PREMESSA 1 Poesia 3 CAP I. Storia dell`adozione CAP II. La
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PREMESSA 1 Poesia 3 CAP I. Storia dell`adozione CAP II. La
Indice INDICE PREMESSA 1 Poesia 3 CAP I. Storia dell’adozione 1.1 Da Napoleone agli anni 60’ 5 1.2 Il bambino al centro dell’interesse: legge n. 431/67, legge n. 184/83, 6 la Convenzione dell’Aja, legge n. 149/01 CAP II. La situazione sociale e psicologica dei bambini abbandonati 2.1 L’abbandono negli anni 2000 11 2.2 La teoria dell’attaccamento 12 2.3 Lo sviluppo del legame di attaccamento 13 2.4 L’impatto del legame affettivo sul bambino 16 2.5 Problemi di comportamento d’attaccamento 18 2.6 La grande sofferenza emotiva: il lutto infantile 19 2.7 Le conseguenze negative del ricovero in Istituto 22 CAP III. Due organi importanti nell’adozione 3.1 Premessa 24 3.2 Caratteristiche e competenze delle Equipes Adozioni in Veneto 26 3.3 Ruolo dello psicologo nello studio di coppia 29 3.4 Caratteristiche generali degli Enti Autorizzati 32 3.5 Un ente autorizzato in Veneto: Ai.Bi 34 1 CAP IV. Alcuni dati sull’adozione internazionale 4.1 Premessa 38 4.2 Dati sulle coppie 39 4.3 Dati sui bambini 46 4.4 Dati sugli enti autorizzati 55 Conclusioni 57 Bibliografia 2 BREVE PRESENTAZIONE DELLA DISSERTAZIONE: Nel primo capitolo mi è sembrato opportuno proporre un breve excursus storico sul fenomeno dell’adozione per capire meglio come è cambiata la visione sociale, culturale e di conseguenza legislativa fino ai giorni nostri. Ciò ci permette di capire i requisiti degli adottanti ed inoltre presenta gli organi istituzionali attori dell’adozione. Nel secondo capitolo, dopo aver presentato gli aspetti attuali della situazione sociale dell’abbandono e del valore di adottare e di essere coppia oggi, viene trattata la teoria dell’attaccamento proposta da Bowlby nel 1950 la quale ha rivoluzionato il modo di concepire lo sviluppo umano. Questa teoria ci permette di vedere più da vicino le varie situazioni psicologiche, emotive e comportamentali che si possono presentare nei bambini che sono stati abbandonati. Particolarmente interessante, a parer mio è la trattazione del fenomeno dell’istituzionalizzazione dei bambini abbandonati; anche in questo caso, Bowlby da il suo apporto scientifico avendo condotto delle ricerche in merito a questo fenomeno per conto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Nel terzo capitolo ho illustrato il ruolo delle Equipes Adozioni del Consultorio Familiare in Veneto e degli Enti Autorizzati approfondendo in particolar modo il ruolo, le offerte alle coppie adottive dell’Ente Amici dei Bambini che opera nella regione Veneto. Questa presentazione ci permette di capire come il ruolo degli Enti locali e degli Enti privati non sia più come un tempo: scisso e distaccato, infatti, la prospettiva attuale e futura è di collaborazione continua tra gli organi interessati così da fornire sempre più strumenti e supporto alla coppia adottiva. Nella parte finale dell’elaborato mi è sembrato opportuno inserire dei dati statistici provenienti dal Rapporto della Commissione per le Adozioni Internazionali riguardanti il periodo 2000-2007 per poter comprendere meglio l’andamento e le caratteristiche dell’adozione internazionale. 3 Premessa Ciò detto, veniamo alla struttura del presente lavoro, che si articola in cinque capitoli: nel primo mi è sembrato opportuno proporre un breve excursus storico sul fenomeno dell’adozione per capire meglio come è cambiata la visione sociale, culturale e di conseguenza legislativa fino ai giorni nostri. Ciò ci permette di capire i requisiti degli adottanti ed inoltre presenta gli organi istituzionali attori dell’adozione. Nel secondo capitolo, dopo aver presentato gli aspetti attuali della situazione sociale dell’abbandono e del valore di adottare e di essere coppia oggi, viene trattata la teoria dell’attaccamento proposta da Bowlby nel 1950 la quale ha rivoluzionato il modo di concepire lo sviluppo umano. Questa teoria ci permette di vedere più da vicino le varie situazioni psicologiche, emotive e comportamentali che si possono presentare nei bambini che sono stati abbandonati. Particolarmente interessante, a parer mio è la trattazione del fenomeno dell’istituzionalizzazione dei bambini abbandonati; anche in questo caso, Bowlby da il suo apporto scientifico avendo condotto delle ricerche in merio a questo fenomeno per conto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Nel terzo capitolo ho illustrato il ruolo delle Equipes Adozioni del Consultorio Familiare in Veneto e degli Enti Autorizzati approfondendo in particolar modo il ruolo, le offerte alle coppie adottive dell’Ente Amici dei Bambini che opera nella regione Veneto. Questa presentazione ci permette di capire come il ruolo degli Enti locali e degli Enti privati non sia più come un tempo: scisso e distaccato, infatti, la prospettiva attuale e futura è di collaborazione continua tra gli organi interessati così da fornire sempre più strumenti e supporto alla coppia adottiva. Nella parte finale dell’elaborato mi è sembrato opportuno inserire dei dati statistici provenienti dal Rapporto della Commissione per le Adozioni Internazionali riguardanti il periodo 2000-2007 per poter comprendere meglio l’andamento e le caratteristiche dell’adozione internazionale. …cos’è per me l’adozione? L’adozione è una scelta lodevole che punta a dare una famiglia ed futuro migliore ad un essere umano nato in condizioni sfortunate 4 Un dono Prendi un sorriso, regalalo a chi non l'ha mai avuto. Prendi un raggio di sole, fallo volare là dove regna la notte. Scopri una sorgente, fa bagnare chi vive nel fango. Prendi una lacrima, posala sul volto di chi non ha pianto. Prendi il coraggio, mettilo nell'animo di chi non sa lottare. Scopri la vita, raccontala a chi non sa capirla. Prendi la speranza, e vivi nella sua luce. Prendi la bontà, e donala a chi non sa donare. Scopri l'amore, e fallo conoscere al mondo. Mahtma Gandhi 5 6 Capitolo I. STORIA DELL’ADOZIONE 1.1 Da Napoleone agli anni 60’ Nel linguaggio comune quando parliamo di adozione pensiamo a una cosa sempre uguale nel tempo, una cosa che c’è da sempre, ma l’adozione di un bambino non è stata sempre uguale, anzi, in certi periodi storici non c’è stata affatto (Fadiga, 2003). Nell’affrontare tale argomento è opportuno inquadrare tale situazione attraverso un excursus storico e legislativo. Con Napoleone attraverso il Codice Napoleonico (1804) fu proibita perché pensava che adottare bambini fosse pericoloso per l’integrità e l’unità della famiglia legittima. C’era il rischio attraverso questa pratica, di far entrare in casa un figlio illegittimo, diminuendo la quota ereditaria dei figli nati dal matrimonio e indebolendo la forza economica e sociale del casato (Autorino G., Stanzione P., 2001). Solo chi non aveva figli, e nemmeno ragionevoli speranze di averne poteva pensare all’adozione: ma l’adottante non poteva avere meno di cinquant’anni e l’adottando meno di diciotto. Era quindi un adozione fra adulti (un accordo privatistico) in cui l’aspetto affettivo passava in secondo piano e non era considerato determinante, ciò che risultava necessario era la decisione dei due soggetti interessati. Queste regole sono rimaste in vigore per molto tempo anche in Italia, poiché, il codice civile di Napoleone ha fortemente influenzato le nostre leggi, e quindi, anche nel nostro paese, per molti anni era proibito adottare bambini (Fadiga, 2003). Il codice civile del Regno, promulgato da Vittorio Emanuele II il 25 giugno 1865 ed entrato in vigore il 1° gennaio 1866 stabiliva nell’articolo 206: “il minore non può essere adottato se non ha compiuta l’età di anni diciotto”. All’inizio degli anni quaranta fu promulgato il Codice Civile Italiano, Italiano esso abolì il divieto di adottare i minori di anni diciotto ma, per il resto, il vecchio schema privatistico e consensuale dell’adozione rimase immutato, con la sola differenza che il consenso dell’adottando minorenne doveva essere dato in sua vece dal genitore. Era dunque ancora un adozione patrizia, basata sull’accordo di due adulti : l’adottante che doveva avere meno di cinquant’anni ed il genitore del bambino da adottare. Non 7 occorreva che l’adottante fosse sposato, ciò perché l’adozione era percepita come atto del capofamiglia e quindi di un singolo e non di una coppia. Dopo l’adozione i legami fra il bambino adottato e la sua vecchia famiglia non erano interrotti, rimanevano diritti e doveri reciproci sia pure attenuati, compreso l’obbligo alimentare fra genitori naturali e figlio (Fadiga, 2003). Questo tipo di adozione entrò in crisi in Italia all’inizio degli anni sessanta poichè progredivano le conoscenze scientifiche sulla psicologia dell’età evolutiva e sempre più evidenti apparivano i guasti che quel tipo di adozione provocava sui bambini adottati. Anche nel resto d’Europa e negli altri paesi occidentali stava avvenendo tutto ciò. Questo movimento di idee si basava sulla presa di coscienza che negli istituti assistenziali e nei brefotrofi erano ospitati all’inizio degli anni sessanta non meno di duecentomila minorenni, molti dei quali senza famiglia o privi da tempo di qualsiasi contatto con i familiari; inoltre studi condotti da psicologi, neuropsichiatri infantili anglosassoni e francesi e perfino dall’Organizzazione mondiale della sanità rilevarono gli effetti devastanti prodotti nel bambino della lunga permanenza in istituto, soprattutto della deprivazione affettiva e nello sviluppo psicologico. 1.2 Il bambino al centro dell’interesse Evoluzione scientifica, aumentata sensibilità sociale e modelli familiari dominanti generarono così un forte movimento di opinione che in breve trovò risposta a livello politico e parlamentare e sfociò nella legge n. 431 del 5 giugno 1967 sulla “adozione speciale”. La legge inseriva nel codice civile, a fianco alla vecchia adozione, una trentina di articoli il cui concetto di base era: il bambino senza famiglia ha diritto di averne una nuova; l’adozione serve per dare una famiglia al bambino abbandonato e non per dare un bambino a una coppia senza figli. Fu da questa semplice idea di fondo che derivarono conseguenze che furono definite una rivoluzione copernicana: il soggetto principale, il protagonista della procedura, diventava finalmente il bambino. Questo quadro di forte impronta solidaristica ha resistito in Italia per più di trent’anni attraversando sostanzialmente indenne le innovazioni indotte con la legge n. 184 del 1983 intitolata “Diritto del minore ad una famiglia”. Con tale legge il bisogno degli adulti passa in secondo piano rispetto al bisogno del minore. 8 Quest’ultima, conteneva i segnali che qualcosa stava cambiando. L’Italia degli anni ottanta non era più quella di vent’anni prima, i modelli familiari erano diversi, e diverso era il quadro socioeconomico complessivo del paese ed anche l’adozione cominciava a risentirne, e la legge del 1983 non poteva ignorare del tutto i nuovi tempi (Zanardi, 2003). Negli anni successivi il cambiamento assume un ritmo più rapido; in Italia la durata media della vita si allunga, aumenta il benessere, cala il tasso di natalità, l’istituto matrimoniale entra in crisi, aumentano le convivenze di fatto e le famiglie ricostruite. Inoltre la genitorialità non è più così legata, come nel passato, all’idea di coppia, e l’idea di coppia non è più così legata, come nel passato, all’idea di matrimonio. Prende piede e si diffonde rapidamente l’adozione internazionale: fenomeno di élite negli anni settanta, diventa fra gli anni ottanta e novanta un fenomeno di massa. In quegli anni gli italiani che adottano bambini in Brasile sono alcune migliaia (Fadiga, 2003). Una crescente sensibilità verso queste problematiche unito ad una presa di coscienza in merito al traffico illegale di bambini mise gli organi internazionali di tutela dei minori di fronte alla necessità di creare un sistema di armonizzazione normativa in tema di adozioni per garantire la protezione del minore e il rispetto dei suoi diritti fondamentali: con questi obiettivi nel 1993 venne sottoscritta in 37 Paesi la Convenzione de l’Aja, l’Aja firmata anche dall’Italia (Ciampa, 2004). L’attuale normativa in materia di adozioni internazionali, dunque, dà “piena ed intera esecuzione” alla Convenzione de l’Aja, firmata anche dall’Italia l’11 dicembre 1995, e ne assimila così i suoi principi fondamentali in cui la parte introduttiva li enuncia in modo chiaro ed inequivocabile: • è indispensabile che il minore cresca in un ambiente famigliare affinché la sua personalià possa svilupparsi in modo armonico; • è compito di ogni Stato adottare misure opportune per garantire il diritto del minore a vivere nella famiglia di origine; • l’adozione internazionale permette l’inserimento di un minore in una famiglia, qualora non fosse possibile trovare un ambiente famigliare idoneo nel suo paese d’origine; 9 • è necessario garantire che l’adozione avvenga nel superiore interesse del minore e che non si verifichino situazioni di “sottrazione”, “vendita” e “tratta dei minori”. La Convenzione de l’Aja ha dunque modificato alla radice l’istituto dell’adozione internazionale, promuovendo una cultura che pone al centro il diritto del minore straniero ad avere una famiglia piuttosto che quella di una famiglia ad avere un bambino e realizzando una strumento giuridico in grado di contrastare il turpe e diffuso fenomeno della sottrazione e vendita di bambini a livello internazionale (Ciampa, 2004). … cambiano anche gli intermediari dell’adozione Il Rapporto esplicativo allegato alla Convenzione de l’Aja mette in evidenza come la maggior parte degli abusi nel campo dell’adozione internazionale è stata causata dagli interventi degli intermediari. Questi ultimi erano costituiti da privati come sacerdoti, missionari, diplomatici e avvocati ma anche da associazioni che operavano senza alcun controllo ( Scarpati, 2001). La precedente disciplina italiana non prevedeva un autorizzazione obbligatoria per lo svolgimento di attività di intermediazione, di conseguenza gli aspiranti adottanti avevano la possibilità, ampliamente sfruttata, di rivolgersi ad operatori in loco, a intermediari di dubbia moralità o ad associazioni che agivano nell’esclusivo interesse degli adulti. La Convenzione de l’Aja ha provveduto a disciplinare il fenomeno dell’intermediazione introducendo l’obbligo per ogni Stato contraete di creare un’autorità centrale (in Italia chiamata Commissione per le Adozioni Internazionali) in grado di coordinare le attività di cooperazione tra gli Stati di origine e quelli di accoglienza dei minori; è stata prevista inoltre la possibilità di delegare alcuni compiti a organismi abilitati sottoposti comunque al controllo dell’autorità centrale, che nella nostra legislazione sono stati denominati Enti Autorizzati (Ciampa, 2004). Inoltre, nel corso degli anni novanta si esprime sempre più forte l’esigenza di una nuova riforma in ambito delle adozioni internazionali, nasce la legge n. 476 del 1998 la quale risulta essere una vera e propria rivoluzione copernicana nell’ambito dell’adozione internazionale; difatti la precedente legge 184/83 si era dimostrata estremamente carente dal punto di vista della tutela del minore straniero anche e a causa della contingente assenza di una politica di cooperazione a livello internazionale, di 10 conseguenza alcuni passaggi cruciali nell’adozione, primo fra tutti l’abbinamento minore-famiglia, non potevano essere controllati dal giudice italiano in quanto di competenza delle autorità del Paese di provenienza del bambino, così accadeva spesso che l’abbinamento non tenesse conto della storia individuale del minore e delle caratteristiche degli aspiranti genitori, con conseguenti gravi difficoltà per tutti i protagonisti dell’adozione (Ciampa, 2004). Si assisteva, inoltre, in Italia a una superficiale selezione delle coppie idonee all’adozione in nome di una prevista, scontata, buona azione verso bambini altrimenti destinati alla miseria. A una carente tutela del minore corrispondeva, poi, un sostegno agli adottanti del tutto inadeguato: le coppie si ritrovavano spesso senza alcuna assistenza in Paesi in cui per poter realizzare le proprie aspirazioni era necessario affidarsi a persone senza scrupoli in cerca di facili guadagni (Cavallo, 1999). La legge n. 149 il 28 marzo 2001 intitolata legge 4 maggio 1983 n. 184 modificata dalla legge 28 marzo 2001 n. 149, sul diritto del minore ad una famiglia; ha modificato solo parzialmente la precedente legge 184/83, ponendosi quindi in termini di continuità rispetto a quest’ultima. I cambiamenti sociali principali che hanno reso necessario questo cambiamento sono stati essenzialmente due: Il primo è costituito dal significatio aumento, anche in Italia, del numero delle coppie di fatto. Considerato la rilevanza del fenomeno è stato modificato il requisito inerente l’esistenza tra gli aspiranti genitori adottivi del vincolo del matrimonio da almeno 3 anni. La novità risiede nella possibilità di includere nel calcolo del triennio richiesto per l’adozione anche il periodo di convivenza more uxorio, la cui continuità e stabilità deve essere accertata dal Tribunale dei Minori. Il principio implicitamente espresso è che il minore ha bisogno di un nucleo famigiare che sia stato collaudato da una periodo protratto di convivenza, se ciò sia avvenuto prima o dopo il matrimonio non comporta alcuna differenza (Eramo, 2002; Guolotta, 2002; Pazè E. 2000). Il secondo è rappresentato dal rilevante innalzamento della speranza di vita, al quale si affianca anche la scelta, sempre più diffusa, di posticipare il momento della procreazione. A causa di ciò si è ritenuto opportuno innalzare il divario massimo di età tra adottante e adottato da 40 a 45 anni: “l’età degli adottanti deve superare di almeno diciotto e di non più di quarantacinque anni l’età dell’adottando”, disposizione da non 11 considerare, comunque, in termini assoluti in quanto subordinata alla valutazione del superiore interesse del minore - i limiti possono essere derogati qualora il tribunale per i minorenni accerti che dalla mancata adozione derivi un danno grave e non altrimenti evitabile per il minore. Viene inoltre precitata che il limite massimo può essere superato da uno solo dei due adottanti in misura non superiore ai dieci anni; se gli adottanti sono genitori di figli adottivi o naturali, dei quali almeno uno di età inferione ai diciotto anni; se gli aspiranti genitori hanno già adottato una fratello o una sorella dell’adottando. La riforma della legge sull’adozione stabilisce un decalogo dei diritti del bambino, primo fra tutti quello di essere assegnato ad una famiglia “senza distinzioni di sesso, di etnia, di lingua o di religione, nel rispetto dell’identità culturale del minore”. L’indigenza dei genitori, ossia la mancanza d’assistenza dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio, non può essere d’ostacolo al diritto dei bambini alla propria famiglia naturale, pertanto lo Stato e gli enti locali devono sostenere economicamente i nuclei famigliari in difficoltà. Qualora, invece, i minori da 0 a 18 anni, risultino privi d’assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, saranno ritenuti in stato d’adottabilità. Per manifestare la disponibilità all’adozione di minori italiani la domanda può essere presentata a uno o più Tribunali per i minorenni, per l’adozione di minori stranieri l’istanza può essere inoltrata esclusivamente al Tribunale per i minorenni del luogo di residenza degli adottanti. La domanda di adozione nazionale decade dopo tre anni. È possibile presentare contemporaneamente domanda di adozione per un bambino italiano e straniero. Venne inoltre, precisato che, nel giudicare l’idoneità all’adozione, è necessario considerare anche le capacità psicologiche della coppia ad accogliere un bambino. Furono inoltre espressi, in modo chiaro e dettagliato, i criteri da adottare per accertare l’effettivo stato di abbandono del minore, una procedura rigorosa che, contemplano anche l’obbligo di compiere seri tentativi di recupero della famiglia di origine (Eramo, 2002; Manera, 2002). Le novità introdotte hanno dato nuovo vigore ad un dibattito già in corso da tempo che coinvolge coppie che intendono adottare, operatori, cultori del diritto e mass media (Fois, 2000). 12 Capitolo II. La situazione sociale e psicologica dei bambini abbandonati 2.1 L’abbandono negli anni 2000 La storia di questo triste fenomeno è molto antica, basti dire che a lungo esso è stato un sistema per sbarazzarsi di figli indesiderati o in soprannumero. L’abbandono avveniva in forme spesso crudeli: per strada, in campagna, su un fiume. In epoca più recente gli stessi ospizi di carità che accoglievano i bambini trovati non si facevano un problema se la mortalità infantile era elevatissima. Cento anni fa, tra il 1895 e il 1897, su 865 bambini ammessi nell’ospizio dell’Annunziata a Napoli ne morirono 863; mente a Modica in Sicilia, nel decennio 1873-1883 su 1.459 esposti ne morirono 1.456 (Fadiga, 2003). Ancora quarant’anni fa ciò avveniva prevalentemente nei cosiddetti brefotrofi, appositi ospedali di maternità di antica origine, dove si poteva partorire in anonimato (o lasciarlo nella cosiddetta “ruota”) e lasciare il figlio per adozione. Ma l’abbandono avveniva anche qualche anno dopo, quando il bambino usciva dalla famiglia per intervento dell’assistenza pubblica (quasi sempre per ragioni economiche), e veniva messo in Istituto spesso lontano facendo sì che il rapporto con i genitori poco per volta si attenuava fino a sparire. Secondo stime attendibili, all’inizio degli anni sessanta più di 200.000 bambini in condizioni simili erano ricoverati in Istituti Assistenziali (Fadiga, 2003). Ora no. Ora i ricoveri in Istituto sono molto calati, i grandi istituti di un tempo non esistono più o si sono trasformati in piccole strutture di tipo familiare (le case-famiglia) che favoriscono i rapporti con i genitori e che hanno assorbito la cultura dell’adozione e dell’affidamento familiare. Oggi gli abbandoni sono prevalentemente tardivi e possono verificarsi anche all’interno della famiglia, durante la convivenza del figlio con i genitori o con i parenti; tutto ciò può sembrare contraddittorio ma sempre più, infatti, questo si presenta sotto l’aspetto del maltrattamento e della violenza oppure si presenta nei casi di dipendenza cronica dei genitori dalla droga che crea una conseguente loro incapacità di percepire i problemi e le necessità quotidiane della prole e provvedere ad essa (Bandini, 2007). Queste nuove forme di abbandono pongono problemi assai diversi da quelli tradizionali del bambino dimenticato in Istituto. Nei nuovi abbandoni, infatti, le figure genitoriali 13 sono spesso presenti, o lo sono state per un lungo periodo ma in modo gravemente distorto o disturbante. Le aspettative del bambino sono quindi più articolate e complesse, per cui più disponibili e più preparati devono essere i potenziali genitori adottivi (Ciampa, 2004). 2.2 La teoria dell’attaccamento La formazione dei primi legami affettivi è importante ai fini dell’acquisizione della competenza sociale e dell’adattamento all’ambiente e rappresenta un passaggio fondamentale nelle famiglie naturali quanto in quelle adottive. John Bowlby noto psichiatra inglese, intorno agli anni 1950 ha formulato la teoria dell’attaccamento, un paradigma scientifico che ha rivoluzionato il modo di concepire lo sviluppo umano. Il concetto chiave della sua teoria è quello di sistema di controllo cibernetico. Gli schemi emozionali e comportamentali dell’attaccamento, pur essendo frutto della selezione naturale e quindi pre-programmati, sono, anche, delle risposte che vengono prodotte grazie a processi di elaborazione delle informazioni che provengono dell’ambiente esterno, organizzate secondo un processo omeostatico. La vicinanza con la madre e l’esplorazione dell’ambiente sono i due poli di questo sistema d’equilibrio: quando il bambino si trova davanti ad un pericolo, il sistema si attiva e mette in atto quei comportamenti che mantengono la vicinanza della madre. Il concetto d’attaccamento differisce da quello di dipendenza, perché essa non implica una relazione carica d’emotività nei confronti di individui chiaramente preferiti, non implica un legame duraturo e non le è mai stata attribuita una valida funzione biologica. Il comportamento d’attaccamento viene così definito come una qualsiasi forma d’attaccamento che porta una persona al raggiungimento e mantenimento della vicinanza con un altro individuo preferito, considerato in genere come più forte/esperto. I particolari schemi del comportamento d’attaccamento variano a seconda delle esperienze che si son vissute con le prime figure importanti della propria vita. La teoria dell’attaccamento pone l’accento sulle seguenti caratteristiche (Bowlby, 1979): o Specificità. Il comportamento d’attaccamento è diretto verso pochi individui, di solito in un preciso ordine di preferenza. 14 o Durata. Un attaccamento persiste, non viene abbandonato durante il corso della vita, anche se durante l’adolescenza i primi attaccamenti possono diventare complementari ad altri attaccamenti. o Ruolo delle emozioni. Molte delle emozioni più intense sorgono durante la formazione, il mantenimento, la distruzione e il rinnovarsi di relazioni d’attaccamento. La formazione di un legame è descritta come l’innamoramento, il mantenimento di un legame come l’amare qualcuno, la perdita di un partner come il soffrire per qualcuno. o Ontogenesi. Il comportamento d’attaccamento per una figura preferita si sviluppa, generalmente, durante i primi nove mesi di vita. Il comportamento d’attaccamento resta facilmente attivabile fino alla fine del terzo anno di vita del bambino; più esperienze d’interazione avrà con una persona, tanto più questa diventerà la sua principale figura d’attaccamento. o Apprendimento. Imparare a distinguere le persone familiari dagli estranei è un processo chiave nello sviluppo dell’attaccamento. Inoltre, un attaccamento può svilupparsi malgrado ripetute punizioni da parte della figura d’attaccamento. o Organizzazione. Dalla fine del primo anno di vita intervengono sistemi comportamentali organizzati a livello cibernetico e comprendenti modelli rappresentativi dell’ambiente e del sè. Tali sistemi vengono attivati da terminate condizioni quali: l’estraneità, la fame, la fatica e ogni causa di spavento. Possono anche essere inibiti da altre condizioni: vista della figura materna e serena interazione con essa. o Funzione biologica. Il comportamento d’attaccamento si verifica in quasi tutte le specie di mammiferi, ed in alcune specie persiste per tutta la vita adulta. La funzione più probabile del comportamento d’attaccamento è la protezione, particolarmente per i predatori. Il mantenimento della vicinanza di un animale immaturo a un adulto preferito è la regola che indica come tale comportamento abbia un valore di sopravvivenza. 2.3 Lo sviluppo del legame d’attaccamento Nei primi mesi di vita il neonato, per sopravvivere, ha bisogno di una persona che si occupi di lui a tempo pieno, generalmente la madre, la quale soddisfa i suoi bisogni attraverso comportamenti gratificanti, accoglienti, di nutrimento, contatto, presenza, che fanno sentire il neonato protetto e al sicuro. 15 Più o meno dopo il sesto mese il bambino inizia a manifestare le proprie preferenze in modo inequivocabile, mostrando di voler stare con quelle persone con le quali sta instaurando un legame. Il piccolo si sente protetto, accudito, riconosce il viso, le mimiche, il significato di tutta una serie di messaggi verbali e non e di scambi comunicativi che avvengono normalmente tra loro. La reciprocità è fondamentale nel dare inizio a quel processo che porta il bambino a “trattenere” l’immagine dell’altro nella propria mente, per imparare a tollerare la separazione e diventare autonomi. In questa fase, infatti, il bambino va formandosi un primo concetto di Sè: una sorta di immagine di sè nel mondo, una rappresentazione dei propri sentimenti profondi di fronte al fatto di vivere, che può essere un sentimento di fiducia o di sfiducia nei confronti delle persone che lo accudiscono. L’attaccamento che emerge nelle prime fasi della vita continuerà a caratterizzare, anche in futuro, il rapporto “figura d’attaccamento-bambino” ma in forme man mano più mature. Bowlby afferma che il legame è il risultato di un sistema di schemi comportamentali a base innata. A differenza di Freud (1920) che riteneva l’affetto del bambino determinato da motivazione secondaria, (ossia derivante dal fatto che la madre provvede ai bisogni fisiologici di nutrimento e pulizia, per cui il bambino la investe della sua pulsione libidica), Bowlby (1969) riconduce l’attaccamento alla madre ad una motivazione primaria. Esistono, infatti, schemi pre-programmati come il pianto, il sorriso, l’aggrapparsi, che favoriscono la prossimità e il contatto con la madre e che aumentano la possibilità del piccolo di sopravvivere. Allo stesso modo anche la madre sviluppa una sensibilità preprogrammata capace di cogliere e decodificare i segnali del figlio. Prendere in braccio il proprio bambino che piange, ad esempio, non si configura come un rinforzo che condiziona il piccolo rendendolo “viziato”, ma piuttosto risulta la risposta più adeguata ad un segnale di disagio. La madre diviene una base sicura per il figlio, in quanto gli fornisce: presenza, disponibilità, prontezza, incoraggiamento... Affidarsi ad una base sicura, per il bambino, a sua volta significa: poter riuscire ad affacciarsi con coraggio verso il mondo esterno sapendo di poter tornare dal genitore qualora si sentisse spaventato o minacciato, perché sarà sempre accettato, confortato e ben voluto. Il fatto 16 che l’attaccamento sia “monotropico”, ossia con una singola figura, se diventa assoluto, può avere implicazioni profonde per lo sviluppo delle competenze sociali e dell’autonomia. È necessario che il bambino nel corso della sua crescita impari a capire che la figura cui egli è attaccato deve essere condivisa con il suo partner sessuale e con gli altri fratellini, il che fa della separazione e della perdita una parte inerente alla dinamica di attaccamento: la capacità di separarsi dalle figure d’attaccamento e di formare nuovi attaccamenti rappresenta una sfida evolutiva molto importante. Fra il sesto e l’ottavo mese, fino all’inizio del secondo anno di vita, avviene, infatti, un cambiamento rispetto alle prime fasi del legame, che è da ricondurre sia allo sviluppo cognitivo, (come la conquista della permanenza dell’oggetto) che consente al bambino di discriminare la madre dalle altre persone; sia all’attivarsi di predisposizioni di natura filogenetica come la paura dell’estraneo. È proprio intorno agli otto mesi che si verifica l’imprinting filiale ossia quella capacità del piccolo di fissare e conservare nella memoria le caratteristiche della figura allevante. Questo concetto Bowlby lo mutua da Konrad Lorenz (1935); si deve, infatti, agli esperimenti condotti dall’etologo tedesco sulle anatre ed oche la scoperta che nelle verie speci animali esista un periodo critico, in cui più facilmente i piccoli apprendano e fissano nella memoria con prontezza il primo oggetto in movimento che compare nel suo campo visivo. Nei primati, le caratteristiche di base che rendono una figura oggetto di imprinting filiale, non è il movimento, bensì la morbidezza associata al calore come dimostrano gli esperimenti condotti da Harlow e Zimmermann (1959) sui macachi. L’esperimento consiste nell’allontanare delle piccole scimmiette dalle loro madri naturali e di metterle a contatto con surrogati di madri; alcune fatte di fili di ferro dotate di un biberon con latte, altre ricoperte di panno caldo e morbido ma senza biberon. Benché nutrite dalla “madre” di ferro, le scimmiette passano la maggior parte del tempo attaccate alla madre di stoffa, perché il bisogno di caldo, morbido, tenerezza è un bisogno a sè stante, un bisogno fondamentale. Inoltre, se poste in contesti in cui certi stimoli particolari elicitano in loro una reazione di paura, le scimmiette si rifugiano ed aggrappano sempre alla madre di panno. Quest’ultima costituisce una base sicura, a partire dalla quale le scimmiette esplorano l’ambiente e si rifugiano. 2.4 L’impatto dela legame affettivo sul bambino 17 Se un bambino, prima di essere adottato, ha avuto l’opportunità di formare un forte legame d’attaccamento, può avere meno problemi rispetto ad un bambino di 1 o 2 anni che non ha avuto l’opportunità di legarsi affettivamente a qualcuno e quindi sentirsi accolto e protetto. La possibilità che un bambino presenti dei problemi d’attaccamento dipende, dunque, dalla forza e dalle caratteristiche degli attaccamenti iniziali, dall’età in cui è avvenuta la separazione o la rottura, da eventuali incontri successivi. Una conseguenza diretta della mancanza di legami d’attaccamento forti è, a volte, una fiducia indiscriminata in chiunque, un’assenza di selettività tra adulti conosciuti e sconosciuti verso cui è bene essere cauti. Bambini che hanno vissuto in istituto o in diverse famiglie si affidano senza nessuna discriminazione, specialmente nei primi tempi, quando il rapporto con i genitori adottivi non si è ancora consolidato. Al contrario, sul fronte opposto, ci sono bambini che resi insicuri dalle vicende passate, hanno bisogno di vicinanza e di rassicurazione maggiore; questo accade perché il processo d’attaccamento non ha seguito le normali fasi evolutive e loro non hanno interiorizzato un sufficiente senso di serenità e sicurezza: “la base sicura ” resta esterna, al di fuori di loro. Si tratta di un insieme di fattori variabile da caso a caso: non tutti i bambini rispondono alle difficoltà allo stesso modo. Qualunque sia stato il tipo d’attaccamento precedente il bambino ha una forte necessità di formare un legame con i membri della nuova famiglia; un legame che non passi soltanto attraverso la presenza, le parole, ma anche grazie al contatto fisico, il bisogno di vicinanza. L’attaccamento è, infatti, mediato dal guardare, dall’ascoltare: la vista di chi amiamo ci riempie l’animo, il suono del suo avvicinarsi risveglia in noi sensazioni piacevoli, essere tenuti fra le sue braccia e sentire la sua pelle contro la nostra ci trasmette un senso di calore, di sicurezza, di benessere condiviso. La reciprocità è, infatti, una caratteristica dell’attaccamento tra genitori e figli. Non tutti i bambini rispondono alle difficoltà allo stesso modo, ciò dipende dal tipo d’attaccamento che il bambino ha vissuto prima di essere stato adottato. Ricerche effettuate nell’ambito della teoria dell’attaccamento sono a tal proposito utili in quanto hanno cercato di individuare il contributo dato dalla figura d’attaccamento principale allo strutturarsi del legame affettivo. I risultati di tali indagini mostrano che la storia affettiva del bambino con la sua figura d’attaccamento influenza la sua capacità di 18 regolare le emozioni e la sua possibilità di mettere in atto comportamenti congruenti con la situazione. Quando Mary Salter Ainsworth lavorava presso la Tavistock Institute, ha condotto uno studio longitudinale basato su osservazioni sistematiche e ripetute nel tempo dell’interazione madre-bambino durante tutto il primo anno di vita e ha misurato con la metodica “Strange Situation” l’impatto del legame affettivo sulla capacità del bambino di provare e regolare certe emozioni (Ainsworth, Blehar, Walter e Wall, 1978). La Strange Situation si basa su otto episodi, ciascuno di pochi minuti, durante i quali il bambino si trova in una situazione che rappresenta per lui un progressivo accumulo di tensione. Dallo studio è emerso che se un bambino durante i primi mesi di vita ha avuto una madre attenta e sensibile alle sue richieste, nella Strange Situation risulta in grado di eplorare in maniera attiva l’ambiente circostante. Quando la madre lo lascia con un estraneo si sente a disagio ma dimostra di superare la separazione, perché comunque si lascia confortare da tale presenza e riprende a giocare. Quando la madre torna le corre incontro con calore ed affetto, dimostrando di non aver alcun rancore per averlo lasciato solo. Questo tipo di legame è basato sulla certezza di poter avere una madre che si pone come base sicura, ed è per questo che bambini che mostrano questa organizzazione del comportamento e questa regolazione delle emozioni sono stati chiamati dalla Ainsworth bambini sicuri. Se un bambino, nel corso del primo anno di vita, ha sperimentato il rifiuto del suo bisogno d’affetto perché ha avuto una madre che ha scoraggiato il contatto fisico soprattutto in situazioni nuove di disagio e di paura, formerà un attaccamento evitante o distaccato. Il bambino in presenza e assenza della madre mette in atto comportamenti di falsa autonomia: si impegna nel gioco anche quando la madre si allontana, sembra tranquillo e concentrato. Anche nel caso avesse provato momenti di tensione e sconforto, alla madre non mostra il suo dolore per la separazione. Il bambino che, invece, ha avuto una madre imprevedibile nelle risposte, elabora un tipo di legame d’attaccamento insicuro di tipo ansioso – ambivalente. In presenza della madre si mantiene stretto ad essa, in assenza mostra segni di sconforto, piange e non esplora l’ambiente che lo circonda. Quando la madre torna e cerca di prenderlo in braccio, però, fugge dal contatto; mostra segni di rabbia e anche se viene confortato non riesce a calmarsi. Il bambino fa ricorso a quella che viene detta “rabbia disfunzionale”, ossia 19 mette in atto comportamenti aggressivi proprio nei confronti della persona dalla quale voleva essere protetto. Ricerche successive condotte da Main, Kaplan e Cassidy (1985) hanno evidenziato un’altra tipologia d’attaccamento: ansiosa disorganizzata. Il bambino nella Strange Situation, mostra sequenze disorganizzate di comportamento: resta immobile, si copre gli occhi alla vista della madre. Tali manifestazioni sono state associate a storie di abuso e di maltrattamento subito da parte del genitore (Attili, 2000). In generale è importante ricordare che l’ansia da separazione è una reazione comune a tutti i bambini di tutte le culture; il suo superamento avviene attraverso la percezione della figura d’attaccamento come “base sicura”, come punto di riferimento certo, da cui potersi allontanare per esplorare l’ambiente fisico e sociale nella certezza che, in caso di necessità, il suo aiuto e conforto non verranno a meno. 2.5 Problemi di comportamento d’attaccamento La possibilità che un bambino presenti problemi d’attaccamento dipende dalle caratteristiche degli attaccamenti iniziali, dall’età in cui è avvenuta la separazione o la rottura, da eventuali incontri successivi, dalle attese nei confronti della nuova famiglia e anche dal suo temperamento. Intorno ai 18 mesi il bambino costruisce un modello operativo interno, ossia una rappresentazione interna della relazione con la figura d’attaccamento principale (Bowlby, 1973). Tale rappresentazione tende a fare da filtro nell’interpretazione delle informazioni che provengono dall’ambiente esterno. I bambini che, ad esempio, non discriminano tra estranei e familiari, non hanno mai interiorizzato nessuno come portatore della caratteristica unica e speciale di “madre” e “padre”. Per aiutare il bambino a superare la fiducia indiscriminata verso chiunque, un primo passo da fare è quello di evitare di lasciarlo da solo con persone diverse, fino a quando non si è formato un legame di favore (Oliviero Ferrarsi, 2002). Se il bambino ha vissuto in ambienti in cui le punizioni consistevano nel saltare i pasti o avere una razione ridotta di cibo, tenderà ad ammassare il cibo e a mangiare anche di nascosto. Per il bambino, infatti, il cibo è sinonimo di cure e affetto, quindi il suo comportamento può essere indicativo di un vuoto interiore, in questo caso il piccolo ha bisogno di rassicurazione, non soltanto attraverso le parole, ma con atteggiamenti di 20 tenerezza. Ma non tutti i bambini sono disposti a lasciarsi abbracciare, accarezzare, perché il rifiuto che hanno subito in passato ha suscitato in loro frustrazione e chiusura. Il genitore adottivo deve riuscire a comprendere la barriera che il bambino sovrappone fra lui e gli altri e gradualmente cercare di abbatterla. Alla frustrazione il bambino può anche reagire con comportamenti aggressivi, che rivelano rabbia e risentimento. Il bambino utilizza questa strategia per tenere gli altri a debita distanza, per non doversi confrontare con le proprie paure e il rifiuto degli adulti, e ci possono volere anche alcuni anni prima di vedere un reale cambiamento. L’esperienza di separazione e abbandono può, al contrario, portare ad una dipendenza totale; il bambino non tollera di separarsi, ha bisogno di sapere che chi ama è raggiungibile e finchè non si sentirà abbastanza sicuro manterrà questo comportamento. È importante ricordare che qualsiasi sia stato il tipo d’attaccamento precedentemente vissuto nella famiglia d’origine, il bambino ha bisogno di formare un legame con i membri della nuova famiglia; un legame che passi attraverso la presenza, le parole, il contatto fisico e il bisogno di vicinanza. 2.6 La grande sofferenza emotiva: il lutto infantile La carenza affettiva è stata oggetto di importanti ricerche tra il 1940 e il 1960. Molti furono gli psicoanalisti che si occuparono del problema: J. Bowlby (1969), nella sua teoria della perdita, considera l’angoscia come una risposta realistica da parte di un individuo vulnerabile per la separazione o per una minaccia di separazione dall’agente delle cure materne. Dato che la dinamica d’attaccamento prosegue per tutta la vita adulta, l’angoscia da separazione sorgerà ogni volta vengano minacciate le relazioni più importanti. Bowlby considera la reazione al lutto come un caso particolare di angoscia da separazione, considerando il fatto che la perdita è una forma irreversibile di separazione. Mentre l’angoscia di separazione è la risposta usuale a una minaccia di perdita, il lutto è la risposta alla perdita dopo che si è verificata. È impossibile definire la carenza affettiva in maniera univoca, poiché bisogna tener conto, nell’interazione madre- bambino di tre dimensioni: • l’insufficienza dell’interazione che rimanda all’assenza della madre e del sostituto materno (affidamento istituzionale precoce); 21 • la distorsione che tiene conto della qualità dell’apporto materno (madre imprevedibile); • la discontinuità del rapporto che provoca la separazione, quale che ne siano i motivi. René A. Spitz (1949) compie a tal proposito una ricerca sul comportamento dei lattanti tra i sei e diciotto mesi posti in ambiente sfavorevole: ospedale, brefotrofio. Dopo una separazione materna brutale egli nota dapprima un periodo di piagnucolamenti, poi uno stadio di ritiro e d’indifferenza, accompagnati da una regressione dello sviluppo e da sintomi somatici. Spitz chiama questa reazione del bambino, simile al marasma “depressione anaclitica” (Spitz, 1946) poiché il bambino non può appoggiarsi alla madre per essere accudito. Altri studiosi quali, James Robertson (1953) e Cristoph Heinicke (1956) hanno studiato il comportamento di bambini dell’età compresa tra i 2 e tre anni, esposti ad una situazione particolare, come la permanenza in un istituto o in un reparto ospedaliero, allontanati dalle cure della figura materna e da tutte le altre figure importanti e conosciute. Le reazioni infantili ad un trasferimento in tali luoghi sono varianti dei fondamentali processi di lutto. Se un bambino dai quindici ai trenta mesi ha avuto una relazione sicura con la madre, manifesterà nella situazione sopra descritta una sequenza di comportamento abbastanza prevedibile. Tale comportamento può essere diviso in tre fasi: 1° protesta, 2° disperazione, 3° distacco. All’inizio il bambino invoca il ritorno della madre con il pianto e sembra fiducioso di riuscire nel proprio intento. È questa la fase della protesta che può durare anche per diversi giorni. Il bambino resta preoccupato per l’assenza della madre e spera nel suo ritorno; ma l’esito negativo lo fa cadere nella disperazione. Successivamente si verifica un cambiamento radicale: il bambino pare disinteressato e sembra essersi quasi dimenticato della madre. Una volta tornato a casa, nel suo ambiente familiare, il comportamento del bambino dipenderà dalla fase raggiunta nel periodo di separazione. In seguito a perdite 22 improvvise c’è sempre una fase di protesta, durante la quale chi ha subito la perdita tenta in ogni modo di recuperare la persona persa e la rimprovera d’averla abbandonata. Durante questa fase e in quella successiva della disperazione le sensazioni sono ambivalenti; anche se l’alternanza di speranza e disperazione può continuare per molto tempo, alla fine vengono messe in atto misure di distacco emotivo della persona persa. La reazione alla separazione è alla base delle reazioni di paura e di ansietà che il bambino svilupperà da adulto, oppure dello sviluppo di un attaccamento ansioso verso gli altri. L’adattamento viene facilitato se i genitori adottivi son sereni e permettono al bambino di parlare del suo passato in modo aperto e di capire i motivi che hanno cambiato il percorso della sua esistenza; la vita precedente non può, infatti, essere cambiata, ma se al bambino viene data la possibilità di elaborare il lutto, di riannodare il filo della sua vita là dove si è spezzato potrà ristabilire una continuità tra presente e passato. Per crescere sereno il bambino ha, infatti, bisogno di stabilità, di punti di riferimento chiari da individuare perché essi rappresentano le fondamenta su cui costruire pian piano il proprio senso di sicurezza e la propria identità. Nei primi quattro anni di vita il sostegno al proprio Sè proviene essenzialmente dalle figure d’attaccamento principali, mentre verso i cinque-sei anni l’identità individuale poggia sull’identità familiare. A quest’età, nel confrontarsi con il mondo esterno, il bambinio ha una maggiore e piena coscienza di incontrare altri adulti e bambini. Il Noi familiare nell’infanzia diventa, quindi, importante perché gli altri Noi sono ancora troppo deboli; è, infatti, l’identità familiare a fornire quella sicurezza della quale un bambino ha bisogno quando si trova fuori casa. La teoria dell’attaccamento contribuisce alla definizione d’alcuni principi cardine del discorso. Innanzitutto conferma la centralità del legame primario che è quello con la madre destinato a segnare l’imprinting per la formazione dei legami successivi. La sofferenza causata dalla separazione dalla figura di riferimento è maggiore quando il bambino supera l’anno d’età; inoltre la reazione più frequente all’abbandono si traduce con l’assunzione di comportamenti aggressivi, mirati a “punire” chi si cura del bambino nel tentativo di evitare ulteriori separazioni; il modo in cui chi si occupa del bambino 23 accoglie le sue reazioni alla perdita, influenzerà certamente in modo determinante lo sviluppo successivo di quel bambino. Infine il bambino abbandonato, in genere, è in possesso delle risorse necessarie che gli consentono di stabilire altri legami di uguale importanza in grado di colmare la perdita e di consentire l’elaborazione e la cicatrizzazione della profonda ferita provocata dal fallimento del legame primario. È ciò che rende tanto delicato quanto straordinariamente importante il vincolo adottivo, quando si dimostra all’altezza di riprendere il processo di sviluppo dell’affettività del bambino laddove è stato dolorosamente interrotto per portarlo a termine con successo. 2.7 Le conseguenze negative del ricovero in istituto Le ricerche scientifiche condotte nel 1950 da John Bowlby per conto dell’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS), sono di fondamentale importanza per comprendere le conseguenze negative del ricovero del bambino in istituto. Gli studi condotti da David Levy (1937), Dorothy Burlingham e Anna Freud (1942, 1944), Renè Spitz (1945, 1946), Lauretta Bender (1947), che egli aveva consultato in Europa e negli Stati Uniti, concordavano nell’affermare che le cure materne e paterne prodigate al bambino nei primi anni di vita rivestono un’importanza fondamentale per l'armonico sviluppo della sua salute mentale. Per cure materne e paterne si devono intendere non solo il soddisfacimento dei bisogni fisiologici immediati di nutrimento, assistenza e protezione, ma anche la capacità di assicurare adeguate risposte ai bisogni affettivi e intellettivi del bambino. La privazione prolungata di cure familiari nell’infanzia può avere ripercussioni gravi, talvolta permanenti, sulla formazione del carattere e quindi sulla personalità adulta. Sono diverse le conseguenze nel caso in cui il bambino non abbia mai avuto una relazione stabile e rassicurante con le figure paterna e materna dalla situazione in cui questa relazione invece esisteva ed è stata interrotta. La carenza di cure familiari è negativa per tutto il ciclo dello sviluppo, dalla nascita all’adolescenza, ma è tanto più grave quanto più si configura come “un’assenza completa”. La perdita delle figure materne e paterne è meno grave se è temporanea. Il 24 collocamento in comunità assistenziale deve essere pertanto il più breve possibile e solamente in funzione di una soluzione eterofamiliare da individuare al più presto. Le cure familiari di cui il bambino necessita possono essere fornite da persone diverse da coloro che l’hanno generato, purché esse assicurino un legame affettivo intimo e costante, fonte di soddisfazione e gioia. Gli istituti educativo-assistenziali, anche se organizzati nei cosiddetti gruppi famiglia, non sono strutturalmente in grado di fornire ai bambini relazioni interpersonali che assicurino loro le necessarie cure familiari. La prevenzione dei danni da carenza di cure familiari può essere attuata assicurando, quando possibile, ogni aiuto alla famiglia d’origine perché possa svolgere adeguatamente il suo compito educativo oppure garantendo ai bambini privi di un idoneo ambiente familiare un’altra famiglia (adozione o affidamento, a seconda della situazione). Capitolo III. DUE ORGANI IMPORTANTI NELL’ADOZIONE 3.1 Premessa Gli organi coinvolti nella procedura adottiva sono molteplici ed ognuno svolge ruoli ed ha funzioni differenti, brevemente questi sono quattro: → il Tribunale per i Minorenni 25 Questo organo accoglie la dichiarazione di disponibilità della coppia che desidera adottare e trasmette, entro 15 giorni, tale dichiarazione ai Servizi territoriali e ne richiede la relazione psico-sociale. Dopo aver acquisito le informazioni richieste, convoca la coppia per un colloquio e si pronuncia, entro due mesi, sulla sussistenza o meno dell’idoneità all’adozione; applica la normativa vigente relativamente all’adozione nazionale e rende efficace in Italia il provvedimento straniero, nel caso di adozione internazionale. → Gli enti locali Il compito dei servizi è di osservazione della coppia e contemporaneamente di aiuto alla coppia. La valutazione dell’idoneità spetta comunque al Tribunale per i minorenni, al quale deve pervenire una relazione molto approfondita, in particolare sotto il profilo psicologico (relazione psico-sociale da redarre entro 4 mesi dalla dichiarazione di disponibilità della coppia). Anche dopo l’adozione il ruolo dei Servizi ha una sua importanza; anzi, specialmente nei primi tempi la loro presenza è indispensabile per aiutare i nuovi genitori adottivi e il bambino ad affrontare e superare i problemi che possono presentarsi nella fase di inserimento. Inoltre, la maggior parte dei paesi di origine chiede almeno per un anno periodiche relazioni sulle condizioni del bambino e sul livello di integrazione nella nuova famiglia. E’ quindi indispensabile che i Servizi seguano la famiglia almeno nel primo anno. → Gli Enti Autorizzati Nell’ambito dell’adozione internazionale, gli aspiranti genitori adottivi sono tenuti ad avvalersi esclusivamente dell’assistenza di Enti Autorizzati, in possesso di specifici requisiti fissati dalla legge, abilitati dalla Commissione per le Adozioni Internazionali, ai sensi dell’art. 39 della L. n. 184 del 1983, come modificata dalla L. n. 476/1998. Questi sono organi che mediano la coppia ed il bambino nel percorso dell’adozione internazionale, in particolare svolgono un ruolo informativo pre-adottivo inoltre svolgono le pratiche di adozione presso le competenti autorità del Paese indicato dagli aspiranti all’adozione tra quello con cui esso intrattiene rapporti;verificano lo stato di abbandono del bambino; informare immediatamente la Commissione per le adozioni internazionali, il Tribunale per iminorenni e i Servizi territoriali in merito alla decisione di affidamento dell’autorità straniera; svolgere, in collaborazione con il Servizio 26 territoriale, attività di sostegno del nucleo adottivo fin dall’ingresso del minore in Italia, su richiesta degli adottanti; certificare l’ammontare complessivo delle spese sostenute dai genitori adottivi per l’espletamento della procedure di adozione. → La Commissione Adozioni Internazionali In seguito alla convenzione dell’Aja e alla legge 476/98, si è delineato un nuovo assetto nel campo delle adozioni internazionali. In particolare è stata costituita una Autorità centrale a livello nazionale (la Commissione per le adozioni internazionali, costituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri), al fine di tutelare i diritti dei minori e garantire il conseguimento degli obiettivi della Convenzione. Questo organo ha funzione di controllo sulle procedure di adozione; autorizza e vigila le attività gli Enti; autorizza l’ingresso e la permanenza del minore in Italia e coordina ruoli e funzioni delle tre principali organizzazioni coinvolte ( Tribunale per i Minorenni, Enti locali ed Enti Autorizzati). La nuova legge attribuisce compiti molto importanti ai Servizi socio-assistenziali dell'Ente Locale, che chiama a lavorare insieme, per una più approfondita indagine sulla realtà familiare delle coppie e sulle motivazioni ad adottare, con i servizi delle aziende sanitarie locali anche con la collaborazione degli enti autorizzati. Per questi motivi ho ritenuto interessante, per questa ricerca, approfondire il ruolo di due organi: il Consultorio Familiare (Ente locale) e un Ente Autorizzato che operano nella mia Regione (Veneto) i quali ci offrono l’opportunità di operare un paragone su tali organi e sulle loro funzioni nell’ambito dell’adozione nazionale ed internazionale. I criteri e le modalità di collaborazione fra questi ultimi organismi vengono definiti nel dettaglio da Protocolli d’intesa regionali, per cui le procedure possono differire su alcuni punti da Regione a Regione. Ricordo che la legge n. 476/1998 ha assegnato alle Regioni competenze specifiche relative a allo sviluppo e all’organizzazione della rete dei servizi previsti in materia di adozioni e affidamenti; alla vigilanza sul funzionamento delle strutture e dei Servizi che operano sul territorio per l’adozione internazionale, al fine di garantire livelli adeguati di intervento; alla promozione e definizione di protocolli operativi e convenzioni fra Enti autorizzati e Servizi; alla 27 definizione di forme stabili di collegamento fra gli stessi Enti e gli organi giudiziari minorili. I Servizi locali e gli enti autorizzati non devono rimanere scollegati tantomeno sentirsi “in concorrenza”: la loro collaborazione derivante da una piena integrazione è indispensabile ed è prevista dalla legge. Spetta alle Regioni promuovere la definizione di protocolli operativi - ed eventualmente di convenzioni - fra Enti autorizzati e Servizi. 3.2 Caratteristiche e competenze delle Equipes Adozioni in Veneto La nuova normativa rafforza ed estende i compiti dei Servizi sociali degli Enti locali e chiama in causa anche i Servizi sanitari, in un’ottica di intervento integrato affinché l’osservazione delle coppia sia quanto più completa e corretta possibile. Le Equipes Adozioni presso i Consultori Familiari nella regione Veneto sono in totale 26 (21 ulss in tutta la regione), queste vengono determinate tenendo conto:del numero di Equipes Consultori; del numero di domande di adozioni presentate dalle coppie al Tribunale dei Minori di Venezia; del numero di famiglie residenti nel territorio. Per quanto concerne le Adozioni Nazionale ed Internazionali il Protocollo Operativo della Regione Veneto individua le seguenti competenze: Prima competenza: Ogni Equipes predispone corsi di informazione e sensibilizzazione sull’adozione nazionale e internazionale atti ad aiutare le coppie ad effettuare un autovalutazione prima di presentare la dichiarazione di disponibilità ad adottare. Seconda competenza: Altro compito delle Equipes è di effettuare lo studio di coppia agli aspiranti genitori adottivi dopo che hanno presentato la dichiarazione di disponibilità. Terza competenza: Anche il post-adozione viene seguito dall’Equipes, difatti essa monitora (aggiornamento continuo del dossier) e supporta la neo famiglia. Vediamole ora nel dettaglio: • La prima competenza è quella di informazione e sensibilizzazione sull’adozione e sulle forme di solidarietà nei confronti dei minori in difficoltà. 28 L’Equipe infatti 1. attiva corsi di informazione e sensibilizzazione all’adozione per le persone interessate; Gli obiettivi dei corsi sono di avviare un approfondimento delle problematiche relative all’adozione, al fine di permettere alla coppia di avviare una serena e critica autovalutazione prima di presentare la propria dichiarazione di disponibilità al Tribunale per i Minorenni. I contenuti principali dei corsi vertono sull’iter adottivo, la legislazione che interessa l’adozione nazionale ed internazionale; la situazione dello stato di abbandono e le loro problematiche psicologiche. Vengono inoltre prese in considerazione gli aspetti inerenti alla genitorialità adottiva e genitorialità biologica. Infine nei corsi si tratteranno anche inerenti al bambio e alla nuova famiglia adottiva ed a come il periodo dell’adolescenza può rappresentare un cammino difficile sia per la coppia che per il figlio. 2. diffonde e rende disponibile il materiale informativo prodotto presso le proprie sedi dalla Regione; 3. comunica con periodico aggiornamento, rende disponibili e condivisibili agli altri organismi le proprie attività od iniziative relative all’adozione internazionale e alle forme di solidarietà; 4. informa sui corsi di informazione e sensibilizzazione avviati dagli Enti Autorizzati per proseguire il percorso adottivo (adozione internazionale). • La seconda competenza riguarda lo studio di coppia L’Equipe deve infatti 1. acquisisce gli elementi sulla situazione personale, familiare e sanitaria degli aspiranti genitori adottivi, sul loro ambiente sociale, sulle motivazioni che li determinano, sulla loro attitudine a farsi carico di un’adozione internazionale, sulle loro capacità di rispondere in modo adeguato alle esigenze di più minori o di uno solo, sulle eventuali caratteristiche particolari dei minori che essi sarebbero in grado di accogliere, nonché acquisizione di ogni altro elemento utile per la valutazione da parte del Tribunale per i minorenni della loro idoneità all’adozione; 29 2. trasmette al Tribunale per i Minorenni una relazione completa (indagine psicosociale) di tutti gli elementi raccolti entro i 4 mesi successivi alla trasmissione della dichiarazione di disponibilità. • La terza competenza riguarda il post-adozione L’Equipe Adozioni Consultorio Familiare aggiorna il dossier della coppia con la raccolta di tutte le notizie relative al percorso adottivo ricevute dall’Ente Autorizzato o dalla coppia in relazione alla salute fisica e psicologica; queste riguardano informazioni di tipo Anamnestiche, sociali e legali come: - notizie relative a particolari abitudini o stili di vita in riferimento al paese di origine del bambino. - le ragioni della messa in stato di adozione del minore; - precedenti esperienze di affido o inserimento in istituto ed i motivi dell’eventuale cambiamento della situazione; - la collocazione del minore in attesa dell’adozione ed il tipo di accudimento sostitutivo genitoriale ricevuto; - le raccomandazioni per l’abbinamento ad una coppia genitoriale adottiva; - la preparazione o l'atteggiamento del minore rispetto all'adozione (in relazione all’età); - l'impegno assunto con l'Autorità centrale del paese d'origine dall'ente autorizzato per un eventuale attività di relazione sulle varie fasi d'inserimento del minore nella famiglia. Ed informazioni di tipo sanitario: mediche (vaccinazioni, malattie, traumi fisici, fattori di rischio biologico e neurologico, necessità di cure mediche) e psicologiche (diagnosi psicologiche, traumi emotivi, fattori di rischio nello sviluppo psicologico, tests ed osservazioni, necessità di cure o sostegno psicoterapeutico). Inoltre L’Equipe Adozioni Consultorio Familiare: • prosegue la raccolta di informazioni e l’aggiornamento dei dossier; • svolge attività di conoscenza e di eventuale supporto in collaborazone con altri servizi ULSS secondo linee guida regionali e mantiene contatti con il tutore (se esiste); 30 • riferisce al Tribunale per i Minorenni sull’andamento dell’adozione se è previsto l’anno di affidamento pre-adottivo o se necessario; • solo per quelle coppie che sin dall’inizio faranno richiesta di essere seguite fornisce all’Ente Autorizzato (adozione internazionale) le informazioni raccolte affinché quest’ultimo le trasmetta alle Autorità centrali dei paesi di provenienza dei minori. Per quanto riguarda il monitoraggio dell’inserimento del bambino in famiglia l’adozione nazionale e internazionale seguono due distinti percorsi: Per l’adozione nazionale: - L’Equipe Adozioni segue e sostiene l’affido pre-adottivo per un anno; - Riferisce al Tribunale per i Minorenni sull’andamento dell’adozione; - Propone un monitoraggio per i 2 anni successivi con l’obiettivo di effettuare un follow up secondo le linee guida regionali. Mentre per l’adozione internazionale: - All’arrivo del minore in Italia la coppia può richiedere di essere seguita dal Servizio Pubblico o dall’Ente Autorizzato; L’Equipe Adozioni seguirà per un anno l’andamento dell’adozione e riferirà le eventuali difficoltà e gli opportuni interventi secondo modalità concordate con l’Ente Autorizzato incaricato; - Proporrà inoltre, il monitoraggio della situazione della neofamiglia adottiva per i due anni successivi con l’obiettivo di effettuare un follow up; - L’Equipe Adozioni fornisce all’Ente Autorizzato le informazioni raccolte affinché quest’ultimo le trasmetta alle Autorità Centrali dei paesi di provenienza dei minori. 3.3 Ruolo dello psicologo nello studio di coppia Nella valutazione delle capacità genitoriali lo psicologo si può avvalere del colloquio clinico, della visita domiciliare a casa della coppia ed inoltre di test psicodiagnostici. L’obiettivo di tutto ciò è l’esplicitazione di un parere favorevole o sfavorevole sull’idoneità della coppia ad intraprendere un adozione. I sotto-obiettivi specifici di questo contesto istituzionale riguardano la formazione di un parere che comprenda la dimensione della coppia, la capacità espilicita o potenziale di affrontare le problematiche di una adozione e la dimensione affettiva ed espressivo – emotiva della coppia come futura coppia genitoriale (Bandini, 2007). 31 Generalmente i colloqui presso i servizi avvengono con vari incontri fra gli operatori e la coppia genitoriale, proprio perché mirano ad evidenziare la maggior parte delle informazioni che poi saranno sintetizzate nella relazione finale dei servizi psicosociali. Gli elementi su cui si basa la valutazione della coppia adottiva: Aspetti individuali 1- Potenziali patologie Tra gli obiettivi della valutazione, bisogna far emergere la presenza manifesta o latente nei genitori di squilibri o fattori patogeni che possano impedire lo sviluppo di un attaccamento stabile e sicuro. Valutando la situazione caso per caso bisogna considerare gli elementi che potrebbero costituire ostacolo nell’abbinamento all’estero. Tra i fattori considerati possiamo citare ad esempio disturbi della condotta, psicosi e gravi forme depressive. 2- Caratteristiche di personalità Nello svolgimento dell’istruttoria si verifica la presenza di alcuni fattori che risultano facilitanti durante il percorso adottivo. Essi, ad esempio, possono essere: capacità di affrontare situazioni stressanti, capacità di adattarsi al cambiamento, senso di realtà, basso livello di ansia, vitalità, senso di adeguatezza personale, capacità di gestione adeguata delle proprie emozioni… 3- Relazioni con la propria famiglia d’origine e con la famiglia del bambino. A tal proposito nel corso dell’indagine hanno rilevanza alcuni aspetti quali: buon processo di individuazione dal proprio nucleo d’origine, consapevolezza e capacità di gestire i conflitti presenti, capacità di integrare la famiglia di origine del bambino con la propria rispettando la sua storia ed individualità. 4- Motivazioni È molto importante che nel corso dell’istruttoria i genitori elaborino positivamente i fattori stimolanti che li hanno spinti all’adozione, facendo emergere motivazioni legate a problematiche individuali o di coppia, al bisogno di colmare un vuoto, procedendo verso la consapevolezza del significato dell’adozione, in particolare dell’adozione internazionale. Aspetti di coppia 1- Apertura e capacità di socializzazione 32 Nell’approfondimento di questo aspetto si intenderà far emergere soprattutto la capacità di consentire la socializzazione del bambino e di essere aperti all’accoglienza condivisa, la qualità dell’inserimento nel contesto sociale di appartenenza e la capacità di instaurare relazioni positive significative. 2- Funzionamento della coppia L’attenzione è focalizzata sulla valutazione della capacità di dialogo interna alla coppia, della capacità di contenere il dolore proprio e dell’altro, del buon clima affettivo, della coesione e condivisione di obiettivi ed aspirazioni, della capacità di affrontare i problemi che si presentano sul cammino, della capacità di gestire le differenze individuali in modo corretto. 3- Vissuto della coppia rispetto alla sterilità/infertilità/lutto. Questa parte è particolarmente delicata in quanto investe vissuti profondi e dolorosi, che potrebbero richiedere un supporto specifico a parte. Particolare attenzione deve essere posta a temi quali: l’elaborazione del lutto per l’infertilità, vissuta non come una ferita ma come una condizione che può essere rimediata mediante l’investimento in una procreazione affettiva, la capacità di dare un senso ed un contenuto emotivo appropriato agli eventi, l’elaborazione del lutto reale e la valutazione della relazione tra il lutto e la decisione adottiva. 4- Spazio mentale preparato per il bambino. In particolare si intende porre attenzione alla capacità di acquisire il figlio adottivo come parte di sé, ma allo stesso di accettare il bambino come altro da sé, portatore di una sua storia e cultura, maturando il passaggio dal bambino immaginario al bambino reale. 5- Capacità della coppia di prefigurarsi l’esperienza genitoriale e capacità educative. La coppia deve essere disponibile e consapevole della necessità di modificare assetti organizzativi in funzione del bambino, ma anche di assumere un ruolo genitoriale, maturando una capacità di affrontare situazioni di cambiamento e squilibrio, riadattando le relazioni con la famiglia di origine. La coppia deve sviluppare un alto livello di accordo circa gli stili educativi utilizzati, deve essere in grado di utilizzare quando necessario le risorse esterne e incoraggiare la dipendenza del bambino per poi sviluppare una graduale autonomia. 33 6- Presenza di altri figli naturali o adottati. Nel caso che nella famiglia adottiva siano presenti altri figli è molto importante la loro considerazione sia per valutare la modalità relazionale utilizzata dalla coppia sia per valutare il nucleo allargato, esaminando l’atteggiamento degli altri figli nei confronti dell’adozione, la loro situazione e il significato che ha per loro l’inserimento di un nuovo membro all’interno della famiglia. Aspetti specifici per l’adozione internazionale La coppia che intraprende il cammino dell’adozione internazionale deve approfondire altri ulteriori aspetti, caratteristici della scelta che ha fatto: le problematiche relative all’accoglienza di un bambino di razza, etnia, lingua, cultura…diverse, la necessità di considerare la propria famiglia come “interetnica”, la capacità di superare i pregiudizi relativi alla diversità etnica e culturale, di tollerare e spiegare al bambino atteggiamenti di razzismo, di sostenere il bambino durante il processo di elaborazione delle fantasie sulla sua famiglia di origine. Raccolte tutte le informazioni esse vengono sintetizzate nella relazione psico-sociale che viene inviata all’ente richiedente. 3.4 Caratteristiche generali degli Enti Autorizzati Gli enti autorizzati, introdotti dalla legge 476/98 come figura importante all’interno del procedimento adottivo, sono organizzazioni, associazioni od enti che si occupano di affiancare i futuri genitori adottivi durante il percorso di adozione internazionale e che curano lo svolgimento, nel paese di origine del minore, delle pratiche necessarie in collaborazione con l’autorità del paese straniero. La legge 476/98 e la Convenzione dell’Aja hanno reso obbligatorio il loro intervento in tutte le procedure di adozione internazionale, mutando la precedente disciplina che lasciava ai genitori adottivi la possibilità di rivolgersi direttamente all’autorità straniera. Il 31 ottobre 2000 è stato pubblicato l’albo degli enti autorizzati e chi vuole adottare un bambino straniero deve obbligatoriamente rivolgersi ad un ente che compare nell’albo (Art.31 L.476/98). I compiti degli enti autorizzati sono regolati dalla Legge 476/98 (Art.31) e sono svariati1. L’ente che ha ricevuto l’incarico dagli aspiranti genitori adottivi deve informarli sulle procedure che inizierà e sulle prospettive di adozione nel 1 34 paese che è stato scelto. Deve poi trasmettere alle autorità straniere la domanda di adozione, il decreto di idoneità e la relazione dei servizi sociali, per poi ricevere dalle stesse le proposte di incontro con un determinato bambino. L’ente comunica la proposta agli aspiranti adottanti e, se accettano di incontrare il bambino, li assiste in tutto il percorso nel paese straniero. In caso di esito positivo degli incontri informa la Commissione per le adozioni internazionali e il tribunale per i minorenni e chiede alla Commissione l’autorizzazione all’ingresso del minore in Italia. Dopo aver ottenuto il provvedimento straniero di affidamento o di adozione l’ente vigila sulle modalità di arrivo del minore in Italia, facendo in modo che avvenga insieme ai genitori adottivi. Quando il bambino è giunto in Italia gli enti, in collaborazione con i servizi socioassistenziali degli enti locali, sostengono il nuovo nucleo, su richiesta degli adottanti, e devono riferire al tribunale per i minorenni circa l’andamento dell’inserimento, segnalando il sorgere di difficoltà. Per poter svolgere la propria attività ogni ente autorizzato deve possedere un’apposita autorizzazione governativa. Se un ente opera senza autorizzazione i suoi responsabili commettono reato e sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni. Anche gli aspiranti genitori adottivi che si rivolgono ad enti o persone non autorizzati commettono reato. Le procedure per il rilascio dell’autorizzazione sono disciplinate nel regolamento di attuazione della legge sull’adozione, il d.p.r (Decreto del Presidente della Repubblica) n.492 del 1999. Inoltre gli enti autorizzati sono soggetti alla vigilanza ed ai controlli della Commissione per le adozioni internazionali, che può sospendere o revocare l’autorizzazione in caso di inadempienze. L’albo degli enti autorizzati, pubblicato il 31 ottobre 2000, è periodicamente aggiornato con l’inserimento di nuovi enti o la cancellazione di quelli a cui è stata revocata l’autorizzazione. 3.5 Un Ente Autorizzato in Veneto: Ai.Bi. 35 Ai.Bi. – Associazione Amici dei Bambini - è un movimento di famiglie che si è costituito il 21 gennaio 1986. Il 6 marzo 1992 è riconosciuta Ente Autorizzato per l'Adozione Internazionale. Le attività di Amici dei Bambini si traducono operativamente in tre campi di azione: - Cooperazione Internazionale ed educazione allo sviluppo: organizzazione, promozione e gestione di progetti di cooperazione, rivolti ai minori dei Paesi in via di sviluppo e nelle aree di emergenza. L'Associazione opera in 14 paesi; - Adozione Internazionale: organizzazione di incontri di preparazione per aspiranti genitori adottivi e gestione integrale delle procedure di adozione internazionale all'estero. - Promozione dei diritti del Minore: organizzazione di convegni, seminari, dibattiti; edizione di pubblicazioni sulle problematiche dei minori in difficoltà e gestione dei servizi di prossimità. Per quanto concerne l'adozione internazionale Amici dei Bambini è autorizzata ad operare in 17 paesi per l'intero territorio nazionale Italiano: Albania, Bolivia, Brasile, Bulgaria, Cile, Cina, Colombia, Ecuador, Federazione Russa, Honduras, Marocco, Moldavia, Pakistan, Perú, Romania, Sri Lanka, Ucraina. 3.6 Gli interventi per le coppie che si rivologono a questo ente Amici dei Bambini è firmatario del Protocollo Operativo del Veneto e quindi, come tale ne rispetta le norme vigenti per gli Enti Autorizzati che operano nella regione Veneto. In particolare questo Ente organizza: a. Incontri informativi gratuiti condotti da coppie che hanno adottato con l’Associazione. Tali incontri hanno lo scopo d’informare su determinati temi quali: chi è Amici dei Bambini e come sviluppa la sua missione; il principio di sussidiarietà dell’adozione internazionale; il percorso di accompagnamento della coppia adottiva; i dati statistici; l’esperienza delle nostre coppie adottive. 36 b. Inconti pre-adozione - Corsi di preparazione all’adozione nazionale riservati alle coppie che hanno iniziato la procedura per ottenere l’idoneità; - Percorsi maturativi di sostegno per le coppie in possesso dell’idoneità o che abbiano effettuato almeno 3 colloqui con i Servizi del territorio; In questi incontri pre-adozione vengono presentati i principi fondamentali dell’adozione internazionale; gli enti che operano in Italia; le procedure adottive dei principali Paesi di origine; i costi generali che l’adozione internazionale comporta; una parte significativa del corso è dedicato al bambino straniero, alla sua cultura, alle ferite e l’angoscia che l’abbandono lasciano al minore inoltre vengono prese in esame vari tipologie di bambini: il bambino sud-americano, il bambino di strada, il bambino vittima di violenza. Tutti i punti che vegnono toccati nei corsi sono proposti in un ottica di lavoro di gruppo e di dibattito tra operatori e coppie e tra le coppie medesime. La partecipazione all’incontro pre-adottivo consente alla coppia di misurarsi rispetto alla realtà, ai vissuti ed ai problemi dei bambini stranieri in stato di abbandono. La coppia deve consapevolmente valutare se può essere una risorsa concreta per questi bambini, e quindi decidere se iniziare o meno il cammino adottivo con Amici dei Bambini. Le Equipe dei corsi sono formate da professionisti (psicologi e assistenti sociali) ed operatori esperti di adozione internazionale che avranno il compito di proporre gli argomenti e stimolare la discussione. Il corso della durata di due giorni è aperto a tutte le coppie che hanno già intrapreso il cammino adottivo con i servizi territoriali. Sono ammesse un massimo di 10 coppie per corso. Cosa succede dopo il percorso maturativo di sostegno? Se la coppia decide di adottare con Amici dei Bambini, invia la richiesta di adesione al cammino adottivo. Per procedere l’adozione con Amici dei Bambini la coppia verrà invitata ad un colloquio individuale con uno degli psicologi dell’Ente per una integrazione della relazione psicosociale che verrà utilizzata dalle competenti autorità straniere. A questo punto l’Ente accompagna la coppia nelle varie fasi dell’adozione internazionale: Preparazione documenti per il paese straniero La destinazione di adozione verso il paese straniero viene operata dall'équipe centrale per le adozioni internazionali di Amici dei Bambini, sulla base del "dossier 37 propedeutico all'abbinamento" e a seguito dell'andamento delle adozioni negli stati di origine e della segnalazione dei bambini adottabili. Incontro tecnico Durante il periodo tra la preparazione dei documenti e, la consegna degli stessi, le coppie che sono state destinate per lo stesso paese vengono invitate presso le sedi di Amici dei Bambini per un incontro specifico sul paese di destinazione. L'incontro ha il compito di illustrare la situazione del paese, la condizione degli istituti dove si trovano i bambini, come avviene la proposta di abbinamento, qual è la legge vigente nel paese, i tempi di permanenza all'estero, quali sono le possibilità di alloggio, ecc.. Consegna dei documenti all'autorità straniera Il rappresentante estero di Amici dei Bambini che riceve il dossier della coppia la consegna all’autorità straniera che effettuerà un possibile abbinamento; inoltre informa costantemente la sede di Amici dei Bambini dell’andamento della pratica. Incontro per l'abbinamento Il dossier ora è a disposizione dell'autorità straniera per un possibile abbinamento (ricordo che la procedura è diversificata a secondo della legislazione dei singoli paesi). Quando, viene segnalato un bambino per quella coppia questa viene convocata in una delle sedi di Ai.Bi e lo psicologo la prepara all'incontro con il bambino e dà indicazioni sugli atteggiamenti e sul comportamento da tenere. Alla fine dell'incontro la coppia, consapevole della storia e dello stato di salute del/i bambino/i, sottoscrive l'accettazione dell'abbinamento proposto; questo documento viene quindi inviato alla Commissione per le Adozioni Internazionali e all'Autorità Straniera. Partenza e accompagnamento all'estero Una volta partita la coppia viene seguita nel paese straniero dal rappresentante di Amici dei Bambini e dai suoi collaboratori. Il periodo di affiatamento con il bambino inizia subito secondo quanto stabilito dalla legge del paese: infatti quando la coppia parte il rappresentante ha già provveduto a fissare l'appuntamento o presso il tribunale di destinazione o con i servizi preposti. Rientro/arrivo in Italia 38 Dal momento dell’ingresso in Italia e per almeno un anno, ai fini di una corretta integrazione familiare e sociale, il Servizio psico-sociale e l’Ente autorizzato, “su richiesta degli interessati, assistono gli affidatari, i genitori adottivi e il minore. In ogni caso essi riferiscono al Tribunale per i minorenni sull’andamento dell’inserimento, segnalando le eventuali difficoltà per gli opportuni interventi”. Amici dei Bambini organizza dopo l’adozione dei percorsi di accompagnamento per le famiglie adottive; l’intenzione è di aiutare i genitori adottivi nell’educazione e relazione con i figli, attraverso il confronto con famiglie che vivono la stessa esperienza e la discussione con esperti (psicologi e pedagogisti) su temi riguardanti la genitorialità adottiva. I percorsi previsti dall’Ente sono tre, articolati in 7 incontri ciascuno e sono rivolti rispettivamente a genitori con figli appartenenti alle fasce prescolare (0-5 anni), scolare (6-10 anni), preadolescenti e adolescenti (dai 10 anni in poi). 39 Capitolo IV. ALCUNI DATI SULL’ADOZIONE INTERNAZIONELE - Rapporto della Commissione per le Adozioni Internazionali 16/11/200-30/06/7007 Premessa Per capire meglio il fenomeno in crescente espansione dell’adozione internazionale propongo i presenti dati che sono tratti dall’attività di continuo monitoraggio sui flussi di ingresso in Italia dei minori stranieri a scopo adottivo, questo rapporto è promosso dalla Commissione per le Adozioni Internazionali (C.A.I.) nell’ambito delle proprie funzioni istituzionali. Le informazioni sottoposte ad analisi sono desunte dai fascicoli dei minori stranieri autorizzati all’ingresso ed alla residenza permanente nel nostro Paese a scopo di adozione (ex art. 32 della legge n. 476/98), in possesso della Commissione per le Adozioni Internazionali. Oggetto di analisi sono, le richieste di ingresso di minori stranieri presentate dalle coppie adottive nel periodo compreso tra il 16 novembre 2000 (giorno successivo alla pubblicazione in G.U. dell’Albo degli Enti autorizzati, che ha reso concretamente applicabile la nuova normativa) e il 30 giugno 2007. 2007. La presentazione dei dati si articola in tre livelli, prima ho sottoposto ad analisi i dati riguardanti le coppie, dopodiché, ho proposto quelli riguardanti i minori ed infine porto all’attenzione alcuni dati riguardanti gli Enti. 40 4.1 Dati sulle coppie • Andamento delle adozioni Nell’arco temporale monitorato le coppie che hanno fatto richiesta alla C.A.I. di autorizzazione all’ingresso in Italia di minori stranieri, ovvero le coppie che in possesso del decreto di idoneità hanno concluso con successo l’iter adottivo sono state 15.077, con un andamento temporale che evidenzia un valore massimo nel corso del 2004, una flessione nel corso del successivo 2005, un significativo incremento nel 2006 e un nuovo consistente aumento nel primo semestre del 2007. In particolare l’andamento è stato:386 coppie hanno fatto richiesta nell’anno 2000, specificamente nel periodo 16 novembre – 31 dicembre; 1.857 hanno fatto richiesta nel 2001; 1.539 nel corso del 2002; 2.320 nel 2003; 2.812 nel 2004; 2.287 coppie nel 2005; 2.534 nel 2006 e1.342 nel primo semestre 2007. GRAFICO 1 G andamento adozioni 3000 2500 2000 1500 numero di coppie 1000 500 0 anno anno anno anno anno anno anno anno 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Dai dati riportati possiamo notare come in Italia vi sia stato un progressivo aumento di adozioni internazionali negli ultimi anni. 41 • L’età media delle coppie adottanti Ai fini di una più corretta valutazione dell’effettiva variabilità sul territorio italiano delle coppie richiedenti l’ingresso in Italia di un minore a scopo adottivo, si è proceduto a rapportare le coppie per regione di residenza alla popolazione teorica di riferimento, ovvero la popolazione residente di 30-59 anni. In merito alle distribuzioni per età dei mariti e delle mogli richiedenti l’ingresso di minori stranieri a scopo adottivo resta per i primi uno sbilanciamento verso le classi di età anziane molto più marcato di quanto non avvenga per le mogli. Infatti, sebbene la classe di età a maggiore frequenza è sia per i mariti (33,5%) che per le mogli (36,3%) la 35-39 anni, sotto i 30 anni c’è soltanto lo 0,7% dei mariti e un più consistente 2,7% delle mogli, mentre sopra ai 45 anni si ha il 22,4% dei mariti e solo il 13,5% delle mogli. GRAFICO 2 età dei mariti età delle mogli > 45 > 45 35-39 35-39 < 30 < 30 I tassi medio annui così ottenuti mostrano che in Italia hanno richiesto l’autorizzazione all’ingresso in Italia di minori stranieri 24 coppie ogni 100mila coppie coniugate di 3059 anni residenti nella popolazione, con differenze regionali piuttosto significative e valori massimi dell’indice addensati per lo più nelle regioni centro-settentrionali. Le età medie delle coppie adottanti a livello regionale alla data del provvedimento di idoneità mettono in evidenza situazioni piuttosto differenziate sul territorio nazionale 42 con valori medi che oscillano in un ampio range che va dai 46,5 anni dei mariti valdostani ai 40,1 di quelli lombardi. Anche per le mogli la situazione si ripropone, difatti, l’età media per le mogli Sarde è di 42,2 mentre per le Venete abbiamo un età media molto minore di 38,1. TABELLA 1 Età media delle coppie alla data del decreto di idoneità per regione al 30/06/2007 Regioni Piemonte Valle d'Aosta Lombardia Trentino-Alto Adige Veneto Friuli-Venezia Giulia Liguria Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna ITALIA Età media all'adozione marito moglie 40,9 38,9 46,5 40,9 40,1 38,3 40,8 38,7 40,2 38,1 40,7 38,5 42,0 39,7 40,8 38,8 40,8 39,0 40,7 38,3 40,5 38,4 43,6 41,4 43,1 40,6 42,9 39,5 42,1 39,5 42,6 39,9 43,4 40,5 44,0 40,5 43,1 40,1 44,8 42,2 41,3 39,2 Questa tabella ci propone le età medie a livello nazionale, in questo quadro meno strutturato del precedente, possiamo notare come il range di valori annuali non sia amplio. Il quadro mostra che le età medie di moglie e marito alla data del primo decreto di idoneità sono pressoché costanti nel periodo di monitoraggio: per i mariti l’oscillazione è dai 40,2 fino ad arrivare ai 41,7 mentre per le mogli l’età oscilla tra i 38,7 ed i 39,6. 43 TABELLA 2 Età media delle coppie alla data del primo decreto di idoneità (a)- al 30/06/07 Anni Età media 2000(b) 2001 2002 2003 2004 2005 Marito 40,2 40,7 41,6 41,7 41,7 41,0 Moglie 37,8 38,5 39,4 39,6 39,4 39,0 2006 41,3 39,3 2007(c) Totale 41,3 41,3 39,3 39,2 (a) Decreto di idoneità o provvedimento della Corte di Appello (b) Dal 16/11/2000 al 31/12/2000 (c) Dal 1/1/2007 al 30/06/2007 Il picco d’età lo si riscontra per i mariti nel 2003 e 2004 con 41,7 anni, mentre per le mogli abbiamo un picco d’età nel 2003 con 39,6 anni in media. • Numero di figli naturali e di minori adottati Questa parte della ricerca intende approfondire la situazione familiare delle coppie che hanno percorso l’iter adottivo internazionale, analizza la presenza di figli naturali nei nuclei familiari delle coppie che adottano. Dai dati notiamo come ciò sia molto limitato. Le percentuali dimostrano come su 15.077 coppie che hanno richiesto l’autorizzazione all’ingresso in Italia di minori stranieri ben 13.609 cioè il 90,26% non ha figli. Solo il 7,97% delle coppie ha un figlio in famiglia, ed ancor meno (solo l’1,41%) ha un figlio naturale nel proprio nucleo familiare. 44 TABELLA 3 Coppie che hanno richiesto l’autorizzazione all’ingresso in Italia di minori stranieri secondo il numero di figli naturali ed il numero di minori richiesti in adozione al 30/06/07 Numeri minori richiesti in adozione 1 Numero di figli naturali 2 valori 3 4 5 assoluti valori percentuali Nessun figlio 10.906 2.295 384 22 2 13.609 90,26 Un figlio 1.164 32 6 - - 1.202 7,97 Due figli 198 14 1 - - 213 1,41 Tre figli 29 5 - - - 34 0,23 Quatto figli 13 - - - - 13 0,09 Cinque figli 4 - - - - 4 0,04 n.d. 1 1 - - - 2 - Totale coppie 12.315 2.347 391 22 2 15.077 Valori percentuali 81,68 15,57 2,59 0,15 0,01 100,0 100,00 - n.d.= non disponibile Questo dato rispecchia parzialmente i dati nazionali, in quanto sempre più la scelta di adottare un bambino non è legata alla presenza di altri figli in famiglia e alla impossibilità della coppia di riprodursi, ma è invece connessa ad una scelta forte e coraggiosa di vita, che mette in gioco gli ideali e i valori della coppia. Dall’altra parte, è importante anche ricordare un fenomeno in forte crescita: l’impossibilità della coppia di procreare, il conseguente aumento del ricorso a tecniche di riproduzione assistita, alla fecondazione artificiale e ad altre tecniche e un’attenzione della coppia all’adozione come modo per soddisfare il proprio desiderio di genitorialità e la volontà di dare ad un bambino che ne ha bisogno una famiglia in cui possa trovare l’amore e le cure di cui ha necessità. Unendo i dati proposti dalla tabella 3 e dalla tabella 4 possiamo giungere ad altre conclusioni in merito al numero di minori richiesti in adozione mediamente dalle 45 coppie. La tabella 3 propone il fatto che 10.906 coppie senza figli richiede in adozione solo minore, mentre 2.295 sempre senza figli ne richiede due. La tabella sottostante ci propone l’andamento negli anni dei minori richiesti in adozione dalle coppie ed appare evidente come negli anni il numero di minori maggiormente adottati per coppia sia uno; la gamma dell’andamento oscilla dal 78% nel 2005 fino ad arrivare all’89,1% nel periodo 16 novembre-31 dicembre 2000. Le coppie che adottano due figli per nucleo sono in media il 15,6% con un picco del 18,5% pari a 422 coppie nel 2005. GRAFICO 3 Totale numero di minori richiesti in adozione 22 391 2 2.347 1 figlio 2 figli 3 figli 4 figli 5 figli 12.315 TABELLA 4 Coppie che hanno richiesto l'autorizzazione all'ingresso in Italia di minori stranieri secondo il numero di figli richiesti in adozione e l'anno della richiesta - al 30/06/2007 Anni Numero minori richiesti in 2000(a) 2001 2002 2003 adozione 46 2004 2005 2006 2007(b) Totale Valori assoluti 1 2 3 4 5 Totale 344 39 3 386 1.595 243 19 1.857 1.307 209 19 4 1.539 1.925 340 53 1 1 2.320 2.308 423 76 5 2.812 1.783 422 81 1 2.287 1.992 439 94 9 2.534 1061 232 46 2 1 1.342 12.315 2.347 391 22 2 15.077 78,6 17,3 3,7 0,4 100,0 79,1 17,3 3,4 0,1 0,1 100,0 81,7 15,6 2,6 0,1 0,0 100,0 Valori percentuali 1 2 3 4 5 Totale 89,1 10,1 0,8 100,0 85,9 13,1 1,0 100,0 84,9 13,6 1,2 0,3 100,0 82,8 14,7 2,3 0,1 0,1 100,0 82,1 15,0 2,7 0,2 100,0 78,0 18,5 3,5 0,0 100,0 (a) Dal 16/11/2000 al 31/12/2000 (b) Dal 1/1/2007 al 30/06/2007 4.2 Dati sui bambini I bambini stranieri per i quali è stata pronunciata una adozione in uno stato estero a favore di una coppia italiana e per i quali è stata successivamente richiesta l’autorizzazione all’ingresso in Italia, alla data del 30/06/2007, sono stati 18.280. A fronte di ciò si hanno, come visto in precedenza, 15.077 coppie adottive, cosa che significa, in media, che ogni coppia ha adottato 1,2 bambini. Se si considera che il 90,2% delle coppie adottive non ha figli e che l’81,7% delle stesse ha fatto richiesta di autorizzazione per l’ingresso di un solo minore risulta evidente che esse esprimono una fecondità del tutto in linea con quella del complesso delle coppie italiane, che come noto esprimono comportamenti riproduttivi improntati a un forte contenimento della fecondità. 47 • Da dove arrivano i minori adottati? Al primo posto della graduatoria dei Paesi di provenienza dei minori stranieri entrati a scopo adottivo, nell’arco dell’intero periodo di monitoraggio, ci sono l’Ucraina (17,3%) e la Russia (16,9%), che risultano sopravanzare nettamente le altre nazioni di provenienza, facendo segnare rispettivamente in termini assoluti 3.169 e 3.090 ingressi di minori stranieri. GRAFICO 4 Incidenze molto interessanti le fanno segnare nell’ordine: la Colombia (9,2%), il Brasile (7,4%), la Polonia (6,0%), l’Etiopia (5,3), la Bulgaria e la Bielorussia (4,7%) e l’India (4,6%). Su questi livelli differenziati di flussi adottivi secondo la provenienza incidono anche alcune situazioni di blocco delle adozioni che in taluni casi si sono protratti per periodi anche considerevolmente lunghi. A tal proposito va segnalata la parziale riattivazione del flusso di ingresso di bambini provenienti dalla Bielorussia: nel corso del 2006 e nel primo semestre 2007 sono state, infatti, perfezionate rispettivamente 34 e 4 autorizzazioni a fronte di nessuna autorizzazione del 2005, frutto di un blocco totale durato l’intero anno. 48 A tal proposito, la distribuzione delle autorizzazioni all’ingresso bene evidenzia l’incremento dei minori entrati a scopo adottivo dai Paesi africani, americani e asiatici verificatosi nel corso dei più recenti periodi di monitoraggio, anche se, i paesi Europei raggiungono quasi il cinquanta percento delle adozioni avvenute. GRAFICO 5 Ben 10.307 minori proviene dai paesi d’Europa, ciò è pari al 56,4% delle adozioni. Il picco massimo di adozioni di minori provenienti dai paesi Europei è avvenuto nel 2004 con una percentuale del 64,4% pari a 2.191 bambini. Al secondo posto come continente di provenienza troviamo l’America con il 23,3% delle adozioni sul totale delle adozioni al 30 giugno 2007. TABELLA 5 Minori per i quali è stata concessa l'autorizzazione all'ingresso in Italia secondo il continente di provenienza e l'anno d'ingresso - al 30/06/2007 49 Anni Continente 2000(a) 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007(b) Totale 279 824 665 1.420 3.188 126 382 394 774 1.676 1.183 4.262 2.528 10.307 18.280 8,8 25,8 20,9 44,5 100,0 7,5 22,8 23,5 46,2 100,0 6,5 23,3 13,8 56,4 100,0 Valori assoluti Africa America Asia Europa Totale 4 58 29 255 346 87 391 224 1.095 1.797 125 466 269 1.365 2.225 70 685 289 1.728 2.772 225 752 234 2.191 3.402 267 704 424 1.479 2.874 Valori percentuali Africa America Asia Europa Totale 1,2 16,8 8,4 73,7 100,0 4,8 21,8 12,5 60,9 100,0 5,6 20,9 12,1 61,3 100,0 2,5 24,7 10,4 62,3 100,0 6,6 22,1 6,9 64,4 100,0 9,3 24,5 14,8 51,5 100,0 (a) Dal 16/11/2000 al 31/12/2000 (b) Dal 1/1/2007 al 30/06/2007 • L’adozione nelle varie regioni Italiane La distribuzione territoriale dei flussi di ingresso di bambini adottati evidenzia che nelle regioni del nord Italia sono stati accolti la metà dei minori autorizzati all’ingresso dall’inizio del monitoraggio. La regione nella quale vi è stata una maggior richiesta di autorizzazioni è la Lombardia con il primato Italiano di ben 3.774 adozioni, mentre, quella con minor numero di adozioni effettuate è la Valle d’Aosta con appena 18 adozioni in totale. 50 GRAFICO 6 Paesi di provenienza delle adozioni in Lombardia Africa; 373 Africa Europa; 1536 America; 1173 America Asia Europa Asia; 692 Paesi di provenienza delle adozioni in Veneto Africa; 194 Africa America; 464 Europa; 971 America Asia Europa Asia; 316 TABELLA 6 Minori per i quali è stata concessa l'autorizzazione all'ingresso in Italia secondo il 51 continente di provenienza e la regione di residenza dei genitori adottivi - al 30/06/2007 Regioni Africa America Asia Europa Totale Piemonte Valle d'Aosta Lombardia Trentino-Alto Adige Veneto Friuli-Venezia Giulia Liguria Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Residenti all'estero Totale • 111 2 373 21 194 204 2 1.173 107 464 310 6 692 89 316 406 8 1.536 111 971 1.031 18 3.774 328 1.945 29 36 98 148 6 7 76 6 1 15 39 1 2 6 8 4 1.183 82 153 447 293 45 112 448 117 20 136 207 11 54 113 66 8 4.262 102 62 190 210 25 79 191 11 4 56 94 1 35 25 24 6 2.528 179 509 743 886 218 329 862 166 121 897 699 80 498 935 144 9 10.307 392 760 1.478 1.537 294 527 1.577 300 146 1.104 1.039 93 589 1.079 242 27 18.280 L’età media dei bambini adottati Rispetto all’età dei bambini entrati dalle diverse nazioni è importante segnalare che dall’Asia si ha un flusso proporzionalmente molto forte di bambini piccoli. In particolare 645 bambini pari al 25,5% dei bambini asiatici ha meno di un anno, e 1.309 bambini pari al 51,8% dei bambini asiatici ha un’età compresa tra 1-4 anni. Tra i minori provenienti dai paesi dell’America latina la classe d’età con la frequenza maggiore è la 5-9 anni con 2.023 minori (47,5% del totale), mentre per i minori di origine africana il 42,5% ha un’età compresa tra 1 e 4 anni ed il 41,4% tra 5 e 9 anni. In sintesi, le età medie dei minori adottati più alte si registrano in Bielorussia (11,3 anni), 52 Cile (8,1), Polonia (7,1), Lituania (7,1) e Costarica (7,2); mentre quelle più basse si riscontrano in Bolivia (3), Cambogia e Congo (2,8), Burkina Faso (2,3) e Vietnam (1,6). Non sorprende, dunque, verificare che nelle regioni del nord Italia a seguito dell’adozione di un maggior numero di minori provenienti dall’Asia, dall’America latina e dall’Africa si riscontra una più alta incidenza di bambini piccoli, a tal punto che rispetto all’età media nazionale dei minori adottati in Italia pari a 5,1 anni, in molte regioni del nord si hanno valori solo di poco superiori ai 4 anni di vita (Piemonte, Veneto, Friuli e Trentino). GRAFICO 6 • Età e sesso del minore adottato Le autorizzazioni concesse all’ingresso hanno interessato un maggior numero di bambini piuttosto che di bambine, dato questo trasversale ai diversi anni del monitoraggio e trasversale ai settantadue. Dei 18.280 bambini adottati, infatti, 10.471 sono maschi (57,3 % del totale) e 7.809 femmine (42,7%), con un rapporto di mascolinità pari a 134,1. TABELLA 7 Minori per i quali è stata concessa l'autorizzazione all'ingresso in Italia secondo la classe di età, il sesso e l'anno di ingresso del minore - al 30/06/2007 53 Anni Classi valori di età valori 2000(a) 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007(b) assoluti percentuali femmine <1 anno 13 66 89 107 56 61 142 80 614 46,2 1-4 anni 68 354 359 529 639 527 569 263 3.308 38,7 5-9 anni 43 284 343 406 486 469 536 292 2.859 43,5 10 anni e più 21 102 162 201 205 114 154 69 1.028 56,1 Totale 806 953 1.243 1.386 1.171 1.401 704 7.809 42,7 145 maschi <1 anno 24 70 89 86 90 101 156 98 714 53,8 1-4 anni 116 561 594 831 1.068 818 803 445 5.236 61,3 5-9 anni 55 291 462 473 689 680 707 360 3.717 56,5 10 anni e più 6 69 127 139 169 104 121 69 804 43,9 Totale 991 1.272 1.529 2.016 1.703 1.787 972 10.471 57,3 201 maschi e femmine <1 anno 37 136 178 193 146 178 1.328 7,3 1-4 anni 184 915 953 1.360 1.707 1.345 1.372 708 8.544 46,7 5-9 anni 98 575 805 879 1.175 1.149 1.243 652 6.576 36,0 10 anni e più 27 171 289 340 374 1.832 10,0 Totale 1.797 2.225 2.772 346 162 218 298 275 138 3.402 2.874 3.188 1.676 18.280 100,0 (a) Dal 16/11/2000 al 31/12/2000 (b) Dal 1/1/2007 al 30/06/2007 • Paesi ratificanti la Convenzione de l’Aja e non I dati a disposizione evidenziano, inoltre, che il 58,9% dei bambini proviene da Paesi che non hanno ratificato la Convenzione de L’Aja, mentre il restante 41,1% da Paesi ratificanti. TABELLA 8 Minori per i quali è stata concessa l'autorizzazione all'ingresso in Italia secondo l'anno di concessione e la provenienza da Paesi ratificanti o meno la convenzione de L'Aja al 30/06/2007 Anni 54 Paesi 2000(a) 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007(b) Totale Valori assoluti Ratificanti 90 619 602 1.224 1.620 1.182 1.419 760 7.516 Non ratificanti 256 1.178 1623 1.548 1.782 1.692 1.769 916 10.764 Totale 346 1.797 2.225 2.772 3.402 2.874 3.188 1.676 18.280 Valori percentuali Ratificanti 26,0 34,4 27,1 44,2 47,6 41,1 44,5 45,3 41,1 Non ratificanti 74,0 65,6 72,9 55,8 52,4 58,9 55,5 54,7 58,9 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale 100,0 (a) Dal 16/11/2000 al 31/12/2000 (b) Dal 1/1/2007 al 30/06/2007 Figurano come ratificanti unicamente quei Paesi esteri i quali hanno effettivamente riconosciuto, nel loro ordinamento giuridico interno, tale strumento internazionale. Va segnalato, però, quale elemento di grande conforto che nel corso del 2003 i bambini adottati provenienti da Paesi che hanno ratificato la Convenzione de L’Aja hanno sostanzialmente raggiunto in numero quelli provenienti da paesi che non hanno ancora ratificato la Convenzione. Questo risultato, ovvero il netto incremento delle adozioni con ratifica del 2004 a scapito di quelle senza ratifica, è conseguenza diretta dell’entrata in vigore della ratifica della Convenzione in molti Paesi nel corso del 2003. La Convenzione dell’Aja, solo per citare alcuni esempi, è entrata in vigore: in Bielorussia dal 1° novembre 2003, in India dal 1° ottobre 2003, in Guatemala dal 1° marzo 2003, e in Thailandia e in Madagascar dal 2004. • Il motivo dell’abbandono dei bambini adottati Per quanto riguarda il motivo dell’abbandono possiamo notare come solo il cinque percento dei bambini entrati in Italia era orfano e ciò si verifica con maggior frequenza in Africa. La motivazione più comune è dovuta alla perdita della potestà genitoriale, ciò avviene per il 43,6% dei bambini adottati in Italia ed è prevalente nel continente Europeo. TABELLA 9 Minori per i quali è stata concessa l'autorizzazione all'ingresso in Italia 55 secondo il motivo dell'abbandono e il continente di provenienza. Dal 01/01/2006 al 30/06/2007 Motivo di Africa America Asia Europa Totale abbandono Valori percentuali Perdita potestà genitoriale Abbandono Rinuncia Orfano n.d. Totale 2 192 55 152 4 405 472 568 77 8 81 1.206 25 854 132 36 12 1.059 1.537 309 214 41 93 2.194 2.036 1.923 478 237 190 4.864 43,6 41,1 10,2 5,1 100,0 n.d.= non disponibile GRAFICO 8 valori percentuali del motivo di abbandono del minore rinuncia; 10,20% orfano; 5,10% perdita potestà genitoriale; 43,60% abbandono; 41,10% 7.3 Dati sugli Enti Autorizzati Nell’ambito delle proprie competenze, la Commissione per le Adozioni Internazionali svolge una costante attività di vigilanza sugli enti autorizzati a seguire la coppia nell’adozione internazionale e pubblica periodicamente, con evidenza anche sul sito della Commissione stessa, l’Albo degli enti autorizzati abilitati ad operare sul territorio nazionale. • L’ingresso dei bambini da parte degli Enti Nel periodo di rilevazione gli enti autorizzati che hanno lavorato per l’ingresso di almeno un bambino straniero a cui è stata effettivamente concessa l’autorizzazione, sono stati 68. 56 La presenza sul territorio nazionale è tutt’altro che omogenea e la distribuzione di frequenza degli ingressi di bambini secondo l’ente autorizzato evidenzia capacità piuttosto diversificate tra ente e ente, in particolare: a) 26 enti hanno permesso l’ingresso di un numero di bambini stranieri inferiore a 100; b) 13 enti di un numero di bambini compreso tra 100 e 199; c) 15 enti di un numero di bambini compreso tra 200 e 399; d) 10 enti di un numero di bambini compreso tra 400 e 799; e) 4 enti hanno permesso l’ingresso di oltre 800 bambini. Tali differenze sono riconducibili principalmente alla diversa competenza territoriale degli stessi, ovvero per quali e quanti paesi tali enti sono abilitati ad operare. • Intermediazione con l’aiuto di un Ente o senza Ente Nello stesso periodo di rilevazione su 18.280 minori ai quali è stata concessa l’autorizzazione all’ingresso in Italia non si è avuta intermediazione di alcun ente autorizzato in 973 casi, pari al 5,3% del totale, ma si segnala che il ruolo di questi enti si è molto rafforzato con il passare dei mesi, al punto che non si registrano casi di minori entrati in Italia senza l’intermediazione di un ente autorizzato nel periodo 2005-2007. TABELLA 10 Minori per i quali è stata concessa l'autorizzazione all'ingresso in Italia secondo l'utilizzo o meno dell'Ente autorizzato - al 30/06/2007 Anni 57 Enti 2000(a) 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007(b) Totale valori assoluti Con ente autorizzato Minori presi in carico 146 1.406 2.015 2.608 3.394 2.869 3.156 1.621 17.215 dalla CAI Senza ente autorizzato Totale 200 346 5 32 55 391 210 164 8 1.797 2.225 2.772 3.402 2.874 3.188 1.676 valori percentuali 92 973 18.280 Con ente autorizzato Minori presi in carico 42,2 dalla CAI Senza ente autorizzato Totale 78,2 57,8 21,8 100,0 100,0 90,6 94,1 99,8 99,8 99,0 96,7 94,2 0,2 1,0 3,3 9,4 5,9 0,2 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 0,5 5,3 100,0 (a) Dal 16/11/2000 al 31/12/2000 (b) Dal 1/1/2007 al 30/06/2007 CONCLUSIONI Quando ho iniziato la ricerca relativa alla tesi, immaginavo la vastità delle tematiche coinvolte nello studio del processo adottivo ma non conoscevo quanto si fosse fatto in passato e quanto attualmente si stia facendo in campo giuridico e psicopedagogico per giungere ad una genitorialità adottiva matura e consapevole. L’adozione è, infatti, una realtà in continua evoluzione, ma che spesso viene scarsamente compresa nella sua reale essenza e spesso affrontata con perplessità e timori. Con questo lavoro ho voluto dar voce al silenzioso fenomeno adottivo e desiderato diffondere una reale coscienza su che cosa significhi adottare ed essere adottato, dal punto di vista psicologico della coppia e del bambino. L’adozione deve essere una scelta maturata e consapevole e non un modo per sopperire all’infertilità. Ci deve essere un’autentica disponibilità da parte dei genitori adottivi di voler comprendere le reali esigenze del bambino e di dare una nuova forma alle 58 aspettative e ruoli che si erano prefigurati per se stessi e per lui. Inoltre, non esistono età in cui l’adozione risulta più facile o più difficile, perché a nessuna età è facile inserirsi in un altro nucleo, per quanto disponibile ed accogliente esso sia. Le difficoltà, in tal senso, sono più evidenti nel bambino che ha già acquisito un suo modo di porsi nell’ambiente e che, quindi, può avere problemi a cambiare lo stile di vita, in quanto sente di perdere qualcosa che faceva parte di lui. Ma anche i bambini adottati nei primissimi anni di vita, hanno delle difficoltà poiché il loro abbandono viene percepito come una grande ferita dovuta al vago confine che li separa dalla figura materna. Questi bambini non hanno vissuto l’"ammaternamento": non sono stati presi in braccio, accarezzati, cullati... Tale mancanza comporta l’assenza di un contenimento e di una organizzazione mentale, che possa favorire lo sviluppo della personalità. Fondamentale è anche ciò che i genitori adottivi trasmettono al bambino e, in particolare, cosa gli comunicano in rapporto alle sue origini. Ci sono genitori che hanno difficoltà ad accettare gli aspetti meno gratificanti della realtà del bambino e che desiderano lasciare il passato fuori dal presente, come se esso non fosse mai esistito. Negare il passato del bambino significa, però, non accettare completamente il piccolo per quello che è veramente, poiché la sua storia fa parte di lui. Il bisogno di cancellare le origini del bambino viene percepito in ogni momento della vita quotidiana, perché in qualsiasi momento i genitori trasmettono ai figli ciò che pensano, non solo con le parole, ma anche con i loro gesti e comportamenti. La coppia necessita, pertanto, di una preparazione adeguata all'adozione per individuare gli strumenti atti ad elaborare le proprie aspettative, bisogni, per imparare a guardare l’adozione attraverso gli occhi del figlio e comprendere le sue reali esigenze. Una tecnica terapeutica pensata per iniziare ad affrontare nella maniera più idonea la comunicazione del passato al bambino, è la fiaba o meglio la fiaba-arcobaleno (Giorni, 2003) che garantisce l’accesso ad un significato più profondo, cattura l’attenzione del bambino, sa armonizzarsi con le sue ansie e suggerire soluzioni ai problemi che lo turbano. Ogni bambino ha bisogno di un metaforico arcobaleno, costruito dai suoi genitori adottivi, che congiunga le parti della sua storia, con le sue verità e con i suoi perché… Il bambino ha, infatti, delle radici che sono germogliate in un altro luogo, in un mondo che deve essergli raccontato, perché fa parte di lui, della sua identità. 59 Il rapporto con i servizi sociali e con gli operatori nello specifico deve, quindi, essere curato nell’intento di diventare per il nucleo adottivo un punto d’appoggio e sostegno forte, cui potersi sempre rivolgere prima che le difficoltà diventino insormontabili o per ridimensionare preoccupazioni di piccola entità. I genitori devono, infatti, diventare esperti restauratori, preparati a lavorare con amore, pazienza, abnegazione per il recupero e la manutenzione di quell’opera d’arte incompiuta da "ricostruire": l’opera bambino. In conclusione, ritengo che sia fondamentale creare un autentico spazio d’ascolto per queste famiglie, uno spazio che si muova tra il sentire e l’agire, che voglia fermarsi a riflettere sulle reali storie di vita, sui vissuti, emozioni, esperienze… Per fa questo bisogna pensare a nuovi percorsi di crescita professionale sia per coloro che operano nel settore adottivo, sia per tutte quelle persone che lavorano quotidianamente con questi bambini, ad esempio gli insegnanti. Poiché se è vero che i genitori devono imparare ad accettare, conoscere, accogliere il bambino rispettando la sua storia e il suo passato, è anche vero che lo stesso devono fare coloro che sono a contatto con questi minori. Su questo fronte c’è ancora molto da lavorare, risorse da impegnare, progetti da creare e realizzare, ma l’adozione è un fenomeno in continuo cambiamento e credo che grazie all’interesse mostrato dalle diverse discipline in campo umanistico e giuridico, presto si apriranno nuovi orizzonti e nuove strade e... coloro che presteranno attento orecchio e non superficiale sguardo, comprenderanno come il dolore possa trasformarsi in meraviglia. 60 Bibliografia Fonti bibliografiche Ainsworth M., Blehar M., Walter E., Wall S. 1978 A.n.f.a.a 2003 Patterns of attachment, Erlbaum, Hillsdale. L’adozione: diventare madre e padre di un bambino nato da altri. www.anfaa.it/opu_ado_10.htm Autorino G., Stanzione P. 2001 Le adozioni nella nuova disciplina: legge 28 marzo 2001 n. 149, Milano, Giuffè Bandini G. 2007 Adozione e formazione - guida pedagogica per genitori, insegnanti e educatori, Pisa, Edizioni Ets Bowlby J. 1969 Attachment and loss, vol. 1, Attachment, Hogarth Press, London (tr. 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