ci sono moltissime persone nella Chiesa che soffrono... e mi riferisco
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ci sono moltissime persone nella Chiesa che soffrono... e mi riferisco
la fonte SETTEMBRE 2014 ANNO 11 N 8 periodico dei terremotati o di resistenza umana € 1,00 RIFORME: IN MOLISE COME IN ITALIA ci sono moltissime persone nella Chiesa che soffrono... e mi riferisco, in particolare, ai divorziati risposati. Card. Martini lotta e contemplazione venirsi incontro Rosalba Manes "Bisognava far festa!" (Lc 15,32). C'era una volta un anziano sacerdote che, dopo anni di insegnamento e di impegno per la formazione umana e spirituaspirituale di molti, viveva ritirato in un luogo dove vi era anche una scuola. Ogni giorno nell'atrio si udivano i suoi passi lenti, il rumore del bastone con cui si accompagnava per andare più spedito e il suo grido evviva che pronunciava andando incontro a chiunque entrasse. Un giorno uno studente vedendolo arrivare disse: "Hanno scambiato questo luogo per una casa di riposo!". L'insegnante che aveva appena varcato la soglia, udendo queste parole, prese in disparte lo studente e lo interrogò: "Dimmi, cos'è per te il riposo? ". E lui imbarazzato: "Non saprei...". E la prof.: "Vorrei che oggi tu imparassi una cosa: l'uomo che hai preso in giro, di questo luogo agitato dalle ansie di giovani che a volte non sanno cosa vogliono, ne fa davvero un luogo di riposo. Ogni giorno va incontro a coloro che si credono forti solo perché giovani e grida festoso: "evvi- va!". Eccolo il riposo vero: lo si scopre quando ci si ricorda che la vita è un venirsi incontro e il venirsi incontro è una festa! Questo educa più di sterili manuali, avvicinandoci alla vita e alla sua bellezza avvincente che sono le relazioni". [email protected] Luigi Mastrangelo: 11 settembre Il tuo sostegno ci consente di esistere la fonte ABBONAMENTI PER IL 2014 ITALIA SOSTENITORI AUTOLESIONISTI € 10,00 € 20,00 € 30,00 2 la la fonte fonte febbraio 2014 la fonte settembre gennaio gennaio marzo 2005 2005 2005 la fonte Direttore responsabile Antonio Di Lalla Tel/fax 0874732749 Redazione Dario Carlone Domenico D’Adamo Annamaria Mastropietro Maria Grazia Paduano Segreteria Marialucia Carlone Web master Pino Di Lalla www.lafonte2004.it E-mail [email protected] Quaderno n. 109 87 Chiuso in tipografia il 26/08/12 25/08/14 Stampato da Grafiche Sales s.r.l. via S. Marco zona cip. 71016 S. Severo (FG) Autorizzazione Tribunale di Larino n. 6/2004 Abbonamento Ordinario € 10,00 Sostenitore € 20,00 Autolesionista € 30,00 Estero € 50,00 40,00 ccp n. 4487558 intestato a: la fonte molise via Fiorentini, 14 10 86040 Ripabottoni (CB) amare oltre i limiti lettera aperta ai divorziati risposati per un cammino di chiesa Antonio Di Lalla Si può vivere anche senza denaro (e i governi che si succedono fanno di tutto per farcelo sperimentare), ma non senza amore. È l’amore che dà senso alla vita, che consente una vera e piena realizzazione: “Se qualcuno provasse a comprare l’amore con le sue ricchezze - dice il Cantico dei cantici otterrebbe solo disprezzo”, ne sanno qualcosa Berlusconi e quelli come lui! Un amore è per sempre, non può essere progettato a tempo o con data di scadenza, come un qualsiasi prodotto commestibile. Ne eri certo ieri quando decidesti di impegnare la tua esistenza in quello che credevi l’amore della tua vita, ne sei altrettanto convinto oggi che, dopo un periodo burrascoso e tutt’altro che indolore, stai intessendo un progetto comune con un’altra persona. In questa gioiosa fatica a rifarti una vita, è così che volgarmente si dice, trovi incomprensibile, come credente, e non posso darti torto, l’esclusione per tutta la vita dai sacramenti che la chiesa ha decretato nei tuoi confronti. Per tutti c’è possibilità di perdono, anche per quelli che commettono i delitti più efferati, fuorché per quanti come te che hanno messo su una nuova famiglia. La domanda vera, come diceva con grande intuito il card. Martini, non è se i divorziati risposati possono fare la comunione, ma in che modo la chiesa può arrivare in loro aiuto con la forza dei sacramenti. La strada forse è ancora lunga, ma una nuova consapevolezza sta nascendo e noi, come tutti i pionieri, senza demordere e lasciare le cose come stanno, dobbiamo dare il nostro apporto perché diventi patrimonio collettivo ciò che oggi si è ancora in pochi ad anelare: una comunione piena nella chiesa, seppure dopo un serio cammino penitenziale a cui sottoporsi, come era prassi nelle comunità degli inizi della cristianità (G. Cereti, Divorzio, nuove nozze e penitenza nella chiesa primitiva, EDB). Non hai voluto far ricorso al tribunale ecclesiastico per dimostrare “l’inesistenza del vincolo”, cioè che il con- tratto matrimoniale era viziato alla radice e quindi inesistente, perché vuoi giustamente che possa essere costatata “la morte del vincolo”, cioè che l’unione ha esaurito tutte le potenziali e rimanere ancora insieme sarebbe un inutile e dannoso accanimento terapeutico. Pur di salvaguardare l’indissolubilità del matrimonio si estendono sempre di più i capi di nullità, mostrando così unicamente la non volontà di prendere in seria considerazione la possibilità che una relazione possa concludersi definitivamente e irreparabilmente. Il teorema è: se la coppia esiste vuol dire che è sana, se è malata significa che non è mai esistita. Perché non prendere atto che una relazione possa ammalarsi con il trascorrere degli anni e anche morire? (A. Grillo, Indissolubile? Contributo al dibattito sui divorziati risposati, Cittadella). Il giuridismo ha ingabbiato la chiesa, tarpando le ali proprio a quella libertà per la quale è nata e della quale doveva essere messaggera profetica nella storia. È finita prigioniera del proprio operato, come l’artigiano protagonista de La giara di Pirandello. Si ha timore di prendere in considerazione la possibilità che l’amore finisca perché, dopo aver contribuito a strutturare la società sulla famiglia, si teme che tolto questo pilastro venga giù tutto l’impianto. A parte il fatto che è possibile ipotizzare società costruite su altri valori, ma dove sta scritto che dobbiamo esserne noi gli strenui difensori per giunta in compagnia di tutti quegli esponenti la la fonte fonte settembre febbraio gennaio 2005 2014 la la fonte fontegennaio marzo 2005 politici che da fedifraghi hanno innalzato la famiglia a valore non negoziabile, solo per gli altri naturalmente? Cristo nel vangelo pone ideali di vita o norme comportamentali? È interessato a colpevolizzare o a far volare alto? Possibile che la chiesa censuri il suo fondatore che non è venuto per i sani (o più correttamente: che si spacciano per sani!), ma per i malati, impedendo proprio a questi di incontrarlo nei sacramenti per tutta la vita? È vero che il vangelo riporta parole molto ferme, ma perché qui ci si ferma in modo intransigente alla lettera del testo e quando parla con ancor maggiore rigore contro la ricchezza quelle parole vengono depotenziate con penosi arzigogoli? Non sarà che una chiesa celibataria e sessuofobica ha costruito una morale su misura di una gerarchia più intenta a fare cassa che vivere l’amore? Spero vivamente e profondamente insieme con te che l’imminente sinodo dei vescovi, convocato per riflettere sulla famiglia, sappia farsi carico di dare risposte adeguate alle crisi che investono la vita familiare. Non è mia intenzione abbassare l’asticella della responsabilità e della presa in carico, banalizzare il matrimonio, pensare che si possa cambiare partner come si cambia una maglietta. So bene di lacerazioni, frustrazioni, sopraffazioni, affidamento ed educazione di figli, ecc. ma non è tollerabile oltre che qualcuno venga tenuto ai margini della comunità vita natural durante. E proprio perché ritengo che solo l’amore può dare senso pieno alla vita e restituire serenità, desidero che venga data una seconda opportunità, che ognuno possa essere messo in condizione di vivere in pienezza, senza sensi di colpa, additato magari ancora come “un pubblico peccatore” (come accadeva in tempi non lontani!). Siamo chiamati a rendere ragione della speranza che è in noi e possiamo farlo solo se scommettiamo sull’amore. A oltranza.☺ 20 3 spiritualità unione non imposizione Michele Tartaglia “È lecito a un uomo ripudiare la propria moglie?” (Mc 10,2). Con queste parole inizia una discussione tra un gruppo di farisei e Gesù sulla questione del divorzio, a cui Gesù dà una risposta apparentemente senza appello: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro commette adulterio” (10,11-12). Queste parole trovano una conferma in Paolo, che scrive alcuni anni prima della stesura del vangelo di Marco e fa un esplicito riferimento al comandamento di Gesù: “Agli sposati poi ordino, non io ma il Signore: la moglie non si separi dal marito e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito; e il marito non ripudi la moglie” (1 Cor 7,1011). È su questi due testi che si fonda principalmente la negazione del divorzio nella chiesa cattolica romana e la possibilità di passare a seconde nozze, cosa che invece era permesso nel diritto matrimoniale biblico. Per la cronaca il divorzio e le seconde nozze sono ammesse anche nel mondo evangelico e nell’ortodossia cristiana per cui solo la chiesa cattolica ne fa una questione senza appello, anche se poi, per la concezione che si ha del matrimonio, che comporta libertà, volontà di indissolubilità e apertura alla vita, rende il sacramento quasi impossibile da realizzare per la mentalità odierna e giustamente, con un linguaggio sbrigativo, si parla delle cause di nullità matrimoniali come del divorzio cattolico, con l’aggravante che la nullità riconosciuta a livello civile elimina anche gli obblighi di mantenimento tra i coniugi, cosa che invece è opportunamente prevista nel divorzio. La domanda tuttavia è se queste affermazioni, per nulla contestualizzate esegeticamente, possano essere il legittimo fondamento della condizione attuale del matrimonio cattolico. Per rispondere bisogna allargare lo sguardo in un’altra direzione: le affermazioni del vangelo di Matteo che, probabilmente, riflettono più da vicino l’insegnamento originale di Gesù. Nel passo parallelo a Marco la domanda posta a Gesù è leggermente diversa: “È lecito a un uomo ripudiare la moglie per qualsiasi motivo?” (Mt 19,3). Gesù, come anche in Marco fa appello al 4 racconto della creazione dove si dice che i due saranno una carne sola e commenta: “Quello che Dio ha congiunto l’uomo non lo separi”, come a dire che nel momento in cui uomo e donna si uniscono è come se avvenisse un nuovo atto creativo di Dio che costituisce un unico essere da due che erano in precedenza. All’obiezione che Mosè ha comandato di dare l’atto di ripudio, Gesù afferma che lo ha fatto per la durezza del cuore. Si badi bene, non di entrambi ma solo dell’uomo, perché la donna non è parte attiva nella decisione, come invece farebbero credere Marco e Paolo. Quando si parla di indurimento del cuore si parla di un atteggiamento di chiusura al bisogno dell’ altra che viene abbandonata a se stessa senza poter minimamente controbattere perché non è destinataria del comandamento, riservato solo all’ebreo maschio. Per Gesù l’obbligo di mantenere il vincolo coniugale da parte dell’uomo deriva dalla necessità di prendersi cura del più debole, visto che nella società giudaica i diritti della donna sono derivati dal legame con qualche figura maschile: il marito o il fratello o il padre e tra i comandi biblici c’è sempre un richiamo esplicito a prendersi cura della vedova (che si suppone non abbia altri maschi di riferimento) e dell’orfano, cioè dei bambini, altra categoria senza diritti. La risposta di Gesù in Matteo è la seguente: “Chiunque ripudia la propria moglie, eccetto in caso di adulterio, e ne sposa un’altra, commette adulterio” (19,9). Gesù risponde a una domanda precisa, se sia lecito ripudiare per qualsiasi motivo e lui dice che non è lecito per ogni motivo ma solo per uno ben preciso: scoprire un adulterio della moglie (come avviene nel caso di Giuseppe proprio all’inizio del vangelo, in 1,19). Con la sua risposta fa capire che interpreta in modo restrittivo il comandamento di Dt 24,1, dove si accenna che il motivo per il ripudio è “qualcosa di vergognoso” interpretato diversamente dalle due scuole principali del tempo: quella di Hillel che ammette il ripudio per qualsiasi motivo, anche per aver cucinato male e quella di Shammai che ammette il ripudio solo in caso di adulterio. In tempi successivi un altro rabbi, Aqiba, vissuto agli inizi del II secolo d.C., addirittura ammetteva il ripudio anche quando il marito trovava una donna più bella. Gesù segue la tradizione interpre- la la fonte fonte febbraio 2014 la fonte settembre gennaio gennaio marzo 2005 2005 2005 tativa restrittiva perché ha a cuore la condizione della donna e per rendere più vincolante questa scelta, richiama il racconto delle origini che afferma l’appartenenza reciproca tra l’uomo e la donna. Diversa è la situazione di Marco e Paolo che sono inseriti in contesto ellenistico dove la donna ha potere di divorziare dal marito. Anzi, addirittura Paolo parla di più delle donne perché probabilmente erano (come anche oggi) in numero maggiore nelle comunità. Ma quali donne potevano permettersi il lusso di separarsi se non quelle che avevano comunque la possibilità di mantenersi da sole? Negli Atti (16,14) si parla di Lidia, che era commerciante di porpora e quindi imprenditrice, che non aveva bisogno di dipendere da un uomo per vivere e questo spiega perché Paolo deve insistere di più con donne che avevano la libertà di farsi cristiane mentre spesso i mariti rimanevano pagani (ne parla poco oltre lo stesso Paolo). È possibile che la facilità con cui le donne cristiane potevano dividersi dai mariti avrebbe gettato cattiva luce sul movimento cristiano che sarebbe stato visto come una setta rovinafamiglie (come accade anche oggi nei movimenti settari) ed è per questo che Paolo raccomanda di non distruggere l’istituto famigliare appellandosi al rigore di Gesù ben conosciuto dalla tradizione evangelica; rigore che, in ambito giudaico è per la difesa del debole ma, trasferito in ambito pagano, ha di mira l’accettazione dei cristiani nella società, cercando di fugare l’accusa di settarismo. Marco riflette questa situazione e adatta un insegnamento di Gesù al nuovo contesto culturale. Se la Scrittura è letta bene tenendo conto del contesto, ci dice che per i discepoli di Gesù non ci sono istituti immutabili, ma solo la cura che il vangelo sia portato in ogni situazione, anche adattando gli insegnamenti ricevuti purché ognuno possa accogliere l’annuncio liberante del vangelo, non l’imposizione di un peso in sostituzione di un altro. ☺ [email protected] lutto in famiglia redazione e lettori si uniscono al dolore che ha colpito le nostre care collaboratrici * Rosanna Celano per la perdita del padre; * Christiane Barckhausen-Canale per la perdita della mamma. glossario partecipi e responsabili Dario Carlone tali di essere con gli altri: il faccia a faccia e l’appartenenza”. Il primo costituisce la relazione tra individui, a partire dall’incontro di due per giungere alla collaborazione di molti, e comprende senza dubbio tutte le tonalità delle relazioni interpersonali, dall’amicizia all’odio. Il faccia a faccia - potremmo dire single a single - implica che ognuno risponde in prima persona di quello che fa, può e deve sforzarsi di riconoscersi responsabile delle proprie azioni, fa presente all’altro le personali valutazioni su un determinato oggetto o evento, individua cause, cerca soluzioni. Per evitare soprusi o violenze questo mondo degli incontri umani è regolato da un minimo condiviso di regole di cui ognuno deve essere consapevole ed a cui attenersi. Il faccia a faccia intende una collettività di persone consapevoli, non un insieme amorfo e pericolosamente condizionabile, oggetto di quella forma sbagliata di “politica”, il populismo: “il contrario del faccia a faccia dei volti umani è l’onda senza volto della massa”. Il secondo concetto che richiama Roberta De Monticelli, l’appartenenza “è invece la socialità come partecipazione a una qualche comunità (di vita o di famiglia, professionale, di interessi, ideologica o semplicemente culturale-linguistica, nazionale, ecc.). È caratterizzata non da un faccia a faccia ma da un fianco a fianco e può sussistere anche indipendentemente dalla nostra volontà”. Anche se potrebbe apparire di grande impatto emotivo, con riferimento alle radici, alla tradizione, alla memoria, l’appartenenza, il più delle volte, non rappresenta una libera scelta dell’individuo, né un ambito in cui esercitare autonomia di giudizio: “veniamo al mondo in una comunità di vita senza che nessuno ce lo chieda”, ma è nostro compito impossessarci di una dimensione “personale”, di diventare coscienti di chi siamo e quale sia il “ruolo” che rivestiamo, perché siamo individui, single appunto! “Soltanto se saranno rese di nuovo possibili la fiducia e la stima reciproca nel faccia a faccia - suggerisce ancora la filosofa - potremo forse riuscire a salvare l’aspetto di valore dell’ appartenenza” e contribuire ad una collettività di single realmente partecipi e responsabili, “come i singoli fili d’erba di cui è fatto un prato, che non risplende del suo verde tutto nuovo a primavera, se non perché ciascun filo d’erba è nuovo”. ☺ [email protected] Scatto d’autore di Guerino Trivisonno Single [pronuncia: singol]. Negli ultimi decenni il vocabolo si è diffuso così rapidamente da sostituire meglio oscurare i suoi vari corrispettivi, in disuso e poco noti soprattutto alle giovani generazioni. Chi ricorda ed utilizza ancora parole quali celibe, nubile, zitella, scapolo, come pure espressioni correlate del tipo “libero, non sposato”? L’ onnicomprensivo anglofono ci solleva dalla necessità di indulgere sui particolari, di sforzarci di fornire spiegazioni relative ad uno status che attiene alla vita strettamente privata delle persone. Il termine - sostantivo o aggettivo - ci viene in soccorso per offrire una definizione e ci libera dall’imbarazzo della precisione! Single. È condizione, stile di vita, scelta, di tante persone, uomini e donne. Progetto realizzato, epilogo di relazioni sentimentali sbagliate, conseguenza di eventi imprevedibili e drammatici: si è o si diventa single facendosene una ragione, ri/progettando il proprio futuro, subendo a volte l’assenza di un/ una partner… Ma single è ognuno di noi, individuo in un consesso sociale, persona con le proprie caratteristiche, elemento di una coppia consolidata - che sia sentimentale o professionale, componente di un insieme umano più esteso! Uscendo dall’ambito delle relazioni affettive vorrei estendere la riflessione, a partire dalle suggestioni che il vocabolo veicola. Per la filosofa Roberta De Monticelli esistono “due modi fondamen- Il ministro Franceschini sposa Bonefro. Molti sperano in un santo in terra. la la fonte fonte settembre febbraio gennaio 2005 2014 la la fonte fontegennaio marzo 2005 5 clean economy la carta del cambiamento Giovanni Di Stasi Il giorno 22 dello scorso mese di luglio sono stati presentati a Palazzo Chigi dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi 24 contratti di sviluppo. Sono state in tal modo attivate le procedure per investimenti pari a 1,44 miliardi di euro a sostegno di progetti strategici da realizzare in Italia e soprattutto nel Mezzogiorno. Vale la pena precisare che sono stati messi a disposizione 700 milioni di euro di fondi pubblici e che l’80% dei programmi riguardano, giustamente, la Campania, la Puglia, la Calabria e la Sicilia. Nelle regioni dell’Obiettivo Convergenza saranno così salvaguardati o creati nella stragrande maggioranza i 25mila posti di lavoro previsti, con una media di circa 1000 occupati per ogni contratto di sviluppo. Gli interventi produttivi e la conseguente ricaduta occupazionale riguarderanno il made in Italy e l’innovazione nell’ambito industriale, commerciale e turistico. Sarebbe stato bello il varo di un 25° contratto di Sviluppo denominato “Clean Economy Molise”, ma non bisogna rinunciare all’idea di vararlo in futuro. Il Molise, che negli ultimi anni ha conquistato il record nazionale in fatto di decrescita del PIL, ha un disperato bisogno di sviluppo e occupazione che scaturiscano da iniziative imprenditoriali legate al territorio e sostenute da interventi finanziari aggiuntivi rispetto a quelli disponibili a livello regionale. L’idea progettuale denominata Clean Economy Molise serve alla nostra regione, ma serve ancora di più all’Italia in quanto contiene indicazioni che, se recepite nei decreti attuativi relativi ai contratti di sviluppo, consentiranno al nostro Paese di investire con maggior profitto le sue risorse future. Nei contratti del 22 luglio, infatti, c’è l’industria mentre manca l’agroalimentare, quell’agroalimentare che è al centro di Clean Economy Molise. 6 Per comprendere la gravità di tale assenza, possiamo chiamare in causa il brillante intervento di Fabrizio Barca, pubblicato dal Sole 24 ore proprio in data 22 luglio 2014 con il titolo La nuova agricoltura dell’Italia. Barca sottolinea “l’importanza di costruire un’agricoltura innovativa, diversificata, contrattualmente forte, consapevole delle proprie connessioni con il paesaggio e con l’ambiente, attenta al rapporto con il lavoro, capace di attrarre giovani”. Per parte sua il Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina ha scritto, nel Piano strategico per l’innovazione e la ricerca nei settori di sua competenza, che “é prioritario favorire l’integrazione fra aziende (agricole e agroa- Foto Silvio Mencarelli – Terra di Molise limentari), sia a livello orizzontale che verticale nelle filiere (...) per ottimizzare l’organizzazione dei processi, riequilibrare le posizioni contrattuali dei produttori”. Siamo totalmente d’accordo con Barca e Martina e, per questo, invitiamo entrambi a riflettere sul fatto che il contratto di sviluppo è lo strumento più appropriato per raggiungere gli obiettivi che essi si prefiggono. L’agricoltura è stata confinata per troppo tempo in un ruolo subalterno all’interno delle filiere agroalimentari oltre che nel dibattito politico-economico. Negli ultimi decenni sono cresciute le sue responsabilità rispetto all’esigenza di mettere sul mercato prodotti di la la fonte fonte febbraio 2014 la fonte settembre gennaio gennaio marzo 2005 2005 2005 qualità, ma si sono ridotti i margini operativi degli imprenditori agricoli. D’altro canto, perfino la gestione dei fondi comunitari destinati all’agricoltura, al di là dei proclami e dei bei titoli inseriti nei Piani di Sviluppo Rurale predisposti e gestiti dalle regioni, punta alla mera sopravvivenza del settore. Possiamo anche aggiungere, senza tema di smentita, che la stessa formazione e attuazione di tali Piani avviene in un clima di scarsa partecipazione, insufficiente trasparenza, diffuso disinteresse per il reale raggiungimento degli obiettivi fissati e inadeguata verifica dei risultati raggiunti. Serve, dunque, uno scatto di reni che consenta ai nostri imprenditori agricoli di stringere una robusta alleanza con i cittadini per i quali producono e di porsi come facilitatori di una corretta fruizione dei beni agroalimentari, paesaggistici e culturali presenti sui territori di loro pertinenza. Con questa nuova forza contrattuale gli imprenditori agricoli potranno negoziare un rapporto corretto con gli altri interlocutori delle deboli filiere agroalimentari esistenti e strutturare insieme ad essi attività economiche robuste e durature. Il progetto di Clean Economy Molise è lo strumento adatto per muoversi in questa direzione. I tempi sono, dunque, maturi. Bisogna decidere, qui e ora, se attardarsi su un’anacronistica manutenzione ordinaria dell’esistente o osare la carta del cambiamento. Il Molise, con la sua Clean Economy, propone un radicale cambiamento di rotta che punta ad una nuova prospettiva strategica attraverso strumenti operativi disponibili che aspettano solo di essere affinati e attivati. Con queste motivazioni abbiamo deciso di incontrarci come associazioni, imprenditori, sindacati e amministratori pubblici e siamo certi che il presidente della regione Molise Frattura sarà con noi. Lo faremo a Casacalenda il prossimo 27 settembre e proporremo al presidente Frattura di farsi portabandiera di una battaglia presso il governo nazionale per il varo di un Contratto di Sviluppo Clean Economy Molise che possa contribuire a risolvere i nostri problemi regionali, ma possa anche dare una indicazione utile per la ripresa dell’intero paese. ☺ [email protected] politica Ogni giorno la sua sciocchezza! È ammirevole la tenacia che grandi dirigenti, capi di governo, imprenditori e commentatori politici europei e in particolare italiani mettono nel ripetere da anni la stessa musica. A giorni alterni da più autorevoli parti viene annunciata la recessione. Dal Sud dell’Europa ripetono che la responsabilità della crisi economica è della politica di austerità tedesca. I più volenterosi affermano che con le riforme l’Italia riprenderà il cammino dello sviluppo. I più combattenti arrivano a dire che con l’acquisto dei titoli di stato da parte della Banca centrale europea il problema delle gravi difficoltà finanziarie, economiche e commerciali europee saranno risolte. Sino ad arrivare ai buffoni di casa nostra che rilanciano la bufala dell’articolo 18 come palla al piede dell’economia italiana. Si dice di tutto e il contrario di tutto pur di evitare l’unica cosa sensata che andrebbe detta, quella verità semplice e che è essenziale se vogliamo iniziare ad affrontare i serissimi problemi che abbiamo davanti come italiani, come europei e più in generale come occidentali. Ancora una volta abbiamo dovuto attendere le parole di Papa Bergoglio, perché venisse squarciato questo muro di omertà e complicità generale: “nel mondo è in corso una terza guerra mondiale”, così dice il Vescovo di Roma. Un grande passo avanti, ma non basta. La realtà è che nel mondo è avvenuta e per alcuni versi continua, una rivoluzione che ha cambiato e sta cambiando tutto. Non è solo crollato il muro di Berlino e il grande impero sovietico, si sono capovolte gerarchie economiche fra le diverse nazioni, è mutata la distribuzione di ricchezze e di potere fra le diverse aree del pianeta. Sono venuti meno i principi che hanno ordinato il mondo nella seconda metà degli anni ‘90. E il prezzo più caro lo pagano, in primo luogo quelle aree del pianeta dove da anni, come dice Papa Bergoglio, si combatte una crudele terza guerra mondiale e a seguire proprio da quelle metropoli capitalistiche che sino a ieri avevano ipotecato il L'URGENZA DEL DISARMO Le guerre provocano altre guerre. Le stragi altre stragi. Le armi uccidono gli esseri umani. La cosa più urgente è salvare le vite. Per salvare le vite occorre fermare le guerre. Le guerre le ferma il disarmo. crisi di egemonia Famiano Crucianelli benessere e il futuro del mondo. La crisi dell’Occidente non è solo crisi materiale, ma è in primo luogo crisi di “egemonia”, è crisi di quei valori, di quelle idee generali che hanno governato il mondo negli ultimi decenni. Il capitalismo globale ha consumato il valore della democrazia e della libertà, ha compromesso diritti fondamentali nella società e nel mondo del lavoro. Non solo l’ idolatria del mercato, il primato del consumismo e la mercificazione di ogni attività umana hanno trascinato nella crisi quelle certezze, quei principi che nella vita sociale come nella sfera individuale sono state a fondamento del nostro vivere comune. Non è fuori luogo parlare di tramonto della nostra civiltà. Basterebbe fare un’istantanea del mondo per cogliere quanto radicali siano stati i mutamenti e quanto sia stato sciocco, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, pensare che sarebbe iniziata per l’Occidente una nuova età dell’oro. In Giappone è al potere una nuova classe dirigente che ha riscoperto il nazionalismo e il razzismo. In Cina, che è ormai la prima potenza economica del mondo, un potere politico assolutista ordina una sterminata società nella quale convivono forme di sfruttamento del primo capitalismo con un nuovo modernismo senza anima. In India l’ambiguità della famiglia Ghandi e del Partito Democratico si è risolta con la vittoria alle elezioni dei fanatici e fondamentalisti induisti. La guerra in Iraq e le famose primavere dei paesi arabi hanno riaperto antiche e sanguinosissime ferite, vere e proprie guerre di religioni segnate da crudeltà e violenze di massa ben più feroci di quelle che abbiamo conosciuto con le la la fonte fonte settembre febbraio gennaio 2005 2014 la la fonte fontegennaio marzo 2005 dittature precedenti. Nella Russia siamo tornati al dispotismo della grande Russia antica e lungo il confine che divide l’Europa occidentale dalla Russia attuale, nel cuore dello stesso continente europeo, per l’arroganza e l’ottusità degli Stati Uniti e per la subalternità dei paesi europei è tornata una rischiosissima guerra civile. In questi ultimi decenni di capitalismo globale abbiamo avuto un trasferimento di ricchezza, di lavoro e di sviluppo da Ovest, dove la crisi è iniziata a metà degli anni ‘70, a Oriente. Si è affermata sempre di più la perdita di senso del valore della democrazia e della libertà nelle metropoli capitalistiche. Infine abbiamo avuto il ritorno nei nuovi paesi economicamente emergenti di sistemi istituzionali sociali e culturali segnati in profondità da antiche vocazioni autoritarie. L’autocrazia zarista in Russia, Confucio in Cina, l’induismo radicale in India, il nazionalismo estremista in Giappone e da ultimo il fondamentalismo islamico. Molto altro si potrebbe dire parlando dell’America latina e della stessa Africa, ma le considerazioni fatte ci dicono con chiarezza che oggi la discussione della cosiddetta classe dirigente ricorda tanto le discussioni sul sesso degli angeli, e le proposte che si ascoltano, sono acqua fresca utili solo ad alimentare illusioni e ad ingannare la pubblica opinione. ☺ [email protected] 7 libera molise dopo le gran manze Il 13 luglio scorso, Libera Molise ha organizzato una giornata di formazione presso l’azienda agricola Di Vaira di Petacciato (Cb) il cui leitmotiv è stato Dopo le gran manze: per una economia ed un ambiente eco-sostenibile. Le relazioni sono state tenute dalla dott.ssa Paola Santi, responsabile dell’azienda Di Vaira, “Agricoltura e allevamento biodinamico” e dal dott. Antonio Cancellario, veterinario Asrem, “Zootecnia sostenibile”. La motivazione dell’incontro di formazione è stata determinata dal progetto della Granarolo e dall’opposizione allo stesso da parte di associazioni molisane, fra cui Libera, che hanno dato una prova di condivisione degli obiettivi: convincere i vari livelli delle amministrazioni pubbliche del danno che avrebbero provocato al territorio molisano, se avessero dato il consenso al mega-progetto della Granarolo. Il dissenso ha riguardato la specifica natura del progetto della multinazionale emiliana, come, tra l’altro, la definizione “provocatoria” delle manze come “macchine del nostro futuro”, dimenticando che gli animali sono esseri senzienti a cui deve essere garantito un benessere sia fisico che psichico. Non si può, inoltre, dimenticare che i vantaggi economici andrebbero unicamente agli allevatori del nord; che garantire la salute a 12000 manze comporterebbe l’uso di sostanze per la profilassi e la cura delle malattie i cui metaboliti si riverserebbero nei terreni, determinando un forte impatto ambientale chiaramente esiziale; che le coltivazioni di monocolture per l’approvvigionamento alimentare delle 12000 manze sarebbero comunque a discapito della biodiversità; che l’uso di acqua sarebbe di enorme e smisurata quantità e che l’impatto ambientale degli allevamenti intensivi provocherebbe un grave inquinamento dell’aria, dell’acqua, del suolo. Ma è necessario dare delle indicazioni alternative; quali potrebbero essere? 8 Se guardiamo alla storia della zootecnia e dell’agricoltura, possiamo verificare che queste si sono integrate vicendevolmente, originando un sistema equilibrato di compatibilità biologica ed energetica; ma fino a quando? È con la civiltà industriale di fine XVIII secolo e inizio del XIX che all’armonia dell’integrazione si è sostituito l’obiettivo, il mito del profitto, che ha messo in moto due grosse mostruosità, l’agricoltura intensiva e l’allevamento industriale che hanno comportato tutto quello che in sintesi abbiamo descritto a proposito del ventilato insediamento delle “gran manze” in Molise. Ora molti studiosi di agricoltura e di zootecnia nonché economisti sostengono che questo modello di crescita e di sviluppo in infinitum sia l’unico che possa risolvere il problema dell’alimentazione dell’umanità e quello della fame. Tale convincimento e tale progettualità sono falsi e fuorvianti, in quanto hanno alla base un unico obiettivo, quello di sfruttare furbescamente le risorse della terra, peraltro in via di esaurimento, allo scopo di raggiungere il massimo profitto economico. Allora è necessario procedere ad una seria e rigorosa programmazione che preveda, tra l’altro, un consistente risparmio energetico (a tutto vantaggio dell’ambiente e del paesaggio); uno sviluppo non selvaggio di energie rinnovabili (solare, eolico), evitando speculazioni e disastri irreversibili a danno del territorio; l’ elaborazione di un modello di alimentazione la la fonte fonte febbraio 2014 la fonte settembre gennaio gennaio marzo 2005 2005 2005 eticamente sostenibile nel rispetto degli interessi di tutte le parti coinvolte (uomini, territorio, animali); l’introduzione di una “filosofia” della biocultura che comporti il passaggio da una prospettiva puramente economica ad una essenzialmente etica. Noi dobbiamo passare dalla cultura dello sfruttamento a quella dell’educazione della cura e della responsabilità nei confronti degli esseri su cui esercitiamo il nostro potere. Qual è la situazione nazionale? La bilancia agroalimentare è cronicamente deficitaria: importiamo più di quello che esportiamo e gran parte del made in Italy alimentare viene realizzato solo grazie all’uso di materie prime estere, fra cui mais e soia OGM, presenti nel latte, nei formaggi, nei salumi, nelle carni. Inoltre, la Coldiretti ha preparato un dossier di criticità, partendo dagli OGM, che non debbono far parte dei negoziati UE ed USA sul Parteneriarato transatlantico per il commercio e gli investimenti (T-tip). La battaglia si preannuncia aspra, in considerazione degli irrefrenabili interessi delle multinazionali, il cui scopo rimane sempre il massimo profitto a danno della vita delle popolazioni europee e nordamericane, così come leggiamo su Le Monde diplomatique del mese di giugno scorso o come abbiamo sentito dalle parole, chiare, di Marco Bersani - Attac Italia - venuto per un dibattito a Termoli il 26 giugno scorso. Ma gli animali hanno realmente bisogno per la loro alimentazione solo di mais e soia? No di certo. Infatti, questi elementi possono essere sostituiti dal sorgo (che necessita di una sola irrigazione rispetto alle otto del mais) e dalle leguminose tipo favino che forniscono, tra l’altro, azoto al terreno per il tramite della pratica agraria detta sovescio, consistente nel sotterrare nel terreno parti di piante allo stato fresco allo scopo di arricchire i terreni di sostanze o renderli più compatti. E la situazione nel Molise? Nel Molise gli allevamenti bovini sono 2703, di cui 1825 allevamenti da carne, 410 da latte, 468 misto per un totale di 45.197 bovini. Secondo i dati INEA, nel 2012 l’agricoltura molisana ha prodotto foraggi per un valore di circa 6 milioni di euro. Per far fronte alle esigenze delle 12000 manze della Granarolo si dovrebbe rinunciare all’alimentazione degli animali già presenti o si dovrebbe aumentare di moltissimo la produzione; ciò risulterebbe molto arduo, in quanto la vocazione della coltura molisana è essenzialmente a frumento. C’è, poi, un altro problema, molto serio, ed è quello della difesa del territorio da possibili inquinamenti di origine zootecnica; nello stesso momento, però, bisogna fare in modo da preservare la fertilità del suolo agronomico del Molise, adottando misure mitigative rispetto al rischio di erosione (inaridimento e perdita di produzione). libera molise Uno sviluppo sostenibile è necessario promuoverlo in considerazione del fatto che non bisogna compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i propri bisogni. Pertanto, alla luce di questa considerazione bisognerebbe evitare le omosuccessioni colturali, promuovendo gli avvicendamenti con coltura miglioratrice del tipo leguminose (trifoglio, favino, veccia). Essersi contrapposti all’insediamento della Granarolo ha voluto significare per noi essere favorevoli ad allevamenti e produzioni zootecniche e coltivazioni sostenibili, diffuse sul territorio, che siano capaci di generare prodotti di qualità certificata. La qualità deve essere intesa come l’insieme delle caratteristiche che contraddistinguono un prodotto alimentare, determinandone l’apprezzamento rispetto ad un obiettivo e a finalità che saranno stabilite tramite processi di produzione “sostenibili”. Il valore apprezzato dai consumatori oggi non è la quantità dei prodotti ma come essi vengono generati. Noi pensiamo che sia possibile soddisfare il “cliente” proponendo alimenti prodotti nel rispetto del principio della sostenibilità a condizione che gli allevatori siano accompagnati dagli enti e dalle associazioni di categoria verso un cambiamento culturale e siano soprattutto orientati alla manutenzione e al rinnovamento strutturale e tecnologico delle proprie aziende. Quali le proposte funzionali all’ ambiente, al territorio, al rapporto dinamico fra produzione agroalimentare e domanda di mercato? - Inserimento nell’Ordinamento Costituzionale della tutela dell’ambiente e del diritto di vivere in un ambiente sano; - Sviluppo e sostegno all’allevamento estensivo con un giusto rapporto terra/animali ed alle produzioni biologiche; - Certificazioni ambientali tramite il monitoraggio costante di aria, acqua e suolo a livello regionale; - Difesa e valorizzazione delle indicazioni geografiche e dei territori con certificazioni di produzioni e con l’origine dell’alimento per il bestiame; - Tutela delle produzioni agroalimentari italiane dalla contraffazione alimentare e valorizzazione dei prodotti a nicchia; - Etichettatura obbligatoria anche per i prodotti di origine animale come latte, carne, uova, formaggi…; - Lotta agli OGM sostenendo da parte dello Stato la ricerca pubblica ed i ricercatori indipendenti allo scopo di fornire solide motivazioni scientifiche contro le coltivazioni OGM; - Rendere operativi e coerenti i Piani di Sviluppo Rurale in ragione della condizionalità che prevede tra l’altro la tutela del territorio, la difesa della biodiversità ed il benessere animale. ☺ A cura della segreteria regionale di Libera Molise [email protected] la fattoria di vaira Franco Novelli Siamo stati nella Fattoria Di Vaira a Petacciato in C.da Colle Calcioni il 13 luglio scorso per una giornata di formazione sul tema dell’agricoltura biologica e della zootecnia molisane. Temi davvero “consistenti” che hanno spinto un piccolo, ma combattivo, segmento di società civile molisana a dire “NO!” all’ insediamento, improduttivo per la nostra regione, della Granarolo nel Molise. Il Molise che vogliamo è quello che sia valorizzato per le sue innate vocazioni: il turismo, l’agricoltura biologica, la zootecnia diffusa per tutto il territorio, la valorizzazione delle tradizioni culturali alle quali è legata la storia della nostra regione, con un sostegno veramente valido e responsabile alle piccole e medie aziende da parte delle amministrazioni pubbliche, il cui compito costituzionale non è quello di svendere il patrimonio pubblico (con la motivazione ambigua e all’apparenza ingenua che non ci sono soldi per la sua gestione!) ma quello di valorizzarlo con sostegni economici costanti e duraturi. Mi vorrei soffermare sull’insieme del lavoro che si svolge nella Fattoria e nello stesso tempo esporre qualche osservazione su quanto gravita attorno a questo insediamento agricolo, dalle coltivazioni biologiche all’integrazione “ambiente e animali” che vi crescono. Hanno suscitato molto interesse le argomentazioni della dott.ssa Paola Santi, responsabile della Fattoria Di Vaira, agronoma veneta. Dalle sue parole appaiono non solo professionalità e passione per la sua professione ma anche tensione ideale per il Molise, vocato da sempre, a suo dire, ad un’agricoltura biodinamica e ad una zootecnia diffusa per tutto il territorio. Paola esordisce dicendo che la Fattoria Di Vaira è un’azienda agricola caratterizzata da ambienti naturali dove la produzione vegetale si integra con quella animale; continua, poi, dicendo che la Fattoria persegue gli insegnamenti di Rudolf Steiner, secondo il quale l’azienda biodinamica è una individualità agricola dove gli animali mangiano quello che essa produce, realizzando un letame che conosce già il terreno al quale esso è destinato. Questo letame è arricchito con preparati biodinamici da cumulo. Allo scopo di incrementare le sostanze organiche del suolo e di favorire l’umificazione, sono effettuate le rotazioni e la pratica dei sovesci. Nel giro che facciamo dopo il pranzo Paola ci mostra il lato “estetico”, bello, quello non commercializzato, se così possiamo dire, dell’azienda in cui otto piccoli laghi sono circondati dalla flora e dalla fauna locali con siepi, alberi, macchia mediterranea, boschi di quercia, rove- la la fonte fonte settembre febbraio gennaio 2005 2014 la la fonte fontegennaio marzo 2005 rella, leccio, lentisco e robinia. I prodotti commercializzati - ortaggi, formaggi caprini e bovini, olio, vino, miele, passate di pomodoro e di pomodorino, cereali come il grano tenero e il farro - sono di ottima qualità e sono distribuiti con il marchio di una nota azienda di distribuzione. Ci ha colpito in particolare la cura destinata sia alle stalle, tenute in ottima condizione - cosa che avvantaggia gli animali che lì crescono, producendo un ottimo latte -, sia a quello che è alla base di un’agricoltura biodinamica e biologica, cioè la semente. La maggior parte degli agricoltori utilizza sementi ibride, in quanto spesso sono le uniche disponibili sul mercato sementifero, che è generalmente interessato solo a commercializzare semi che diano un frutto standardizzato, perfetto a vederlo. Ma non può essere così se vogliamo diffondere la cultura e la coltura della biodiversità. Preservare la biodiversità e contrastare gli Ogm è compito non solo del mondo dell’agricoltura ma anche di quello dei cittadini partecipi alla res publica e, pertanto, responsabili Non dimentichiamoci che è in atto una guerra, solo apparentemente sotterranea ma subdola e pericolosissima, del capitalismo finanziario e commerciale, definita con la siglia T-tip, per la quale i cittadini europei e nordamericani per primi saranno assoggettati alle regole commerciali delle multinazionali, i cui interessi e i cui obiettivi sono considerati superiori e prioritari rispetto alla democrazia dei popoli e alla dignità dei cittadini del mondo occidentale. La battaglia contro gli Ogm (che vogliono azzerare l’agricoltura biodiversa e biodinamica) è un conflitto aspro e difficile da vincere, perché i cittadini sono spesso distratti e inerti. Noi ci proviamo sempre. In ultimo, rivolgiamo un invito alla classe dirigente e a quella politica attuale del Molise di andare a visitare questa azienda e di fare un serio esame di coscienza per come deve essere gestita l’agricoltura in Molise e per come deve essere tutelato e valorizzato il nostro territorio… ☺ [email protected] Clean Economy Molise Per il varo di un contratto di sviluppo ci si incontra a Casacalenda il 27 settembre nei locali del comune. Certi che il presidente Frattura non farà mancare la sua presenza. 9 xx regione cattivo pagatore Giulia Di Paola A leggere le reiterate richieste di pagamento da parte non solo di aziende e fornitori, ma anche di cittadini ai quali è stato riconosciuto il diritto a bonus o altro tipo di risorse si direbbe proprio che la Regione Molise è un cattivo pagatore. Esempi ce ne sarebbero tanti, ma alcuni sono veramente illuminanti. Il Fondo nazionale per la non autosufficienza del 2013 prevedeva il sostegno economico per le persone in condizioni di dipendenza vitale da assistenza continua e vigile e minori con grave disabilità da individuare secondo specifiche caratteristiche riportate nel Programma Attuativo, in base alle indicazioni del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali che ha anche erogato una somma pari a € 1.897.500. Completato tutto l’iter, non senza difficoltà visto che la collaborazione fra Enti diversi (Regione - Comuni) spesso comporta inciampi, sono state stilate le graduatorie e individuate le persone che ne avevano diritto. A maggio erano già pronti i primi mandati provvisori, ma ai primi di agosto i beneficiari ancora non vedevano nemmeno l’ombra dei sussidi a loro riconosciuti. Ancora più allucinante è la vicenda dei bonus assunzionali. Era il 2011 quando vennero emessi i bandi regionali per l’Azione di Sistema Welfare to Work per le politiche di reimpiego, voluta e finanziata dal Ministero del Lavoro, eppure ancora non è stata pubblicata alcuna graduatoria per la concessione di bonus assunzionali; non è stato emanato alcun provvedimento di impegno di spesa; non risulta effettuata un’istruttoria delle 157 domande ammesse a finanziamento; non è avvenuta alcuna concessione e liquidazione del contributo spettante. Eppure ci sono imprese che hanno assunto personale proprio in base a quel bando e che da due anni pagano gli stipendi, ma senza ricevere il bonus. C’è da chiedersi: che strada abbiano preso i soldi erogati dal Ministero? E se lo sono chiesto anche i consiglieri di minoranza in consiglio regionale, in particolare Micone e Monaco che hanno presentato due distinte interrogazioni, ma le risposte tardano ad arrivare. Un segnale di vita, però, sembra scorwww.su-mi.org: the wall gersi anche nel CAMPOBASSO 10 la la fonte fonte febbraio 2014 la fonte settembre gennaio gennaio marzo 2005 2005 2005 microcosmo della Giunta Regionale del Molise. Nella delibera 396 dell’11 agosto scorso si legge chiaramente: “dopo una articolata ricognizione, che di fatto ha fatto emergere alcune criticità operative, gestionali e di rendicontazione che potrebbero mettere a rischio la totale fruibilità delle risorse programmate e ritardare le condizioni per la rimodulazione delle risorse residuali, è sorta una esigenza condivisa di attivare una operatività straordinaria, che consenta di traghettare verso la nuova programmazione gli interventi residuali che ci separano al 31/12/2015, anche in previsione del Comitato di sorveglianza POR FSE, ipotizzabile indicativamente alla fine di settembre 2014”. Così viene istituita una task force che prevede il coinvolgimento, ovviamente, dei dirigenti dell’Area Prima, Terza e Seconda (in qualità di responsabile della programmazione), ma anche strutture quali: Italia Lavoro e Molise lavoro; Sviluppo Italia Molise, Finmolise, Università degli Studi del Molise. Questi ultimi dovrebbero essere particolarmente utili per azioni quali Garanzia Giovani, Piano Integrato Giovani, Bando giovani FSC2007-13 e le politiche del Lavoro e dell’Occupazione. È una risposta indiretta a quanto ci si chiedeva prima: la Regione è in seria difficoltà ad adempiere correttamente e in tempi accettabili agli impegni assunti e chiama tutti a raccolta. Cosa è cambiato, però, nell’organizzazione della struttura regionale da rendere così difficile ciò che fino allo scorso anno si riusciva a fare (bene o male non stiamo a sottilizzare)? Veramente si è nell’incapacità di rispondere in maniera ordinaria all’attività ordinaria o si tratta di una forma di commissariamento degli uffici preposti? Speriamo almeno che non occorrano risorse aggiuntive.☺ [email protected] convivialità delle differenze In questa estate di paradossi non solo climatici (guerre e mondiali di calcio, Schettino che dà lezioni all’università mentre dalla Concordia vengono ripescati i resti di una delle vittime del naufragio) ho faticato davvero a trovare il mio baricentro. Sarà che per mia natura non riesco a ingurgitare cocktail dopo aver cenato davanti alle immagini della striscia di Gaza e che ho avuto una sola settimana priva (si fa per dire) di impegni, ma mi sono sentita davvero poco in vacanza. Di tutte le immagini tremende che mi sono passate davanti agli occhi, una, terribile per la sua brutalità, ha catturato la mia attenzione… è la foto di una sedia a rotelle rovesciata e di un ragazzo di Gaza accanto al corpo della sorella disabile che aveva tentato di portare via invano dai bombardamenti. È un’immagine che racchiude verità profonde, comuni a tutti coloro che hanno a che fare con le disabilità. L’impotenza e la frustrazione. Quando si ha una persona amata con disabilità, le si vorrebbe regalare lo stesso mondo che ai normodotati è concesso di fruire… fare una passeggiata in montagna, osservare un tramonto, ascoltare una canzone, sono attività che non per tutti sono possibili, e ci si deve necessariamente fermare davanti al limite, alle barriere che la natura e la società impongono. Di certo non è una constatazione che si accetta di buon grado, e posso solo intuire cosa avrà pensato il ragazzo di Gaza che non è riuscito a scappare più un fretta per portare in salvo la sorella. Il senso di colpa. Poter fare qualcosa ed amare qualcuno che per condizione personale non può fare la stessa cosa insieme a noi genera la più complessa delle domande… perché io sì e lui/lei no? Da lì a colpevolizzarsi per la nostra “fortuna” il passo è bre- restare umani Tina De Michele ve… si rischia di non apprezzare più nulla di quello che si fa perché non la si può condividere con chi si ama. Come vivrà il ragazzo di Gaza che sa di respirare ancora grazie alle gambe che gli hanno concesso di scappare più in fretta? L’amore, un amore “diverso” da tutti. Amare una persona con disabilità può significare amare qualcuno che non sa abbracciarci, non sa baciarci, non sa regalare parole d’affetto. Significa amare qualcuno che è in qualche modo - ed a volte totalmente - dipendente da noi. È un amore sbilanciato, che tal- volta vive di autocelebrazioni. Eppure è un amore forte perché è totalmente disinteressato e legato intrinsecamente a quello che si è, e non a ciò che si fa o si dice. La solitudine. È quello che forse più spaventa di quella fotografia, il fatto che i due ragazzi fossero soli. Soli in mezzo ad un cumulo di macerie. La solitudine degli affetti è troppo spesso associata alla storie delle famiglie della persona con disabilità, vuoi per ignoranza, vuoi per paura, vuoi per dolore. La soli- la la fonte fonte settembre febbraio gennaio 2005 2014 la la fonte fontegennaio marzo 2005 tudine delle istituzioni è parimenti drammatica, perché lo stato dovrebbe rimuovere gli ostacoli che consentono a tutti di vivere una vita felice, e vergognosamente non lo fa. Voglio ricordare Vittorio Arrigoni, che a Gaza è morto nel 2011, e la sua lezione - che forse avrà appreso durante la sua esperienza lavorativa per le persone con disabilità - scandita in due semplici e icastiche parole: stay human, ossia “restiamo umani”, e se ci si ragiona bene è davvero la cosa più difficile di tutte. In una società dove ci si sfida a “postare” su facebook la foto della vacanza più figa, dove occorre a tutti i costi apparire felici e alla moda con gli occhiali polarizzati, è davvero difficile restare umani e guardare cosa c’è dietro l’apparenza ed andare dritti all’essenza, e ad amare l’uomo, chiunque esso sia e qualsiasi condizione fisica o sociale abbia. Anche se a ben vedere è l’unica cosa a cui dovremmo restare aggrappati, l’unica soluzione ai mali (anche economici) del nostro tempo, l’unica chiave per realizzare la vera uguaglianza sostanziale e la felicità di tutti gli individui. Una chiosa finale… sarà “rimasto umano” il Sindaco di Termoli che per ben due volte e senza alcuna giustificazione ha rinviato l’incontro con i cittadini per discutere della formazione della consulta per le disabilità? E soprattutto avrà riservato lo stesso trattamento anche ai vari costruttori e palazzinari? Chi lo sa… Seguiranno aggiornamenti.☺ [email protected] 11 vincitori e vinti voci di comunità Frammenti di vita degli ospiti della comunità terapeutica dei dimessi psichiatrici di Casacalenda itaca, o del viaggio irrisolto Quando ti metterai in viaggio per Itaca devi augurarti che la strada sia lunga, fertile in avventure e in esperienze. I Lestrigoni e i Ciclopi o la furia di Nettuno non temere, non sarà questo il genere di incontri se il pensiero resta alto e un sentimento fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo. In Ciclopi e Lestrigoni, no certo, né nell’irato Nettuno incapperai se non li porti dentro se l’anima non te li mette contro. Devi augurarti che la strada sia lunga. Che i mattini d’estate siano tanti quando nei porti -finalmente e con che gioia toccherai terra tu per la prima volta: negli empori fenici indugia e acquista madreperle coralli ebano e ambre tutta merce fina, anche profumi penetranti d’ogni sorta; più profumi inebrianti che puoi, va in molte città egizie impara una quantità di cose dai dotti. Sempre devi avere in mente Itaca raggiungerla sia il pensiero costante. Soprattutto, non affrettare il viaggio; fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio metta piede sull’isola, tu, ricco dei tesori accumulati per strada senza aspettarti ricchezze da Itaca. Itaca ti ha dato il bel viaggio, senza di lei mai ti saresti messo sulla strada: che cos’altro ti aspetti? E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso. Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare. C. Kavafis, Itaca 12 Il viaggio è una metafora spesso abusata, perché aiuta, in poche semplici immagini, a definire il percorso, la meta, le difficoltà ed i desideri che alimentano un percorso di vita. Ed è il doppio registro del viaggio come metafora e in senso concreto a dar vita all'idea della rubrica che state leggendo: un viaggio in auto, di certo, e un viaggio ideale. È in questa declinazione che assume significato l'apertura della rubrica con la poesia di Kavafis: da una parte, in un primo piano di analisi dell'opera dell'autore greco rintracciamo il senso di un percorso da non affrontare con fretta, da non cassare superficialmente, considerando la centralità che riveste il Percorso sopra ogni Meta in ogni retorica del Viaggio e nei meandri esistenziali di individui e popoli; dall'altra, ad un livello più profondo, la citazione offre l'opportunità di confrontare le nostre esperienze comunitarie con la finalità obbligata e necessaria, con quel Ritorno che fa altrettanto parte del patrimonio simbolico della tradizione del Viaggio. Ritorno, dunque, come arricchimento, superamento e sintesi dialettica, rielaborazione, oscillazione tra regressione e scarto, colpo di reni finale, resa dei conti con la circolarità della terapia di comunità: Casa-Comunità-Casa. Tutti luoghi tradizionali della cultura occidentale - quelli del Viaggio, della Casa e della Comunità - con i quali quotidianamente ci confrontiamo e che, speriamo, possano affacciarsi, con delicatezza, tra queste righe. la la fonte fonte febbraio 2014 la fonte settembre gennaio gennaio marzo 2005 2005 2005 barbara e hyeronimus La prima immagine del desiderio è quella legata alla sessualità: il desiderio sessuale si ferma ad ogni gradino; negli uomini forse è più forte, nelle donne più debole. Ma io dico che è lo stesso. Forse troppo caffè lo ferma. Il desiderio del cibo si confonde con il bisogno, un bisogno primario: qui la necessità oscura il piacere? Il desiderio è un circolo (vizioso?), non si estingue né si soddisfa, è sempre rilanciato. Forse la sua fine coincide con l'estinzione. *** Il Clown Stregone, di Sergio Petrillo (titolo stabilito dall'assemblea di comunità) *** La sera aveva chiuso i cancelli del giorno e le città abbassate le sue palpebre di luce infilavamo collane di parole per il debutto dell'anima occhiate furtive agli specchi dell'io fu quando le riponemmo nello scrigno del silenzio che vidi il nudo corpo vitreo e fu un balzo nel vuoto del nulla. Maria Rosaria La Carpia vincitori e vinti Il testo presentato fa parte del materiale utilizzato per il cortometraggio “Domani sono Fuori”, prodotto dalla Cooperativa Nardacchione e presentato nell'ambito della manifestazione cinematografica MoliseCinema; tutti gli ospiti delle strutture hanno preso parte al lavoro di costruzione del copione ed alle riprese. A Casacalenda si è svolto una rassegna cinematografica intitolata MoliseCinema. A questa manifestazione hanno partecipato gli ospiti della comunità il Casone con un cortometraggio intitolato DOMANI SONO FUORI. Questo corto ha riscosso molto successo durante la presentazione tenutasi il 6 agosto al teatro comunale, che mi ha dato l’opportunità di vestire i panni dell’attore. In questo evento mi sono divertito e ho visto molta partecipazione da parte della collettività di Casacalenda e interesse anche da parte di persone non del luogo (Nicola). Se hai costruito castelli in aria, non demolirli: piuttosto comincia a costruire le loro fondamenta. compagni di viaggio Cristina Muccilli Anatomia di una rivoluzione di G. De Marzo ed. Castelvecchi è una lettura che consiglio. “… Distribuzione materiale e riconoscimento sono le nozioni chiave della giustizia nella realtà, mentre il processo della giustizia, e cioè la partecipazione autentica a tutte le procedure con cui si prendono decisioni, rappresenta lo strumento per raggiungerli”. Voglio iniziare da questo assunto perché ha attinenza con il periodo che stiamo vivendo ed è centrale per la comprensione di tutte le storture che il liberismo ha provocato, e continua a perpetrare nel mondo e ovviamente anche nella nostra terra. Assistiamo oggi al disfacimento di quelle minime ma essenziali regole che impedivano una netta separazione tra chi ha in mano i sistemi di produzione della ricchezza e chi questi sistemi li fa funzionare; regole che presiedevano alla, se pur parzialissima, redistribuzione della ricchezza stessa. E non sto parlando della totale deregulation in materia di lavoro e dei “totem da abbattere” (art 18) di paternità renziana ma propriamente di lavoro. I campi di attività e di conseguenza le possibilità d’impiego vanno sempre più restringendosi poiché il capitale ha smesso di produrre beni di consumo, in quanto eccedenti, e per produrre profitti si è orientato nella finanza. Così si è giunti alla devastante e apocalittica situazione in cui versiamo, tutti a casa con buona pace della politica la quale ha dismesso i panni della mediazione e della organizzazione sociale e ha vestito integralmente la la fonte fonte settembre febbraio gennaio 2005 2014 la la fonte fontegennaio marzo 2005 quelli di mero esecutore del potere economico. Che non ci siano fraintendimenti in Europa, con la sola eccezione di Tsipras, la politica istituzionale è questa. Ma torniamo alla tesi iniziale, la redistribuzione, dunque in quale maniera attuarla e cosa redistribuire? Nella fase odierna la risposta non è facile ma sicuramente semplice. Si redistribuisce attraverso la partecipazione e la consapevolezza. Partecipazione vuol dire incidere sulle scelte politiche del proprio paese, della comunità a cui si appartiene, dell’entità sovranazionale di cui si fa parte. E significa essere presenti attivi nelle scelte da fare, nelle attività da intraprendere sul proprio territorio, rendendosi soggetto attivo e preparato al conflitto sociale. Consapevolezza vuol dire essere disponibile a dare risposte alternative a quelle offerte dalla governance, la quale ci vorrebbe immoti ad attendere il momento adatto per: tornare a lavorare, tornare a sentirci cittadini con diritti e prospettive, tornare a vivere. Consapevolezza significa non solo avere una propria visione della crisi che ci sta annientando ma soprattutto condividere le analisi e le prassi per l’attuazione di nuovi modelli per il superamento della stessa. Consapevolezza è riconoscersi compagni di viaggio e partire senza tentennamenti. Questo non è che un piccolo spunto tra i mille che offre questo splendido libro, la promessa è che in futuro continuerò a parlarne. ☺ [email protected] 13 guerra e pace “bellico” non è “bello” Il termine latino bellum, “guerra”, secondo una singolare ipotesi di Festo, un grammatico romano del II secolo d.C., deriverebbe da belua, “bestia feroce”, quasi a ricordare la ferocia inaudita con cui gli uomini si combattono. Ma la vera etimologia deve essere ricercata in un’altra voce latina, duellum, “duello”, indicante la discordia fra due popoli: duellum → bellum (analogamente, per alterazione, da duis è derivato bis). Poiché però bellum creava confusione con l’aggettivo bellus, “bello, grazioso”, di significato completamente diverso, in quanto diminutivo di bonus, “buono” (bonus → benulus → bellus), l’italiano, come le altre lingue romanze, preferì sostituirlo con la parola medievale germanica werra, che indicava la zuffa, la mischia, in contrapposizione alla guerra ordinata (bellum) di schiere contro schiere, secondo l’ordinamento tipico dei Romani. Da bellum sono poi derivate le voci dotte “bellico”, “bellicoso”, “belligeranza” e “belligerante”. Proprio sull’accostamento di bellum e bello, così simili nel suono ma opposti nel significato, gioca una frase, divenuta celebre, di Isidoro di Siviglia, dottore della Chiesa e santo, morto nel 636 d.C.: bellum quod res bella non sit, “[la guerra si chiama] bellum perché non è una cosa bella”. La citazione è tratta dal suo capolavoro le Etimologie (18, 1, 9), che racchiude in venti libri tutto lo scibile del tempo, prendendo come spunto le etimologie dei vari termini. E poiché la si può considerare come una sorta di prima enciclopedia, nel 2002, Giovanni Paolo II ha preso l’iniziativa di insignire Isidoro del titolo di patrono di Internet e di chi ci lavora. Quanto sia ancora valida, nella semplicità della sua formulazione, questa fantasiosa paraetimologia di Isidoro di Siviglia, involontariamente trasformatasi in un frammento di saggezza, lo dimostrano non solo i numerosi conflitti in corso in questi giorni in più punti dello scacchiere mondiale, ma anche un classico della letteratura sulla Grande guerra, da leggere (o rileggere) nel ricorrere dei cento anni dal suo inizio: Niente di nuovo sul fronte occidentale di Erich Maria Remarque. È la storia, autobiografica, di un soldato tedesco durante la Prima guerra mondiale, che per certi versi sembra ricordare l’equivoco accostamento bellum-bello: arruolatosi volontario insieme ad alcuni suoi compagni di classe, nella convinzione di vivere una “bella” avventura, il protagonista scopre invece nell’orrore delle trincee che la guerra “non è una cosa bella”, come gli avevano insegnato a scuola facendo leva sulla retorica della patria e dell’onore: “Avevamo diciott’anni, e cominciavamo ad amare il mondo, l’esistenza: ci hanno costretti a spararle contro. La prima granata ci ha colpiti al cuore; esclusi ormai dall’attività, dal lavoro, dal progresso, non crediamo più a nulla”. Filomena Giannotti [email protected] le armi uccidono È una sciagurata decisione contro la legge e contro la ragione quella presa dal governo e dal parlamento italiano di inviare altre armi in un'area del mondo dove di armi ce ne sono troppe e dove le guerre e le stragi non finiranno mai finché si continuerà ad alimentarle così. In Medioriente, come ovunque, occorrerebbe invece mandare delle forze di polizia internazionale dell'Onu che passassero di casa in casa (e di caserma in caserma) e che sequestrassero e distruggessero tutte le armi che trovassero, tutte. Questo occorre fare: il disarmo è la prima e più urgente necessità 14 diario di un inviato speciale in siria Ho visto la violenza dei giorni rubare serenità a uomini e donne: goccia dopo goccia, fino all’arsura, ed ho sentito raffiche nell’aria, fin dal mattino e poi ancora nella luce commossa dell’imbrunire. Liberi come vagabondi, i soldati dalle mille avventure, impavidi percorrevano strade sterrate, lastricate di fame e solitudini, con scarponi allacciati da malinconie indurite. Lampi di luce piovevano dal cielo e infiammavano prati, lasciando ferite tra polvere acre. Avanzavano gli uomini, rudi e sconsolati, legati dallo stesso destino sui sentieri battuti dal vento e su terriccio annaffiato da lacrime spaurite. Li ho visti piegati, i cristiani, senza rimorsi e senza peccati ad annodare fiori coraggiosi, sbocciati all’alba, quando nastri di nebbia abbracciavano tronchi ornati di perdono. Tante le battaglie con sconfitte arroganti, e in quelle notti non c’era la luna e neanche fiammelle di stelle a guidarli nelle lunghe trame di tele menzognere. Ho visto bambini dai passi stanchi e dallo sguardo stupito sognare, sogni corti, nati dalle notti di carestie e sconforto; sognavano pezzi di pane croccante, dal profumo invitante. I bambini, prigionieri in mani ignote, nelle ore di paura sognavano di giocare. Stesi come ostaggi in un vecchio casolare, dal tetto marcito, audace l’amicizia recitativa tra loro e disegnavano orgogliosi su fogli sgualciti, mentre fuori l’odio tutto cancellava. Era come canto carezzevole, come un allegro salmodiare, come un pizzico di luce per arrivare alla pace. Carmelina Giancola 1a classificata sez A 7a edizione 2014 del concorso di poesie “I segreti dell’Animo” organizzato dall’ Associazione Culturale Nuova Arcobaleno di San Martino in Pensilis omaggio a Simone Camilli, video reporter ucciso a Gaza frammenti di saggezza dell'umanità intera. Le armi uccidono gli esseri umani, e l'uccisione degli esseri umani è il più disumano dei crimini; ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignità, alla solidarietà. Solo il disarmo ferma le guerre. Solo il disarmo salva le vite. Peppe Sini, la la fonte fonte febbraio 2014 la fonte settembre gennaio gennaio marzo 2005 2005 2005 [email protected], "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" il calabrone Devo scrivere l’articolo, devo scrivere l’articolo! Mi si affastellano nel cervello argomenti, eventi, situazioni brucianti, di guerra, di violenza, di totale inumanità, cerco di dare un valore ad uno di essi per trovare le parole adatte: 1600 parole non più di cinquemila battute. O Capitano! Mio Capitano! Il nostro viaggio tremendo è terminato È terminato, per te sorriso infantile alla perdita… oh goooood morning vietnammmmmmmm! Dicono che dovessi sostenere i colpi della vita. Forse hai visto anche tu bambini massacrati, corpi trucidati lì nella Palestina e il senso d’immane impotenza: non si può solo fare ridere. Ci penserò domani! (Rossella) ho voglia di rotolare giù giù, ma non ho scale di velluto rosso né vestaglie di broccato! Apro la tv. Un’annunciatrice in posizione egizioromana chiede se lo spinone è una pianta grassa o un cane, pagando cinque euro la settimana potrei vincere diecimila euro… Cambio canale. Un padre ha ucciso il figlio di diciotto mesi per raptus di follia, rileva in tono grave il giornalista di Cairo editore. Ieri un uomo ha trucidato la moglie, un altro la fidanzata: raptus di follia, rileva sempre il giornalista. Ma da dove viene questo improvviso annebbiamento della nostra consapevolezza a non uccidere, ferire chi si ama, chi non si ama? La tv ora mi fa vedere un uomo che immagina la moglie in reggiseno rosso e mutandine di pizzo e sogna di fare notte con hotline, servizi impeccabili anche in anonimato. In schegge Loredana Alberti conclusione ti puoi fare le tue porno seghe in eroticovirtuali nottate senza nemmeno andare per strada. E il governo dei saggi e dei potenti del nostro paese in un servizio di rete sette s’indigna che prenderemo forse le tasse dalle prostitute, prendiamo dalla feccia il nostro benessere? La feccia? Intanto spiego a una ragazza cui faccio lezione d’italiano la donna angelicata per Dante che lo porta alla salvezza eterna e lei mi dice: per Petrarca non è così perché Laura invecchia, lui la vede che invecchia… Impossibile staccarsi dal giro di giostra! Compare la signorina del gioco, m’invita a scegliere se le cime di Lavaredo sono una verdura o una montagna. Forse arriva sì, ora il raptus di follia… Mi aiuta in internet uno psichiatra di Ancona. Che scrive, lasciate stare i folli e i raptus! Esistono i malvagi, il cattivo. Evviva Lucifero schiantato nel profondo dell’Inferno, figura terribile ed emblematica che sto spiegando alla mia fanciulla, parca di immaginazione e stile, ha allora una sua fulgida comparsa! Se siamo liberi di essere buoni, siamo liberi anche di essere malvagi. E non è detto che i malvagi siano folli; un po’ spicciola la spiegazione ma accattivante e tutti i depressi, e i sofferenti psichiatrici si sentono per un attimo assolti dal Male. E così sia. È certamente malvagio chi stupra, soprattutto quando lo stupro è di gruppo su donne dei vinti, il vae victis perenne che ora si sta consumando nel mondo musulmano a consacrare la propria vittoria. Una signora in tv sussurra all’amica di poter finalmente entrare in ascensore senza problemi perché non emana odori spiacevoli, e solca la soglia trepidante e felice con la sua amica insieme a due agghindatissimi (e ovviamente profumatissimisenzaproblemi) uomini! Mi chiedo quanto maleodoranti fossimo in altri tempi senza T. e come i profumatissimi e non problematici uomini ci sopportassero. Oppure proprio per questo non ci inserissero nei loro consessi. Solo per questione di odore. Forse mi sbaglio. Leggo che un califfo ha detto che è giusto picchiare le donne perché sono inferiori e noi, nei nostri salotti buoni meno buoni tinelli luoghi di casa e di lavoro, inorridiamo arricciamo il naso dicendo che scandalo sono degli incivili, ma quando arriveranno al nostro grado di civiltà? Esco, da un cartellone pubblicitario, seminuda occhieggia una semidea e c’è scritto "fidati, te la do gratis (la montatura!)”. Ritorno a casa, leggo pagine da un bel libro di Roberto Roversi: parole di guerra e di dignità umana. Vado a letto voglio vedere un telegiornale, ma prima mi aggredisce una erotica aggressiva fanciulla che mi annuncia “Io sono Eva, Eva Q!” disegno di un culo da cui entra una supposta (appunto evaq) per fare e v a c u a re! (intelligente gioco di parole!). Che dire? Fra raptus di follia e malvagità c’è lo zoccolo duro del potere! Dormirò e non vi dico il nome delle pillole!☺ [email protected] Bonefro, Villaggio dei terremotati - 6 luglio 2014: incontro annuale dei preziosi collaboratori (presenti purtroppo solo in parte) della nostra rivista . la la fonte fonte settembre febbraio gennaio 2005 2014 la la fonte fontegennaio marzo 2005 15 arte giambattista pizzetta Gaetano Jacobucci Figlio di Giacomo, scultore e intagliatore in legno, Giovan Battista Piazzetta nasce a Venezia il 13 febbraio 1683. Dopo una prima educazione artistica nella bottega del padre, passa verso il 1697 in quella del pittore Antonio Molinari. Tuttavia va detto che l’artista, in una lettera del 10 agosto 1744 ad Angelo Nicolosi, indica come suo primo maestro il friulano Silvestro Manaigo. All’ età di vent’anni si reca a Bologna dove conosce l’opera di Giuseppe Maria Crespi, che sicuramente esercita su di lui una profonda impressione. L'influenza che sul Crespi ha esercitato Carlo Cignani può poi spiegare le analogie tra alcune opere del Piazzetta, come la Gloria di San Domenico, ed il capolavoro dello stesso Cignani, l'affresco della cupola della cappella della Madonna del Fuoco nel Duomo di Forlì. Pittura sensuale Tornato a Venezia, nel 1711 Piazzetta figura iscritto alla “Fraglia dei Pittori”. Qui ottenne le prime importanti commissioni come la pala con la Madonna e l'Angelo Custode, eseguita tra il 1717 e il 1718 per la Scuola omonima, della quale sopravvivono un frammento conservato al Detroit Institute of Art e il fine bozzetto del Los Angeles County Museum of Art. Degli stessi anni è probabilmente il ritratto della pittrice Giulia 16 Lama che, secondo la tradizione romantica per il suo timbro sensuale ed appassionato, evidenzierebbe l’esistenza di un legame tra i due artisti più intimo di quanto non emerga dai documenti. L’Arresto di San Giacomo segna l’inizio di un momento della carriera del Piazzetta ricco di importanti commissioni religiose. La tela è considerata, al pari del Martirio di S. Bartolomeo dipinto negli stessi anni da Giambattista Tiepolo (1696 - 1770) e anch’esso destinato alla chiesa di San Stae, uno dei capolavori chiave della pittura della prima metà del XVII secolo e testimonia quanto l’artista prediligesse il contenuto drammatico e il chiaroscuro violento. Il 22 novembre 1724, Giovan Battista sposa Rosa Muzioli nella chiesa dei Padri Cappuccini alla Giudecca, e nello stesso anno comincia la collaborazione con l’editore veneziano Giambattista Albrizzi, che culminerà tra il 1736 ed il 1757 (dopo la morte dell’artista) con la pubblicazione in dieci volumi delle Oeuvres di Jacques-Bénigne Bousset, corredate da incisioni disegnate dal Piazzetta stesso. Gli sfinimenti dell’estasi In questo periodo realizzò la sua prima opera monumentale, la Gloria di San Domenico per la Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo. Cosciente dei pericoli insiti in quel suo deciso chiaroscuro, esegue una composizione la la fonte fonte febbraio 2014 la fonte settembre gennaio gennaio marzo 2005 2005 2005 con un cielo aperto senza barocchismi architettonici, smorzando i bruni con i toni freddi giungendo così a una luminosità più pacata. La sua notorietà, che aveva ormai varcato i confini veneziani, raggiunse l’apice nel 1727 quando venne eletto membro dell’Accademia Clementina di Bologna. Con l’Estasi di San Francesco, dipinta per la chiesa francescana dell’ Aracoeli di Vicenza, Piazzetta introduce alcuni elementi inusuali soprattutto sul piano iconografico. All’interno di un consolidato schema compositivo - ripreso dalla pala con la Visione di San Filippo Neri di Santa Maria della Fava - l’artista decide di rappresentare non il momento dell’estasi vera e propria, bensì quello immediatamente successivo nel quale il santo riposa sfinito, col volto tirato tra le braccia di un angelo. Nel 1738 porta a termine la pala con i Santi Vincenzo Ferreri, Giacinto e Lodovico Bertrando iniziata tre anni prima per la chiesa dei Gesuiti, mentre l’anno successivo viene menzionato nell’elenco degli Accademici d’onore dell’Accademia Clementina di Bologna, quale “egregio, ed aggiustato pittor viniziano”. Nell’ultimo periodo della sua produzione Piazzetta alterna a convenzionali composizioni “storiche” come La Morte di Dario, soggetti religiosi di minor importanza e soprattutto scene pastorali come l’Indovina delle Gallerie dell’Accademia, o l’Idillio sulla spiaggia del Wallraf-Richartz Museum di Colonia. In riconoscimento dei suoi meriti e delle sue note qualità didattiche, venne nominato nel 1750 direttore della Scuola di nudo dell’Accademia veneziana, istituita dal Senato in quello stesso anno. Nonostante tali gratificazioni il Piazzetta trascorse gli ultimi anni della sua vita in uno stato di indigenza, fino alla morte sopraggiunta il 29 aprile 1754 nella sua casa al ponte dei Saloni a San Gregorio.☺ [email protected] mondoscuola "Sulla scuola stiamo lavorando, e seriamente, con il ministro Giannini e con la sua squadra. E il 29 agosto presenteremo una riforma complessiva che, a differenza di altre occasioni, intende andare in direzione dei ragazzi, delle famiglie e del personale docente che è la negletta spina dorsale del nostro sistema educativo". Così si è espresso il presidente del consiglio, Matteo Renzi, in una recente intervista al settimanale Tempi, annunciando le prossime linee guida sull’ istruzione. Secondo Renzi, la scuola "non è affatto vero sia un problema, ma un asset strategico del nostro Paese, che va valorizzato e messo in sicurezza. In ogni caso la sfida educativa è la mia priorità. Tra dieci anni l`Italia non sarà come l`avranno fatta i funzionari degli uffici studi delle banche o i politici di Montecitorio; l`Italia sarà come l`avranno fatta le maestre, i maestri, gli insegnanti". Belle parole. Ma l’anno scolastico è alle porte, con le sue sfide. Cosa ci aspetterà, in soldoni? Diciamo pure che Renzi continua a mandare messaggi “forti” sulla scuola. In parte assai preoccupanti e discutibili. L’apertura pomeridiana resta per esempio un’incognita di tutto rispetto. Ora, però, è arrivato il momento di capire cosa vuol fare in concreto il governo. Sui contenuti delle linee guida si è scritto tanto. Nelle ultime ore, le indiscrezioni indicano tre grandi capitoli su cui il provvedimento dovrebbe articolarsi: i programmi e le competenze, l'autonomia scolastica e i docenti. È su questi punti che negli ultimi giorni si sono focalizzati i contatti tra il premier Renzi e il ministro Giannini. L'obiettivo sarebbe quello di perfezionare una serie di piste di riflessione sulle quali poi aprire il dibattito, seguendo un metodo già adottato (almeno sulla carta) per le altre riforme. Probabile quindi l'apertura di una consultazione tra insegnanti e cittadini. La richiesta della consultazione “popolare” continua ad essere, in effetti, un ‘pallino’ dei rappresentanti del Pd. Come Umberto D'Ottavio, della commissione Cultura della Camera, secondo cui "le riforme vanno costruite dal basso - ha detto - e con la partecipazione dei cittadini interessati, a cominciare da insegnanti e studenti". Parole sante, che attendiamo vedere in atto, stufi delle riforme calate dall’alto senza criterio e senza rispetto del lavoro quotidiano di chi in classe consuma energie e spende competenze faticosamente basta slogan Gabriella de Lisio conquistate. Premesso che resta da capire cosa accadrà qualora alcuni punti vitali della riforma (per esempio l’orario dei docenti) fossero rigettati dai diretti interessati, l'altra grossa novità è che questo "pacchetto scuola" non dovrebbe essere una misura a costo zero o addirittura realizzato in chiave di risparmio, ma potrà poggiare su un intervento coperto da un cospicuo stanziamento di risorse nella Legge di Stabilità: nei giorni scorsi Renzi ha parlato di "1 miliardo di euro". Una cifra tanto considerevole da sembrare quasi uno scherzo: abbiate pazienza, noi insegnanti non ci siamo abituati, perché invertirebbe di netto il leitmotiv di decenni di tagli e ristrettezze sul fronte scolastico. Intanto a settembre entrerà in vigore il nuovo sistema di valutazione nazionale, approvato nel 2013 e volto a completare il ruolo attualmente svolto dall'Invalsi. Il nuovo strumento, costruito su tre gambe: Invalsi, Indire e Ispettori, servirà a ogni scuola per segnalare le debolezze e i punti di forza riscontrati all'interno dell'istituto. L’augurio è che i risultati, qualunque essi siano, servano poi a migliorare quello che non va. Continuare ad alterare gli esiti dei quesiti per far bella figura (e questo lo facciamo noi insegnanti, ce lo dicono le statistiche ogni anno), oppure, nel migliore dei casi, spedirli sani sani al sistema nazionale senza poi alcuna ricaduta in termini di un potenziamento della didattica o un intervento concreto sulle criticità emerse, a cosa serve? Si dovrebbe poi procedere, per evitare il continuo ricorso ai supplenti, a creare un unico organico che sia disponibile per tutte le scuole aderenti alla stessa rete. Mentre il governo abbandonerebbe l'uso di strumenti multimediali come tablet e lavagne (questi ultimi si sono rivelati, infatti, troppo costosi e di vita breve, data la rapidità con cui escono nuovi e più funzionali modelli), introdurreb- la la fonte fonte settembre febbraio gennaio 2005 2014 la la fonte fontegennaio marzo 2005 be anche il primo approccio all'informatica nelle scuole primarie. Interessante invece appare l'esigenza di stabilizzare oltre 26 mila docenti di sostegno nel triennio 2013-2015. In vista, pure un ritocco agli esami di stato le cui novità più salienti riguardano l'insegnamento di una materia in lingua straniera nel corso di tutto l'ultimo anno della scuola superiore secondaria, materia che sarà oggetto poi di discussione in inglese alla maturità. Si vorrebbe pure recuperare gli insegnamenti di geografia, musica e storia dell'arte, materie messe in ombra dal riordino della Gelmini. Per quanto riguarda invece l’edilizia scolastica, secondo le stime calcolate dal Corriere della Sera, il provvedimento da oltre un miliardo di euro annunciato da Renzi dovrebbe coinvolgere oltre 21 mila edifici. Tuttavia, i problemi principali restano la mancanza di fondi e i 160mila precari della scuola, di cui si parlerà in un forum organizzato proprio dal Miur per il mese di ottobre, a Firenze. E per ora, ci fermiamo qui. Per sommi capi, lo scenario è questo. A parole. Di cose in pentola ne bollono parecchie. Ma restiamo a vedere. Con estrema prudenza. Qui non c’è in gioco qualche aspetto della scuola da ritoccare. Qui, in Italia, c’è il prestigio sociale e la dignità di un’intera categoria di professionisti da ricostruire. Insieme con l’efficienza di un sistema d’istruzione zoppicante, inadeguato. E non è operazione che può essere realizzata a colpi di slogan. Ci vogliono i fatti. Buon anno scolastico. A chi non molla mai☺ [email protected] 17 letti e riletti novecento Mara MAncini "Succedeva sempre che a un certo punto uno alzava la testa... e la vedeva": l'America. Il Virginian era un piroscafo, e negli anni tra le due guerre faceva da spola tra Europa e America. "Quello che per primo vede l'America. Su ogni nave ce n'è uno. E non bisogna pensare che siano cose che succedono per caso, no. (...) Quella è gente che da sempre c'aveva già quell'istante stampato nella vita", negli occhi. "Negli occhi della gente si vede quello che vedranno, non quello che hanno visto": l'aveva detto Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento a Tim Tooney. Si erano conosciuti sul Virginian in una notte di burrasca e divennero presto grandi amici; suonavano insieme, tutte le sere, per i passeggeri della nave. Novecento era stato trovato da un marinaio in una scatola di cartone appoggiata sul pianoforte della sala da ballo della prima classe. Era nato a bordo, nell'oceano. Ad otto anni, restando orfano per la seconda volta ed avvicinatisi alla terra, il capitano della nave chiamò le autorità portuali per farlo finalmente scendere. Non lo trovarono mai. Ripartiti dopo 22 giorni, la se- 18 conda notte di viaggio, tutti i passeggeri uscirono dalle cabine per ascoltare una musica mai sentita prima, proveniente dalla sala da ballo della prima classe. Dove aveva imparato a suonare? E poi in quel modo... "Non esisteva quella roba, prima che la suonasse lui, okay? non c'era da nessuna parte. E quando lui si alzava dal piano, non c'era più... e non c'era più per sempre". Non era mai sceso da quella nave ma viaggiava quando suonava; raccontava di sensazioni, situazioni e rumori, paesaggi come se le avesse provate, vissute, come se li avesse sentiti, visti. E lo aveva fatto: "negli occhi di qualcuno, nelle parole di qualcuno". "Il mondo, magari, non l'aveva visto mai. Ma erano ventisette anni che il mondo passava su quella nave". Novecento "sapeva ascoltare. E sapeva leggere. Non i libri, quelli son buoni tutti, sapeva leggere la gente. I segni che la gente si porta addosso". E quando suonava, faceva scivolare le dita sulle loro storie, sui loro racconti o su quello che in loro aveva letto, spiato, rubato. Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento, il più grande pianista che abbia mai suonato sull'oceano. E lo sarebbe stato anche della terra, se solo fosse sceso. "A me m'ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma dico nulla, fran, giù, cadono". Un giorno, all'amico Tim Tooney, Novecento confidò che a distanza di tre giorni sarebbe sceso dal Virginian. Fran. E sarebbe sceso... per vedere il mare. Lynn Baster, un contadino che aveva incontrato sulla nave, gli raccontò che quando per sbaglio aveva visto il mare per la prima volta, questo gli urlò di quanto immensa è la vita. "Posso rimanere la la fonte fonte febbraio 2014 la fonte settembre gennaio gennaio marzo 2005 2005 2005 anche anni, qua sopra, ma il mare non mi dirà nulla". Dopo tre giorni, fuori da quella nave... primo gradino, secondo gradino, terzo gradino... Terzo gradino. Al terzo si fermò, e poi tornò indietro. Cosa lo trattenne, all'amico lo disse dopo anni, ritrovatisi prima di dirsi definitivamente addio. Durante la guerra il Virginian era stato usato come ospedale viaggiante ed ora, mal ridotto, avevano deciso di buttarlo a fondo. Sospettando la sua presenza a bordo, l'amico era andato a cercare Nocento su quella nave, il suo mondo, la sua casa. E lo trovò, fedele all'oceano. Sarebbe sceso stavolta, per la prima volta? "Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu, sei infinito, e dentro quei tasti infinita è la musica che puoi fare". Su quel terzo gradino, Novecento ebbe l'impressione di avere davanti una tastiera infinita, raccontò all'amico di milioni e miliardi di tasti; una tastiera infinita su cui non si può suonare nessuna musica; un seggiolino sbagliato, il pianoforte di Dio. "Tutto quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce. E quanto ce n'è". Su quel terzo gradino a fermarlo non fu ciò che vide, ma quello che non vide. "Tutta quella città... non se ne vedeva la fine": "quel che non vidi è dove finiva tutto. La fine del mondo". Novecento era nato su quella nave, "il mondo qui passava, ma a duemila persone per volta"; e si era abituato a suonare su una tastiera che non era infinita. Ora, non essendo stato capace di vivere i suoi desideri, li ha "incantati", così da dirgli addio. "Non siamo pazzi quando troviamo il sistema per salvarci. Siamo astuti come animali affamati. Non c'entra la pazzia. É genio, quello. É geometria. Perfezione". Danny Boodmann T.D. Lemon Nocecento. Adesso si allontana scomparendo nel buio, sei quintali e mezzo di dinamite (Novecento di Alessandro Baricco, Feltrinelli). ☺ [email protected] spazio giovani terzo settore i giovani e la crisi Giovanni Mucciaccio Uscendo la sera a passeggiare con gli amici, troviamo in ogni luogo qualcuno che parla della crisi. E così ci accorgiamo che è entrata a far parte delle nostre vite quando in una conversazione non possiamo fare a meno di parlarne. Sembra però che non moriamo tutti di fame in Italia, o almeno nei nostri piccoli paesi; che tutti abbiamo dei “bei vestiti” o un “cellulare buono”. Allora dov’è la crisi, se non ci sono tutte queste limitazioni di cui si parla? Con i risparmi andiamo tutti in vacanza e forse l’aria estiva ci fa dimenticare il resto del mondo e la crisi! Si dice che quelli che pagano di più gli effetti della crisi siamo noi giovani. Nel nostro paese c’è sempre meno lavoro; questo è vero, infatti quanti sono quei giovani che hanno voglia di lavorare e non trovano lavoro? Le grandi città della nazione e le piccole cittadine della regione attraggono sempre di più i giovani dei nostri paesi, perché forse lì è più facile trovare delle opportunità di lavoro. Finiremo tutti per fare “il cameriere col sogno di diventare calciatore”, cioè che ci accontenteremo di un lavoro più a portata di mano piuttosto che continuare ad inseguire le nostre aspirazioni (in cui magari siamo anche più abili). Ma ciò non deve accadere! E poi viaggiare all’estero non è forse il sogno di tutti? Se qualcuno però va all’estero per cercare lavoro è tutto un altro discorso. Per esempio i ragazzi americani, come spesso vediamo anche nei film o leggiamo nei libri, fanno dei piccoli lavori. E ciò è totalmente legale, infatti la legge permette che un minorenne possa lavorare per un massimo di cinque ore al giorno. Cosa succederebbe in Italia se ci fosse una legge così? I ragazzi andrebbero a lavorare perché ne hanno voglia, o perché verrebbero spinti dai loro genitori ad aiutare la famiglia? Se nel nostro paese, invece, si dice che non c’è lavoro, ciò significa che non c’è per tutti: né per i più piccoli, né per i più grandi. Quando però vediamo che nei nostri piccoli paesi apre qualche nuovo negozio e che i bei vestiti e i risparmi per andare in vacanza ce li abbiamo più o meno tutti, allora ci accorgiamo che forse, per trovare lavoro e costruirsi un futuro, non serve andare lontano; perché se c’è la crisi in Italia c’è nelle grandi città come nei piccoli paesi. Sicuramente la speranza in un futuro migliore alberga nel cuore dei giovani e sarà proprio questa speranza a rappresentare la forza per una ripresa vera e duratura, anche se al momento latente. [email protected] il domani che verrebbe Leo Leone Di recente la politica sembra aver dato ascolto alle istanze del Terzo Settore volte a introdurre segnali concreti di innovazione nell’ambito delle politiche sociali. A fine mese, siamo in agosto, sono previsti incontri tra governo e rappresentanti di cittadinanza attiva impegnata per tradurre in leggi proposte già discusse da tempo. I dati che sollecitano tale traguardo sono ormai alla portata di tutti. Solo per accenno: la disoccupazione giovanile in Italia è al 43% e al suo interno il 24% sono ragazzi con età compresa tra i 15 e 29 anni, indice decisamente superiore alla media europea che segna il 15,9%. La svolta storica dovrebbe consistere nella rivalutazione del sociale in termini di impresa e di economia che vada oltre i ristretti spazi della solidarietà e del sostegno ai più deboli. È questa l’opinione di esperti in materia che non concordano da tempo nella stessa sigla che parla di terzo settore, una etichetta che rende l’umanesimo solidale circoscritto in angoli ristretti e senza ricadute significative nella politica di più ampio respiro. Come sta avvenendo in molti paesi, tra questi Francia, Germania e Spagna anche, il cosiddetto Terzo Settore va collocato in uno spazio che non sia tra i primi in termini di prestigio o potere ma che salga ad un livello di promozione e di valori anche sul piano dell’economia e della crescita e che in tale prospettiva restituisca dignità e sostegno ai più deboli. Si tratta allora di andare oltre i recinti che nel nostro paese hanno ulteriormente recluso i cittadini in spazi ristretti di separazione dal bene comune che invece ha ceduto spazi ad imprese orientate all’interesse di pochi. La ripresa del sociale andrebbe rilanciata da una strategia che persegua con forza e strumenti concreti di sostegno l’intreccio tra investimento pubblico e privato, anche per ridare valore ad una Costituzione che ha subìto l’emarginazione di articoli che i nostri padri avevano attentamente formulati nella direzione del bene comune. L’articolo 42, ormai ignorato, così si pronuncia: “La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati: La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti...”. Norme e principi etici ormai stranieri in una società centrata sull’interesse di pochi, ignoti a molti di noi e non alla portata delle nuove generazioni che finiscono col pagarne le conseguenze nel futuro prossimo. Ed eccoci allora stimolati per addivenire ad un futuro che rilanci valori civili e princìpi di democrazia autentica tradotta in prassi operative. È in uno di questi giorni che don Luigi Ciotti, fondatore di “Libera”, associazione e movimento contro le mafie, in un convegno tenutosi a Castelguidone in una parrocchia della diocesi di Trivento, ha lanciato il messaggio: “Basta formulare programmi……è giunto il tempo di agire”. Abbiamo da qualche tempo rilanciato la sollecitazione a ricostruire in Molise il Forum del Terzo Settore e con quanti hanno già risposto all’appello riattiveremo le iniziative, già in corso in diversi gruppi, per giungere a fare rete per perseguire obiettivi con operosità, ridestando l’attenzione della cittadinanza ma anche non rinunciando a coinvolgere il mondo politico locale, regionale e nazionale. In tale direzione si mobilitano esperti in materia che ampliano la rete stimolando il coinvolgimento e l’intervento delle imprese private e delle banche che in Italia presentano una concentrazione e una diffusione locale ai livelli più alti nell’intero mondo. L’economia sociale allora acquisterebbe spazio e rilevanza maggiore sul piano dell’azione non solo in campo solidaristico ma nel contesto di una economia oggi in crisi. ☺ [email protected] la la fonte fonte settembre febbraio gennaio 2005 2014 la la fonte fontegennaio marzo 2005 19 popoli intrusi indesiderati? Lettera aperta a una signora incontrata per caso nella sala d’attesa di un medico di base. Cara signora, le sue argomentazioni sull’immigrazione di massa, che continua a coinvolgere il nostro Paese e a stravolgerne gli equilibri, hanno incontrato subito l’approvazione degli astanti, che vedevano, come lei, la nostra sicurezza economica, e non solo economica, minacciata. È molto facile ottenere consensi, parlando alla pancia e non al cuore e al cervello delle persone, ed è anche vero che molti immigrati danno seri problemi, soprattutto in fatto di sicurezza. Per queste ragioni le parole di dissenso alle sue verità, che ho cercato di piazzare in quel contesto, sono risultate di scarso appeal. Non ho insistito, perché non mi piace discutere in un luogo pubblico. Mi permetto di sottoporle ora qualche considerazione, che mi sento di fare, chiedendo ospitalità a questo giornale, e senza peraltro avere l’aria di insegnare niente a nessuno. È questione di sensibilità e di umanità, senza scomodare il senso religioso che ciascuno dovrebbe avere nel profondo del cuore, e la sensibilità non può essere insegnata, semmai stimolata, sempre se c’è. Dunque, cara signora, solo poche cose: queste persone scappano dalle atrocità più efferate: stupri, guerra, fame, crocifissioni e altro, e la loro situazione è molto diversa da quella dei nostri emigranti, che lei ripetutamente citava. Essi sanno che su quelle imbarcazioni fatiscenti difficilmente approderanno all’altra riva, ma affrontano ugualmente il viaggio, perché forse la morte in mare è più rapida e meno dolorosa; e poi forse perché in fondo c’è sempre una piccola speranza che ce la possano fare. Io non so, signora se, guardando il telegiornale, magari all’ora di cena, fra un boccone e l’altro, lei abbia visto quegli sbarchi. Non so se ha notato gli sguardi in quei volti, quando qualche telecamera li inquadrava. Non ha letto la disperazione, lo smarrimento e anche la gioia di avercela fatta? Fra i tanti morti annegati, un caso mi ha tenuta sveglia per parecchie notti ed è stato quello di quella mamma che aveva partorito il suo bimbo e 20 dopo appena sei ore sono annegati entrambi, legati ancora dal cordone ombelicale. Io non so, signora se lei ha avuto dei figli. Io sì e ricordo con immutata angoscia, tramutata poi in gioia, quei momenti del parto, assistita da infermiere, ostetriche e dal bravissimo e indimenticabile professor De Palma in una confor- circolazione che gridava “I am American!”. Ottimo! Una volta, intervenendo in un convegno, dissi che se ci professiamo veramente cristiani, ciascuno di noi dovrebbe far posto nella sua casa a questi nostri fratelli disperati. Fui presa per pazza e forse anche lei signora, dopo aver letto questa lettera, penserà che io lo sia davvero. Pazienza. Mi piace. Si è appena conclusa la tanto attesa visita di papa Francesco in Molise. Bella organizzazione, ottima accoglienza, grande festa, profonda commozione, ma mi chiedo quanto abbiano veramente inciso le sue parole di fuoco nelle nostre coscienze. Quanto effettivamente esse cambieranno il nostro modo comodo e sicuro di essere cristiani. Mi scusi, cara signora se l’ho tediata. Voglia gradire i miei rispettosi saluti ☺ Anna Maria Telleri [email protected] mare nostrum tevole struttura ospedaliera, con i familiari fuori ad attendere felici e trepidanti il lieto evento. Quella mamma ha partorito da sola su una barca, magari davanti a persone estranee, mortificando il suo pudore fra gli spasmi del parto che ogni madre conosce benissimo. E poi è annegata insieme al suo bambino! Restare insensibili di fronte a fatti simili e preoccuparci invece della nostra sicurezza economica, minacciata da questi intrusi indesiderati, significa aver perso ogni traccia di umanità. Vorrei ricordarle infine, cara signora, che anche noi siamo responsabili dell’instabilità politica di questi paesi africani, dove ora non c’è più pace. Così come siamo responsabili dell’immane tragedia che si sta consumando in Iraq e in Afghanistan. Sicuramente si ricorderà delle torri gemelle e della folle guerra che Bush ha voluto scatenare, incurante delle relazioni degli ispettori dell’ONU, i quali avevano accertato che in Iraq non c’erano armi di distruzione di massa. Ma lui doveva per forza trovare una causa per giustificare la guerra. (Conosce la favola del Lupo e dell’Agnello al ruscello? Beh, siamo lì, ma in scala naturalmente di gran lunga superiore). Rivendico con fierezza ed orgoglio la mia partecipazione a Roma ai cortei pacifisti, dove gridavamo che quella guerra non era nel nostro nome. Ricordo anche un contro-corteo, che invece inneggiava alla guerra e risento la voce chioccia di un parlamentare ancora in la la fonte fonte febbraio 2014 la fonte settembre gennaio gennaio marzo 2005 2005 2005 Il vento del deserto spinge alle tue sponde le angosce dell’Africa o Mare Nostrum. Col vigore delle tue acque tu traghetti le attese di gente disperata, incalzata da guerre, fame, malattie. Al prezzo di grandi fatiche i fuggitivi comprano la speranza da biechi profittatori e corrono verso il mare. S’imbarcano a migliaia pigiati in fasulle imbarcazioni e, come i miraggi del deserto, vedono a nord la nuova terra, la salvezza, il riscatto. Dramma della traversata! Barconi sul punto di affondare. Salvataggio convulso sulle navi-vedetta. Gli scampati ammucchiati in campi di rifugio. Migreranno poi verso incerti destini. Molti soccombono inghiottiti dalle tue acque amare. Perplesso guarda l’Occidente inefficace e lento a trovare soluzioni. Riecheggiano sulle tue sponde o Mare Nostrum le voci d’una umanità dileggiata. Si leva nel cuore della foresta l’urlo della belva ferita. Lina D’Incecco popoli Addentrandosi nel concetto di modernità liquida Zigmunt Bauman, il sociologo polacco autore del libro Amore Liquido, dà vita in esso ad una disquisizione sull’amore nel mondo liquido post moderno arrivando ad una critica dello stato moderno capace di mettere in crisi anche la più salda delle teorie realiste delle relazioni internazionali, indispensabile per comprendere non solo il sistema globale ma anche la società che ci circonda. L’analisi dell’attuale sistema globale arriva ad esplorare la produzione di vite di scarto e di rifiuti umani privati di qualsiasi dignità che non possono non far pensare alla realtà molisana nella quale si è pensato di inserire un centro di accoglienza per immigrati, simbolo del fallimento del sistema di relazioni tra gli stati. Vorrei regalarvi una sorpresa, una piacevolissima speculazione che arricchita di osservazioni personali. L’amore non si può imparare con l’esperienza. Esso è un fenomeno sempre nuovo che richiede impegno affinché il legame di affinità che viene a crearsi tra due persone (contrapposto a quello di consanguineità) possa generare i suoi frutti. Occorre creatività affinché il legame amoroso (che deve essere proiettato verso il futuro e basarsi su una consapevolezza di dualità) sia duraturo: “In altre parole, non è nella brama di cose pronte per l’uso, belle e finite, che l’amore trova il proprio significato, ma nello stimolo al partecipare al divenire tali cose. L’amore è simile alla trascendenza; non è che un altro nome per definire l’impulso creativo e in quanto tale è carico di rischi, dal momento che nessuno può mai sapere dove andrà a finire tutta la creazione”. Tuttavia oggi tutto ciò avviene sempre meno e “la relazione tra due persone segue il modello dello shopping, e non chiede altro che le capacità di un consumatore medio, moderatamente esperto. Al pari di altri prodotti di consumo, è fatta per essere consumata sul posto… ed essere usata una volta sola con ogni riserva. Innanzitutto e perlopiù, la sua essenza è quella di potersene disfare immigrati e relazioni Maria Antonietta Crapsi senza problemi”. Cambiare le persone come si cambiano le merci quindi, buttarle come si fa con prodotti ancora utilizzabili ma che non ci piacciono più. Sono queste le relazioni alla base del nuovo sistema globale, basate sulla mercificazione, sul consumismo, sulla chiusura e sulla paura dell’altro. Così le nostre città si chiudono e si creano nuovi ghetti, si producono rifiuti umani che vengono emarginati in quanto non riescono a far parte dello spietato sistema consumista. Il sistema globale ha iniziato a produrre rifiuti umani con la creazione dello stato moderno basato sui concetti statonazione-territorio e ha cercato di tenerli alla larga attraverso il fenomeno della colonizzazione. Oggi il fallimento dello stato è evidente: persone di paesi lontani bussano alle porte dell’occidente che, incapace di inglobarle nel sistema, le stipa in non luoghi in cui si perde dignità e identità. “Il proliferare di campi profughi è un prodotto/manifestazione della globalizzazione, tanto integrale quanto il denso arcipelago di non-luoghi di passaggio in cui si muove la nuova élite di giramondo”. Vittime del sistema: persone spinte all’esterno e persone bloccate alle frontiere. Tutto ciò è facilmente osservabile nella realtà maltese. Ben celata dietro i sovraffollati locali di Paceville dai quali donne e transessuali seminudi invitano gli “assetati” passanti ad entrare si nasconde una scarsa attenzione per l’ambiente circostante. Case decrepite sull’orlo del crollo e strade piene di immondizia, acque inquinate dai continui viaggi in barca verso le isole minori e dai rifiuti abbandonati da turisti selvaggi, elevatissimo tasso di obesità che tra i bambini è pari al 34% e migliaia di fast food, sovraffollamento e accozzamento di abitazioni e assenza di aree verdi in cui i bambini possano giocare, piena dipendenza dalla tecnologia e scarsa volontà di approfondire la propria cultura (tanto che il governo maltese deve fornire incentivi affinché i giovani intraprendano la carriera universitaria), necessità di lavoro manuale e senso di repulsione nei confronti degli stranieri, creazione di ghetti (detention) nel pieno cuore del Mediterraneo: tutti questi sono i segnali del fallimento dello stato moderno imposto con la colonizzazione. L’indirect rule della colonizzazione inglese dell’isola di Malta è visibile: all’Inghilterra serviva la posizione strategica dell’isola e per questo non ha promosso la nascita di una cultura critica bensì il consumismo sfrenato con tutte le conseguenze del caso. Pensiamo poi ai paesi molisani: giovani che non hanno nemmeno più la capacità di immaginare un futuro spinti alla ricerca del lavoro all’esterno, famiglie distrutte e escluse non solo dal mondo consumista ma anche da quello della sopravvivenza; immigrati in arrivo che vivranno la più atroce delle sofferenze attraverso la negazione del sé e che verranno rinchiusi nella gabbia dello stereotipo di colpevole fino a prova contraria… quanto risuonano vere le parole di Bauman? L’umanità comune immaginata da Kant è urgente e se è vero che è difficile rispondere adeguatamente a questo bisogno, possiamo partire dal dialogo a livello locale, lasciando spazio al nostro interlocutore e disponendoci a giungere a una soluzione inaspettata. Per concludere con Bauman: “In una barzelletta irlandese un passante a cui un automobilista chiede: Da qui come si arriva a Dublino? risponde: Se volessi andare a Dublino non partirei da qui”. Cambiare punto di partenza potrebbe essere un ottimo inizio! ☺ [email protected] Via Marconi, 62/64 CAMPOBASSO la la fonte fonte settembre febbraio gennaio 2005 2014 la la fonte fontegennaio marzo 2005 21 società liberi di crescere Adriana De Bartolo "So che tutti mi amano perché lo dimostrano in ogni cosa, ovunque e in ogni rapporto che ci unisce, ma per l´amore che nutrite per me e che io nutro per voi, vorrei che mi deste la possibilità di essere libero di crescere nel modo più naturale possibile, libero di giocare per l´amore del gioco, libero da tutti gli obblighi del vostro mondo. Lasciatemi essere un bambino. Non desiderate che io raggiunga mete che forse saranno importanti per il futuro: cercare di raggiungerle adesso potrebbe farmene mancare altre che oggi considero più importanti. Lasciatemi vivere l´età che ho, perché sarò bambino una volta sola. Non cercate di programmare troppo la mia vita o la mia personalità, non disperatevi per le mie sconfitte, o, peggio ancora, non sentitevene colpevoli. La tristezza che provo dopo la sconfitta scompare automaticamente non appena mi si asciugano le lacrime e la dimentico del tutto appena ritorno in campo, felice di giocare di nuovo e di essere un bambino. Non cercate di trionfare tramite me, non cercate di modellarmi a vostra immagine e di farmi fare quello che non siete riusciti a fare, non sprecate tempo prezioso, sono un bambino, felice di esserlo e di restarlo. Cari genitori se desidero praticare uno sport, scegliete una società sportiva che mi piaccia, dove un allenatore mi insegnerà ad essere un buon giocatore, ma non oggi, perché adesso voglio fare quello che mi piace e quello che so fare. Non cercate di fare di me un grande ragazzo, fate di me un buon bambino, un bambino felice. So che soffrite quando gioco, ma non è necessario, perché io in quel momento sono felice proprio per- 22 ché gioco. Ogni tanto mi sembra che siano gli altri, fuori dal campo, a battersi per noi, come se i genitori, dirigenti e allenatori, fossero gelosi gli uni degli altri, come se soffrissero per una vittoria che non è stata ottenuta o per un gioco che sembrerebbe perfetto, ma che io non posso dare loro. Datemi tempo e cercate di capire che adesso le cose debbono andare così e che nello sport, come in ogni altra cosa della vita, tutto giunge a tempo debito. Per favore, lasciatemi giocare da solo, lasciate che mi diverta a modo mio. Sono un bambino, non dimenticatelo, soltanto un bambino... e sarò un bambino soltanto una volta nella mia vita" (G. Basso, M.G. Pugliese, Ed. La meridiana, Bari 2004). “In principio era la competizione”. Ogni momento della nostra vita obbedisce a questa semplice legge di cui lo sport è solo una possibile declinazione. Atleti, Allenatori, Genitori, Psicologi, Organizzatori, Squadre, in modi diversi, affrontano tutti le medesime sfide e ricorrono quindi ad un’unica risorsa: l’Intelligenza Agonistica, ossia l’insieme delle competenze insite nella naturale tendenza dell’essere umano a progettare, affrontare, la la fonte fonte febbraio 2014 la fonte settembre gennaio gennaio marzo 2005 2005 2005 superare e prevedere le sfide con se stesso, con gli altri e con l’ambiente. Si è ormai concordi sulla necessità di favorire non solo una maturazione fisica dei piccoli atleti ma anche psicologica, o meglio, una maturazione psico-fisica sia dal punto di vista sportivo che da quello evolutivo, attraverso un percorso formativo atto a coinvolgere le figure adulte di riferimento, che hanno un’influenza consistente sulla crescita educativa del bambino. Risulta, pertanto, di fondamentale importanza offrire alle famiglie informazioni utili sul profondo significato educativo dello sport e su come favorire nei figli lo sviluppo dell’autostima e la gestione dell’ansia da prestazione con modalità sperimentali che non hanno più al centro l’esperto ma i genitori con le loro esperienze e i loro vissuti. Questi ultimi, infatti, nonostante siano orientati a desiderare il meglio per i loro figli e a non commettere errori, sono essere umani e perciò fallibili, nonostante le intenzioni. Sarebbe auspicabile, a tal fine, supportare i genitori nella comprensione dell’importanza dell’attività sportiva a scopo evolutivo, poiché lo sport non è solo movimento, ma anche educazione, rispetto, cultura, valori, benessere, stare insieme, condividere, accettazione dei propri limiti, valorizzazione delle proprie risorse, collaborare, mettersi alla prova, autocritica, obiettivi da raggiungere e da condividere. È amicizia, fratellanza, sana competizione. Insegna a gioire della vittoria e ad accettare l’amarezza della sconfitta, a cadere per poi rialzarsi, a vivere le emozioni. Tutto questo è cultura sportiva e la psicologia può essere il veicolo per valorizzare la vera essenza dello sport, al fine di supportare i piccoli atleti attivamente in un processo di creazione non di campioni nel gioco ma di campioni nella vita.☺ [email protected] società sostenibilità Tony Vaccaro - effetti catastrofici della guerra (per gentile concessione di Reinhard Schultz) Michelantonio Celestino Onofrio Vaccaro (che in seguito assumerà il nome di Tony) nasce il 20 dicembre 1922 a Greensburg, in Pennsylvania, da padre e madre molisani emigrati agli inizi del XX secolo. All'età di tre anni torna con la sua famiglia in Molise. Nel 1925 muore la madre e, successivamente, nel 1928 il padre. A causa della morte prematura dei genitori, Tony vive la sua infanzia e la sua adolescenza con le sue sorelle, Gloria e Assunta, a Bonefro. Nel 1939 con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale Tony torna in America dove, fino al 1943 frequenta la High School. Qui il suo insegnante di scienze lo introduce alla fotografia ed inizia così le sue sperimentazioni fotografiche con la sua prima macchina fotografica, una Argus C3. Nel 1943 viene arruolato nell’esercito degli Stati Uniti e, nell’aprile del 1944, è inviato in Inghilterra con l’83a Divisione di Fanteria, ricevendo l'autorizzazione dal comandante di battaglione di scattare fotografie a condizione di svolgere sempre il suo dovere di soldato. Tony prende parte allo sbarco in Normandia e alla progressiva liberazione dell’Europa occidentale. Nel 1945 viene congedato e decide di rimanere in Europa accettando un impiego come fotografo per il Ministero degli Esteri Americano. Alla fine del conflitto il suo primo grande desiderio è quello di tornare in Molise, nel suo paese d’infanzia: Bonefro. Oltre a fotografare i segni della distruzione che la guerra aveva lasciato all’Italia, Tony dà spazio alla bellezza del paesaggio naturale, all’ambiente, alle tradizioni e ai personaggi comuni della sua terra, temi con i quali mette a punto la sua tecnica e la sua arte fotografica. Ritorna in America solo nel 1949 dove si specializza in Giornalismo e Scienze alla Long Island University. A partire dal 1950 inizia la sua carriera professionale di fotoreporter, lavorando per le migliori riviste dell’epoca come Flair, Look e Life, incontrando molti personaggi di rilievo come Chaplin, Brando, Callas, Dietrich, Clark Gable, Fellini, Sophia Loren, Kennedy, Le Corbusier, Marcel Marceau, Peggy Guggenheim, Ernst Pollock, Grace Kelly, Anna Magnani, Picasso, l’architetto Wright, De Chirico, De Sica, Burri ed altri del mondo politico ed artistico. Le sue foto oltre ad essere un contributo storico, artistico e culturale, comunicano l’esperienza umana vissuta dallo stesso Tony nel corso della sua vita. Ancora oggi all’età di 92 anni ogni volta prima di uscire porta con sé la sua macchina fotografica, l’immancabile Leica. Egli afferma: “È proprio il destino di noi fotografi ad avere bisogno di osservare il mondo attraverso il mirino di una macchina fotografica”.☺ la la fonte fonte settembre febbraio gennaio 2005 2014 la la fonte fontegennaio marzo 2005 Alcune persone cambiano mezzo di trasporto dopo aver letto un rapporto scientifico sul riscaldamento globale. Altre modificano la propria dieta dopo aver visto un servizio sulla deforestazione in Amazzonia e sul ruolo giocato in questo processo dall’agroindustria. Altre ancora, forse, iniziano a guardare la provenienza del pesce che comprano al supermercato dopo aver appreso i devastanti effetti della pesca industriale. Vi sono anche quelle che decidono di non acquistare indumenti di determinate marche dopo aver scoperto le condizioni di lavoro degli operai che li confezionano. C’è chi, addirittura, va nella sua banca a chiedere dove si stanno investendo i suoi risparmi dopo aver letto un articolo sul commercio delle armi. Ma l’immensa maggioranza delle persone, ammettiamolo, non lo fa. Come afferma Peter Singer con un misto di ironia, rassegnazione e realismo, riflettendo sul comportamento umano, “i fatti, per se stessi, non ci offrono le ragioni per l’azione”. Chi le offre allora? Chi è capace di motivare, incoraggiare e sostenere l’impegno etico nel corso del tempo? Jaime Tatay caro direttore, di seguito, il sogno di cui ti ho parlato, alla vigilia della visita del Papa in Molise! Papa Francesco, avendo letto la lettera aperta che gli hai scritto su la fonte di giugno, dove parli di quella specie di set cinematografico dentro il quale vorranno costringerlo a recitare il copione che gli organizzatori hanno preparato per lui, ha deciso di fare un salto “dietro”; le quintedomani verrà a parlare con te per farsi partecipe delle preoccupazioni e dell’immenso bisogno di speranza della comunità parrocchiale che "animi, ricambiato da grande affetto". P.S. Come ho avuto modo di dirti, ho sperato con tutto il cuore che il sogno si realizzasse! Non è accaduto, ma rimane la gratitudine infinita per la tua coraggiosa testimonianza e la fiducia che potremo trovare ancora l'unità e la forza per affrontare i tanti problemi del nostro territorio. "Hasta la victoria siempre"! Nadia Iarocci [email protected] 23 società veniva da caracas Carolina Mastrangelo Ho deciso di mettere ordine in soffitta e di eliminare i tanti, inutili libri scolastici che la invadono, ma non mi priverò del mio vecchio Inferno di Dante anche se ho edizioni più moderne dei miei figli. Apro, quasi accarezzando, le sue pagine ingiallite che sanno di polvere e muffa: al margine di una di esse, tra le sbiadite annotazioni a matita, carpite alle spiegazioni erudite e narcisistiche della mia insegnante, ce n’è una in biro rossa che certo ho scritto mentre la mente evadeva dalle sudate carte per rincorrere momenti felici vissuti in altri luoghi e in altro tempo: “Un ricordo è ancora tra le mie mani e solo una parola mi fa tremare…” era il recitato di Monia, una musica in voga in un’estate di fine anni ‘60. Sul giradischi andava il 45 giri in vinile al cui ritmo lento e dolcissimo modulavamo respiri e passi, anzi non i passi, ma il dondolio dei nostri giovani corpi abbracciati. Jorge veniva da Caracas, occhi scuri, barba morbida e profumata, jeans bianchi, maglietta a righe e non aveva faticato ad inserirsi nella mia comitiva. Si andava a ballare tutti i pomeriggi in una villa fuori dal paese, immersa nel verde. Jorge era rapito da quella musica: “Esta mùsica me encanta” mi sussurrava all’orecchio… Spesso lasciavamo gli altri ragazzi e andavamo a sederci ai bordi della vasca rotonda con lo zampillo e i pesci. Jorge adorava Dante e voleva sentirlo leggere nella lingua originale. Più di una volta, nella borsa, portavo il mio libro di scuola, l’Inferno commentato da Sapegno; lui seguiva attento la mia voce tremante d’emozione che leggeva al meglio l’imprescindibile V Canto, quello di Paolo e Francesca. Allora anche per me “galeotto fu il 24 libro e chi lo scrisse!” Jorge s’intendeva di pittura; la mattina, solo, tornava alla villa col suo piccolo cavalletto portatile per dipingere en plein air; amava molto gli impressionisti: Monet, Renoir, Degas, Cezanne…; la tecnica con cui riproducevano sulla tela, sensazioni e percezioni visive che le condizioni di luce, l’acqua, il cielo, la natura comunicavano loro nella mutevolezza delle ore del giorno e delle stagioni. Come loro usava pennellate rapide; forme dai contorni sfumati, quasi dissolte, vaporizzate nella luminosità dell’atmosfera; tinte chiare, insolite, dove non esistevano il marrone, il nero e dove anche le ombre erano colorate. Avevo preso l’abitudine di seguirlo; mi mettevo alle sue spalle taciturna ed estasiata e lo guardavo dipingere. La tela era una distesa di papaveri appena accennati, traboccante di vividi rossi addolciti da tocchi di arancio, da sprazzi di giallo, da teneri verdi… Per parecchi giorni mi fu impossibile raggiungere Jorge, non potevo uscire impunemente a qualsiasi ora. Quando tornai alla villa con il cuore che mi batteva forte, lui non c’era più; al suo posto il piccolo cavalletto rovesciato e, in mezzo all’erba, la tela; tra il rosso screziato dei papaveri si stagliava la sagoma di una figuretta azzurra, indistinta, dalla lunga gonna al vento…; dietro la tela una scritta a pennarello: “Con mucho cariño”. Non ho rivisto più Jorge, né ci siamo mai scritti; non so se esiste ancora in un angolo di mondo, ma in un angolo di cuore - il mio - sì!“Un ricordo è ancora tra le mie mani…” [email protected] la la fonte fonte febbraio 2014 la fonte settembre gennaio gennaio marzo 2005 2005 2005 fermati Fermati dove corri dove vai alla fine della strada non c’è altro. Allora prenditi tempo. Aspetta guarda aspetta senti ascolta sei solo un ospite siediti lì su quello scalino al sole. Fatti accarezzare è il sole dai suoi raggi di seta lasciati avvolgere dal calore buono fatti illuminare il viso stanco di chi corre corre corre ma dove va? Fermati il giorno è giovane. Dopo tutto sei solo un ospite. Ospiti e non padroni leggeri senza terra né mattoni né mobili coperti di polvere né fondamenta sporcate di fango né vestiti che rinchiudono e ci limitano nella loro arrogante cerimoniosa immagine. Ospiti liberi di fermarci qui in questo angolo di vita. Seduti sentiamo il silenzio. Ci fermiamo a riconoscerci. Francesca Benedetti [email protected] 1914 venti settembre 2014 i primi cento anni della chiesa evangelica battista di Ripabottoni *13 sett. ore 17,00 inaugurazione mostra storico/fotografica; *20 sett. ore 17,00 conferenza: la presenza dei battisti in Italia; *21 sett. ore 11,00 culto in chiesa. le nostre erbe Così Eugenio Montale, in una poesia degli Ossi di seppia, definisce questo fiore dei campi tanto amato e raffigurato in alcune celebri tele dal grande pittore olandese Van Gogh. È il simbolo della bella stagione e dell’estate: sarà per i suoi colori accesi ed estivi, sarà per la sua misteriosa vocazione a seguire sempre il sole, volgendo quasi magicamente l’infiorescenza verso il punto di maggiore illuminazione. In realtà, osservando un campo di girasoli, si può notare che tutti i fiori sono sempre rivolti in un’unica direzione: verso sud-est. Originario delle Americhe e coltivato dagli Incas per ricavarne semi alimentari e oleosi, fu introdotto in Europa nel 1500. Ma la parola “girasole” esisteva già molto prima che venisse conosciuto dagli europei. Nella mitologia greca si racconta infatti della giovane ninfa Clizia che, innamorata di Apollo, dio del sole, ne seguiva tutto il giorno il carro durante il suo giro nel cielo, fino ad essere trasformata nel fiore che si orienta sempre verso il sole, ruotando nel corso della giornata per catturarne i raggi. Ovidio, che riporta questo mito nel poema Le metamorfosi, non precisa però di che specie di fiore si tratti, limitandosi ad accennare ad una pianta viola, identificata con l’eliotropio. Sono stati poi i pittori barocchi a raffigurare il fiore di cui parla Ovidio con il girasole, che ha assunto da allora il significato di profonda devozione. Anche il nome scientifico Helianthus annuus, che deriva da due parole greche, helios (sole) e anthos (fiore), fa riferimento alla tendenza di questa pianta a girare sempre il capolino verso il sole, comportamento noto come “eliotropismo”. Il girasole appartiene alla famiglia delle Composite, insieme ad altre cento specie circa, fra le quali il topinambur (vedi la fonte n. 9 del mese di novembre 2006). È una pianta annuale molto vigorosa e dall’ abbondante fioritura, conosciuta tanto per i suoi semi oleosi quanto per il valore ornamentale dei grandi fiori gialli o aranciati. Viene giustamente apprezzato a scopo ornamentale per la bellezza dei fiori e per la facilità di coltivazione. Questi fiori crescono ovunque e si possono anche coltivare in vaso; in questo caso è opportuno scegliere le varietà nane e posizionarle al riparo impazzito di luce Gildo Giannotti dal vento e in pieno sole. La fioritura avviene da giugno a settembre a seconda del clima, della varietà e del momento della semina. Per lungo tempo è stato considerato solo come pianta ornamentale e si è affermato come pianta da olio agli inizi del XIX secolo, quando fu messo a punto il primo metodo per l’estrazione dell’olio. Negli ultimi anni è la coltura che ha registrato la più grande espansione, soprattutto nelle regioni centrali italiane, compreso il Molise. Il girasole è una coltura a ciclo primaverile-estivo che rientra fra le cosiddette piante da rinnovo, quelle cioè che traggono il massimo profitto dalle lavorazioni profonde e dalle eventuali concimazioni organiche. Il girasole, perciò, trova il suo posto migliore in apertura della rotazione, succedendo e precedendo colture di cereali. Costituisce un buon precedente per le colture cerealicole e in modo particolare per il frumento, per diversi motivi: - libera il terreno piuttosto presto (agosto-settembre) e così consente di prepararlo tempestivamente per la coltura che seguirà; - lascia discrete quantità di residui organici rappresentati da radici, fusti e pule che si decompongono con relativa facilità e buona resa in humus; - lascia il terreno libero dalle erbe infestanti. Caratteristica è la sua infiorescenza, un capolino molto sviluppato detto botanicamente “calatide”, che può raggiungere un diametro di 15-25 cm fino ad un massimo di 40 cm. I fiori del girasole attirano molto le api che ne favoriscono l’impollinazione e sono in grado di produrre, in una apicoltura ben organizzata, decine di kg di miele per ettaro. Gli acheni, impropriamente chiamati semi, rappresentano la parte interna del fiore e sono disposti a spirali iperboliche concentriche secondo la teoria del matematico Leonardo Pisano detto il Fibonacci. La sequenza di numeri da lui individuata è nota, appunto, come "successione di Fibonacci" (1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89 ... - per cui ogni termine, a parte i primi due, è la somma dei la la fonte fonte settembre febbraio gennaio 2005 2014 la la fonte fontegennaio marzo 2005 due che lo precedono, ed è presente, oltre che in diverse forme naturali (per esempio, le spirali delle conchiglie) e in altre infiorescenze come la calendula, la margherita o il broccolo romanesco, anche nel girasole: infatti gli acheni sono disposti lungo due insiemi di spirali (ben visibili nella foto), che girano rispettivamente in senso orario e antiorario. Ovoidali, appiattiti, allungati e un po’ più larghi alla base, sono di colore bianco, nero, bruno, o più spesso chiari con delle striature longitudinali più scure. I semi di alcune varietà si utilizzano per il consumo alimentare diretto, come frutta secca o in diversi prodotti da forno e di pasticceria, e sono costituiti da un tessuto ricchissimo di olio (55-65%). Questa resa di olio è aumentata sempre più negli ultimi anni, soprattutto grazie ai grandi progressi del miglioramento genetico. L’olio estratto dai semi di girasole è ricco di acidi grassi insaturi, in particolare oleico (monoinsaturo) e linoleico (polinsaturo e precursore degli omega-6). Negli ultimi decenni sono state selezionate piante con un maggiore contenuto di acido oleico, che significa una migliore resistenza alla degradazione termica ed ossidativa; di qui l’impiego in friggitoria al posto del più costoso olio di oliva. Un maggiore equilibrio tra acido oleico e linoleico garantisce al consumatore un miglior controllo del colesterolo a bassa densità (LDL), con una riduzione del rischio cardiovascolare. Sorprendente anche il contenuto in vitamina E: 60 mg in 100 grammi, pari al 300% circa della dose giornaliera raccomandata. Ma i semi di girasole costituiscono un alimento ideale anche per il contenuto di tocoferolo, una vitamina dotata di notevole effetto antiossidante capace di rallentare l’invecchiamento e proteggere l’organismo da alcune malattie degenerative. L’elevato potere energetico li rende ideali a colazione o tra uno spuntino e l’altro, mescolati ad altri alimenti o presi singolarmente in dosi di 1020 grammi al giorno. Se torrefatti, possono servire come surrogato del caffè e inoltre sono molto adatti per l’alimentazione dei pappagalli allevati, che ne sono ghiotti.☺ [email protected] 25 etica La vita prima del debito Perché mai dovremmo pagare? a cura di Antonio De Lellis prefazione di Mons. Mario Toso Il presente volume esprime lo sforzo che uomini e donne di buona volontà compiono nel difficile cammino del superamento della perversa esposizione debitoria di molti Stati ed ora anche di parte dell’Europa e dell’Italia. Nel volume emerge con chiarezza che la proposta del Giubileo del Debito, come passaggio da un’economia della proprietà ad un’economia della custodia, si colloca naturalmente dentro ciò che si può definire l’utopia democratica di Papa Francesco. Secondo il pontefice argentino l’utopia democratica inizia a prendere forma ogni volta che dalla stessa crisi della democrazia emergono direzioni di una sua possibile soluzione. Più precisamente, l’utopia politica di Bergoglio consiste in un progetto politico di democrazia ad alta intensità, ossia una democrazia sostanziale, partecipativa e sociale. Il libro vuole tentare di mettere assieme chi si occupa di crisi economica, sia in Italia che all'estero, a livello di movimenti sociali e di movimenti ecclesiali, nella certezza che la cultura economica è tale solo se è effetto di una contaminazione che produce connessioni ed interconnessioni. Per questo motivo si sono scelti autori che hanno accettato la sfida della contaminazione e che sono anche disposti ad investire il loro sapere per risolvere uno dei problemi più gravi del nostro tempo. È anche il tentativo di mettere insieme due 26 mondi che però hanno iniziato a dialogare insieme anche e soprattutto in occasione della campagna referendaria per l'acqua bene comune e che ancor oggi, grazie all'amicizia personale, che è il vero spazio di trasformazione sociale, restano insieme. Ma forse quello che sta più a cuore è rimettere in moto una riflessione in ambito cristiano su tematiche sociali con obiettivi a lungo termine superando un presente schiacciato da pesi enormi, perché il rancore e la nostalgia per un mondo che non tornerà più non si trasformi in prostrazione, ma in speranza, la quale ha il volto di chi fa più fatica. Da troppo tempo l’irrilevanza dei cristiani, e in alcuni casi il silenzio, ha permesso, concesso o non ostacolato l’avanzata di “un sistema economico che uccide”. Nulla ha più lo stesso valore, lo stesso senso. In nome dell’azzardo finanziario che ha amplificato la crisi economica del consumismo, coloro che l’hanno provocata hanno ridotto i diritti fondamentali, attaccato le costituzioni degli Stati, ridotto in schiavitù intere popolazioni attraverso privatizzazioni, attacco ai territori, sistemi di indebitamento con logiche da usura internazionale. Come tacere? Come essere insensibili al grido di dolore degli impoveriti, al tintinnio di catene che proviene da diverse parti del pianeta? Per questo motivo, oggi, nell’epoca di Francesco, che nello stile vuole tornare ad una Chiesa dei poveri e non solo per i poveri, ci viene incontro un’interpellanza interiore. Quale società senza esclusione siamo chiamati a costruire? Quale economia della vita che contrasti un’economia che uccide? “Chi farà questa rivoluzione di Francesco?” - si chiede Raniero La Valle in un suo scritto recente. La costruzione del bene comune di tutti e di ciascuno è l’alto atto di carità politica a cui si è chiamati. Con chi? Con tutti quelli che vogliono procedere per la stessa strada di costruzione di una società solidale in cui nulla è nostro, ma tutto ci è stato affidato.☺ la la fonte fonte febbraio 2014 la fonte settembre gennaio gennaio marzo 2005 2005 2005 “Hanno creato dei re che io non ho designati; hanno scelto capi a mia insaputa. Con il loro argento e il loro oro si sono fatti idoli ma per loro rovina. Ripudio il tuo vitello, o Samaria! Esso è opera di un artigiano, esso non è un dio: sarà ridotto in frantumi il vitello di Samaria. E poiché hanno seminato vento raccoglieranno tempesta” (Osea, (8, 4-5.7). Mi son chiesto come mai i governi dell’Italia e dell’Europa si agitano, dispongono e non risolvono oggi i problemi dei loro cittadini? Guidato da una riflessione di Giorgio Agamben vi invito a un miniviaggio, un po’ faticoso, dentro la mente ordinatrice e nel cuore della mega-macchina sociale denominata finanzcapitalismo. È una grande organizzazione gerarchica che usa masse di esseri umani come componenti o servo-unità, sviluppata allo scopo di massimizzare e accumulare, sotto forma di capitale e insieme di potere, il valore estraibile sia dal maggior numero di esseri umani, sia dagli ecosistemi. Si riproduce, come vero cancro sociale, grazie ad una cultura che nei media ne scandisce e ne promuove gli aspetti concettuali performativi. L’integralismo del mercato è, infatti, una teoria del tutto, qualcosa che si avvicina ad una visione religiosa compiuta. Si tratta di un vero e proprio credo, di una forma di fede, di un sapere fideistico che affonda le sue radici nella teologia economica. Nel primo cristianesimo trasmigrato da Gerusalemme a Roma, passando per Atene, l’espressione economia della salvezza altro non fu che l’espressione linguistica per la prima articolazione concettuale della Trinità cristiana. Se, dal punto di vista della essenza o natura (physis in greco, o substantia in latino) Dio è uno, quanto, invece, al modo in cui vive nelle relazioni intra-trinitarie (in casa = oikos) e opera con ordine (governo = nomos) per la salvezza dell’uomo e del mondo (economia della salvezza), Dio si manifesta in “tre persone” distinte nel suo agire provvidenziale. Il temine oikonomia si andò specializzando per significare in particolare l’incarnazione del Figlio e l’economia della redenzione o della salvezza. I teologi si abituarono a poco a poco a distinguere fra una teo-logia “discorso (logos) su l’unico Dio” e un “discorso (logos) su l’economia della salvezza/redenzione”. L’oikonomia divenne il dispositivo attraverso cui il dogma trinitario e l’idea di un governo divino prov- etica diritti e dispositivi Silvio Malic videnziale del mondo furono introdotti nella fede cristiana. Questo paradigma dopo un lungo periodo di quiescenza, riappare, in forme secolarizzate, in età moderna: nel Seicento con il dibattito leibniziano sulla teodicea e nel Settecento con la nascita della “economia politica” o “politica economica” da allora ai nostri giorni. Luciano Gallino, con molti altri, afferma con chiarezza che il “carattere costitutivo del neoliberalismo è infatti quello di essere, nel fondo, una forma di fede”. L’economista Riccardo Petrella, nel libro Una nuova narrazione del mondo, ricompone la struttura teologica nascosta del “finanzcapitalismo”, in analogia alla Trinità, e svela la dinamica religioso-fideistica del mercato guidato dalla “TUC (Teologia Universale Capitalistica): Il fondamento: Il Padre = Il Capitale; il Figlio = L’Impresa; lo Spirito Santo = Il Mercato. La nuova arca di Noé: = Il Mercato Globale. I Sei Comandamenti della “Nuova Alleanza”: 1.Tu non fermerai la globalizzazione perché è inevitabile. 2.Tu liberalizzerai tutti i mercati. La storia va verso l’ineludibile creazione di un mercato mondiale integrato. 3.Tu non lascerai più il potere di regolazione “politico” allo Stato. Bisogna promuovere la “governance mondiale”. 4.Tu privatizzerai tutto. 5.Tu devi innovare in continuazione sul piano tecnologico. La scienza e la tecnologia sono il principio di tutto. 6.Tu sarai il migliore, il vincente, il più competitivo. La tua sopravvivenza passa attraverso la tua competitività. Le operazioni trinitarie («economia della salvezza»): Liberalizzazione; Deregolamentazione; Privatizzazione. La Pentecoste: La tecno-logia, il logos universale. La Grazia: la redditività. La Salvezza: essere competitivo. Il Peccato: non sottomettersi alle “regole” del mercato oligopolistico mondiale; ancor più la contestazione e la ribellione è “crimine”. I Grandi Teologi: A. Smith, D. Riccardo. I nuovi Evangelisti: i guru delle principali università degli USA, dell’Europa e del Giap- pone. I consulenti “ufficiali” delle grandi imprese multinazionali e i governi dell’ONU. I luoghi di formazione dei “preti” della TUC: le scuole di Management e Business Administration. La proclamazione “quotidiana” del Nuovo Catechismo: “Financial Times”, “The Wall Street Journal”, “El Mundo”, “The Economist”, “Il Sole-24 Ore”, “Le Figaro”, “Frankfurte Allgemaine Zeitung” …. Una riflessione del filosofo francese M. Foucault del 1977 analizzava, nel contesto in cui era e noi ancora siamo, il concetto di “dispositivo”. Diceva Foucault: “col termine dispositivo, intendo una specie, per così dire, di formazione che in un certo momento storico ha avuto come funzione essenziale di rispondere a un’urgenza. Il dispositivo ha dunque una funzione, eminentemente strategica, di un intervento razionale e concertato nei rapporti di forza, sia per orientarli in una certa direzione, sia per bloccarli o per fissarli e utilizzarli. Il dispositivo è appunto questo: un insieme di strategie di rapporti di forza che condizionano certi tipi di sapere e ne sono condizionati”. Sostiene G. Agamben che ne ha ripescato il pensiero: in una società disciplinare, i dispositivi mirano attraverso una serie di pratiche e di discorsi, di saperi e di esercizi alla creazione di corpi docili, ma liberi, che assumono la loro identità e la loro “libertà” di soggetti nel processo stesso del loro assoggettamento. Non sarebbe probabilmente errato definire la fase estrema dello sviluppo capitalistico che stiamo vivendo come una gigantesca accumulazione e proliferazione di dispositivi. Si intravedono chiari, con questa chiave di lettura, i fondamenti teorici del cosiddetto ordine giuridico del mercato europeo, ove “il la la fonte fonte settembre febbraio gennaio 2005 2014 la la fonte fontegennaio marzo 2005 legislatore - dichiarava Wilhelm Röpke uno dei sostenitori convinti - deve fornire solo norme per un quadro di riferimento efficace entro cui possono formarsi ordini autogenerantisi. L’ordinamento giuridico non ha qui alcun motivo di intralciare la competizione, di circoscriverne l’ambito, di negargli ciò che è lotta. Al contrario, ogni simile misura pregiudicherebbe la funzione selettiva ed ordinante della competizione stessa, ne falserebbe il risultato, la trasformerebbe in qualcosa di indeciso. Il compito dell’ordinamento giuridico è allora di proteggere la lotta, non la pace. Esso deve assicurare ubbidienza alla regola della competizione e deve impedire che il gioco regolato delle forze degeneri in lotta per il potere indifferente ai principi”. Mentre le costituzioni del dopoguerra si stracciano (parlavano di “cooperazione”), i diritti riconosciuti e proclamati si accantonano (lacciuoli che frenano la macchina), si deprivano dei beni (cfr. acqua e altri) e dei mezzi le strutture di sostegno alle persone (scuola, salute, pensioni, ecc.) e alle comunità (vedi Cassa Depositi e Prestiti per i Comuni, Province e Regioni) si moltiplicano soggetti capaci di produrre “dispositivi” che condizionano la vita delle persone, delle istituzioni e dei governi che, maldestramente, ne hanno assunto acriticamente i principi e devono solo rigare dritto nell’applicarli. L’Europa non è riuscita a produrre diritto costituzionale per i suoi cittadini, ma li inonda di “direttive” e, nel frattempo, lascia mano libera a tutti i “dispositivi” della BCE, del FMI, del WTO, del Mercato finanziario (banche e criminali associati), ecc. che dispongono in modo deciso e senza possibilità di salvaguardia del diritto, se non per quello residuale e marginale che ancora non sono riusciti a stralciare.☺ 27 sisma foto di gruppo dirigente Domenico D’Adamo L’assenza della politica e la latitanza delle istituzioni hanno fatto sì che il Molise avesse la migliore delle estati immaginabili, sia in termini di produzioni culturali ed artistiche che di attività ricreative, nonostante l’ inclemenza del tempo. Nelle città più importanti, Campobasso e Termoli, il rinnovo dei consigli comunali ha impedito, fortunatamente, ai nuovi eletti di occuparsi del cartellone estivo delle manifestazioni e questo è stato un vero colpo di fortuna per amministratori e amministrati. Le Pro loco si sono occupate come sempre delle sagre e le associazioni dei momenti più impegnativi. Non ha fatto mancare la presenza, ma solo quella, il delegato alla cultura della Regione Molise. Invitato, come da cerimoniale, ha ringraziato tutti, si è complimentato per i risultati raggiunti e ha assunto l’impegno di sostenere, economicamente, “come d’altronde ha fatto anche quest’anno”, le eccellenti attività estive: chi si occupa di promuovere arte e cultura è avvertito. Questa volta ci siamo impegnati a trattare prima le cose buone che la regione non fa e poi quelle decisamente meno buone che continua a fare e tra esse, prima per vetustà, la gestione post-terremoto. Con l’imperio Iorio, dopo 10 anni di malgoverno, delle 5078 unità abitative colpite dal sisma, ricomprese in 1266 sottoprogetti, solo 435 sono 28 state finanziate e i progetti realizzati. Per gli altri 831, circa 2/3 dei progetti ricompresi nella classe “A”, da circa due anni, si gioca a chi la dice più grossa. La delegazione parlamentare, tutta di maggioranza, quasi giornalmente si attribuisce il merito di qualche nuovo finanziamento - ma i lavori di ricostruzione sono fermi e i terremotati continuano a vivere e sempre più spesso anche a morire nelle baracche costruite dalla protezione civile, nonostante le dichiarazioni rassicuranti di un altro consigliere Delegato che non ama essere contraddetto quando dà i numeri: una specie di ministro senza portafoglio messo lì solo per prendersi fischi e pernacchie. Di consiglieri Delegati alle brutte figure, in Regione ve ne sono addirittura tre e il terzo dovrebbe interessarsi, almeno nominalmente, di programmazione, anche se della materia, pare se ne occupino direttamente a San Martino in Pensilis, dove il Piano di Sviluppo Rurale, finanziato con fondi comunitari, una paccata di soldi, è stato elaborato da amici e compagni dell’ex sindaco. Le cose non vanno meglio invece all’assessore regionale ai trasporti che tanto si è prodigato in quest’anno e mezzo di legislatura per la realizzazione dell’autostrada che dovrebbe collegare Lazio e Molise. Nei prossimi giorni il Consiglio dei ministri varerà il decreto Sblocca Italia ma nel detto provvedimento, di autostrada Termoli/San Vittore, non vi è traccia. Le male lingue insinuano che i nostri Parlamentari non sono riusciti a spiegare al Presidente Renzi che il Molise si trova in Italia e che la strada tanto cara a Iorio e Di Pietro, padre e figlio, non collegherebbe Tirana ad Ururi ma Termoli a Roma che pure sono in Italia. Pare che solo dopo una vibrata protesta del presidente Frattura, il capo del Governo, sentita la delegazione parlamentare molisana, abbia deciso, la la fonte fonte febbraio 2014 la fonte settembre gennaio gennaio marzo 2005 2005 2005 per risolvere il problema alla radice, di abolire il Molise partendo dalla Corte d’Appello di Campobasso. L’unico a volare veramente alto, in questo luogo di fanti, è l’Assessore Regionale al Lavoro e ai servizi sociali. Il vice presidente della giunta, dimissionario, ma anche no, dopo aver aperto l’ennesimo tavolo di concertazione, al cospetto dei suoi vecchi amici, preso atto di non avere nessuna proposta da concertare, ha alzato il ramoscello d’olivo ed ha chiesto alle controparti di dargli una mano: e pensare che quelli si erano rivolti a lui per chiedergli aiuto. Non va certamente meglio all’Assessore precario, responsabile dello sviluppo che, da quando è stato eletto, non è riuscito a sviluppare neanche le fotografie. Non c’è una sola ipotesi di politica industriale tanto che le imprese, piccole e grandi, pubbliche e private, aspettano impotenti solo l’arrivo dell’ufficiale giudiziario. I più informati sostengono che il politico venafrano si ispiri, nella sua azione amministrativa, all’esempio e allo stile del senatore Ruta che, in questi ultimi vent’anni, ha forgiato le coscienze di tanti giovani molisani. Dulcis in fundo, il presidente Frattura, che oltre ad occuparsi di sanità, fiore all’occhiello della nostra Regione, in questi diciotto mesi ha lavorato alla costruzione di un formidabile sistema di potere che dovrebbe consentirgli, il condizionale è d’obbligo in una regione che è sull’orlo del collasso, di governare almeno per una decina di anni. Da Iorio, suo maestro, ha imparato tutto, compresi gli errori che replica in modo pedissequo. Il Molise non è più nelle condizioni di farcela da solo e per chiedere aiuto a Roma, così come pensa di fare l’assessore Petraroia, sarà necessario presentarsi agli interlocutori con la schiena dritta, non con il cappello in mano. Per fare tutto ciò sarà indispensabile elaborare una proposta realistica, fatta di impegni, e di qualcuno che abbia credibilità per garantirne il rispetto. Il presidente Frattura, invece di capeggiare battaglie di retroguardia, provi a costruirsi una reputazione da spendere per la difesa della sua terra e dei suoi conterranei, non si limiti a querelare giornalisti, evidentemente faziosi, ma confuti, senza indugio, le accuse che gli sono state rivolte proprio da chi, nei dieci anni del malgoverno Iorio, non ha mosso una sola critica all’allora governatore. ☺ [email protected]