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Insegnare agli ignoranti
“Quello che avete fatto al più piccolo fra voi…” 19 dicembre 2011 “INSEGNARE GLI IGNORANTI” “Chi possiede una parola di vita e non la trasmette [ad altri] somiglia a un uomo che in tempo di carestia tiene grano nel granaio e lascia che gli affamati vengano meno sulla sua soglia” (Ernst Hello) Ignorare dal latino gnarus, stessa radice dal greco gnorezei – conoscere. L’ignorante è colui che non conosce, non sa. Questo vocabolo può essere usato anche in senso più ampio: per esempio si applica a chi non conosce la buona educazione o le buone maniere. Normalmente noi identifichiamo in chi parla a sproposito, a voce troppo alta, in maniera sboccata o con modi rozzi, appunto l’ignorante. Ma ignorante è anche chi giudica in base a cose che non sa o si approfitta dell’ingenuità altrui. Talvolta diciamo che qualcuno monta in cattedra quando vuole fare vedere che ne sa sempre più degli altri, quando ci trasmette l'impressione che noi non sappiamo niente e lui sa tutto. Paradossalmente possiamo dire che chi si ‘mette in cattedra’ con autorità e non si guadagna autorevolezza è un ignorante. Perciò l’ignorante è la persona che non conosce, che non ha ancora visto, che non ha visto qualcosa. E la parola insegnare viene da signare e cioè lasciare il segno. In è la particella che sta a significare dentro perciò insegnare vuol dire lasciare un segno dentro. Insegnare agli ignoranti perciò non significa che mi ritenga superiore agli altri. Si tratta piuttosto di aprire gli occhi a chi non ha visto qualcosa, in un certo senso di dire: «Guarda, guarda qui. Ecco qualcosa di interessante. Qui c'è qualcosa che ti riguarda, che è importante per te». Non ammaestro, ma gli mostro qualcosa affinché lo guardi con i suoi occhi. Per poter ammaestrare gli ignoranti è chiaro che non bisogna esserlo noi per primi. Due sono gli aspetti di quest’opera di misericordia. Il primo tocca l’analfabetismo, l’obbligo scolastico, il lavoro sfruttato o minorile… tutte realtà che condannano tanti uomini a un’esistenza diminuita, senza orizzonti. L’insegnamento coinvolge anche l’aspetto dell’educazione e dell’alfabetizzazione. Educare significa “condurre fuori”, “portare alla luce” le potenzialità della vita personale, le dimensioni dello sviluppo (affettiva, sociale, intellettuale, etica,fisica) che caratterizzano tutte le età generazionali e i diversi ambienti di vita: i paesi, le borgate, le metropoli. L’educazione deve affrontare le diverse problematicità della realtà. Educare per evitare tante forme di emarginazione e di depauperamento della persona e per favorirne lo sviluppo integrale. Se la finalità è l’ autonomia dell’ uomo e della donna i luoghi dell’ educazione dovranno essere gli ambiti della famiglia, della scuola, delle chiese, delle associazioni degli enti locali, istituzioni ma anche il territorio con le sue risorse. L’educazione può coinvolgere diverse dimensioni: il tempo libero, l’ insegnamento, il gioco, la relazione,la sperimentazione (come apertura alle diversità culturali e ambientali),un progetto educativo(ovvero una programmazione). Davanti a diverse situazioni di difficoltà di vita occorre, in ambito educativo, proporre uno stile sempre più differenziato,quindi individualizzato, che varia a seconda degli stili cognitivi, ovvero alle modalità di apprendimento, dei diversi modi di pensare. In base a tutto ciò possiamo anche dire che il compito dell'insegnante a scuola è un'opera di misericordia. Vorrebbe aprire gli occhi agli allievi e alle allieve che non sanno, non perché acquisiscano qualcosa di più di nozioni da 1 richiamare alla mente, ma perché vedano di più, perché vedano meglio. Insegnare è soprattutto una scuola dello sguardo. L'insegnamento, però, avviene anche tramite la parola. Le parole sono come chiavi che aprono gli occhi. Le parole non trasmettono soltanto il sapere in una determinata materia ma toccano l'essere umano, il suo cuore. Aprono una porta, attraverso la quale l'allievo può entrare per ammirare un nuovo mondo. L'insegnante, però, insegna anche mediante il proprio esempio, che dimostra che in lui la persona e le parole coincidono. Con la sua persona dimostra per quali valori garantisce e che cosa rende umano l'uomo. Il filosofo greco Socrate intendeva l'essere maestro come arte maieutica, cioè ostetrica. Come una levatrice aiuta la nascita di un nuovo essere umano, così l'insegnante, con le sue domande, contribuisce al fatto che l'allievo veda il mondo con occhi nuovi e in tal modo sia rinnovato interiormente. Ma c’è anche, e soprattutto, un aspetto legato all’ignoranza religiosa, al disconoscimento delle verità della fede, che rende i cristiani incapaci di comunicare le ragioni della loro fede e della loro speranza all’uomo d’oggi. L'opera di misericordia spirituale che richiama il dramma dell’ignoranza nelle cose riguardanti la fede, purtroppo, tocca una forte percentuale delle persone del nostro tempo. Già San Girolamo denunciava questo fatto: “L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo”. Quando l’uomo si allontana dal suo prototipo che è il Signore della vita e della storia, come può ancora ridisegnarsi come essere creato a “immagine e somiglianza di Dio”? I Padri greci, circa l’uomo “creato a immagine e somiglianza” di Dio, dicevano: “L’immagine ci è donata fin dall’inizio da Dio; gli artefici della somiglianza siamo invece ciascuno di noi. La vita spirituale è quindi un continuo progresso … dall’immagine alla somiglianza, cioè nella risposta attiva alla voce del Padre”. Nella società di oggi ciò che rende difficile, a volte, un’autentica esperienza di Dio e della sua presenza in mezzo a noi, è lo spessore impenetrabile dell’indifferenza e dell’apparenza. L’opera di misericordia spirituale di “insegnare” agli ignoranti ci affida il compito di essere mediatori di testimonianza e di autenticità. Scriveva Paolo VI: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni”. È dunque mediante il nostro vissuto e la vita pienamente realizzata che noi riusciamo a penetrare e incidere nelle chiusure così cristallizzate di coloro che vivono lontano dalla verità e dalla conoscenza di Cristo. Come diceva Paolo VI nell’ Evangelii nuntiandi, l’uomo moderno sazio di discorsi si mostra spesso stanco di ascoltare e, peggio ancora è immunizzato contro la parola. Oggi possiamo contare su sostegni diversi come i mezzi di comunicazione di massa che hanno allargato gli orizzonti al mondo intero. Occorre rischiare e osare strade non consuete. Un esempio è rappresentato da don Milani che cercò di avvicinare i giovani alla Chiesa col gioco del pallone, il ping pong e il circolo ricreativo. Presto si rese conto che la mancanza di cultura era un ostacolo alla evangelizzazione e all’elevazione sociale e civile del suo popolo. Organizzò così una scuola serale per giovani operai e contadini. Per lui prete la scuola era il mezzo per colmare quel fossato culturale che gli impediva di essere capito dal suo popolo quando predicava il Vangelo; lo strumento per dare la parola ai poveri perchè diventassero più liberi e più eguali e consapevoli dei problemi del popolo. La sua scuola accoglieva solo operai e contadini, perchè intendeva eliminare la differenza culturale che esisteva tra questi e altri strati sociali. Per questo la definiva scuola classista, nel senso cioè di scelta dei poveri. Don Milani diceva : “Se si perde loro (i ragazzi più difficili) la scuola non è più scuola. É un ospedale che cura i sani e respinge i malati.” (Da Lettera a una professoressa). La Chiesa attraverso i secoli è sempre stata promotrice di cultura e civiltà. Nei paesi del terzo mondo dove l'analfabetismo è ancora molto diffuso, quest'opera di misericordia è esercitata dai 2 missionari, dai volontari, dalle scuole cattoliche e interessa i catechisti, gli insegnanti di religione nelle scuole, sacerdoti e laici. Ma diventa veramente opera di misericordia a due condizioni: se riesce a essere non soltanto trasmissione di notizie, ma di esperienza e di vita e se riesce a coinvolgere i genitori che sono i primi maestri dei loro figli. Proprio l’atteggiamento di misericordia è caratterizzato dalla percezione che l’altro ha bisogno, dall’impegno ad aiutarlo, e il “consiglio” è questo. Non si tratta solo di “consigliare i dubbiosi”, ma anche di “insegnare agli ignoranti”. Dice l’evangelista che Gesù si commosse di fronte alle folle “perché erano come pecore senza pastore e allora si mise a insegnare loro molte cose” facendo opera di misericordia. Di fronte alla commozione per il popolo sbandato. Gesù intuisce il male profondo di questo popolo, che non è tanto materiale, ma di smarrimento, di insicurezza, di mancanza di senso. In mezzo a tanta confusione d’opinioni, non è forse anche il nostro, tempo di fame delle cose di Dio? Falsi maestri, falsi idoli, ingannevoli stili di vita ci vengono proposti e anche imposti. Un pericoloso relativismo intellettuale e morale si insinua in modo subdolo anche in mezzo a noi cristiani. Inoltre siamo bombardati da infinite parole di maestri d’ogni specie che pongono sullo stesso piano il lecito e l’illecito, il bene e il male. Sempre più spesso la persona è lasciata a se stessa di fronte ai problemi morali più gravi. Ci vengono a mancare riflessione, saggezza. Dobbiamo sentire costantemente la necessità e la gioia di affidarci all’unico vero pastore e maestro: Gesù. Nella disputa con i farisei Gesù ci mette in guardia dal farci chiamare rabbi, 'padre' o 'maestro', come facevano i farisei e come evidentemente facevano anche alcuni dottori della legge all'interno della comunità cristiana. I tre concetti mostrano tre aspetti dell'insegnante. Rabbi significa in realtà 'mio signore' o 'mio maggiore'. Esiste dunque il rischio di ritenersi superiori ai discepoli, agli ignoranti, in quanto maestri. Gesù invece punta sull'uguaglianza di tutti i cristiani tra di loro: «Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8). I farisei si facevano chiamare volentieri 'padre'. Gesù rimanda a Dio, il nostro unico Padre. DIGRESSIONE Una parola sul padre, figura in crisi e difficoltà come chiunque è chiamato ad esercitare una qualsiasi forma di autorità. Oggi abbiamo dei padri impauriti, diminuiti nella loro presenza e per questo poi si hanno dei figli paurosi. La paternità è un diritto di ogni uomo perché non è un accessorio ma la più grande maturazione. Si diventa padri donando un mistero biologico, psicologico, spirituale che si è ricevuti. Alla luce della paternità di Dio, "da cui ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome" (Ef 3,45), la paternità e la maternità umane acquistano tutto il loro senso, la loro dignità e grandezza. "La paternità e maternità umane, pur essendo biologicamente simili a quelle di altri esseri in natura, hanno in sé in modo essenziale ed esclusivo una «somiglianza» con Dio, sulla quale si fonda la famiglia, intesa come comunità di vita umana, come comunità di persone unite nell'amore San Paolo dice perciò che ogni paternità in terra si fonda in Dio. Ecco perché Gesù dirà di non chiamare nessuno sulla terra ‘padre’. Per ricordare di non arrogarsi il dono come un diritto. Gesù ci insegna che Dio è Padre con tutto se stesso e nei dialoghi notturni con Dio Gesù imparava da Lui ad essere padre per i suoi discepoli. Questo ci aiuta a capire che si diventa padri solo imparando ad essere figli. Se non si conosce il proprio padre si scava un buco in se stessi che renderà più difficile diventare autenticamente adulti. Noi siamo segnati da tante infanzie e tanti traumi verso i nostri vari padri. Ci sono delle strade che possiamo percorrere per imparare ad essere padri. Innanzitutto il silenzio in cui si entra in contatto con se stessi e con Dio e poi capire che le nostre parole vengono dal Padre attraverso però il nostro sangue e la nostra esperienza. Dobbiamo ricordare che gli insegnanti, i catechisti, ecc sono in qualche modo padri e madri. E 3 occorre essere attenti al magistero negativo di tanti tuttologi, intellettuali che seminando ogni giorno dubbi, scoraggiamento, cinismo, relativismo possono portare a dei danni enormi. Pensiamo a quante persone sono morte per obbedire ai cattivi maestri delle varie ideologie. Gesù temeva la freddezza e l’arroganza dei farisei ipocriti. La vera autorità è quella che riscalda perché accetta di ricevere da Dio parole e d esperienze. Per questo mette in guardia i suoi discepoli. E anche nel monachesimo delle origini si parlava di paternità spirituale. I monaci, però, stabilivano criteri severi e mettevano in guardia da quei monaci che si atteggiavano a padre dell'altro. Ma torniamo a noi…. Nella terza espressione per 'maestro' Matteo utilizza il termine kathéghètes. Questa parola veniva usata dai greci per Aristotele. Indica il maestro dei filosofi, il consigliere spirituale e la guida della coscienza. Nessun essere umano deve disporre della nostra coscienza, solo Cristo può farlo. Soltanto lui è il nostro vero maestro. Matteo ci ha descritto Gesù come il vero maestro, che non insegna con potenza soltanto mediante le sue parole, ma anche tramite il suo esempio. Con la sua vita e la sua passione porta a compimento ciò che ha insegnato ai suoi discepoli. Matteo ci descrive la passione di Gesù in modo tale che in essa il Discorso della montagna si fa visibile e sperimentabile per tutti gli osservatori. "Capisci quello che stai leggendo?” (At 8,30), chiede Filippo al funzionario etiope che sta leggendo un passo del profeta Isaia. E quegli risponde: "E come potrei se nessuno mi istruisce (letteralmente: "mi guida)? (At 8,31). Questo dialogo mostra la necessità di un’ istruzione per entrare nella conoscenza della Scrittura. Più in generale, tutta quanta la vita di fede necessita di un insegnamento, di una trasmissione in cui il più esperto guida e istruisce il meno esperto. Possiamo vedere correttamente la nostra umanità soltanto se contempliamo Dio con occhi chiari. Le immagini erronee di Dio portano anche a immagini di noi stessi nocive alla salute. Conoscere è sempre anche riconoscere. Attraverso le parole del 'maestro' riconosco anche le mie riflessioni e intuizioni. E ora ho il coraggio di vedere la vita come la mia anima la vedeva già da sempre. Le opinioni altrui mi avevano però sottratto la sensibilità per la mia anima. Ripeto: insegnare è arte ostetrica (infatti è messa vicino all’educazione – educere, tirar fuori). Aiuta a imparare l'arte della vita. La vita spirituale è sempre anche l'arte di una vita sana. Insegnare agli ignoranti significa dare loro parole che introducono all'arte della vita, pronunciare parole di vita che fanno scaturire la vita negli altri. Posso dare all'altro parole di vita soltanto se io stesso le ho provate, se quelle parole hanno donato vita proprio a me. Donare ad altri quelle parole è un'opera di misericordia. Da qui l’importante del catechista che insegna (lascia il segno), educa (tira fuori), condivide l’esperienza di vita. Non che la promozione umana non sia compito urgente, ma è certo che questa senza l’evangelizzazione è monca. “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4, 4). Dunque, lo sguardo di Dio è quello che deve portarci a vedere il prossimo come lo vede Cristo cioè guardare gli altri nella prospettiva di Gesù Cristo. Concludiamo con le parole di Benedetto XVI tratte dalla “Deus caritas est”: «Il suo amico è mio amico. Al di là dell´ apparenza esteriore dell´ altro scorgo la sua interiore attesa di un gesto di amore, di attenzione […]. Io vedo con gli occhi di Cristo e posso dare all´ altro ben più che le cose esternamente necessarie: posso donargli lo sguardo di amore di cui egli ha bisogno. […] Solo la mia disponibilità ad andare incontro al prossimo, a mostrargli amore, mi rende sensibile anche di fronte a Dio. Solo il servizio al prossimo apre i miei occhi su quello che Dio fa per me e su come Egli mi ama». 4 PER LA PREGHIERA Le sette qualità del Cristo Maestro Cristo è maestro dell’annunzio fondamentale del Regno. Cristo è l’annunziatore perfetto e afferma che egli è venuto per dare senso alla storia. Annuncia che: «il tempo è compiuto» cioè che il tempo è giunto a pienezza; «il regno di Dio è vicino», cioè che il regno di Dio è già attuato, instaurato in Cristo;bisogna convertirsi e credere al vangelo, cioè fondare la vita sul vangelo. Gesù è un maestro sapiente, che usa la parabola, il simbolo, la narrazione. Gesù ha anche un’attrezzatura pedagogica, didattica. Le parabole di Gesù partono sempre dalla storia concreta, dall’esistenza (la donna di casa, i pescatori, i contadini, gli uccelli, i gigli) Esempio: Gesù per rappresentare la propria morte e la sua funzione salvifica parte dal chicco di grano che muore per dare frutto. Questo parlare porta la Parola di Dio all’interno della quotidianità. Gesù è un maestro paziente, che si adatta al nostro lento apprendimento. Gesù è anche un maestro "progressivo" che lentamente porta alla luce.Prima conduce al riconoscimento della messianicità («Tu sei il Cristo», Mc 8,27-29) e poi svela la pienezza (esempio:il centurione romano, giunge alla fede, e dice: «Veramente quest’uomo era figlio di Dio»). Gesù maestro polemico. Gesù ci appare anche come un maestro polemico, provocatore, sdegnato. I sette "guai" o le sette "maledizioni" sono una testimonianza che il vero maestro non teme di denunciare il male. Cristo è stato condannato anche per le sue parole. Gesù è stato anche un maestro profetico. Il profeta biblico è colui che interpreta invece i segni dei tempi. È l’uomo del presente, colui che attualizza la Parola.. È esemplare al riguardo la predica che Gesù fa nella sinagoga di Nazareth (Lc 4,16ss). Egli prende la Parola di Dio da Isaia; la commenta: «Oggi questa parola si è qui adempiuta». Ecco l’attualizzazione! La Parola di Dio viene incarnata. Gesù maestro-Mosè. Gli Ebrei hanno chiamato Mosè “morenu”, che vuol dire "il nostro maestro". E come viene rappresentato questo "nostro maestro"? «Io sarò con la tua bocca», dice il Signore a Mosè, «ti istruirò in quello che dovrai dire». Il riferimento è al Discorso della montagna. Come è evidente, il Discorso della montagna è una lezione, ed essa avviene su un monte non storico .Esso per Matteo è il nuovo Sinai. L’insegnamento del vero Maestro, del vero Mosè cristiano deve sempre andare oltre fino ad andare verso Dio. Gesù è maestro supremo, è il Maestro Divino. Come annunciavano i profeti nell’Antico Testamento? Essi dichiaravano: «Così parla il Signore», cioè io sono la bocca del Signore. Gesù ha ripreso questa frase, ma l’ha deformata «io vi dico». E’ in questo senso che dobbiamo intendere il motto: «Io sono la via, la verità e la vita». Giovanni riporta (14,26) le parole dell’ultima sera terrena di Gesù: il Padre nel nome di Cristo manderà lo Spirito Santo,«che vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto».Chi è dunque il Divin Maestro che continuamente opera in noi ora, nella Chiesa? È lo Spirito Santo, mandato per "ricordare". Lo Spirito Santo ci insegna l’arte d’amare Il nostro Padre celeste fin dall'eternità ci ha chiamati e ci ha prescelti nel suo Figlio diletto e, con la sua mano amorosa, ha scritto i nostri nomi nel libro vivente dell'eterna Sapienza: noi quindi dobbiamo corrispondere al suo amore con tutte le nostre forze, con una riverenza e una venerazione infinita. Proprio così cominciano tutti i canti degli angeli e degli uomini, i canti che non avranno mai fine. La prima melodia del canto celeste è l'amore verso Dio e verso il prossimo: per insegnarcela Dio Padre ha mandato a noi suo Figlio. Chi infatti non conosce questa melodia non può entrare nel coro celeste, perché non solo non la conosce, ma non ne gusta la bellezza: sarà quindi escluso in eterno dalle schiere del cielo. 5 Gesù Cristo, colui che da sempre ci ha amati, fin dal giorno della sua concezione nel grembo santo della Vergine, cantava nel suo spirito gloria e onore al suo Padre celeste, serenità e pace a tutti gli uomini di buona volontà. E nella notte in cui nacque da Maria, sua madre, gli angeli cantarono il medesimo inno. A questo pensa la santa Chiesa quando lo canta a sua volta, soprattutto nelle due feste dell'Annunciazione e del Natale.E infatti tutto ciò che di più sublime e di più gioioso si può cantare in cielo e sulla terra è proprio questo: amare Dio, e amare il prossimo in vista di Dio, a causa di Dio e in Dio. L'arte e la scienza di questo canto ci vengono date dallo Spirito Santo.Cristo, che è il nostro cantore e maestro di coro, ha cantato fin dal principio e intonerà per noi eternamente il cantico della fedeltà e dell'amore senza fine. E anche noi, con tutte le nostre forze, canteremo dopo di lui, sia quaggiù in terra, sia nel coro della gloria di Dio. Il canto comune che tutti dobbiamo conoscere per far parte del coro degli angeli e dei santi nel regno di Dio è dunque l'amore vero e senza finzione. L'amore infatti è la radice e la causa di tutte le virtù nell'intimo del nostro cuore ed è, all'esterno, la veste capace di adornare tutte le nostre opere buone. L'amore vive di se stesso ed è ricompensa a se stesso. In quello che fa non può ingannarsi, perché nell'esercizio della carità siamo stati preceduti e sorpassati da Cristo, che ci ha insegnato l'amore ed è vissuto nell'amore, lui e tutti i suoi. Dobbiamo dunque imitarlo, se vogliamo essere beati con lui e possedere la salvezza. Questa è la prima melodia del canto celeste, che la Sapienza di Dio insegna, attraverso la mediazione dello Spirito Santo, a tutti i discepoli che le obbediscono. Ruysbroek l'Ammirabile Gli insegnamenti di Nazareth Nazareth è la scuola in cui si comincia a comprendere la vita di Gesù: la scuola del Vangelo. Qui si impara a guardare, ad ascoltare, a meditare e penetrare il significato così profondo e misterioso di questa semplicissima, umilissima e stupenda manifestazione del Figlio di Dio. Forse si impara anche, insensibilmente, ad imitare. Qui si impara il metodo che ci permetterà di comprendere chi è Cristo. Qui si scopre la necessità di osservare la cornice entro cui si è svolto il suo soggiorno tra noi: luoghi, tempi, abitudini, linguaggio, pratiche religiose, tutta ciò di cui Gesù si è servito per manifestarsi al mondo. Qui, tutto parla, tutto ha un senso... A questa scuola, si comprende la necessità di avere una disciplina spirituale se si vuol seguire l'insegnamento del Vangelo e diventare discepolo di Cristo. Oh, come varremmo ritornare bambino e metterci a questa scuola, umile e sublime, di Nazareth! Come vorremmo, accanto a Maria, ricominciare ad acquistare la vera scienza della vita e la sapienza superiore delle verità divine!Ma noi siamo qui soltanto di passaggio. Dobbiamo rinunziare al desiderio di continuare qui l'educazione alla intelligenza del Vangelo, educazione che non è mai interamente compiuta. Tuttavia non partiremo senza aver raccolto in fretta, quasi furtivamente, qualche breve insegnamento di Nazareth. In prima luogo una lezione di silenzio: rinasca in noi la stima del silenzio, questa meravigliosa e indispensabile condizione della spirito, in noi che siamo assaliti da tanti clamori, strepiti e grida nella nostra vita moderna rumorosa e troppo presa dai richiami sensibili. O silenzio di Nazareth, insegnaci il raccoglimento, l'interiorità, la disposizione ad ascoltare le buone ispirazioni e le parole dei veri maestri! Insegnaci la necessità e il valore della formazione, dello studio, della meditazione, della vita personale e interiore, della preghiera che Dio solo vede nel segreto! Una lezione di vita familiare: Nazaret c"insegni cos'è la famiglia, la sua comunione d'amore, la sua austera e semplice bellezza, il suo carattere sacro e inviolabile. Impariamo da Nazareth quanto sia dolce e insostituibile la formazione che vi si riceve; impariamo qual'è il suo ruolo primordiale sul piano sociale. Una lezione di lavoro: o Nazareth, casa del Figlio del falegname, proprio qui noi vorremmo comprendere e rendere onore alla legge severa e redentrice della fatica umana; qui riconfermare la coscienza della nobiltà del lavoro; qui ricordare che il lavoro non può essere fine a se stesso, ma 6 ,che la sua libertà e nobiltà, oltre che dal valore economico, gli vengono dai valori che lo finalizzano. Infine, come vorremmo poter salutare qui tutti i lavoratori del mondo intero e mostrare loro il grande Modello, il loro Fratello divino, il Profeta di ogni loro giusta causa, il Cristo nostro Signore. Papa Paolo VI “Dobbiamo avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l'obbedienza non è ormai più una virtu’, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l'unico responsabile di tutto. A questo patto l'umanità potrà dire di aver avuto in questo secolo un progresso morale parallelo e proporzionale al suo progresso tecnico. Dobbiamo insegnare come il cittadino reagisce all'ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto. Su una parete della nostra scuola c'è scritto grande "I care". È il motto intraducibile dei giovani americani migliori. "Me ne importa, mi sta a cuore". È il contrario esatto del motto fascista "Me ne frego"”. Don Lorenzo Milani Parlando del prete, in particolare del parroco diceva: "Se lo cercano è come si cerca un funzionario. Se per disgrazia non capita loro di averne bisogno le loro vite non si incrociano mai con la sua. Quei pochi che vanno in chiesa lo sentono parlare. Ma che cosa serve sentire delle parole quando non si sa se la bocca che le dice appartenga a una persona viva che vive quello che dice oppure a un anonimo incaricato? Non sono più tempi in cui la gente credeva alla parola solo perché la sentiva infocata e rotta dal pianto. Nessuno si fida più di nulla che non sia vissuto prima che detto. Ed è giusto. E Gesù stesso ha molto più vissuto che parlato. E molto più insegnato col nascere in una stalla e col morire su una croce che col parlare di povertà e di sacrificio". Don Lorenzo Milani Signore insegnaci il posto Signore insegnaci il posto che, nel romanzo eterno iniziato tra Te e noi, occupa il singolare ballo della nostra ubbidienza. Rivelaci la grande orchestra dei tuoi disegni, nella quale ciò che Tu permetti semina note strane nella serenità di ciò che Tu vuoi. Insegnaci ad indossare ogni giorno la nostra condizione umana come un vestito da ballo, che ci farà amare per Te tutti i particolari, come gioielli che non possono mancare. Facci vivere la nostra vita, non come un gioco di scacchi in cui ogni mossa è calcolata, non come una partita in cui tutto è difficile, non come un teorema che ci fa rompere la testa, ma come una festa senza fine in cui si rinnova l'incontro con Te. Come un ballo, come una danza, tra le braccia della tua grazia, nella musica universale dell'amore. Signore, vieni ad invitarci. Madeleine Delbrel 7