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Tre pacchi, una sola miserabile provocazione
N° 2 - FEBBrAIO 2014 - ADAR RISHON 5774 • ANNO XLVII - CONTIENE I.P. E I.R. - Una copia € 6,00 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 Roma ISRAELE FRANCIA ITALIA LA PROTESTA DEGLI IMMIGRATI L’ANTISEMITISMO DEL COMICO DIEUDONNÉ FILM SUL RABBINO ACCUSATO DI COLLABORAZIONISMO SHALOMשלום EBRAISMO INFORMAZIONE CULTURA בס’’ד Tre pacchi, una sola miserabile provocazione Ariel Sharon, l’ultimo leone di Israele FOCUS CATENA DI COLLEGAMENTO If I were a rich man, Ya ha deedle deedle, bubba bubba deedle deedle dum. È l'inizio della concatenazione di pensieri di Topol, il celebre violinista sul tetto. Cosa si potrebbe fare avendo una somma a disposizione, un pò per sé, ma anche per gli altri? Agli ebrei da sempre non manca la fantasia, l'altruismo, e la volontà storica di lasciare una traccia del proprio passaggio su questa terra. Questo è anche lo spirito del Keren Hayesod, i cui progetti di Lasciti, Donazioni e Fondi nascono per dare pieno valore alle storie personali e collettive. Sostenendo tra l’altro progetti per Anziani e sopravvissuti alla Shoah, Sostegno negli ospedali, Sviluppo di energie alternative,Futuro dei giovani, Sicurezza e soccorso, e Restauro del patrimonio nazionale. Tu con il Keren Hayesod protagonisti di una storia millenaria Giliana Ruth Malki - Cell. 335 59 00891 Responsabile della Divisione Testamenti Lasciti e Fondi del Keren Hayesod Italia vi potrà dare maggiori informazioni in assoluta riservatezza KEREN HAYESOD Milano, Corso Vercelli, 9 - Tel. 02.4802 1691/1027 Roma, C.so Vittorio Emanuele 173, - Tel. 06.6868564 Napoli, Via Cappella Vecchia 31 - Tel. 081.7643480 [email protected] EDITORIALE I tre pacchi contenenti le teste di maiale, recapitati in Comunità, presso l’Ambasciata di Israele e presso il Museo storico di Roma in Trastevere ove era allestita una mostra sulla Shoah, sono - come giustamente li ha definiti il Presidente delle Repubblica, Giorgio Napolitano - una “miserabile provocazione’. Sono il gesto ripugnate, in codice mafioso, di chi ha pensato di voler offendere e minacciare gli ebrei tutti insieme, sia quelli che vivono nella diaspora sia gli israeliani, usando come collante l’offesa alla memoria della Shoah. In questo senso i criminali ci hanno visto bene, sul tema della memoria non ci sono differenze tra gli ebrei e non esiste distinguo: quello che è successo tra il 1938 e il 1945 è diventato uno degli elementi della nostra identità, sia come Stato di Israele sia nelle nostre relazioni con il resto della società nella quale viviamo. L’affermazione “mai più” è diventata la coscienza del popolo ebraico, ovunque esso si trovi a vivere: “mai più” passivamente andremo al macello; “mai più” accetteremo che il mondo si volti dall’altra parte quando si pianificano e si attuano genocidi, sotto qualsiasi parallelo e contro qualsiasi minoranza. La Shoah, sebbene abbia travolto il popolo ebraico, è diventata con il tempo, con un grande lavoro educativo e politico, un pagina di storia condivisa da cui trarre insegnamento. Ma i mittenti dei pacchi si sono sbagliati se speravano di suscitare la rabbia degli ebrei, se speravano di far perdere il controllo, se si auguravano che l’offesa venisse accolta digrignando i denti. Certo hanno ottenuto una grande pubblicità, e questo nonostante che i pacchi non fossero stati accettati e fossero tornati indietro. Ma quello che invece merita di essere sottolineato è che il gesto offensivo di queste menti malate ha suscitato una tale riprovazione, un tale sdegno che è impossibile elencare i messaggi di solidarietà di tantissimi cittadini comuni, di personalità e dei rappresentanti delle istituzioni che non ci hanno fatto sentire soli. Attraverso queste pagine li vogliamo ringraziare tutti, a cominciare dalle Forze dell’Ordine che hanno consentito di identificare un autore della provocazione. Quello che doveva essere uno sfregio alla Memoria si è ritorto contro i suoi stessi autori e il Giorno della Memoria 2014 è stato vissuto con una straordinaria ondata emotiva, con una partecipazione affettiva di grande intensità. È venuta meno - almeno fino ad ora la preoccupazione che le celebrazioni del 27 Gennaio potessero istituzionalizzarsi, eventi routinari fatti per forza, mentre rimangono - grazie anche ai nostri nemici - occasioni per una profonda presa di coscienza che si realizza attraverso decine e decine di manifestazioni su tutto il territorio nazionale. Il gesto offensivo ha, per di più, ulteriormente accelerato il dibattito parlamentare sul disegno di legge volto a punire i negazionisti che abusano dei loro ruoli istituzionali, scientifici o accademici. Il 27 gennaio è però passato, mentre l’antisemitismo resta, anzi - come abbiamo raccontato anche nello scorso numero di Shalom - cresce in tutta Europa, e assume forme pubbliche e si manifesta in modi palesi e condivisi, e con modalità che era impossibile pensare solo pochi anni fa. Siamo tornati - come settanta anni fa - a vedere nelle piazze e nelle strade di alcune città europee manifestazioni pubbliche di odio verso gli ebrei. Perché la storia non si ripeta, i razzisti, gli antisemiti, i violenti, i provocatori e i sobillatori non devono sentirsi sostenuti da una maggioranza silenziosa. Bisogna invece isolarli e condannarli. E l’Italia lo ha saputo fare. SHALOMשלום COPERTINA Ebrei come maiali: un paragone antico 4 MARINA CAFFIERO MEDIO ORIENTE Medio Oriente, ovvero il teatro dell’assurdo 6 8 FIAMMA NIRENSTEIN la sicurezza dello Stato ebraico non è aumentata UGO VOLLI ISRAELE L’umiliazione è una delle armi della propaganda palestinese 10 11 ANGELO PEZZANA clandestini: un’accoglienza che può diventare un suicidio demografico PIERPAOLO PINHAS PUNTURELLO 12 Dopo Gaza, Israele avrebbe dovuto ritirarsi anche dalla Cisgiordania DANIEL MOSSERI 14 15 Il contadino-guerriero, simbolo di una nuova nazione DANIELE TOSCANO Israele e il vuoto mai colmato del dopo-Sharon ARIEL DAVID PENSIERO Elie Wiesel: L’età non lo ferma 16 17 18 19 24 ALESSANDRA FARKAS Perché è così difficile parlare di Israele DONATELLA DI CESARE Dieudonné e l’antisemitismo alla francese STEFANO GATTI Lo scandalo non è un comico antisemita, ma il pubblico che ride GIORGIO ISRAEL Il mondo capovolto di Terezin DAVID MEGHNAGI FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 L’unanime condanna di una ‘miserabile provocazione’ 3 COPERTINA Ebrei come maiali: un paragone antico In una curiosa forma di rovesciamento l’animale proibito veniva identificato dai cristiani con gli ebrei stessi e in particolare con i rabbini FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 I 4 recenti disgustosi eventi che hanno colpito la comunità romana con l’invio delle tre teste di maiale ad altrettanti luoghi istituzionali non sono stati forse capiti e spiegati nella loro intera portata che è di inaudita gravità. La stampa e i commentatori, pur dando ampio spazio alla notizia, hanno parlato di avviso mafioso o di offesa alle tradizioni alimentari degli ebrei o, peggio, di goliardata fatta da persone ignoranti e sprovvedute. Ma per gli storici che hanno studiato le vicende del passato queste interpretazioni non possono che essere considerate come riduzioniste e pericolosamente minimaliste. Perché si tratta di ben altro e di molto di più: queste sono espressioni di razzismo molto pericolose per il linguaggio simbolico sotteso. E bisogna conoscerle ed esserne consapevoli. Leggendo i resoconti dei giornali sembra di piombare nei documenti del Sei-Settecento che ho analizzato nel mio libro Legami pericolosi. Ebrei e cristiani tra eresia,libri proibiti e stregoneria e in cui sono descritte le teste di maiale e le figure di ebrei/ maiali portate in giro sui carri dalla plebaglia romana per segnalare una precisa identità non umana degli ebrei. Vale la pena di raccontare questa storia. A Roma, tra Cinque e Settecento il periodo di Carnevale rappresentava un periodo di esplosione dell’ostilità antiebraica e dunque una fase temibile. Oltre alla più nota corsa o pallio, descritta con disgusto anche da Montaigne che vi aveva assistito nel 1580, nel corso della quale gli ebrei correvano nudi lungo l’attuale via del Corso, esistevano altre espressioni popolari dell’avversione antiebraica esplicitata in quei giorni. Sono espressioni “dal basso” che vale la pena di ricordare perché sono in grado di esplicitare i volti dell’ostilità e della paura nelle relazioni con gli ebrei e la loro durata nel corso dei secoli. La corporazione cristiana dei pescivendoli- che svolgevano il loro mercato nel Portico d’Ottavia, dunque in stretta vicinanza al Ghetto - erano soliti approntare per Carnevale carri e rappresentazioni teatrali farsesche, dette giudiate, dal forte sapore derisorio. Nel corso di esse erano presi di mira, ridicolizzandoli, precisi riti, preghiere, credenze e personaggi della tradizione religiosa degli ebrei nei cui confronti erano dimostrati avversione e disprezzo. Queste rappresentazioni erano costantemente denunciate alle autorità ecclesiastiche dai fattori, i capi della comunità, proprio per la tonalità virulenta e offensiva che fomentava odio e violenza nella popolazione che assisteva a tali spettacoli. I riti della violenza culminavano nella messa in scena, su carri decorati di fogliame e trainati da buoi che percorrevano tutta la città, di un teatro popolare itinerante che mimava momenti della vita quotidiana degli ebrei – ad esempio, la circoncisione, un costume che turbava moltissimo l’animo dei cristiani- culminando in genere nel funerale di un rabbino, accompagnato da una simbologia farsesca e denigratoria. La “Cassa degli ebrei”, o la “Cassaccia” erano denominate tali rappresentazioni. Ancora in pieno Settecento le giudiate erano praticate con zelo e ostilità crescenti. Nel 1710 i fattori della comunità indirizzarono al papa Clemente XI un memoriale di protesta contro i pescivendoli che in occasione del Carnevale di quell’anno avevano portato “per Roma una cassa da morto con diverse teste d’Animali fingendo di far l’esequie di Rabbini morti , con scherni, et atti impropij da usar con morti, da che ne sono nati sempre inconvenienti, e scandoli grandi,a segno ch’alli poveri Hebrei gl’è convenuto per molti giorni starsene chiusi nel Ghetto, o pure esporsi a battute, e feriti dalla Plebbe”. I fattori chiedevano che fosse revocato il permesso di fare “giudiate”, ma ciò non venne concesso. Così nel 1711 tornarono a denunciare ancora alle autorità ecclesiastiche la scena di un carro “nel quale (i cristiani) fingono di scorticare un Hebreo, ferendolo a guisa di un Porco”, celebrandone poi un finto funerale con tutte le parole e riti già proibiti con cui veniva deriso “un atto religioso”. Nel 1715, infine, la protesta riguardò una recita teatrale in cui si derideva “il pane azzimo, et altri riti della detta Legge Mosaica, facendo comparire Moisé, e li Rabbini in figura di mezz’uomo, e mezzo porco”. Si chiedeva perciò, ma sempre vanamente, di proibire una volta per tutte ai pescivendoli di inscenare tali “teatri”. Dunque, in una curiosa forma di rovesciamento, dalle lontane origini e di durata secolare, l’animale proibito veniva identificato dai cristiani con gli ebrei stessi e in particolare con i rabbini. Ma c’è qualcosa di più, e di più grave. Dall'immagine del maiale ferito o ucciso alla accusa di omicidio rituale il passo era breve. Il dileggio carnevalesco del pane azzimo e del divieto di cibarsi di maiale non si limitavano alla derisione dei costumi alimentari ebraici, ma avevano un altro pesante significato. Esso richiamava facilmente alla mente dei contemporanei che assistevano a tali rappresentazioni l’antica e sempre viva accusa di omicidio rituale che circolava largamente nel mondo cristiano, costituendo uno dei più terribili e pericolosi stereotipi antiebraici. L’accusa, costruita sulla leggenda dell’uccisione rituale di un bambino cristiano, in genere nel corso della Settimana Santa, per spillarne il sangue con cui impastare le azzime, è da porsi in diretto rapporto con l’interpretazione cristiana dei divieti ebraici di mangiare maiale e di assumere sangue; in sostanza, l’idea sottesa a tale interpretazione era che gli ebrei/maiali si dovessero identificare proprio con ciò che era loro vietato, mentre il divieto di assumere sangue veniva letto al contrario come una “ossessione del sangue”. Gli ebrei erano assimilati ai maiali, e come tali venivano raffigurati nei carri carnevaleschi o anche, soprattutto nel mondo germanico, nelle diffuse rappresentazioni della scrofa madre degli ebrei. Ma essi, poiché non potevano mangiare un loro simile- cioè il maiale con cui erano identificati - uccidevano e Italia il binomio ebreo/maiale racchiuso nel gesto offensivo e derisorio di piegare un pezzo di stoffa a mo’ di orecchio di porco e di sventolarlo davanti a un ebreo. Primo Levi racconta esattamente questa sua esperienza in Il sistema periodico. Oggi di tutti questi significati profondi, oscuri e inquietanti di tale binomio razzista non si è più consapevoli e ciò ha indotto a minimizzare quel che è successo. E invece la storia di queste usanze di irrisione e di ribadimento dell’inferiorità indirizzate contro gli ebrei e soprattutto i messaggi di violenza che veicolavano è antica e le sue ricadute sono state lunghe nel tempo. Non so di quanto di tutto questo si sia generalmente consapevoli mentre, proprio in concomitanza con il Giorno della Memoria, bisognerebbe esserlo. Quanto ancora resta da far sapere! Marina Caffiero Università La Sapienza di Roma Nella pagina accanto: incisione antisemita tedesca del XVIII secolo raffigurante nella parte alta San Simonino e sotto una scrofa che allatta gli ebrei. In questa pagina: particolare della Cattedrale di Bad Wimpfen (Germania) dedica se hai una casa sai quanto vale dedica è una polizza che protegge la tua casa e i tuoi affetti perfino in caso di terremoto. 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L’associazione tra il maiale e l’accusa di omicidio rituale è infatti evidente nelle rappresentazioni iconografiche del martirio di Simonino – il bambino cristiano la cui pretesa uccisione a Trento, nel 1475, divenne emblematica dell’accusa di omicidio rituale . Si capiscono perciò facilmente tutta la portata e le terribili conseguenze dell’ “accusa del sangue”, ancora circolante in piena età dei Lumi e largamente diffusa pure nell’Ottocento e nel Novecento e perfino ai nostri giorni in alcuni contesti violentemente antisemiti. Si trattava di una lettura precisa dell’essenza ebraica e dei suoi costumi che restò sempre attiva nella storia. Essa, nella sua terribile ripetizione nel tempo, costituisce una delle matrici dell’antisemitismo più diffuso e una delle giustificazioni quasi naturale – razziale, dal momento che proprio dalle caratteristiche delle orecchie si distinguono le diverse razze dei maiali - delle esclusioni, delle persecuzioni e degli stermini. Ancora in tempi recenti era molto diffuso in 5 MEDIO ORIENTE Medio Oriente, ovvero il teatro dell’assurdo Si discute attorno ai tavoli diplomatici come se il rancore, la rabbia, le stragi, l’odio che separa gli stessi musulmani non esistessero e si propongono soluzioni utopiche staccate dalla realtà FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 P 6 er capire dove è il povero, insanguinato Medio Oriente in questo momento, occorre una premessa un po’ debilitante: viviamo su un palcoscenico girevole, in cui rotea l’Egitto, la Siria, l’Iran, il processo di pace mediorentale, e ognuna delle scene rappresentate ha un carattere sostanzialmente fittizio. Ovvero, ciò che vediamo, il modo in cui se ne parla e se ne scrive, non risponde alla realtà dei fatti, l’interazione politica avviene fra protagonisti che recitano un copione che prescrive una politica mondiale di pacificazione mentre in realtà si stanno modificando con terremoti e tsunami tutti gli antichi equilibri. Il palcoscenico girevole ci mostra in questi noscimento di uno Stato Ebraico da parte di Abu Mazen con la convinzione che una soluzione sarà trovata come vuole Kerry. Sempre in prima fila anche la questione egiziana, che ci ripropone per intero il tema del nostro rapporto con la democrazia, quesito micidale che nessuno vuole affrontare perché le risposte sono ignote: ovvero, nessuno osa affermare, in Occidente, che in fondo è stato un bene che il generale Sisi abbia preso il potere laddove l’alternativa era la Fratellanza Musulmana; che se Sisi non è democratico, certo la Fratellanza lo era ancora meno. Gli USA portano su di sé il peso dello speranzoso atteggiamento preso quando Morsi vinse le elezioni e Hillary Clinton dette pubblicamente credito al giorni la trattativa sulla Siria a Ginevra; la questione iraniana, che ha avuto una sua accentuazione a Davos; e il dialogo israelo-palestinese, qui, dalle parti di Gerusalemme e di Ramallah. Sul primo proscenio, si finge che una bella conferenza internazionale possa organizzare una pace impossibile; sul secondo che i sorrisi di Rouhani promettano davvero un Iran moderato, denuclearizzato, forse perfino più democratico; sul terzo che i palestinesi e gli israeliani discutano di Gerusalemme, del diritto al ritorno, dei confini con la volontà di trovare un compromesso dalle due parti, e del rico- gruppo che avrebbe subito tentato di instaurare la Sharia con la forza, e che subito cooptò i suoi adepti dentro la piramide della corruzione tradizionale del potere egiziano, laddove il popolo non aveva questa intenzione. Lo scenario generale, prima che ci addentriamo brevemente in ciascuno dei nostri teatri, ci parla della conclusione di un’era, ovvero della definitiva decadenza di quell’accordo Sykes Picot (1916) che ignorava la struttura tribale e religiosa del Medio Oriente, e si limitava con un’intesa segreta a suddividere l’area fra l’Inghilterra e la Francia, con l’accordo della Russia zarista. All’Inghilterra andò la Giordania e l’Iraq meridionale con l’accesso al mare attraverso Haifa; la Francia ebbe la parte siro-libanese, l’Anatolia sudorientale e l’Iraq settentrionale, e la Russia Costantinopoli e l’Armenia ottomana. L’area mandataria britannica veniva chiamata Surya al Janubiyya, cioè Siria meridionale, tanto per non dimenticare che cosa era considerata allora la “Palestina”, e la Siria del nord andava alla Francia. Ma la base principale dell’accordo erano i 600 km di confine fra la Siria e l’Iraq. E’ proprio questo il confine che è saltato, con tutte le conseguenze del caso. 30 milioni di curdi sono di fatto una sola nazione che travalica i limiti di Iraq, Turchia, Iran; i sunniti, in guerra con gli Alawiti di Assad, gli Sciiti iraniani e e gli Hezbollah libanesi, hanno spezzato ogni confine, e infatti i vari gruppi sunniti di Al Qaeda corrono dall’Iraq ad aiutare i loro alleati siriani, mentre gli sciiti di Nasrallah sono al fianco di Assad, e nel loro paese si spacca il fronte libanese, per riprodursi con una quantità di attentati, quello creato dall’attuale guerra siriana. Ci sono anche una quantità di scontri interni al fronte soprattutto sunnita, di cui il più clamoroso è oggi quello fra Sisi e i Fratelli Musulmani, che si riverbera nella novità della rottura del governo egiziano con Hamas, con alcuni politici e commentatori che accusano Hamas di un ruolo attivo nel rifornire di armi gli uomini di Morsi e di causare i molti attentati che feriscono il Paese in Sinai e al Cairo. Anche in Turchia il campo sunnita è in guerra, il nemico numero uno del Primo Ministro islamico Tayyp Erdogan è il misterioso imam islamista Fetullah Gulen e quella che si svolge in questi mesi fra di loro sembra una guerra senza quartiere che intacca il cuore del potere e che porterà alla sconfitta dell’uno o dell’altro. Erdogan si è distinto per la sua alleanza con i Fratelli Musulmani fino ad accusare Sisi di una cospirazione filoisraeliana ma Gulen non si accontenta di quel tipo di islamismo, vuole imporre il suo, costruito su una enorme rete di moschee, scuole, istituti caritativi e sportivi. Qaeda e dell’ISIS, (gli islamisti associati iraqeni e siriani) e Aleppo, divisa in due. I suoi alleati lo sostengono fino in fondo. E i ribelli a loro volta controllano un’area di non minore grandezza, e anche se sono spaccati all’interno possono contare su un vasto supporto da parte di tutto il mondo jihadista sunnita, molto deciso e feroce. Le due parti sono andate alla conferenza con la precisa intenzione di non accettare le condizioni di partenza, le dimissioni di Assad e il suo rimpiazzo con un’autorità di transizione che compenda tutte le forze siriane. Tutti sanno che l’unico modo di fermare il conflitto è impedire fisicamente l’uso delle armi, ma l’Europa e l’America di Obama non lo faranno. Sull’Iran e la sua strategia dei sorrisi abbiamo scritto ormai molte volte. E’ sinceramente penoso vedere come il mondo abbia fatto la fila alla conferenza economica di Davos per qualche affare in più quando è in gioco il suo intero futuro. L’Iran di fatto non ha concesso niente di più che un abbassamento del tono, anche se il punto dell’odio contro Israele e a volte anche contro gli USA è rimasto lo stesso. L’Iran anche dopo gli accordi mantiene a casa sua le centrifughe, la costruzione dei missili balistici, l’uranio già arricchito al 5 per cento e gli impianti che producono acqua pesante per Fiamma Nirenstein kosher restaurant Vuoi gustare la miglior cucina kosher? 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E questo per un motivo fondamentale: sia Assad che i ribelli sono ancora in grado di mandare avanti con le armi una battaglia che ciascuna delle due parti considera definitiva per motivi culturali (alawiti e sunniti non fanno compromessi fra di loro, la loro tradizione centenaria glielo impedisce!) e per il troppo sangue versato. Ciascuna delle due parti pensa ai propri cari perduti crudelmente, e alle persecuzioni che seguiranno quando uno dei due prenderà il sopravvento. Assad ha tutto il supporto della Russia, dell’Iran, degli Hezbollah, controlla la capitale Damasco e una striscia di terra contigua fino al Mediterraneo, a Tartus, dove si trova la flotta russa. Controlla le città più importanti con l’esclusione di Raqqa nelle mani di al il plutonio. In questo momento la volontà di ottenere la cancellazione delle sanzioni suggerisce alla durissima banda degli ayatollah un atteggiamento benevolo, ma il problema iraniano è sempre lo stesso, quello di un regime islamista fanatico, che promette la distruzione di Israele e nega la Shoah, che arricchisce l’uranio, che perseguita con leggi costrittive i suoi cittadini, proibisce il dissenso, uccide gli omosessuali, esporta terrorismo e milita a fianco di Assad nella sua politica genocida. In questo quadro, è mai possibile che in capo a sei mesi, come vorrebbe Obama e l’Unione Europea, si arrivi a un accordo che cancelli il problema iraniano? E’ mai possibile che il mondo non riesca a mantenere un atteggiamento più dignitoso, più consapevole, meno ridicolmente credulone? Il terzo teatro fittizio è quello per cui Abu Mazen e Natanyahu dovrebbero, per compiacere Kerry e dare all’amministrazione Obama una soddisfazione fra tante delusioni, raggiungere un accordo, una lettera d’intenti, una soluzione ad interim, qualcosa in fretta, subito. Ma come si può immaginare che il problema di Gerusalemme, quello del diritto al ritorno, quello della sicurezza e dei confini possano essere risolti quando Abu Mazen non è nemmeno disposto a riconoscere l’esistenza di uno Stato del popolo ebraico? Avremo modo di ritornare sulla questione. Per ora ciò che è da auspicarsi è che dal teatro dell’assurdo si ritorni a quello della realtà. Forse guardare negli occhi il presente, senza paura, forse una migliore presa sui grandi problemi odierni, non resi fumosi ed evenescenti dal politically correct, può aiutare l’Occidente a rendersi davvero utile e a ricominciare a pensare. 7 ISRAELE I nemici di Israele sono più deboli, ma la sicurezza dello Stato ebraico non è aumentata L’equilibrio che si è stabilito non è quello della calma ma dell’anarchia sanguinosa FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 G 8 uardando alla superficie dei fatti, questo è un periodo di grande tranquillità, prosperità e sicurezza per Israele, forse il migliore della sua storia. L'ultima guerra combattuta sul terreno, comunque piuttosto limitata, è l'Operazione Piombo Fuso, che risale a cinque anni fa; "Pilastro di Difesa" dell'autunno 2012 è stata combattuta soprattutto nell'aria, coi lanci di razzi da parte di Hamas contrastati dall'aeronautica. Il grande disordine delle rivolte arabe si è sostanzialmente fermato ai confini di Israele, con qualche colpo di mortaio sul Golan, gli attentati al gasdotto con l'Egitto e poco più. I governi più ostili, come quello della Siria e la Fratellanza Musulmana in Egitto sono stati abbattuti o sono impegnati a difendere la loro sopravvivenza. I movimenti terroristi più vicini, sono isolati come Hamas o impegnati in altre guerre come Hezbollah. Quelli più lontani, come le varianti mesopotamiche, siriane ed egiziane di Al Qaeda sono impegnate a loro volta in guerre civili e difficilmente riescono a mettere sotto tiro il territorio israeliano. Insomma, il grande disordine del Medio Oriente ha finora disarticolato gli schieramenti nemici, tolto energie agli eserciti minacciosi, reso più difficile l'esplosione di un conflitto frontale. Contemporaneamente l'industria ad alta tecnologia fiorisce, nuove prospettive si aprono con l'inizio dello sfruttamento dei giacimenti marini di gas, il governo è riuscito a pilotare l'economia nella grande crisi mondiale di questi anni evitando danni gravi. Ci sono dunque molte ragioni d'ottimismo. D'altro canto è vero che l'Autorità Palestinese favorisce un terrorismo a bassa intensità, che colpisce quotidianamente un po' dappertutto il territorio controllato da Israele, con accoltellamenti, molotov, sassi sulle macchine, qualche sparo, aggressioni alle persone e alla cose, razzi usati soprattutto per generare allarme e insicurezza. Sarebbe sbagliato giudicare semplicemente fastidioso questo stillicidio, perché purtroppo i morti vittime di quest'ondata di violenza ci sono stati e l'insicurezza di tutti è molto aumentata. Ma è evidente che si tratta di azioni di disturbo e, per il momento almeno, non di un tentativo di conquistare il controllo del territorio e di rendere la vita impossibile agli israeliani come nelle ondate terroristiche degli anni Ottanta e poi del 20002004. La convivenza civile non è seriamente minacciata da questo terrorismo a bassa intensità, tanto meno lo è la sicurezza militare vera e propria del paese. Si può essere tranquilli, allora? Si può pensare che finalmente stia arrivando il momento in cui Israele diventi un paese normale, come diceva Ben Gurion, cioè un posto come l'Italia o il Canada, che nessuno minaccia di distruggere, dove certo i pericoli non mancano, ma riguardano l'economia, la salute, la sicurezza stradale, magari i terremoti, non la volontà umana di sterminio e di distruzione? Purtroppo pensarlo sarebbe cedere a un'illusione. La configurazione delle forze che ha reso più deboli i nemici di Israele nel suo vicinato non deriva dal prevalere di sentimenti pacifici o anche solo realistici, ma dall'autodistruttività, dall'incapacità di moderare il conflitto interno che caratterizza il mondo arabo fin dai tempi di Maometto e dei suoi successori; l'equilibrio che si è stabilito non è quello della calma ma dell'anarchia sanguinosa, da cui potrebbe emergere un potere forte e temprato nella guerra civile che decidesse di legittimarsi attaccando quel nemico comune dei popoli islamici che resta Israele. Questa è del resto la logica che spiega lo strano schieramento di ex alleati di Israele, come la Persia e la Turchia sono stati a lungo, contro lo stato ebraico, il loro impegno per la sua distruzione. Si tratta di paesi del "secondo cerchio", secondo la vecchia dottrina strategica israeliana, avversari naturali e storici del "primo cerchio" dei paesi arabi che circondano Israele; non ci sono conflitti territoriali con loro e sarebbe interesse comune impedire che si formi un potere imperiale arabo, come voleva essere quello di Saddam Hussein. Ma contro questa logica degli interessi prevale da tempo quella ideologica dell'odio razziale contro gli ebrei, possibile legittimazione di quella pretesa all'egemonia del mondo musulmano cercata sia dall'Iran che dalla Turchia islamista. E queste pretese si nutrono anche di costruzioni di forza militare il cui esempio più preoccupante (ma non l'unico) è l'armamento nucleare iraniano. Questa situazione è stabile da decenni (per quanto riguarda l'Iran) e sta peggiorando da parecchi anni (per la Turchia), e potrebbe forse portare a un'alleanza tattica fra Israele e alcuni dei vicini che sono anch'essi nemici dei candidati "sultani" del mondo islamico, cioè l'Egitto e soprattutto l'Arabia Saudita, che teme molto l'Iran. Ma queste alleanze non possono che essere passeggere e segrete, perché vanno contro l'ideologia antisemita fondamentale di questi paesi, inculcata fin dalle scuole elementari e continuamente ribadita dai media, oggi per nulla facile da ammorbidire. Quel che rende particolarmente preoccupante la prospettiva è però il comportamento dei tradizionali alleati di Israele nel "terzo cerchio", cioè fra i grandi poteri mondiali. Russia e Cina hanno ereditato dai tempi della guerra fredda un'ideologia, ma soprattutto un sistema di alleanze "antimperialistiche", difficilissimo anch'esso da superare, nonostante il grande pragmatismo dei loro governanti; l'India non è uscita da una dimensione di influenza regionale e certo non vuole farlo per impelagarsi nei conflitti mediorientali. Restano i tradizionali alleati dell'Europa Occidentale e degli Stati Uniti. E' qui, soprattutto nell'atteggiamento americano, che negli ultimi anni è avvenuta una brusca trasformazione. Mentre Israele ha avuto per molto tempo lo status di essere il solo paese fra Africa e Asia ad avere un sistema politico-sociale pienamente occidentale, con libere elezioni, separazione dei poteri, libertà economica e politica, dimensioni e cultura non troppo diversa da quelle di uno stato europeo, essendo riconosciuto così parte di un "noi" occidentale che bisognava difendere e tutelare, oggi questo status è quasi scomparso. L'ideologia terzomondista è diventata dominante nelle élites europee e in seguito anche americane, Israele è trattato come il capro espiatorio di tutte le colpe della storia dei paesi occidentali nei confronti degli "indigeni". Allo stesso tempo riaffiora un antisemitismo antico che nega al popolo ebraico il diritto al suo Stato, alla sua indipendenza, alla piena espansione della sua cultura. Il risultato è una politica che salvo eccezioni marginali (la repubblica ceca in Europa e anche l'Italia finché era amministrata da Berlusconi, il Canada, l'Australia) sta diventando violentemente antisraeliana. In questa analisi di prospettiva non importa indicare il nocciolo antisemita di questa ostilità, né mostrare il doppio standard, la demonizzazione, la delegittimazione che la caratterizzano e non importa neanche indicare i nomi di chi ha determinato queste politiche, magari limitandosi a citare Obama e la sua disastrosa illusione di un Islam "moderato" da sostenere. Chi governa Israele deve tener conto di un fatto semplice e veramente terrificante: che i potenti del mondo sono d'accordo nel cercare di depotenziare e punire, se non proprio di distruggere Israele. Naturalmente non lo ammettono; ma la politica di quelli che contano a Washington e in Europa ha questo senso preciso: stringere con mille pretesti una morsa alla gola di Israele. La richiesta di eliminare gli insediamenti oltre la linea verde significa questo: destrutturare Israele come sarebbe per l'Italia il compito di fare pulizia etnica di tutta il Triveneto e la Lombardia per restituirli "etnicamente puri" all'impero asburgico. Aggiungeteci l'idea di costruire uno stato ostile a dieci chilometri dalla zona economicamente più produttiva del paese, il tentativo di impedire l'autodifesa di fronte agli attacchi terroristici (qualunque cosa Israele faccia è sempre sbagliata e "sproporzionata" se non proprio un "crimine di guerra"). E la grottesca pretesa di far sorvegliare i confini a forze dell'Onu (o di altri organismi internazionali) che di fronte agli attacchi a Israele si sono sempre scansati (in Libano e sul Golan oggi; sul Sinai e sul Mar Rosso nelle guerre passate). Il fatto è che Obama silenziosamente ma con determinazione ha deciso un rovesciamento delle alleanze degli Usa, da Israele ai suoi avversari: prima ha cercato di sostene- re al potere in Egitto la Fratellanza Musulmana (di cui Hamas è una costola). Dopo il fallimento di questa ipotesi ha saldato un'alleanza con l'Iran che ormai nei suoi piani dovrà essere la potenza dominante del Medio Oriente. E' ovvio che ciò richieda, se non proprio la nuova Shoà che vorrebbero gli ayatollah, un deciso ridimensionamento strategico di Israele. E' a questo che servono le "trattative di pace" condotte da Kerry, solo così si spiega l'apparente dilettantismo o irrealismo con cui sono condotte. Il senso è di sottoporre a Israele l'alternativa del diavolo: o acconsente alle richieste dell'Autorità Palestinese e si distrugge da solo, oppure non lo fa e diventa ufficialmente un nemico della pace e dunque dell'America. Questo è il problema strategico cui deve far fronte il Governo di Israele. La situazione tattica è buona, come ho detto all'inizio; quella strategica pericolosissima. Ci vorrà una straordinaria bravura diplomatica, militare e anche comunicativa per uscirne senza le ossa rotte. È il compito di Netanyahu, quello che potrà fare di lui il politico che ha salvato Israele dalla sfida più difficile, se ci riuscirà; o il contrario, che non voglio neppure nominare. Ugo Volli Nella pagina a fianco: il segretario di Stato USA John Kerry con il ministro della Giustizia di Israele Tzipi Livni e con il capo dei negoziatori palestinesi Saeb Erekat Il 2014 sarà l’anno della liberazione della spia Pollard? Lo ipotizza la tv israeliana FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 P er la prima volta dal 1985, quando fu catturato dai servizi segreti statunitensi e poi condannato all'ergastolo, la spia americana Jonathan Pollard (59 anni), condannato per tradimento in favore dello Stato ebraico, ha adesso la speranza di essere liberato. Lo ha riferito la televisione di stato israeliana secondo cui il Segretario di Stato John Kerry ha lasciato intendere di recente ai dirigenti israeliani che un atto di clemenza nei suoi confronti sarebbe possibile se Israele liberasse, nel contesto delle trattative di pace con i palestinesi, alcuni cittadini arabi israeliani che scontano lunghe pene per terrorismo. L'emittente ha collegato questo sviluppo anche al 'Datagate' ed in particolare alla rivelazioni di Edward Snowden - molto imbarazzanti per Washington - secondo cui i servizi segreti statunitensi avrebbero spiato negli ultimi anni, insieme con molti altri leader stranieri, dirigenti israeliani fra cui l'ex premier Ehud Olmert, l'attuale premier Benyamin Netanyahu e l'ex ministro della difesa Ehud Barak. All'inizio degli anni Ottanta, in contatto con un ufficio del ministero israeliano della Difesa, Pollard inoltrò a Tel Aviv informazioni segrete in possesso degli Stati Uniti relative al potenziale militare di diversi Paesi arabi, nonché sui comandi dell'Olp allora dislocati a Tunisi. La vicenda aprì una profonda ferita nell'ebraismo Usa, perché gettava un'ombra sulla lealtà di un cittadino e funzionario statunitense verso la sua patria. 9 ISRAELE L’umiliazione è una delle armi della propaganda palestinese La barriera di difesa e i controlli esistono solo per fermare il terrore e intercettare chi vuole colpire la popolazione israeliana C’ è una parola che mi ha sempre colpito con forza, ogni volta che la leggo una parte di me si schiera immediatamente dalla parte di chi la pronuncia. Questa parola è umiliazione. Sono molti gli aspetti della vita ai quali possiamo riferirci quando cerchiamo di capire perché quella parola suscita in noi un senso di urgente ed emotiva preoccupazione. L’abbiamo letta, sentita, quante volte, ad esempio, a proposito dei rapporti con i palestinesi, tra ebrei e arabi israeliani, oppure tra Israele e l’Autorità nazionale palestinese. Gli arabi israeliani la provano quando guardano le differenze tra la loro vita e la paragonano a quella degli ebrei, una diversità indiscutibile, ma la radice di questa disuguaglianza risiede nella lontananza dalla modernità che contraddistingue la loro società da quella ebraica, in fatto di cultura, tradizioni, rapporti famigliari, religione. Mentre Io Stato ebraico procede velocemente verso un continuo progresso, la società araba, in Israele e nei Territori, respinge tutti quei cambiamenti senza i ASSOCIAZIONE D.A.N.I.E.L.A DI CASTRO AMICI MUSEO EBRAICO DI ROMA FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 L’“Associazione Daniela Di Castro 10 Amici del Museo Ebraico di Roma” è nata per aiutare il Museo Ebraico di Roma nella tutela, conservazione, promozione, diffusione e sviluppo della ricchezza del suo patrimonio. PER INFORMAZIONI E PER ISCRIZIONI: www.associazionedanieladicastro.org [email protected] Tel. 334 8265285 quali l’immobilismo nel quale vive non sussisterebbe. Umiliazione è la parola che appare sempre quando entra in gioco la barriera di sicurezza, che costringe chi dai Territori entra in Israele a sottoporsi a lunghi controlli da parte dei soldati di Tzahal, che svolgerebbero molto più volentieri altri compiti invece di interpretare quella parte per garantire la sicurezza del Paese. E’ umiliante sottoporsi a quei controlli, ma è indispensabile accettarli per impedire che dei terroristi entrino per compiere attentati. In Israele si verificano attacchi, spesso con gravi conseguenze, da parte di cittadini arabi israeliani, i giornali riferiscono puntualmente di aggressioni motivate solo da odio contro gli ebrei che vivono nell’entità sionista, commesse da fanatici, indotti al crimine da una educazione all’odio ricevuta nelle scuole palestinesi, ma anche dall’esempio del governo dell’Anp, che chiama martiri chi si fa esplodere e li premia dedicando alla loro memoria strade e monumenti. Può arrivare l’umiliazione a produrre un risultato così tragico? Sì, se è sostenuta da una ideologia che pervade l’intera società palestinese, ma non va chiamata con quel nome, è disonesto l’uso che ne viene fatto. Non c’è da stupirsi poi se dalle statistiche risulta che la presenza di arabi vicino alla propria abitazione non è gradita al 48% dei cittadini ebrei. Una diffidenza che diventa inesistente se invece il vicino è cristiano, druso etc. Anche avere un professore arabo suscita obiezioni nel 42% degli studenti tra i 16 e 17 anni, ma anche in questo caso, visto che la narrativa palestinese è improntata sulla negazione dell’ebraicità di Israele, è più che comprensibile l’esclusione di un maestro che creerebbe soltanto tensioni fra gli studenti. Anche in questo caso l’umiliazione è resa possibile dal rifiuto arabo verso un’integrazione in quanto minoranza in uno Stato ebraico (ho letto queste statistiche su Haaretz). E’ chiaro che episodi di violenza possono esserci anche da parte ebraica, ma sono illegali, l’autorità giudiziaria israeliana li sanziona e il governo li combatte. Mentre nell’Anp avviene il contrario, l’odio – che poi si trasformerà in atti di vera violenza – è contenuto nei libri di testo in uso nelle scuole pubbliche, gli ebrei vengono descritti come scimmie, maiali e accusati di commettere i delitti più turpi contro la popolazione musulmana. Se questa è la “cultura” alla base della società palestinese, allora i numeri citati dal quotidiano israeliano mi paiono persino bassi. Umiliazione è altro, significa essere cittadini di serie B, e gli arabi in Israele godono degli stessi diritti di tutti. Vuol dire non potersi realizzare pienamente a tutti i livelli sociali, economici, culturali. Gli arabi, se provassero a considerarsi una minoranza integrata, che si riconosce nello Stato nel quale vive, che collabora con le istituzioni invece di ritenerle illegali – come avviene nelle elezioni amministrative a Gerusalemme, dove gli elettori arabi non vanno a votare perché non riconoscono la sovranità di Israele – allora si sentirebbero sicuramente meno umiliati nel confronto con i concittadini ebrei. Avviene così in tutti gli Stati democratici, il problema è nell’islam, che respinge anche la sola idea di democrazia, per cui il futuro si presenta non molto diverso dal passato. I palestinesi continueranno a danzare quando cadono i missili provenienti da Gaza sul territorio israeliano, così come hanno festeggiato quando è morto Ariel Sharon. Forse l’unico ad essere sincero è Abu Mazen quando ostenta la carta geografica del suo futuro Stato nella quale manca del tutto la presenza di Israele. Ma ci sono altri palestinesi ad essere sinceri, sono quelli che vivono nei Territori amministrati dall’Anp, che reclamano a gran voce il futuro Stato ma con altrettanta forza dicono di voler rimanere cittadini di Israele. Ci vuole poco a capire il perché. Come si vede la parola umiliazione ha poco a che vedere con il conflitto arabo-israeliano, viene usata spesso, sempre a sproposito, perché suscita sensi di colpa in chi non conosce la propaganda palestinese, un’ottima arma per la delegittimazione di Israele. Angelo Pezzana I clandestini stranieri: la difficile soluzione di un’accoglienza che può diventare un suicidio demografico D opo aver partecipato alla terza marcia di Selma per i diritti civili degli afro americani negli Stati Uniti, nel marzo del 1965, rabbi Abraham Joshua Heschel scrisse: “Mentre marciavo a Selma, i miei piedi stavano pregando.” In Israele lo scorso 8 gennaio la protesta di più di 10.000 immigrati africani non ha visto marce ma autobus organizzati che hanno portato le persone da Tel Aviv a Gerusalemme, nel giardino antistante la Knesset, il Parlamento. I diecimila dimostranti sono all’incirca un quinto del numero stimato di Eritrei e Sudanesi presenti sul territorio israeliano come immigrati, spesso illegali, che reclamano il diritto di asilo date le realtà politiche dei paesi di origine, divisi tra guerre civili e persecuzioni religiose e razziali. La protesta non aveva come scopo la sola e non semplice richiesta di asilo politico, ma anche la denuncia pubblica della reale situazione nella quale essi vivono e le conseguenze sociali di questa situazione. Riuscire ad avere visti provvisori diventa sempre più difficile: ci sono giorni di attesa, ore di fila, spesso i visti non contemplano la possibilità di lavorare cosa che costringerebbe molti immigrati a lavori di fortuna o atti criminali. Intanto la polizia si è abituata a fermare per controlli le persone di colore e se sprovviste di visto o in attesa del rinnovo sono detenute nei nuovi centri di accoglienza nel mezzo del Neghev, come Holon, che ultimamente sono stati rinnovati per accogliere fino a 3.300 persone. Questo pare essere il clima quotidiano di vita dei cosiddetti “mistonenim”, infiltrati, termine rifiutato dagli immigrati che più volte durante la giornata di protesta hanno gridato: “Noi non siamo infiltrati, noi non siamo malavitosi, noi siamo rifugiati.” E qui nascono i dubbi di una certa componente della società israeliana che giudica la maggior parte dei nuovi immigrati africani non come rifugiati politici. La stessa freddezza della Knesset che, nonostante le proteste dei deputati Henin, Rozin, Michaeli e Solomon, non ha permesso l’ingresso di una rappresentanza dei manifestanti all’interno del Parlamento, dimostra i dubbi e forse anche le paure della società di Israele. Prima di ogni cosa, davanti agli occhi del paese, ci sono le difficili condizioni nelle quali vivono tutti gli abitanti del sud di Tel Aviv, bianchi e neri, israeliani e non. L’intera zona oggi è pericolosa, insicura, invivibile ad ogni ora e sebbene gli immigrati non possano essere additati come gli unici responsabili di questo degrado è indubbio che essi costituiscano una facile manodopera per la criminalità organizzata che però è tutta israeliana. Le organizzazioni non governative fanno notare come questa situazione sia dovuta alla mancanza di un adeguato numero di permessi di lavoro che sono sempre concessi con il contagocce e con tempi troppi lunghi da gestire per chi ha l’urgenza di lavorare per vivere. Il nodo morale della questione sta proprio qui: se i nuovi immigrati non sono rifugiati, se sono persone immigrate per lavoro, allora lo Stato di Israele non è uno stato che può permettersi immigrazioni di masse non ebraiche. Questa è la tesi di un certo mondo politico israeliano, ma anche la logica della stessa esistenza del paese. Israele è uno stato nazionale. Uno stato che somiglia alla Repubblica Ceca, la Croazia, l’Armenia. Uno stato che, date le situazioni geopolitiche dalle quali è circondato, non può permettersi di perdere il delicato equilibrio della costante esistenza di una maggioranza ebraica. La perdita della maggioranza ebraica come elemento fondante della stessa esistenza del paese costituirebbe, di fatto, un suicidio. Israele non è uno stato come il Canada o gli Stati Uniti, sebbene sia nato per volontà di immigrati, ma si trattava e si tratta di immigrati che rafforzano i delicati equilibri tra maggioranza ebraica e minoranze non ebraiche. Il punto è che per molte organizzazioni non governative le politiche che mirano alla conservazione di questo delicato equilibrio sono politiche mostruose. Incivili. Politiche che negano gli stessi diritti di minoranza, cosa non affatto vera per milioni di arabi israeliani, cristiani o altre etnie non ebraiche presenti nel paese. David Grossmann, salendo sul podio durante la manifestazione ha sottolineato con forza come per lui la stessa parola “israeliano” includa il senso della parola “rifugiato”, riprendendo il senso storico di una Israele nata come luogo rifugio per ebrei in fuga. Mentre i manifestanti, sudanesi ed eritrei, lo ascoltavano chiedendosi chi fosse quel signore così gentile e colto, Grossmann ha offerto anche un’ipotesi di soluzione del problema: “Se è vero che Israele fa entrare ogni anno nel paese decine di migliaia di lavoratori stranieri (in gran parte dalle Filippine) perché non potete essere voi parte di questi lavoratori? Perché non concedere anche voi permessi di lavoro e di soggiorno?” La risposta potrebbe essere nascosta in quel delicato equilibrio geopolitico e sociale che sta dietro la maggioranza ebraica del paese. I lavoratori che arrivano dall’estero vengono qui per periodi definiti di lavoro, senza alcuna intenzione di risiedere permanentemente nel paese. Un paese che elementi politici post sionisti vorrebbero dipingere come mostro. Un paese che però solo una piccola minoranza dei manifestanti intervistati ha definito come “vagamente” razzista, più che altro impaurito dal colore della “nostra pelle”, come ha detto un ragazzo eritreo fuggito dalla guerra. Ma forse gli israeliani più che del colore della pelle hanno paura delle organizzazioni sudanesi che gestiscono troppi traffici criminali. Hanno paura di tornare a casa dopo le otto in alcuni quartieri. Hanno paura ma sanno anche che molti lavori nello Shuk HaCarmel, nel mercato, di Tel Aviv non potrebbero essere fatti se non da immigrati di colore, cosi come molta bassa manovalanza diffusa nel paese. In molti ci assicurano che gli immigrati africani non vogliono conquistare il paese ed in molti, moltissimi sono scappati dai loro paesi per non morire ed hanno scelto Israele in quanto unica democrazia della regione. Il punto sta nel cercare una non facile soluzione tra un ipotetico suicidio numerico per Israele, l’orgoglio di essere una democrazia ed il prezzo da pagare o far pagare ai propri cittadini in termini di sicurezza quotidiana e di qualità della vita. L’orgoglio di essere una democrazia che non metta in piedi un sistema persecutorio contro gli immigrati africani ma che decida una strada di gestione della realtà totalmente democratica e totalmente sicura per i delicati numeri del paese e per i diritti dell’Uomo in quanto tale. Diritti che secondo Rabbi Arik Aschermann, dell’organizzazione Rabbini per i Diritti Umani, potrebbero essere messi seriamente in pericolo dal modo con il quale la polizia ha cominciato a trattare gli immigrati africani, un trattamento che per molti è antitetico ai veri valori ebraici di accoglienza. Ma se nelle case ebraiche, da sempre, l’accoglienza dell’altro è un valore supremo ed indiscutibile, per la collettività ebraica divenuta Stato il suicidio numerico non può essere un’opzione e quindi, tra valori morali, etica di uno Stato ebraico e realtà demografiche in Israele è sempre più difficile pregare con i piedi, come avrebbe voluto rabbi Heschel. Pierpaolo Pinhas Punturello FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 Israele non può permettersi di perdere il delicato equilibrio della costante esistenza di una maggioranza ebraica 11 FOCUS Dopo Gaza, Israele avrebbe dovuto ritirarsi anche dalla Cisgiordania Secondo Wikileaks questo era il piano segreto di Sharon che non lo realizzò per colpa di Abu Mazen, della destra e infine a causa della sua malattia “L FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 o abbiamo visto in Libano e ce lo ha anche confermato Gaza: in Medio Oriente il gesto unilaterale non paga”. In una recente intervista rilasciata in occasione dei funerali di Ariel Sharon, l’ex ambasciatore israeliano in Italia, Avi Pazner, ricordava uno dei grossi limiti del disimpegno unilaterale di Israele dal Libano meridionale (maggio 2000) e dalla Striscia di Gaza (estate 2005), decisi rispettivamente da primi ministri Ehud Barak e “Arik”. In entrambi i casi il ritiro non ha prodotto l’effetto sperato, ossia la pacificazione del confine. Al contrario. Nonostante la risoluzione numero 425 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu abbia certificato nel 2000 la fine dell’occupazione del Paese dei Cedri, nel 2006 la milizia sciita Hezbollah - che si autodefinisce “resistenza libanese” provocava un nuovo conflitto con Israele. Quanto a Gaza, la pioggia di missili lanciati da Hamas e dalla Jihad islamica non è mai veramente cessata, limitandosi a diminuire di intensità dopo le operazioni Piombo fuso (dicembre 2008) e Pillar of Defense (novembre 2012). Alla sua morte Sharon è stato salutato dal presidente Shimon Peres come “una spalla sulla quale la sicurezza dell’intera nazione si poteva appoggiare”, mentre il vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden ha detto che Arik “aveva una stella polare: la sopravvivenza dello Stato ebraico e del suo popolo”. Come è dunque possibile che il Leone d’Israele abbia 12 LITOS ROMA Via G. Veronese, 34 Tel. 06.55.65.166 06.55.30.74.83 PA R T E C I PA Z I O N I BIRCHONIM - LIBRETTI commesso un così lampante errore di valutazione, imponendo il disimpegno dalla Striscia senza garantire una vera pacificazione del confine meridionale? Gli analisti si sono affrettati a definire la scelta dell’ex generale tanto coraggiosa quanto miope. Non fidandosi di Mahmoud Abbas (Abu Mazen) da poco alla guida dell’Autorità palestinese, Arik concluse il ritiro in autonomia, delegittimando la controparte e piantando il seme della riscossa di Hamas, che di lì a poco prenderà il controllo della Striscia espellendo manu militari gli uomini di Abbas. Grazie a Wikileaks, tuttavia, Haaretz ha ricostruito i mesi in cui il primo ministro del Likud - acclamato da sinistra dallo stesso Peres - imponeva il ritiro da Gaza alla nazione. Il più importante giornale progressista non è solito fare sconti al blocco conservatore, eppure scrive che “nella prospettiva di Sharon il disimpegno era solo il primo capitolo di un processo che si sarebbe poi spostato in Cisgiordania”. In un parallelo fra il premier israeliano e Charles De Gaulle, si legge che mentre il presidente francese riuscì a mettere fine all’esperienza coloniale della Francia in Algeria, gli sforzi del primo “furono brutalmente interrotti a metà strada”. In altre parole, oltre agli scarsi esiti dei colloqui con Abu Mazen, fu la malattia di Sharon a interrompere il processo di pace. Perché Arik, riconosce lo stesso Haaretz, voleva disfarsi anche di gran parte della Cisgiordania occupata: “Lui era un falco della sicurezza, road map, argomentava l’ex generale, “nessuno si aspetta che Abu Mazen diventi un sionista ma devono essere adottate misure contro il terrorismo”. È ancora un documento diplomatico, il rapporto dell’ambasciatore Usa in Israele Dan Kurtzer, a illustrare il piano di Sharon per l’annessione dei principali insediamenti israeliani in Cisgiordania mentre si preparava il ritiro da tutte le altre zone occupate, a inclusione di alcuni quartieri arabi di Gerusalemme “ma non il Monte del Tempio, il Monte degli Ulivi e la Città di David”. Ancora a Joe Biden, a gennaio 2005 Sharon spiegava che “se i palestinesi faranno la loro parte sulla sicurezza, Israele e i palestinesi possono tornare alla road map; per un accordo definitivo ci vorranno anni, ma potrà essere raggiunto”. Nei mesi successivi le cose non andarono però come sperato. In una serie di incontri Sharon e il presidente palestinese si accordarono per lo smantellamento dei posti di blocco e la liberazione di 900 detenuti in cambio della fine della campagna di odio anti-israeliano e degli attacchi terroristici. Abbas non fu però in grado di mantenere la parola data mentre il premier, spiega ancora l’ambasciatore Kurtzer, “doveva rispondere di una situazione politica esacerbata dal terrorismo”. Ogni missile che cadeva da Gaza lo indeboliva un po’ di più. In un incontro del giugno 2005, Abu Mazen convenne che “ogni pallottola sparata contro Israele era una pallottola sparata contro i palestinesi”. Parole di apertura ma, pressato dall’opinione pubblica, Sharon non poteva più aspettare. Dapprima ribadì ad Abbas che “in cambio della calma, Israele è pronta a compiere altri passi in futuro”. Poi proseguì con il ritiro da Gaza, concluso fra agosto e settembre, quindi lasciò il Likud per formare Kadima, al centro dello schieramento politico. A fine anno il primo ictus lo costrinse a lasciare la vita politica. A gennaio 2006 un’emorragia cerebrale lo sprofondò nel coma che lo portò otto anni dopo alla morte. Il giorno dei suoi funerali altri missili cadevano da Gaza su Israele. Daniel Mosseri FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 non dell’ideologia” e aveva già intuito l’insostenibilità a lungo termine dell’occupazione di Giudea e Samaria. Una serie di cablogrammi diplomatici inviati dall’ambasciata Usa a Tel Aviv al Dipartimento di Stato americano e resi noti da Wikileaks “mostrano - scrive ancora il quotidiano - che prima ancora del ritiro da Gaza, Sharon stava pianificando il passo successivo”. Altre note diplomatiche palestinesi indicano che il premier “tentò di coordinare il disimpegno con l’Autorità palestinese”. In un incontro del novembre 2004 con gli allora senatori Usa Joe Biden (oggi vicepresidente) e Chuck Hagel (segretario alla Difesa), Sharon ribadì il suo impegno per la pace con i palestinesi, nonostante le difficoltà in Israele derivanti “da una sinistra senza potere e da una destra del tutto contraria alla sua iniziativa”, spiega un cablo americano. Secondo Arik l’era del post Arafat (morto a novembre 2004) presentava “una nuova opportunità” per coordinare il disimpegno dalla Striscia assieme ai palestinesi. Se fosse andata a buon fine, assicurava, la decisione “avrebbe poi permesso l’applicazione della road map per la pace, avanzata dall’allora presidente degli Stati Uniti George W. Bush”. Certo, il lavoro non sarebbe dovuto ricadere solo sulle spalle di Israele, ribadiva Sharon il 27 dicembre 2004 al senatore Joseph Lieberman. Per tornare alla 13 FOCUS Il contadino-guerriero, simbolo di una nuova nazione A Già nella scelta del nome ha rappresentato il legame ideale, spirituale e materiale con la terra dei Padri FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 riel Sharon è stato un personaggio che ha fatto la storia di Israele. Tuttavia, la sua specificità emerge non solo dalle vicende militari e politiche che lo hanno visto a lungo protagonista, ma anche grazie alla sua biografia: soldato, generale, Ministro dell’Agricoltura e della Difesa, Capo del Governo, ma comune denominatore a tutte le sue cariche fu l’attaccamento alla terra, che si tradusse nella passione per l’attività agricola. Un segno del destino forse risiedeva già nello stesso nome: il cognome scelto dalla sua famiglia (proveniente dall’Unione Sovietica) in sostituzione dell’originario Scheinerman fu infatti “Sharon”, la cui etimologia, come spiega a Shalom Rav Amedeo Spagnoletto, è dall'accadico e significa foresta, bosco. La radice “shin resh” ha a che fare con alberi, arbusti, come ad esempio la parola “asherà” che significa boschetto. Sharon ha così incarnato la figura dell’uomo nuovo auspicato dal sogno sionista, un uomo che vive, lavora e combatte per la propria terra. È quanto ha fatto notare lo scrittore israeliano Meir Shalev in un recente articolo sul Corriere della Sera: Sharon può considerarsi un “contadino-guerriero”, un simbolo per la sua generazione; alla stessa categoria sono appartenuti altri nomi illustri quali Moshé Dayan e Rafael Eitan. Costoro andavano al fronte senza esitazioni e dimostravano il loro valore come militari, ma rimanevano legati all’agricoltura, che rappresentava le loro origini mai dimenticate: la conferma è offerta proprio dello stesso Sharon, il quale nei suoi periodi di pausa si ritirava nel suo ranch nel deserto israeliano del Negev. Come ha sottolineato anche Yonatan Sredni sul Jerusalem Post, Sharon si sentiva particolarmente a proprio agio in jeans e giacca da cowboy, circondato dalle pecore in quello stesso ranch dove aveva stabilito la sua abitazione, si era ritirato prima di tornare in politica e dove adesso è sepolto. Sempre Shalev, inserisce Sharon in una lunga tradizione che ha visto protagonisti altri importanti leader della storia del popolo ebraico: Davide era contadino prima di sconfiggere Golia, mentre il suo predecessore Saul partì per la sua prima battaglia proprio da un campo masa.pdf 1 15/11/2013 16:24:44 arato. L’archetipo del contadino-soldato si propone in molteplici occasioni nella storia: nella Roma repubblicana ne furono esempio Cincinnato, console e dittatore, e Marco Porcio1 Catone “il Censore”, mentre un autore masa.pdf 14/11/2013detto 11:15:53 come Marco Terenzio Varrone, noto per la sua carriera militare, elogiò l’agricoltura nel suo “De re rustica”. In tempi più recenti, Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei due mondi e il condottiero dei Mille, nella sua Caprera diventava appassionato contadino e allevatore; tra i nomi che si possono inserire in questo quadro anche Vo Nguyen Giap, generale e politico vietnamita morto lo scorso ottobre, il quale proveniva da origini contadine. Sicuramente questo connubio tra agricoltura e carriera militare e politica è stato più marcato in Sharon che in altri personaggi. La scelta in questo senso di Arik era dettata dal forte sentimento che egli provava per la sua terra; forse anche l’essere ritratto nel suo ovile generava un’immagine positiva che poteva giovare alla sua carriera. Oggi probabilmente è molto più difficile ravvisare percorsi di questo tipo: il settore militare è investito anch’esso dal progresso tecnologico, mentre l’agricoltura costituisce una componente sempre più marginale nelle economie mondiali. “Sono nato in una fattoria. La mia forza non ha nulla a che fare con l’apparato politico, ma la ottengo dalla natura, dai fiori” amava ripetere Sharon su se stesso, dimostrando quanta importanza avessero per lui la natura e la terra nonostante le carriere di militare e politico che lo hanno visto a lungo protagonista. Tutt’altro che casuale, dunque, il fatto che l’ippocastano piantato nel Parco “Yitzhak Rabin” di Roma in occasione di Tu Bishvat, il Capodanno degli alberi, sia stato dedicato proprio a Sharon. Daniele Toscano C M Y CM MY CY CMY K 14 Il tuo futuro è qui. Oltre 250 programmi in Israele per i giovani ebrei fra i 18 e i 30 anni Contatti: Gilad Peled 349 251 6993 [email protected] www.masaitalia.org Masa Israele è un progetto del governo Israeliano e dell’Agenzia Ebraica ed é reso possibile grazie al generoso cotributo del Keren Hayesod Giuste o sbagliate, geniali o criminali – a seconda di chi le giudica – le sue decisioni erano in grado di portare un cambiamento, rivoluzionare scenari apparentemente senza uscita F ino all'ultimo, contro ogni logica, Israele ha sperato nel ritorno del suo ultimo re: Arik, melech Israel – Arik, re d'Israele – come lo acclamavano i suoi più ardenti sostenitori nel momento delle grandi vittorie militari e politiche. Fino al giorno della sua morte i sondaggi hanno confermato che se Ariel Sharon si fosse improvvisamente risvegliato dal coma, una buona parte dell'elettorato avrebbe ancora votato per lui. Un 20-30 percento di potenziali consensi ottenuti così, senza fare campagna elettorale, senza un partito, giacendo in coma per otto anni in un letto d'ospedale vicino a Tel Aviv. Fino alla fine la popolarità di Sharon, eguagliata solo dall'odio espresso dai suoi nemici, ha rasentato la venerazione ed è rimasta intatta nonostante l'ex generale e premier fosse uscito dalla scena politica da quando un'emorragia cerebrale lo aveva lasciato in uno stato vegetativo permanente. È un dato che dice molto di Ariel Sharon, morto a gennaio all'età di ottantacinque anni, e che dice ancora di più del vuoto che ha lasciato e della leadership che guida il paese oggi. Non a caso lo chiamavano "bulldozer". Sostenitori e i detrattori possono essere d'accordo su un punto: Sharon era un uomo d'azione, pronto a fare, in guerra come in politica, quello che riteneva necessario per la sicurezza dello Stato ebraico senza riguardo per i rischi alla propria carriera o alla propria incolumità, senza esitazioni e senza curarsi delle opinioni avverse. Quando, nella guerra del Kippur, individuò il punto debole nelle file nemiche, gettò i suoi carri armati in una corsa disperata verso il Canale di Suez, accerchiando un'intera armata egiziana. Quando decise di sfrattare l'OLP di Yasser Arafat dalle sue basi in Libano lanciò un sanguinoso conflitto che causò migliaia di vittime e attirò le critiche internazionali su Israele. Di simile critiche non si curò quanto si trattò di stroncare la seconda Intifada e fermare l'incubo dei terroristi suicidi palestinesi. E quando capì quanto l'occupazione dei Territori palestinesi costituisca un pericolo per la democrazia israeliana e l'esistenza dello Stato ebraico, non esitò a ordinare il ritiro dalla Striscia di Gaza, smantellando quegli stessi insediamenti che aveva contribuito a fondare e attirandosi le ire dei coloni e del proprio partito. Giuste o sbagliate, geniali o criminali – a seconda di chi le giudica – le sue decisioni erano in grado di portare un cambiamento, rivoluzionare scenari apparentemente senza uscita e offrire la possibilità, anche se non la certezza, di una soluzione. Per queste capacità i giornali israeliani hanno ricordato il defunto primo ministro come "l'ultimo leader" del paese e uno degli "architetti d'Israele". In contrasto con il dinamismo di Sharon, e quasi a ricalcare lo stato comatoso in cui ha versato negli ultimi anni della sua vita il "Leone d'Israele", l'attuale leadership israeliana attraversa una fase di paralisi su quasi tutti i fronti. L'immobilismo è totale non solo sui negoziati con i palestinesi, ma sui temi sociali, il divario tra laici e religiosi, l'immigrazione e i diritti civili. Anche se dopo il ricovero nel 2006 toccò al vice premier Ehud Olmert prendere il posto di Arik, l'uomo-simbolo di questa epoca post-Sharon è Benjamin Netanyahu, e non solo perché oggi occupa la poltrona di primo ministro, ma perché nel bene e nel male rappresenta l'antitesi di Sharon. "Bibi" non è un uomo d'azione. È stato un eroe delle forze speciali antiterrorismo, ma in veste di statista si dimostra molto prudente e attento a mantenere lo status quo. È più restio di Sharon a utilizzare le armi, ma finora non si è dimostrato capace di gesti coraggiosi. Netanyahu si presenta come l'unico in grado di mettere insieme un governo nel difficile panorama politico israeliano e cerca di garantire la stabilità interna ed esterna del paese. Tenta di accontentare tutti, finendo inevitabilmente per scontentare tutti. Libera i prigionieri palestinesi per mantenere in vita i negoziati con Abu Mazen e far contenti gli americani, ma nello stesso giorno autorizza la costruzione di nuovi insediamenti per tener buoni i coloni e distrugge così ogni possibilità di un accordo. Promette di riconoscere i matrimoni tra omosessuali ma poi cede alle pressioni dei suoi alleati di destra. Taglia il bilancio della difesa, che pesa eccessivamente sull'economia, ma aumenta le spese militari per gli anni successivi. Ordina di imprigionare i rifugiati africani in un campo in mezzo al deserto del Negev, ma non permette che le loro richieste d'asilo siano esaminate e lascia decine di migliaia di disperati in un limbo legale. Questa strategia ha i suoi benefici sia per Israele, che attraversa un periodo di relativa tranquillità e prosperità economica, sia per Netanyahu, il cui mandato di premier sta per superare il record di durata detenuto da David Ben-Gurion, il padre fondatore d'Israele. Ma nel lungo termine la credibilità dello Stato e di Netanyahu ne escono danneggiati e, soprattutto, le tante domande sul futuro d'Israele rimangono senza risposta. Come fermare l'isolamento internazionale cui va incontro Israele con l'approssimarsi del fallimento dei colloqui di pace e il proseguimento dello sviluppo degli insediamenti? Come potrà Israele rimanere uno Stato ebraico e democratico pur mantenendo l'occupazione della Cisgiordania? Come potrà mantenere vitale la sua economia quando una crescente fetta della popolazione, soprattutto ebrei ultraortodossi, vive di sussidi statali e rifiuta di inserirsi nel mondo del lavoro? Per rispondere a queste e tante altre domande, Israele vorrebbe non tanto un abile politico, capace di garantire la propria sopravvivenza al vertice, ma un vero leader, qualcuno come quell'ultimo "re" che per otto anni il paese ha sperato invano di ritrovare. Ariel David FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 Israele e il vuoto mai colmato del dopo-Sharon 15 PENSIERO L’età non lo ferma Elie Wiesel ha compiuto 85 anni Shalom lo ha incontrato, con una esclusiva intervista: “Il male dell’antisemitismo esiste e dobbiamo combatterlo” N FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 EW YORK – Il suo 85° compleanno, lo scorso 30 settembre, è passato quasi inosservato. “Non festeggio mai il mio compleanno”, spiega a Shalom Elie Wiesel, “non era una delle ricorrenze celebrate a Sighet, il villaggio transilvanico dove sono nato. Ancora oggi, dopo tanto tempo, mi ritrovo a seguire solo feste e tradizioni di allora”. A oltre due anni dal quintuplo bypass che ha ispirato il memoir “A cuore Aperto” (il suo libro più personale, edito in Italia da Bompiani), lo scrittore e premio Nobel per la pace è stato costretto ad annullare il suo corso alla Boston University, il più popolare nell’ultracentenaria storia dell’università. “Si tratta di un’interruzione temporanea, ordinata dal medico”, assicura seduto nel suo grande e luminoso ufficio a Manhattan, pieno di ricordi di una vita. Ma i problemi di salute non hanno fermato il suo attivismo. Lo scorso dicembre Wiesel ha pubblicato una pagina a pagamento sul New York Times e sul Wall Street Journal per invitare il presidente Obama a “non fidarsi dei mullah iraniani”, esortando il Senato Usa a “rafforzare le sanzioni”. “La nuova leadership iraniana è pericolosa quanto quella vecchia e continua imperterrita a negare l’Olocausto”, racconta Wiesel. “L’aver aperto rapporti diplomatici con Tehran prima che avesse rinunciato ufficialmente alle sue aspirazioni genocide nei confronti dello stato ebraico è stato un errore”. Lei ha criticato anche la politica di Washington in Siria. “L’inerzia dei governi americano e israeliano in Siria è scandalosa. Il fatto che Assad non abbia pagato alcun prezzo per aver gassato dei bambini indifesi rappresenta una sconfitta morale per tutto l’occidente. La comunità ebraica avrebbe dovuto mettersi a capo della crociata per denunciare questo genocidio”. Anche il dossier israelo-palestinese sta faticosamente riprendendo quota. Crede che ci sarà mai la pace in Medio Oriente? “Sono profondamente convinto che vivrò abbastanza a lungo per vedere la pace tra Israele e palestinesi. E’ solo questione di tempo e comunque si sono fatti passi da gigante in questa direzione”. 16 Allestimenti eventi con buffet dolci e salati Dolci per shabbath • Kiddushim per i Templi Torte e pasticceria tradizionale e monoporzioni Torte artistiche • Wedding cakes Vicolo della Serpe, 21 • tel. 06.6531328 cell. 393.8598192 • www.koshercakes.it NUOVA APERTURA Via Cremona, 37 (zona Piazza Bologna) • Cell. 340.7426976 Il New York Times ha denunciato l’utilizzo di libri di testo acquistati con i fondi Onu in 650 scuole palestinesi che promuovono l’odio nei confronti di Israele. “Quand’era segretario generale dell’Onu, chiesi a Kofi Annan di fare qualcosa ma mi rispose che non era facile. Quando nel 2009 diventò Segretaria di Stato, andai da Hillary Clinton con i libri in mano ma anche lei non riuscì a fare nulla. E anche Ban Ki-Moon è stato impotente. E dire che i fondi vengono soprattutto dagli Usa, principali sponsor dell’Onu”. Nel suo ultimo libro The Devil That Never Dies, Daniel Goldhagen parla di revival mondiale dell’antisemitismo. “Nel 2007 io stesso fui assalito in un hotel di San Francisco da un negazionista che con la forza voleva convincermi a dichiarare che l’Olocausto è un’invenzione. Da allora sono costretto a girare con la scorta. Purtroppo il male esiste e dobbiamo combatterlo. Dal francese Dieudonné all’Ungheria dove, per protestare contro il governo antisemita presieduto da Viktor Orban, ho restituito la Grande Croce dell'Ordine al Merito della Repubblica conferitami nel 2004 dall’allora Presidente Ferenc Madl”. Pensa che anche gli italiani siano un popolo antisemita? “La prima volta che conobbi gli italiani fu all’inizio degli anni ‘40 quando arrivarono a Sighet e l’intero villaggio se ne innamorò. Anche se erano soldati dell’esercito fascista, erano gentili, cantavano e sorridevano e non commisero un solo atto di violenza o cattiveria. Anche ad Auschwitz ho incontrato tanti ebrei italiani, tutta gente speciale”. Pensa che la Germania abbia fatto i conti col proprio passato? “Non credo nella colpa collettiva e penso che i tedeschi abbiano espiato. I figli degli assassini non sono assassini e non a caso i miei studenti tedeschi all’università di Boston sono i più sensibili, straordinari, autocritici”. Come giudica il nuovo Papa italo-argentino? “Sento solo cose positive sul suo conto e la prossima volta che andrò a Roma voglio assolutamente incontrarlo. I rapporti interreligiosi tra cattolici ed ebrei sono migliorati proprio grazie a Francesco e ai suoi predecessori e il pregiudizio cattolico degli ebrei ammazza-Cristo è in diminuzione ovunque”. La letteratura Yiddish è ancora viva? “La cultura lo è, non la lingua. La maggior parte dei 6 milioni ebrei trucidati durante la guerra parlava yiddish. Quando arrivai in America, alla fine degli anni ‘50, New York, Montreal, Buenos Aires, Johannesburg e Parigi avevano almeno tre quotidiani in lingua Yiddish ciascuna mentre oggi non ne esiste neppure uno. A quell’epoca lavoravo al Jewish Daily Forward, il quotidiano yiddish più venduto del tempo”. Ha conosciuto Isaac Bashevis Singer? “Al Forward lavoravamo gomito a gomito e la sera tornavamo a casa sempre insieme visto che vivevamo entrambi nell’Upper West Side. Lui non mi considerava un rivale come invece Saul Bellow – il loro antagonismo era leggendario – perché ero molto più giovane e gli stavo simpatico. Ricordo che molti erano gelosi di lui”. Pensa che l’assimilazione sia un pericolo per la cultura e la letteratura ebraiche? “L’assimilazione è sempre stata un pericolo per il giudaismo. Siamo una minoranza e quando cerchiamo di adattarci alla maggioranza, incorporandone comportamenti, culture, filosofia, costumi e paure, che cosa resta di noi? Nulla. Rischiamo di non esistere più. Gli ebrei devono restare ebrei”. Alessandra Farkas Perché è così difficile parlare di Israele Tra una destra nerboruta e una sinistra vintage il mondo ebraico rischia di restare in silenzio bensì di politica, perché da anni ormai si è aperta un’epoca inedita per il sionismo e per Israele, che molti, dai politici ai filosofi, dagli storici ai sociologi, tentano di interpretare. Che dire poi del tema della “illegittimità” di Israele? Si pensi solo ai tanti contributi di intellettuali francesi, ad esempio a quello di Pierre-André Taguieff o di Jacques Tarnéro. C’è chi in Francia e altrove, anche da posizioni diverse, ha provato e prova a rispondere alla grande accusa rivolta a Israele, quella di aver illegittimamente occupato le terre altrui, un’accusa determinante, perché fa passare Israele per una grande colonia e avalla l’uso di termini gravissimi come “coloni”. In Italia si fa buon viso a cattivo gioco, nei media, nelle università, nella sfera pubblica. Ma così si impedisce alla fin fine ogni critica e ogni riflessione - sia all’esterno, sia all’interno. Ho scritto un nuovo libro su Israele con l’intento di introdurre il lettore italiano nel dibattito in corso in America, in Francia, in Israele. L’ho scritto per indurre a sollevare lo sguardo dai confini e ad affrontare quei grandi temi, dalla questione dei due stati al tema della cittadinanza, che fanno oggi di Israele il laboratorio della globalizzazione. Donatella di Cesare Nella foto: Pierre-André Taguieff Dal 1982 operiamo con successo nel settore dei traslochi e dei trasporti nazionali e internazionali DIVISIONE TRASLOCHI Trasporti su tutto il territorio nazionale e internazionale PARCO AUTOMEZZI ATTREZZATURE SPECIALI Scale telescopiche fino a 15 piani braccio-gru semovente SEDE DI ROMA: Via Volturno, 7 - Tel. 06.86321958 FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 Q uel che è accaduto di recente, e che ha rappresentato un nuovo naufragio del dibattito democratico, non ha, a ben guardare, nulla di inedito e va purtroppo considerato all’interno di una grande crisi che negli ultimi anni ha investito non solo il rapporto del mondo con Israele, ma anche il rapporto degli ebrei con se stessi e con gli altri. Dietro e oltre la difficoltà di affrontare il tema di Israele c’è la grande questione dell’identità ebraica. E forse sarà nel futuro indispensabile affrontare questi due temi unitamente, nel loro legame, moltiplicando le iniziative. Certo non è tollerabile l’alternativa tra la rissa e il silenzio. L’insegnamento che si deve trarre è che oggi è urgente e indispensabile trovare i modi per un confronto aperto e democratico che, partendo dall’interno del mondo ebraico, possa estendersi all’esterno. Gli ebrei italiani, non diversamente dagli ebrei europei, sono stati sottoposti in tutti questi ultimi anni al fuoco di fila di una informazione unilaterale e monocorde che ha assecondato una negazione di Israele e della sua dignità storica, prima ancora che politica, sulla scena internazionale. Di qui l’imbarazzo della dirigenza ebraica, spesso costretta a cercare un difficile modus vivendi. Di qui il malessere di molti ebrei italiani rassegnati all’impossibilità di essere ascoltati e capiti. Come se, insomma, di tutto si possa parlare, fuorché di Israele. Sono al contrario convinta che il prius sia proprio Israele. E sono altresì convinta che sia possibile e, anzi, doveroso riflettere insieme, in modo pacato e sereno sullo Stato di Israele e sul suo ruolo per l’ebraismo italiano della diaspora. Ma certo non si tratta solo di forme. E il grande problema sono proprio i contenuti. Più che altrove, forse, il dibattito in Italia è stato soffocato fra due posizioni entrambe povere di contenuti. A una destra quasi sempre pronta a una levata di scudi si è opposta una sinistra disgregata e assente, legata ai vecchi schemi degli anni Settanta, incline a mettere pedissequamente l’accento sull’esemplarità democratica dello Stato di Israele. Che grande delusione per l’ebraismo italiano che nella sinistra – non certo nella destra – avrebbe dovuto trovare il suo interlocutore privilegiato! Questa sinistra negli ultimi anni ha parlato solo dei confini del ’67, come se il problema fosse unicamente geopolitico. Avrebbe dovuto invece farsi carico di una riflessione ben più profonda, introducendo nel dibattito italiano i contenuti culturali, politici, filosofici, che animano la discussione nel resto del mondo. Avrebbe dovuto interpretare il malessere avvertito da molti ebrei italiani, stretti fra le accuse rivolte a Israele e un grande disorientamento anche su temi decisivi. E infine avrebbe dovuto essere voce critica all’interno della sinistra stessa aprendo un confronto ben più ampio e approfondito. Finora non è stato purtroppo così. Basti pensare alla grande questione del sionismo, molto dibattuta ovunque. In Italia il sionismo viene semplicemente identificato con il vecchio sionismo politico à la Herzl. Si vede perciò nello Stato di Israele il risultato di una sorta di epopea risorgimentale, come quella italiana. E ovviamente si resta interdetti dinanzi all’antisionismo dilagante di cui non si riesce a dar conto. Poco si sa dei saggi di Hannah Arendt e di Emmanuel Lévinas, del sionismo culturale e della grande discussione che, a partire da qui, si è aperta negli ultimi due decenni. Non si capisce che non si tratta di erudizione SEDE DI FROSINONE: Via ASI, 4 Tel. 0775.89881 - Fax 0775.8988211 17 DIVISIONE DEPOSITO MERCI Magazzino di 18.000 mq coperti 60.000 mq scoperti DIVISIONE ARCHIVI Catalogazione e gestione di archivi cartacei ed elettronici in ambienti sicuri ed idonei DIVISIONE AMBIENTE Gestione dei rifiuti, disinfestazioni, disinfezioni, derattizzazione sicurezza degli alimenti www.devellis.it - [email protected] MONDO Dieudonné e l’antisemitismo alla francese La Francia sta registrando il più impressionante aumento di attacchi a persone e istituzioni ebraiche, soprattutto da parte di nordafricani FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 A 18 lla fine del dicembre scorso, il centravanti francese Nicolas Anelka ha celebrato un suo gol nella Premier League inglese facendo uno strano gesto, una specie di saluto romano al contrario conosciuto come quenelle. Il calciatore ha spiegato che era un gesto di supporto all’amico Dieudonné. Ed è proprio Dieudonné M’bala M’bala, un famosissimo e controverso comico franco-camerunese, l’inventore della quenelle. Questo gesto, che prende il nome da una polpetta di carne o pesce di forma oblunga, è stato utilizzato per la prima volta nel 2009, quando “Dieudò” si è presentato alle elezioni europee alla testa di una “Liste Antisioniste”, e durante la conferenza stampa, tra accuse contro gli “schiavisti del sistema sionista che dominano Parigi”, ha detto che il suo obiettivo era quello di “voler infilare una piccola ‘quenelle’ nel culo del sionismo”. Dieudonnè ha sempre sostenuto che la quenelle non possiede una valenza antisemitica ma si configura come mero simbolo di disobbedienza al potere, tuttavia in brevissimo tempo si è diffusa in modo virale come un segnale identitario dei movimenti antisionisti ed antisemiti, molte persone (tra cui famosissimi sportivi o l’anziano Le Pen), specie giovani, si fanno fotografare presso luoghi simbolo dell’ebraismo, o dove si sono consumati crimini di matrice antisemita, facendo la quenelle. Il comico franco-camerunese però non è nuovo alle gag antisemite, infatti ha iniziato ad usare una comicità innervata di antisemitismo plebeo a partire dal dicembre 2003, quando apparve in uno show del canale televisivo “France 3” vestito da rabbino kamikaze e, dopo aver lanciato delle invettive antiebraiche, salutò con l’urlo “IsraeHeil”, da quel giorno le sue provocazioni antisemite sono state innumerevoli e progressivamente sempre più aspre, martellante l’equiparazione tra gli ebrei/sionisti ed i nazisti, e l’accusa agli ebrei di essere i padroni del mondo. Dieudonné , che si definisce “un islamico-cristiano”, è molto legato agli ambienti estremisti sia di sinistra che di destra, ed all’islamismo radicale, è spesso ospite della televisione iraniana, o di Al-Manar la tv degli Hezbollah libanesi, ed è proprio nel corso di una lunga intervista rilasciata nel settembre 2011 alla televisione ufficiale degli ayatollah Sahar TV che ha esposto i temi fondamentali della sua visione del mondo antisemita. Ha dichiarato infatti che “Il sionismo ha ucciso Cristo. E’ il sionismo che afferma che Gesù è il figlio di una prostituta i media e la maggior parte delle istituzioni francesi sono controllate dai sionisti, e Parigi è la capitale del sionismo il sionismo è l’arte della menzogna e nutre un odio profondo verso l’umanità, ed in qualunque posto arrivi cancella i valori morali del paese”. Il comico ritiene che ci si debba affidare all’ “islam moderno promosso dall’imam Khomeyni”, ed auspica la nascita di un’alleanza islamico-cristiana volta alla distruzione del sionismo. La comicità antisemita di Dieudonnè fa anche ampio uso delle tematiche negazioniste, addirittura il 26 dicembre 2008 ha invitato sul palco di un suo spettacolo al teatro Zenith di Parigi Robert Faurisson, il più famoso polemista negazionista, ed ha improvvisato con lui e con l’accompagnamento di un finto deportato con la stella gialla sul petto, uno sketch negazionista che è stato accolto da un fiume di applausi. Nel 2012 ha poi girato con il sostegno economico dell’Iran degli ayatollah il film comico negazionista ed antisemita “AntiSemite”, e recentemente ha composto la canzone Shoahnanas, sgangherata marcetta negazionista che è diventata l’inno dei numerosi fan di Dieudò, e che il comico canta scuotendo il sedere e facendosi accompagnare dal solito finto deportato. La comicità antisemita di Dieudonnè ha raggiunto l’acme con il suo ultimo spettacolo Le Mur titolo che, ha spiegato il comico, si ispira al “muro del pianto, dietro il quale si nascondono i media, le banche, lo showbiz e la mer “ e sul quale lui “pisc..”. Lo show era talmente intriso di antisemitismo che il Ministro degli Interni Manuel Valls lo ha fatto vietare. Malgrado l’annullamento però, gli spettacoli di Dieudò continuano ad avere milioni di spettatori grazie alla piattaforma web di YouTube, sulla quale è una delle principali star. Le provocazioni antisemite del comico continuano a cadere su un paese che, a partire dal 2000, continua a registrare il maggior numero di episodi di antisemitismo nel mondo e dove l’antisemitismo si configura come una sempre più grave emergenza sociale. Secondo l’ultimo rapporto ufficiale diffuso sull’antisemitismo in Francia, a cura del Service de Protection de la Communauté Juive - SPCJ e del Ministero degli Interni, nel 2012 gli episodi di antisemitismo sono aumentati del 58% rispetto all’anno precedente, e le aggressioni fisiche e verbali si sono accresciute dell’84% (315 nel 2012 contro 171 nel 2011). Un quarto delle aggressioni fisiche sono state compiute con un’arma, e la grande maggioranza degli aggressori sono stati identificati come nord-africani. In alcune città e quartieri le violenze antisemite sono ormai diventate croniche. Il 55% delle violenze razziste avvenute in Francia sono di stampo antisemitico. Da quando, a partire dal 2002, il Ministero degli Interni e Service de Protection de la Communauté Juive - SPCJ hanno cominciato ha raccogliere dati sull’antisemitismo in Francia sono stati registrati questi numeri: 936 episodi di antisemitismo nel 2002, 601 nel 2003, 974 nel 2004, 508 nel 2005, 541 nel 2006, 402 nel 2007, 474 nel 2008, 832 nel 2009, 466 nel 2010, 389 nel 2011 e 614 nel 2012. In totale 6737, tra azioni violente e minacce. Dopo l’attentato di Tolosa del 19 marzo 2012, quando il terrorista salafita Mohamed Merah ha ucciso a pistolettate tre bambine ebree ed un rabbino, ci sono stati 90 episodi di antisemitismo in 10 giorni, e dopo lo smantellamento di una cellula jihadista il 6 ottobre 2012 in seguito all’attentato dinamitardo di Sarcelles ai danni di un supermarket kasher, 28 episodi in 8 giorni. Dalla seconda Intifada (2000) la Francia è diventato il paese in cui l’antisemitismo ha mostrato il suo volto più feroce (persone torturate ed uccise, sinagoghe incendiate, pestaggi ed intimidazioni), secondo gli esperti la data di inizio delle violenze antisemitiche in Francia viene fatta coincidere con il 10 ottobre 2000 quando le sinagoghe di Les Ulis e Trappes, entrambe a sud di Parigi, furono date alle fiamme, da quel momento gli episodi di violenza sono diventati migliaia. Secondo lo studioso Georges Bensoussan a causa del clima antisemitico sempre più diffuso anche nelle scuole, si è verificato un autentico esodo degli ebrei dagli istituti pubblici a quelli privati, non necessariamente ebraici. In certe scuole la presenza di ragazzi ebrei è diventata rarissima, e la loro identità viene occultata in una sorta di nuova dhimmitudine. La Francia è il paese che nel XIX secolo ha ‘inventato’ l’ideologia antisemita, alla fine della Seconda guerra mondiale il negazionismo, e durante la seconda Intifada del 2000 ha generato la Nouvelle Judeophobie, un antisemitismo molto aggressivo e violento nutrito dagli stereotipi antisemiti dell’islamismo, ed oggi ha invece prodotto l’umorismo antisemita di Dieudonné che ha reso pop prendersi gioco degli ebrei usando i più vieti stereotipi dell’antisemitismo. Stefano Gatti Lo scandalo non è un comico antisemita, ma il pubblico che ride L a vicenda del comico francese Dieudonné M’bala M’bala, da un decennio specializzato in provocazioni antisemite, fornisce l’occasione per diverse riflessioni. Il primo ordine di riflessioni riguarda l’efficacia delle legislazioni volte a punire il negazionismo, un tema di cui si è discusso molto in Italia. A giudicare dagli esiti dell’intervento del ministro degli interni francese Manuel Valls, che ha ordinato ai prefetti di interdire gli spettacoli di Dieudonné, si potrebbe concludere che i divieti funzionano: dopo vari contorcimenti e proteste, il comico ha fatto macchina indietro promettendo di moderare i suoi eccessi. Ma al riguardo occorre fare tre considerazioni. La prima è che l’apparato statale francese, nonostante tutto, conserva un carattere fortemente centralistico sconosciuto in altri paesi: l’intervento del giudice amministrativo di Nantes che sospendeva l’esecuzione del decreto prefettizio è stato cassato in poche ore dal Consiglio di Stato su richiesta del governo. Difficile pensare a qualcosa del genere in Italia. La seconda considerazione è un’obiezione, sollevata anche da noi: è molto difficile e avventuroso cercare di stabilire un confine oltre il quale non è più ammessa la libertà di opinione. Non è meglio lasciare alle iniziative legali l’azione di contrasto nei confronti di personaggi come Dieudonnè? Infine, la terza obiezione riguarda l’efficacia dei divieti: prima che il Consiglio di Stato sospendesse definitivamente lo spettacolo Le Mur – con il contorno del gesto simil-nazista della “quenelle” e della canzone sulla Shoah-nanas – si era formata una folla di quasi seimila persone che attendeva di entrare nel teatro e che ha accolto con manifestazioni di protesta la sospensione. È sensato pensare che queste persone – ben disposte nei confronti del comico – abbiano cambiato opinione, o non abbiano piuttosto rafforzato un sentimento di simpatia nei confronti di una “vittima” della repressione della libertà di espressione? In fin dei conti, quel che dovrebbe interessare è curare ed estinguere i sentimenti antisemiti che hanno attecchito nell’animo di un gran numero di cittadini e che delineano un clima gravemente preoccupante. Nascondere alla vista la cancrena non risolve nulla. I sentimenti razzisti non si guariscono con i decreti prefettizi. Qui giungiamo al secondo ordine di riflessioni: la vicenda Dieudonné è una manifestazione plateale di cattiva coscienza e di fuga dalle responsabilità che cercano di nascondersi. In fin dei conti, davvero le provocazioni di Dieudonné rappresentano lo scandalo più grande, la manifestazione estrema dell’antisemitismo, del negazionismo, di intolleranza nei confronti degli ebrei francesi? Come si diceva, Dieudonné provoca da anni e nessuno ha mai fatto nulla. Sono più gravi le sue provocazioni o il fatto che vi siano interi quartieri delle città francesi dove una persona non può recarsi con una kippà in testa o una stella di David al collo senza rischiare per la propria incolumità personale, che vi siano scuole che un ebreo non può frequentare? Abbiamo dimenticato il rapimento, la tortura e l’omicidio del giovane Ilan Halimi? Più in generale, si tratta di un clima in cui la libertà di opinione è da tempo compromessa. Ricordiamo che, nel 2006, il professore francese Robert Redeker, per aver scritto un articolo sul Figaro che condannava le violente reazioni islamiste nei confronti del discorso di Ratisbona del papa Benedetto XVI e in cui ammoniva contro il rischio che fosse dispersa una delle più preziose conquiste dell’occidente, la libertà di pensare e di esprimersi, fu colpito da una condanna a morte e da quel momento vive in anonimato, sotto la protezione della polizia: uno scandalo inaudito su cui è caduto il silenzio proprio perché indica a qual punto sia stata colpita la libertà di pensiero e di espressione. Per anni le critiche al fondamentalismo islamista sono state accusate di essere eccessive e di minare la possibilità di una convivenza pacifica intercomunitaria; come se la pretesa di sottoporre zone intere di città al regime della sharia o di praticare la poligamia e altre regole contrarie alle leggi in vigore in tutta Europa, non fossero un attentato a tale convivenza. Per anni Dieudonné è stato tollerato, anche con una punta di compiacenza, fino a che se la prendeva con Israele e con il sionismo e non si spingeva troppo in là nell’attacco esplicito agli ebrei, con l’alibi – coltivato dalla stampa e da numerosi intellettuali “progressisti” (si fa per dire) – secondo cui l’antisionismo non è antisemitismo, anzi è una legittima critica dello stato d’Israele. Purtroppo, aveva ragione Martin Luther King (un vero progressista inascoltato) quando ammoniva che l’antisionismo è soltanto antisemitismo malamente mascherato. L’esercizio di chiedersi se oggi vi sia più antisemitismo a destra o a sinistra, e quale sia più pericoloso, è fuorviante e ipocrita: l’antisemitismo è uno soltanto anche se dispone di un inesauribile “guardaroba ” (per dirla con André Neher). Quando Dieudonné ha fatto un passo più in là e ha mostrato come nella sua mente fossero perfettamente saldati un antisionismo che numerosi ambienti avevano tollerato o legittimato come “di sinistra”, e l’arsenale antisemita classico dalla destra di Le Pen, lo scandalo è emerso e nessuna cosmesi sofistica ha potuto nascondere l’oscenità insopportabile della coesistenza tra neonazismo e antisionismo. Il problema è che quella coesistenza è stata coltivata da decenni di scelte vili e irresponsabili. Vi sono certamente state anche buone intenzioni nella scelta di chiudere la bocca al comico, ma fino a che non emergeranno comportamenti e atti volti a curare le cause del male e a ripristinare una condizione in cui si possa pensare e vivere liberamente, il sospetto di una cattiva coscienza e di un doppio standard resterà in piedi. Giorgio Israel In alto: Dieudonné M’bala M’bala con Jean-Marie Le Pen In basso: brinda con Robert Faurisson FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 Cosa ci insegna la vicenda di Dieudonné M’bala M’bala: in Francia non c’è più differenza tra antisionismo e antisemitismo 19 MONDO Israele e i Paesi latino-americani, un rapporto di fiducia da ricostruire Per troppo tempo le relazioni sono state influenzate dall’antisionismo di Ugo Chavez e dalla sua amicizia con il Presidente iraniano Ahmadinejad D FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 urante la Guerra Fredda, i Paesi latino americani, tradizionalmente vicini alle posizioni statunitensi, si sono costantemente schierati con Israele. Ciò si è tradotto in posizioni solidali nei confronti dello Stato ebraico alle Nazioni Unite e in importanti rapporti economici e militari. Le relazioni tra Israele e i Paesi sudamericani sono però mutate negli ultimi decenni. L’aspetto più inquietante può individuarsi nell’amicizia tra Chavez e Ahmadinejad, Presidenti fino al 2013 del Venezuela (dal 1999) e dell’Iran (dal 2005): la loro affinità ideologica e strategica nel corso degli anni 2000 ha prodotto un aumento delle relazioni economiche tra i due Stati, come testimoniato dagli oltre duecento accordi bilaterali, che talvolta hanno costituito una copertura per transazioni finanziarie volte ad eludere le sanzioni internazionali. La figura di Chavez, Presidente fino alla morte nel marzo 2013, è stata al centro delle dinamiche sudamericane, visto il suo carattere antiamericano e il suo ruolo di leadership cercato nel continente: egli ha promosso il “socialismo del XXI secolo” ed è stato un feroce critico della politica statunitense e della globalizzazione, tracciando una linea che è stata sposata in alcune fasi da Paesi come il Nicaragua, la Bolivia, l’Ecuador. Il discorso relativo all’intero continente è però estremamente variegato. Recentemente, la maggior parte di questi Paesi ha assunto atteggiamenti severi nei confronti di Israele, come dimostrato dal voto all’Assemblea Generale dell’Onu il 29 novembre 2012 in favore dell’ammissione della Palestina con lo status di Stato Osservatore non Membro, in cui i soli Paraguay, Guatema- 20 la e Colombia si sono astenuti. Non si è trattato di una sorpresa: Brasile e Argentina, potenze regionali con ambizioni globali, hanno manifestato apertamente negli ultimi anni la loro tendenza filo palestinese, condannando l’operazione Piombo Fuso del 2009 e riconoscendo già nel dicembre 2010 lo Stato di Palestina lungo i confini segnati prima della Guerra dei Sei Giorni del 1967. Restano di primo piano i rapporti commerciali, come dimostra la firma il 18 dicembre 2010 dell’accordo di libero scambio tra Israele e il Mercosur, che si è aggiunto ai già numerosi trattati bilaterali e ha bissato un analogo accordo del 2005. Con questa nuova Convenzione, Israele ha inteso perseguire il fine di promuovere un miglioramento delle infrastrutture nei commerci con i Paesi sudamericani. Anche la diplomazia sta lavorando alacremente per mantenere saldi i rapporti i con i singoli Paesi: nel corso dell’ultimo anno si sono svolti incontri ufficiali con le autorità di numerosi Stati latinoamericani, Colombia su tutti, ma anche, per esempio, Messico e Guatemala. Non è poi da sottovalutare il turismo nell’America Centrale e Meridionale di numerosi israeliani, specialmente di quei giovani che prendono una pausa dopo aver concluso il servizio militare, e la presenza di solide comunità ebraiche in molti di questi Paesi. Il quadro dei rapporti di Israele con il Sudamerica si presenta dunque come notevolmente eterogeneo, mutando a seconda dei diversi Paesi e dei vari ambiti che si analizzano. D.T. In alto: firma dell’accordo commerciale tra Israele e Argentina 50 anni fa il primo viaggio di un Papa nello Stato Ebraico Ma Paolo VI non pronunciò mai la parola “Israele” C inquant'anni fa, il 4 gennaio, un Papa volava verso la Terra di Israele compiendo, all'inverso, il viaggio fatto dal suo predecessore, Pietro. “Porteremo sul Santo Sepolcro e nella grotta della Natività i desideri di coloro che piangono, che hanno fame e sete di giustizia”: queste le parole che Paolo VI pronunciò prima di salire sulla scaletta dell'aereo che lo porterà, prima volta per un pontefice, nella Terra della Bibbia. Giovanni Battista Montini era stato eletto Papa da appena sei mesi quando cominciò questo pellegrinaggio. Breve, appena tre giorni, dal 4 al 6 gennaio del 1964, ma storico. Un viaggio soprattutto di preghiera nel quale toccò due Paesi, Israele e Giordania e quattro città: Gerusalemme, Amman, Betlemme e Nazareth. Un pellegrinaggio epocale per il quale si mobilitarono in massa giornalisti e operatori tv, con un dispiegamento di forze notevole per i tempi. Alle sette e un quarto del 4 gennaio, a bordo di una Mercedes scoperta, il pontefice esce dal Vaticano. All’aeroporto di Fiumicino lo attende un Dc8 dell’Alitalia, che per l’occasione ha la coda dipinta con i colori della bandiera pontificia. Ci sono il presidente della Repubblica Antonio Segni e il nuovo presidente del Consiglio, Aldo Moro. Ad accoglierlo all'aeroporto di Amman è il giovane re Hussein. Di lì una maratona, dalle rive del Giordano, dove si ricorda il battesimo di Gesù, a Nazareth, da Cafarnao al Lago di Tiberiade, dalla Basilica della Natività a Betlemme fino al Santo Sepolcro a Gerusalemme, percorrendo la “Via Dolorosa” stretto nell'abbraccio di una folla che però, riguardando le immagini dell'epoca, non sembra spaventarlo. A Megiddo, luogo dalla forte carica simbolica, incontra il presidente israeliano Zalman Shazar e il rabbino capo Nissim. Il papa saluta ripetendo la parola «shalom», pace, mentre passa in rassegna il picchetto d’onore e arriva sul palco imbandierato di vessilli con la stella di David. Il presidente dice: «Con profondo rispetto e nella piena coscienza della portata storica di un evento senza precedenti nelle generazioni passate, a nome mio e dello Stato d’Israele accolgo il Sommo Pontefice...». Paolo VI, che nel suo discorso non pronuncia mai le parole «Stato di Israele», risponde: «Volentieri ricordiamo i figli del “Popolo dell’Alleanza” il cui compito nella storia religiosa dell’umanità non possiamo dimenticare». Ma l'evento che lascia il segno del viaggio è l'abbraccio tra il Papa e il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Athenagoras. È il primo incontro tra un pontefice romano e un patriarca d'Oriente, a novecento anni dalla reciproca scomunica tra le due chiese. L'evento segnò la ripresa del dialogo tra le due grandi comunità cristiane. Dall’alto: Paolo VI visita il Santo Sepolcro, con il Presidente israeliano Zalman Shazar e con il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Athenagoras SALMONì OFFICINA SPECIALIZZATA VIA GALVANI 51C/D/E - 00153 ROMA ORARIO NO STOP 8,30 - 18,00 CHIUSO IL SABATO MECCANICA GENERALE DIESEL E BENZINA TAGLIANDI PROGRAMMATI E AUTORIZZATI DALLE CASE COSTRUTTRICI FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 ELETTRAUTO Tel. 06.5741137 Cell. 3394510504 - [email protected] 21 AUTO DIAGNOSI INIEZIONE BENZINA E DIESEL FRENI ABS - ESP ASSISTENZA SCOOTER AMMORTIZZATORI ALZACRISTALLI ELETTRICI SERVIZIO CARRO ATTREZZI ISRAELE Sostenere Israele in modo nuovo e originale Lo propone l’Associazione Technion Italia, presieduta da Piero Abbina che spiega: “Puntiamo a formare culturalmente e professionalmente i giovani ebrei della diaspora” O FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 ggi sostenere Israele è diventato un processo sempre più complesso rispetto al passato. Il contributo della diaspora, infatti, è necessario che diventi di tipo politico e culturale: bisogna far comprendere la realtà dello Stato ebraico e le opportunità che è in grado di creare. A spiegarlo a Shalom in un’intervista è Piero Abbina, Presidente del Technion Italia, associazione di sostegno all’istituto universitario di Haifa. Fondato dieci anni fa, il Technion Italia si propone di raccogliere fondi come molti altri enti ebraici, ma ha soprattutto lo scopo di creare rapporti tra il Technion, il più grosso politecnico di Israele e tra i primi 50 al mondo, e le università italiane, coinvolgendo queste ultime ad ogni livello. In questo modo si realizza un sostegno ad Israele in una forma non tradizionale e che va incontro alle sfide poste dall’attualità. Recentemente sono state intraprese varie iniziative importanti e numerosi sono anche i progetti per il futuro immediato. Un esempio significativo è quello dell’Israel University Day, in cui esponenti delle università israeliane vengono in Italia a presentare i loro corsi per i giovani che vogliono andare a studiare in Israele. I risvolti positivi di questa iniziativa sono molteplici: agli studenti ebrei si offre l’opportunità di conservare e rafforzare la propria identità ebraica in una fase delicata quale quella successiva al liceo; anche il coinvolgimento degli studenti non ebrei è rilevante, in quanto possono avere un contatto diretto con Israele, di cui potranno diventare “ambasciatori” nel mondo portando la testimonianza diretta di una realtà spesso travisata. In ogni caso, si offre un percorso di formazione di altissimo livello allo studente, il quale resta coinvolto anche in progetti lavorativi nella fase successiva alla laurea. Lo scambio di studenti è incentivato anche da dodici borse di studio offerte ogni anno a ragazzi italiani per i corsi di ingegneria del Technion. 22 Nell’ultimo anno sono state organizzate due importanti missioni in Israele: una dell’Università di Roma Tre ed un’altra che ha visto coinvolte cinque università, La Sapienza, il Campus biomedico, Perugia, Salerno e Messina. Sono stati coinvolti professori, studenti e imprenditori: ogni diversa categoria ha potuto vedere da vicino la “start-up nation”, vivere il cuore pulsante dell’innovazione. Gli studenti, in particolare, hanno potuto incontrare loro coetanei, assistere a delle lezioni (naturalmente in inglese), oltre ad avere con Israele un contatto scevro dai pregiudizi spesso veicolati dai media. Queste iniziative hanno avuto anche l’importante funzione di favorire il confronto tra diversi professori, utile in vista della promozione di progetti congiunti tra Israele e Italia. Con l’incontro tra Netanyahu e Letta del dicembre 2013, si è aggiunto un ulteriore tassello al già ricco quadro di accordi tra il Technion e le più prestigiose università italiane: grazie alla firma di un memorandum di intesa di carattere ospedaliero tra la facoltà di medicina del Technion, Rambam, e l’ospedale Mauriziano di Torino, si è avviato lo scambio di medici, studenti e professori tra le due facoltà. L’insieme di queste attività è, secondo Abbina, il modo giusto per affrontare la realtà odierna e per aiutare Israele: si favoriscono gli investimenti sulle start-up israeliane e l’afflusso di cervelli nello Stato ebraico, si fa capire al mondo cos’è Israele e le opportunità che produce. Si realizza così un supporto politico a 360 gradi, con anche l’obiettivo di sconfiggere il boicottaggio arabo, che si sta estendendo a nuovi campi, basti pensare ai divieti talvolta posti dalle università britanniche ai professori israeliani. Con questo lavoro, Abbina auspica un’ulteriore crescita per Israele e un freno alla recrudescenza dell’antisemitismo in Europa. Daniele Toscano Alla scoperta dei luoghi di Israele Raanana, la città più verde N CENTRO EBRAICO ITALIANO IL PITIGLIANI VIA ARCO DE’ TOLOMEI, 1 – ROMA [email protected] INFO E PRENOTAZIONI LISCHE 06.5897756 ON ODA Amdocs. Infatti, il reddito medio è ben più alto della media israeliana (11,235 NIS contro i 7,522 nazionali). Come in tutta Israele, anche qui in terza elementare iniziano programmi educativi mirati per bambini particolarmente dotati, ma Raanana offre una possibilità in più: un programma destinato in modo particolare alle ragazze per incentivarle a studiare materie tecnologiche, e un ulteriore programma, unico nel suo genere in tutta Israele, per lo sviluppo di leadership tecnologica mirato alla gestione delle informazioni. Fiore all’occhiello della città è la sua Orchestra Sinfonica, nata nel 1991 inizialmente con lo scopo di aiutare i nuovi immigrati ad ambientarsi e a ritrovare professioni e hobby lasciati oltremare. Per molti anni l’orchestra ha ospitato solisti e musicisti noti in tutto il mondo quali Maxim Shostakovich, Dan Ettinger e Constantine Orbelian, Ray Charles e Stevie Wonder. Oltre a un repertorio di musica classica l’orchestra ha sempre cercato di presentare lavori musicali con lo scopo di fondere il passato musicale ebraico con le arie più moderne. Durante gli oltre 20 anni della sua esistenza l’orchestra si è esibita in una cinquantina di lavori originali alcuni dei quali anche composti da musicisti morti durante la Shoà. Nel 2007 per esempio è stata rappresentata la tragica storia di Alma Rose, che ha diretto l’Orchestra delle donne di Auschwitz, e nello stesso anno l’orchestra ha vinto il prestigioso Engel Prize per il suo contributo alla promozione di musica ebraica di tutte le generazioni. Chissà se si è mai esibita a Verona, sua città gemellata? Paola Abbina PER TUTTI I BIMBI FESTA CON ANIMAZIONE, CENA SFILATA DELLE MASCHERE E SORPRESA FINALE! C PURIM HI E BEDUINI I IC SCE C DEL PITIGLIAN DUNE TRA LE e l l i le mna u Josy Anticoli e a t s dj Nikkio e f PRESENTA ICOLI LIVIO ANT MUSICA DAL VIVO CON E SABATO 15 MARZO 2014 14 ADAR 5774 • ORE 20,30 ORE 19,30 • SPECIALE LETTURA DELLA MEGHILLÀ DALLE DONNE PER LE DONNE A CURA DI SIRA FATUCCI • LETTURA TRADIZIONALE A CURA DI DAVID LIMENTANI A SEGUIRE CENA ORIENTALE SOTTO LA NOSTRA TENDA: TÈ DELLA PACE, ARAK E …ad lo yada! FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 el 2005 è stata designata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità “città verde” con l’assegnazione del premio Green City: Raanana ospita infatti il più grosso parco urbano della zona, con piste ciclabili, campi sportivi, zoo, un piccolo laghetto circondato da giardini tra cui il Giardino delle Sette Specie. Situata tra Kfar Saba ed Herzelia oggi Raanana ospita circa 73.000 abitanti tra nativi locali, vecchi e nuovi immigrati, sia americani sia europei. Ma la città ha una storia antica: nel 1912 la Sochnut fondò il gruppo “Ahuza-New York” che acquistò terreni per farne insediamenti agricoli. La Prima Guerra Mondiale fece naufragare il progetto ma nell’aprile del 1922 due carretti con sopra 4 membri Ahuza, 3 braccianti e due guardiani armati lasciarono Tel Aviv per approdare dopo poche ore nella attuale Raanana. Gli abitanti arabi della zona hanno chiamato il nuovo insediamento appunto Ahuza - New York dato che la maggior parte dei suoi abitanti era di madrelingua inglese e veniva da New York. Solo più tardi prese il nome ufficiale di Raanana (lett., fresca) e nel 1948 costituiva un villaggio di già 3.000 residenti. Negli anni ’60 arrivò a contare circa 10.000 persone e si estendeva su un’area di circa 15 km quadrati e negli anni ’80 fu dichiarata città a tutti gli effetti, con cittadini spagnoli, americani francesi e ovviamente italiani. Sebbene la maggioranza della popolazione sia laica, Raanana ospita anche una buona comunità di ebrei Modern Ortodox consentendo una buona integrazione fra religiosi e laici nella vita sociale, culturale e commerciale in genere. Ci sono oltre 100 sinagoghe che vanno dal più piccolo e familiare minian a più grandi sinagoghe di quartiere con una vasta gamma di tradizioni, dalla yemenita alla libica, afghana e ovviamente sefardita e askenazita. Anche la vita economica e commerciale è molto florida visto che Raanana è sede di una importante zona industriale, con l’immancabile centro commerciale, ma soprattutto con molte imprese ad alta tecnologia quali Hewlett-Packard, o Microsoft o ancora 23 CINEMA Il mondo capovolto di Terezin Il film documentario ‘Wolf’ ha per protagonista il racconto del figlio del rabbino Murmelstein che fu accusato di aver collaborato con i nazisti FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 H 24 o conosciuto Wolf Murmelstein molti anni fa. C’eravamo incontrati più volte nei dibattiti. Un giorno mi telefonò dicendomi che avrebbe voluto incontrarmi di persona. Ricevendolo nel mio studio, ha avuto bisogno di precisare che non era lì per un’analisi personale. Voleva confrontarsi con qualcuno che avesse cognizione della tragedia della Shoah. Confrontarsi su temi storici e parlare di memoria. Ricordo di avergli detto che sarebbe stato difficile separare in modo così netto la memoria storica dagli affetti e dai ricordi personali. Tanto più per chi come lui aveva attraversato di persona quelle temperie storiche. Wolf Murmelstein era stato a Terezin, nell’anticamera dell’inferno dove furono deportati circa 140.000 persone di cui circa 33 mila morirono per le pessime condizioni di vita, 88.000 furono deportati nei campi di sterminio. “Un ghetto campo” utilizzato dai nazisti come specchio per le allodole per un mondo che di fronte alla tragedia dello sterminio aveva voltato le spalle e chiuso gli occhi per non vedere. Potevamo parlare di storia, ma lui era parte di quella storia. Ne portava i segni e le lacerazioni più profonde. Suo padre era stato il “decano” del campo, l’unico a essere sopravvissuto. Era stato incarcerato e processato per “collaborazionismo”. Assolto dall’accusa, fu circondato per il resto della sua esistenza dal sospetto. La macchia rimase e quando chiese di poter testimoniare al Processo Eichmann, non fu ascoltato. Nella preparazione del film ‘Shoah’, Lanzmann lo incontrò a Roma e lo intervistò per ore, ma non seppe poi come utilizzare tutto quel materiale. A quell’epoca erano disponibili due importanti libri di L. Trunk e di A. Weiss, in cui si metteva fortemente in discussione la lettura deformante e limitativa con cui nei due decenni precedenti era analizzata l’azione dei Consigli ebraici. Il concetto di “zona grigia” coniato da Levi, non era ancora disponibile. Anche senza la conoscenza della poderosa messe di studi che in seguito si sono succeduti, non era difficile capire che anche nelle situazioni più discutibili, l’azione dei consigli non aveva nulla a che vedere col collaborazionismo. Le loro azioni erano risposte, tra l’altro diverse, in condizioni estreme di gente imprigionata e destinata a morire come gli altri. La valutazione delle loro azioni e delle loro scelte, non poteva prescindere dalle intenzioni e dal contesto in cui operavano, dalle informazioni di cui disponevano, della alternative di cui disponevano e dall’isolamento totale in cui operavano. Nell’Europa occupata il numero dei consigli ammontava almeno a mille. Ciascun consiglio operò in una situazione specifica. I comportamenti furono vari: chi operò per creare dei nuclei di resistenza e cercò di alleggerire lo spaventoso fardello di oppressione; chi si sacrificò con la famiglia per evitare di fare del male ad altri perseguitati, chi cercò di salvare il salvabile in una spirale mortale di persecuzioni subite, e azioni ingiuste commesse verso chi stava più in basso nella gerarchia dei sommersi. Parlare di collaborazionismo in queste situazioni estreme è un insulto all’intelligenza. Basta pensare che se i sovietici non avessero scelto di ritardare la loro avanzata tra il ’44 e il ’45, Haim Rumkovski, che Primo Levi assume come emblema della zona grigia, sarebbe potuto passare alla storia come colui che, in mezzo a situazioni impossibili, aveva reso possibile con la sua azione il salvataggio di decine di migliaia di persone. Il ghetto di Lodz doveva essere “liquidato” tra i primi. Con una strategia atroce e disperata, che aveva trasformato la popolazione produttiva del ghetto in forza di lavoro schiava dei nazisti, Rumkowski era riu- scito a farlo tenere in vita per tre anni. I collaborazionisti scelgono di vendersi al nemico per avere in cambio dei vantaggi duraturi. Sono traditori e partecipano all’ideologia dei loro oppressori. Qui siamo in una situazione radicalmente diversa. I membri dei consigli erano anche loro vittime che agivano in una situazione disperata, pensando di salvare il salvabile. Le vittime non erano tutte uguali e il “privilegio” di alcuni non comportava che non fossero anch’esse condannate a morire. Chi rifiutava gli ordini era ucciso sul posto con la famiglia, sostituito da altri. Nella strategia dei nazisti i consigli servivano a “razionalizzare” la pratica dello sterminio, a renderla “più facile”. Nella strategia cognitiva dei prigionieri il problema era come alleggerire il fardello delle persecuzioni. Ci fu chi stilò le liste di chi sarebbe stato deportato prima, chi invece partì perché altri fossero risparmiati; ci fu chi con la morte nel cuore, riuscì a fuggire, esponendo chi restava a rappresaglie feroci. Vi fu chi rimase sino all’ultimo con i genitori e con i figli per non far mancare loro l’amore necessario per sopportare l’angoscia. Impossibilitati a reagire militarmente, molti ebrei si difesero con le armi dello spirito, tenendo alta la speranza, combattendo la depressione, assistendo i più deboli, scrivendo la storia di quel che stava accadendo perché dopo la tempesta, parafrasando il profeta Isaia, le poche olive rimaste sugli alberi, ricostruissero le loro esistenze. Quando il capo del ghetto di Varsavia si rese conto che i nazisti non avrebbero risparmiato i bambini, si suicidò. In un altro ghetto, il capo della resistenza ebraica si consegnò ai nazisti per evitare rappresaglie più grandi contro la popolazione del ghetto. Quando il ghetto di Varsavia si ribellò, i nazisti bruciarono il ghetto con la sua popolazione. I militanti della Resistenza avrebbero potuto salvarsi fuggendo in tempo per le fognature. Rimasero a combattere sino alla fine. Nessuno intervenne in loro aiuto. La resistenza polacca non riteneva fosse giunto il momento. Quando l’anno dopo la città si sollevò, i sovietici che erano alle porte non intervennero lasciando che i nazisti facessero per loro il compito sporco per il dopoguerra. Degli ebrei non importava a nessuno. I comandi alleati non presero mai in considerazione l’idea di bombardare le nale di Wolf Murmelstein. Sovena m’indicò un regista, Claudio Giovannessi, col quale lavorare al progetto. Ne parlammo con Wolf Murmelstein e non fu facile convincerlo. Alla fine però accettò. Sapevo che Lanzmann lavorava al suo nuovo film su Benjamin Murmelstein e che non avrei potuto inserire materiali della sua intervista al padre. Non volevamo fare un film sul padre, ma sul figlio. Il problema per noi era come parlare col figlio senza schiacciare la sua storia su quella del padre. Ma le due storie erano come sovrapposte, l’una chiamava l’altra, non solo sul piano del dibattito storiografico e culturale, ma anche su quello più interno dei vissuti personali. Per via di circostanze storiche e culturali, e non solo personali e famigliari, la vita del padre, meglio la sua memoria, occupava quella del figlio. Una sfida difficile che abbiamo cercato di affrontare con la delicatezza e il rispetto dovuti. David Meghnagi Murmelstein: l’ultimo degli ingiusti raccontato in due film D ue documentari realizzati in maniera separata dal regista francese Claude Lanzmann (il celebre autore di Shoah) e dall’italiano Claudio Giovannesi (vincitore di vari premi con i suoi lavori precedenti Fratelli d’Italia e Alì ha gli occhi azzurri) affrontano, seguendo due punti di vista differenti, la controversa figura di Benjamin Murmelstein, il Rabbino a capo del ghetto modello di Terezin nei dintorni di Praga, progettato con diabolica cura dal criminale nazista Adolf Eichmann al punto da essere visitato dalla Croce Rossa nel 1944 senza che gli emissari dell’organizzazione si accorgessero dell’atroce realtà. Ne L’ultimo degli ingiusti Lanzmann parte da un’intervista realizzata a Roma nel 1975 da lui stesso a Murmelstein circa un decennio prima della scomparsa dell’uomo cui, è bene ricordarlo, fu negata sia la recitazione del kaddish che la sepoltura nel cimitero ebraico di Roma. In Wolf di Claudio Giovannesi prodotto da Istituto Luce – Cinecittà in collaborazione con Vivo Film, si esplora il difficilissimo rapporto tra Benjamin e il figlio Wolf, il bambino con cui nessuno ‘voleva giocare’ per colpa delle azioni e dei crimini del genitore. Due film molto diversi tra loro che partono dalla figura di Murmelstein per dare vita a due riflessioni e a due sguardi molto più ampi. Da un lato Lanzmann affronta direttamente le responsabilità del rabbino e – senza il beneficio del dubbio – lo riabilita, mettendo in luce una serie di azioni nobili e dimenticate e le vere motivazioni per cui il suo collaborazionismo con Eichmann va considerato un tentativo disperato di aiutare il prossimo. Dall’altro, Giovannesi si concentra sulla figura del figlio Wolf grazie alla preziosa guida dell’ideatore del progetto, David Meghnagi, psicoanalista esperto nella cura dei sopravvissuti al lager, storico e studioso dell’ebraismo. Se il primo film è, come dice Lanzmann, un’analisi della capacità dell'uomo di agire secondo quel che ritiene il suo dovere, la sua etica, al di là delle evidenti e insidiose contraddizioni, il secondo, invece, è una riflessione sulle colpe dei padri che ricadono sui figli e sull’impossibilità di compiere delle scelte seguendo la propria etica in un momento storico in cui viene negato il libero arbitrio. Mentre Lanzmann si concentra sul padre che viene riabilitato e difeso dal cineasta francese, Giovannesi insiste su Wolf Murmelstein e il suo rapporto complesso con il presente, non uscendo quasi mai di casa e raccontando la sua anima e la sua personalità in virtù del dialogo con Meghnagi, con alcuni sopravvissuti, filmando l’incontro con il rabbino Di Segni avvenuto per strada visto il rifiuto di Wolf ad entrare nel Tempio di Roma. Due lavori molto accurati e differenti, che partono dalla figura di Murmelstein per offrire conclusioni o, almeno, suggestioni simili. Secondo Lanzmann, infatti, Benjamin Murmelstein ha accettato un ruolo odioso e terribile nella consapevolezza che solo così sarebbe riuscito a salvare comunque migliaia delle persone. Pur disponendo di un passaporto rilasciatogli proprio dalla Croce Rossa, l’uomo è rimasto fino all’ultimo al suo posto, scontando un anno di carcere in Cecoslovacchia e venendo assolto dal tribunale locale. Una serie di eventi che lo stesso decano di Terezin, chiamato beffardamente il ‘Re degli Ebrei’ per la sua conoscenza diretta di Eichmann ha ricordato nel libro di memorie Terezin, il ghetto modello di Eichmann. Claudio Giovannesi, invece, che proprio da questo testo muove le fila del discorso, si concentra per raccontare la figura paterna, guarda alla figura di Wolf con compassione e intelligenza, sublimando la sua personalità all’emblema di un figlio che desidera fortemente la riabilitazione del padre, arrivando ad auto emarginarsi e consacrando la propria esistenza alla memoria del proprio padre e ai traumi derivati dalla figura di un genitore per cui un intellettuale come Gershom Sholem aveva invocato l’impiccagione. L’ultimo degli ingiusti titolo ispirato da come lo stesso Benjamin Murmelstein si definiva e Wolf costituiscono due momenti di riflessione importante sulla Shoah ed entrambi i film guardano ai loro protagonisti come delle vittime: del proprio tempo per il padre, delle scelte del genitore per un figlio. Film da vedere con grande attenzione per comprenderne le posizioni intelligenti e scomode con cui non tutti, inevitabilmente, saranno d’accordo suscitando, forse, solo quello ‘scandalo’ sempre benvenuto quando ad offrirlo al pubblico è un cinema intelligente, onesto e consapevole della propria complessità. Marco Spagnoli FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 ferrovie che conducevano ai campi: nessun appello alla resistenza per azioni di sabotaggio, nessuna minaccia di rappresaglia contro le città tedesche se fosse continuato lo sterminio degli ebrei, nessuna minaccia personale a chi eseguiva gli ordini. Diversi combattenti ebrei del ghetto di Varsavia fuggiti attraverso le fognature per unirsi alla resistenza polacca, furono assassinati dai militanti dell’estrema destra polacca. Altri che si salvarono dovettero spesso tenere nascosta la loro vera identità agli altri combattenti. La tragedia oltrepassa le capacità d’immaginazione. Passarono anni dopo il mio incontro con Wolf Murmelstein. Poi un giorno, tre anni fa, nel corso di un colloquio con Luciano Sovena, allora amministratore delegato di Cinecittà Luce, proposi di realizzare un documentario che raccontasse la vicenda perso- 25 LIBRI Testastorta, il nuovo romanzo di Nava Semel Un racconto di fantasia per non dimenticare le storie vere di aiuto e salvezza I l nuovo libro della scrittrice israeliana Nava Semel è dedicato ai salvatori e al prezzo che spesso hanno dovuto pagare coloro i quali hanno salvato delle vite durante la Shoah. Testastorta si apre nella città natale dell'autrice, Tel Aviv. Durante una notte in ospedale, un'infermiera legge un racconto a un paziente in coma, cercando così di risvegliarlo. La storia trasporta poi il lettore in un piccolo villaggio del Piemonte durante l'occupazione nazista e segue le vicende di Tommaso, un trovatello che viene adottato da Maddalena, una giovane cantante lirica, e da sua madre. La vita del ragazzo, che crede di aver trovato una famiglia amorevole, viene però stravolta dalla presenza di una persona nascosta in soffitta e dal pericolo che questo segreto rappresenta per tutti gli abitanti della casa. L'idea del romanzo è nata otto anni fa quando Semel ha visitato per caso un piccolo borgo piemontese scoprendo, tra quegli idilliaci scenari alpini, che durante la guerra gli abitanti avevano nascosto degli ebrei. Il resto della storia è frutto della fantasia della scrittrice e di meticolosi studi sull'ebraismo italiano e sulla vita, gli usi e i costumi dei contadini piemontesi dell'epoca. Semel, nata nel 1954, è figlia di sopravvissuti alla Shoah e nelle sue opere tratta spesso i temi della memoria e del ruolo che ha la cosiddetta seconda generazione nel ricostruire e perpetuare il ricordo dei traumi vissuti dai propri genitori. Ha pubblicato diciassette opere tra romanzi, libri di poesie e sceneggiature. I suoi libri sono stati tradotti in dieci lingue, tra cui in italiano Il cappello di vetro ed E il topo rise. Testastorta esce per la prima volta in Europa nella traduzione in italiano di Sara Ferrari ed è pubblicato dall'Editore Belforte di Livorno. A. D. edasitalia.com FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 infoline>06.43251954 26 Prevew Spring-Summer ‘14 La Shoah raccontata al cinema e in televisione Uno studio raccoglie e descrive l’enorme filmografia italiana nata per raccontare cosa è stato lo sterminio degli ebrei È lodevole lo studio affrontato dalla rivista di studi Cinema e Storia su "La Shoah nel cinema italiano" a cura di Andrea Minuz e Guido Vitellio, uscito di recente. Suggerisce molteplici spunti sulle centinaia di produzioni riguardanti il genocidio nazista viste dal grande pubblico sullo schermo e in tv, che nell'ultimo ventennio hanno vissuto una stagione feconda di sceneggiature e audience. Offrendoci una risposta affermativa di come il cinema possa influire sulla cultura e la Memoria. Nella ricerca vengono passati in rassegna film e fiction sotto la lente d'ingrandimento di esperti e addetti del settore. Sono spiegate le dinamiche e le metafore che si celano dietro ai personaggi di film cult e fiction, con forte penetrazione nella cultura nazionale, come "Kapò", “L'oro di Roma", "Il giardino dei Finzi Contini", "Jona che visse nella balena", "La vita è bella", "Perlasca, un eroe italiano", "La Tregua", "Memoria", oltre a decine di produzioni che, oltre a svolgere un ruolo didattico, hanno conseguito un successo al di là di ogni previsione. Come è premesso dagli opinion makers, il cinema internazionale è ricorso al tema della Shoah come sfondo storico sul quale inserire una narrazione, come è avvenuto in gran parte dei casi, oppure come spunto per una ricostruzione storica o poetica dello sterminio nazista. E' talmente vasto, comunque, il materiale prodotto che oggi, secondo i cinefili, si può parlare di un genere individuale definito. Fa bene la ricerca degli autori ad individuare come il cinema italiano abbia intrapreso, con grosso ritardo rispetto ad altri Paesi, una strada coronata di successi per le sceneggiature e la libertà di espressione sul tema. Questo ritardo era dovuto, nel dopoguerra, alla forte presssione della politica, che esercitava un controllo dominante sulla cultura e sulle arti, soprattutto da parte cattolica e dalla sinistra. Si è trattato dello specchio di un Paese che ha tardato a fare i conti con il passato, manifestando un lento cammino verso quella espressione culturale artistica che richiede libertà di azione, scevra da pregiudizi e fantasmi del passato, che poi ha riscosso riconoscimenti internazionali importanti, quali l'Oscar per i film di De Sica e Begnini che vertevano sul tema della Shoah. Nel libro viene sottolineato che si è assistito a un punto di svolta in campo internazionale, con effetti ritardati in Italia, con quello che viene definito "uno spartiacque nella storia dell'influenza popolare nella memoria dell'Olocausto" dopo la visione, nel 1979, della produzione televisiva americana "Olocausto" che tenne incollati i telespettatori davanti al teleschermo in molti Paesi. Nelle pagine conclusive del testo, per integrare il tema della comunicazione multimediale sullo sterminio degli ebrei, vengono presentati capitoli interessanti sull'immagine della Shoah nella stampa italiana; e viene presentato un elenco dettagliato riepilogativo sulla filmografia italiana sulla Shoah dal dopoguerra ad oggi, che farà contenti gli appassionati sull' argomento. Jonatan Della Rocca “Mosè ci ha portato nell'unico posto senza petrolio!” è una raccolta di storielle ebraiche, selezionate da Angelo Pezzana e pubblicate dalla Bollati Boringhieri editore. L'autore non è nuovo a questo tipo di scritture, basta citare “Si fa... Per ridere – lo humor gay in 101 barzellette”, antologia di barzellette in cui le risate sono assicurate. “Mose ci ha portato nell'unico posto senza petrolio!” è uscito da pochi mesi nelle librerie ed è già andato a ruba per l'umorismo freudiano che percorre l'intera raccolta. Il tema centrale è il witz ebraico che, secondo Freud, “rappresenta anche il principio del piacere, che sa affermarsi contro le avversità delle circostanze reali”. E' proprio questo l'aspetto su cui ci si sofferma maggiormente: la persecuzione degli ebrei e l'odio verso Israele. Attraverso la lettura dei capitoli, si potrà notare quella punta di umorismo su argomenti caldi come il conflitto israelo-palestinese, ma anche problematiche “leggere” che possono verificarsi all'interno di ogni famiglia ebraica ortodossa. E' una lettura piacevole, fresca e leggera, consigliabile ad ogni tipo di lettore, soprattutto a quelli che vanno sempre di fretta. Grazie alle sue minute dimensioni e alla brevità che caratterizza ogni storiella, è uno di quei libri che si possono leggere ovunque, dedicandogli anche 5 minuti al giorno. Senza accorgervene, lo finirete in un batter d'occhio e l'unica amarezza sarà quella di averlo già concluso. Anche da libri di questo genere si può imparare qualcosa, io, ad esempio, ne ho tratto spunto per una piccola riflessione: “ci sarà sempre qualcuno che avrà da ridire sul sionimo e sull'ebraismo, tanto vale prenderla a ridere.” Una raccolta che consiglio a tutti voi, per farci due risate in allegria. Buona lettura! Miriam Spizzichino Non temere e non sperare Yehoshua Kenaz La Giuntina, p. 765 € 19 Yehoshua Kenaz anche questa volta non tradisce i suoi lettori nello stile asciutto e diretto, così come nella sua infinita capacità di scrutare l’animo umano, di metterlo a nudo per poterlo analizzare, per conoscerlo e potersi riconoscere in lui. Una narrazione profonda, che non tralascia nulla, sguardi, espressioni, accenti inusuali. All’indomani della fondazione dello Stato di Israele, un gruppo di giovani con lievi problemi fisici viene impiegato in un addestramento militare più leggero, ma che non risparmia loro fatiche, umiliazioni, sollecitazioni di ogni tipo. Questo li cambierà, tra contraddizioni e disillusioni, sogni e paure di un cuore giovane, impegno e speranze riposte per rendere reale un paese a partire dal suo popolo. Intenso e vero. Il popolo che disse no Bo Lidegaard Garzanti, p. 464 € 28 Nel periodo buio delle deportazioni brilla la luce di coloro i quali hanno messo a repentaglio la propria vita per proteggere e nascondere gli ebrei. Tra questi è doveroso ricordare il popolo danese che, nonostante l’occupazione nazista, prestò aiuto ai propri connazionali ebrei per evitare il rastrellamento. Su 7000 ebrei danesi, 6500 riuscirono a salvarsi raggiungendo la Svezia grazie a navi o a qualsiasi altro mezzo improvvisato. L’esodo è descritto minuziosamente per la prima volta da Bo Lidegaard, storico e giornalista danese, che racconta le due settimane, dal 26 settembre al 9 ottobre 1943, in cui un intero popolo ha compiuto il gesto più coraggioso e umano che ci sia: salvare i propri fratelli. Per non dimenticare. Il Requiem di Terezin Josef Bor Passigli Editori, p. 112 € 12,50 Josef Bor (1906 - 1979) noto giurista di nazionalità ceca e sopravvissuto allo sterminio nazista, in quest’opera racconta un commovente e significativo episodio accaduto nel lager di Terezin, il campo di concentramento riservato agli artisti e agli intellettuali europei, dove lui stesso fu internato nel 1942. Il protagonista è Rafael Schachter, pianista e compositore, il quale decide di eseguire il Requiem di Verdi nel lager: ai suoi occhi quel posto di sofferenza umana si trasformava esattamente nell’inferno dell’opera verdiana. Tra gli internati trovò dei grandi musicisti che formarono i solisti, il coro e l’orchestra. L’esecuzione ebbe luogo nel 1943 alla presenza di Himmler, l’ideatore della soluzione finale. Pochi giorni dopo vennero tutti deportati e Schachter morì ad Auschwitz. Toccante. Il piccolo burattinaio di Varsavia Eva Weaver Mondadori, p. 274 € 17 C’è un limite all’immaginazione? Guardare oltre il quotidiano, oltre se stessi, è un bene o un male? Vuol dire fuggire oppure affrontare la realtà con uno spirito impavido? Eva Weaver ci affida una vera e propria perla narrativa, nello stile e nel tocco delicato di questo racconto. Protagonisti Mika, dodici anni, ed un cappotto nero, eredità del nonno, che si rivelerà ben altro che una semplice protezione contro il gelo. Dalle sue infinite tasche si schiuderanno fantastici mondi di storie e avventure animate attraverso un piccolo coloratissimo teatro di burattini che Mika vi nasconde dentro. Ma quando la notizia del piccolo burattinaio del ghetto che allieta gli animi giunge ai tedeschi, egli stesso diventerà il protagonista di un’avventura, terrificante e salvifica al tempo stesso. Un romanzo che emoziona. A cura di Jacqueline Sermoneta FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 Pillole di ebraismo tra umorismo e dintorni, grazie al nuovo libro di Angelo Pezzana 27 STORIA O Oscar Moisé Fano, eroe della Grande Guerra FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 scar Moisé Fano (Milano, 27 febbraio 1864 – 31 luglio 1940), di Angelo e di Clementina Anan, iniziò la carriera presso il Collegio Militare di Firenze il 1° ottobre 1877 e successivamente nella Regia Accademia Militare di Artiglieria e Genio di Torino dal 30 settembre 1880. Nominato Sottotenente di Artiglieria il 19 luglio 1883 venne assegnato alla Scuola di Applicazione di Torino per il prosieguo degli studi. Promosso Tenente il 18 giugno 1885, nell’arco di quarant’anni assumerà responsabilità crescenti, giungendo pluridecorato nel 1926 al grado di Generale di Divisione. Il 24 agosto 1903 sposa la signorina Anna Coen Ara e partecipa alla Prima Guerra Mondiale; in qualità di Comandante dell’Artiglieria di un settore difensivo sulla fronte degli Altipiani è decorato di una Medaglia di Bronzo al Valore Militare perché “Comandante di artiglieria di un settore vivamente battuto dal nemico, costantemente operando con ricognizioni spinte fra le prime nostre linee, preparò azioni di artiglieria, che con l’efficace e tempestivo loro intervento contribuiranno a respingere attacchi nemici”. Poi in qualità di Comandante dell’Artiglieria del 27° Corpo d’Armata schierato a difesa del Piave, è decorato della Croce di Cavaliere 28 dell’Ordine Militare di Savoia con la seguente motivazione: “Comandante di artiglieria di un corpo d’armata, curò con illuminato criterio e con infaticabile zelo la preparazione delle batterie e le impegnò poi nella battaglia in modo impeccabile, dando un contributo decisivo alla vittoria delle nostre armi”. Successivamente al conflitto assumerà il comando dell’Artiglieria del Corpo d’Armata di Bologna e verrà collocato in congedo assoluto e discriminato il 1° gennaio 1939, ai sensi degli articoli 5 e 16 del RD Legge 22 dicembre 1938, n. 2111, in applicazione delle Leggi Razziali. Durante la carriera fu anche decorato con la Croce al Merito di Guerra, della Medaglia Commemorativa Nazionale della Guerra 1915 – 1918 con quattro anni di campagna (1915, 1916, 1917, 1918), della Medaglia Interalleata della Vittoria, della Medaglia a ricordo dell’Unità d’Italia senza il motto "Unità d'Italia 1848 - 1918", della Medaglia Militare d’Oro al merito di lungo comando di reparto, della Croce d’Oro sormontata da Corona Reale per anzianità di servizio, della Croce di Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia e della Croce di Ufficiale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. Col. Antonino Zarcone, Capo Ufficio Storico dell’Esercito Arnoldo Foà, un ebreo laico che fu la voce di Dio Nella versione italiana fu il doppiatore del colossal ‘La Bibbia’ di John Huston A rnoldo Foà amava definirsi semplicemente un pensatore. Ferrarese di famiglia ebraica, si professava ateo e la sua vera ‘fede’ fu la passione per il teatro che si manifestò prestissimo e lo spinse ad abbandonare gli studi di economia e a trasferirsi a Roma dove frequentò il Centro Sperimentale di Cinematografia. Nel '38 però, a seguito della promulgazione delle Leggi razziali fasciste, Foà dovette lasciare il Centro e fu costretto a usare nomi fittizi per riuscire a lavorare. Il più celebre fu Puccio Gamma, con il quale si trovò spesso a sostituire atto- ri malati in prestigiose compagnie teatrali. Lavorò con attori del calibro di Gino Cervi, Rina Morelli e Paolo Stoppa fino a quando, nel 1943, si rifugiò a Napoli e divennne capo annunciatore della Radio Alleata. E fu lui - ebreo miracolasamente scampato alle deportazioni - a dare via radio la comunicazione dell'armistizio dell'8 settembre 1943. Alla fine della guerra si unì a importanti compagnie teatrali e iniziò una carriera teatrale intensa e ricca di riconoscimenti, interpretando sia autori classici che contemporanei, e lavorando con registi celebri quali Luchino Visconti, Luigi Squarzina, Luca Ronconi e Giorgio Strehler. Il suo impegno si allargò anche all’attività di regista, di attore televisivo e cinematografico e, grazie ad un timbro vocale particolare, Foà fu il doppiatore di Anthony Quinn, Kirk Douglas, John Wayne, Peter Ustinov, Toshiro Mifune e tanti altri. Fu proprio la sua voce, inconfondibile, ad essere identificata con la 'voce di Dio', che doppiò nel colossal 'La Bibbia' di John Huston. Gli ebrei che hanno fatto storia Ada Ascarelli Sereni Come un nuovo Mosè ricondusse gli ebrei nella Terra di Israele riconquistata come la matriarca araba), verso l'inizio degli anni ‘30, il clima si fece sempre più duro e teso. Dopo altri anni trascorsi nel kibbutz, Enzo Sereni si occupò di organizzare le alyot dalla Germania e dagli Stati Uniti, al suo fianco l'impavida Ada che con energica passione si prodigò per formare i giovani pionieri del nascente Stato ebraico. Enzo Sereni, con l'inizio della Seconda Guerra mondiale e la sempre più critica condizione degli ebrei europei, decise di arruolarsi nella British Army, impegnandosi a disseminare propaganda anti-nazista e ad aiutare, segretamente, l'emigrazione ebraica in Palestina. Il 15 maggio del 1944, Enzo Sereni decise di partire per l'Italia in una missione eroica paracadutandosi nel nord della penisola (sotto il falso nome di Samuel Barda). Catturato immediatamente dai nazisti presso Maggiano di Lucca, prima torturato e poi trasferito in vari campi di prigionia, il 5 ottobre fu deportato a Dachau, dove fu brutalmente ucciso. Tutto ciò all'insaputa di sua moglie Ada che lasciò il kibbutz per giungere in Italia alla ricerca disperata di suo marito e scoprendo così la triste verità. Durante il periodo in Italia Ada entrò in contatto con il movimento segreto d’immigrazione clandestina Aliyah Bet, legato all'Agenzia ebraica e impegnato nel trasferimento in Palestina degli ebrei europei sopravvissuti all'Olocausto. Assistendo, con insofferenza, al disagio e alla disperazione degli ebrei europei, risultato delle passate leggi razziali, delle vessazioni e dei campi di concentramento da poco liberati, Ada Sereni si fece carico di ben trentatré spedizioni clandestine per trasferire segretamente gli ebrei in Palestina. Lei stessa descrisse nel suo libro, I clandestini del Mare, i disagi e le peripezie vissute durante questi "viaggi per la libertà". Viaggi che avvenivano in nave, con passeggeri che il più delle volte lasciavano l'Europa con un numero sul braccio. Questi viaggi erano assai pericolosi e pieni d'imprevisti; inoltre, dovevano avvenire in estremo segreto in virtù del blocco inglese all'emigrazione ebraica in Palestina, blocco che smentiva le promesse passate della Dichiarazione Balfour e che aveva lo scopo di non alterare gli equilibri ed interessi strategici dell'Impero inglese con il mondo arabo. Rappresentativo il caso della nave Exodus, che a differenza del celebre film con Paul Newman, fu respinta due volte e rispedita in Europa con tutti i suoi 4.500 profughi! Ada Sereni continuò a guidare le emigrazioni ebraiche fino alla notte del 14 maggio 1948, anno in cui partì da Formia l'ultima nave che approdò in una terra presto dichiarata israeliana. Ada riuscì a portare ventotto mila ebrei in Eretz Israel. Terminate le missioni segrete Ada riabbracciò i propri figli nel kibbutz; tornò a vivere per un periodo a Roma (1954-1967) e nel 1964 il primo ministro israeliano Levi Eshkol, le conferì una medaglia per il suo contributo al salvataggio dei superstiti della Shoa. Nel 1995 fu insignita dell'Israel Prize, il premio più prestigioso dello Stato ebraico. In onore di Enzo Sereni, è stato dedicato il kibbutz Netzer Sereni e sul Monte Herzl c'è un’insegna in suo ricordo. Ada Sereni morì nel 1997 a Gerusalemme, circondata dall'amore della sua famiglia e nello Stato che con tanta fatica e coraggio contribuì a costruire. Angelo M. Di Nepi Via dei Volsci,165 - 00185 ROMA 06.4462024 (lab.) - 06.93548963 (abit.) cell. 349.7710957 FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 L a storia di Ada Sereni è una storia fatta di amore, sacrificio e coraggio; è l'avventura di una donna che ha dedicato la sua intera esistenza alla realizzazione del sogno sionista. Ada Sereni condusse, tra il 1945 e il 1948, numerose missioni per far giungere segretamente gli ebrei in Palestina eludendo così il blocco imposto dagli inglesi. Grazie alla sua caparbietà e al suo viscerale amore per il popolo ebraico, questa donna guidò, come un Mosè, circa 28 mila ebrei nella Terra Promessa. Ada Ascarelli Sereni nacque a Roma il 20 giugno 1905 da un'importante famiglia di commercianti; cresciuta in un ambiente colto e raffinato, ricevette un'educazione laica ma fortemente attaccata all'identità ebraica. L'incontro con il suo futuro marito, Enzo Sereni, la avvicinerà agli ideali sionisti. I due si conobbero giovanissimi, vicini di casa e compagni di scuola presso il liceo Mamiani, s'innamorarono e svilupparono insieme l'idea di trasferirsi nel futuro Stato ebraico. Nel 1927, con una bimba nata da poco e il parere contrario dei genitori, Ada ed Enzo lasciarono Roma e le sue agiatezze per inseguire un sogno più grande: vivere in Eretz Israel. Abbandonato il paese natìo, la giovane coppia si trasferì nella cittadina di Rehovot; dopo un iniziale momento di difficoltà dovuto al tempo necessario per adattarsi ad una vita completamente diversa; la coppia Sereni decise di fondare, nel 1928, insieme ad altre famiglie originarie dell'Europa dell'Est, il kibbutz Givat Brenner, tutt'ora uno dei più grandi kibbutz d'Israele. In questo nuovo mondo, fatto d’idealismo socialista e tanta buona volontà, Ada ricoprì il ruolo di direttrice della fabbrica Rimon di succhi e conserve; se all'origine i rapporti con i vicini arabi erano cordiali e pacifici (tanto che la stessa Ada chiamò la sua seconda figlia Hagar, 29 ROMA EBRAICA Quel pasticciaccio brutto di via Balbo C FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 ome si puó amare una persona? Fondamentalmente in due modi. C’è l’amore che supera ogni difetto, che sa anzi trasformare le imperfezioni in bellezza, che cancella le incomprensioni trasformandole in armonia. E c’è, al contrario, un amore che pretende che il partner sia migliore, che in nome di un legame indissolubile non accetta in silenzio gli errori ma cerca un confronto in un dialogo serrato. Da un lato un amore rispettoso che condivide tutto, dall’altro un amore puntiglioso che non ne fa passare nemmeno una. Questo in fondo è l’atteggiamento che divide in due gli ebrei italiani nei confronti della politica, delle azioni e delle scelte che compie lo Stato di Israele: di chi ama Israele con il cuore senza se e senza ma; e di chi ama Israele con la mente ma con i dubbi e le paure; di chi pensa che Israele debba essere una fortezza perché circondato da nemici; e di chi pensa che Israele debba essere un ponte, aperto al confronto. Unica condizione perché questi due modi così diversi e antitetici possano convivere all’interno del mondo ebraico è che l’amore verso Israele sia sincero, non insegua interessi personali, non rincorra tribune o cerchi pubblicità. Se si rispetta questa condizione, le differenze di opinioni, i litigi, una dura vis polemica possono, se gestite bene, far crescere la nostra comunità, a patto però che le contrapposizioni, le asprezze – a volte persino le parole uscite senza controllo – siano parte di una dinamica tutta e solamente interna alla vita comunitaria. Come esattamente avviene nelle famiglie dove nella quasi totalità dei casi, i litigi nascono, evolvono e muoiono 30 G senza lasciare ferite insanate. Questa comprensione dell’altro è oggettivamente mancata nella serata di via Balbo, nata per presentare – ad un pubblico ebraico e non ebraico - un libro (Sinistra e Israele) di un autore (Fabio Nicolucci) molto amico dello stato ebraico, ma percepita come una provocazione per la presenza in ambito comunitario di persone notoriamente critiche di Israele e in un caso sostenitrici della causa palestinese. Non è mia intenzione ricostruire, i precedenti, le cause e le polemiche (conosciute ormai da tutti) che hanno preceduto e accompagnato la serata, che è stata nervosa, disordinata, molto tesa, esattamente come sono nervose, disordinate e tese le contestazioni, da qualsiasi area politica o sociale esse provengano. Perché esattamente di questo si è trattato a via Balbo, di una contestazione – non giudico se fatta bene o fatta male, se a ragione o a torto – non ad un libro ma ad alcune idee che si temeva venissero espresse. E’ scandaloso tutto ciò? E’ stata violata la democrazia? La critica che si trasforma in menzogna, può essere accettata? Bisogna reagire alle provocazioni? Cosa distingue una contestazione lecita da una illecita? Ognuno è libero di dare le risposte che vuole, e di dare un giudizio complessivo su una vicenda che non avrebbe minimamante meritato l’onore della cronaca e che invece – aumentandone la risonanza – è finita strumentalmente sulle pagine dei quotidiani. Due considerazioni mi sento però di fare. Innazitutto il rifiuto della violenza. E qui bisogna dirlo con chiarezza: anche per merito di alcuni degli stessi contestatori, vi è stato un contenimento di ogni possibile eccesso fisico. Quindi dura contestazione anche minacciosa, ma senza violenza. La seconda è che non bisogna trarre la facile conclusione che il dialogo si sia rotto (tanto è vero che il Consiglio della Cer ha eleborato un documento unitario), ma soprattutto sono da rigettare con durezza le parole espresse da Gad Lerner e Moni Ovadia – che nemmeno appartengono alla comunità ebraica romana – che hanno invitato alla dissociazione, a dare vita ad una nuova comunità che raccoglierebbe l’anima ‘progressista’, ‘pluralista’, e ‘tollerante’ dell’ebraismo, separandosi – evidentemente per senso contrario – dagli oscurantisti, conservatori e intolleranti. Moni Ovadia si è spinto ben oltre: ha accusato gli ebrei romani di essere dei fascisti, quella stessa accusa formulata da alcuni nella sala di via Balbo contro i contestatari e che aveva mandato in escandescenze persone che hanno avuto parenti deportati ed uccisi alle fosse Ardeatine. Questo invito alla secessione espresso da Lerner e da Ovadia tradisce la loro formazione culturale: la comunità non è un partito dove ci sono le correnti e dove chi è messo in minoranza può uscire, sbattere la porta, portandosi via un pezzetto di potere, formando un nuovo movimento. Peccato che i vertici dell’ebraismo italiano non abbiano sentito la necessità di smentire pubblicamente l’invito alla separazione dando quindi la sensazione, con il loro silenzio, di condividerlo. All’interno della comunità devono invece convivere idee diverse, anche opposte e la demonizzazione dell’altro, etichettandolo quale ebreo fascista o al contrario ebreo antisemita, non ha senso e non ha logica. Giacomo Kahn COMUNICAZIONE UFFICIALE DEL CONSIGLIO STRAORDINARIO CER iovedì 23 Gennaio 2014 (22 Shevat 5774), il Consiglio Straordinario della Comunità Ebraica di Roma, con i presenti:Dora Piperno, Emanuele Pace, Massimo Bassan, Ruth Dureghello, Claudio Moscati, Ruben Della Rocca, Massimo Misano, Angelo Sed, Riccardo Pacifici, Eugenio Calò, Antonio Spizzichino, Gianni Ascarelli, Joseph Di Porto, Alberto Piazza, Marco Sed (avv), Robert Sassun, Raffaele Sassun, Livia Ottolenghi, Giacomo Moscati, Victor Magiar, Serena Terracina, Bruno Anav ha deliberato all’unanimità il seguente documento. Il Consiglio della Comunità Ebraica di Roma (CER) riunitosi in seduta straordinaria a seguito degli eventi verificatisi il 14 gennaio, preso atto del monito ricevuto da Rav Di Segni durante la sua lezione dello scorso 22 gennaio e raccolto il suo invito ad un’attenta riflessione sul tema, delibera quanto segue: PREMESSO che la CER è luogo nel quale ogni iscritto può e deve esprimere liberamente le proprie opinioni e che il confronto democratico, anche serrato, è indice di pluralismo di idee, vitalità e ricchezza irrinunciabili. CONDANNA fermamente ogni tipo d’intimidazione e di violenza verbale, fisica o psicologica, alla quale la riunione del 14 gennaio ha dato luogo e l’uso degli insulti di “fascista” ed “antisemita” indirizzati contro qualunque ebreo. CONDANNA altresì l’uso dell’aggressione fisica, denunciata da alcuni presenti, ed esprime la propria solidarietà a tutti coloro che ne sono stati vittime. Sette domande per comprendere che si è superato il limite La lezione di rav Riccardo Di Segni dopo le polemiche che hanno preceduto, accompagnato e seguito i fatti di via Balbo kerem interdizione permanente, per i quali esistono diversi comportamenti da tenere nei confronti del reo. Ma più che l’aspetto giudiziale, ha spiegato rav Di Segni, ciò che la Torà insegna è che non bisogna odiare il fratello ‘in cuor tuo’, ma lo si deve ammonire con dolcezza, tanto che chi svergogna un ebreo in pubblico non ha parte nel mondo a venire. Se la persona che si è comportata male chiede perdono, va perdonato. Da tutto ciò si comprende il significato di una celebre massima dei Padri (Pirké avot) che insegna che sopravvivono solo le divergenze non animate da interessi personali (leshem shammaim), tutte le altre il tempo le cancellerà. Infine rav Di segni ha lanciato un invito alla riflessione ponendo sette domande, le cui risposte ognuno dovrà trovare in se stesso, nella consapevolezza che nella polemica di via Balbo si è superato il lecito. 1. La durezza delle nostre posizioni nei confronti di Israele, in qualsiasi senso, nasce da una scelta libera e cosciente, o è il sostituto psicologico di problemi personali non risolti? 2. Le nostre posizioni su Israele nascono da scelte personali o si conformano a idee di gruppo accettate più o meno acriticamente? 3. Il nostro attivismo politico su Israele è motivato dalla passione o c’è anche qualche ambizione di carriera, di posizione sociale e di lavoro? Siamo capaci di non sfruttare a nostro vantaggio i benefici derivanti da un’esposizione pubblica come ebrei e di distinguere l’impegno ebraico dalla nostra vita privata o pubbli- ca di lavoro o politica non ebraica? 4. Quando attacchiamo altri ebrei in nome di Israele, abbiamo verificato la nostra personale coerenza ebraica? Abbiamo costruito una famiglia ebraica, educato ebraicamente, fatto Tzedaqà, rispettato le regole basilari? Cosa abbiamo fatto e facciamo per il futuro fisico e spirituale del popolo ebraico? 5. Quando prendiamo posizione da qui nei confronti di Israele ne abbiamo valutato le conseguenze, ci siamo fatti carico delle responsabilità, calcolato cosa rischiamo noi qui e cosa rischiano in Israele? Quando è stata l’ultima volta che siamo saliti su un autobus in Israele? 6. Quando attacchiamo chi non la pensa come noi lo facciamo in nome dei principi o ci mettiamo dentro anche vecchi astii famigliari, sociali, invidia, desiderio di potere politico a tutti i livelli, dalla strada ai consigli comunitari, alle presidenze, ai rapporti con le autorità? 7. Quando attacchiamo qualcuno in nome del bene di Israele abbiamo ben chiaro il concetto e la Mitzvah di Ahavat Israel, del rispetto che si deve ad ogni fratello/sorella anche se lo consideriamo deviante, ne abbiamo considerato la sua storia personale? Il nostro desiderio è quello di convincere uno che sbaglia o si vuole soltanto reprimere un dissenso? G.K. MANIFESTA DISAGIO per la campagna mediatica, aggressiva e strumentale che, a partire dalla grave insinuazione rivolta al Presidente dal Blog di Gad Lerner è stata messa in atto contro i vertici della nostra Comunità. Parimenti, esprime preoccupazione per le esternazioni comparse sui social network, non consone all’haavat Israel. ESPRIME la propria vicinanza agli oratori presenti ma ritiene che uno di essi abbia riportato informazioni evidentemente false. RINNOVA La sua gratitudine ai volontari della Sicurezza che, con la loro vigile presenza sono stati in grado di arginare le contrapposizioni che si sono prodotte, e a tutti i consiglieri della Cer e dell’Ucei, presenti in quell’occasione, che si sono adoperati per smorzare i toni. SI IMPEGNA a promuovere tutte quelle iniziative che, nel pieno rispetto delle diverse sensibilità, possano favorire e sviluppare un dibattito democratico a sostegno della sicurezza dello Stato d’Israele. DEPLORA Che gli organizzatori dell’evento non abbiano mostrato la dovuta attenzione alle varie sensibilita della Comunità ebraica romana, anche nell’apertura a persone la cui ostilità verso il mondo ebraico è ben nota. FA APPELLO a tutti gli iscritti affinché mantengano quello spirito di unità e fratellanza che da sempre distingue la storia bimillenaria della nostra Comunità secondo il dettame Alachico. E IMPEGNA tutte le strutture comunitarie a lavorare per migliorare il clima di convivenza e di reciproco rispetto. Il Consiglio s’impegna infine a sostenere con forza ogni iniziativa, proposta sia da singoli che da associazioni, volta a contrastare, nello spazio pubblico come nel web, la criminalizzazione dello Stato d’Israele e ogni forma di antisionismo. FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 L o stesso luogo che ha visto l’accesa contestazione; lo stesso luogo che è stata sede di una polemica che poteva spaccare la comunità (e ciò non è avvenuto per la successiva moderazione di tutti), è stato pochi giorni dopo il luogo di incontro – molto affollato – in cui il rabbino capo rav Di Segni ha tenuto una lezione sulla libertà di poter esprimere liberamente le opinioni e sui limiti a tale libertà, nell’ambito della giurisdizione ebraica. Troppe accuse, troppe parole pesanti erano state espresse, con la certezza che a sbagliare fossero sempre gli altri, di conseguenza – ha sottolineato rav Di Segni - la necessità di una riflessione basandosi sulle fonti per comprendere i significati ed eventualmente i limiti dello stare insieme, definendo a chi spetta decidere se i limiti sono superati e come comportarsi con le persone che eccedono questi limiti. Che gli ebrei siano spesso in polemica gli uni con gli altri, ha spiegato il rav, non è una novità. Citando diverse fonti rav Di segni ha spiegato che coloro che vanno allontanati sono sostanzialmente i ‘minim’ (traditori, rinnegati), coloro cioè che apertamente, manifestamente, in pubblico negano la Torà, non credono nella resurrezione dei morti, non credono alle parole dei Maestri, e si distaccano quindi dal pubblico. Si superano i limiti della libera espressione quando si calunnia, si svergogna il prossimo, anche attribuendo un nomignolo cattivo. Come comportarsi con queste persone? Esistono tre tipi di pene che il tribunale rabbinico può comminare: il rimprovero o biasimo, una interdizione provvisoria e il 31 ROMA EBRAICA Foto di G. Spizzichino Il Ministro degli Interni Alfano ha incontrato il rabbino capo Di Segni Nella visita alla comunità ebraica di Roma ha ribadito il suo “forte sostegno” S icurezza, crisi economica e lotta al negazionismo: questi i temi trattati durante l’incontro, dello scorso gennaio, tra il ministro degli Interni Angelino Alfano ed il Rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni. Nessuna richiesta particolare al Governo, “solo un colloquio semplice e cordiale”, ha precisato il rabbino Di Segni, in una visita durata un’ora, non solo istituzionale, ma anche culturale: la Comunità ebraica ha infatti accompagnato Alfano in un percorso tra le stanze del Museo ebraico e all’interno del Tempio Maggiore. Rav Di Segni ha sottolineato che “la visita del ministro è stata accolta con grande simpatia. Alfano è da tempo amico della nostra Comunità, fin da quando, da ministro della Giustizia, si è occupato dei problemi relativi alla complessa questione del negazionismo”. Secondo Di Segni, il nostro Paese rappresenta, inoltre, un “caso unico che fa scuola in Europa per la collaborazione tra le forze di polizia e le comunità ebraiche d’Italia”, per questo ha aggiunto che “nella sua funzione di ministro degli Interni, abbiamo rinnovato l’espressione della nostra gratitudine ad Alfano per quanto le forze dell’ordine fanno al fine di tutelare le nostre istituzioni, le nostre scuole in tutta Italia, per la vigilanza che c’è e per l’attenzione politica complessiva, non esclusiva, verso i fenomeni di intolleranza e di antisemitismo”. In questo senso, Alfano ha “ribadito il forte sostegno che il nostro Paese, le forze politiche e, nel caso di specie, il mio movimento politico hanno nei confronti della Comunità ebraica. Io sono molto contento del fatto che da parte del Rabbino capo sia venuto un significativo riconoscimento di come le forze dell’ordine abbiano sempre rispettato e tutelato la comunità, anche rispetto ai rischi che possono arrivare da rigurgiti di antisemitismo i quali, fortunatamente - ha concluso - vengono immediatamente rigettati dalla grandissima parte dell’opinione pubblica e del mondo politico italiano”. A cura del Progetto Dreyfus una serata in ricordo di Ariel Sharon S erata in onore di Ariel Sharon, lo scorso gennaio, nella sala del Jewish Community Center di via Cesare Balbo. L'ex premier israeliano - figura simbolica che ha suscitato, e continua a suscitare nell’oponione pubblica sentimenti contrastanti - è stato ricordato da tutti come ‘un gigante nella storia moderna di Israele’. Il dibattito - moderato dal giornalista Mario Sechi - ha visto la partecipazione dell'ex ambasciatore di attaccata alla terra, caratterizzata soprattutto dalla devozione per il popolo ebraico». Arbib ha raccontato un suo ricordo di Sharon, una frase da lui pronunciata: “Fai oggi e non rimandare a domani”. Ma la serata è stata l'occasione anche per affrontare il tema del processo di pace Israele-Palestina e non solo. «Siamo sempre accusati di non fare abbastanza per la pace - ha sostenuto ad esempio Pazner – e invece noi facciamo tutto per la pace». La serata è stata organizzata da Progetto Dreyfus, movimento della Rete, nato per contrastare l'antisemitismo sul web ma anche per promuovere occasioni di dibattitto come questo. LA TOP TEN DELLA LIBRERIA FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 Foto di A. Nacamulli KIRYAT SEFER 32 Israele in Italia Avi Pazner, per anni a fianco di Sharon come portavoce quando era al governo; dell'ambasciatore di Israele in Italia Naor Gilon; del presidente della comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici; del presidente mondiale del Consiglio del Keren Hayesod Johanna Arbib; e dallo scrittore Fabio Nicolucci; e poi in collegamento da Israele i giornalisti Maurizio Molinari e Menachem Gantz. «Sharon – ha spiegato Pazner - era l'uomo del destino di Israele. Lo è stato negli anni '50, poi negli anni '70, infine negli anni Duemila con la sua decisione unilaterale di lasciare Gaza». «Ricordiamo – ha spiegato Pacifici - la figura molto controversa almeno da un punto di vista mediatico, di un militare e al contempo di un uomo di pace. Probabilmente senza l'energia di Ariel Sharon, senza il suo coraggio e in alcuni casi anche senza la sua disobbedienza oggi non ci sarebbe più lo Stato di Israele». «Un ebreo - ha ricordato invece Johanna Arbib - una persona 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LA SCALA DELLA MORTE di G. Di Veroli,ed. Marlin PER QUESTO HO VISSUTO di S. Modiano, ed. Rizzoli ISRAELE. TERRA, RITORNO, ANARCHIA di D. Di Cesare, ed. Bollati Boringhieri I VICINI SCOMODI di R. Matatia, ed. Giuntina RINASCIMENTO EBRAICO di M. Buber, ed. Mondadori KOLONIMUS SHAPIRO di C.Chalier, ed. Giuntina IL FALSO PROFETA diF. Kellermann, ed. Cooper VOLEVO SOLO AVERTI ACCANTO di R.H. Balson, ed. Garzanti L’AQUILA E LA FARFALLA di M. Molinari, ed. Rizzoli IL COCCIARO DEL PAPA di D. Limentani, ed. Giubilei Regnani Foto di S. Meloni Tu Bishvat, tra rispetto per la natura e solidarietà sociale A cura dell’Associazione “Beautiful Israel” piantati alberi nel giardino antistante il Ministero dell’Istruzione G “Inizialmente non veniva considerata una festa tanto gioiosa – ha spiegato il Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni - in quanto era una data prettamente fiscale, in cui dovevano essere consegnate le decime”. Oggi, questa festività ha regalato un’impronta positiva, nel gesto di piantare un albero proprio al centro di una delle città più grandi d’Europa. “Il legame del popolo Ebraico con la natura è sempre stato più forte di ogni altro – prosegue l’Ambasciatore d’Israele in Italia Naor Ghilon – l’antica usanza di piantare gli alberi non è stata dimenticata in Israele, l’unico paese del mondo in cui il numero degli alberi piantati supera quello degli alberi abbattuti”. L’Ambasciatore ha colto l’occasione per ricordare la straordinaria figura di Ariel Sharon; una figura amata e temuta, ma che ha sempre lottato per la terra d’Israele sia da soldato sia da politico, e che da vero ebreo mantenne tutta la vita uno stretto legame con la natura. E’ intervenuto anche il Sindaco di Roma, Ignazio Marino, dichiarando tutto il suo interesse per il legame tra la Capitale e l’ambiente, e invitando i giovani a dimostrare il loro amore per Roma anche attraverso piccoli gesti, primo su tutti il rispetto verso la natura. A Maria Chiara Carrozza, Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, è stato lasciato l’ultimo intervento, nel quale ha ribadito l’importanza della cultura e dello studio della storia, riprendendo il discorso del Sindaco sul centenario della prima guerra mondiale. L’incontro si è concluso nel miglior modo possibile, con le gioiose immagini di bambini, ragazzi ed insegnanti che tutti insieme hanno piantato un albero al centro del giardino. Rebecca Mieli Un ippocastano dedicato ad Ariel Sharon I Piantato a cura del KKL nel parco “Yitzhak Rabin” di Villa Ada n occasione di Tu Bishvat, il capodanno degli alberi nella tradizione ebraica, l’Ambasciata di Israele in Italia in collaborazione con il Keren Kayemet Leisrael Italia Onlus ha organizzato la cerimonia di piantumazione di un ippocastano nel “Parco Yitzhak Rabin”, all’interno di Villa Ada. Alla Cerimonia, svoltasi il 17 Gennaio, oltre all’Ambasciatore Naor Ghilon, erano presenti anche il Presidente del KKL Raffaele Sasson, il Presidente della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Pacifici, Il Rabbino Capo di Roma Riccardo Di Segni, il Vicepresidente del secondo municipio Emanuele Gisci, Rafi Ovadia, Direttore del KKL in Italia, e l’Assessore alla Cultura, creatività e promozione artistica Flavia Barca. La cerimonia, animata come sempre dalla commovente partecipazione dei bambini della Scuola Ebraica di Roma, si è aperta con le parole di Raffaele Sasson che ha accennato alle attività della prima grande organizzazione ambientale israeliana. Il Keren Kayemet Leisrael vanta il merito di avere, attraverso le migliaia di volontari, piantato più di duecentocinquanta milioni di alberi nel corso della sua storia. Ad Ariel Sharon è dedicato il “neonato” albero, in quanto grande amante di Israele, della sua natura e al tempo stesso uomo di pace. Impossibile non affiancare la figura del l’ex leader Israeliano recentemente scomparso a quella di un altro leader Israeliano, a cui è dedicato l’intero piazzale in cui si è svolta la cerimonia: Yitzhak Rabin, ricordato come una figura amica dall’Ambasciatore d’Israele in Italia Naor Ghilon. “Dimostrare il nostro amore per la terra attraverso iniziative di questo tipo è meraviglioso - ha spiegato ai bambini il Presidente Riccardo Pacifici ma altrettanto meraviglioso sarebbe poter continuare su questo percorso insieme ad altri bambini della città”. E’ intervenuto anche il Rabbino Capo Riccardo Di Segni, che ha ricordato ancora una volta quanto le radici ebraiche siano correlate con la natura e con le piante, tanto che nella Torah è espresso il divieto di abbattere gli alberi da frutto. R.M. FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 iovedì 16 Gennaio, in occasione della festa Ebraica di “Tu Bishvat” o, se si preferisce “Rosh Hashana Lailanot”, si sono riuniti alunni ed insegnanti delle scuole Ebraiche Romane e della scuola “Regina Margherita” nella manifestazione tenutasi nei giardini adiacenti al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. L’evento è stato organizzato dall’associazione “Beautiful Israel” - presieduta da Dario Coen - con il patrocinio di “Roma Capitale” e dell’Ambasciata d’Israele in Italia, e la collaborazione dell’azienda “Smemoranda” di Nico Colonna. 33 Foto di G. Spizzichino ROMA EBRAICA Il ministro Kyenge in sinagoga per ascoltare i sopravvvissuti alla Shoah I nizio particolare, e anticipato, delle cerimonie per il 27 gennaio, Giorno della Memoria: nella Sinagoga maggiore i sopravvissuti all'Olocausto, alla presenza del ministro per l'Integrazione Cecile Kyenge, hanno testimonaito le tragedie della Shoà. Il ministro, tra l'altro, era accompagnata da un ragazzo romano di origine egiziana, Sidahmed,. “Quella di oggi è una giornata importante, dedicata all'ascolto dice il ministro al termine della cerimonia al tempio -. Ascolto dei sopravvissuti, per non dimenticare: la memoria non è un'astrazione, ci deve accompagnare sempre”. Un ascolto che ha avuto anche una parentesi di cronaca politica: uno dei sopravvissuti, Alberto Sed (79 anni), di sua iniziativa si è avvicinato al ministro e le ha consigliato di “rispondere sempre agli attacchi dei leghisti”, aggiungendo “nel caso mi chiami pure e io verrò. Gli immigrati sono una ricchezza, e noi li vogliamo”. Le cerimonie, sottolinea il presidente della comunità romana, Riccardo Pacifici, sono iniziate prima rispetto al solito “per riguardo ai sopravvissuti, che dovranno affrontare nei prossimi giorni un lavoro intenso: sono chiamati in ogni angolo d'Italia a raccontare, e mi scuso fin da ora se non riusciremo ad accontentare tutti. Mai come in questo momento è necessario ascoltare i drammi del passato - ha sottolineato - anche per capire quelli del presente. Quelli del passato sono stati causati dall'indifferenza, e all'indifferenza dobbiamo opporre la mobilitazione”. “E' un regalo molto particolare quello che mi ha fatto il ministro chiosa infine Sidahmed -. Mi sono sempre ritrovato nel pensiero del ministro: dobbiamo raggiungere una società in cui siamo tutti uguali e la diversità è una ricchezza. Questa giornata sarà una spinta per quella che ritengo la mia lotta”. Particolarmente soddisfatto, infine, Pacifici, che vede “un segnale importante aver accolto oggi un ragazzo di origine egiziana” al Tempio; “questo ha concluso, invitando il ragazzo a tornare quando vuole - è il modello di società che vogliamo”. Nella foto il Ministro con da sinistra i sopravvissuti Piero Terracina e Alberto Sed. “Perché raccontiamo?” Gli ex deportati nei campi di sterminio incontrano i ragazzi delle scuole di Roma FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 “L 34 a nostra voce, e quelle dei nostri figli, devono servire a non dimenticare e a non accettare con indifferenza e rassegnazione, le rinnovate stragi di innocenti. […] I giovani liberi devono sapere, dobbiamo aiutarli a capire che tutto ciò che è stato storia, è la storia oggi, si sta paurosamente ripetendo.” (Elisa Springer, Il Silenzio dei Vivi) Dopo la liberazione per i sopravvissuti non è stato facile tornare alla loro vita di tutti i giorni; non avevano più una famiglia, avevano perso gli amici, il loro passato era ridotto in cenere. E oltre al danno la beffa, i loro racconti erano considerati folli: “Come hai fatto tu a salvarti?”; “Perché tu e non altri?”. Non credevano loro: davanti all’ignoranza delle persone che non avevano conosciuto gli orrori di Auschwitz, l’unica soluzione sembrava il silenzio. Perché oggi hanno deciso di tornare a raccontare? Cosa ha spinto i sopravvissuti a rompere quel silenzio e a condividere la loro testimonianza con la generazione successiva? Gli studenti delle scuole di Roma che hanno preso parte al Viaggio della memoria si sono interrogati a lungo a riguardo, e il 23 gennaio 2014 le loro domande hanno trovato risposta al Tempio Maggiore in un incontro con i sopravvissuti. È Marcello Pezzetti a fare da moderatore e a chiedere agli ex deportati perché hanno deciso di raccontare la loro storia. Sami Modiano: “Quando sono tornato mi hanno chiesto di raccontare, ma per me era troppo dura e mi sono chiuso in me stesso. Poi però grazie al mio amico Piero Terracina ho capito che i ragazzi dovevano sapere, allora mi sono fatto forza e ho iniziato a parlare”. Altrettanto dura è stata per Alberto Sed che durante la prigionia lavorava sulla rampa di Birkenau ed era costretto ad assistere alle violenze delle SS sui nuovi arrivati, così per Rosa Hallel e Donato DiVeroli . Dopo il suo ritorno Piero Terracina ha tentato di raccontare l’inferno ai suoi vecchi amici, ma per loro la sofferenza e la fame di Auschwitz non erano credibili: “Dicevano di essere loro ad aver sofferto la guerra. Come potevo descrivere loro il dolore e i nostri corpi ridotti in scheletri?” dice Piero. “Quando mi sono reso conto che nessuno credeva a quanto fosse successo ho capito di dover raccontare: prima partecipai ad un convegno dove non parlai molto, poi ho iniziato ad andare nelle scuole.” Zio Pucchio ha preferito tacere perché sapeva che lo avrebbero considerato pazzo: dopo l’arresto, la tortura della Gestapo, la fame e tutto quello che aveva passato non è mai più voluto tornare ad Auschwitz nonostante i ripetuti inviti, tuttavia l’interesse e l’affetto dei giovani lo hanno spinto a parlare nelle scuole e nelle università e oggi si è rivolto agli studenti parlando da nonno: “Ci sono alcuni consigli che voglio darvi: apprezzate quello che avete, non date dispiaceri ai vostri genitori, studiate, non date retta ai balordi, ma soprattutto conservate la vostra libertà, il dono più prezioso che D. vi abbia dato.” Infine Edith Bruck: “Appena tornata ho iniziato a scrivere. Ad Auschwitz ho fatto la marcia della morte e sono stata costretta a trascinare mille cadaveri. Inizialmente non ho pubblicato nulla di ciò che avevo scritto, ma dopo aver parlato con Primo Levi mi sono convinta e nel 1951 ho pubblicato il mio primo libro e più tardi sono andata nelle scuole. Avevo capito di avere un’enorme responsabilità”. Come ha ricordato Rav Di Segni, ogni ebreo ha questa frase nel cuore: שמע ישראלAscolta Israele. L’ostacolo dei testimoni sono stati coloro che non volevano ascoltare, noi invece dobbiamo farlo e raccogliere così l’invito che Mosè rivolse al popolo d’Israele, שמעascolta. Giorgia Calò Viaggio della memoria: il ministro Carrozza agli studenti, “siate testimoni per il futuro” ragazzi raccolgano il testimone dei sopravvissuti e portino la loro esperienza diretta nel raccontare ad altri e diventare essi stessi testimoni per il futuro. E' l'invito lanciato ai circa 200 studenti provenienti da tutta Italia che hanno partecipato al viaggio della memoria, accompagnati dal ministro dell'Istruzione Maria Chiara Carrozza, dal presidente del Senato Pietro Grasso, dal direttore della fondazione Museo della Shoah Marcello Pezzetti e dal presidente dell'Ucei Renzo Gattegna. Prima hanno visitato il ghetto di Varsavia e ascoltato da Marcello Pezzetti la storia delle deportazioni nella città polacca e il giorno successivo si sono recati, insieme a tre sopravvissuti, Sami Modiano e le due sorelle Bucci, nel campo di sterminio di Auschwitz. “L'ambizione della scuola - ha detto il Ministro Carrozza, che ha siglato nella sinagoga Tempel di Cracovia un accordo con la comunità ebraica per proseguire nella collaborazione per la conoscenza della storia - è quella di far realizzare le aspirazioni e i sogni dei ragazzi ma soprattutto diventare cittadini responsabili. Tutto questo - ha sottolineato - passa attraverso il latino e la fisica, sicuramente, ma soprattutto attraverso la conoscenza e l'acquisizione di responsabilità”. Un invito quindi ai ragazzi a sapersi ribellare “di fronte alle ingiustizie. Il ruolo che avete - ha concluso - è quello di diffondere il più possibile ciò che vedrete. Sia per ricollegarlo e per comprendere il passato ma soprattutto per fare in modo che in futuro queste cose non debbano succedere mai più. Avete l'opportunità di vivere la memoria e di riportarla ai vostri compagni. Tutti insieme abbiamo un privilegio che porta però la responsabilità di rappresentare tutto ciò di cui siete testimoni”. Il Presidente del Senato Grasso quindi ha sottolineato come le immagini “della deportazione di un popolo fino alla sua eliminazione totale, la visione di muri di cinta e finestre murate, ci hanno dato la misura della tragedia di questo popolo. Un orrore che entra dentro e che ci dà la sola sicurezza che noi tutti contribuiremo che fare in modo che ciò non accada piu'“. “La visita del ghetto di Cracovia – ha scritto il presidente Grasso sul suo profilo FB - mi ha molto colpito. Negli anni '40 qui vivevano oltre 70.000 ebrei, oggi non sono più di 200. La ferocia nazista gli ha portato via tutto ma non è riuscita nell'impresa di cancellare un popolo. Ho visto gli studenti ascoltare le spiegazioni di Marcello Pezzetti, direttore del Museo della Shoah, e dei suoi ricercatori con attenzione e partecipazione. Loro sono il nostro futuro ed è essenziale che conoscano il passato dell'Europa per poter, un giorno, contribuire a renderla migliore.” Grasso ha solo un rammarico. “Mi sono impegnato ad accelerare la legge contro il negazionismo, ciò non è avvenuto e ne sono deluso ma mi impegno a proseguire su questa strada”. Una targa in ricordo di Pacifico Di Segni Consegnata la Medaglia dei Giusti alle famiglie Serra e Dominici I n occasione dell’incontro in sinagoga con i sopravvissuti, si è tenuta una piccola ma molto suggestiva cerimonia in ricordo di Pacifico Di Segni (nato a Roma, il 19/11/1925), alla cui memoria - su iniziativa di Massimo Gai - è stata posta una targa nell’area dove si riunisce il coro. “Come membro del coro - ha spiegato Gai - e con la condivisione di tutti i colleghi, abbiamo voluto ricordare una storica voce del coro, la cui storia drammatica è poco conosciuta e non ci sono suoi parenti che possano tramandarla”. Pacifico Di Segni fu infatti arrestato all’età di 19 anni nell’aprile del 1944 in Via Arenula da due fascisti che catturavano gli ebrei per ottenere 5000 lire. Dopo un breve soggiorno a Regina Coeli, fu internato nel campo di Fossoli per poi essere deportato il 26/06/1944 ad Auschwitz, dove fu tatuato con il numero A-15722. Liberato il 27 gennaio 1945, pesava poco più di 28 kg. e dopo una convalescenza di alcuni mesi, ritornò a Roma dove gradualmente riprese la sua vita, si sposò con Debora Di Veroli ma non ebbero mai figli. Ritornò anche tra le file del Coro del Tempio Maggiore, di cui faceva parte fin da bambino, fino alla sua scomparsa avvenuta il 17 gennaio 2001. Debora Di Veroli con Massimo Gai L o scorso gennaio si è svolta la cerimonia di consegna della "Medaglia dei Giusti" del Museo Yad VaShem di Gerusalemme alle famiglie Serra e Dominici che si prodigarono per la salvezza di due famiglie ebraiche romane (Piperno e Ascarelli), durante il periodo delle persecuzioni naziste, rischiando la propria vita. La consegna è stata effettuata all'interno dei locali della libreria ebraica Kiryat Sefer grazie al lavoro di coordinamento e ricerca dell'Ambasciata d'Israele in Italia-Ufficio Affari Pubblici e Politici. Alla consegna ha partecipato l'Assessore alle Relazioni Istituzionali della Comunità Ebraica di Roma, Ruben Della Rocca, che ha salutato il pubblico e in particolare i ragazzi della terza media della scuola ebraica di Roma: “Siete voi l'esercito della Memoria - ha spiegato Della Rocca - e sono felice che questa cerimonia avvenga davanti ai vostri occhi affinché possiate raccontare ai vostri coetanei e un giorno ai vostri figli cosa è successo nella nostra città dopo il 16 ottobre 1943, quanti hanno aiutato i membri della comunità a salvarsi dalla ferocia nazista”. Livia Link-Raviv, dell'Ambasciata d'Israele in Italia, ha aggiunto “quanto sia importante il lavoro di ricerca per consegnare il più alto riconoscimento dello Stato Ebraico alle persone che si sono spese per salvare delle vite. Vanno ricordate e premiate anche per non dimenticare quanti non aiutarono gli ebrei perseguitati e chi, purtroppo, ha invece aiutato i nazisti a compiere l'orribile opera di rastrellamento”. Per la famiglia Serra ha ritirato la “Medaglia dei Giusti” la signora Maria Laura, mentre per la famiglia Dominici hanno avuto l'onore di vedersi consegnata la medaglia le signore Anna e Marisa. Sono loro le figlie di quegli eroi che salvarono le famiglie Piperno e Ascarelli. E nella tradizione ebraica chi salva una vita salva il mondo intero. R. M. FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 I Il presidente del Senato Grasso: “il mio impegno contro il negazionismo proseguirà” 35 ROMA EBRAICA 27 gennaio al Quirinale I l Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha premiato le classi vincitrici del concorso nazionale “I giovani ricordano la Shoah, alla presenza del ministro della Pubblica Istruzione Maria Chiara Carrozza, delle massime autorità istituzionali e dei rappresentanti dell’ebraismo italiano. Gli studenti premiati hanno vissuto una giornata romana indimenticabile. “La scala della morte” Gli orrori di Mauthausen raccontati da Mario Limentani A uschwitz e Birkenau non sono i soli luoghi dei viaggi della memoria. Esiste un altro campo, forse minore rispetto agli altri, ma altrettanto terribile: Mauthausen. Mauthausen era un campo di lavoro riservato ai prigionieri politici, è proprio lì che è stato internato Mario Limentani, deportato da Venezia e costretto a lavorare sulla cosiddetta “scala della morte” da cui pochi ne uscivano vivi. Ma Mario ce l’ha fatta e ha deciso di raccontare la sua storia, grazie alla collaborazione di Grazia Di Veroli. “Il lavoro di Grazia è importante, in quanto esempio del lavoro che spetterà ai testimoni di seconda generazione come promotori della memoria”, ha sottolineato Riccardo Pacifici alla serata di presentazione del libro al Museo Ebraico, a cui hanno preso parte insieme all’autrice e a Mario Limentani, Marcello Pezzetti, la prof.ssa Anna Foà e Mario Avagliano, scrittore e giornalista. È proprio quest’ultimo a precisare che la persecuzione nazista non ha colpito solo gli La Memoria grazie al Corriere.it ebrei ma anche politici. Ma cosa ci faceva Mario in un campo politico? La risposta l’ha fornita Marcello Pezzetti: “Durante il rastrellamento Mario era uno dei pochi ebrei in mezzo ai prigionieri politici. Quando le SS se ne accorsero decisero di non trasferirli ad Auschwitz, perché non erano in molti, quindi li tennero lì e li costrinsero a lavorare in una cava e a portare il materiale su per una scala, dove Mario vide morire molti suoi compagni. Poco prima della liberazione giunsero a Mauthausen i prigionieri trasferiti da Auschwitz, tra cui Shlomo Venezia”. A conclusione della presentazione, Grazia Di Veroli ha raccontato di come questo libro sia nato dalla profonda amicizia che la lega a Mario e nonostante abbia conosciuto moltissimi sopravvissuti, grazie al suo lavoro all’ANED (Associazione Nazionale Ex Deportati), Mario per lei è sempre stato come uno zio, quindi scrivere questo libro è stata una cosa naturale. Il lavoro che ha svolto Grazia Di Veroli è di esempio per tutti, il suo libro insieme alle altre testimonianze sarà un importante documento per combattere il negazionismo e mantenere vivo il ricordo. G.C. Il Giorno della Memoria al Pitigliani FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 Terza edizione di ‘Memorie di famiglia’. I ricordi dei nonni letti dai nipoti 36 N el Giorno della Memoria il ricordo assume un ruolo imprescindibile, in cui ognuno diventa un testimone. Gli ultimi sopravvissuti, con la loro presenza coraggiosa; le molte commemorazioni, le mostre, i documentari e i film. Vari luoghi e vari modi di trasmettere il ricordo della Shoah. Al Pitigliani Memorie di famiglia giunge alla sua terza edizione, facendosi anch’essa testimone e monito attraverso la lettura delle memorie e dei diari da parte di nipoti e di pronipoti. Come ogni anno prima di iniziare c’è molto fermento: i ragazzi, guidati da Nando Tagliacozzo, provano le letture; chi deve suonare e cantare fa le ultime prove; chi sta allestendo sistema ancora qualcosa nella sala che a breve sarà gremita di persone. Saluti, chiacchiere, risate, giochi e corse di bambini... poi silenzio, si inizia. Ugo Limentani apre con una breve ma intensa presentazione; Nando Tagliacozzo conduce in modo puntuale e chiaro l’intera manifestazione, introducendo ogni brano che verrà letto. Quest’anno la presenza dei ragazzi è totale: ragazzi che leggono, ragazzi che In occasione del Giorno della Memoria il Corriere.it ha prodotto un interessante documentario-web di 7 puntate, “Il rumore della Memoria”, che diventerà presto un film, sulla tragedia di Vera Vigevani Jarach, a cura di Marco Bechis, Alessia Rastelli e Antonio Ferrari. La signora Jarach si definisce “una militante della memoria”: lei stessa, ancora bambina, ha subito le leggi razziali durante il fascismo, a causa delle quali è stata costretta a lasciare l’Italia con la sua famiglia per trasferirsi in Argentina, dove ha trovato la salvezza. Il nonno, Ettore Camerino, rimasto a Milano, viene catturato mentre tentava la fuga verso la Svizzera: rinchiuso nel carcere di Varese e poi a San Vittore, Camerino dal Binario 21 arriva ad Auschwitz, dove muore nelle camere a gas. In Argentina, durante il periodo della dittatura, Vera Jarach ha perso anche la figlia Franca, quasi diciottenne, fiera oppositrice del regime golpista del generale Videla e impegnata attivamente ad inseguire ideali di giustizia e di uguaglianza sociale sia in ambito scolastico che fuori. Dopo essere stata prelevata dalla scuola insieme con altri 103 studenti, la ragazza desaparecida, è stata torturata, drogata e gettata viva in oceano da uno dei terribili 'voli della morte'. Per non dimenticare. J.S. cantano: parole e musica. I testi di Auschwitz di Francesco Guccini; di Dona Dona, canzone popolare yiddish e La stella d’oro si alternano con chi legge, mentre l’accompagnamento musicale alla chitarra di Emanuele Levi Mortera fa da filo impercettibile e costante. I nipoti e i pronipoti che leggono sono una decina, ma le persone che lì ascoltano sono tantissime raccolte in una corale e intima commozione per oltre due ore. Nonostante la giovane età, i ragazzi leggono in modo attento e sensibile, consapevoli di quanto accaduto ai loro nonni e zii. L’emozione si fa parola di vita vissuta per ricordare quei terribili momenti di guerra e di persecuzione, dove vivere significava nascondersi e occultare la propria identità. Sempre in allerta in ogni situazione e in ogni momento, senza nessuna sicurezza di trovare un luogo veramente sicuro dove stare; un vivere fatto di continue peregrinazioni, di fughe da una casa all’altra o da un convento all’altro per evitare di essere scoperti e deportati. Le letture dei ragazzi diventano quindi un percorso di storia vivente, in cui parole ed emozioni sono testimonianza di ciò che l’Olocausto è stato. Sconfiggere il passato con la parola è così una necessità incalzante in ogni momento e luogo, in cui l’unico imperativo morale diviene ricordare, ricordare, ricordare. Elena Albertini In edicola con il Corriere e la Gazzetta dello Sport “I campioni ricordano” E ra il 6 giugno 2012 quando - alla vigilia del Campionato di Calcio in Polonia - la nazionale italiana al completo, guidata dal ct Cesare Prandelli, si recò prima volta in assoluto in visita al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. A raccontare ai campioni italiani - alcuni profondamente colpiti - le storie e le tragedie della deportazione e dello sterminio tre ebrei italiani sopravvissuti alla Shoah: Samuel Modiano, Piero Terracina e Hanna Kugler Weiss. Quella giornata - che colpì molto per l'impatto mediatico - si può oggi rivedere e rivivere comprando fino a febbraio il dvd «I campioni ricordano» in edicola con il Corriere della Sera e la Gazzetta dello Sport a 7,90 euro. Un’iniziativa benefica realizzata da Robert Hassan, con il sostegno della Comunità ebraica romana e del Maccabi. Tradizioni ed usi per le preghiere dei defunti “N el giardino dell’Eden… sarà il suo riposo”. Così leggiamo con fiducia nell’Askavà e rispondiamo ogni volta che sentiamo il nome di una persona defunta nel corso dell’anno. Se queste parole esprimono consolazione e certezza nel mondo futuro, quali parole e quali atti vanno eseguiti per garantire ai nostri cari quell’elevazione dell’ “anima” che desideriamo con le nostre preghiere? Il volume “Le regole del lutto”, curato dal Rav Ariel Di Porto, risponde ai quesiti di natura tecnica relativa alla specifica situazione della persona in lutto. Numerose sono le differenze scelte dai diversi riti su questo aspetto della vita e della morte. Rav Riccardo Di Segni ha pubblicato nella rivista Seridim (Vol. XXVI della “Conferenza Rabbinica Europea”), un articolo in ebraico che cercheremo di riassumere in queste righe. Il Midrash commenta il verso in Deuteronomio 21,8 “Espia per il tuo popolo d’Israele che hai riscattato”: l’espiazione riguarda i vivi, mentre il riscatto riguarda i defunti per insegnarci che sono i vivi con le loro preghiere ad espiare per coloro che sono trapassati (Sifrè, Shofetim 67). Il Midrash Tanchumà afferma quindi che il motivo per cui recitiamo le ‘ashkavot di shabbat è la possibilità di non far tornare alla fine del sabato i malvagi nel luogo della punizione chiamato Gheinnom, letteralmente valle di Hinnom, sinonimo di luogo oscuro e pericoloso. Da qui impariamo che i vivi possono riscattare i defunti anche nel giorno del Kippur promettendo un’offerta in Zedaqà in loro memoria. La recitazione del Qaddish per i primi undici mesi aiuta questo processo, mentre dopo questo periodo potrebbe essere riesaminato il caso della persona defunta a suo sfavore. Chiaramente prolungare le preghiere di suffragio provoca tristezza ed angoscia contraria allo spirito del sabato e delle feste. Rav Di Segni esamina nell’articolo le usanze dei tre riti. Per gli Askenazim vi sono due formule di suffragio: ‘El Male Rachamim, Signore pieno di Misericordia, recitata al funerale e con alcune limitazioni anche il Sabato precedente l’anniversario, mentre l’Izkor viene recitato solo tre volte l’anno l’ultimo giorno di Mo’ed, se non cade di Shabbat ed una quarta volta nel giorno di Kippur. E’ importante notare che la prima formulazione del testo ‘El Male Rachamim la troviamo nell’opera Ma’avar haYabbok del rabbino italiano Aharon Berechià da Modena stampata a Mantova nel 1585. Una terza formula askenazita è ‘Av haRachamim, Padre della Misericordia, composta in memoria delle vittime delle Crociate e di tutte le persecuzioni. Un cofanetto speciale, non solo per le immagini e il contesto, o per le musiche - quelle del Concerto per violino e orchestra di Giovanni Allevi - ma soprattutto perché con l'acquisto ognuno contribuisce, infatti, ai progetti della Fondazione Museo della Shoah Onlus. “Si è trattato - ha spiegato Prandelli - di una esperienza indimenticabile che dovrebbero fare tutti. Soltanto così possiamo tenere vivo il ricordo, per guardare e toccare con mano quello che è stato, che è successo davvero, e quello che non deve essere mai più”. Nel dvd, le imprese della Nazionale finalista all’Europeo si intrecciano con i racconti e le emozioni provate dagli Azzurri durante la visita ad Auschwitz e Birkenau o interviste esclusive a Buffon, Chiellini, Balzaretti, De Rossi, Montolivo, Pirlo, De Sanctis, al Commissario Tecnico Cesare Prandelli e al presidente federale Giancarlo Abete. I Sefardim iniziano la Askavà, chiamata Menuchà, riposo, con la formula Menuchà Nechonà un giusto riposo, differenziando il testo tra uomini e donne ed aggiunte di numerosi versi per i Maestri. Si tratta di un testo molto lungo, criticato da Rabbi Izhaq Luria, spesso sostituito da un testo più breve; molti lo leggono dopo la lettura della Torà durante l’anno di lutto, addirittura per ogni persona che sale alla lettura, sia per il merito dello studio o della lettura, sia per l’offerta che viene stabilita. Presso i Sefardim non c’è differenza tra Sabati segnalati, si legge sempre e comunque. Rav Isacco Lampronti limita la formula agli adulti, evitando di recitarla per minorenni che non sono punibili per le loro trasgressioni. Risponde Daniel Terni che allora per questa ragione non dovrebbe essere recitata per defunti minori di venti anni. Il testo recitato per i bambini è estremamente breve. Il rito italiano originale ha conservato la formula di un Izkor collettivo stampato nel machazor di Soncino del 1486, dopo il Misheberach per il pubblico e prima di Ashrè, come prescrive lo Shibbole’ haLeqet, perché il Sabato è un giorno di riposo simile ai giorni futuri dove i morti non vengono giudicati. Il Beth Iosef di R. Iosef Caro riporta questa spiegazione, e Isserless, citando la fonte, aggiunge che in ogni luogo si segue il rito locale. Il mahazor di Bologna riporta una formula di Izkor solo per l’ultimo giorno di Pesach, ritenuto generalmente il giorno della Resurrezione dei morti a causa della Haftara’ di Ezechiele. Solamente dal Siddur di Panzieri del 1936 appare la Ashkava’ sefardita dicendo di averla tratta da Sha’ar haTeshuvà, stampato a Venezia nel 1706. Secondo tradizioni orali tramandate da chazanim si legge la Askava’ al funerale, durante il settimo, alla fine del trentesimo e dei dodici mesi solamente se in quel giorno si recitano le formule penitenziali del Tachanun, altrimenti si legge l’Izkor. E’ lecito pensare che la askava’ italiana originale sia stato proprio l’attuale Izkor, mentre il testo della Askava’ è penetrato per influenza sefardita. Altrettanto per l’Izkor con l’elenco dei nomi che si legge solo a Kippur, ma si omette nell’ultimo giorno festivo dei tre pellegrinaggi. Ogni shabbat inoltre viene letto l’Izkor generale prima che rientri il Sefer Tora’ secondo la formula originale del rito italiano. Inoltre chi viene chiamato alla lettura della Tora’, sia di sabato che di giorni feriali viene invitato a ricordare i propri cari nel Mishebberach, donando una somma in beneficenza in loro suffragio, senza recitare però la ‘Askava’ come fanno i Sefardim per i motivi già ricordati di evitare ulteriormente la fatica del pubblico e la tristezza nel giorno festivo. La trasmissione dell'ebraismo passa attraverso le generazioni in misura del nostro impegno a ricordare i nostri cari per assicurare loro la VITA ETERNA. Rav Umberto Piperno FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 Gli Azzurri ad Auschwitz: un giorno speciale ora su dvd 37 ROMA EBRAICA Rav Vittorio Chaim Della Rocca ha festeggiato gli ottanta anni Maestro e chazzan del Tempio Maggiore, rappresenta la storia di una intera generazione L o scorso primo novembre Rav Vittorio Chaim Della Rocca ha compiuto 80 anni. “Shalom” lo ha incontrato per ascoltare i ricordi di una vita indissolubilmente legata ai tempi e ai modi della nostra comunità, allo stile inconfondibile di una quotidianità che tuttora si dipana tra il Portico d’Ottavia, Via Arenula, l’Isola e i Ponti Garibaldi e Quattro Capi, fino ai primi 500 metri di Viale Trastevere. L’invasione dei turisti curiosi della genuina romanità jewish, la ritrovata vitalità delle scuole, l’estendersi della passeggiata di Shabat fino a Porta Portese e Viale Marconi non hanno neppure scalfito i ritmi dei giorni, dei mesi, degli anni. La vita di Vittorio Della Rocca è soprattutto la vita di un maestro di scuola ebraica, nel senso più bello e più alto della prima esperienza nella quale si formano i bambini delle elementari, poi continuata per gli studenti volenterosi dei primi corsi del Collegio Rabbinico, ragazze e ragazzi pronti a scambiare qualche pomeriggio dell’adolescenza con l’avvicinamento alla tradizione e alla comprensione approfondita dei testi. Ma per tutti noi quella del Morè Della Rocca è comunque una delle voci più belle e più calde che hanno arricchito le melodie delle Tefillot al Tempio Maggiore di Roma, celebri ormai in tutto il mondo (non soltanto ebraico, si deve aggiungere). Una voce legata ai momenti importanti della vita (Bar Mizvà, Mishmarot, matrimoni) e della liturgia, dunque per definizione voce dello Shabat di ogni settimana come delle grandi ricorrenze. FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 Quando un compleanno è importante, quando si vede un bel traguardo raggiunto da un maestro che tutti conosciamo, lo spazio dell’intervista sembra sempre troppo limitato. Dunque, da dove si comincia? Si può iniziare proprio dalla tevà del nostro Tempio Maggiore, dal luogo nel quale non soltanto i più attenti e devoti, ma la Comunità tutta idealmente si riunisce ogni giorno nei momenti di preghiera per le Tefillòt. Tanti che ormai hanno anche loro una certa età, come si dice a Roma, di sicuro mi hanno conosciuto da alunni nelle Scuole e al Collegio Rabbinico. 38 Certo, è proprio così. E soprattutto è bene raccontare che la figura fisica corrisponde alla voce, insomma si notava già da lontano l’abito scuro, impeccabile: una figura per così dire “all’altezza” Viene da pensare a quelle note, scure o squillanti che fossero, mai mancate da una voce inconfondibile delle nostre sinagoghe storiche. Come partecipe e attivo protagonista della vita della Comunità, giudica che nel tempo sia cambiata l’identità dell’ebreo romano? A Roma come in altre comunità, sono sempre più numerosi coloro che vogliono avvicinarsi allo studio e all’osservanza della Torà. Ricordo quando nei miei primi anni di servizio mi recavo a feste familiari, e appena finita la Mishmarà allietata da “pizza e biscottini”, veniva riservato un tavolino al lato della sala con soli panini ripieni di prodotti kasher, destinati all’unico che in quel contesto mangiava secondo i dettami della kasherut , cioè il rabbino o l’ufficiante di turno. Simultaneamente tutti gli altri convitati iniziavano a consumare un pasto assortito di ogni prelibatezza non kasher. Una sera rimasi talmente infastidito da tale consuetudine che decisi di non prestarmi più a questo tipo di pagliacciata. Pian piano anche con la complicità di altri colleghi, e con l’approvazione del rabbino Toaff riuscimmo a diffondere la kasherut in ogni festa familiare che avesse una valenza religiosa. Senz’altro, si può affermare che abbiamo avuto un grande recupero di osservanza. Cosa ha rappresentato la scuola ebraica negli anni sessanta ? Si trattava di ricostruire una visione dell’identità ebraica a tutto tondo. Dovevamo supplire a una carenza educativa di famiglie che non avevano quella cultura da trasmettere ai figli. Dovevamo riuscire a integrare ragazzi di ceti sociali differenti e anche integrare i ragazzi più “indigeni” con i profughi libici. E non era una sfida facile. Si trattava di “formare” piuttosto che di “informare”. Ricordo gli sforzi assieme al compianto Morè Moshè Sed z.l. e assieme ad altri stimati colleghi, per istituire la tefillà nella scuola tutte le mattine e far capire ai ragazzi e alle loro famiglie quanto fosse importante mettere i tefillin. Dobbiamo renderci conto che erano abitudini abbastanza sconosciute agli ebrei romani. È motivo di grande soddisfazione sentire ancora oggi sulla bocca dei miei allievi, oggi diventati nonni, alcuni adagi rabbinici che scrivevo alla lavagna per inculcare loro, con maggiore incisività, dei concetti fondamentali dell’identità ebraica. Ci sono allievi che ancora oggi, durante le “vacanze invernali” si ricordano quanto stigmatizzavo su quel verso della Torah che dice: “velò telechu bechukkot agoi” (Vaikra, 20; 23 ) “…non andate dietro ai costumi dei goim”, stimolandoli a non uniformarsi supinamente alle consuetudini dei festeggiamenti non ebraici e lottare per mantenere la schiena dritta. Forse abbiamo assistito ad un miracolo senza rendercene conto. La tradizione, certo. Ma anche la nascita di una consapevolezza ebraica di tipo ideologico e politico. E poi il sionismo, non importa se laico, socialista o religioso. Dopo la Seconda guerra mondiale la nostra comunità sembrava davvero devastata. Sì, siamo riusciti a riprenderci, soprattutto grazie alla sicurezza psicologica che ci aveva restituito la fondazione dello Stato di Israele. E la libertà ritrovata dopo la sconfitta del fascismo. E poi le nostre scuole, che sono state fondamentali per dare un po’ di fiducia nel futuro. Persecuzioni e deportazione ci avevano messo a terra. La gioia per essere scampati era offuscata dal dolore per coloro che non c’erano più. Tanti, troppi sopravvivevano con lavori occasionali, vivevano in case malsane, spesso non c’era neppure cibo a sufficienza sulla tavola. Situazioni che si sperava di non vedere di nuovo, come per qualcuno purtroppo sta accadendo. E voglio ricordare che tutto questo è stato possibile grazie alle quattro figure che hanno contraddistinto il rabbinato italiano nel dopoguerra. Sa, la mia generazione rabbinica, composta da maestri che poi hanno guidato le comunità ebraiche italiane nella seconda metà del Novecento, si è formata sotto la guida di Rav Elio Toaff, Rav David Prato z.l. Rav Dario Disegni z.l. e Rav Elia Samuele Artom z.l., autorevole biblista di fama mondiale; tutte personalità di alto spessore che al di là del loro tempo hanno lasciato un’impronta indelebile nell’ebraismo ita- liano. Abbiamo ereditato i loro insegnamenti in cui erano prioritari l’equilibrio e la cautela nella trasmissione della tradizione, coniugati alla dignità e all’autorevolezza della figura rabbinica. Oggi va detto che, purtroppo, alla disciplina, o meglio alla deontologia professionale, non viene data la giusta rilevanza. Quando si festeggia il compleanno degli ottant’anni credo che la memoria vada necessariamente agli anni bui, e soprattutto ai nove terribili mesi dell’occupazione nazista di Roma, con i solerti e volenterosi fiancheggiatori fascisti. Sicuramente sì, ma nel 1944 ero ancora un bambino, e ricordo soprattutto il sollievo della fine di un incubo che mi aveva fatto crescere troppo presto. La mia era stata una famiglia benestante, però le leggi razziali l’avevano messa in crisi, ovviamente. Mio padre, Rubino Della Rocca z.l., lo presero i fascisti il 25 novembre del 1943. Con lui un fratello, un nipote, e quattro padri di famiglia, in un magazzino a Piazza Benedetto Cairoli. Ne parla dettagliatamente il professor Amedeo Osti Guerrazzi nell’ottima ricostruzione “ Caino a Roma” . Quelli che lo presero furono individuati e processati. Della famiglia di mamma, Elisabetta Moscato z.l., molti, tanti, non c’erano più… Furono 24 persone. “Le scuole ebraiche hanno costi alti” Il presidente della Comunità annuncia: “E’ allo studio una convenzione con il Miur” L e scuole ebraiche in Italia hanno “costi alti”, devono diventare “più concorrenziali”: senza l'aiuto pubblico “i loro costi si riversano interamente sulle comunità e sui genitori. Occorre invece creare un meccanismo per cui lo Stato paga gli insegnanti delle materie curriculari e le comunità, assieme alle famiglie, gli insegnanti di cultura e religione ebraica”. Lo ha affermato il presidente della comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici. “Su questo tema - ha spiegato Pacifici, a margine di un incontro sul dialogo interreligioso tenutosi a Montecitorio - è già aperto un tavolo al Ministero dell'Istruzione: è allo studio una convenzione Il resto immagino sia la storia di un ragazzino che dovette crescere velocemente e cercarsi un lavoro molto presto. Proprio così. Il 21 novembre del ’46 cantai l’Arvìt del mio Bar-Mizvà. Il Rabbino Capo di allora, il grande David Prato z.l. si accorse che avevo una bella voce. Passò un po’ di tempo, e il Maestro Eliseo z.l. soffriva di una infiammazione alle corde vocali. Mi fu chiesto dal Moreno (Rabbino Capo, ndr), Rav Prato z.l, per la prima sera di Chanukkà di recitare la preghiera per sostituirlo. Ero emozionatissimo. “Vatti a comprare un vestito nuovo, con i pantaloni lunghi.”, mi disse. Ero diventato un allievo chazzàn. Al pomeriggio lavoravo nel negozio di un amico di mio padre mentre al mattino continuavo a studiare al Collegio rabbinico. E anche il sabato… Mi vide Rav Prato, chiamò me e mia madre. “Chi è al servizio del Bet ha-Keneset non lavora di Shabat”. Mi fece avere una borsa di studio, e così intrapresi, sotto la sua paterna guida, la strada del rabbinato. Cosa si aspetta dal futuro ? Dicono i Pirqé Avot, le Massime dei Padri, che gli ottanta anni sono il periodo della “forza”. Spero di riuscire a infondere ancora tanta forza a questa mia amata kehillà. A cura di Piero Di Nepi che possa dare attuazione alla nostra richiesta. Sono fiducioso”. Le scuole ebraiche in Italia sono quattro e si trovano a Roma, Milano (dall'asilo alla scuola superiore), Torino (fino alla scuola media) e Trieste (solo elementare)'. A sceglierle sono “il 75% dei bambini ebrei in età di scuola elementare, il 60% di quelli in età di scuola media e il 30-40% di quelli in età di scuola superiore”. “Attualmente riceviamo dallo Stato solo un piccolo contributo per le scuole elementari - ha aggiunto Pacifici - gli altri ordini sono completamente a carico di famiglie e comunità . Occorre un'inversione di tendenza, per garantire anche la sopravvivenza della nostra identità”. Durante l'incontro Pacifici ha sottolineato come nelle scuole italiane non si “dia tanta importanza all'identità cattolica, perché l'insegnamento della religione si limita a una sola ora a settimana. Nella scuola ebraica invece su 40 ore curriculari, 10 sono dedicate all'educazione ebraica. Se non si costruisce una propria identità forte - ha concluso - la prima reazione che si ha verso l'altro è la paura”. FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 Come vi siete salvati? Il 16 ottobre ospitavamo in casa un parente stretto, Augusto Terracina con la sua famiglia, avevano lasciato casa loro. Arrivano i tedeschi, bussano col calcio dei fucili, entrano. “E’ qui Rubino Della Rocca?”. “No, io sono Augusto Terracina”. Disorientati perché il nome non corrisponde sulla lista e la precisione germanica non consente simili errori, scendono giù per controlli. E noi scappiamo tutti. Per i mesi successivi, dobbiamo ringraziare le suore del Convento di Santa Rufina in Via della Renella. E tutti quelli che in modo o nell’altro ci aiutarono. Mio padre non aveva potuto stare con noi dalle suore, naturalmente, e credo cercasse di continuare a lavorare. Dopo l’arresto lo portarono prima a Palazzo Braschi, la sede dei fascisti, e poi fu rinchiuso nel terzo braccio del carcere di Regina Coeli, fino alla seconda metà di febbraio 1944. Era forte e robusto, da deportato finì tra i prigionieri scelti per lavorare. Morì durante la marcia della morte verso Bergen Belsen. Non ce la faceva, per il freddo e per la fame. Alla quarta o quinta volta che cadeva nella neve, lo uccisero con una raffica di mitra. So che accadde il 25 febbraio 1945. Ma ricordo benissimo l’ultima volta che lo vidi. Mia madre aveva chiesto alla ragazza che ci dava una mano, Silvia, era sarda, di correre a Palazzo Braschi. Andai con lei. Arrivammo trafelati, proprio mentre sopraggiungeva un taxi a 8 posti con gli arrestati. Papà si accorse di me, si sporse dal finestrino…. “devi dire a mamma che i mangkoddi (il denaro, ndr) sono riuscito a portarli con me…”. Per fortuna nessuno badò a noi. 39 ROMA EBRAICA U Il Bnei Berith presenta le start-up al Liceo Levi na nuova iniziativa del Bnei Berith Roma rivolta alla diffusione tra i giovani della cultura delle “start-up” si è svolta il 10 Gennaio, in collaborazione con l’Assessorato alle Politiche Educative della CER. I saluti dell’Assessore Ruth Dureghello e di Sandro di Castro, presidente del Bnei Berit Roma, hanno dato inizio all’iniziativa intitolata “Il miglior modo per realizzare i propri sogni è svegliarsi”. Gli studenti del 4° e 5° liceo, raccolti nell’aula magna del Liceo Renzo Levi, hanno ascoltato con grande attenzione la relazione dell’Ing. Augusto Coppola, investitore nel settore delle “startup” e direttore operativo di “Luiss Enlabs”, l’acceleratore d’impresa partecipato dalla Luiss. L’esposizione dinamica, quasi incalzante, ha suscitato interesse e curiosità negli studenti. Numerose le domande dei ragazzi, in particolare sulle possibilità di partecipare ad iniziative pratiche ed a corsi sulle “start-up”. Uno di loro ha così commentato l’incontro: “Evento impressionante, studio in questa scuola da sempre e non ho mai visto la platea così ipnotizzata”. Seppur molto soddisfatti, non ci fermiamo qui. Stiamo già programmando con l’Assessore Ruth Dureghello, e con il Preside, Benedetto Carucci, le prossime attività. L’obiettivo, in parte già riuscito, è quello di mettere in contatto i giovani con realtà dinamiche che consentano di sviluppare il proprio talento imprenditoriale e lavorativo, mettendo a frutto quanto appreso a scuola. Un contributo a “svegliarsi” per realizzare i propri sogni. Mario Venezia FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 La lotta al cybercrime riparte dalla scuola ebraica 40 “Navigare sicuri” questo è il tema della lezione promossa lo scorso gennaio da Ruth Dureghello, assessore alle Scuole della Comunità Ebraica di Roma in collaborazione con la Polizia Postale. L’incontro è parte integrante del ciclo annuale di lezioni sulla sicurezza con le forze dell’ordine. Grazie al coordinamento di Gianni Zarfati, capo della sicurezza delle Comunità Ebraiche Italiane e alla disponibilità del preside e del corpo docente, gli studenti della seconda media della scuola Angelo Sacerdoti hanno partecipato ad un’attività sui pericoli che oggigiorno caratterizzano il mondo del web. Il sostituto commissario della polizia di stato Roberto Giuli ha illustrato agli attenti internauti i rischi che comporta navigare su internet. Le tematiche affrontate sono numerose, dalle regole del web alla sicurezza e all’imprudenza sui social network. “Per navigare su internet bisogna non solo capire cosa si sta facendo ma anche rendersi conto degli effetti sugli altri utenti”, ha spiegato il commissario. “Mai fornire notizie personali sul web”, ha ammonito i ragazzi. Il furto di identità e soprattutto il furto della password dell’email o dei social network sono un pericolo costante. Solo in Italia i danni per tale furto equivalgono a 3mld di dollari. Giuli ha illustrato quindi i metodi più efficaci per proteggere la propria privacy e tra gli sguardi curiosi dei ragazzi ha raccontato come sfruttare al meglio il wifi e preservare “l’incolumità informatica”. Così come non si permette ad un estraneo di entrare in casa propria, altrettanto bisogna proteggere la propria privacy sul web, chiudendo quella finestra che permetterebbe agli estranei di ottenere informazioni riguardo la propria vita attraverso email fasulle, le cosiddette “fishing”, per ottenere dati personali e accedere ad informazioni riservate. La password, come la chiave della propria casa, deve essere efficace e proteggere la propria persona. Del resto la sicurezza è fondamentale non solo nella vita reale ma anche nel mondo digitale. Federica Manasse L Torah.it, la preghiera a portata di click a società cambia e con essa anche lo studio della Torah per gli adulti, ma soprattutto per i giovani. Purtroppo non tutti hanno la possibilità di andare a pregare o a studiare in un luogo di culto “fisico”. Le motivazioni sono tante. Nel 1997, direttamente da Gerusalemme, nasce l'idea di creare un portale dedicato allo studio della Torah e dell'ebraismo: Torah.it. Il sito, ovviamente in lingua italiana, contiene migliaia di risorse aperte al pubblico e completamente gratuite: la possibilità di imparare la lingua ebraica attraverso un corso online scaricabile con file in pdf, audio e dizionari; lo studio delle parashot settimanali; lo studio del Talmud; la lettura dei testi del Tannach, dei commenti e delle lezioni sulla Torah, delle tefillot e dei siddurim e tanto altro attraverso degli e-book; la consultazione del lunario e degli orari di entrata ed uscita di Shabbat; lo studio per prepararsi all'esame del Bar Mitzva (e al Bar Mitzva stesso); la spiegazione di ogni festività ebraica. Infine, contiene tutte le preghiere, come la Birchat HaMazon, in ebraico e traslitterata, da poter scaricare con un semplice click. Per chi, invece, vorrebbe portarla sempre con sé... Non ci sono problemi, è possibile importare tutti i materiali desiderati sul proprio smartphone. Tutto ciò è stato creato per venire incontro alle esigenze di ogni ebreo, e non solo. E' una porta sul mondo dell'ebraismo, accessibile anche a tutte quelle persone di diversa fede che vogliono saperne di più. Abbiamo intervistato Jonathan Pacifici, fondatore del sito, insieme al padre. «Torah.it parte con la mia Alyah. Arrivato in Israele mandavo un email di Shabbat Shalom ai miei amici. Piano piano ho iniziato a inserire qualche cosa sulla Parashat Hashavua. Poi abbiamo fatto il sito e messo online il materiale che amici e parenti richiedevano come libretti, hagada, mishmara, etc .- ha spiegato – Abbiamo sempre cercato di raccogliere e rendere disponibile quanto più materiale. L'audio lo abbiamo integrato dopo con l'idea di aiutare le persone a prepararsi per cantare un haftarà, tefillà o il seder... Chiaramente non è inteso per un uso di Shabbat!» Quando abbiamo chiesto se in qualche modo, questo progetto, ha aiutato chi non poteva venire fisicamente al tempio, ci ha risposto così: «Una volta un ragazzo che fa il ricordaro mi ha detto: “non sai che soddisfazione leggermi il commento sulla parashà della settimana direttamente da piazza S. Pietro”». Per ulteriori informazioni potete consultare: www.torah.it Miriam Spizzichino I Lo Shabbat 2.0! social network sono ormai molto diffusi e in Italia raggiungono livelli record. Secondo LiveXTansion l'indice di utilizzo è del 75% mentre negli Stati Uniti è del 72%. Viviamo in un mondo che cavalca l'onda dei Social Network e con esso cambiano tutte le pratiche sociali che nel tempo si sono consolidate, anche a livello religioso. Anche lo shabbat ha cambiato forma. Se vent'anni fa, quando mancava poco all'accensione delle candele, tutte le donne di casa erano occupate a preparare le ultime cose, oggi, le nostre mamme "2.0", si divertono a postare foto di Challot, candele e cibo. Tanto cibo. Il primo scattato con i filtri di instagram, il secondo con l'hashtag #foodporn e il dessert con tanto di ricetta. Facebook diventa così una bacheca in cui il pasto migliore potrebbe diventare un auto-invito a cena perché, detto tra noi, ci sono immagini che fanno venire fame anche alle 16 del pomeriggio. Vivere lo Shabbat su Facebook, però, al di là di tutto, avvicina le persone verso un qualcosa che in molti hanno dimenticato: la magia del venerdì sera. Un venerdì fatto di luce e preghiera. Chissà, magari nel futuro potremmo materializzare magicamente i pasti che ci piacciono di più, oppure accendere virtualmente, tutti insieme, le candele di uno shabbat 2.0! M.S. Il cocciaro del papa Libro di David Limentani sulla storia della sua famiglia A Milano la prima cucina sociale kosher d'Italia È una iniziativa del movimento ortodosso Lubavitch È Prof. Silvestro Lucchese Chirurgo specialista CHIRURGIA ANO-RETTALE • CHIRURGIA DELLE ERNIE IN DAY HOSPITAL CHIRURGIA DEFINITIVA DEL PROLASSO EMORROIDARIO IN 1 GIORNO SENZA MEDICAZIONI - DOLORE E DISAGIO MINIMI RIPRESA DELLA FUNZIONE INTESTINALE IMMEDIATA ED INDOLORE Casa di Cura “Sanatrix” - Via di Trasone, 61 - Tel. 06.86.32.19.81 (24h) www.silvestrolucchese.com URGENZE: 336.786113 / 347.2698480 / 06.86321981 FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 D avid Limentani va fiero di essere stato il tramite tra il papa Giovanni Paolo II e Rav Elio Toaff nell’organizzare quello che sarebbe stato ricordato da tutti come un incontro storico: dopo circa 2000 anni, nel 1986, per la prima volta un papa visitava ufficialmente una sinagoga. Con questo episodio, infatti, apre il suo libro, “Il cocciaro del papa. Storia di una famiglia di mercanti ebrei”, edito da Giubilei Regnani a cura di Laura Costantini. Ma la storia della famiglia Limentani va ben più indietro del 1986. Dopo un’introduzione con cui David si immagina partecipare alle fasi storiche che hanno vissuto i suoi antenati e che serve ad introdurre il lettore meno esperto nella lunga storia del popolo ebraico, il testo affronta la storia di Leone Limentani, vissuto nel XIX secolo che, grazie ad un debito con un marchese, riuscì ad avere i suoi bicchieri “fallati” e ad aprire una bottega che portò poi la famiglia a diventare i fornitori di servizi per papi, re e presidenti. Le vicende della famiglia Limentani passano attraverso la tragedia della Shoah, la rinascita del dopoguerra ed il rapporto con Toaff, Rabbino capo di Roma dal 1951 al 2001. Il libro è stato presentato presso la Galleria Tedeschi a Roma. Il giornalista Valerio Monaco ha ricordato l’impegno con cui ha spinto David Limentani a scrivere il suo libro di memorie, Laura Costantini ha tessuto le lodi del testo, mentre Claudio Procaccia, Direttore del Dipartimento Beni e Attività Culturali della Comunità ebraica di Roma, ha fornito al folto pubblico un’introduzione storica, contestualizzando le vicende della famiglia Limentani dal ghetto, aperto definitivamente nel 1870, attraverso l’emancipazione, la prima e la seconda guerra mondiale, il boom economico fino ad arrivare a quell’incontro tra papa e capo rabbino di Roma che tanto è stato importante nel dialogo ebraico-cristiano. Il libro di Limentani è sicuramente un importante contributo alla salvaguardia delle memorie familiari: microstorie che arricchiscono e concorrono a delineare in modo più nitido la storia del nostro paese. Silvia Haia Antonucci nata a Milano la prima cucina sociale kosher italiana, promossa da Merkos, ramo educativo del movimento Lubavitch, a sostegno dei più bisognosi e di coloro che vivono in difficoltà economiche. La cucina sociale nasce con l'obiettivo di fornire gratuitamente a chiunque lo necessiti pasti da asporto preparati secondo le regole della kasherut, la dieta alimentare ebraica, che distingue tra animali permessi e vietati e che applica una divisione tra gli alimenti di ‘latte’ e quelli di ‘carne’. Dopo l’esperienze già avviate in Brasile, Australia e Israele (dove la prima cucina sociale venne aperta dal movimento Lubavitch addirittura nel 1700), la cucina sociale kosher ha sede negli spazi della scuola Merkos di Milano ed è stata realizzata con il sostegno di Enel Cuore, onlus che opera anche nell'ambito dell'assistenza sociale. “L'apertura di una Cucina Sociale kosher a Milano, capitale italiana del volontariato, si inserisce perfettamente nel tessuto sociale e culturale di questa città tollerante, aperta, multietnica e multiculturale”, commenta Rav Igal Hazan, direttore della Scuola di Merkos. “Da sempre operiamo in un'ottica di collaborazione e costante dialogo con il territorio e questa iniziativa, aperta a tutta la cittadinanza, risponde ad un'urgente esigenza sociale dovuta alla pesante congiuntura economica”. Grazie ad una rete di volontari i pasti potranno essere ritirati presso la Scuola Merkos o distribuiti al domicilio di coloro che si trovano in forti condizioni di disagio. 41 DOVE E QUANDO FEBBRAIO 16 17 17.00 Centro Le Palme Pomeriggio di cabaret: Provaci ancora… Palme! DOMENICA ------------------------------------------------- 10.30 Adei Wizo Palazzo Cipolla, Via del Corso, 320 L U N E D I “Modigliani, Soutine e gli artisti maledetti” - Visita guidata alla mostra con Sara Procaccia Info e prenotazioni in sede 20.00 Tempio dei Giovani 20 23 GIOVEDI Isola Tiberina Ciclo di incontri di etica medica ebraica: Problematiche sull’inizio vita: contraccezione, fecondazione artificiale, cellule staminali, aborto (limiti e divieti) con Rav Riccardo Di Segni ------------------------------------------------Giochi di società: Divertiamoci giocando ------------------------------------------------- 10.30/14.30 Il PitigLiani 20.00 Tempio dei Giovani Ciclo di incontri di etica medica L U N E D I ebraica: Problemi sulla fine vita: informare il paziente e i parenti, trattamento dei malati terminali, eutanasia con Dott. Cesare Efrati ------------------------------------------------- 25 19.30 Adei Wizo Lezione di cucina: M A R T E D I I dolci parve per lo shabat ------------------------------------------------- 10.00 Adei Wizo Incontro di Torà MERCOLEDI con Rav Vittorio Della Rocca ------------------------------------------------- 11.00 Il PitigLiani Le domeniche del Pitigliani: Tra DOMENICA miti e realtà… cose che avreste sempre voluto sapere di ebrei ed ebraismo, con Claudio Rendina Li ggiudii nella Roma del Belli dal Cacamme a Baruccabbà 11.00 Diploma Universitario Triennale in Cultura Ebraica - UCEI 03 Centro Bibliografico Tullia Zevi Lezione del Dr Cesare Efrati Bioetica di inizio vita, introduzione Corso di Etica Medica Ebraica ------------------------------------------------- 20.00 Tempio dei Giovani Isola Tiberina L U N E D I Ciclo di incontri di etica medica 09 ebraica: Trapianti di organi e testamento biologico con Rav Gianfranco Di Segni ------------------------------------------------- 11.00 Diploma Universitario Triennale in Cultura Ebraica - UCEI DOMENICA Centro Bibliografico Tullia Zevi Lezione del Dr Cesare Efrati Bioetica di inizio vita, II Corso di Etica Medica Ebraica 13.00 Centro Le Palme Tutti a tavola! Pranzo al Centro Le Palme ------------------------------------------------- > A CURA DEL CENTRO DI CULTURA EBRAICA < APPUNTAMENTI FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 CENTRO DI CULTURA EBRAICA 42 Domenica 30 marzo ore 18.00 Jewish Community Center, via Cesare Balbo, 33 Il violinista sul Tevere concerto spettacolo dell’Orchestra Popolare Romana Ingresso libero fino ad esaurimento posti Info: 06 589 75 89 [email protected] www.culturaebraica.roma.it IL PITIGLIANI Gruppo Ghimel: tutti i giovedì alle 16.30 Programmi educativi Domeniche di ebraismo: continuano gli imperdibili incontri di attività e giochi per delineare e rafforzare la nostra identità ebraica e imparare l’ebraico! Prossimi incontri: 23 febbraio e 9 marzo dalle 10.00 alle 15.30, pranzo incluso. Info e prenotazioni: [email protected] Roberta 3395641847 065800539 - 065897756 (Giorgia) Chabad Lubavitch Roma presenta PURIM IN PIAZZA domenica 16 marzo dalle ore 10.30 alle 13.30 festa per tutta la famiglia - per informazioni tel. 06.86324176 20.00 Tempio dei Giovani Isola Tiberina L U N E D I Ciclo di incontri di etica medica In cucina con Giuliana Astrologo: MARZO 02 10 16.30 Centro Le Palme G I O V E D I Le orecchie di Amman 17.00 Centro Le Palme Seminario pratico di Metodo DOMENICA FELDENKRAIS®: L’uso degli occhi e del corpo in movimento con Irene Habib ------------------------------------------------- 24 26 27 12 13 ebraica: Malattia e pericolo di vita di shabat come comportarsi con Rav Benedetto Carucci ------------------------------------------------- 17.00 Centro Le Palme Parliamo della festa di Purim MERCOLEDI con Rav Vittorio Della Rocca ------------------------------------------------- 20.30 Il PitigLiani Incontro con il Talmud G I O V E D I e i suoi maestri con Rav Benedetto Carucci Viterbi ------------------------------------------------- 15 19.30 Il PitigLiani Il nostro purim S A B A T O Ore 19.30 speciale lettura della meghillà dalle donne per le donne a cura di Sira Fatucci e lettura tradizionale a cura di Davide Limentani. Ore 20.30 LE MILLE E UNA FESTA: Purim con odalische, sceicchi e beduini tra le dune del Pitigliani. Special Guest: Livio Anticoli. Musica dal vivo. Cena orientale sotto la nostra tenda e premio per la miglior maschera. Per i bambini: animazione, giochi, spettacoli, sfilata delle maschere e cena. Info e prevendite 065897756 (Diletta e Giorgia) Ore 21.00 purimusical festa over 16 Dj set, cena, open bar. Ingresso via dei Salumi. Info 065898061 (Federica) SHABAT SHALOM Parashà: Vaiakel Venerdì 21 FEBBRAIO Nerot Shabath: h. 17:32 Sabato 22 FEBBRAIO Mozè Shabath: h. 18:36 --------------------------------------------------Parashà: Pekudè Venerdì 28 FEBBRAIO Nerot Shabath: h. 17.41 Sabato 1 MARZO Mozè Shabath: h. 18.45 --------------------------------------------------Parashà: Vaikrà Venerdì 7 MARZO Nerot Shabath: h. 17.49 Sabato 8 MARZO Mozè Shabath: h. 18.53 --------------------------------------------------Parashà: Tzav Venerdì 14 MARZO Nerot Shabath: h. 17.57 Sabato 15 MARZO Mozè Shabath: h. 19.01 NASCITE BAR-BAT MIZVÀ Nathan Ascarelli di Daniele e Valentina Armetta Elior Sed di Angelo e Ilaria Calò Sara Funaro di Angelo e Alessia Anticoli Andrea, David Zarfati di Marco e Simona Campagnano Avner Fabio Efrati di Alessandro e Ilenia Limentani Benedetta, Mevorechet Sassun di Dan e Sara Moscati Daniel Caivano di Gavriel e Chiara Spizzichino Noemi, Linda Molayem di Iakov e Miriam Garcea Maayan Caviglia di David e Jenny Guetta Ruben, Leon Piperno di Alberto e Silvia Mazouz Moise Di Veroli di David e Flaminia Hannuna Elena Leonardi di Marco e Esther Livoli Leonardo Attia di Gian Morris e Vanessa Jacorossi David Bondì di Marco e Roberta Pavoncello Benjamin Pontecorvo di Armando e Shirly Tamman Camilla Pontecorvo di Armando e Shirly Tamman Vittorio Sermoneta di Fabio e Debora Vivanti Sarah Tocci di Paolo e Simona Di Porto PARTECIPAZIONI BIRCHONIM LIBRETTI Mazal Tov LITOS ROMA AUGURI Isac Halfon – Ester Joelle Sasson Il 31 dicembre Or Feldman, dopo dodici anni di lavoro in Italia, di cui gli ultimi sette nell’ufficio relazioni esterne della Comunità ebraica, è tornata a vivere in Israele. Una decisione sofferta ma presa con grande responsabilità. A salutarla, in una serata all’insegna dei suoi colori preferiti, moltissimi amici ebrei e non ebrei. Tra baci e qualche lacrima di commozione, la promessa di rivederci. In bocca al lupo. Ciao Or. Ciclo di incontri di etica medica ebraica a cura di Rav Roberto Della Rocca e di Fabio Gaj PROGRAMMA INCONTRI Gli incontri avranno inizio alle ore 20.00 presso i Locali del Tempio dei Giovani (Isola Tiberina) Il ciclo di incontri verrà introdotto da Rav Riccardo Di Segni e Prof Eugenio Gaudio · 3 Febbraio 2014 : Etica ebraica e medicina “il valore della vita nella tradizione ebraica: la vita è sempre un valore assoluto ?” Rav Roberto Della Rocca · 10 Febbraio 2014 : Il precetto di visitare i malati e di assisterli (le preghiere per i malati) Rav Roberto Colombo · 17 Febbraio 2014 : Problematiche sull’inizio vita: contraccezione, fecondazione artificiale, cellule staminali, aborto (limiti e divieti). Rav Riccardo Di Segni · 24 Febbraio 2014 : Problemi sulla fine vita: informare il paziente e i parenti, trattamento dei malati terminali, eutanasia. Dott. Cesare Efrati · 3 Marzo 2014 : Trapianti di organi e testamento biologico. Rav Gianfranco Di Segni · 10 Marzo 2014 : Malattia e pericolo di vita di shabat come comportarsi. Rav Benedetto Carucci · 17 Marzo 2014 : Medicine e kasherut. Rav Ariel Di Porto · 24 Marzo 2014 : L’etica medica durante la Shoah. Amedeo Spagnoletto · 31 Marzo 2014 : Psichiatria e etica medica. Prof. Gavriel Levi · 7 Aprile 2014 : Stato, comunità e diritti del malato. Rav Umberto Piperno È nato Nathan Ascarelli. I migliori auguri ai genitori Daniele Ascarelli e Valentina Armetta, alle famiglie, in particolare al nonno Gianni Ascarelli, assessore della CER. Mazal tov a Angelo Sed, assessore della CER, e a Ilaria Calò per la nascita di Elior. Vivissimi auguri a Dan Sassun e Sara Moscati per la nascita di Benedetta. Auguri alle famiglie e in particolare al nonno Claudio Moscati, assessore della CER. È nata Noemi Molayem. I migliori auguri ai genitori Iakov Molayem e Miriam Garcea, segretaria dell’Ufficio Rabbinico della CER. Lo scorso 12 gennaio a Firenze l’Assemblea rabbinica ha provveduto ad eleggere il nuovo Consiglio, così formato: Alfonso Arbib, Riccardo Di Segni, Alberto Funaro (primo degli eletti), Adolfo Locci e Giuseppe Momigliano. A tutti i rabbanim auguri di buon lavoro. Lo scorso 9 gennaio è prematuramente scomparsa dopo una breve malattia Patrizia Benfenati. La direzione esprime a rav Mino Bahbout le più sincere condoglianze. Lo scorso shabbat 2 novembre ad Herzlya è scomparsa Fiorella Di Tivoli Calò. Pur abitando da anni in Israele, Roma gli era rimasta nel cuore, tanto da spingerla a scivere “La mia Piazza. Raccolta di proverbi, soprannomi e ricordi’. A Edna, collaboratrice di Shalom e ai suoi fratelli Franco e Susanna, le condoglianze della direzione. CI HANNO LASCIATO Patrizia Benfenati in Bahbout 29/08/1959 - 09/01/2014 Bruno Funaro 09/07/1930 – 24/12/2013 Rubina Glam in Spagnoletto 02/05/1960 – 19/12/2013 Italia Lanternari ved. Citoni 20/09/1924 – 22/12/2013 Lidia Paggi 27/12/1914 – 10/01/2014 Samuele Piazza 25/09/1925 – 13/01/2014 Giuliana Piperno in Moreschi 11/09/1951 – 31/12/2013 Massimo Tagliacozzo 19/05/1940 – 24/12/2013 Giulia Terracina ved. Di Porto 11/09/1932 – 06/01/2014 Angelo Veneziano 17/04/1924 – 13/01/2014 IFI 00153 ROMA - VIA ROMA LIBERA, 12 A TEL. 06 58.10.000 FAX 06 58.36.38.55 FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 MATRIMONI 43 ROMA EBRAICA Ciclo di incontri di etica medica ebraica all’Isola Tiberina “L ’etica medica è uno dei temi più dibattuti nella società civile ed è uno dei punti principali della tradizione ebraica antica”, ha affermato Rav Roberto Della Rocca che, insieme al dottor Fabio Gaj, ha organizzato a Roma il ciclo di incontri di etica ebraica che nel mese di febbraio si svolgerà tutti i lunedì alle ore 20 presso i locali del Tempio dei Giovani sull’Isola Tiberina. Il valore della vita e l’assistenza ai malati, l’inizio e la fine dell’esistenza, i trapianti, l’osservanza dello Shabbat nella malattia, il rapporto tra medicine e le regole alimentari ebraiche, l’etica medica durante la Shoah, la psichiatria e l’etica ed i diritti del malato sono gli argomenti affrontati durante il corso. Rabbini, medici e psicologi illustreranno al pubblico la posizione della tradizione ebraica rispetto a questi temi importanti. Medicina e biologia sollevano problemi morali ed etici ai quali l’uomo cerca di dare una risposta; il rispetto della vita in generale è uno dei capisaldi della tradizione ebraica che da sempre è impegnata a trovare soluzioni pratiche ai problemi teorici: lo stesso tema di cui si occupa la bioetica, la nuova disciplina accademica che, coinvolgendo esperti di filosofia, religione, medicina, diritto, psicologia e scienza, cerca di fornire risposte agli interrogativi etici. “La natura è, secondo la Torà, al servizio dell’uomo il quale, però, deve rispettarla - ha affermato Rav Della Rocca - vi devono essere dei confini da non travalicare”. Il Dec ha già curato in Italia altre conferenze su questo tema e l’incontro con il dr. Gaj ha permesso l’organizzazione a Roma di un ciclo articolato che si preannuncia sicuramente interessante ed importante per tutti coloro che vogliono conoscere la posizione della tradizione ebraica su temi che ci riguardano tutti. L’iniziativa è organizzata Dipartimento Educazione e Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane insieme al Maghen David Adom (il corrispondente israeliano della Croce Rossa), all’Ospedale Israelitico, all’Associazione Medica Ebraica, al Gruppo Ebraico Donatori, al Centro di Cultura Ebraica, alla Fondazione Museo della Shoah di Roma ed all’Associazione Medici per il ricordo della Shoah. Silvia Haia Antonucci Unione Europea: antisemitismo in aumento per il 76% degli ebrei Italia meglio di altri Paesi C’ è tuttora un problema antisemitismo in Europa, e il suo livello, secondo il 76% di cittadini europei di origine ebraica, è aumentato in questi ultimi cinque anni. È quanto emerge da un’indagine condotta dall’Agenzia Ue per i diritti fondamentali (FRA) tra le comunità ebraiche in otto stati membri, tra cui l’Italia (oltre a Francia, Belgio, Gran Bretagna, Germania, Ungheria, Lettonia e Svezia). L’Italia (68%) è tra i paesi in cui, insieme a Germania (anche 68%), Gran Bretagna (65%) e Lettonia (39%), appare comunque minore la percezione che il problema si sia aggravato. In generale è in aumento la paura tra i membri delle comunità ebraiche europee di poter essere vittima di attacchi o violenze fisiche nei prossimi 12 mesi: in media è preoccupato il 33%, con i picchi più alti in Francia (60%) e Belgio (54%), mentre si sentono meno a rischio gli ebrei in Italia (22%), Svezia (18%) e Regno Unito (17%). In posizione intermedia la Germania (34%). Quasi un ebreo su due (46%) pensa che potrà essere vittima di un insulto verbale, mentre per il 59% vi è anche un problema di antisemitismo nei media. A giocare un ruolo pesante sulla sensazione di sicurezza delle comunità ebraiche nei paesi Ue è anche l’andamento del conflitto israelo-palestinese, che ha un impatto per il 68% degli intervistati che sale al 93% in Belgio, al 90% in Francia e al 74% in Italia. Al punto che il 91% degli ebrei in Italia (record il Belgio con il 93%, poi Francia 87%), e in media l’80% di tutti gli intervistati, si sente accusato dai connazionali per quanto fa il governo d’Israele. “L’antisemitismo è tuttora una dura realtà in Europa”, ha denunciato il direttore dell’Agenzia per i diritti fondamentali Morten Kjaerum, “in parte è rumoroso e violento, ma è spesso più sottile e accettato quietamente”. Per questo, ha avvertito, “per andare avanti bisogna affrontare i pregiudizi antisemiti nel modo più fermo e a ogni livello della società”. Funerale con inumazione nel cimitero Flaminio: FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 Prima agenzia a Roma certificata ISO 9001:2008 44 - Autofunebre Mercedes - Feretro completo di accessori - Atto di morte e mod. 10 per inumazione - Auto assistenza al servizio (Rabbino) - Valletti per trasporto a spalla del feretro - Diritti di agenzia TOTALE: € 1.680,00 06.863.222.83 - 24H Via R. Lanciani, 65 - 00162 Roma WWW.BOUSQUET.IT - TRASPARENZA - QUALITÀ - CONVENIENZA LETTERE AL DIRETTORE Un dolore Desidero esprimere il mio dolore per l’oltraggio alla Comunità ebraica di Roma. Un forte shalom. Rosa Maria Perrera Solidarietà Egr. Direttore, a nome mio personale e di tutto l’Ufficio storico desidero formulare la mia piena solidarietà alla comunità ebraica che è stata così vilmente oltraggiata nel giorno in cui si ricordano le vittime del nazismo. Col. Antonino Zarcone Vi chiedo scusa Tenevo a inviare le mie scuse come cittadina italiana. Non sono ebrea, ma vi ho sempre considerato, per usare una frase cara al papa Giovanni Paolo II, i miei fratelli maggiori, perché i vostri testi biblici fanno parte anche della mia religione. Ai miei figli e ai miei alunni ho sempre illustrato il genocidio perpetrato nei lager e la giornata della memoria, così vicina, è sempre nella mia mente e nel mio cuore. Ho potuto visitare solo Dachau, ma sentivo di dover visitare uno dei luoghi dell’orrore, anche se avrei voluto ancor più recarmi ad Auschwitz-Birkenau, Bergen Belsen, Mauthausen, dove l’abominio è arrivato ai massimi livelli, per meditare sul mio orrore e pregare il Signore per chi si è perduto in quei luoghi. Vi chiedo scusa per il gesto così inqualificabile ricevuto e per la malvagità e codardia di persone che hanno disonorato l’umanità, al pari di chi ha ideato e portato a termine l’Olocausto. Grazie per la cortese attenzione e un caro saluto: “Colui che ti ha donato ogni bontà, possa Egli continuare a concederti ogni bontà. Selah”. Con simpatia. Gisella Mancini, Pesaro Sdegno e disgusto La Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo, manifesta tutto lo sdegno ed il disgusto per i gravi atti di antisemitismo compiuti a Roma da vandali razzisti in occasione della celebrazione della giornata della memoria del 27 gennaio prossimo venturo. Esprime piena solidarietà alla comunità ebraica e invita a mantenere sempre viva la memoria della Shoah affinché non si ripeta mai più l’orrore del genocidio operato dai nazisti. Alfredo Arpaia, Presidente della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo Un grave caso di bullismo Caro Direttore, ti scrivo questa lettera per denunciare quello che sta accadendo a mia figlia nella scuola media Angelo Sacerdoti. Da circa metà novembre mia figlia, frequentante la seconda classe della suddetta scuola media, è oggetto e bersaglio di una gravissima attività di attacco psichico e psicologico posta in essere nell’ambiente scolastico. Le vengono recapitati con frequenza giornaliera messaggi anonimi, in primo tempo telematici ed ora cartacei, contenenti ingiurie e derisione di una tale volgarità e cattiveria che ritengo più opportuno non riportarli in questa lettera. Questi stessi insulti sono stati inoltre anche più volte scritti a caratteri cubitali sulla porta del bagno. Fin dall’inizio della vicenda ho informato il Preside e alcuni professori di ciò che stava accadendo. Visto che non si otteneva alcun risultato e visto che gli insulti persistevano e diventavano sempre [email protected] più pesanti ho provveduto il 13 dicembre a fare una denuncia penale per stalking alla polizia postale. Ho provveduto io stessa ad informare i genitori della classe di tutto quello che stava accadendo. Sempre da sola ho chiesto ad altri genitori i cui figli avevano ricevuto telefonate anonime che riportavano sempre ingiurie contro mia figlia, di integrare la mia denuncia. Sempre io ho informato il Presidente della Comunità e l’assessore alle scuole. In questa situazione devo rilevare che i Professori ed in particolare la prof.ssa Marina Tortora che voglio ringraziare pubblicamente si sono e si stanno adoperando per l’individuazione del o dei responsabili. Purtroppo non posso dare il medesimo giudizio sulla Presidenza che si è limitata a qualche giro nelle classi e a tante belle parole. - Non è stata diramata alcuna comunicazione ai genitori su quello che sta succedendo e solo dopo due mesi è stata convocata una riunione con i genitori delle seconde medie. - Non si è neppure pensato di informare tempestivamente tutti i professori di ciò che stava accadendo tanto è vero che io stessa ho informato diversi professori durante i colloqui in data 9 gennaio 2014. - Non si è ritenuto opportuno imporre alcun tipo di forte sanzione disciplinare (5 in condotta, sospensione) a tutti in modo da rompere il muro di omertà. - La scuola non ha neppure ritenuto di fare essa stessa una denuncia nonostante la gravità della situazione. Ormai ho affidato tutta la pratica ad un avvocato in modo da sollecitare l’intervento dell’autorità giudiziaria per porre definitivamente fine a questa persecuzione che colpisce la stabilità psicologica di mia figlia e di tutti noi della famiglia. Io e mio marito siamo intenzionati a tutelare legalmente nostra figlia in ogni sede, e nel modo più fermo possibile, contro chiunque risulterà responsabile di quanto sopra riferito, ed anche nei confronti della Scuola stessa per non aver impedito che si verificassero, e poi che continuassero, tali condotte illecite. Sono veramente arrabbiata e non posso non chiedermi dove sia l’ebraicità di questa scuola che si limita ad imporre l’ingresso alle 8.00 per fare tefillà e non si preoccupa minimamente di perseguire ed insegnare i valori fondamentali del derech ahaim. Dalida Sassun Caro Direttore, ogni atto di bullismo e di intolleranza è una sconfitta per la scuola dove questo avviene e per le famiglie di coloro che sono i responsabili di atti gravi nei confronti dei propri pari. Ed è una sconfitta anche per una comunità (non qui in senso istituzionale) che, pur investendo a parole molto sul tema della tolleranza, evidentemente non riesce a sradicare la possibilità che certe cose accadano (e non solo tra ragazzi o adolescenti, a quanto mi risulta). In questo senso ciò che segnala la signora Sassun, la cui figlia ha tutta la mia solidarietà e tutto il mio appoggio, è certamente anche una mia sconfitta. Mi preme però rispondere in forma brevissima alle critiche sollevate nella lettera - diffuse anche nella rete - affinché i tuoi lettori possano giungere alle loro autonome conclusioni - Si è deciso di non coinvolgere da subito tutti i genitori come forma di protezione nei confronti della bambina. L’eccesso di parole e di apparenti informazioni, spesso morboso e fuorviante, non le sarebbe stato di aiuto ed avrebbe ulteriormente appesantito la sua condizione emotiva. La riunione di cui si parla è stata convocata il giorno del rientro dalle vacanze invernali. In termini di tempo scolastico, una settimana dopo che la famiglia ha sporto denuncia alla polizia postale. - Gli insegnanti delle classi interessate sono stati immediatamente informati e si sono - tutti - attivati per cercare di individuare i FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 vocedeilettori La 45 LETTERE AL DIRETTORE FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 responsabili e per sostenere la bambina. E’ superfluo sottolineare che in una scuola le iniziative, anche se portate avanti da singoli, sono condivise dal corpo docente e dalla direzione. Certamente alcuni insegnanti del liceo non erano al corrente dei fatti (è a questi che si riferisce la signora Sassun): perché avrebbero dovuto? - Sanzioni disciplinari generali preventive, dunque non comminate sulla base di una responsabilità oggettiva e personale, non sono ammesse dalla legge (v. art. 4 del DPR 21 novembre 2007, n. 235). Non dovrebbero essere ammesse, né invocate, anche se non fossero regolate da norme: la nostra storia e la nostra cultura dovrebbero suggerircelo. - Ho accompagnato personalmente la signora Sassun alla polizia postale, presso la quale ha sporto denuncia, per chiarire ai funzionari le dinamiche dei fatti; dinamiche di cui ho poi fatto formale segnalazione. La scuola, oltre a far fare la tefillà ai ragazzi, cerca anche di insegnare loro i valori fondamentali del derech eretz (tra i quali è compreso anche l’astenersi dalla calunnia): non sempre ci riesce. Così come non sempre noi adulti riusciamo a praticarli tra noi. Benedetto Carucci Viterbi, Preside della scuola media Angelo Sacerdoti 46 Gentile signora Sassun, o meglio cara Dalida, Innanzitutto voglio esprimere la mia vicinanza e solidarietà alla tua famiglia e la mia sincera preoccupazione per lo stato di sofferenza e disagio di tua figlia. E’ indubbia la disponibilità e l’impegno per addivenire ad una rapida definizione della vicenda attraverso l’uso di tutti gli strumenti di accertamento e controllo di cui disponiamo nella scuola, con le cautele necessarie per tutelare tutti i minori. Siamo evidentemente consapevoli che le problematiche ed i disagi dei ragazzi sono divenuti (come nel mondo degli adulti) sempre maggiori e più complessi. I fenomeni di bullismo e stalking sono in rapido e dilagante aumento, anche perché, in molti casi, legati al sempre maggior uso da parte dei ragazzi degli strumenti informatici. E’ per questo che già da diverso tempo abbiamo promosso nella scuola attività periodiche di prevenzione con le forze dell’ordine (carabinieri polizia, polizia postale), con psicologi specializzati e con progetti mirati (laboratori teatrali, ecc.) sempre seguiti dall’equipe psicologica della scuola che si occupa anche della sensibilizzazione degli insegnanti su questi temi. E’ evidente che i tempi della scuola purtroppo non sono i tempi della società, della rete e dell’evoluzione dell’uso degli strumenti da parte dei bambini anche perché l’educazione è un processo lento e la scuola non può e non deve perdere di vista questo suo primario obiettivo. Ribadisco che è inaccettabile la sofferenza di un bambino, di nessun bambino, a maggior ragione in un ambiente che dovrebbe garantire e tutelare la sua educazione e serena formazione di individuo ma il ruolo ed il compito della scuola può giungere a compimento solo se anche le famiglie tutte condividono le stesse finalità ed in questa sinergia e reciproca fiducia potremmo certamente giungere ad una soluzione e portare avanti il nostro comune obiettivo. Un abbraccio. Ruth Dureghello, Assessore alle scuole Grazie allo staff della Casa di Riposo Il 13 gennaio nella Casa di Riposo Le Palme è venuto a mancare nostro padre Angelo. Volevamo ringraziare tutto lo staff della Casa di Riposo per la professionalità e l’umanità con cui hanno accompagnato nostro padre negli ultimi giorni della sua vita stando nel contempo vicini umanamente a noi in un momento cosi difficile. Grazie di cuore a tutti. Lello e Marco Veneziano Un grazie collettivo Egregio direttore, a nome mio personale e dell’intero consiglio dell’Italian Council for a Beautiful Israel desidero ringraziare tutti. Il presidente della Commissione Ambiente Roma Athos De Luca con il quale è decollata l’iniziativa, le scuole Renzo Levi (rav Carucci, la prof. Liberati e l’assessore Dureghello) e Regina Margherita (prof. ssa Nuccitelli) con oltre 100 ragazzi, il Ministro Chiara Carrozza ed il suo staff, il Sindaco Ignazio Marino, il suo staff ed il cerimoniale, la segreteria del Sindaco Carla Di Veroli, la Sovraintendenza dei Beni Culturali dott. Cerioni, rav Riccardo Di Segni, l’assessore Estella Marino ed il suo staff in particolar modo Riccardo Camilleri, tutto il 1 Municipio, il presidente Sabrina Alfonsi, gli assessori Anna Vincenzoni ed Alessandra Ferretti, il servizio giardini con Claudio Turella, la sicurezza, l’Ags, il commissariato, la polizia municipale, l’ambasciatore d’Israele Naor Gilon ed il gruppo Smemoranda (Nico Colonna e Valeria Bodanza) senza i quali non avremmo potuto festeggiare a Roma Tu bishvath 5774. Un evento che tutta la città ricorderà con piacere. Invito tutti ad andare a vedere la targa ed i giardini restaurati fra Viale Trastevere e Viale Morosini. Una gran bella soddisfazione, un bel dono che una associazione ambientalista e per il decoro urbano come la nostra può e deve fare alla città. Dario Coen Sui fatti di via Balbo, n. 1 Non è mai elegante parlare di sé e me ne scuso con i lettori. Dopo giorni di sofferenza, rabbia, dolore, momenti che non avrei mai voluto vivere, sento il bisogno di fare chiarezza. Ho questa necessità dopo i fatti del 14 gennaio scorso, in occasione della presentazione del libro “Sinistra e Israele”, trasformatasi in trauma ed evento di cronaca. Una manifestazione che ho organizzato e di cui mi assumo la responsabilità, facendo teshuvà: ho sottovalutato quanto questo evento avrebbe urtato la sensibilità di una parte della nostra comunità, accendendo sentimenti che vanno innanzitutto riconosciuti, poi compresi e infine anche affrontati. La mia intenzione era organizzare la presentazione di un libro interessante, e decisamente a favore di Israele, con una serie di oratori qualificati; un’iniziativa che contribuisse al dibattito interno alla sinistra italiana sul ruolo di Israele e sull’esigenza di sviluppare una nuova concezione, in questo campo, della mia parte politica. Una scelta che era ovviamente discutibile. Ma che non può giustificare il clima di odio, sospetto, rancore, violenza verbale e fisica creatosi prima, durante e dopo l’evento, non sempre ammansito, talvolta addirittura fomentato, da dirigenti comunitari. Nella mia vita, mi sono sempre speso per la mia comunità. Non progetto di costituirne altre, ma vorrei che la nostra fosse davvero unita. Una comunità che non lasci indietro nessuno: chi è in difficoltà economiche, chi la pensa diversamente da me, chi ha posizioni non condivisibili. Una comunità che non escluda. Degna dello Stato d’Israele, che è la casa di tutti noi. Ho difeso il diritto di parola di chi se lo vedeva negato la sera del 14. Sarei pronto a farlo anche in difesa di chi avesse opinioni diametralmente opposte e si vedesse negato il diritto di esprimerle. Anche se quelle opinioni non avessero neanche un punto di coincidenza con le mie. Mentre, la sera del 14 gennaio, uscivo precipitosamente dal Tempio di via Balbo, la sinagoga della mia famiglia da generazioni, pensavo... In questo luogo parlavo con mio nonno a Kippur prima di prendere la Berachà, qui ho ascoltato le prime volte il suono dello shofar, qui ho recitato le mie prime haftaroth. E in quel momento ero costretto a uscire di corsa, grazie all’aiuto di volontari della sicurezza professionali e generosi, che ho ringraziato personalmente. Mentre scendevo le scale, ancora incredulo, ho come rivisto alcune scene della mia vita, quelle che mi rendono intimamente legato alla mia comunità: l’incontro alle Palme a Rosh Ha-Shanà (insieme all’altro nonno); le chiacchiere fino a notte la sera di Kippur al Portico d’Ottavia; lo spettacolo meraviglioso e unico della mattina di Hoshanà Rabà; le messiboth del venerdì a scuola (si fanno ancora?); i dolci di Boccione. E naturalmente i lutti, radicati profondamente nei nostri cuori: il 16 ottobre 1943; le Fosse Ardeatine, che alla mia famiglia portarono via il bisnonno Alberto Di Nepi; l’attentato alla Sinagoga del 1982 con l’assassinio di Stefano Gay Taché. Alla luce dell’amore che nutro per la mia comunità penso sia Sui fatti di via Balbo, n.2 Questo testo è stato scritto con il conforto, e quindi la condivisione della stragrande maggioranza di coloro che la sera di martedì 14 gennaio, hanno contestato la presenza di alcuni personaggi non graditi, nei locali Comunitari di Via Balbo. Durante uno scorso shabbat, al termine della Tefillà, ho avuto modo di parlare con un Rav ed un ragazzo, su quanto successo martedì, questi, anche se con parole differenti, hanno espresso un loro parere. Parere che in poche parole riassumo così: chi, in un confronto di idee, non riesce a portare fino al termine di esso argomentazioni valide a sostegno della propria tesi ed arriva in ultimo, alla violenza fisica o verbale, quella persona ha torto e non ha giustificazioni per il suo modo di agire. Queste parole mi hanno colpito molto, anche perché dette da persone nei confronti delle quali provo stima ed affetto. La notte ho riflettuto molto su quanto ascoltato, la mattina mi sono confrontato con alcuni amici ed insieme, abbiamo voluto mettere per iscritto ciò che era frutto delle nostre considerazioni. Siamo stanchi di spiegare: che i missili lanciati su Israele, cercano con determinazione cinica, di fare strage tra i civili; che, quando l’esercito israeliano fa una qualche azione militare, questa non è gratuita, essa è sempre stata fatta solo ed esclusivamente per la difesa dei suoi cittadini, oppure dalla esigenza di fermare un qualche attentatore, con aspirazione al martirio. Siamo stanchi di sentire che queste reazioni vengono chiamate esagerate o sproporzionate. Siamo stanchi di spiegare a certe persone che le centinaia di ragazzi israeliani che trovandosi ad un Chek point, avendo ricevuto l’ordine, anche se si avvicina un bambino anche di soli 10/12 anni, debbono fermarlo a cento metri dal controllo e se c’è ne è l’esigenza, o il sospetto, debbono fargli togliere gli indumenti che indossa, non sono belve insensibili, desiderosi solo di far valere la forza bruta grazie alla divisa che indossano. Come spiegare a quegli ipocriti, che vedono e comprendono solo ciò che gli fa comodo, che ci sono stati decine di precedenti, con bambini di 10 o 12 anni, i quali imbottiti di esplosivo venivano mandati verso i militari per farsi saltare in aria e che quello di fermarli a distanza è un ordine a salvaguardia della vita di questi ragazzi/soldato che certamente preferirebbero trascorrere le loro serate in discoteca, con la loro ragazza, a quella di fare 3 lunghi anni di militare. Siamo stanchi di cercare, usando tutte le argomentazioni possibili, di far comprendere che ciò che viene, in modo dispregiativo, chiamato “muro”, ha salvato migliaia di civili ed ha diminuito gli attentati del 92% negli ultimi anni. Siamo stanchi di ascoltare chi, in modo assillante e ripetitivo, dichiara che Israele non è uno Stato ebraico, trovi ospitalità nei nostri edifici. Come far capire loro, l’indissolubilità del legame che c’è tra ogni ebreo nel mondo e lo Stato d’Israele. In quale libro possiamo trovare parole più chiare ed inequivocabili, di quelle riportate ben 5 volte sulla “Teudà shel Medinat Israel”, parole che affermano e ribadiscono, senza ombra di dubbio che lo Stato d’Israele è il focolare del Popolo Ebraico, che lo Stato d’Israele è storicamente e quindi per diritto uno Stato Ebraico. Ancora peggio e più devastante per noi, è che a fare affermazioni infamanti verso Israele, spesso troppo spesso, non sono solo coloro che dietro il loro vituperato antisionismo, celano in modo evidente e sfacciato un antisemitismo viscerale ed ancestrale, ma sono persone che si definiscono ebree. Siamo stanchi che questi “ebrei”, con i loro atteggiamenti, sembra non si rendano conto che chi vive in Israele, ed oggi lì vivono anche centinaia di nostri amici e famigliari, rischia tutti i giorni la vita. Ascoltare affermazioni, come quelle fatte da un ebreo, che si sente in dovere di prendere le distanze dai sentimenti di fratellanza, che tutti gli ebrei, in ogni dove, hanno provato nei confronti di una famiglia ebraica, padre, madre e 3 bambini sgozzati nei loro letti in Israele ci rattrista ed indigna. Vedere un “ebreo”, mentre noi FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 importante chiarire alcuni punti che, pur riguardandomi, possono essere di interesse generale. La gran parte della mia famiglia vive in Terra d’Israele dal 1938. Siamo alla quinta generazione di sabra. Ho passato in Israele periodi lunghi fin dall’infanzia e lo considero un paese straordinario, cui ogni ebreo nel mondo è naturalmente e deve essere legato. Mi sembra del tutto pleonastico affermare che difendo - come tutti gli ebrei che conosco, del resto! - il diritto all’esistenza dello Stato d’Israele. Posso aggiungere che sul piano intellettuale considero oggi insensata la differenziazione tra antisemitismo e antisionismo: chi dichiara di essere contro l’esistenza dello Stato d’Israele esprime, forse inconsapevolmente, la moderna tipologia di antisemitismo. Sul piano politico penso che siamo tutti d’accordo che si possano criticare le scelte dei vari governi israeliani. Può essere utile però spiegare una conseguenza di metodo: ad eccezione di alcuni casi veramente rarissimi di “odio di sé”, ogni ebreo che critica Israele non lo fa “tanto per”, ma perché ritiene che quello sia il modo più efficace di difenderlo e di assicurargli un futuro di pace e sicurezza. L’obiettivo è comune a tutti noi. Com’è ovvio, ritengo che tutti gli uomini dovrebbero essere “fratelli” e che a maggior ragione questo sentimento nobile debba albergare tra gli ebrei. Al tempo stesso considero un controsenso brandire la “fratellanza” come uno strumento di esclusione nei confronti di altri ebrei che hanno posizioni diverse dalla maggioranza. Non conosco Marco Ramazzotti Stockel, non ho il suo numero di telefono, non ci ho mai parlato, confesso che fino a pochi giorni fa non ero neanche a conoscenza di quello che ha fatto. Dopo quella serata, ho rifiutato le molte interviste che mi sono state chieste come “protagonista” della serata. Non è uscita una mia dichiarazione né un mio commento su Facebook o Twitter. Mi pare che questa sia la risposta più efficace per quelli che – facendo lashon harà – descrivono mie fantomatiche “strumentalizzazioni” politiche. Niente di quello che è emerso sugli organi di informazione è partito da me, e sfido chiunque a dimostrare il contrario. Non credo che esista un modo migliore o peggiore di essere ebrei. Personalmente ho avuto vari incarichi e ho sempre cercato di fare quello che posso e di aiutare come potevo: organizzando eventi – dai campeggi invernali per giovani ebrei italiani alle Maccabiadi alle presentazioni di libri –, promuovendo occasioni di aggregazione e incontro, sostenendo la Deputazione. Non penso di essere più bravo di altri, ma nemmeno di dover continuamente subire un “processo” sulla base di insinuazioni. Tanto più nel caso specifico: se avessi ragionato cinicamente e strumentalmente, non avrei certo organizzato la serata del 14 gennaio! Da qualche anno ho fondato l’Associazione di cultura ebraica Hans Jonas (www.hansjonas.it), che sostanzialmente si occupa di fare tre cose: corsi di formazione per giovani ebrei italiani (siamo giunti alla IV edizione quest’anno, per un totale di circa 80 studenti); promuovere progetti di ricerca e culturali (l’ultimo in ordine di tempo è la traduzione in italiano del libro di David Ben Gurion “Cosa significa essere ebreo?”); organizzare convegni su temi politico-culturali aperti a ebrei e non ebrei. La nostra associazione è nazionale e rispetta le norme della kasheruth e dell’halachà. Infine, il mio impegno politico. Nella mia attività di militanza in un partito o in altri contesti ho sempre sostenuto le mie tesi di Uomo libero e di Uomo ebreo libero. Per evitare di creare confusioni pericolose, quattro anni fa mi sono dimesso dal Consiglio della CER e da allora non mi sono mai più ricandidato. Ho interpretato in maniera restrittiva il codice “morale” che la dirigenza comunitaria si è data in proposito anni fa. Quello che faccio all’interno del PD e all’esterno della comunità – poco o tanto, male o bene – è frutto di dieci anni di impegno e militanza, vittorie e sconfitte, e non ha niente a che vedere con il mio impegno ebraico, che, per quello che mi riguarda, davvero non aggiunge nulla in termini di “carriera”. Tobia Zevi 47 LETTERE AL DIRETTORE FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 tutti, piangevamo per i bambini di Tolosa, uccisi solo in quanto ebrei, sostare all’interno del nostro Beth ha Keneset, senza la kippà in testa, ridere con i suoi amici, non può passare inosservato ai nostri occhi e neanche ai nostri cuori. Siamo stanchi di coloro che, in nome della democrazia, in nome del confronto delle idee, in nome del diritto ad esprimere le proprie idee, si definiscono “Ebrei per la pace” come se tutti gli altri amassero la violenza e desiderassero la guerra. Siamo stanchi di sentire denigrare ed offendere ciò che noi, insieme alle nostre famiglie ed al nostro Popolo amiamo di più, lo Stato d’Israele. Qui non si parla, come strumentalmente si vorrebbe far credere, di idee o vedute differenti sulla politica Israeliana, non si parla dei coloni o dei “territori” non si discute come è meglio arrivare ad un accordo di pace o chi è più adatto a fare il Primo Ministro d’Israele. Queste considerazioni, le lasciamo agli israeliani ed alla loro democrazia. No, queste persone non possono dire di amare Israele e quindi di agire negli interessi di questo Stato, essi non possono amare Israele e contestualmente utilizzare la loro ebraicità, chi per avere visibilità nel proprio lavoro, chi per meglio accreditarsi verso i loro amici di partiti politici o chi, per ricevere applausi, da un pubblico che già antisionista, probabilmente è anche antisemita. Queste persone che fanno i loro interessi sono deleterie e pericolose per la nostra Comunità e per tutto il Popolo d’Israele. Se invece a vituperare Israele, vengono invitate, persone estranee alla nostra Comunità, non gli si deve mai più permettere di portare il loro odio all’interno delle nostre istituzioni o locali. Noi, siamo convinti e certi, che la stragrande maggioranza della nostra Keillà, condivide le nostre idee. Noi tutti vogliamo e desideriamo la pace, la shalom abait per noi, per la nostra Comunità e soprattutto per Eretz Israel, di pari passo, a chi fa della provocazione la sua professione, lo invitiamo, con la massima serietà, a ricordarsi della battuta di Alberto Sordi davanti ad un bel piatto di pasta. Settimio ‘Mino’ Di Porto 48 Sui fatti di via Balbo, n.3 Nel maggio 2011 Shalom pubblicò una mia lettera in cui scrivevo che l’assassinio orripilante della famiglia Fogel nell’insediamento di Itamar doveva spingere a meditare, a ragionare, a un atto di shiva, di affetto e di cordoglio. Non ho mai scritto né pensato che non sentissi quella famiglia come “fratelli”. Ero angosciato come tutti per questo tragico lutto. Mi dispiace di avere usato allora parole inadatte. Penso anche io che il popolo ebraico, di cui faccio parte, io e la mia famiglia, sia unito da una storia materiale e spirituale comune, di fratellanza. Ma usare questa polemica sui “fratelli” come strumento di esclusione contro di me o altri da luoghi che dovrebbero appartenere alla Comunità tutta non è tollerabile. Si è fratelli davvero se si ha integrità morale, se non si compiono atti violenti contro altri – ebrei e non -, se si rispettano gli avversari. Tutto ciò non ha nulla a che vedere con il dibattito e la diversità delle idee. Come ho scritto o detto in altri articoli e interventi pubblici, echeggiando le posizioni di molti israeliani ed ebrei della Diaspora, ritengo che l’espansione di insediamenti israeliani in territori densamente abitati da palestinesi rischia di pregiudicare il futuro di Israele come stato ebraico e democratico, in condizioni di pace e sicurezza, cosa che mi sta a cuore profondamente e per il quale lotto da più di 40 anni. Invece, tre anni fa la reazione fu una scritta offensiva sui muri della scuola ebraica di Roma, un luogo che dovrebbe essere dedicato al rispetto dell’altro e all’educazione al confronto delle idee. Ancora oggi poi, in occasione di un dibattito su “Sinistra e Israele” organizzato dalle associazioni Hans Jonas e Jcall-Italia, si è ricorso ad intimidazioni e offese violente alle persone, impedendo un confronto civile di opinioni. E’ urgente che, oltre alla condanna, vi sia un impegno educativo serio perché episodi del genere non accadano più in questa Comunità, come il Rabbino Di Segni ha esortato qualche sera dopo quanto avvenuto in Via Balbo. Giorgio Gomel Sui fatti di via Balbo, n.4 Sì, violenza inaccettabile, e non parlo di quella delle varie posizioni antisemite che stanno attraversando la nostra Europa ultimamente in maniera tremendamente pericolosa, no, parlo della violenza a cui ho assistito martedì 14 gennaio alla presentazione di un libro nei locali comunitari di via Balbo a Roma, comportamenti per i quali sono ancora scossa. Il libro in questione si intitola “Sinistra e Israele. La frontiera morale dell’Occidente” di Fabio Nicolucci. La sala era incredibilmente gremita di pubblico e di personalità della cultura. Bene, ho pensato, finalmente un argomento così importante e delicato suscita vero interesse! Sono ebrea e sono di sinistra. Ero seduta in ultima fila e dietro di me avevo un nutrito gruppo di ragazzi abbastanza giovani a cui ho chiesto se facevano una specie di servizio d’ordine, impressionata dalle loro espressioni sicure e solide. Mi hanno risposto di non preoccuparmi che mi avrebbero protetta. Mah, a dire la verità in quel momento ho cominciato a preoccuparmi. Dopo pochi minuti, ancora prima che iniziasse la presentazione, si sono letteralmente avventati su un signore che era seduto a due posti da me dicendogli “tu sei Marco Ramazzotti Stockel?” e il signore ha risposto di sì. Lo hanno sollevato di peso e a spintoni, dicendo a noi “non aprite bocca, non vi immischiate!”, l’hanno concitatamente sollevato e buttato fuori. Chiunque fosse Marco Ramazzotti Stockel (ora lo so, mi sono informata) era stato accuratamente perquisito come tutti noi all’ingresso e quindi non poteva essere pericoloso sul piano fisico, poteva solo pericolosamente parlare, poteva solo esprimere opinioni, forse pericolosamente diverse da quelle di altri. Da quando ero piccola mi hanno bene insegnato che i fondamenti dell’ebraismo sono il dubbio, la discussione e i frutti che ne nascono, l’uso della parola come arte di scambio tra cuori, anime e cervelli. Ed eravamo nei locali del Tempio di via Balbo. E questa è violenza. Dopo che ha finito di parlare Emanuele Fiano, in maniera estremamente equilibrata e intelligente sento un trambusto dietro di me e il “nutrito gruppo di ragazzi” alza un grande striscione che ho stentato un po’ a capire “Torna a Gaza Giorgio” con la foto di Lassie: Giorgio Gomel reo, anche lui, di avere posizioni di sinistra. Lo striscione è stato fatto abbassare con sorrisetti di condiscendenza, salvo che poi è stato rialzato ed è rimasto in alto. E questa è violenza. Sono uscita per paura (verso la mia coscienza, ovviamente) che solo un secondo di più in quella sala potesse essere scambiato per complicità o connivenza. Non ho voluto restare in quel luogo e in quella situazione in cui era stato non solo permesso ma incoraggiato (e forse anche ben organizzato) qualcosa di orribilmente facinoroso. Mi dispiace solo di non avere avuto la presenza di spirito di salutare ad alta voce il mio amico Giorgio mentre uscivo. Ci ho pensato dopo. Sordi, i ragazzi, perché non erano lì per ascoltare, non hanno ascoltato neanche una parola, prede eccitate dalla adrenalina delle loro bravate. Inutile per loro l’intelligenza degli interventi, anzi, inutile per loro l’intelligenza! Non sono abituati ad ascoltare, evidentemente, ma solo a dimostrare il loro potere. Ascoltare è già segno di intelligenza. I due episodi connotano inequivocabilmente un atteggiamento violento, prevaricatore, ignorante, arrogante e offensivo, in altre parole fascista. Cresciamoli così i nostri giovani ebrei, fanatici e ignoranti! Chi tappa la bocca a un essere umano è fascista, chi offende con protervia e ignoranza è fascista, chi non accetta opinioni diverse dalle proprie è fascista. Mi sono cancellata dalle liste della Comunità Ebraica di Roma. Non sono un’ebrea di quelle che contano, non ho mai partecipato a nessuna iniziativa comunitaria. La Comunità non perde granché, tranne il mio contributo, non sono né religiosa né credente, ma ogni anno ho pensato che magari anche con il mio contributo chi invece ci crede può frequentare le scuole, le attività, le sinagoghe, i servizi, e poi il museo. E poi per amore e rispetto di mio padre, di mia nonna Sui fatti di via Balbo, n.5 Spettabile Redazione, a seguito dei noti episodi avvenuti il 14 gennaio in via Balbo alla presentazione del libro: ”La sinistra e Israele” di Fabio Nicolucci è stato riferito da molti il clima di intolleranza e di violenza, che dai forum e dai giornali nazionali sembra essere stata “solo” violenza verbale. Voglio invece segnalare che la violenza è stata anche fisica e io ne sono stata una vittima. Quando la moderatrice Lucia Annunziata, ha chiuso l’incontro come le altre persone mi sono alzata e ho visto una signora avventarsi contro di me strillando e stringendomi le mani intorno al collo. Sono rimasta esterrefatta e sconvolta non capendo cosa stesse succedendo. Alcune persone l’hanno tirata indietro per staccarla dal mio collo, mentre io mi sentivo svenire. A quel punto mi ha allungato un calcio colpendomi al ginocchio sinistro. Segnalo, fra l’altro, che la sottoscritta ha su quella gamba gli esiti di una poliomielite infantile ed è riconosciuta portatrice di handicap grave. Sono tornata a casa dovendomi fermare a metà strada perché mi sentivo male. Il giorno dopo la gamba mi faceva male e il ginocchio era gonfio. Ho aspettato un giorno e la mattina di giovedì mi sono recata in ospedale a farmi visitare presso l’ambulatorio di Ortopedia. Mi hanno dovuto ridurre l’edema al ginocchio aspirando il liquido sinoviale e mi hanno prescritto di portare un tutore, di fare una risonanza e di tornare alla visita dopo 15 giorni. Non vi era stata da parte mia alcuna frase provocatoria, non vi era stata alcuna discussione con la signora, di cui solo successivamente ho saputo il nome. Per le possibili conseguenze fisiche e per il senso di solitudine che sto vivendo ho deciso di denunciare l’aggressore alle autorità competenti. Mi rimane lo sconcerto e il dolore profondo per una situazione così vergognosa all’interno della Comunità ebraica di cui faccio parte. Jane Hassan Le domande Gentile Direttore, i messaggi insiti nella lezione fattaci da Rav Rashi, dopo i fatti di via Balbo, sono e saranno motivo di grande riflessione sia per me personalmente, ma credo anche per tutti coloro che hanno a cuore la nostra Keillà. Al termine della “lezione”, Rav Di Segni ci ha posto, 7 domande sulle quali riflettere (personalmente le ho messe su carta, in modo di poterle avere sempre alla mia portata. Io, pur con le dovute distanze da quelle di Rav Rashì, mi permetto di porre altre 7 domande, queste molto più semplici, alle quali, con un semplice SI o un NO, si comprenderà chi siamo. Si è disposti ad affermare che: 1) Israele è lo Stato degli ebrei e che quindi è uno Stato Ebraico? 2) Che l’esercito d’Israele ha il diritto ed il dovere di difendere i suoi cittadini anche con azioni preventive? 3) Che Jerusalem è, e dovrà essere la capitale delle Stato d’Israele? 4) Che le varie crisi, economiche o umanitarie che ci sono a Gaza sono causate esclusivamente da chi li governa? 5) Che soltanto il Governo israeliano ha il diritto di decidere per il presente ed il futuro dello Stato d’Israele? 6) Che il dovere di ogni ebreo in golà è quello di sostenere senza se né ma lo Stato d’Israele, lasciando al Governo israeliano ed ai Suoi cittadini che lo hanno democraticamente eletto, il diritto/ dovere di fare le scelte più opportune? 7) Che l’ebreo in golà ha il diritto di esprimere dubbi e/o perplessità su decisioni prese dal Governo israeliano, siano esse politiche, territoriali o di qualsiasi altra natura, ma… esse non debbono essere frutto di godimento da parte dei goim, quindi non strumentalizzate per fini personali? Con 7 “SI” si viene promossi, con un “MA” rimandati, con un “NO” si viene bocciati. Cordiali saluti. Lello Mieli La libertà, un dono che viene dalla Torà Caro Direttore, come abbiamo già avuto modo di sottolineare altrove, una delle affermazione più contestabili di Eugenio Scalfari nel suo editoriale del 29 dicembre 2013 su «la Repubblica» è che «la legge mosaica non prevede libertà». La scoperta della libertà umana, la capacità di scegliere tra la via del bene e la via del male è uno dei più grandi doni che il pensiero biblico abbia fatto all’umanità. Contrapponendosi alla visione religiosa classica del Fato che condiziona totalmente ogni esistenza, al quale lo stesso Zeus, il sovrano degli dei, deve sottomettersi, la Torah invece sottolinea la capacità dell’uomo di autodeterminarsi: «Ti ho proposto la vita e la morte, la benedizione e la maledizione» (Dt 30,19). Sta all’uomo quindi la scelta del suo destino. Che Dio sia “vendicatore” significa che non è indifferente all’ingiustizia, ascolta il grido degli oppressi ed è toccato dalle loro sofferenze. La “collera” divina è segno del suo amore per l’umanità: «Casa di David, così dice Ha-Shem, amministrate la giustizia ogni mattina e liberate il derubato dalla mano dell’oppressore, altrimenti la mia ira divamperà come fuoco, si accenderà senza che nessuno la possa spegnere, a causa della malvagità delle vostre azioni» (Ger 21,11-12). Uomini e donne del mondo biblico non sono schiavi, anzi vengono liberati da ogni forma di schiavitù sia idolatrica che politica, a partire da quella liberazione dalla schiavitù egiziana che è l’evento costitutivo del popolo ebraico, esperienza fondante della fede ebraica e modello di liberazione umana in generale. Ha-Shem stesso quando per la prima volta si rivolge a Mosè si presenta come liberatore: «Ha-Shem disse: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi oppressori, conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto e farlo salire da quella terra a una terra buona e vasta, a una terra dove scorre latte e miele”» (Es 3,7-8). Dopo i lunghi secoli dell’antigiudaismo cristiano, cinquant’anni fa, a partire dall’incontro tra Jules Isaac e Giovanni XXIII, iniziò il lungo percorso che ha portato all’approvazione del documento conciliare “Nostra Aetate”. Seguire dopo quasi due millenni Marcione contrapponendo il vecchio Dio cattivo al giovane Dio buono, svilendo la Bibbia ebraica nella fallace illusione di dare maggior valore ai testi cristiani è una procedura dalla quale molti cristiani stanno faticosamente cercando di liberarsi. Suona paradossale che ora siano i laici a farla propria. Marco Cassuto Morselli e Gabriella Maestri Cerco testimonianze Gentile Signor Direttore, mi rivolgo a Lei per pregarla di pubblicare questa mia in tal maniera che possa risultare un avviso ai Suoi lettori, in particolar modo a quelli che hanno una bella età. Si tratta di riuscire ad identificare alcuni ebrei che, nell’immediato periodo dell’anteguerra, forse negli anni 1937-38-39, furono aiutati in un certo modo e possano ricordare ora quanto Le riassumo qui di seguito. Comunque il periodo è indicato senza alcuna certezza, solo per una ipotesi. Potrebbe essere diverso. Protagonisti, alcuni miei zii di Roma. Signora Geltrude Rocco, tedesca, moglie dell’Ing. Mario Rocco. La zia si prestò, in quegli anni, forse con passaporto diplomatico, a fungere da staffetta, Roma-Parigi, portando in Francia, nascosti in FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 e dei miei zii che per appartenere a questa Comunità hanno sfiorato la deportazione. E poi perché mi riconosco laicamente in una storia e in una tradizione. Da quando sono nata appartengo a questa Comunità quindi non è a cuor leggero che prendo questa decisione. Papà, nonna e gli zii non ci sono più e non se ne possono dolere, sono io che me ne dolgo ora, ma sono profondamente convinta di non voler far parte di una collettività in cui non mi riconosco per niente e che anzi rifuggo per la perdita dei suoi principi fondanti e fondamentali. Sara Modigliani 49 LETTERE AL DIRETTORE una sottoveste imbottita, svariate centinaia di diamanti di proprietà di ebrei che, subodorata la situazione in Italia, trasferirono così, all’estero, i loro capitali. Mia zia Gert, mi raccontò questa circostanza, nei primi anni 1980, prima di morire. Non mi ricordo se mi abbia precisato il numero dei viaggi compiuti. Mio zio, Mario Rocco, abitante allora in Via Panama, Roma, marito di zia Gert, fratello di Guido Rocco, noto Ambasciatore (mio zio Mario era un industriale operante nel comparto delle calzature ed era amico, forse socio, del noto signor Bata, ebreo ungherese, famoso calzaturiere di livello mondiale.) Mio zio Guido Rocco, ambasciatore, abitante allora in Via Tre Madonne, Roma, con moglie tedesca Berta Rocco, che potrebbe essersi prestato ad assistere l’operazione anche per le sue particolari possibilità ministeriali. Mia zia Gert mi raccontò che i viaggi diretta a Parigi li compiva in treno. Non mi parlò dei particolari e quindi non sono a conoscenza se partiva da Roma o anche da altra o da altre città italiane. Ricordo questa sua battuta: “Prima di partire sembravo la Madonna abbigliata per una processione”!! Sarei veranente felice di offrire a tutti gli ebrei amici e agli italiani questa testimonianza che riflette molto bene la discrezione caratteriale dei miei zii, i quali certamente, per ovvie ragioni, operarono in silenzio ma, ciò che mi rende fiero, conservarono il silenzio anche dopo la fine della guerra. Le confidenze furono fatte a me, nei primi anni 80. E l’aria era quella di chi era felice di aver aiutato gli ebrei in un momento storico amaro. Se qualche persona ricordasse, per esperienza personale oppure raccontata da altri, diretti interessati oppure testimoni, sarei molto grato se volesse riferire quanto a sua conoscenza al Rabbino di Roma, Dr. Riccardo Di Segni. Vi chiederei in ultimo di realizzare un certo passa parola perché probabilmente le persone di una bella età potrebbero non aver letto il vostro bel giornale. Grazie, gentile signor Direttore, per la cortese ospitalità che vorrà riservare a questa mia. Emmanuele Rocco Smokéd / affumicato: un gioco di parole. Una sfida nel segno di uno humor che non vuole offendere nessuno, ma sorridere di tutto. FEBBRAIO 2014 • ADAR RISHON 5774 Esiste una Rete ECO. La sigla ECO sta per Ebrei contro l’occupazione, e si intende la cosiddetta occupazione dei territori di Giudea e Samaria da parte dello Stato di Israele dopo la Guerra dei sei giorni. Smoked dice “cosiddetta” perché a termini di diritto internazionale si tratta di territori amministrati e gestiti in attesa di un accordo definitivo con l’Autorità Nazionale Palestinese. In ogni caso, Smoked sommessamente suggerisce a ECO un’altra denominazione. In tempi di antisemitismo ispirato alle farneticazioni del grande complotto, ci manca solo l’accusa di una strategia contro l’occupazione: che per la sintassi e il lessico spesso maltrattati della lingua italiana altro non significa che “ebrei a favore della disoccupazione”… Smokéd 50 PER LA VOSTRA PUBBLICITÀ Tel. 06.5565166 - Fax 06.55307483 Cell. 392.9395910 - [email protected] EBRAISMO INFORMAZIONE CULTURA SHALOMשלום Giacomo Kahn Direttore responsabile Paola Abbina Rebecca Mieli Silvia Haia Antonucci Daniel Mosseri Marina Caffiero Fiamma Nirenstein Giorgia Calò Angelo Pezzana Ariel David Umberto Piperno Jonatan Della Rocca Pierpaolo P. Punturello Donatella Di Cesare Jacqueline Sermoneta JacquelinediSermoneta Segretaria redazione Angelo M. Di Nepi Marco Spagnoli Piero Di Nepi Miriam Spizzichino Alessandra Farkas Francesca Tardella Ghidon Fiano Daniele Toscano Stefano Gatti Mario Venezia Giorgio Israel Ugo Volli Federica Manasse Antonino Zarcone David Meghnagi DIREZIONE, REDAZIONE Lungotevere Sanzio, 14 - 00153 Roma Tel. 06.87450205/6 - Fax 06.87450214 E-mail: [email protected] [email protected] - www.shalom.it Le condizioni per l’utilizzo di testi, foto e illustrazioni coperti da copyright sono concordate con i detentori prima della pubblicazione. Qualora non fosse stato possibile, Shalom si dichiara disposto a riconoscerne il giusto compenso. 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Invita dei nuovi amici per un caffe' Se siete interessati a portare a passeggio una coppia di persone anziane sole una domenica al mese od ospitarle a casa vostra per un caffè anche un paio di volte l'anno potete contattare La Deputazione Ebraica. I nostri ospiti più anziani anche se avanzano negli anni non invecchiano nello spirito e per gli accompagnatori potrebbe essere un’occasione per divertirsi tanto quanto i nostri ospiti. Aderisci già da oggi a questa nobile iniziativa e comincia il tuo Lunedì sapendo di aver contribuito a ridurre la solitudine dei tuoi nuovi amici più grandi. Viale di Trastevere 60 | Tel. 06 5885656 www.deputazioneebraica.com | [email protected] בס’’ד Che piatto sarebbe PASCARELLA? senza PASCARELLA PASCARELLA CARNI KASHER Roma - Via C. Pascarella, 24-26-28 Tel. +39 06/58.81.698 www.facebook.com/pascarellacarnikasher