispezioni, la peculiarità della loro situazione impone attualmente una nuova sfida al governo ungherese per realizzare una concreta tutela del lavoro. I cambiamenti in atto nel mondo del lavoro costituiscono un monito importante e continuo sia per la normative sulla sicurezza sul posto di lavoro, sia per il compito di controllo degli ispettori. Nonostante vi siano già specifiche norme giuridiche poste a tutela dell’occupazione delle donne, degli anziani e dei disabili parziali o totali, la gestione delle attività professionali di questi gruppi di lavoratori richiede conoscenze normative specifiche ulteriori e adeguate da parte dei datori di lavoro, come è stato indicato da una ispezione speciale tenutasi nel 2006 al fine di esaminare specificamente la sicurezza sul posto dei giovani lavoratori. La percentuale dei problemi di salute connessi alle attività professionali in Ungheria è superiore alla media UE. A confronto con gli Stati membri dell’Unione europea, anche in Ungheria i problemi di udito causati dal rumore, i disagi prodotti dalle vibrazioni e i mal di schiena sono al primo posto tra le malattie riferite all’occupazione, seguite da malattie infettive, problemi della pelle (dermatologici) e un crescente numero di problemi psico- sociali dovuti allo stress. Dal 1995, i datori di lavoro ungheresi hanno l’obbligo di garantire concretamente a tutti i loro lavoratori l’assistenza sanitaria sulla base di un legge appositamente emanata al riguardo. Anche se oltre l’80 per cento dei lavoratori ricevono questa assistenza sanitaria, molti controlli e molte stime obbligatorie del rischio corso dagli stessi dipendenti sono insufficienti o sono mere formalità. Anche nel settore professionale sanitario, le piccole e medie imprese con scarsi capitali soddisfano solo i requisiti minimi necessari in materia di salute e sicurezza e alle volte neanche quelli, a dispetto di aziende di proprietà estera che impiegano un maggior numero di lavoratori e che riescono a dedicare molto più spazio ed importanza alla sicurezza nell’ambiente aziendale superando notevolmente i requisiti minimi. Gli obblighi di assistenza sanitaria possono essere considerati assolti nelle imprese che hanno un costante il numero di dipendenti, mentre nelle aziende il cui numero di lavoratori oscilla spesso, i controlli medici risultano carenti. Questa già di per sé delicata situazione è poi aggravata da altre circostanze caratterizzanti il lavoro nelle regioni dell’Europa centrale ed orientale: un numero di giorni ed ore lavorate superiori rispetto alla media europea, un maggiori ricorso al lavoro serale e notturno, un’alta intensità di lavoro e numerose violazioni del diritto in materia di orario di lavoro, di lavoro straordinari e festivo. E anche se il numero degli infortuni sul lavoro registra un calo costante, l’emergere di nuove forme di lavoro atipico, le condizioni di lavoro, quelle psico-sociali e lo stress che da queste ne deriva hanno effetti negativi sulla salute di un crescente numero di lavoratori. Un elemento importante nella gestione di questi problemi è il fatto che la modifica del Labour Protection Act, che è entrata in vigore dal 1° gennaio 2008, impone al datore di lavoro l’obbligo di gestire i fattori di rischio psico-sociale e contemporaneamente definisce questi fattori. Tuttavia, 223 questo è ancora un problema relativamente nuovo e difficile da riconoscere, e presuppone una cultura del lavoro ancora estranea alla mentalità dei datori di lavoro, dei dipendenti o della società in Ungheria. L’obiettivo della normativa sopra richiamata è quello di porre l’attenzione dei datori di lavoro sull’importanza della prevenzione in questi casi, ma non impone ammende qualora la misura non venga rispettata. II.10.2 Polonia. In Polonia2 ci sono numerosi atti legislativi, che regolano la salute e la sicurezza sul posto di lavoro. Accanto al codice polacco del lavoro (adottato per la prima volta nel 1974), infatti, ci sono alcuni regolamenti del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Il codice del lavoro polacco prevede che i datori di lavoro siano responsabili della salute e della sicurezza dei lavoratori sul luogo di lavoro. Essi devono garantire la sicurezza e le condizioni di igiene sul posto di lavoro attraverso l’utilizzo appropriato della scienza e della tecnologia. Inoltre, i datori di lavoro devono formare ed informare ciascun lavoratore dipendente sulle misure riguardanti la sicurezza e l’igiene, prima che inizi a svolgere il suo lavoro. In aggiunta i datori di lavoro devono permettere ai lavoratori di aggiornarsi periodicamente e costantemente su queste due questioni essenziali. Ciò vale per ciascun lavoratore dipendente, indipendentemente dal termine o dal tipo di occupazione. I datori di lavoro devono anche prevedere un esame medico iniziale per ogni dipendente e poi periodici controlli sanitari durante lo svolgimento del rapporto di lavoro. La legge dispone anche che i datori di lavoro abbiano la responsabilità di garantire che le macchine, le attrezzature, le apparecchiature di sicurezza personale, i materiali e i processi tecnologici utilizzati presentino la certificazione adeguata, le misure del livello di sicurezza e siano regolarmente revisionati. Il codice del lavoro polacco prevede poi che un datore di lavoro debba attuare le misure di sicurezza specifiche per determinate categorie di lavoratori, per ridurre quindi al minimo i rischi di lavoro, ad esempio, per le lavoratrici in gravidanza, per le puerpere e per i lavoratori che hanno dei bambini. Le misure in oggetto comprendono, in particolare, il divieto di lavoro straordinario e di lavoro notturno. Quest’ultima disposizione rappresenta una delle implementazioni della direttiva 92/85/CEE del Consiglio del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della salute e della sicurezza sul lavoro delle lavoratrici gestanti e delle lavoratrici che hanno recentemente partorito o che allattano. Il codice del lavoro polacco vieta anche ad un datore di lavoro di assumere una lavoratrice in gravidanza o che sta allattando per una mansione pesante o nociva. Qualora tale lavoratrice fosse già impiegata in una mansione del genere, il datore di lavoro deve assegnarla ad una prestazione differente adatta a lei. Se questo cambiamento di mansione fosse impossibile, il datore di lavoro deve consentire alla lavoratrice di astenersi dal suo lavoro per il tempo che occorre. Tale sospensione non può tradursi in una diminuzione di retribuzione, e la lavoratrice conserva, durante il periodo di sospensione, il diritto alla precedente retribuzione. Nel lavoro temporaneo tramite agenzia, l’utilizzatore-datore di lavoro e le agenzie di lavoro temporaneo hanno l’obbligo di rispettare tutti i doveri che il codice del lavoro polacco impone generalmente ad un datore di lavoro. Questa disposizione implementa la direttiva del Consiglio 91/383/CEE del 25 giugno 1991, che completa le misure volte a promuovere il miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro dei lavoratori che hanno contratti a tempo determinato o di lavoro temporaneo tramite agenzia. Ai sensi della direttiva 91/383/CEE e della legge sul lavoro temporaneo del 9 luglio 2003, i lavoratori temporanei non possono essere 2 Per approfondimenti in materia, in ambito polacco, si vedano le seguenti pagine web: http://osha.europa.eu/en/publications/conference/20031027/index_17.htm (sito della European Agency for Safety and Health at Work); http://www.mps.gov.pl/index.php?gid=748 (sito del Ministry of Labour and Social Policy). Si veda anche The National Labour Inspectorate, Organisation, scope of activities and responsibilities, in http://www.pip.gov.pl/html/en/doc/li_00001.pdf. 224 impiegati in mansioni pericolose per la sicurezza o la salute. Tale divieto non si applica, tuttavia, ai lavoratori a tempo determinato. L’agricoltura resta uno dei settori professionali meno sicuri in Polonia. Nonostante i miglioramenti registrati negli ultimi anni, il livello di incidenti sul lavoro nelle aziende agricole è notevolmente più elevato che in altri settori dell’economia polacca. Un livello di sottosviluppo tecnologico in agricoltura, infatti, è la causa del ricorso predominante al lavoro manuale e rappresenta il motivo principale di un così basso livello di sicurezza sul luogo di lavoro. Tuttavia, negli ultimi anni si è registrato, come detto sopra, un costante miglioramento della sicurezza sul lavoro nel settore agricolo. Negli anni futuri si prevede che la modernizzazione del settore in oggetto possa ridurre il ruolo del lavoro manuale nei processi di produzione e, infine, accrescere e migliorare il livello di sicurezza sul posto di lavoro. Anche il mobbing in Polonia sembra essere un problema grave. Secondo le ultime ricerche il 40 per cento degli intervistati (su un campione di 2652) ha sostenuto di essere vittima di comportamenti di mobbing. La principale forma di mobbing in Polonia è il “gossip”, ossia imporre troppi compiti ai lavoratori e stress psicologico. Il ritratto di un mobber in Polonia descrive un uomo, di età compresa tra i 35 e i 45 anni, con un livello di istruzione elevato e certamente superiore a quello del lavoratore dipendente. Le ragioni del ricorso al mobbing nelle aziende polacche sono da rintracciare nell’esenzione dalla punizione, nell’alta posizione dell’impresa e nel tentativo di sbarazzarsi di un concorrente. Il diritto del lavoro polacco non considera il mobbing come una parte della materia inerente alla salute e alla sicurezza sul lavoro bensì come una questione separata. La normativa stabilisce chiaramente che un datore di lavoro deve prevenire il mobbing. Inoltre, la legge definisce il mobbing e individua i rimedi qualora esso si verifichi, ma non stabilisce come tale fenomeno debba essere impedito. Un datore di lavoro, quindi, può decidere che cosa fare, ad esempio, introducendo regolamenti interni al fine di informare su questo fenomeno, prevenirlo o eliminarlo. Nella pratica, i datori di lavoro spesso ripetono soltanto, nei loro regolamenti interni, le disposizioni generali del codice del lavoro polacco sul mobbing, senza introdurre quindi procedure proprie tese a prevenire o eliminare il fenomeno. Tuttavia, il mobbing è ancora un problema relativamente nuovo e, talvolta, potrebbe essere difficile, fermandoci anche solo alla sua definizione giuridica, distinguere il mobbing dalla discriminazione. L’augurio è che nel prossimo futuro, con l’aumento di casi di mobbing, muti anche la consapevolezza del fenomeno. II.10.3 Slovacchia. In Slovacchia vi è una forte tradizione giuridica in materia di salute e sicurezza sul posto di lavoro. Sulla base di questo, la direttiva 91/383/CEE, che completa le misure volte a promuovere il miglioramento delle condizioni in tema di salute e sicurezza sul luogo di lavoro dei lavoratori a termine e dei lavoratori temporanei tramite agenzia, è stata pienamente recepita sia nella legislazione speciale nazionale, sia nel Codice del lavoro, nei regolamenti che nelle altre norme governative. Per comprendere le reali trasformazioni prodotte dall’attuazione della suddetta Direttiva nel sistema nazionale slovacco, è necessario confrontare la situazione precedente alla trasposizione con quella che ne è seguita. Anche se la materia della salute e sicurezza è stata regolamentata sin dal 1964, solo la situazione attuale è in grado di offrire ai datori di lavoro l’esatto quadro giuridico entro il quale essi sono tenuti ad operare. Tuttavia, l’intenzione della legge in oggetto è stata quella di dare i datori di lavoro la possibilità di decidere in che modo adempiere agli obblighi imposti delle disposizioni legislative. L’attuale stato di protezione dei lavoratori in materia di salute e sicurezza è considerato soddisfacente dal momento che prevede standard di piena tutela dei lavoratori. In molti aspetti, la protezione accordata ai lavoratori va al di là della Direttiva. 225 Sulla base di questo, sono tutelati dalla Direttiva tutti i lavoratori dipendenti sia a tempo pieno che a tempo parziale, sia a tempo determinato che a tempo indeterminato. Inoltre, l’Act on Health and Safety estende il proprio ambito soggettivo di applicazione anche alle persone fisiche che non sono dipendenti dal datore di lavoro ma, tuttavia, sono presenti sul posto di lavoro o nei locali del datore di lavoro con il consenso del datore stesso. La legge si applica anche ai lavoratori pubblici e statali, a meno che una legge speciale disponga diversamente. Ad esempio come viene specificatamente disposto per i militari in carriera o per persone che svolgano attività di guerra o di emergenza o in situazioni straordinarie o che svolgono azioni umanitarie o esercitazioni di guerra al di fuori della Repubblica slovacca. Anche in questo caso tuttavia, i datori di lavoro sono obbligati ad assicurare il più elevato livello possibile in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro. Sulla scorta delle definizioni di “datore di lavoro” e di “lavoratore” presenti sia nella Direttiva sia nelle norme nazionali, emerge con chiarezza che i lavoratori con un contratto a termine e i lavoratori temporanei tramite agenzia sono inclusi nel campo di applicazione soggettiva dell’Act on Health and Safety sul luogo di lavoro. Ne deriva che tali lavoratori ricevono lo stesso livello di tutela della propria sicurezza e salute sul luogo degli altri lavoratori. In conformità con l’articolo 3 della Direttiva, la legge slovacca sulla salute e la sicurezza disciplina, nell’articolo 7, l’obbligo del datore di informare ogni lavoratore periodicamente e in un modo comprensibile e pubblico riguardo: • alla legislazione e le altre norme in materia di salute e sicurezza sul posto di lavoro, disposizioni in materia di lavoro sicuro e di protezione sanitaria, regole di comportamento sicuro sul posto di lavoro e procedure di lavoro sicuro; • ai rischi previsti, il loro impatto sulla salute e la protezione; • al divieto assoluto di ingresso, di permanenza e svolgimento di attività in locali che potrebbero mettere in pericolo direttamente la salute o la vita dei lavoratori; • alle attività e i luoghi di lavoro che sono proibiti o che rappresentano un rischio elevato se svolte o frequentati da lavoratrici gravide, da madri con figli più piccoli di 9 mesi, o neomadri, come pure attività vietate a lavoratori giovani. Le informazioni di cui sopra deve essere rese note da parte del datore di lavoro ogni volta che si assume un nuovo lavoratore, o viene trasferito un lavoratore a nuova mansione o in un altro ambiente di lavoro, ogni volta che viene introdotto un nuovo macchinario, una nuova procedura di lavoro o uno strumento di lavoro innovativo. Ai sensi dell’articolo 7, Sezione 4, dell’Act on Health and Safety, il datore di lavoro è obbligato ad adattare il contenuto delle informazioni e la loro periodicità alla tipologia di prestazioni eseguite, al posto di lavoro specifico e alle altre circostanze quali soprattutto i mezzi di lavoro utilizzati, le procedure seguite, nuovi o modificati rischi legati alla produzione. Le regole specifiche da seguire, anche relativamente alla cadenza temporale, nel dare le suddette informazioni ai lavoratori sono disciplinate dalle norme interne e comunque tali informazione devono essere offerte almeno una volta ogni due anni, se non diversamente stabilito da leggi speciali. A seguire l’articolo 7, Sezioni 6 e 7, dell’Act on Health and Safety, dispone che le procedure di formazione nei confronti dei lavoratori e dei rappresentanti dei lavoratori in materia di salute e sicurezza, nonché le altre attività di formazione, tra cui le esercitazioni pratiche sul posto di lavoro, devono essere effettuate durante il normale orario di lavoro. I lavoratori e le loro rappresentanze aziendali devono essere informati in merito a: • minacce e rischi che potrebbero sorgere durante l’esecuzione della prestazione di lavoro o in rapporto diretto con essa; • misure di prevenzione e protezione realizzate dal datore di lavoro in particolare luoghi di lavoro per garantire la sicurezza e la tutela della salute dei lavoratori; • misure e procedure in caso di danni per la salute, in particolare il primo soccorso e altre misure da adottare in caso di incendio ed evacuazione; 226 • misure di prevenzione e protezione proposte ed ordinate dalle autorità dell’ispettorato del lavoro; • incidenti sul lavoro e malattie professionali o altre lesioni della salute che si sono già verificati nel contesto specifico, così come le motivazioni e le misure correttive emerse dalle attività di ispezione. In conformità con l’articolo 4 della Direttiva, l’articolo 27 della legge nazionale dispone che il datore di lavoro debba garantire che i programmi di aggiornamento e formazione professionale comprendano anche istruzioni in materia di salute e sicurezza sul posto di lavoro e di prevenzione dei rischi. La legge nazionale di cui parliamo disciplina nell’articolo 3.2 sia i requisiti generali che quelli specifici. Come la nozione di lavoratore/dipendente si riferisce anche ai lavoratori di cui all’articolo 1 della Direttiva, così l’obbligo di informazione in questione viene garantito anche nei confronti dei lavoratori temporanei o part-time. In pratica, tali informazioni vengono trasmesse nel periodo del primo inserimento del lavoratore sul posto di lavoro o durante la formazione iniziale da parte di rappresentanti dell’ufficio del personale o rappresentanti sindacali dei lavoratori a loro volta precedentemente addestrati nella realizzazione di corsi di formazione e informazione su questa materia. I datori di lavoro slovacchi sono soliti ricorrere ad agenzie esterne nel caso in cui sorga la necessità di formare i dipendenti su un particolare argomento come ad esempio sulla protezione antincendio, sul primo soccorso, ecc.. Il coinvolgimento delle parti sociali rappresenta invece un caso eccezionale. A parere di chi scrive, i lavoratori in Slovacchia ricevono adeguata e sufficiente formazione, tenendo conto delle loro qualifiche e della loro esperienza. In Slovacchia, la legge non esclude i lavoratori di cui all’articolo 1 della Direttiva dall’eseguire prestazioni pericolose o attività per cui è richiesto uno specifico controllo medico. Pertanto non è stata ancora realizzata l’opzione di cui all’articolo 5 della Direttiva. I lavoratori che operano in condizioni di lavoro particolarmente pericolose, hanno diritto, ai sensi della legislazione nazionale – articolo 6, Sez. 1, punto g, della legge sulla salute e sicurezza –, ad essere sottratti dai loro datori di lavoro alle attività monotone e rischiose per la salute, attraverso la predisposizione di condizioni professionali idonee, procedure di prodotto ed una migliore organizzazione del lavoro. Su proposta presentata dal singolo datore di lavoro, il medico cui spetta la prevenzione sanitaria sul luogo di lavoro, deve redigere un elenco delle professioni svolte in condizioni pericolose e rischiose. La lista è subordinata all’approvazione delle autorità Statali (rectius di un ente statale operante nel settore della salute pubblica) e alla contemporanea approvazione delle rappresentanze dei lavoratori in materia di salute e sicurezza e dello stesso datore di lavoro. Sulla base dell’articolo 11, Sez. 1, della legge nazionale in materia di salute e sicurezza, i lavoratori che operano in condizioni pericolose o svolgono mansioni di cui all’elenco sopracitato, devono poter godere di un periodo di sospensione dal lavoro per il recupero fisico nei termini previsti nella legge sulla salute e la sicurezza. Lo scopo principale di questo periodo di recupero è quello di prevenire danni alla salute che potrebbero insorgere a seguito di prestazioni lavorative pericolose o a seguito dello svolgimento di mansioni rischiose. I lavoratori che svolgono le professioni elencate per più di cinque anni senza interruzioni o coloro che svolgono le loro mansioni in ambienti estremamente pericolosi o in condizioni rischiose o in ambienti sottoposti a controllo per più di quattro anni, sono obbligati a godere di periodi di recupero fisico. Ripetuti periodi di sospensione per il recupero fisico sono obbligatori ogni tre anni per i lavoratori che sono stati impiegati almeno per 600 turni di lavoro in attività comprese nella lista di rischio o in ambienti sottoposte a ionio radioattivo e radiazioni varie, o per i lavoratori che hanno lavorato per almeno 400 turni di lavoro in luoghi di lavoro dove sono presenti probabilmente agenti cancerogeni. I lavoratori impiegati in miniere minerarie sotterranee o in attività di scavo di gallerie o strade per più di 275 turni di lavoro, hanno diritto a tali periodi di riposo ogni due anni. 227 Il costo dei periodi di riposo per il recupero fisico, comprese le spese di viaggio e di alloggio e spese per i pasti, è interamente sostenuto dai datori di lavoro, che possono, allo stesso tempo, legittimamente indicare il periodo specifico, il luogo e la durata del soggiorno sulla base di una raccomandazione fatta dal medico responsabile della prevenzione e dell’assistenza sanitaria del lavoratore. Il periodo di riposo deve durare almeno due settimane e dovrà essere collegato ad un regolare periodo di ferie del lavoratore. Questo periodo di recupero fisico non potrà essere interrotto, salvo gravi ragioni. L’articolo 19 della legge slovacca sulla salute e sulla sicurezza obbliga il datore di lavoro a designare uno più lavoratori nello svolgimento delle attività connesse alla protezione e alla prevenzione dei rischi professionali. I lavoratori, i servizi o le persone coinvolte devono essere informati circa l’assunzione di lavoratori temporanei o part-time. Ai sensi poi dell’articolo 7, Sez. 1, 3, 6 e 7, della stessa legge, il datore di lavoro deve informare i dipendenti, e le persone designate, di circa tutte le circostanze che potrebbero di fatto influenzare la protezione e circa le attività di prevenzione dei rischi di tutti i lavoratori nell’impresa, tra cui l’assunzione di lavoratori part-time e di lavoratori temporanei. Non vi è tuttavia alcuna disposizione specifica della suddetta legge nazionale in base alla quale tali persone designate devono essere informate dell’assunzione di lavoratori con un rapporto di lavoro tra quelli compresi nell’articolo 1 della direttiva. Tuttavia, la prassi mostra che le persone designate e le rappresentanze dei lavoratori svolgono le funzioni di protezione e prevenzione dai rischi professionali nei confronti dei lavoratori nello stabilimento. Inoltre, l’articolo 58, Sez. 12, lett. d, del Codice del lavoro obbliga l’utilizzatore-datore di lavoro ad informare i rappresentanti dei lavoratori circa l’assunzione di lavoratori temporanei e sulle loro condizioni di lavoro. Secondo l’articolo 58, Sez. 11, del Codice del lavoro, l’utilizzatore deve specificare in anticipo all’agenzia di lavoro interinale le condizioni di lavoro a cui sarà sottoposto il lavoratore, comprese le qualifiche professionali e le condizioni di lavoro che sono applicate ai lavoratori dipendenti che svolgono la stessa mansione. In Slovacchia, il codice del lavoro prevede che qualsiasi modifica dei termini di lavoro concordata (come ad esempio il cambiamento temporaneo del posto di lavoro o la retribuzione in caso di un incarico temporaneo) deve essere riportata per iscritto sul contratto di lavoro tra l’agenzia di lavoro interinale ed il lavoratore in questione. Da ciò deriva il rispetto dell’obbligo di informazione verso il lavoratore. Ai sensi dell’articolo 58, Sez. 12, del codice del lavoro, l’impresa utilizzatrice, alla quale il lavoratore è stato assegnato, dovrebbe consentire ai lavoratori temporanei la partecipazione alle attività di formazione al pari dei lavoratori dipendenti dell’utilizzatore. Inoltre, l’articolo 58, Sez. 4 del Codice del lavoro stabilisce che tale parità di trattamento venga assicurata anche relativamente alle condizioni di lavoro e alla sicurezza sul luogo di lavoro. Questo, tra l’altro, in piena conformità con quanto stabilito dall’articolo 8 della direttiva. I suddetti articoli del Codice del lavoro sono contenuti nell’Act on Health and Safety in cui si dice – nell’articolo 6, Sez. 4 – che un datore di lavoro è tenuto a garantire che i dipendenti di un altro datore di lavoro, che svolgano la loro attività nei luoghi di lavoro del primo datore, ricevano tutte le informazioni pertinenti e le istruzioni per la tutela della propria salute e sicurezza. Vale la pena di ricordare che i lavoratori che abbiano stipulato un contratto a tempo determinato, debbano avere le stesse condizioni di lavoro, e perciò anche in materia di salute e sicurezza, dei dipendenti a tempo pieno dello stesso datore di lavoro (articolo 48, Sez. 6, del Codice del Lavoro). II.10.4 Slovenia. Negli ultimi due decenni la Slovenia ha subito numerose trasformazioni soprattutto in relazione al mercato del lavoro interno e quindi anche in materia di salute e sicurezza. I lavoratori sloveni 228 hanno tradizionalmente goduto di un elevato livello di tutela sul posto di lavoro, sia da incidenti che da malattie professionali. La frammentazione dell’economia statale nel corso degli anni 19911998, il rapido sviluppo di piccole e medie imprese su tutto il territorio, soprattutto nel settore terziario, ha reso necessario l’aggiornamento del sistema di tutela della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro per rispondere alle istanze di una moderna economia di mercato. Nel processo di integrazione comunitaria, la Slovenia ha inoltre adottato nuove disposizioni legislative, anche nel settore di cui parliamo. Queste trasformazioni hanno portato naturalmente ad uno svecchiamento delle norme sulla salute e sulla sicurezza sul lavoro, ritenute presupposto essenziale per il lavoro. La direttiva quadro 89/391/CEE è stata implementata dall’Occupational Health and Safety Act. Le altre 18 singole direttive (e relative modifiche) sono state attuate attraverso regolamenti specifici aventi ad oggetto i luoghi di lavoro, le attrezzature di lavoro, i dispositivi di protezione individuale, le misure di sicurezza e salute, ecc. Inoltre, vi sono molti codici di buone pratiche, in cui sono contenute le linee guida in materia di sicurezza professionale: ad esempio la direttiva del Consiglio 89/654/CEE (sui luoghi di lavoro) è stata attuata attraverso le Regulations on Requirements for Ensuring the Health and Safety of Employees at workplaces. In esse sono contenute norme generali sui luoghi di lavoro, sull’impianto elettrico, sul sistema di ventilazione dei locali di lavoro, ecc. L’Occupational Health and Safety Act stabilisce i diritti e doveri di tutte le parti sul posto di lavoro. Il suo scopo principale è quello di proteggere la salute dei lavoratori contro i rischi e la loro sicurezza sul posto di lavoro. I datori di lavoro devono quindi organizzare i luoghi di lavoro di modo che non venga minacciata la salute e la sicurezza dei lavoratori. Vale a dire che i datori devono organizzare il luogo di lavoro allo scopo di prevenire o limitare i rischi che potrebbero insorgere e devono prevedere misure idonee a fronteggiare circostanze eccezionali che potrebbero verificarsi sul posto di lavoro. I luoghi di lavoro devono essere disposti in modo tale che i dipendenti possano eseguire le loro attività rimanendo seduti per il maggior tempo possibile. Relativamente alle attività in cui il datore di lavoro non può garantire ai dipendenti tale condizione, i lavoratori devono poter disporre di una loro postazione a sedere in prossimità del loro posto di lavoro effettivo. Riassumendo i datori di lavoro devono adottare le misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori, compresa la prevenzione dei rischi professionali, le attività di informazione e di consultazione e la presenza di un’organizzazione e delle indispensabili risorse materiali. Ogni datore di lavoro deve elaborare e adottare un documento scritto in materia di salute e sicurezza precisando le modalità e le misure per garantirle. Se dovesse verificarsi un nuovo pericolo o mutare il livello di rischio, tale documento scritto andrebbe modificato di conseguenza. Secondo un’analisi condotta dall’Health Insurance Institute sloveno, le assenze dei lavoratori dalle loro occupazioni dovute a malattia sono in aumento e rappresentano un grave disagio sociale, economico e sanitario. Lo studio in oggetto richiede che siano adottate misure urgenti per ridurre tale fenomeno. I motivi più comune di tali assenze sono lo stato di malattia, gli incidenti verificatisi fuori del luogo di lavoro, l’assistenza e la cura familiare, l’infortunio sul lavoro, incidenti che coinvolgono alte persone e altre ragioni. L’Ispettorato del Lavoro esercita annualmente il controllo in materia di salute e sicurezza nei contesi aziendali. Secondo i loro dati il numero di sanzioni nel 2007 è cresciuto per alcuni punti percentuali, ma non sensibilmente. La questione più critica è assicurare ai lavoratori gli esami sanitari e medici preventivi. Nella relazione per l’anno 2007, l’Ispettorato del Lavoro sottolinea che i maggiori problemi sono ancora relativi all’adempimento dell’obbligo del datore di lavoro di garantire un luogo di lavoro sicuro. Anche il tema delle molestie psicologiche è diventato di forte attualità nel dibattito pubblico e nella contrattazione collettiva negli ultimi anni. Prima del 2007 la legislazione che preveniva la discriminazione, le intimidazioni e le molestie sul luogo di lavoro, rispondeva solo parzialmentea queste problematiche. Nel 2007 poi ci sono stati alcuni cambiamenti nella legge sul lavoro. Ora è 229 stabilito che i datori di lavoro devono assicurare normali condizioni di lavoro psico-sociali e prevenire molestie psicologiche, fisiche e sessuali. La normativa in oggetto utilizza e definisce anche il termine “mobbing”. Ma il vero problema sta nella realizzazione di queste disposizioni. Secondo alcuni ricercatori, infatti, il mobbing e le altre forme di molestie psicologiche sono abbastanza comuni nei luoghi di lavoro sloveni ma l’Ispettorato del Lavoro ha un debole potere sanzionatorio nei confronti dei datori di lavoro e i casi non vengono nemmeno sottoposti al tribunale del lavoro. Le ragioni di questa situazione sono probabilmente da rintracciare nella difficoltà di dimostrare tali molestie davanti al tribunale. Secondo l’Ufficio statistico della Repubblica di Slovenia, la stragrande maggioranza delle persone in età attiva sono lavoratori dipendenti; circa un decimo delle persone che lavorano sono lavoratori autonomi. Le forme di lavoro non standard a cui più comunemente si ricorre nelle aziende slovene sono il contratto a termine (tre quarti dei nuovi contratti sono a tempo determinato), il lavoro part-time, il lavoro a turni ed il lavoro straordinario. Il lavoro part-time e il contratto a termine sono definiti dalla legge e anche in alcuni contratti collettivi. Anche se la legge afferma chiaramente che tutti i lavoratori sono uguali per quanto riguarda i loro diritti sul luogo di lavoro, la realtà dei fatti è diversa. I lavoratori che non hanno un contratto di lavoro a tempo indeterminato sono di fatto esclusi dai percorsi di formazione ed aggiornamento professionale. Lo stesso vale in tema di salute e sicurezza. In diversi documenti del governo sloveno, si affermato che vi è un grosso impegno per migliorare la salute e la sicurezza anche dei lavoratori non-standard in tutti i luoghi di lavoro. La Slovenia ha recepito nella legislazione nazionale, la maggior parte delle direttive in materia di salute e sicurezza. La sfida principale è ora quello di garantire che le norme giuridiche recepite ed integrate vengano convertite in reali miglioramenti delle condizioni di lavoro. C’è ancora molto da fare in materia di mobbing e di altre forme di molestie psicologiche e per i lavoratori dipendenti non-standard, soprattutto per i lavoratori temporanei tramite agenzia. 230 II.11 Focus: il caso americano. II.11.1 Introduzione: disciplina e regolamentazione della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro negli Stati Uniti. Lo scopo della presente ricerca è quello di evidenziare le buone pratiche in materia di salute e sicurezza sul lavoro (SSL), con particolare attenzione alle nuove tutele resesi necessarie con l’introduzione delle nuove forme contrattuali e dei nuovi modelli di organizzazione del lavoro. Questa prima parte del lavoro descrive, in un’ottica comparata rispetto ai Paesi dell’Unione Europea, il quadro giuridico e la prassi attuale in materia di salute e sicurezza negli Stati Uniti. Dal punto di vista squisitamente regolatorio, l’indagine che qui si presenta è il frutto di una non facile ricerca delle buone pratiche presenti negli Stati Uniti, poiché l’organo governativo responsabile della corretta esecuzione delle norme in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro e della realizzazione di standard nazionali, l’Occupational Safety and Health Administration (OSHA), ha per un intero settennio evitato di affrontare le problematiche derivanti dai nuovi rischi di lavoro, ha basato la regolamentazione di queste materie sulla volontarietà dei datori di lavoro piuttosto che sulla rigorosa applicazione delle norme esistenti, e, anche nei casi di evidenti violazioni da parte del datore di lavoro, sono state trovate soluzioni per evitare le sanzioni, in verità già irrisorie, previste dalla legge. Non sorprende quindi che l’OSHA è stata, come difficilmente era accaduto in passato, duramente criticata da parte dei sindacati, dei legali dei lavoratori più a rischio e da parte dei membri del Partito democratico presenti nel Congresso americano. Nonostante ciò, il caso degli Stati Uniti rimane di forte interesse per chi si occupa di queste materie per una serie di motivi. In primo luogo, le difficoltà nella regolamentazione della salute e della sicurezza dei lavoratori incontrate negli Stati Uniti non sono causate dal mancato studio o dalla scarsa conoscenza dei rischi lavorativi. Esiste infatti negli Stati Uniti un’agenzia governativa completamente autonoma, il National Institute for Occupational Safety and Health (NIOSH), atto a svolgere attività di ricerca in questo ambito e a proporre raccomandazioni per la prevenzione delle malattie e delle lesioni professionali. Al contrario di OSHA, il NIOSH si è guadagnato l’approvazione dei sindacati, dei legali dei lavoratori, e del mondo produttivo proprio grazie all’approccio rapido, equo e scientifico mostrato nei confronti di queste materie. Ospitato all’interno dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC) presso il Dipartimento della Sanità e dei Servizi Umani, il NIOSH non ha messo in pratica l’ordine del giorno del Dipartimento del Lavoro, a cui afferisce l’OSHA, relativo dalla deregolamentazione della materia in oggetto. In tal modo il NIOSH rappresenta un modello di buone pratiche, in particolare nella fase dell’identificazione di nuovi rischi, nella produzione di relazioni e raccomandazioni sulle sfide poste dal mutamento dei modelli di organizzazione del lavoro. In secondo luogo, il caso statunitense è degno di considerazione perché proprio la valutazione delle carenze nell’operato dell’OSHA, in particolare per quanto riguarda la protezione dei lavoratori più a rischio, può rivelare soluzioni migliori per regolamentare la materia della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro. A tal fine, è possibile ricondurre la politica deregolatoria dell’OSHA nell’attuale dibattito statunitense circa la necessità di modificare la struttura stessa della legge e della regolamentazione in generale: proporre quindi una regolamentazione più cooperativa e partecipativa rispetto ad un modello eteronomo e maggiormente punitivo. Il potenziale di insidie di quest’ultimo approccio, proposto dall’amministrazione Clinton e adottato in maniera significativa seppure con alcune modifiche anche dalla presente amministrazione Bush, è evidente proprio nella attuale politica dell’OSHA. In terzo luogo, l’esperienza degli Stati Uniti rende chiara la connessione esistente tra la realizzazione di norme di tutela del lavoro e la politica governativa in materia di immigrazione. Più in particolare, gli sforzi del governo statunitense volti a rendere sicuri i luoghi di lavoro per i lavoratori più a rischio, ossia quelli meno qualificati e i lavoratori stranieri, negli ultimi anni sono 231 stati resi vani dalla simultanea volontà governativa di reprimere duramente l’immigrazione illegale. A testimonianza di quanto affermato, si veda da un lato la proposta dell’OSHA di rafforzare la sicurezza dei lavoratori ispanici1, mentre d’altra parte la volontà dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE) di rendere ancora più rigorosa la legge sull’immigrazione clandestina proponendo incursioni sul posto di lavoro e provvedimenti di detenzione ed eventuale espulsione per i lavoratori privi di documenti2. Quest’approccio ambivalente del governo federale ha spinto verso il lavoro nero molti lavoratori privi del permesso di lavoro, impiegati spesso nelle attività più a rischio. Molto semplicemente, si darà valore agli sforzi compiuti per migliorare la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro solo quando la politica governativa riguardo all’immigrazione si coordinerà con le politiche del lavoro. Infine, il caso statunitense è interessante perché, nonostante i problemi di regolamentazione di queste materie a livello federale, negli Stati con grandi popolazioni immigrate come la California, sono state adottate misure fondamentali e radicali per la protezione dei lavoratori a rischio. Le organizzazioni non governative (ONG) e quelle sindacali hanno sviluppato interessanti strategie per il miglioramento della salute e della sicurezza dei lavoratori immigrati, nonostante appunto il fallimento dell’azione dell’OSHA. Queste pratiche hanno insegnato come poter indirizzare il potere di regolamentazione del governo quando non vi è coerenza politica e come riuscire a tutelare i lavoratori privi di forme legali di protezione. Il sistema di regolamentazione ed il rapporto di lavoro negli Stati Uniti. Prima di iniziare un esame della regolamentazione in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro negli Stati Uniti, si rende certamente necessaria una breve descrizione del mercato del lavoro americano. Gli Stati Uniti sono un paese di common law che in larga misura disciplina per legge il rapporto di lavoro. Il diritto di lavoro negli Stati Uniti viene sovente descritto come un complesso e talvolta persino confuso mosaico. Il diritto del lavoro statunitense3 ha numerose fonti: innanzitutto una legislazione, vigente sia a livello nazionale (federale) sia in tutti i 50 Stati, poi le interpretazioni della giurisprudenza statale e federale di tale legge statutaria, ancora le disposizioni ed i regolamenti federali, emanati dalle agenzie governative sia statali che federali aventi compiti di interesse pubblico, come ad esempio appunto la materia della salute e della sicurezza, la regolamentazione dei salari e degli orari di lavoro, le politiche sulle pari opportunità professionali ed i contratti collettivi di lavoro soprattutto a livello statale. Alla luce di questa caotica ma robusta rete di regolamentazioni in materia di lavoro, i datori di lavoro americani devono rispettare una serie di limiti e di prescrizioni specifiche circa la natura, la struttura del rapporto di lavoro e i termini e le condizioni di lavoro per i loro dipendenti. Ancora la regola fondamentale statunitense in materia di rapporto di lavoro, un’invenzione di diritto comune attualmente codificata in alcuni Stati4, è costituita dall’opposto di un imperativo restrittivo. La grande maggioranza dei lavoratori americani, infatti, - coloro che sono privi di rappresentanza sindacale, che lavorano nel settore privato, esclusi i professionisti nel campo Negli Stati Uniti, il termine “ispanico” si riferisce generalmente ai popoli messicani, portoricani, cubani e dell’America centrale o meridionale o a popoli di cultura ed origine spagnola indipendentemente dalla razza. Cfr. R.R. Ramirez, We the People: Hispanics in the United States, Census 2000 Special Reports, December 2004, US Census Bureau, in http://www.census.gov/prod/2004pubs/censr-18.pdf. 2 L’espressione “lavoratori privi di documenti” afferisce negli Stati Uniti a quei lavoratori stranieri che non hanno il permesso di lavoro o di soggiorno nel territorio statunitense. 3 In questo saggio si utilizza il termine “diritto del lavoro” nel senso europeo. Il diritto del lavoro è costituito dal corpo di leggi che regolano il rapporto di lavoro e i termini e le condizioni ivi previste. Il diritto del lavoro comprende quindi il diritto delle relazioni industriali, gli specifici diritti dei lavoratori come le norme antidiscriminatorie, le norme sulle retribuzioni e sugli orari di lavoro, le disposizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro e più in generale le norme che regolano tutti gli interessi ed i diritti dei lavoratori. L’espressione inglese “workplace law” è sinonimica di “labor law”. 4 Cfr. Cal. Labor Code §2922. 1 232 dell’istruzione protetti da norme specifiche - sono impiegati con la forma dell’employment at-will, ricorrendo quindi al principio della libera recedibilità. Questa espressione si riferisce al diritto delle due parti di interrompere liberamente ossia ad nutum il rapporto di lavoro in qualsiasi momento con o senza una causa5. Il principio di libera recedibilità, risalente al XIX secolo, è stato poi nel tempo attenuato attraverso la previsione di eccezioni di diritto o di eccezioni di creazione giurisprudenziale. Per esempio, non si può, in generale, porre fine ad un rapporto di lavoro a causa delle attività sindacali svolte dal lavoratore o dalla lavoratrice, o per motivi legati alla razza, al colore della pelle, al sesso, alla religione, all’origine nazionale, all’età, a condizioni di disabilità, o, in alcuni stati americani, per motivi contrari alle politiche del governo. Certamente il principio statunitense di base della libera recedibilità mostra come la tutela della “giusta causa”, garanzia data per scontata dai lavoratori europei, non è garantita alla stragrande maggioranza dei lavoratori statunitensi. Questo punto è importante, dato il ruolo centrale che in questo saggio è conferito alla materia della salute e della sicurezza per i lavoratori precari. L’aumento in Europa del ricorso ai contratti a termine, e lo stress dei lavoratori collegato ad una minore stabilità dell’impiego rispetto alla tipologia dei contratti a tempo indeterminato, è un grave problema di pubblico interesse al centro dei dibattiti europei. Negli Stati Uniti, invece, laddove vige il principio della libera recedibilità, il lavoro è precario per sua stessa definizione. Il lavoro precario non è necessariamente visto come un nuovo rischio per la salute e la sicurezza dei lavoratori americani. Detto questo, gli Stati Uniti, come la maggior parte dei paesi industrializzati, hanno assistito ad un significativo aumento del ricorso da parte dei datori di lavoro ai lavoratori temporanei impiegati tramite agenzie di lavoro, a lavoratori autonomi ed a lavoratori part-time. Queste persone non godono generalmente di tutti i benefici legati al lavoro dipendente come ad esempio l’assicurazione per malattia e la partecipazione a programmi di pensionamento finanziati dal datore di lavoro; tali categorie di lavoratori potrebbero senz’altro non rientrare nella definizione di “lavoratore” così come intesa da molte disposizioni di tutela. Inoltre, l’outsourcing e l’off-shore sono fenomeni ben radicati negli Stati Uniti e contribuiscono ad alimentare in molti lavoratori statunitensi sentimenti di ansia e di insicurezza. Quindi, sebbene la maggioranza dei lavoratori americani non disponga di una tutela giuridica del proprio posto di lavoro anche quando fosse impiegata in forme di lavoro tradizionali, come il contratto a tempo pieno, le insicurezze legate all’occupazione sono il frutto del ricorso a nuove forme di organizzazione del lavoro e alle attuali tendenze. Kristin Cummings e Kathleen Kreiss, appartenenti al personale NIOSH, hanno recentemente pubblicato un articolo circa gli effetti riconosciuti sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori di queste non tradizionali forme di occupazione. Il loro articolo verrà commentato nella seconda parte di questo saggio. Prima verranno analizzati altri due aspetti nell’ordine seguente: l’incontro malriuscito tra le norme di tutela del diritto del lavoro statunitense e le forme di lavoro non tradizionali, e la legge americana in materia di salute e sicurezza e la sua realizzazione. Il diritto del lavoro in America e l’attuale mercato del lavoro. La classe politica americana ha da tempo compreso che negli Stati Uniti il diritto del lavoro non è riuscito a tenere il passo con le nuove forme di organizzazione del lavoro e con i rapporti di lavoro cosiddetti “non tradizionali”. Questo problema è stato presentato per la prima volta all’interno di un atto governativo nella relazione finale della Commissione statunitense del 19946 Future of Worker-Management Relations (relativa agli sviluppi delle relazioni industriali). A tale Lo stato del Montana è l’unico ad aver abbandonato il principio della libera recedibilità. Cfr. Mont. Codice Ann. § 39-2-901 ss. Lo Stato dell’Arizona invece ha per statuto limitato notevolmente il ricorso a tale principio. 6 Cfr. U.S. Dept. Labor & U.S. Dept. of Commerce, Commission on the future of worker-management Relations: Rapporto Finale (1994). 5 233 commissione, popolarmente conosciuta come la Commissione Dunlop dal nome del suo presidente John T. Dunlop, fu assegnato un compito ambizioso, ossia innanzitutto di valutare quali potessero essere gli strumenti o le istituzioni atte ad incoraggiare l’aumento della produttività del lavoro e della cooperazione, poi di valutare se fosse necessario apportare dei cambiamenti nel quadro giuridico che disciplina le pratiche di contrattazione collettiva, ed infine di valutare ciò che si fosse dovuto fare per risolvere le controversie private tra i lavoratori ed i loro datori di lavoro7. Essendosi la Commissione formatasi all’inizio del primo mandato del presidente Bill Clinton, quando il Partito democratico controllava il Congresso degli Stati Uniti, si sperava che essa avrebbe realizzato una significativa riforma del diritto del lavoro. Dopo venti mesi di studio, la Commissione Dunlop presentò una relazione globale avente ad oggetto una serie di argomenti, tra cui una sezione sull’attuale mercato del lavoro, descritto in termini di ricorso crescente da parte dei datori a «independent contractors and part-time, temporary, seasonal, and leased workers»8. Alla preoccupazione per la condizione precaria di molti lavoratori si è aggiunta la consapevolezza che questi individui sono sovente esclusi dal campo di applicazione di leggi americane sul lavoro. In particolare, la relazione ha osservato: The single most important factor in determining which workers are covered by employment and labor statutes is the way the line is drawn between employees and independent contractors. Each labor and employment statute covers only those it defines as employees. The statutes do not protect others, notably independent contractors […].There are two major problems with the definition of employee in current labor and employment law: (1) each statute makes the distinction in its own way, presenting employers with an unnecessarily complicated regulatory maze; (2) in substance the law is based on a nineteenth century concept whose purposes are wholly unrelated to contemporary employment policy [9]. La Commissione ha constatato che, date le diverse definizioni di legge di “lavoratore subordinato” e i differenti metodi utilizzati dai tribunali e dalle agenzie governative per stabilire chi è un lavoratore dipendente e chi un lavoratore autonomo, può accadere che una stessa persona possa essere considerata lavoratore subordinato o autonomo a seconda dell’atto legislativo che si prende in esame. Inoltre, il quadro giuridico esistente stabilisce, secondo logiche perverse, alcuni incentivi ai datori di lavoro che ricorrano a tipologie contrattuali atte a «to reduce the number of workers with access to collective bargaining and protections as to the minimum wage, overtime, pensions, benefits and the like»10. Allo scopo di porre fine a tale ingiustificabile situazione, la Commissione ha raccomandato di razionalizzazione, modernizzazione, ed uniformare in tutti gli atti legislativi sul lavoro le definizioni di “lavoratore subordinato” e di “datore di lavoro”. Nel disegnare idealmente la linea di demarcazione tra lavoratori autonomi e subordinati, i tribunali e le istituzioni dovrebbe abbandonare il vecchio criterio di common law – che rintraccia l’elemento distintivo della subordinazione nel potere di controllo capillare da parte del datore di lavoro dell’attività prestata dal lavoratore subordinato –, a favore di un approccio economicistico volto a tutelare i lavoratori economicamente dipendenti da un determinato datore di lavoro. Purtroppo, soprattutto per chi aveva interesse a realizzare una tutela maggiore dei lavoratori più a rischio, la pubblicazione della Relazione della Commissione Dunlop ha coinciso con la cosiddetta “Rivoluzione di Gingrich” del novembre 1994, durante la quale il Partito Repubblicano ha Ivi, 3. Ivi, 61: «lavoratori autonomi e a tempo parziale, temporanei, stagionali, e in staff leasing» (traduzione nostra). 9 Ivi, 64: «Il fattore più utile a determinare quali categorie di lavoratori siano tutelati dalla legislazione sul lavoro è rappresentato dalla differenza tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi. Ogni atto o disposizione legislativa sul lavoro riguarda solo quelli definiti come lavoratori subordinati. La legge non protegge gli altri lavoratori, in particolare se autonomi…Esistono tuttavia due grosse difficoltà nella corretta definizione di lavoratore subordinato nell’attuale mercato del lavoro e nel diritto del lavoro: (1) ogni atto legislativo opera tale distinzione in modo differente, dotando i datori di lavoro di una regolamentazione inutilmente complicata; (2), in sostanza, la legislazione sul lavoro risale al XIX secolo e perciò non è affatto aderente agli attuali assetti occupazionali» (traduzione nostra). 10 Ivi, 68: «ridurre il numero di lavoratori tutelati dalla contrattazione collettiva e da disposizioni riguardanti il salario minimo, gli straordinari, le pensioni, la previdenza, ecc.» (traduzione nostra). 7 8 234 riacquistato la maggioranza nel Congresso11. La relazione della Commissione Dunlop ha avuto scarsa eco nell’opinione pubblica; inoltre, l’amministrazione Clinton, credendo che il momento politico opportuno fosse oramai passato, non ha dato seguito alle raccomandazioni contenute nella Relazione. Due più recenti pubblicazioni del governo, tuttavia, hanno riproposto alla classe politica il problema della mancata corrispondenza tra le norme di tutela del diritto del lavoro statunitense e le forme di lavoro non tradizionali. La Relazione del 2000 del U.S. General Accounting Office (GAO Contingent Workers: Income and Benefits Lag Behind Those of the Rest of Workforce12, ha ribadito l’esclusione da molte tutele di lavoratori classificati come autonomi. Inoltre, la relazione sottolineava che alcuni lavoratori temporanei e a tempo parziale sono di fatto esclusi dal campo di applicazione soggettivo del Family and Medical Leave Act perché la legge tutela i lavoratori che hanno lavorato per uno stesso datore di lavoro per almeno 12 mesi e per «at least 1,250 hours during the past 12 months»13. Difficoltà analoghe esistono relativamente alle protezioni offerte ai lavoratori subordinati dall’Employee Retirement Income Security Act, che esclude dai piani pensionistici offerti dal datore di lavoro quei lavoratori dipendenti che abbiano lavorato meno di 1000 ore in un periodo di 12 mesi14. La relazione, inoltre, evidenziava anche che il requisito del reddito minimo richiesto da alcune disposizioni legislative per accertare lo stato di disoccupazione, escludeva di fatto alcuni lavoratori dal beneficiare delle prestazioni15. Il GAO ha riproposto lo stesso tema in una relazione del 2006, Employment Arrangements: Improved Outreach Could Help Ensure Proper Worker Classification16. Definendo il “lavoro precario” come «work arrangements that are not long-term, year-round, full-time employment with a single employer»17, il report ha richiamato l’attenzione su tutti quei lavoratori non tradizionali come i lavoratori temporanei, autonomi, e part-time18. La relazione ha stimato che sono 10,3 milioni i lavoratori non compresi nel campo di applicazione della legislazione a tutela del lavoro proprio a causa della loro classificazione come lavoratori autonomi19. La relazione ha inoltre evidenziato la difficoltà incontrate dai lavoratori temporanei qualora desiderino aderire alle rappresentanze sindacali aziendali. Una decisione del 2004 del National Labor Relations Board, l’organismo incaricato di far rispettare in America la legge nazionale sulla contrattazione collettiva, richiede «consent from both the user and supplier employer before temporary employees [can] join an existing bargaining unit»20. In appendice alla relazione del 2006, il GAO ha sottolineato come nel tempo siano stati creati numerosi metodi per determinare se e quando una specifica legge si possa applicare anche ai Cfr. T.A. Kochan, Updating American Labor Law: Taking Advantage of a Window of Opportunity, in Comparative Labor Law and Policy Journal, 2007, vol. 28, n. 2, 101, 104-107, in http://www.law.uiuc.edu/publications/cll&pj/archive/vol_28/issue_2/KochanArticle28-2.pdf. 12 Cfr. K.E. Brown et al., Contingent Workers: Income and Benefits Lag Behind Those of the Rest of Workforce, US General Accounting Office, 2000 (da ora in poi Contingent Workers). 13 Ivi, 30: «almeno 1250 ore nel corso degli ultimi 12 mesi» (traduzione nostra). 14 Ibidem. 15 Ivi, 31. 16 R.E. Robertson et al., Employment Arrangements: Improved Outreach Could Help Ensure Proper Worker Classification, US Government Accountability Office, 2006 (da ora in poi Employment Arrangements). 17 Ivi, 5: «qualsiasi modalità di lavoro svolta né a lungo termine, né per un intero anno, né a tempo pieno con un unico datore di lavoro» (traduzione nostra). 18 Ivi, 6, una tabella presente nella relazione riporta otto categorie di lavoratori considerati dal GAO come lavoratori temporanei: 1) i lavoratori temporanei tramite agenzie; 2) i lavoratori che provvedono alla sicurezza o alla programmazione di computer o servizi; 3) i lavoratori giornalieri 4) i lavoratori temporanei impiegati direttamente dai datori di lavoro; 5) lavoratori autonomia con una propria clientela; 6) i lavoratori a chiamata come ad esempio i supplenti nelle scuole; 7) i lavoratori autonomi come ad esempio i medici e 8) lavoratori a tempo parziale che lavorano per un determinato datore di lavoro meno di 35 ore settimanali. 19 Ivi, 21. 20 Ivi, 24: «che vi sia il consenso di entrambe le parti, l’agenzia di lavoro e l’utilizzatore, perché un lavoratore temporaneo [possa aderire] ad una rappresentanza sindacale aziendale» (traduzione nostra). 11 235 lavoratori cosiddetti non tradizionali. Questi metodi – di common law, la prova della dipendenza economica – di cui sopra –, e un metodo che è una via di mezzo tra i primi due – creano di fatto grande incertezza e confusione. Ad esempio, i tribunali di appello circa le decisioni adottate sulla base dell’Occupational Safety and Health Act (OSH Act) sono soliti ricorrere ad entrambi i primi due metodi per definire se un lavoratore è subordinato o autonomo21. Infine, la relazione del 2006 ha evidenziato anche quanto sia complesso determinare le responsabilità del datore di lavoro relativamente alle condizioni di lavoro a cui sono sottoposti questi lavoratori precari, visto che spesso essi hanno più di un datore di lavoro. Questa situazione si verifica quando un intermediario, come ad esempio un’agenzia di lavoro interinale, fornisce i lavoratori ad una impresa cliente. L’individuazione della parte o delle parti responsabili può anche portare ad un contenzioso22. Come mostrato dalle tre relazioni governative ora descritte, il diritto del lavoro americano necessita già da molto tempo di una profonda revisione. Il diritto del lavoro deve poter rispondere alle istanze proposte dai nuovi lavori del XXI secolo. L’obiettivo della ricerca, tuttavia, è quello di individuare le buone pratiche connesse alla regolamentazione in materia di Salute e sicurezza sul luogo di lavoro, in particolare per i lavoratori precari. Quindi, questo saggio cercherà di evidenziare quali insegnamenti positivi possiamo trarre dall’attuale assetto del mercato del lavoro. A tal fine verranno analizzati il diritto americano in materia appunto di salute e sicurezza e la sua applicazione. Il diritto statunitense in materia di salute e sicurezza e la sua applicazione. Anche se la legislazione americana in materia di Salute e sicurezza sul luogo di lavoro risale al tardo XIX secolo, la moderna era legislativa in questa materia ha avuto inizio nel 1970 con l’Occupational Safety and Health Act23. In un periodo di forte agitazione politico-sindacale, data anche la preoccupazione dell’opinione pubblica circa gli incidenti mortali nelle cave per l’estrazione mineraria e nel settore edile ed industriale, e vista anche la determinazione del Congresso nazionale a che fossero rispettati standard minimi in materia di salute e sicurezza, l’Occupational Safety and Health Act mirava «to assure so far as possible every working man and woman in the Nation safe and healthful working conditions […]»24. Questa legge, considerata come il testo di riferimento in questa materia, investe le autorità del Segretariato del Lavoro del compito di promulgare norme in materia di Salute e sicurezza, di far rispettare tali norme, e, a tal fine, di condurre ispezioni di lavoro e di sanzionare gli abusi. L’Occupational Safety and Health Administration è l’organo del governo federale, appositamente creato da questa legge, responsabile delle attività sopra elencate. L’OSHA fa parte del Dipartimento del Lavoro. Ai sensi dell’Occupational Safety and Health Act, i datori di lavoro devono garantire «employment and [a] place of employment which are free from recognized hazards that are causing or likely to cause death or serious physical harm […]»25. I datori di lavoro sono ritenuti responsabili di violazione di questo obbligo generale se la legge non ha definito uno standard relativo al rischio 21 Ivi, 54. Un commentatore ha recentemente analizzato le difficoltà connesse all’applicazione della legge in materia di Salute e sicurezza sul luogo di lavoro ai lavoratori non tradizionali. Cfr. C.C. García Hernández, Note: Feeble, Circular, and Unpredictable: OSHA’s Failure to Protect Temporary Workers, 27 B.C. Third World L.J. 193 (2007). Per informazioni più generali sul diritto del lacoro e le occupazioni precarie, cfr. K.V.W. Stone, Legal Protections for Atypical Employees: Employment Law for Workers Without Workplaces and Employees Without Employers, 27 Berkeley J. Emp. & Lab. L. 251 (2006); S.F. Befort, Revisiting the Black Hole of Workplace Regulation: A Historical and Comparative Perspective of Contingent Work, 24 Berkeley J. Emp. & Lab. L. 153 (2003); C.W. Summers, Contingent Employment in the United States, 18 Comp. lab. L.J. 503 (1997); K.G. Dau-Schmidt, The Labor Market Transformed: Adapting Labor and Employment Law to the Rise of the Contingent Workforce, 52 Wash. & Lee L. Rev. 879 (1995). 22 Cfr. Employment Arrangements, 25. 23 29 U.S.C. §§651-678. 24 29 U.S.C. §651(b): «a garantire, per quanto possibile, che ogni uomo o donna lavorasse negli Stati Uniti in condizioni di lavoro sane e sicure […]» (traduzione nostra). 25 29 U.S.C. §654(a)(1): «un lavoro e [un] luogo di lavoro che siano esenti da rischi riconosciuti che causano o possono causare morte o gravi danni fisici […]» (traduzione nostra). 236 in questione. Inoltre, i datori di lavoro devono rispettare tutte le norme in materia di Salute e sicurezza previste per legge compresa la tenuta di specifici registri e gli obblighi di rendicontazione relativi alla incidenza di morti sul lavoro, infortuni e malattie. I datori di lavoro devono consentire le ispezioni previste dall’OSHA a patto che queste siano ragionevoli in termini di tempo, modo e campo di applicazione. È vietata qualsiasi ritorsione nei confronti dei dipendenti per l’ese