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Il restauro della Stanza di Eliodoro
Il restauro della Stanza di Eliodoro I papi del primo cinquecento ricevevano nella Stanza di Eliodoro degli ospiti in udienze private. Papa Giulio II la fece decorare con un ciclo di affreschi che illustrano come Dio nel corso della storia corre sempre in aiuto del suo popolo e in ultimo del suo Papa Giulio. I lavori di restauro della Stanza di Eliodoro hanno avuto inizio nel 2002, con il restauro della volta, e termineranno nel 2012. La rilettura dell’intero ciclo delle Stanze di Raffaello aveva inizio nel 1982 nella Stanza dell’Incendio di Borgo e dettata dai nuovi principi tecnici, critici ed estetici che hanno influenzato il mondo del restauro. Al restauro della Stanza dell’incendio di Borgo ha fatto seguito negli anni ’90 quello della Stanza della Segnatura, terminato nel 1999 per l’inizio del grande Anno Santo del 2000. Lo stato di conservazione degli affreschi nella Stanza di Eliodoro, come d'altronde quello dei dipinti delle altre Stanze di Raffaello, risente molto dei numerosi interventi di restauro che nei secoli si sono succeduti per porre rimedio a fattori di deterioramento naturali, come l’assestamento statico delle strutture architettoniche, o indotti dall’uso e dalla frequentazione degli ambienti stessi, come abrasioni, graffi e atti vandalici. I primi restauri, forse realizzati da Sebastiano dal Piombo, furono infatti quelli eseguiti per riparare i danni provocati dai Lanzichenecchi durante il Sacco di Roma del 1527. Alla fine del Cinquecento e nel corso del Seicento pittori come Giovanni Guerra e Simone Lagi furono impegnati in campagne di spolveratura e manutenzione dei dipinti, provvedendo anche a stuccature di crepe e ritocchi pittorici. All’inizio del Settecento Carlo Maratta, insieme ai suoi collaboratori, introducendo per primo un concetto moderno nella tecnica della conservazione degli affreschi, quello della pulitura, ritenne di dover rimuovere ciò che di estraneo il tempo e l’opera dei restauratori avevano accumulato sulla superficie dei dipinti. L’operazione fu eseguita “con vino greco e panni bianchi”, e non mancò di creare allarmismi e critiche che solo l’intervento chiarificatore del Papa stesso poté risolvere a favore del Maratta. Nel corso dello stesso secolo grande attenzione fu posta al grave problema dei distacchi di intonaco, dovuti ad assestamenti strutturali, con inserimenti di grappe di bronzo e stuccature in gesso per bloccare le parti pericolanti. Nel corso dell’Ottocento si cercò di rendere regolare l’opera di manutenzione dei dipinti con campagne di spolveratura e rilevamento dello stato di conservazione, e dalla fine del secolo le annotazioni e le documentazioni fotografiche furono regolarmente conservate negli archivi del Laboratorio di Restauro Pitture dei Musei Vaticani. La Volta Data: febbraio 2002 – aprile 2004 Direzione dei lavori: Arnold Nesselrath Restauro: Paolo Violini, Laura Baldelli, Alessandra Zarelli La volta è l’ultima parte eseguita nella Stanza. Si potrebbe chiamarla un grande pentimento, perché Papa Leone X commissionò a Raffaello di cambiare la parte centrale ed a inserire le grandi scene con le storie di Mosè, Abramo, Isacco e Giacobbe. Le scene, con i loro intensi fondi blu, prendono volutamente distanza dalle decorazioni, ribadendo la funzione illusoria di grandi vele gonfiate dall’aria e trattenute da piccoli bottoni metallici su tutto il perimetro. Si poteva rendersi conto dell’impegno della bottega di Raffaello e forse di nuovo di Lorenzo Lotto come collaboratore. Il lavoro di restauro ha dovuto affrontare innanzitutto un grave problema di distacchi di intonaco nella parte centrale della volta, che non era stata raggiunta dalle campagne di consolidamento dei restauri precedenti. Anche la pulitura ha dovuto riequilibrare gli scompensi prodotti dai passati interventi, tenendo conto della delicatezza dei fondi blu delle scene, dipinti a secco con una miscela di azzurrite impreziosita da una piccola percentuale di lapislazzuli e perfettamente conservati. Nella realizzazione dei personaggi l’affresco ha messo in luce caratteristiche costitutive che lo rendono assimilabile a quanto già visto nella scena della Consegna delle Pandette nella Stanza delle Segnatura eseguita da Lorenzo Lotto: una pellicola pittorica scarna e sottile, stesa per campiture larghe e piatte, con una resa cromatica che appare carente soprattutto nel chiaroscuro degli incarnati. Sulle decorazioni perimetrali sono state rimosse ampie zone di efflorescenze saline carbonatate, dovute a pregresse infiltrazioni di acqua piovana e occultate da stesure di vecchi ravvivanti. Lo studio del disegno delle decorazioni delle diverse formelle ha messo in luce l’uso ripetuto di cartoni in tutta la decorazione della volta, con l’eccezione del settore soprastante la parete sud, che risulta essere stato rifatto, da Cesare da Sesto prima della realizzazione degli affreschi parietali. La Liberazione di San Pietro Data: ottobre 2004 – ottobre 2006 Direzione dei lavori: Arnold Nesselrath Restauro: Paolo Violini La scena che raffigura la liberazione di San Pietro dal carcere rappresenta da sempre uno dei più famosi “notturni” della storia dell’arte italiana. Il restauro tuttavia ha potuto ricollocare più esattamente la scena nel giusto contesto temporale in cui è rappresentata: non si tratta infatti di un episodio che si svolge di notte, ma alle prime luci dell’alba. Riportando alla luce “il colore del buio”, la pulitura ha messo in rilievo il meraviglioso gioco dei grigi intrisi di azzurro e dei rosa con sfumature violacee che animano le architetture della scena, prima uniformate in toni di scuro indistinto. Con queste assonanze cromatiche, ottenute con una tavolozza estremamente ridotta, Raffaello ricrea l’atmosfera fresca e umida tra la notte che termina ed il giorno annunciato dal sole che albeggia, vivacizzando la scena in primo piano con i rimbalzi della luce calda dell’angelo e della torcia e con i riflessi della luce fredda della luna. Il rilievo delle giornate dell’intonaco ha mostrato una straordinaria rapidità esecutiva: solo 18 giornate per dipingere la scena. Diversamente da quanto accade nelle altre pareti, Raffaello si trova a dover ridipingere solo una parte dell’arco frontale che incornicia la lunetta: nella prima giornata simula, con un innesto a “farfalla”, l’inserimento di una lastra marmorea che risulta diversa da quelle contigue. Trovandosi dipinto sulla parete esterna, l’affresco ha subito nel tempo seri danni a causa degli assestamenti strutturali dovuti al cedimento della piattabanda in mattoni che copre il vano della grande finestra. I conseguenti gravi distacchi d’intonaco erano già stati risanati nel Settecento dai collaboratori di Carlo Maratta che hanno inserito nel muro circa 50 grappe di bronzo forgiate a mano per trattenere gli intonaci pericolanti. I precedenti interventi di restauro ci avevano consegnato una scena estremamente disomogenea in cui, per enfatizzare i contrasti chiaroscurali, le parti più chiare erano state pulite al massimo, mentre quelle scure erano state lasciate più indietro, ricoperte da vecchi ravvivanti ossidati e depositi di sporco organico. Gli scuri avevano quindi quasi tutti la stessa valenza e si era perso quel prezioso gioco di sfumature di colori e delicati passaggi tonali, così come non era apprezzabile il tono più intenso che staglia la grata della prigione in primo piano, realizzato a secco con pigmento nero sull’affresco ormai asciutto. La Cacciata di Eliodoro Data: gennaio 2007 – aprile 2009 Direzione dei lavori: Arnold Nesselrath Restauro: Paolo Violini L’episodio vecchio testamentario è dominato dalla maestosa architettura bramantesca di una basilica in cui si spande una luce calda riflessa dalle sue cupole dorate. All’interno la scena si divide in tre momenti ben distinti: il gruppo del popolo sulla sinistra che arriva fino al sacerdote in preghiera sullo sfondo, il gruppo degli angeli che scacciano Eliodoro con il tesoro del Tempio di Gerusalemme trafugato in primo piano sulla destra e quello con il corteo papale che assiste alla scena nell’estrema sinistra. Il restauro ha evidenziato come a questa suddivisione sembri corrispondere in linea di massima anche una distinzione dell’esecuzione pittorica secondo tre mani diverse: se nel gruppo principale della scena, quello di Eliodoro, è ben riconoscibile la mano di Raffaello, in quello del popolo sulla sinistra si notano precise assonanze con la tecnica pittorica e lo stile del pittore della volta. Il gruppo con il Papa infine, inserito al termine della realizzazione, secondo quanto ci rivela l’analisi delle giornate, forse a modifica di una versione precedente, sembra realizzato da un pittore che imita i modi del maestro senza raggiungerne l’efficacia nel dettaglio e nell’armonia della composizione. Lo stato di conservazione di questa parete è fortemente condizionato dalla presenza della sua canna fumaria che, introducendo una discontinuità nella tessitura muraria della parete, ha provocato nel tempo alcuni critici rigonfiamenti dell’intonaco, già riempiti di gesso nel Settecento. Gli ulteriori problemi provocati all’affresco dalla presenza del gesso stesso hanno indotto i restauratori vaticani negli anni ’60 del secolo scorso ad eseguire un ampio strappo della pellicola pittorica per rimuovere il gesso e ripianare l’affresco. Questo intervento, seppure altamente invasivo data la vasta zona che interessa, dal secondo angelo fustigatore a tutta la metà posteriore del cavallo fino al basamento, si è rivelato ben eseguito e perfettamente integrato con l’affresco circostante, nonostante l’inevitabile trauma subito dalla pellicola pittorica. Il restauro ha avuto come principale obiettivo quello di ritrovare armonia ed equilibrio tra parti che per loro natura. La pulitura ha anche permesso di ritrovare l’originale stesura di alcuni dettagli come i tratti somatici di Eliodoro, spiccatamente arabi, che erano stati addolcititi da una ridipintura. La rimozione di un’altra ridipintura nell’angolo in basso a sinistra ha permesso di riconoscere come un cartiglio il fondo su cui è dipinta l’iscrizione con il nome di papa Leone X e la data MDXIIII. La Messa di Bolsena Data: luglio 2009 – maggio 2011 Direzione dei lavori: Arnold Nesselrath Restauro: Paolo Violini, Fabio Piacentini Nell’anno 1263, un sacerdote boemiano che dubitava della transustazione, stava recandosi in pellegrinaggio a Roma. Mentre diceva messa a Bolsena il sangue cadde dall’ostia sul corporale. L’oggetto fu quindi trasferito come reliquia ad Orvieto e da allora viene mostrato ogni anno durante la festa del Corpus Domini. Nell’affresco Raffaello raffigura il miracolo eucaristico come se si svolgesse in presenza papa Giulio II. Il dipinto appare come una istantanea scattata durante un momento preciso della celebrazione eucaristica. Anche la riproduzione delle suppellettili sull’altare e dei tessuti che lo ricoprono risponde all’esigenza di un estremo realismo della rappresentazione. Facendo uso del solo colore giallo, Raffaello riesce a rendere facilmente distinguibile l’oro massiccio del calice rispetto al legno dorato dei candelieri e del crocefisso, così come con grande sensibilità pittorica lascia trasparire una tovaglia “perugina” sull’altare sotto un velo semitrasparente. La straordinaria capacità compositiva e ritrattistica del pittore viene messa in luce soprattutto nella rappresentazione della corte pontificia, dove realizza anche un prezioso campionario di stoffe dipingendo alla maniera veneta, con campiture larghe e piatte e lumeggiature rapide e taglienti, senza uso di disegno preparatorio. La pulitura ha permesso di ritrovare gli equilibri tonali previsti dal pittore, compromessi sia dalle ripetute stesure di materiali depositati nel corso dei diversi restauri, sia dalle più recenti puliture eseguite sempre in maniera incompleta e disomogenea. In questo affresco le figure principali come il pontefice, il sacerdote e il gruppo di sediari in primo piano sulla destra erano state trattate con più attenzione e pulite più approfonditamente. Al contrario, lo strato di materiali estranei in altre parti del dipinto, come le architetture o i personaggi secondari, risultava più corposo, rendendo queste zone più offuscate e meno leggibili. La pulitura dell’architettura ha messo in luce una tonalità chiara e fredda, giocata con delicati passaggi di grigio che definiscono la profondità nella prospettiva e mettono in rilievo la scena in primo piano. Nel complesso, lo stato di conservazione dell’affresco è apparso eccellente, tanto da poter ancora apprezzare la preziose rifiniture a secco, come il velo semitrasparente dell’altare, o le stesure blu di azzurrite e rosse di cinabro dei panneggi. La presenza della finestra ha creato problemi di statica a carico degli intonaci, con distacchi e fessurazioni già affrontati nel Settecento con l’inserimento di grappe di bronzo, risolti ora completamente con interventi di consolidamento e di presentazione estetica delle crepe secondo un criterio di minimo impatto visivo, abitualmente seguito in casi di questo tipo.