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JUST IN TIME - Facoltà di Economia

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JUST IN TIME - Facoltà di Economia
IL JUST IN TIME
INSEGNAMENTO: ANALISI E GESTIONE DEI COSTI
Dino Gaudieri
AlessandroPrezioso
Marco Rodomonti
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JUST IN TIME
Una costante dei sistemi economici, da oltre un decennio, è la perdita di
competitivita, a livello mondiale, dell'industria statunitense e, in misura
minore di quella europea, a vantaggio dell'industria dei paesi dell'estremo
oriente, primo fa tutti il Giappone. Molte sono state le indagini condotte allo
scopo e ancor più numerose le cause individuate per spiegare questa
tendenza. In linea generale, i motivi sono stati ricondotti ad errori imputabili
al management il quale, eccessivamente preoccupato di perseguire risultati
sul breve periodo, ha troppo spesso manifestato un atteggiamento
«indolente» verso il cambiamento, una scarsa propensione al miglioramento
dei processi gestionali nonché una bassa considerazione della problematica
produttiva quale leva competitiva. Al contrario, si è riconosciuto, alle
imprese giapponesi, una lungimiranza strategica, costantemente rivolta alla
ricerca di vantaggi competitivi, che ha consentito di mettere a punto filosofie
gestionali le quali hanno rappresentato un elemento di rottura rispetto alle
tradizioni occidentali oramai consolidate .
Nell'ambito di queste ultime possiamo collocare il c.d. approccio «Just In
Time» (JIT).
Sintetizzare i contenuti di un tale approccio non è cosa facile; semmai, è
molto più semplice dire cosa non è. Non è, seppure si rifletta su ciascuno
degli aspetti indicati, una tecnica produttiva, né un sistema per ridurre il
livello delle scorte, né, tanto meno, un software che pone rimedio ad
un'attività produttiva inefficiente.Al contrario, siamo di fronte ad un
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approccio globale per la gestione del «sistema operativo», tendente ad
armonizzare le esigenze di un mercato sempre più evoluto in termini di
qualità, prezzo e servizio, con la ricerca della massima efficienza nel
reperimento ed impiego delle risorse complessive della produzione.
La dimensione «culturale» del «Just In Time»
Abbiamo definito il JIT come una filosofia per la gestione del «sistema
operativo» dell'impresa. Pertanto, la focalizzazione del-l'approccio è su quel
processo «operativo» che, attraversando in senso orizzontale le varie
funzioni aziendali, realizza l'output atteso. Tale processo, definibile
produttivo «in senso ampio», parte dalla progettazione del prodotto e del
processo, passa per l'acquisizione dei fattori produttivi necessari, si sofferma
sulla materiale trasformazione dei medesimi e continua dopo la distribuzione
del prodotto, assicurando all'utente un'assistenza post-vendita. Una
traduzione opportunamente interpretata, della denominazione Just In Time è
quella secondo cui si deve ottenere l'elemento giusto (nella quantità e nella
qualità) al momento giusto (aspetto temporale) al posto giusto (aspetto
spaziale), senza che ciò determini un aggravio di costo.
lungo tutto il processo produttivo si devono espletare solo quelle attività
che aggiungono «valore» al prodotto ed eliminare, conseguentemente, ogni
elemento, sia esso materiale, macchinario, spazio, tempo, energia o,
semplicemente, attività umana, che non aggiunge alcunché al prodotto.
Da questo postulato sono derivabili, a nostro avviso, alcuni corollari,
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essenzialmente riconducibili a:
a) eliminare gli sprechi
b) affrontare i problemi di fondo
c) semplificare
d) ricercare continuamente la qualità
a) Eliminare gli sprechi.
Questo principio ha una rilevanza pari a quella attribuita al postulato della
produzione a valore aggiunto, anzi ne costituisce il naturale complemento. In
effetti, affermare che occorre porre in essere quelle attività che aggiungono
valore significa, implicitamente, sopprimere tutte le altre in quanto originano
sprechi.
Si consideri, in particolare, il problema delle scorte: esse non si risolvono
solo nelle materie prime e nei prodotti finiti giacenti in magazzino, ma anche
in tutti quei prodotti in corso che svolgono un ruolo tampone fra successive
fasi lavorative. Le scorte costituiscono forse l'esempio più immediato di
spreco, poiché, oltre a presentare un costo direttamente collegato
all'immobilizzo di capitale, occupa- no spazio e generano rischi di
obsolescenza, senza aggiungere alcunché al valore del prodotto finito. Così
posto, il problema della eliminazione degli sprechi origina un duplice ordine
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di considerazioni.
In primo luogo, la ricerca di una soluzione non deve essere espressione di
uno sforzo iniziale o comunque limitato temporalmente, bensì deve ispirare
un'attività che permanentemente pervade l'intero sistema produttivo,
innestando così un processo di miglioramento continuo. In secondo luogo,
non si può pensare di delegare a qualcuno ad esempio, un comitato tale
compito, in quanto la massima efficacia può essere conseguita solo con un
coinvolgimento totale di tutte le maestranze aziendali. Infatti, i primi che
prendono coscienza degli sprechi lungo tutto il processo produttivo sono
proprio coloro che direttamente operano su esso.
b) Affrontare i problemi di fondo.
Altro cardine della filosofia JIT, peraltro strettamente connesso al
precedente, concerne la necessità di affrontare (e risolvere), in modo
radicale, ogni problema che si incontri lungo il processo produttivo. Questo
principio, nella sua semplicità, appare tanto disarmante quanto troppo spesso
disatteso nei contesti produttivi occidentali, laddove i problemi di fondo o
non vengono percepiti, oppure, se avvertiti, assai raramente si cerca di
rimuoverli definitivamente, limitandosi a soluzioni tampone.
di lavoro, «colli di bottiglia», ecc. È evidente, quindi, che solo la rimozione
di tali problemi può condurre all'abbattimento del magazzino.
In questa prospettiva, l'approccio alla rimozione dei problemi non sarà di
tipo «attendistico», nel senso di intervenire quando il problema si manifesta,
bensì di tipo «anticipativo», realizzando le premesse che assicurano la
massima «visibilità» dei problemi medesimi. In effetti, contrariamente
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all'istintivo atteggiamento di nascondee
problemi facendo apparire la
situazione migliore di quanto lo sia in realtà, si deve predisporre ogni sistema
operativo, metodo o tecnica, lungo il processo produttivo, che garantisca la
massima evi-denziazione dei problemi. Ciò palesa l'estrema razionalità delle
concezioni JIT.
e) Semplificare.
Il terzo canone su cui poggia la filosofia JIT suggerisce che tendere alla
semplificazione è forse la strada migliore per l'eliminazione degli sprechi e
dei problemi di fondo lungo il processo produttivo.
Saturazione dei mercati, maggiore maturità dei consumatori, pressioni
concorrenziali, ecc. impongono alle aziende un mutamento nelle strategie
competitive. Si tratta, cioè, di ampliare la gamma dei propri prodotti, di
proporre ciascuno di essi in numerose versioni, di rispondere con
sollecitudine ad una domanda sempre più eterogenea nella sua
composizione. Tutto ciò non può che riflettersi sui processi produttivi
accrescendone, in senso esponenziale, il grado di complessità.
La filosofia JIT evidenzia allora la necessità di ricercare la massima
semplicità, in quanto tanto più semplici sono i processi adottati tanto
maggiore saranno le possibilità di una loro gestione efficiente ed efficace.
d) Ricercare continuamente la qualità.
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L'approccio alla «qualità» in ambiente JIT è di tipo globale, nel senso che
investe l'intero processo produttivo, non limitandosi alla sola «qualità di
prodotto». In effetti, la ricerca della qualità di prodotto mediante un controllo
collocato lungo i punti strategici del processo appare controproducente, in
quanto l'individuzione di eventuali difetti solo dopo che il lotto ha superato
una certa fase lavorativa ne impone un'ulteriore rilavorazione, se non,
addirittura, lo scarto.
La soluzione è stata allora ricercata nella «qualità del processo», nella
consapevolezza che da un processo di qualità non può che scaturire un
prodotto di qualità . L'obiettivo è stato perseguito affidando ad ogni addetto,
lungo il processo produttivo, la responsabilità non solo di controllare, da un
punto di vista qualitativo, lo svolgimento delle lavorazioni di propria
competenza e di prendere quelle misure correttive eventualmente necessarie,
anche di operare un analogo controllo sui prodotti forniti dalla fase lavorativa
a monte .
L'approccio alla qualità, inoltre, deve essere di tipo dinamico. Qualunque
sia il livello qualitativo esistente in azienda, è cioè necessario porsi obiettivi
di miglioramento via via più ambiziosi, evitando così situazioni di stallo o di
autocompiacimento. Con ogni probabilità, il livello «difetti zero» non sarà
raggiunto, ma si instau-rerà un processo «virtuoso» di miglioramento
qualitativo del processo e del prodotto.
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La dimensione operativa del «Just In Time»
Dopo l'esame dei principi base della filosofia JIT, si tratta ora di scendere
al livello operativo al fine di analizzare come questi possano trovare concreta
realizzazione in ambito produttivo. La disamina si concentrerà su due
tematiche interconnesse, concernenti, rispettivamente, il processo produttivo
e la programmazione ed il controllo della produzione.
Come risulterà evidente, molti degli interventi a livello operativo non
sono radicalmente innovativi, in quanto corrispondenti, in larga parte, a
tecniche ben note, anche se sviluppate in tempi e contesti diversi. Semmai, la
reale valenza innovativa del JIT risiede nel loro inquadramento in un
progetto organico e coerente, teso alla ricerca di una situazione di ripetitività
e stabilità del sistema produttivo, quale precondizione necessaria per il
congiunto conseguimento di obiettivi sinora valutati come conflittuali: bassi
costi, elevata qualità e flessibilità dei processi.
Il processo produttivo in ambiente «Just In Time»
L'analisi delle peculiarità del processo produttivo in ambiente JIT
presuppone la propedeutica individuazione delle tipologie di processo a cui
la filosofia gestionale è applicabile.
A tal fine, l'approccio classico è quello che classifica i sistemi produttivi
industriali sulla base di variabili, quali numerosità e differenziazione dei
prodotti, dimensione dei flussi produttivi e grado di standardizzazione del
prodotto, giungendo a definire quattro tipologie di processi: per «progetto»,
per «piccoli lotti», per «grandi lotti», «continuo». Questa tipologia presenta
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notevole utilità per apprezzare il rapporto di complementarietà esistente ira
flessibilità e produttività del sistema.
In effetti, sino ad oggi, la ricerca della produttività è stata condotta
attraverso la standardizzazione dei processi e dei prodotti, quale presupposto
primo per un'elevata specializzazione delle risorse impiegate nel sistema. Al
contrario, la salvaguardia della flessibilità del sistema passa, in primo luogo,
proprio dalla non specializzazione di dette risorse, con la connessa
impossibilità di porre in essere quelle premesse
economie di scala,
apprendimento, elevati e stabili flussi produttivi, ecc. che stanno alla base dei
miglioramenti nei livelli di efficienza.
Muovendosi in questa ottica, è agevole riscontrare come le quattro tipologie
produttive individuate presentano binomi di flessibilità/produttività ben
differenziati. Se nella produzione per progetto il fattore chiave è la flessibilità
e in quella continua la produttività, in posizione intermedia troviamo i
processi per piccoli e grandi lotti, nei quali le due componenti vengono a
contemperarsi secondo proporzioni diverse: maggiore propensione alla
flessibilità nel primo caso ed alla produttività nel secondo.
La filosofia gestionale JIT nasce e si afferma in sistemi produttivi del tipo
piccoli e grandi lotti, laddove la molteplicità di prodotti differenziati genera
una «complessità» di processo che rende estremamente arduo il tentativo di
contemperare flessibilità e produttività Si tratta infatti di coordinare il
personale e gli impianti per il pieno sfruttamento dei medesimi, assicurando
standard qualitativi accettabili ad un costo ragionevole, con l'esigenza di far
giungere, al cliente, nella quantità e per il periodo richiesto, il prodotto
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giusto.
In un contesto così complesso l'obiettivo dell'approccio JIT si sostanzia nel
superamento della classica dicotomia tra produttività e flessibilità, ricercando
il contemporaneo miglioramento di entrambe attraverso una produzione
sincronizzata sulle fluttuazioni della domanda.
Affinchè ciò sia possibile è, in primo luogo, necessario ripensare il
processo produttivo, con l'abbandono del tradizionale «metodo a
spinta» (push System) e l'adozione del «metodo a trazione» (pulì System).
Coerentemente al programma, le materie prime vengono immesse nella
prima fase di lavorazione, da questa sospinte alla seconda e così via lungo
l'intero processo: da ciò il termine di «metodo a spinta»,tale metodo ha,
tuttavia, palesato essenzialmente due notevoli punti di debolezza. In primo
luogo, esso presenta una scarsa attitudine a fronteggiare fluttuazioni nella
domanda
dei
prodotti,
per
la
necessità
di
dover
modificare
contemporaneamente i programmi di produzione per tutti i reparti, con
contraccolpi negativi sulla fluidità del processi. Le aziende allora, in questa
circostanza, preferiscono optare per il mantenimento di adeguati livelli di
scorte di prodotti finiti piuttosto che procedere a frequenti revisioni del
proprio programma operativo.
In secondo luogo, poiché è improbabile che i vari reparti presen
tino quell'identica capacità produttiva atta ad assicurare fluidità al
l'intero processo, è abbastanza agevole ipotizzare la creazione, tra
una fase lavorativa e l'altra, di ingenti stock di materiali in attesa di
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successiva lavorazione. Ne consegue che adottare un sistema a spinta implica
l'implicita
acccttazione
di
significativi
livelli di giacenze, in termini di prodotti finiti ed in corso In un sistema «a
trazione», invece, la situazione si capovolge completamente, in quanto si
richiede che ogni fase di lavorazione produca solo e soltanto ciò che gli viene
espressamente richiesto dalla fase «a valle».
In una simile ipotesi, l'input all'avvio della produzione non è costituito
dall'immissione delle materie prime nella prima fase lavorativa, bensì dalla
richiesta di manufatti da parte dell'ultimo reparto nei confronti di quello
immediatamente «a monte». Ciascuna fase, quindi, realizza solo e soltanto
ciò che le viene espressamente richiesto dalla fase «a valle», prelevando i
materiali da quella «a monte», la quale, a sua volta, riceve così un input alla
produzione: si risale perciò a ritroso lungo l'intero processo, laddove il flusso
produttivo non è più sospinto, bensì «trainato» versò «valle».
I vantaggi di un sistema a trazione sono evidenti. Premesso che l'input alla
produzione trova origine nell'ultimo reparto «a valle» del processo,
solitamente interfacciante direttamente con i clienti, si creano le premesse
per un sistema di produzione «tarato» sulla domanda di mercato, tale da
garantire un tempestivo adeguamento a sue variazioni quali-quantitative.
Alla fin fine, cioè, possiamo affermare che è il cliente che «traina» l'intera
produzione. Inoltre, poiché ogni fase di lavorazione realizza solo ciò che
viene esplicitamente richiesto dalla fase «a valle» e, estremizzando, solo ciò
che è richiesto dal mercato, automaticamente si registrerà un abbattimento
nei livelli delle scorte di prodotti finiti ed in corso.
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A ben vedere, un sistema produttivo così concepito tende a riassumere in
sé tutti quelli che sono i concetti base della filosofia JIT: è semplice. In
effetti, risolve il problema della coerenza tra ciò che l'impresa produce e la
domanda di mercato nel modo più naturale, cioè facendo sì che sia proprio
quest'ultima ad indicare, in modo diretto ed immediato, cosa deve essere
prodotto; consente l'eliminazione di numerosi sprechi, primo fra tutti le
scorte, in quanto le varie risorse produttive - personale, impianti, ecc. devono fare solo ciò che richiesto dal proprio «cliente», sia esso esterno
all'azienda o un reparto lungo il processo produttivo; - innesta una processo
di miglioramento continuo della qualità del prodotto e di ogni suo
componente. Infatti, affinchè l'intero sistema funzioni regolarmente non
basta che ogni reparto produca l'esatta quantità di componenti sollecitati dal
reparto «a valle», ma ciascuno di essi deve essere anche qualitativamente
perfetto, cioè rispondere appieno alle specifiche programmate; per ultimo,
ma non per importanza, evidenzia i problemi di fondo del processo
produttivo, imponendo al management l'esigenza di affrontarli e di risolverli.
Pertanto, l'approccio JIT si sostanzia in una serie di interventi a livello
operativo volti a minimizzare le fasi temporali che non aggiungono valore ai
materiali, con l'obiettivo, seppur utopico, di ridurre il medesimo alla somma
dei tempi tecnici di lavorazione.
Layout degli impianti
Lo studio del layout attiene alla progettazione e realizzazione, secondo
principi di convenienza, della disposizione planimetrica ottimale di tutte le
risorse impiegate nel sistema di produzione, ivi compresi gli impianti, il
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macchinario, le scorte, la manodopera, i trasporti e i vari servizi accessori, al
fine di massimizzare la produttività dell'intero sistema .Le numerose
tipologie di layout possono essenzialmente ricondursi a due: layout per
«prodotto» e layout per «reparto». Nella prima ipotesi, gli impianti sono
disposti coerentemente con la sequenza delle operazioni che compongono il
ciclo di lavorazione, mentre nella seconda i medesimi sono raggruppati per
reparti in base alla omogeneità della loro funzione.
La prima impostazione, seppure più naturale, in quanto i vari macchinari si
dispongono tipicamente in modo da rispecchiare la sequenza delle operazioni
produttive, è stata sovente valutata come rigida. In forza di ciò, la tipologia di
layout per «prodotto» è rimasta appannaggio di sistemi produttivi continui,
mentre, per processi intermittenti produzione per piccoli o grandi lotti - si è
preferito adottare una dislocazione degli impianti per «reparto», accettando
implicitamente la più elevata onerosità che la soluzione richiede, in termini
di maggiori scorte e movimentazioni dei materiali.
L'approccio JIT suggerisce l'adozione di un layout per «prodotto»: i
macchinari, gli impianti, le attrezzature e la manodopera vengono dedicati, in
tutto o in parte, ad una famiglia di prodotti, mentre la loro disposizione
planimetrica si sviluppa secondo l'ordine con cui le operazioni produttive di
quella famiglia devono essere espletate. Quindi, in via prioritaria, subentra la
necessità di raggruppare i prodotti in classi che presentino una certa
omogeneità tecnologico-produttiva e di riconfigurare, in un secondo tempo,
la disposizione degli impianti in modo da destinare, ad ogni famiglia, una
specifica linea di flusso. Si otterrà, così, un flusso unidirezionale di una ristretta gamma di prodotti su ogni linea di produzione. II passo successivo è
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costituito dalla creazione, lungo l'ipotetico percorso dei materiali, di celle di
lavoro (cellular manufacturing) al cui interno possano essere lavorati, nel
modo più completo possibile, singoli prodotti o componenti di essi. Ad ogni
cella dovrebbe essere riservata un'area rettangolare, con una dislocazione
interna dei macchinari ad «U», in modo che i punti di entrata e di uscita dei
materiali siano tra loro fisicamente adiacenti .
La scelta, nell'ambito di ogni cella, di un layout ad «U» si ricollega al
perseguimento di vari vantaggi: riduzione del fabbisogno di addetti, potendo
questi ultimi controllare il funzionamento di più macchinari con minimi
spostamenti; maggiore comunicazione tra gli stessi; controllo reciproco sui
singoli operati.
La creazione di linee di flusso, laddove gli impianti sono collocati vicini
tra loro e coerentemente alle operazioni del ciclo di lavorazione, non
consente infatti solo di minimizzare i costi legati alla movimentazione dei
materiali, ma l'ampia «visibilità» assicurata al processo viene a costiruire la
premessa prima affinché il sistema di produzione «pull» possa correttamente
funzionare.
Tempi di set-up
I sistemi di produzione a «trazione» presuppongono che ogni fase lavorativa
renda disponibile tempestivamente i materiali nella quantità e nella qualità
richieste dalla fase lavorativa «a valle». Affinchè il sistema possa funzionare,
è necessario che ogni fase lavorativa sviluppi una significativa flessibilità
operativa, nel senso di passare dalla produzione di un componente all'altro in
tempi brevissimi. I tempi di set-up hanno sempre costituito uno dei maggiori
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problemi per gli uomini di produzione in quanto rappresentano, assiememe
alle scorte, una delle più palesi forme di spreco nell'attività di fabbrica
durante quel periodo, cioè, gli impianti sono inattivi, gli addetti non
producono, mentre, una volta completato il riattrezzaggio fisico, i primi pezzi
della nuova lavorazione sono, sovente, degli scarti, stante la necessità di
«tarare» alla perfezione l'impianto. L'approccio JIT ai tempi di set-up è
coerente con i suoi cardini base: si tratta cioè di affrontare direttamente il
problema al fine di conseguire una riduzione di quei tempi e dei connessi
sprechi. Innanzitutto si procede con la definizione dell’impianto e dei
soggetti interessati. Valutazione delle modalità Di svolgimento set up fino a
quel momento e ripartizione delle operazioni in interne ed esterne.
manutenzione produttiva
I tempi
morti degli impianti non si legano solo alle operazioni di
attrezzaggio ma anche agli arresti per guasti. Il problema dei fermi-macchina
per guasti, se ha sempre ricevuto notevole attenzione in qualunque contesto
produttivo, assume maggior enfasi in ambienti JIT, laddove il processo
produttivo presenta una intrinseca e ben più spiccata vulnerabilità. La
riduzione ai minimi livelli delle scorte di prodotti incorso fa sì che, in ipotesi
di arresto per guasto, si registri un'interruzione della produzione lungo
l'intera linea di flusso. Da ciò, l'esigenza di assicurare I'affidabilità, degli
impianti attraverso un programma di manutenzione informato e tecniche di
pre-venzione. In questo campo, il più recente contributo della dottrina e della
realtà operativa giapponese è costituito dal Total Productive Maintenance
(TPM). Questo approccio, volto ad inquadrare le problematiche afferenti la
regolarità operativa dei processi in un più ampio disegno di ricerca della
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massima produttività globale, presenta alcuni tratti salienti. In particolare,
l'applicazione dei concetti di manutenzione preventiva comincia con
l'impiego di tecniche diagnostiche, al fine di individuare precocemente
situazioni di anormale funzionamento degli impianti, ossia quando
l'anomalia non è ancora idonea a pregiudicare la capacità produttiva. È
necessario, inoltre, che dal costante monitoraggio diagnostico dei macchinari
scaturisca un processo di indagine sulle cause delle irregolarità e sulle
contromisure che possono sopprimerle definitivamente.
In secondo luogo, il TPM prevede il trasferimento del maggior numero
possibile di responsabilità dal reparto centrale di manutenzione agli operatori
di produzione, conseguendo un triplice vantaggio: tempestiva percezione del
guasto, in quanto gli operai che direttamente operano alla macchina,
conoscendo meglio di chiunque altro il suo funzionamento, sono senz'altro i
primi a rendersi conto di possibili «sintomi anomali» premonitori di arresti;
sviluppo, negli addetti di produzione, di “un senso di posses
so” della macchina, che contribuirà a farli sentire maggiormente
responsabili del suo buon funzionamento» riduzione dell'organico, e quindi
dei
costi,
del
reparto
manuten
zione, anche se non configurabile appare una sua completa soppressione,
non
potendosi
richiedere,
agli
addetti
di
produzione,
più che delle normali manutenzioni «di routine».
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La programmazione e il controllo della produzione «Just In Time»
Si richiede ,al sistema produttivo di realizzare quotidianamente quel mix
di prodotti rispondente alla domanda di mercato e non, come accade nelle
imprese tradizionali, grossi lotti dei vari prodotti, chiamati anche a costituire
un scorta in funzione della domanda futura. L'obiettivo di una produzione
che si muove con il ritmo della domanda impone, automaticamente, una
drastica riduzione delle dimensioni dei lotti dei vari prodotti. Anzi,
estremizzando, si tratte-rebbe di produrre, prodotto dopo prodotto, ciò che
nell'istante è richiesto dal mercato, con un lotto ideale di una unità.
II pensiero di un processo produttivo sincronizzato sui mercato lascia
sottintendere un'attività di programmazione e controllo parti-colarmente
complessa. In realtà, anche m questo campo è il principio della semplicità
che gioca un ruolo decisivo. In effetti, per quanto concerne la
programmazione della produzione su base annua e su base mensile si fa uso
di piani di produzione analoghi a quelli comunemente impiegati nelle
imprese industriati, cosicché il processo ha inizio con la redazione di un
programma di produzione annuale, elaborato in stretta coerenza con il
programma commerciale.
Da programmati volumi annui si passa poi al programma di produzione
mensile con un frazionamento non in termini rigidi, ma tale da contemplare
aggiustamenti per sincronizzare il flusso produttivo con l'andamento
previsto, su base infrannuale, della domanda di mercato. Il programma di
produzione mensile è, di solito, articolato in funzione delle linee produttive
di flusso esistenti nell'azienda: per ciascuna di esse viene specificato, in
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quantità, il mix di prodotti da realizzare nel mese. II passo successivo consta
della definizione, per ciascuna linea di flusso, della produzione giornaliera.
Ciò ha luogo, semplicemente suddividendo il volume mensile di produzione
di ciascun prodotto per il numero dei giorni lavorativi del mese, ottenendo
così, per ciascuna linea di flusso, il mix di prodotti da realizzare nell'arco di
ogni singola giornata. Questo particolare modo di operare consente di
realizzare una duplice funzionalità.
Inoltre, poiché l'intera attività produttiva si informa ai sistemi di tipo
«pull», è sufficiente comunicare il programma giornaliero di produzione al
solo reparto «montaggio finale» o, comunque, a quel reparto in cui ha luogo
l'ultima operazione di natura produttiva il quale, stante l'eliminazione del
magazzino prodotti finiti, interfaccia direttamente con la domanda di
mercato. Dopo di che sarà il settore montaggio finale di ogni linea di flusso
che provvederà ad inviare segnali alle lavorazioni «a monte» cir-ra la
tipologia produttiva da realizzare.
Il funzionamento del sistema «pull» presuppone pertanto l'esi-stenza di
adeguati flussi informativi che tempestivamente risalgano lungo il processo,
informando ciascuna fase su cosa produrre realizzi ciò che è richiesto dalle
«fasi a valle».
Resta, a questo punto, un altro argomento da affrontare attinente alla
programmazione
e
al
controllo
della
produzione
e
cioè
l’approvvigionamento dei materiali. Possiamo tranquillamente sostenere che
i rapporti con i fornitori costituiscono una delle aree di maggior impegno per
la realizzazione di un ambiente produttivo JIT. Le principali novità sono
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riconducibili, essenzialmente, ad un duplice ordine di interventi, destinati a
ridurre il numero dei fornitori e le dimensioni delle forniture, le quali
diverranno, necessariamente più frequenti. L 'approccio JIT spinge verso
una politica volta alla riduzione del numero di fornitori opportunamente
selezionati, fino a giungere, addirittura, ad un unico fornitore. La selezione
dei fornitori deve aver luogo secondo rigide regole, in quanto ad essi si
richiede un elevato livello qualitativo delle forniture, e la disponibilità ad
accettare ordini quantitativamente ridotti e, soprattutto, tempi di consegna,
solitamente piuttosto brevi. L'altra prerogativa consta della riduzione della
dimensione dei lotti, compensata con consegne più frequenti. Tutto ciò però
fa sorgere il sospetto di una certa fragilità funzionale del sistema produttivo,
il cui regolare funzionamento viene a dipendere interamente dalla stabilità,
dalla puntualità e qualità delle forniture. Tale rischio,
viene meno se
ipotizziamo un completo coinvolgimento dei fornitori nella problematica
produttiva dell'azienda .
La novità sta nel creare tutte quelle premesse affinchè i fornitori cessino di
essere soggetti esterni, avulsi dal contesto produttivo dell'azienda cliente, per
iniziare ad operare in stretti rapporti con essa, come se si identificassero in
una sua fase lavorativa.Un tale coinvolgimento passa, in primis, attraverso
l'instaurazione, con i fornitori, di rapporti di lunga durata. In effetti, con
accordi duraturi, l'impresa acquirente diviene giocoforza cliente primario e le
sue richieste riceveranno, dal fornitore, le massime attenzioni, data la
sicurezza derivante dall’accordo, sarà naturalmente portato al miglioramento
dei propri processi produttivi, investendo in impianti maggiormente perfezionati, in formazione ed addestramento del personale, in programmazione e
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controllo della produzione, dovendo, appunto, soddisfare con continuità i
requisiti di qualità e puntualità nelle consegne fissati nell'accordo. Si
pongono, inoltre, le premesse per un proficuo interscambio di suggerimenti,
consigli ed esperienze per il miglioramento reciproco delle rispettive
produzioni. Lo stesso cruciale problema per un'impresa JIT circa la puntualità delle forniture può trovare soluzione semplicemente portando a
tempestiva conoscenza del fornitore i propri programmi di produzione e di
approvvigionamento sui quali, poi, il fornitore potrà sincronizzare la propria
attività.
I vantaggi del just in time e le innovazioni nel management
Il target del just in time è accelerare la risposta del cliente minimizzando
allo stesso tempo l’inventario. Il sistema just in time può dare tanti
benefici. I principali benefici del JIT sono elencati di seguito:
I tempi di preparazione nel Magazzino sono fortemente ridotti.
Ridurre il tempo di preparazione per essere più produttivi permette
all'azienda di migliorare gli utili per apparire più efficiente e passare il
tempo su altre aree che potrebbero necessitare di un miglioramento.
Il flusso dei beni dal magazzino fino agli scaffali migliora. Facendo si
che i lavoratori si focalizzino su aree specifiche permette loro di elaborare
velocemente la merce e di non affaticarsi facendo troppi lavori allo stesso
tempo.
Dipendenti che hanno competenze multiple (che sono cioè flessibili)
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sono utilizzati in modo più efficace. Addestrando i lavoratori a lavorare
su diverse fasi del sistema dell'inventario permette all'azienda di usare gli
operatori in situazioni dove servono quando c'è una mancanza di operai e
una domanda alta per un certo prodotto.
JIT fornisce una miglior programmazione e una maggiore consistenza
delle ore lavorative. Se attualmente non c'è domanda per un prodotto, gli
operai non devono lavorare. Questo fa si che la compagnia risparmi dei
soldi, quando non deve nemmeno pagare gli operai.
L'enfasi sul rapporto con il fornitore aumenta. Un'azienda senza scorte
non vuole problemi nel proprio sistema logistico, problemi che
creerebbero una mancanza di scorte a disposizione. Questo fa si che il
rapporto tra l'azienda e il fornitore sia molto importante.
Le scorte arrivano 24 ore al giorno tenendo gli operatori produttivi e
l'azienda focalizzata sulle vendite. Avendo il management focalizzato sul
rispettare le scadenze motiverà i dipendenti a lavorare bene per
raggiungere gli obiettivi dell'azienda per poi ottenere benefici in termini di
soddisfazione nel lavoro, una promozione o anche un aumento dello
stipendio.
elevata rapidità di risposta a mutamenti nella domanda.
maggiore qualità dei prodotti.
minori sprechi, dovuti alla riduzione delle scorte, degli scarti di
lavorazione, dei costi di conversione ( attrezzaggi), di manutenzione ecc..
conseguimento di economie di scopo.
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Affinchè questi vantaggi diventino effettivi, occorre però anche una
profonda innovazione nel management, soprattutto nella modifica dei
criteri organizzativo-gestionali. Il management è quindi chiamato a gestire
in prima persona il cambiamento. La parola chiave per il successo della
transazione alla produzione flessibile è “ integrazione “, ossia capacità di
saper combinare sinergicamente tutte le forze in gioco.
In particolare, è opportuno perseguire l’integrazione a tre diversi livelli:
- A)integrazione delle risorse tecnologiche, organizzative ed
umane a livello di fabbrica
- B)integrazione tra i sottosistemi interni dell’azienda
- C)integrazione tra azienda e gli altri soggetti economici operanti
lungo la catena di approvvigionamento.
A) integrazione delle risorse tecnologiche, organizzative ed umane a
livello di fabbrica
Con
il
termine
all’implementazione
risorse
di
tecnologiche
vari
ci
meccanismi
si
riferisce
legati
alla
soprattutto
tecnologia
computerizzata. Ve ne sono molti, seppur differenziati per funzione e
ambito di applicazione e ognuno trova nel software la linfa vitale per il
funzionamento. Tali sistemi vengono interfacciati in modo tale che sono in
grado di dialogare tra loro, al fine di realizzare un contesto operativo
laddove ogni attività risultasse automatizzata e soprattutto, integrata.
Il massimo dell’integrazione verso cui le aziende industriali si stanno
muovendo è il CIM, ovvero la “ fabbrica automatica”.
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Il CIM è l’integrazione, attraverso strumenti informatici, delle attività di
progettazione, gestione della produzione e produzione: esso presuppone
l’integrazione tra i sistemi informatici localizzati presso le singole funzioni
e consente un più elevato livello di integrazione tra i processi di tipo
operativo.
Un’altra forma di integrazione delle risorse tecnologiche è data dal MRP2,
che viene usato per il coordinamento globale tra i vari reparti aziendale.
Tutti i sistemi si contraddistinguono per un’elevata velocità di
comunicazione e trasferimento delle informazioni tra le varie attività,
riducendo moltissimo i tempi che vanno dalla progettazione alla
realizzazione del prodotto.
Sono molto importanti in ottica JIT perché la più piccola turbolenza in una
delle fasi, può generare effetti altamente dannosi per l’intera filiera. Ciò
vale anche per la forza lavoro; la mancanza di collaborazione da parte di
quest’ultima ( rifiuto di prestare lavoro, sciopero ecc) può originare
conseguenze disastrose. Pertanto, in un ottica JIT, si palesa il non
trascurabile problema del controllo in una situazione di crescente potere
contrattuale dei lavoratori. E’ auspicabile assicurare una convergenza di
obiettivi e interessi per spingere le varie componenti aziendali a
collaborare con l’impresa, piuttosto che porsi in conflittualità con essa.
B) integrazione tra i sottosistemi interni dell’azienda
La seconda sfida per il management consta nella ricerca di una più stretta
integrazione tra i sottosistemi interni dell’azienda, in modo da determinare
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il superamento del tradizionale modello organizzativo gerarchicofunzionale, a vantaggio di un modello che opera per processi orizzontali.
Una valida attuazione del JIT presuppone proprio un processo che taglia
trasversalmente tutte le funzioni aziendali. L’ottimizzazione dell’efficienza
e dell’efficacia aziendale nasce proprio da un’integrazione ed interazione
tra attività che si pongono in successione lungo il processo produttivo –
distributivo. Si pensi ad esempio ai vantaggi conseguibili dall’integrazione
tra attività di ricerca e sviluppo da un lato, e marketing e produzione
dall’altro. L’interazione tra i due può offrire utili spunti per risolvere
numerosi problemi progettuali, così come difficoltà di ingegnerizzazione e
realizzazione del nuovo prodotto. Analogamente, l’interazione tra R&S e
marketing, può consentire di dotare al prodotto, sin dal momento della sua
progettazione, tutte le caratteristiche gradite dal consumatore e che
aggiungono valore al medesimo.
Le strutture gerarchice tendono ad ostacolare tali forme di integrazione,
spingendo gli individui a sviluppare una visione tendenzialmente verticale
dell’azienda e portando a scarsa collaborazione ( a volte rivalità), tra le
varie funzioni.
Al contrario, l’integrazione in senso orizzontale è il passo necessario da
compiere per l’ottimizzazione delle performance aziendali, soprattutto
verso la transizione verso la produzione flessibile. In uno scenario sempre
più concorrenziale e ipercompetitivo, lo sviluppo di una rapida ed integrata
capacità di innovare prodotti e processi non può che diventare elemento
decisivo per il successo dell’impresa.
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C) integrazione tra azienda e gli altri soggetti economici operanti lungo la
catena di approvvigionamento
L’integrazione non è circoscritta alle funzioni aziendali, ma interessa
anche i soggetti che si collocano a monte e a valle lungo la catena di
approvvigionamento. Ci riferiamo quindi ai rapporti con i fornitori e con i
clienti, facendoli evolvere verso forme più o meno variegate di
integrazione.
Per quanto riguarda i fornitori, l’implementazione di un sistema produttivo
JIT, dipende in larga misura dalla disponibilità di questi ultimi. Nei
contesti di produzione flessibile, prevale la logica del comakership,
secondo cui i fornitori non sono più considerati negozi dove comprare al
miglior prezzo, bensì soggetti economici con i quali vi è un forte
cointeresse nell’ottimizzare il flusso logistico lungo la catena. Da tale
cointeresse, deriva la necessità di ricercare una maggiore integrazione, che
può variare da una collaborazione solo a livello operativo, sino ad una
collaborazione di carattere strategico, ossia cooperazione con il cliente per
progettare nuovi prodotti, investimenti comuni in R&S, scambi di
informazione ecc.
Considerazioni analoghe valgono anche per i clienti. Si palesa cioè
l’esigenza di fornire un prodotto che soddisfi appieno le aspettative
dell’acquirente. Si inizia quindi a coinvolgere il cliente nella progettazione
e nello sviluppo del prodotto, nella modifica di prodotti esistenti e lo si
segue con attenzione nel periodo post vendita.
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I costi di produzione in contesti di just in time
Il passaggio al Just In Time incide sicuramente sulla composizione dei
costi di un’impresa. L’incidenza si pone particolarmente su due livelli; il
primo riguarda la valutazione della convenienza ad operare la transizione
verso il JIT, mentre la seconda, una volta operata tale transizione, bisogna
verificare gli effetti sulla struttura economica dell’impresa.
Riguardo al primo aspetto, bisogna ricordare che il passaggio al Just In
Time è principalmente un fatto organizzativo e che quindi, di conseguenza,
prevede una completa ristrutturazione di processi, procedure e ruoli. Da
questo punto di vista rientrano tutti i cambiamenti che riguardano ad
esempio la ridefinizione del layout degli impianti, i nuovi macchinari, i
software adottati, la formazione e l’addestramento del personale, ecc., tutte
componenti che concorrono a definire il costo del passaggio al JIT,
ovviamente da valutare in sede appunto di transizione.
Per quanto riguarda invece il secondo aspetto, bisogna analizzare i
mutamenti indotti, dalla transizione verso il Just In Time, sulla struttura
economica dell’impresa, con particolare attenzione ai costi che hanno
origine nell’area produttiva. In questo caso, bisognerà valutare gli effetti
originati sulle principali voci di costo delle produzione e sui mutamenti
della struttura e della composizione dei costi. Ciò accade in quanto il
ricorso al JIT è motivato principalmente dalla necessità di rendere più
efficienti, e quindi più economici i processi produttivi, attraverso la
flessibilità, la tempestività e la qualità, ciò comporterà sicuramente una
modifica sulla struttura e sulla composizione dei costi. Questo aspetto si
evince chiaramente in relazione ai punti cardini del JIT, dove nel concetto
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di produzione a valore aggiunto, si pone l’accento sulla riduzione di
qualsiasi forma di spreco lungo tutto il processo. Quindi, poiché gli sprechi
sono originati da attività che consumano risorse, una loro eliminazione
porterà certamente ad una diminuzione di risorse consumate e di
conseguenza ad una generale diminuzione dei costi.
I costi della forza lavoro
Un altro fattore produttivo, che si modifica profondamente con la
transizione verso la produzione flessibile, è sicuramente la forza lavoro. E’
ormai noto come l’automazione e le ristrutturazioni organizzative
spingano sempre più verso la riduzione del numero dei dipendenti e del
loro relativo costo. Questo si verifica anche in contesti produttivi flessibili,
laddove, però, esso è il risultato di una sinergica commistione di numerosi
fattori i quali, oltre ad incidere sul numero di dipendenti, vanno
modificando anche la loro composizione professionale. Il JIT, non ha
come obiettivo quello della riduzione della forza lavoro, quanto, piuttosto,
il trasferimento agli addetti di alcuni compiti tradizionalmente assegnati al
lavoro indiretto. Per riportare un esempio, agli operai di linea viene
affidata la responsabilità del controllo sulla qualità dei prodotti oggetto di
lavorazione, con il potere di arrestare l’intera linea produttiva quando
vengono rilevati difetti. Questo controllo, denominato controllo autonomo
della qualità, era precedentemente svolto da collaudatori specializzati, che
intervenivano in determinati punti del processo lavorativo con metodi di
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Campionatura. Proprio l’attività di questi collaudatori, si rilevava
scarsamente consona con i principi del JIT, in quanto si configurava come
spreco, non aggiungendo valore al prodotto. Il feedback dei collaudatori,
inoltre, richiedeva pur sempre un certo tempo con la conseguenza che i
prodotti difettosi continuavano ad essere prodotti per altro tempo dopo la
scoperta del problema. Nell’ipotesi controllo autonomo, invece, sono gli
stessi operai di linea che verificano la qualità, assicurando un maggior
controllo sulla produzione con efficacia “ real time “. Sempre agli operai
di linea sono assegnati compiti di manutenzione di routine dei macchinari,
dato che sono loro a conoscerli meglio di chiunque altro. In questo caso, si
abbattono i costi della manutenzione indiretta, alla quale si doveva
ricorrere sollecitando l’intervento degli addetti specializzati. Quindi, per
concludere, l’impatto che il JIT ha sui costi della forza lavoro, si
concretizza in un alleggerimento di alcune attività di supporto della
produzione, le quali, essendo inidonee ad aggiungere valore all’output
aziendale, costituiscono sprechi da eliminare.
Ammortamenti di costi pluriennali
Il passaggio alla produzione flessibile, richiede notevoli investimenti sia in
macchine ed impianti ( hardware ), sia in beni immateriali ( software),
riflettendosi direttamente sulle relative quote di ammortamento. Il costo
dell’hardware è di sicuro maggiore rispetto a quello del software, anche se
i software sono fondamentali per assicurare il controllo e l’integrazione
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dell’hardware. Inoltre i software, richiedono un continuo aggiustamento e
aggiornamento in funzione delle esigenze dello specifico contesto
produttivo. Pertanto nel costo del software vanno inclusi tutti i costi
necessari all’aggiornamento, allo sviluppo, all’integrazione con le
procedure già esistenti.
Gli elevati costi pluriennali, si riflettono, nella gestione corrente, in
altrettante elevate quote di ammortamento cui l’azienda deve far fronte.
C’è da dire che i maggiori costi di ammortamento vengono compensati
con una riduzione degli altri costi. Uno studio recente ha infatti dimostrato
come alcune aziende statunitensi implementando un sistema JIT, abbiano
ridotto di oltre il 50% la quantità di manodopera necessaria per svolgere il
medesimo lavoro, e di circa il 75% il costo totale del prodotto grazie alla
riduzione della manodopera indiretta, dei tassi di scarto e del tempo
complessivo necessario per confezionare il prodotto.
Per concludere, l’implementazione di un sistema JIT, aumenta i costi di
software e hardware, comportando elevate quote di ammortamento nella
gestione corrente. Nello stesso tempo, va ad eliminare sprechi e
manodopera indiretta portando ad un netto abbassamento dei costi. Il
sistema JIT, per essere implementato, ha bisogno di una cultura
organizzativa sottostante, che sia in grado di evolversi e di sviluppare
forme di integrazione con i sistemi già disponibili, altrimenti si rileverà
una soluzione destinata all’insuccesso.
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I costi delle giacenze di magazzino
Le scorte di magazzino rappresentano una risultante di un mancato
sincronismo tra flussi in entrata e flussi in uscita di prodotti. Queste scorte
generano una serie di costi importanti per l’azienda, in particolar modo
quelli legati alla gestione del magazzino.
Questi costi si legano alla necessità di conservazione dei semilavorati e/o
prodotti finiti, al fattore lavoro ed anche agli spazi occupati. Per quanto
riguarda la conservazione, bisogna dire che in questo caso esiste sia un
deterioramento fisico da parte delle giacenze e sia un deterioramento
economico, dovuta ad una vera e propria obsolescenza del prodotto (o
semilavorato) che rende tale scorta invendibile.
Riguardo alla forza lavoro, invece, il costo delle scorte riguarda tanto il
personale preposto al trasporto, allo stoccaggio, alla sorveglianza e alla
custodia delle scorte (lavoro diretto), quanto il personale d’ufficio, che si
occupa della rilevazione dei dati riguardanti il livello delle scorte (lavoro
indiretto).
Infine, gli spazi occupati dalle giacenze di magazzino rappresentano
un’onerosità per l’azienda dal momento in cui viene pagato un fitto
passivo per l’occupazione degli edifici destinati al magazzino, oppure, se
l’edificio è di proprietà dell’azienda, il costo che viene a configurarsi è
l’ammortamento.
Dunque in questi casi, l’adozione della metodologia Just In Time, in cui la
riduzione (fino alla totale eliminazione) delle scorte rappresenta un
fondamento della propria filosofia, consentirebbe di ridurre i costi di
gestione del magazzino gravanti sull’impresa.
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Una particolarità merita di essere citata. Il Just In Time, in realtà, non mira
alla riduzione delle scorte di magazzino semplicemente per la riduzione
dei costi, ma la ragione primaria sta nel fatto che la mancata sincronia tra i
flussi in entrata e in uscita di prodotti dall’azienda, che generano le scorte,
nascondono in realtà i veri problemi che, lungo il processo produttivo,
hanno generato tali scorte. Ecco perché il JIT mira alla riduzione delle
scorte, per capire cioè quali problemi sorgono all’interno dell’intero ciclo
produttivo.
I costi di approvvigionamento
I costi di approvvigionamento sono, logicamente, quei costi sostenuti
dall’azienda per acquisire i materiali (materie prime) utilizzate nel
processo produttivo.
Questi tipi di costi si possono dividere in quelli sostenuti per l’effettivo
acquisto delle materie prime e quelli invece che riguardano ad esempio le
spese di trasporto, di controllo della qualità dei materiali e quelli di
gestione degli ordini (costi accessori di approvvigionamento).
Il problema riguardante i costi di approvvigionamento, trovano particolare
importanza nel Just In Time, in quanto questa filosofia, prevede tra i suoi
fondamenti anche una maggiora qualità del prodotto finito (anche in
un’ottica di una maggiore riduzione degli scarti), che, di conseguenza, ha
bisogno di materie prime di altrettanta qualità. Ciò pone un problema
rilevante in ottica di costi di approvvigionamento, perché, risulta chiaro,
come materie prime di qualità abbiamo un costo sicuramente maggiore di
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materiali con qualità differenti. Questo maggiore sforzo economico da
parte dell’azienda, potrebbe essere superato attraverso il ricorso a pratiche
di stretta collaborazione (comakership) con i fornitori di cui si è accennato
in precedenza.
Questo tipo di gestione richiede un’accurata selezione da parte
dell’azienda, di pochi fornitori, con cui instaurare un rapporto di tipo
strategico che si basa sull’affidabilità, sulla qualità delle materie e
soprattutto sulla puntualità delle consegne, che in ottica JIT risulta essere
uno dei punti chiave del processo produttivo.
Con il rapporto di tipo comakership, l’azienda ottiene un livello qualitativo
abbastanza elevato dai propri fornitori, con puntualità nelle consegne a
prezzi molto più convenienti rispetto ad un tradizionale rapporto (molto
spesso “conflittuale”) cliente-fornitore.
Tutto ciò riguarda la disamina dei costi diretti delle materie prime, ma lo
stesso discorso può essere fatto per quei costi di approvvigionamento
definiti accessori, come le spese di trasporto, la gestione degli ordini, ecc.
In questo caso pare di vitale importanza un rapporto di comakership in
ottica JIT, in quanto permette all’azienda di ricevere consegne puntuali da
parte dei fornitori, ma non solo. Infatti, grazie a questa stretta
collaborazione (e alla contemporanea applicazione della filosofia Just In
Time), è possibile anche ricevere materiale in quantità frazionate (vale a
dire lotti di ristrette dimensioni) con frequenze molto elevate, anche
giornaliere.
Per abbassare i costi di trasporto, che altrimenti causa le frequenti forniture
sarebbero elevati, si sono provveduti a porre in essere alcuni accorgimenti,
come ad esempio la selezione di fornitori che si trovano tutti a poca
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distanza dal cliente. In definitiva questo tipo di rapporto crea benefici
economici
all’azienda,
ma
riduce
sensibilmente
il
tempo
di
approvvigionamento.
Ma ci sono altri costi che, grazie alla comakership, subiscono contrazioni
consistenti. Sono quei costi di ispezione e controllo qualità dei materiali in
entrata. Infatti, il rapporto fornitore-cliente diventerebbe in questo caso un
rapporto di massima fiducia, ragion per cui ispezioni e controlli
andrebbero via via scemando. Di conseguenza, ciò andrebbe a contrarre le
voci di costo del personale addetto al controllo qualità, ma soprattutto (e
questa forse il dato più rilevante) consentirebbe di non frapporre nessun
altra attività tra l’arrivo della merce e il suo ingresso nel processo
produttivo, ciò in perfetta sintonia con la filosofia del JIT.
E’ evidente che ciò può avvenire solo quando c’è la piena fiducia
dell’azienda verso il proprio fornitore, cosa che rende abbastanza difficile
la realizzazione di questo tipo di rapporto, almeno nel breve periodo.
In ultimo è interessante accennare alla contrazione di quei costi che
riguardano la gestione degli ordini delle fornitura. In un rapporto
tradizionale cliente-fornitore, l’iter che porta alla fornitura è abbastanza
lungo, complesso e, soprattutto, pieno di ostacoli di natura burocratica. E’
naturale, quindi, come la comakership, congiuntamente al JIT, possano
snellire queste pratiche burocratiche, eliminando gli ostacoli e soprattutto
rendendo meno complessa e lunga la gestione degli ordini delle forniture,
garantendo complessivamente una riduzione dei costi.
Tutti questi benefici fin qui elencati non possono prescindere da un
supporto informativo integrato,sia all’interno dell’azienda che tra azienda
e fornitore e, soprattutto, bisogna capire che tali risultati non posso essere
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conseguiti se non con una piena fiducia nelle capacità, qualità e serietà dei
propri fornitori, cosa che non si può ottenere in tempi brevi.
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