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Quando un farmaco provoca danni
Pianeta scienza MARTEDÌ 11 DICEMBRE 2012 IL PICCOLO Una rete regionale di donne forti per battere l’endometriosi «È una malattia silenziosa, poco conosciuta. Colpisce circa il 10 per cento delle donne in età fertile. In regione si stima che siano circa 17mila le donne affette da endometriosi». Sonia Manente ha scoperto nel 1999 di soffrire di questa malattia e ha così fondato l’Associazione Endometriosi FVG. Una rete di donne per le donne, per sensibilizzare la popolazione su questa patologia che può condizionare gravemente lo stato di salute e la qualità di vita, non solo della donna, ma anche della famiglia. «È una ma- lattia invalidante – aggiunge – ma non riconosciuta come tale». Al momento, infatti, in Italia non sono previsti livelli essenziali di assistenza e prestazioni mediche o percorsi assistenziali agevolati. «Si parla di endometriosi quando l’endometrio, che è il tessuto che normalmente riveste la cavità uterina, si ritrova, per motivi ancora sconosciuti, anche al di fuori della sua sede naturale: per esempio a livello delle ovaie, del peritoneo, delle tube» spiega Giuseppe Ricci, diretto- re della Clinica ostetrica e ginecologica dell’Università di Trieste. «Provoca sanguinamenti, formazione di cisti dell’ovaio, infiammazioni e, purtroppo, in molti casi impedisce il concepimento. In genere si manifesta con dolori, sempre più forti e di più lunga durata, in corrispondenza del ciclo mestruale, spesso anche durante i rapporti sessuali, fino a un dolore cronico, continuo, quotidiano. I sintomi possono iniziare già nell’adolescenza, anche se la malattia colpisce soprattutto le donne in età fertile». Ancora non si conoscono le cause, quindi non esiste un trattamento risolutivo. «La terapia è in genere chirurgica, ma non sempre è efficace. Spesso si usa la pillola contraccettiva per cercare di tenere a freno l’endometriosi e ridurre il dolore». Per prima in Italia, la Regione ha approvato una legge (18/2012) per garantire sostegno alle donne affette da questa patologia, che prevede anche l’istituzione di un Registro, per la raccolta e l'analisi AL MICROSCOPIO dei dati clinici e sociali, e di un Osservatorio regionale sull'endometriosi. E solo poche settimane fa, la Giunta regionale ha deliberato un contributo di 30mila euro a favore dell'Associazione Endometriosi FVG per finanziare una campagna di sensibilizzazione. «Fin dal 1999 ci impegniamo a sostenere le donne colpite da endometriosi, organizziamo incontri individuali, di coppia e di gruppo, convegni per il pubblico e nelle scuole per far conoscere meglio questa malattia, favorire una diagnosi precoce e promuovere la ricerca» conclude Manente. Simona Regina Quando un farmaco provoca danni A Trieste si studia un sistema per identificare le sostanze che causano reazioni immunitarie di Cristina Serra Scoprire che un farmaco già in sperimentazione clinica, o peggio in commercio, provoca reazioni immunitarie (cioè è aggredito dal sistema immunitario del malato) è tra i peggiori incubi delle case farmaceutiche. Una simile eventualità, peraltro non rarissima, equivale a buttare nella spazzatura investimenti e anni di lavoro. Il gruppo Mose (Molecular simulation engineering) dell’Università di Trieste, guidato da Maurizio Fermeglia e impegnato da oltre 15 anni nello studio modellistico di composti chimici e di molecole terapeutiche, ha deciso di convertire le proprie competenze in servizi per il mercato farmaceutico. Così, in collaborazione con Guido Cappuccilli di Cbm (Centro di Biomedicina Molecolare) ha concepito EpiDyne, spin-off accademico ancora in embrione, che sta sviluppando una piattaforma computazionale per classificare le molecole usate nei farmaci biologici in base alla loro capacità di stimolare a sproposito il sistema immunitario di un paziente. «Pur non essendo formalmente nato - conferma Sabrina Pricl, docente di ingegneria chimica DOMANI Lo scienziato Close e 50 anni di fisica Domani alle 11.30, nell’aula magna della Sissa (via Bonomea 265), lo scienziato inglese Frank Close racconterà cinquant'anni di storia della fisica in una conferenza pubblica, illustrando il lungo percorso fatto di sacrifici, delusioni e scoperte alla ricerca del bosone di Higgs, dai primordi fino ai giorni nostri. Come si è arrivati dagli studi pionieristici di Abdus Salam e John Ward alla scoperta del bosone di Higgs al Large Hadron Collider, l’acceleratore più grande e potente costruito dall’umanità? Ne parlerà lo scienziato dell’Università di Oxford in un incontro dal titolo “The infinity Puzzle: From Abdus Salam to the Higgs Boson”. Il team di EpiDyne, spin-off accademico ancora in embrione all’Università di Trieste e responsabile tecnico dello spin-off - “EpiDyne” è già noto anche perché è fra i tre finalisti al concorso internazionale di VenetoNanotech, il cluster italiano di nanotecnologie nato nel 2005. Il concorso, Nanochallen- ge/Polymerchallenge, è un incubatore di impresa che premierà con 300 mila euro le migliori idee nel settore nano». Che cosa offre EpiDyne? Spiega Pricl: «Forniamo consulenza diretta a piccole e medie aziende biotech e a grandi case farma- ceutiche. Confrontando le reazioni note di molecole terapeutiche in vivo con le reazioni (determinate al calcolatore) di molecole nuove, possiamo determinare in anticipo le reazioni immunitarie che un farmaco potrebbe scatenare. Così evitiamo alle azien- de un fallimento e ai pazienti reazioni avverse». I farmaci biologici che interessano questa tecnologia sono proteine ingegnerizzate in laboratorio con l’intento di migliorarne la performance. Le modificazioni introdotte possono, involontariamente, trasformare una molecola terapeutica in un potenziale intruso per il sistema immunitario. Pur non essendo dannosa o pericolosa, il sistema immunitario la percepisce come tale, scatenandole contro una risposta difensiva che vanifica la terapia. Le analisi di EpiDyne si articolano su tre livelli: nel data mining si confrontano le molecole allo studio con molecole già inserite nel database, per capire se ci sono indicazioni sul loro comportamento. Nella seconda fase si effettua una simulazione avanzata del comportamento della molecola, che conferma se può o meno stimolare impropriamente il sistema immunitario. Nella terza fase si disegnano al calcolatore sequenze nuove non immunogeniche: le cellule dell’immunità non le percepiscono come nemiche, dunque non si attiva alcun meccanismo di difesa. ©RIPRODUZIONE RISERVATA Terra Madre, la via per un cibo locale e sano Dall’incontro alla Sissa anche un forte appello volto alla riduzione degli sprechi alimentari Si è svolto alla Sissa il Terra Madre Day, giornata che l’organizzazione di SlowFood dedica al cibo locale, equo e sostenibile. Per l’occasione le comunità del cibo Terra Madre, gli scienziati e i produttori enogastronomici locali si sono incontrati per parlare di cibo buono e locale, agricoltura e imprenditoria sostenibile e ricerca d’avanguardia. Marino Vocci, rappresentante di Slow Food Trieste: “Quest’anno vogliamo concentrarci su tre punti: valorizzare la produzione locale, riflettere sulla riduzione dello spreco e lavorare sul fronte dell’educazione al gusto nei più piccoli”. Il sapore del cibo non dipende solo da come questo stimola le nostre papille gustative. Ci sono per esempio caratteristiche fisiche che lingua e bocca percepiscono per via tattile. Franco Zanini, ricercatore a Elettra Sincrotrone: “La microstruttura del cibo, che noi osserviamo con la luce di sincrotrone, è importante per determinare cose come la fragranza del pane”. Del futuro del cibo si occupa FoodCast, progetto di ricerca multidisciplinare che vede la Sissa capofila. Due gli interventi legati a questo progetto. Fran- cesco Foroni si occupa degli effetti cognitivi del cibo su chi lo consuma: “Il colore cambia l’appetibilità del cibo? Il cervello elabora diversamente cibo naturale e cibo processato? Queste sono le domande a cui cerchiamo di rispondere con la nostra ricerca”. Marco Beria si occupa dei mercati agroalimentari: “Attraverso i dati che ci offre il mercato globale possiamo capire qual è l’impatto, a vari livelli, del cibo che mangiamo”. Altro tema: la produzione locale e i progetti innovativi. “Le persone possono adottare una porzione di terreno agricolo e Galileo. Koch. Jenner. Pasteur. Marconi. Fleming... Precursori dell’odierna schiera di ricercatori che con impegno strenuo e generoso (e spesso oscuro) profondono ogni giorno scienza, intelletto e fatica imprimendo svolte decisive al vivere civile. Incoraggiare la ricerca significa optare in concreto per il progresso del benessere sociale. La Fondazione lo crede da sempre. quindi comprare a un prezzo conveniente del cibo ancor prima che venga prodotto”, spiega Enrico Maria Milic che spiega così l’azione promossa da Cibo. Sì. “In questo modo le piccole aziende non dovranno chiedere prestiti alle banche. Questa iniziativa può stimolare un’agricoltura rispettosa del territorio, creando in più un legame sociale fra cittadini e produttori”. Sandi Skerk, in rappresentanza degli imprenditori vitivinicoli locali: “Quella di Trieste è un’area in cui, dopo un lungo periodo di anonimato dal punto di vista della produzione eno- 29 logica, ci si sta ora impegnando per recuperare e dare il giusto valore a quella che era la tradizione precedente”. La mostra fotografica del progetto Marco Polo, la spedizione scientifica lungo la Via della Seta alla ricerca delle radici genetiche del gusto, e un’area dedicata a Foodly, il quiz interattivo che permette di testare la conoscenza sul cibo a 360 gradi: dall’economia alla società, dalla biologia all’agricoltura, passando per l’econofisica e le neuroscienze. Il Terra Madre Day avrà un’appendice domani alle 19.30 alla Casa della musica. QUESTA PAGINA È REALIZZATA IN COLLABORAZIONE CON Si esce dalla crisi solo investendo sulla ricerca di MAURO GIACCA P arafrasando il titolo di un romanzo, il tema di questo articolo potrebbe chiamarsi “La ricerca e l’istruzione ai tempi della crisi”. È convinzione diffusa che le crisi vadano affrontate mediante la ricerca soluzioni ad alto contenuto scientifico e tecnologico. Ma questo richiede innovazione, l’innovazione viene generata solo investendo adeguatamente in istruzione e ricerca. Se ne sono accorti diversi Paesi del nord europeo, in primis la Germania, che ha aumentato in maniera significativa il danaro destinato alle università e ai centri di ricerca. Se ne sono accorti gli Stati Uniti; ad esempio, è di questi giorni la raccomandazione, rivolta alle agenzie federali da parte un pannello di consiglieri della Casa Bianca, di potenziare le linee di ricerca a più alto tasso di rischio. E se ne sono accordi ormai da anni i Paesi ora emergenti, quali la Cina, il Brasile e il Sudafrica, ovvero quelli che hanno scalato le classifiche internazionali di produttività proprio grazie ai propri massicci investimenti nella ricerca. Sorge ovvio il quesito di come si situi l’Italia nel panorama internazionale, e la risposta è, ahinoi, lo sappiamo già, deprimente. L’Ocse ha pubblicato a settembre le statistiche relative ai livelli di istruzione di una serie di Paesi avanzati: l’Italia ha solo il 21% di laureati nella fascia 25-34 anni, occupando il 34.o posto su 37 nazioni; è solo 31.a su 36 per quanto riguarda la spesa per educazione universitaria e post-universitaria rapportata al Pil; infine, dato ancor più inclemente, durante la crisi, in Italia la spesa complessiva per la formazione ha subito il calo più pesante su 31 nazioni analizzate, secondo soltanto a quello dell’Estonia; in altre 24 nazioni, al contrario, la spesa è aumentata. Questi dati, è vero, si riferiscono al periodo dal 2000 al 2009, e c’è quindi ampio margine per cambiare la rotta, anche se bisogna onestamente dire che non si sente parlare molto di formazione e ricerca nel dibattito politico attuale – negli Stati Uniti, al contrario, questa è stata una tematica importante della sfida tra Romney e Obama. E se per potenziare la ricerca si facesse direttamente ricorso agli investimenti dei singoli cittadini? La proposta, certamente originale, viene questo mese dal Journal of the American Medical Association, che suggerisce l’emissione di obbligazioni di fondi di investimento che finanzino pool di ricerche innovative di tipologia variegata, in modo da ammortizzare il rischio. Se l’emissione di obbligazioni ha funzionato in altre circostanze per finanziare la costruzione di ponti ed autostrade, perchè non dovrebbe funzionare per la scienza, che, per un verso o per l’altro, è sempre stata capace di generare progresso? ©RIPRODUZIONE RISERVATA