“Il jutsu – hara – myo, cosa significano questi vocaboli giapponesi
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“Il jutsu – hara – myo, cosa significano questi vocaboli giapponesi
Corey Squarzoni. Ottava Lezione. “Il jutsu – hara – myo, cosa significano questi vocaboli giapponesi? Cosa li accomuna alle arti marziali? Quale è la loro rilevanza storico/culturale/filosofica nel bujutzu/budo?” Hara. Tradotto letteralmente, Hara significa "ventre". In giapponese Hara assume un significato più ampio. Con questo termine si intende il centro della forza fisica e spirituale. Pur essendo il centro del nostro corpo materiale, all'Hara viene data un anima. Anche secondo la concezione giapponese il ventre è il centro dell'uomo per antonomasia, e l'espressione dell'Hara è un espressione dell'essere vero di tutta la persona. L'Hara è l'origine ed il centro della forza fisica e dell'energia vitale; per questo in tutte le arti marziali orientali assume un ruolo significativo. Essere in hara significa aver realizzato la propria evoluzione in senso terrestre e celeste. Il contegno dell'uomo, il suo modo di rilassarsi e di respirare, come anche l'autocontrollo e lo stato di salute, è tutto originato dall'Hara, il centro del comportamento retto. Mettendo a confronto la cultura orientale con quella occidentale, si può dire che per noi occidentali il cuore è il centro del corpo, le cose vengono fatte con il cuore, mentre nella cultura orientale, quel centro è appunto l’Hara. Lo sviluppo e il controllo del Ki dipende esclusivamente dall'Hara. Nelle arti marziali l'Hara è l'elemento fondamentale senza il quale ogni esercizio perde significato. Basta pensare all’hara-kiri, il taglio del centro, il taglio dell’Hara. "Hara rappresenta uno stato di integrazione e di unità della personalità a tutti i livelli della vita". Myo. Fudō Myō-ō è una delle figure più popolari del pantheon buddhista giapponese. Anche chi non ne conosce le origini e il mito, nello stesso Giappone, difficilmente ne ignora l'immagine dai tratti inconfondibili. Nel corso dei secoli la sua iconografia ha conosciuto molte varianti che testimoniano la vitalità e la diffusione del suo culto non solo all'interno dei monasteri ma anche nelle campagne, presso i guerrieri e infine nelle grandi città. Fudō Myō-ō, già protettore da marosi e incendi, diventa il patrono di molte categorie sociali "a rischio", anche in senso lato: pompieri, poliziotti e mercanti ma anche attori, biscazzieri e criminali i quali includono spesso simboli o immagini di questo venerato nei loro vistosi tatuaggi. Una tappa fondamentale nell'evoluzione del culto di Fudō Myō-ō ( 不 動 信 仰 ) in Giappone è rappresentata dalla sua antica e consolidata adozione in seno allo shugendō, un fascio di tradizioni incentrate sugli ascetismi di montagna in parte parallelo al culto ufficiale ma filologicamente molto più problematico, sia perchè più decentrato, sia perché strettamente legato a mitologie locali. Quando si parla di "nipponizzazione" del pantheon buddhista, lo shugendō è quasi sempre il terreno di coltura del fenomeno. In conclusione Fudō Myō-ō è una figura emblematica non solo per l'oggettiva importanza che riveste nel tantrismo sistematico, ma anche per la sua longevità e la profonda stratificazione di significati che ha acquisito in un paese che si trova letteralmente ai confini dell'orizzonte continentale che ne ha visto la nascita, l'evoluzione e il sostanziale oblio (ad eccezione di Nepal, Tibet e alcune tradizioni residuali). È un peccato che a tutt'oggi non esista - a conoscenza di chi scrive - una monografia in lingue europee su questa divinità che possa definirsi esaustiva. A parte la ricca produzione giapponese, esistono naturalmente molti articoli che trattano temi connessi così come esiste ormai una discreta letteratura sui testi indiani che istituiscono culto e rituali di Fudō-son. La personalità di questo venerato tuttavia non è stata ancora esaminata in prospettiva per così dire diacronica e gli esiti della sua evoluzione in Asia orientale (ma anche nello stesso Tibet) devono essere estrapolati da studi diversi.