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essenziale - Fraternità di Romena

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essenziale - Fraternità di Romena
Tariffa Assoc. Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.P.A - In A.P -D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/ 2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB/43/2004 - Arezzo - Anno XI n° 2-3/2007
L
essenziale
'
3
Primapagina
Scegliere tra il molto e l'uno
6
4
Attraverso la cruna dell'ago
Un nocciolo di vita
8
10 Beati i puri di cuore
Riconoscere l'essenziale
12
14 Il cuore comune di ciò che esiste
Le pietre di fuoco
18
Un pomeriggio con Erri De Luca
22
SOMMARIO
20 Desiderio di deserto
24 Senza varcare la soglia
La nuova veglia di Romena
26
La nuova agenda
29
28 Avvisi
30 Graffiti
trimestrale
Anno XI - Numero 2/3 - Settembre 2007
REDAZIONE
località Romena, 1 - 52015 Pratovecchio (AR)
tel./fax 0575/582060
www.romena.it
e-mail: [email protected]
DIRETTORE RESPONSABILE:
Massimo Orlandi
REDAZIONE e GRAFICA:
Simone Pieri - Massimo Schiavo
Stampa:
Arti Grafiche Cianferoni - Stia (Ar)
FOTO:
Alessandro Ferrini, Massimo Schiavo, Giuliano Fantechi.
Copertina: Massimo Schiavo e Claudia Sander.
Hanno collaborato:
Luigi Verdi, Pierluigi Ricci, Maria Teresa Abignente., Stefania
Ermini, Thomas Müller
www.romena.it A cura di Alessandro Bartolini
Filiale E.P.I. 52100 Arezzo
Aut. N. 14 del 8/10/1996
Conosco le isole Vanuatu perché c’è andata a vivere una vecchia amica. Anche per questo mi ha
colpito un articolo di giornale secondo cui è proprio lì, in quel minuscolo arcipelago perso nel
Pacifico, che vivono le persone più felici del mondo.
Eppure è gente povera, quella di Vanuatu. Il reddito medio non arriva a 3mila euro l’anno, in
molti villaggi non ci sono luce elettrica nè telefono. Perché allora stanno così bene?
“Non abbiamo molto – spiega il direttore dell’unico giornale locale – ma quello che abbiamo
lo condividiamo”.
Non fare spazio, ma dare spazio. Non isolarsi, ma aprirsi. Sono questi i movimenti dell’essenzialità.
Facili da raccontare. Ma inutili se solo raccontati.
Ha scritto Gibran: “Prima o poi voglio semplicemente vivere quello che dico”: si comprende
davvero ciò che è essenziale solo quando si comincia a affondare le mani nelle viscere della vita.
Io, per esempio, faccio fatica a tradurre il richiamo verso uno stile di vita più semplice perchè
vivo ancora una contraddizione fra le mie amate radici contadine e la scarsa capacità che ho di
misurarmi con la concretezza della terra. Eppure non c’è alternativa: per incontrare l’essenzialità
non basta respirare la campagna, bisogna entrarci in contatto.
Ascolto ancora Piero che col suo percorso rivolto all’infanzia in realtà parla a tutti noi:
“Da un po’ di tempo insegno ai bambini a costruirsi i giochi. Oggi i bambini non sanno né quali
né quanti giochi hanno. Ma quando tornano a casa con il giocattolo che hanno saputo realizzare
da soli non lo abbandonano più: hanno imparato ad amarlo”.
Il cammino verso l’essenzialità non può che partire da qui: da un diverso grado di amore. È quando un pezzo di legno passa per le nostre mani, quando un muro è fatto della calce che abbiamo
preparato, è quando il destino di un fiore è affidato alle nostra cure che comincia il viaggio verso
la nostra “Vanuatu”.
Servono spazi, servono mani. Serve la terra. E una meta: “Non aver molto, e saperlo condividere”.
Pochi ingredienti. Il succo della vita.
Massimo Orlandi
PRIMAPAGINA
L’essenziale abita il mondo. Trovo la mia Vanuatu nelle mani estrose di un artigiano. Si chiama
Piero Santoni, faceva il falegname, ora che è in pensione dedica il tempo a costruire giocattoli.
Ne riscopre di vecchi, ne crea di nuovi. Prende pezzi di legno e materiali riciclati e li tiene insieme
con lo spago della fantasia e la colla della passione.
La lingua dell’essenzialità parla con le sue mani che accarezzano il legno, che ridanno vita a una
bottiglia di plastica, a un pezzo di stoffa.
Il primo passo verso l’essenziale, mi insegna, consiste nel riappropriarsi di un rapporto vero,
non mercantile, con ciò che abbiamo intorno: si diventa essenziali non quando si rinuncia a
qualcosa, ma quando si impara a guardare ciò che abbiamo con uno sguardo diverso, dandogli
valore, dignità, attenzione.
Piero ha anche scelto un genere di giochi: quelli di relazione. “I giochi – sostiene — non devono
isolare i bambini, ma insegnargli a comunicare tra sé e con gli adulti”. È ancora una metafora
di ciò che serve per diventare essenziali: se si guardano le cose in profondità si scopre che non
sono fatte per servire solamente a noi, ma per essere messe in circolo, offerte, condivise. Più ti
avvicini al cuore di un oggetto, più entri nel flusso della vita: senti di esser parte di un tutto, e
quel tutto lo senti parte di te.
SCEGLIERE TRA IL MOLTO E L'UNO
di Luigi Verdi
Si può tornare a vivere con poche cose? Sì lo
possiamo, ma è difficile, perché l’essenzialità
non solo di oggetti ma sopratutto di gesti e di
spazio richiede una ricchezza interiore che non
abbiamo più.
C’è un nemico che minaccia il nostro cammino e
avvelena i pozzi della gioia, è il bisogno.
Maggiori sono i nostri bisogni, minore è la nostra
gioia. Il demone della velocità ci istupidisce tanto da essere incapaci di abitare il corpo e restare
in contatto con il nostro cuore, e questo ha come
conseguenza l’impossibilità di essere in contatto
con “l’altro”.
In ebraico essenzialità è iquar,
che significa la radice.Come
una radice che spacca la terra
cercando nutrimento, l’essenziale è nascosto agli occhi.
Dipendiamo da questa modernità, dalle sue nevrosi, e dipendiamo dalle nostre radici. Ma se
provassimo a spogliarci di ogni
alibi, di ogni sicurezza e legame, cosa rimarrebbe?
Se lavorassimo ogni giorno
come a pulire il chicco di grano
dalla pula e dalla scorza, non ritroveremmo forse la nostra vera
forma tenera, nuda, palpitante?
Quando cogli l’essenziale è come essere afferrati
dal vento, da un vento indicatore che ti getta là
dove inizia il cammino.
L’essenziale fa sì che la materia non resti chiusa
in se stessa, ci ricorda che noi siamo chiamati ad
altro,evita di farci rimanere prigionieri del nostro
“dentro”. L’essenziale apre il tempo, dilata il tempo e, per poter fare a meno delle cose, ci pone in
attesa.
“Marta tu ti agiti e ti preoccupi per troppe cose,
ma una sola è la cosa di cui tu hai bisogno”.
II messaggio è di saper scegliere tra il molto e
l’uno.
Il Vangelo è l’opposto delle possibilità televisive che moltiplicano le sensazioni, i bisogni. Ci è
chiesto di opporci a questa moltiplicazione: “Vivi
l’essenziale, le troppe cose, i troppi desideri, soffocano l’uomo”. (Gc 1,15)
È essenziale nutrire la vita ed essere fedeli ad
essa: questa fedeltà al “poco” ci renderà capaci di
“esserci” quando l’amore si risveglierà.
Resto appeso alla speranza che Dio abbia ancora
nelle sue mani una carta da giocare, una carta capace di sorprenderci. Io ho avuto alcune passioni
ma molto disordinate. Ma nonostante il disordine
quello che capitava in un certo orizzonte del mio
sguardo lo assorbivo con molto interesse. Cosa è
diventato essenziale oggi per me?
La bellezza fatta di attenzione,
di ricerca di armonia in tutto ciò
che vedo e tocco. Mi piace la
nudità della materia, quella del
fango, della tela grezza, del legno naturale, della creta: questa
loro essenzialità ispira la mia
creatività, fa emergere forme
che esprimono armonia.
La leggerezza che si oppone
alla pesantezza che vorrebbe
portare il peso di troppa roba,
di tutto, mentre la leggerezza
prende solo l’essenziale.
La tenerezza e la dolcezza che
trovo nel volto dell’altro che mi
interpella con la sua fragilità e
debolezza, nel profumo della rosa senza sentire
il bisogno di strapparla. Amo tanto chi ripone nel
silenzio tutta la forza della dolcezza. Amo chi
attende pazientemente il proprio momento di resurrezione trattenendo il respiro e mantenendo il
contatto con la terra.
La piccolezza e l’umiltà come frutto dell’estrema
libertà del cuore che si è scrollato tutte le prigioni.
Mi piace “La chiesa di Auvers” di Van Gogh, così
piegata al vento, obliqua, insicura, come la nostra
preghiera malferma, questa chiesa scossa come un
terremoto dalle preghiere nate dagli abissi da dove
giunge il grande grido.
Mi piace pensare che l’essenziale è quel grido che
nasce dal profondo e quel cielo aperto sopra ogni
chiesa piegata al vento.
Foto di Massimo Schiavo
Il mio cuore
aveva tanti desideri sparsi,
ma quando ti ho visto,
si sono condensati
in uno.
Charles de Foucauld
ATTRAVERSO LA CRUNA DELL'AGO
diGiovanni Vannucci*
“È più facile che un cammello passi per la cruna compagno di viaggio verso la gioia dello spirito,
di un ago che un ricco entri nel regno di dio” (Mt tutto è avvicinato con nuova tenerezza e con
19,24). Sono Parole dure per i nostri innumere- infinito rispetto.
voli attaccamenti, gioiose per la rivelazione che Che forza, che pace quando riusciamo ad annullala vera grandezza dell’uomo è nella più totale re ogni forma di avere, a lasciare indietro i calvari
spoliazione, unica via per raggiungere la vita.
della proprietà, a immergerci nella comunione.
Chi è il ricco? Innumerevoli sono i modi del La spoliazione si ha quando l’io tramonta, quando
possesso: i campi, le case, le ricchezze, l’onore, le cose non più possedute diventano compartecipi
la fama, la stima, la capacità, le idee, le teologie, della nostra vita senza fine: essa colma tutte le
le visioni del mondo, gli effetti, il proprio io. Essi nostre aspettative, rivela l’intima essenza del tutto
non sono dio. Egli dimora oltre
e l’inanità dei nostri innumeretutti questi limitati confini.
voli possessi.
La spoliazione non è compiuta
Così anche nella vita terrena:
Che forza, che pace
per ripiegamento masochista
quando amate, cosa fate? Vi
quando riusciamo
su se stessi, è la liberazione da
spogliate di tutte le convinzioni
ad annullare
quanto imprigiona le vive forze
che avevate dell’amore. Esso
ogni forma di avere,
umane perché erompano in tutsorge in voi come qualcosa di
ta la loro nobile vigoria.
a lasciare indietro i calvari nuovo e non ricorrete ai libri
Quando il fiore si spoglia nel
per sapere se è vero o no; amate
della proprietà,
frutto segue una legge che
e vivete questa esperienza con
a immergerci
spinge la pianta a compiere il
pienezza di partecipazione e
nella comunione.
suo ciclo vitale. Analogamente
con novità di sentimenti. Così
è per la vita che cristianamenl’artista, nel momento della
te vuole raggiungere la sua
creazione, si libera da tutte le
pienezza.
conoscenze che ha imparato e crea una forma
La spoliazione è il superamento della ricerca spa- nuova, ed è attraverso questa spoliazione che
smodica della salute, della bellezza, dei piaceri, si svincola dalle pesantezze delle accademie
dell’attaccamento alle proprie sofferenze, della che renderebbero il suo verbo artistico meno
ricerca di fermare l’attenzione altrui su di noi.
intenso.
È l’andare oltre il desiderio di possedere le co- La spoliazione, necessaria anche nei piani più
noscenze non sul piano dell’ascesa, ma su quello ordinari e semplici della nostra esistenza, quando
dell’utilitarismo. È il superamento della paura ci inoltriamo nell’essenza della vita bisogna che
della sofferenza, della morte, del complesso di sia ancor più completa.
colpa, di perdere le nostre limitate raffigurazioni Nell’incontro con Cristo dobbiamo avere la
del divino.
preoccupazione di spogliarci di ciò che viene
Il non-ricco è colui che, liquidando l’avere e le dalle nostre convinzioni, dai nostri ragionamenti.
bramosie, vive nello spazio sacro dell’io senza io, Fare silenzio ed ascoltare il fluire della sua vita.
in una beatificante comunione con Dio.
Dio ci stimola a liberarci da molti amati possessi
Comunione, non disincarnazione: gli oggetti e questa è la via per fare un passo in più verso
del possesso vengono riscoperti nella loro es- una vita nuova e diversa.
senziale verità, non più oggetti, ma soggetti che Domandiamo a Dio la grazia di spogliarci sempre
emergono illuminati da una luce inimmaginabile di più per poter passare attraverso la cruna dell’ago,
e incontaminata. Nulla è più mio e tuo, tutto è unica via per giungere alla verità e alla vita.
* Tratto da “Meditazioni cristiane”, Edizioni Gribaudi (Torino) 1972
Foto di Alessandro Ferrini
È bene
che restiamo
“senza”,
senza punti
di riferimento fissi,
senza sicurezze.
Così
possiamo diventare
sensibili
al trasparire
del divino.
R. Panikkar
UN NOCCIOLO DI VITA
di Maria Teresa Marra Abignente
“Io dico addio di minuto in minuto e mi libero da Ho conosciuto persone che con la loro vita mi
ogni esteriorità. Recido le funi che mi tengono hanno fatto meditare la possibilità di un respiro
ancora legata, imbarco tutto quel che mi serve profondo ed umile, perché sono giunte ad essere
per intraprendere il viaggio…” (Etty Hillesum) come realmente sono, profondamente ed umilNo, non è solo per l’ultimo viaggio che bisogna mente. Persone che senza fatica e sforzo riescono
recidere le funi. È per il mare da solcare, per quel- a rendere grandi le cose piccole, dimostrandomi
la vastità che attimo dopo attimo si apre davanti che il segreto è nascosto solo in noi, semplicemena noi e diventa la nostra storia, la nostra vita. È te perché siamo noi quel segreto: è il più interiore
inutile e inopportuno aggrapparsi agli ormeggi e del nostro intimo, è quel nocciolo di vita, amore,
appesantirsi di zavorre: il viaggio ne potrebbe ri- dolore racchiuso in noi e che in loro si è come
sentire, i tempi potrebbero allungarsi e noi essere dilatato. Trasformandosi da nocciolo in frutto.
più facilmente prede di tempeste.
Potrebbe sembrare facile essere come realmente
Non trovo immagine migliore per cercare di siamo, riuscire cioè a diventare quella materia
parlare dell’essenzialità. Questa dimensione che prima di cui siamo plasmati: può essere il lavoro
sembra esser propria solo dei santi e degli asce- di una vita quando non sappiamo più chi siamo
ti, di coloro così tanto abituati alle rinunce e ai perché sepolti da bisogni e desideri fittizi, mossi
sacrifici che sembrano ormai non soffrirne più; da venti inaffidabili, agitati da passioni superfidi quelli che riducono tanto
ciali. E allora la nostra barca
all’osso i propri bisogni da
rischia di affondare, portata
sembrare levitare un metro al In qualche nascondiglio del alla deriva in un oceano tanto
di sopra di noi comuni mortali. cuore c'è un seme segreto, più pericoloso perché sconoTroppo lontano, troppo alto qualcosa che assomiglia a sciuto.
questo concetto di essenzialità
Non resta che metterci silenuna promessa,
e probabilmente adatto solo a
ziosamente in ascolto di noi
dove il visibile si fonde
persone non comuni.
stessi, guardarci dentro con
con l'invisibile.
Ma forse c’è un tipo di essenocchi spalancati, cercare di
zialità alla quale tutti siamo
afferrare quel nocciolo: solo
chiamati, forse anche noi postendendo l’orecchio ed affisiamo raggiungere una dimensione che ci leghi nando il nostro tatto saremo capaci di intendere
all’essenza della vita e ci liberi da ancore e pesi. quel po’ di vita, di amore e di dolore deposto in
Se solo riuscissimo a recidere le funi ed a mettere noi. Ma c’è bisogno di silenzio, perché è una voce
nella nostra barca quel che realmente ci serve per delicata e che a volte sembra muta, una presenza
il viaggio... Tagliare quelle spesse funi che ci an- che dobbiamo imparare a decifrare tra le ombre e
nodano alla terra e che nonostante gli strattoni non i fruscii che vogliono nasconderla o soffocarla.
ci lasciano andare, liberi e attirati dal vento...
C’è un invisibile che ci nutre: nascosto nell’osPenso che dovremmo rivedere la nostra nozione so c’è un midollo che porta cibo e nutrimento,
di essenzialità partendo dal fatto che non è qual- che noi non vediamo ma che genera una linfa
cosa cui si giunge “togliendo” o “sottraendo”: profonda e ci consente il respiro. Così in qualnon ci si arriva mediante la spoliazione o la scar- che nascondiglio del nostro cuore c’è un seme
nificazione dei nostri bisogni; anzi, credo che chi segreto, qualcosa che assomiglia ad una progiunge a questa dimensione riesca ad assaporare messa, dove si fonde il visibile con l’invisibile.
il tutto con più gusto, proprio perché capace di L’essenzialità è sentir fluire questa linfa, rimanere
coglierne le sfumature ed i particolari, perchè ha in contatto con quel midollo che ci rende capaci
così tanto allargato i suoi orizzonti da contenerli di vedere l’invisibile e toccare l’impalpabile, e di
misteriosamente tutti... come se portasse tutto il prendere finalmente il largo con le vele gonfiate
mondo nella propria anima.
dal vento.
Foto di Massimo Schiavo
L’essenziale
non è nel raccolto,
l’essenziale
è nella semina,
nel rischio,
nelle lacrime.
Neher
"BEATI I PURI DI CUORE"
di Antonietta Potente
La ricerca dell’essenzialità nelle intuizioni della teologa domenicana. Il testo è tratto dal suo ultimo libro
‘Semplicemente vivere’ che riproduce i testi delle sue conversazioni alla pieve di Romena.
L’essenzialità e la libertà
Quando nasciamo, nasciamo semplici, nudi, senza
nessuna protezione. Ma lungo il cammino le cose
si complicano: cominciamo a rivestirci, una e più
volte; cominciamo a proteggerci, a difenderci, a
diventare sospettosi gli uni degli altri.
È quello che le varie culture tramandano nelle loro
tradizioni: pensate alla tradizione giudaico-cristiana della Genesi che racconta proprio il passaggio
dal sentirsi liberi, essenziali, al diventare sospettosi, all’essere reciprocamente falsi, a raccontare
cose che non sono essenziali.
La falsità non consiste nel non dire la verità, ma
proprio nel dire cose che non sono essenziali.
Essere essenziali significa anche essere liberi.
Le sapienze religiose e culturali, anche quelle
scientifiche, ci ricordano l’itinerario di vita verso
la Libertà, cioè verso la semplicità.
Pensiamo alla beatitudine di Matteo: “Beati i puri
di cuore perché vedranno”; i puri di cuore”, i
semplici vedranno qualcosa che certamente aiuterà loro e altre persone a vivere.
L’essenzialità e la diversità
La semplicità consiste in gesti e spazi dove ci si
sente vivi, e non si impara da soli, ma stando con
altre semplicità, nella vita.
I vangeli non invitano a stranezze: “Guardate i
gigli del campo…” è un invito alla consapevolezza, al contatto con la realtà, con elementi della
vita che evocano la semplicità e dai quali a lungo
andare si impara.
Il problema è che non siamo semplici di mentalità:
abbiamo pregiudizi grandissimi per cui per
esempio intendiamo l’ascoltare come rivolto
esclusivamente a una persona che parla: dove
è scritto? Si ascolta tutto, non solo chi parla o
cosa dice.
Nella comunità dove vivo la più anziana non sa
leggere e scrivere. Quando è uscito un mio libro
che, nella versione castigliana ha una copertina
allegra, con tutti i colori tipici della Bolivia lei
ha esclamato: “Che bello!”. Non leggerà mai il
libro, e anche se sapesse leggere non capirebbe,
tratta questioni di mistica… Ma lei ha un’altra
dimensione, preziosissima, da portare avanti.
Il problema non è quello di parlare tutti i medesimi
linguaggi. Il problema è scoprire linguaggi diffe-
10
renti perché questa è la semplicità che possiamo
vivere tutti.
Noi occidentali pensiamo che la semplicità sia
l’esclusione: un ambiente diventa semplice se
togliamo il quadro, le seggiole, il tavolo, i lampadari, le cose tecnologiche che non servono.
Invece probabilmente è il contrario. È cominciare
a riconoscere che c’è anche il lampadario, che ci
sono dei quadri più o meno belli, delle tende, un
tappeto, delle seggiole e tante persone differenti.
Questo potrebbe essere un altro itinerario da
percorrere.
L’essenzialità e lo spazio
Lasciare spazio, lasciare silenzio e solitudine intorno a noi, non occupare tutto lo spazio, lasciare
che qualcosa si produca, senza occupare tutto il
tempo della produzione.
Probabilmente è questa l’essenzialità, anche
rispetto al Mistero. Alle nostre preghiere dobbiamo
lasciare ancora più spazio. Per vivere l’essenzialità
dobbiamo osservare, guardare, essere umili, fare
spazio non solo intorno a noi, ma dentro, nel
nostro corpo, nella nostra mente.
È preziosa la capacità di far entrare in noi altre idee,
ma in questo ci scontriamo con le istituzioni post
moderne che fanno tutto meno che creare spazi.
Continuo a pensare che la solitudine consista nell’accorgerci che lo spazio è molto più grande di
quello che pensavamo. Per cui dobbiamo rendere
grazie tutte le volte che ci accorgiamo che siamo
soli, che lo spazio è molto più grande, per cui possiamo accogliere ancora altre cose, altre persone.
L’essenzialità e il tempo
Dovremmo passare più tempo insieme in silenzio
per dilatare il tempo, invece riempiamo tutto il
tempo che passiamo insieme e facciamo così
anche con Dio: se non ci danno qualcosa in mano
da leggere non sappiamo come pregare.
Anche nelle nostre dinamiche di incontro dovremmo passare dei tempi di silenzio con le
persone che amiamo: sono tempi profondamente
preziosi.
Non dobbiamo aver paura dei lunghi silenzi, dello
stare lì e sentire, ascoltare, dando al silenzio il suo
essere, il suo un significato, quello di essere un
linguaggio alternativo.
Foto di Alessandro Ferrini
Ama la vita
così com’è,
amala pienamente,
senza pretese;
amala quando ti amano
o quando ti odiano,
amala quando nessuno
ti capisce
o quando tutti
ti comprendono.
Alda Merini
RICONOSCERE L'ESSENZIALE
di Stefania Ermini
“Quando devo insegnare a pregare,
mi viene in mente mio figlio
che ha 3 anni.
Lo vedo disteso sul divano
appoggiato alla sua sorellina.
È questo che mi fa dire agli altri
come accarezzare Dio ogni giorno”.
Incontrare Dio nella concretezza
dell’esperienza e nell’essenzialità
della Parola.
La Fraternità ha incontrato
Lidia Maggi, pastora della Chiesa
battista di Milano, teologa, ma
anche moglie e madre di 4 figli.
Una mamma che parla di Dio.
Lidia si muove lentamente negli spazi, accoglie
con un sorriso, mastica parole semplici, asciutte.
Lidia Maggi, pastora della chiesa battista, ci
incontra a Romena. Il mondo cattolico, racconta
Lidia, le stava stretto. Essenzialità. Questo è ciò
che cerca nelle chiese della riforma che, dice Lidia,
“hanno fatto deserto nella chiesa, hanno cercato
l’essenzialità della fede. A 14 anni mi innamoro di
Gesù del suo modo di parlare, dei suoi gesti, della
sua vita esemplare. È un’esperienza di fede forte,
intensa, totalizzante. Tuttavia la conversione è
tutt’altro che un incontro di libertà. Oggi oserei
parlare piuttosto di fede devastante!”
Lidia ci porta nella Scrittura, nelle sue prediche,
negli incontri. Racconta della fedeltà alla
vita, della fragilità umana, dell’imperfezione
dell’uomo. Ogni parola, ogni tema è un continuo
tornare alla Scrittura, è un tornare a Dio ospite che
abita l’uomo, le sue case, le sue famiglie.
A Romena si sente a casa. “Qui riconosco volti
già visti e questo a significare che le persone si
rincontrano, i luoghi si attraversano”.
Getta voci lunghe e appassionate Lidia. Getta
voci e parole nude sul bisogno di riconoscere
l’essenzialità, di trasformare la parola di Dio in
12
cibo da cucinare, da masticare.
“Noi dobbiamo fare i conti con un cibo cucinato e
anche condiviso. Il cibo accompagna la necessità
di dire si alla vita. Basti pensare che tutto inizia
con un morso sbagliato! Per parlarvi di questo
cibo di vita scelgo Eliseo. Eliseo non ha lo stesso
carisma e passione di Elia. Vive un tempo di carestia di parole di Dio. Quel Dio che parla con tutti
i profeti, con Eliseo parla sottotono. Eliseo è in
cucina (Libro dei RE, cap 4, 38-41) che prepara
una minestra per i suoi discepoli e chiede ai discepoli di accendere il fuoco e cuocere la realtà.
Ci sono alcuni discepoli che aspettano davanti
al fuoco mentre altri vanno fuori a cercare gli
ingredienti necessari per la minestra”.
Alcuni discepoli seguono dunque una vita contemplativa, mentre altri discepoli vanno fuori e
cercano gli ingredienti e selezionano, rischiano
di percorrere sentieri selvatici e incontrano piante
mai assaggiate o conosciute.
Lidia riprende il racconto “Un discepolo trova
una pianta che produce zucche e se ne riempie
il grembiule, porta il suo contributo senza sapere
se sarà buono o cattivo. Le zucche vengono messe nella minestra e poi viene distribuita a tutti.
Mentre viene distribuita Eliseo si accorge che la Lidia si muove con le parole e i suoni della sua
minestra è velenosa. Ma erano tempi di carestia e voce. Si muove nella Pieve, nell’aria. Si muove
bisognava essere cauti, non si poteva buttare tutto tra la gente che ascolta tenendo stretta a sé le
al vento. Eliseo compie un gesto semplice: prende sue parole. La parola di Lidia ha poi un sussulto.
la farina, la mette nella minestra e da velenosa Tutto è fermo. Lidia si porta le mani sulle gambe,
diventa nutriente. Eliseo si limita a correggere la quasi a carezzare lentamente le parole che stanno
realtà valorizzando il lavoro di tutti”
arrivando. “Sono mamma di quattro figli. Sono
L’essenziale è lì, nascosto nel tempo, nel giorno, una mamma che parla di Dio. Come essere
negli eventi quotidiani.
mamma entro il percorso di fede? Non lo so! La
L’essenziale è lì, è anche dentro i fallimenti, mia fede è abitata in ogni piega della mia vita.
anche dentro le minestre riuscite male. Ogni La vita familiare entra nelle pieghe di tutta la mia
scelta “sbagliata” può essere corretta e diven- vita. Tendo all’astrazione. Non sono concreta. Ma
tare nutrimento. “Dio non abita nel tempio ma sono i miei figli la concretezza del quotidiano.
vive nelle famiglie imperfette” ricorda Lidia. Le mie illustrazioni nei sermoni vengono
“Riconciliamoci con la nostra fragilità, con i dal mio vissuto familiare, quotidiano, dalle
nostri fallimenti. Siamo fragili e imperfetti e Dio domande dei miei figli. Quando devo insegnare
disdegna la nostra perfezione. Se cerchiamo Dio a pregare, ad avere una relazione affettiva con
dobbiamo cercarlo nella nostra fragilità. Chi è Dio mi viene in mente mio figlio che ha 3 anni.
povero, chi è nudo sa cosa vuol
Lo vedo disteso sul divano
dire abbandonarsi a lui. È da
appoggiato al corpo morbido
quell’essere nudo e fragile che
e amabile di sua sorella. È
Se cerchiamo Dio,
si può provare a ripartire. Si
questo che mi fa narrare agli
possono trasformare le situaaltri come accarezzare Dio
dobbiamo cercarlo
zioni. Ritrovare l’essenziale
ogni giorno”.
non significa sfuggire la vita,
nella nostra fragilità. Di nuovo, in questo quotidiano
non significa appiattire il prepovero, vero, fedele al giorno,
sente. Vedete il profeta Eliseo
Lidia ritrova l’essenziale della
non ha necessità di fare grandi
parola, ritrova Dio, ritrova se
proclami, si accontenta di guardare da un’altra stessa. Riconosce l’essenziale in questo muoversi
prospettiva. È il profeta che aggiusta le cose, calmo, disteso di suo figlio. Lidia si cala nella
non fa nuovi cieli, non fa nuove terre” aggiunge terra ogni giorno. Ascolta le storie affidatele dagli
Lidia. “Mi piace perché mi acquieta rispetto alle altri e le intreccia nella sua storia quotidiana con
performance della vita. Questo è un miracolo che la Scrittura, con Dio.
risana la pentola che richiede di aggiustare, più In questo incontro Lidia ci ha nutriti con la
che inventare qualcosa di nuovo” .
sua minestra, ci ha nutriti con i suoi gesti
La Parola di Dio risulta a volte cruda, indigesta familiari, con le sue parole misurate. Ci ha
e deve essere cotta perché sia resa appetibile per dato un nocciolo duro e nudo da masticare.
nutrire la nostra realtà, perché si trasformi in Quello di riconoscere con coraggio, il vero,
minestra che può essere distribuita e mangiata da l’essenziale. Senza inventare il nuovo. Solo
molti. Vorremmo trovare nuovi linguaggi, nuovi trasformando. Solo riconoscendo. Essenzialità
ingredienti per cuocere la Parola, nuove ricette.
dunque. Un’essenzialità del quotidiano che
“Carestia di Parola, di passione, di coraggio e di scioglie; un’essenzialità del quotidiano che brucia
discernimento. Forse però la morsa della fame e cura le ferite; un’essenzialità del quotidiano
ci rende disponibili ad apprezzare anche solo le che dà sapore; un’essenzialità del quotidiano che
briciole della parola di Dio e a non gettare via preserva, conserva.
troppo frettolosamente quei piatti che ci sembra- Lidia ci fa dono di un nocciolo da masticare
no riusciti male”.
piano, piano, col tempo. Ci lascia un nocciolo da
Eliseo corregge, cerca e riconosce l’essenziale: rigirare in bocca come le sue parole. Un nocciolo
ciò che serve, ciò che basta è già lì. C’è solo da da riconoscere e aggiustare, che non richiede
trasformare, da aggiungere un po’ di creatività, niente di nuovo. Un nocciolo solo da trattenere,
un po’ di fantasia.
solo da custodire.
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IL CUORE COMUNE DI CIÒ CHE ESISTE
di Thomas Müller
L’essenzialità è il cuore comune di ogni cosa. cose che ci attirano, gli ideali che inseguiamo,
Nell’essenzialità dell’altro, di un avvenimen- ci nutrono solo in quanto noi li “addomestito, di un sentimento riconosco la mia propria chiamo”, naturalmente non nel senso di coloessenzialità e il mio destino comune a tutte le nizzarli ma di lasciarli entrare dentro di noi, in
realtà di questo mondo.
casa nostra, nel nostro spazio più intimo.
Oggigiorno non è facile vivere la consapevo- Che le cose esterne diventino interne, come
lezza del collegamento fra tutte le cose in Dio, quelle interne esterne: in ciò possiamo scoprie che ci fa riconoscere le mille cose del mondo re il collegamento fra l’interno e l’esterno e
esterno e dei nostri mondi interni come tanti fra tutte le cose. Siamo chiamati a riconoscere
fili di un unico tessuto.
il mondo come un mondo unico, un mondo
Quotidianamente devo richiamare me stesso fatto di una sola sostanza, ciò che chiamiamo
dalle distrazioni che mi portano al superfi- “l’essenziale”, l’essenzialità.
ciale e al superfluo invece che all’essenziale, Possiamo dare tanti nomi a questa essenza:
e lasciarmi prendere da ciò che mi nutre ve- l’invisibile, il cuore, la vita, Dio… non imramente: l’essenziale che non s’impone con porta. Importa invece sapere che è la nostra
voce rozza o insistente, le cose autentiche che capacità di riconoscere l’essenzialità delle
richiedono solo la mia semcose, delle persone che alla
plice presenza.
fine ci dà ciò che noi cerchiaPerché è così difficile stare La divinità dell'uomo mo e di cui abbiamo bisogno
nell’essenzialità delle cose,
per vivere: il riconoscimento
è la sua capacità di
nella consapevolezza del
della nostra propria essenziavedere la divinità
tutt’uno? Perché siamo così
lità e attraverso di lei il notanto distratti? Antoine de
stro collegamento con il tutto
dell'altro.
Saint-Exupéry nel racconto
che c’è.
Il Piccolo Principe ce lo dice
Parlando della Genesi e della
con parole chiare e nette: “È molto semplice: creazione dell’essere umano ad immagine di
non si vede bene che col cuore. L’essenziale è Dio, sentii un rabbino dire: “la divinità delinvisibile agli occhi… È il tempo che hai per- l’uomo è la sua capacità di vedere la divinità
duto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa dell’altro”.
così importante… Tu diventi responsabile per Mi è sempre rimasta in mente questa semplisempre di quello che hai addomesticato.”
ce e radicale affermazione. L’essenzialità per
Rimaniamo troppo sulla superficie delle cose. me non è frutto dei bei pensieri astratti, ma
Ci interessano solo in quanto possono darci di un impegno quotidiano, di una “tensione”
qualcosa, materialmente, emotivamente, spi- ininterrotta che, più che altro, mi mette conritualmente.
tinuamente di fronte alle mie incapacità e ai
Cerchiamo sempre al di fuori di noi le cose miei mille modi di sfuggirmi ed ingannarmi.
che ci possono nutrire, che ci possono dare Alla fine riesco a riconoscere che l’essenziale
soddisfazione e felicità. E non riusciamo a tro- è sempre lì, dentro e fuori di me, che l’essenvarle. È ugualmente vero che non le troviamo zialità è nient’altro che la materia della quale
neppure dentro di noi, quando trattiamo que- noi, io e tutto il resto siamo fatti.
sto spazio interiore come una realtà scollegata Mi basta fermarmi un po’ ed ascoltare il mondal resto del mondo, quando viviamo la nostra do che mi circonda e che mi riempie per sentiinteriorità come un regno separato dagli altri. re il vento che passa dentro e fuori di me e mi
I rapporti con le persone che amiamo, le belle unisce con tutto ciò che c’è.
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Foto di Massimo Schiavo
Le parole
devono essere
poche,
fra spazi
e silenzi.
Così vivono.
Lalla Romano
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Foto di Giuliano Fantechi
Senza studiare, senza fiatare,
basta intuire che è anche troppo.
Colpo d’occhio è quello che ci vuole,
uno sguardo rapido.
Il nostro suono,
il nostro suono è un battito.
Ivano Fossati
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LE PIETRE DI FUOCO
di Wolfgang Fasser
Sono grandi caramelle colorate, che vengono lanciate come segno
di gioia alla fine di ogni matrimonio in Svizzera. La loro ricerca è
anche la prima occasione in cui un bambino di allora, uomo oggi,
si accorge che la sua vista non è uguale a quella degli altri bambini,
che potrà trovare le sue pietre di fuoco solo con un cammino diverso, più lento, più attento ai particolari, più essenziale.
Il nostro Wolfgang Fasser, fisioterapista, musicoterapeuta, non vedente a causa di una malattia da quando aveva 20 anni, ci permette
di conoscere questa storia tratta dalla sua vita. Ne sta raccogliendo
altre che, come sassi di Pollicino, costruiranno un cammino che per
noi diventerà un libro in uscita nei prossimi mesi.
Suonano a festa le campane nella chiesa del mio
paese. È il segnale. La cerimonia del matrimonio
sta finendo e gli sposi stanno per uscire. Con gli
altri bambini arriviamo a frotte davanti alla chiesa.
Non conosciamo nessuno, ma che importa? Ci interessa quello che avverrà tra poco: sposi e invitati
usciranno di chiesa, saliranno sulle loro macchine
e da lì ci lanceranno manciate di caramelle.
È una nostra tradizione, come il vostro riso, le
caramelle sono la scia di dolcezza che gli sposi
lasciano per condividere il loro primo cammino
insieme. Sono caramelle grandi, colorate di rosso
acceso, di verde, di giallo. Le chiamiamo pietre
di fuoco. Buonissime. A pensarci già ne sentiamo
il sapore.
Ed ecco, le macchine si mettono in movimento,
il festoso corteo parte: è ora, i finestrini si abbassano, spuntano fuori mani cariche di pietre di
fuoco. Corriamo, corriamo forte, è una gara tra noi
bambini raccoglierle appena cadono in terra, farne
bottino, dimostrare di essere i più veloci.
Ci provo anch’io. Ma i miei occhi non mi danno
retta. Il mio campo visivo è troppo stretto per
individuare la traiettoria delle caramelle. Mi devo
muovere con lentezza, quando arrivo gli altri
bambini si sono già presi tutto. Le mie tasche
restano vuote.
“Non vedo, non vedo come gli altri”. Per la prima
volta percepisco con chiarezza che la mia vita sarà
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diversa, diversa da quella dei miei compagni.
È un momento duro, durissimo, per me. Eppure
non sono triste.
È difficile spiegarlo: mi sento come toccato da
Dio, con dolcezza. Vivo sulla mia pelle l’esperienza di una fiducia profonda e consapevole verso
un ordine più grande di me. In quell’ordine c’è
spazio anche per la mia diversità.
“Va bene così”, mi dico mentre vedo gli altri
bambini che sciamano festosi verso casa portando
i loro colorati trofei di zucchero.
Io non ho fretta. Mi muovo lentamente, ora che
sono solo posso guardarmi intorno con calma,
soffermarmi sui particolari.
Sono di nuovo davanti alla chiesa, in uno spazio
verde abbracciato da alcuni ippocastani.
Cammino tra le foglie, le smuovo delicatamente, ed ecco, d’un tratto, la sorpresa: ma sì, sono
loro, una rossa, una verde, una blu. Tre pietre
colorate. Nessuno aveva guardato lì sotto: quelle
pietre di fuoco erano nascoste per gli altri, ma
non per me.
Le ho tenute in casa molto tempo. Contenevano un
messaggio troppo prezioso: mi ricordavano che la
mia diversità non era un’esperienza solo negativa.
Anche la mia vita avrebbe avuto lo stesso una sua
ricchezza, un suo significato. In posti nascosti,
all’ombra, come sotto a quelle foglie, avrei trovato
altre pietre colorate.
Foto di Massimo Schiavo
Non si comunica con gli altri
se non si riesce a trovare sé stessi,
non ci si ritrova che a patto
di ridimensionare le cose
attorna a sé.
Domenico Bianco
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Desiderio
di deserto
Di Maurizio Valleri e Rita Garfagnini
È un’esperienza speciale, di incontro in profondità con se stessi e con la natura nella sua essenza:
sabbia, rocce, cielo. È il deserto che, sui passi di Charles de Foucauld, ormai vari gruppi di amici della
Fraternità hanno intrapreso. Maurizio e Rita ci raccontano il loro viaggio, tra le dune del Sahara.
Quale fosse il motivo di questo desiderio di deserto,
non lo sapevamo, fino a quando non abbiamo
sentito la nostalgia nel salutare Alì, Mustafà,
Ibrahim, Kadì, e Baschir la notte del ritorno, alla
partenza dall’aeroporto.
Avevamo un bisogno quasi fisico di mettere “spazio” fra noi e le paure che c’inseguono, mettere
“tempo” fra noi e questo periodo fatto d’esami,
visite mediche e terapie.
Il deserto è ambiente da affrontare leggeri, così per
agevolarci qualcuno degli inservienti dell’aeroporto ha pensato bene di non spedirci metà del nostro
bagaglio. Ma forse è l’essere nei luoghi di Charles
de Foucauld che ci fa dimenticare rapidamente
l’inconveniente, trasformandolo in occasione di
leggerezza e condivisione.
Da Tamanrasset, dalla capanna dove ha vissuto
Charles, fondatore dei Piccoli Fratelli, comincia
il nostro viaggio con quattordici compagni di età,
provenienza e storie diverse.
Partiamo, la mattina, con un’emozione che condividiamo per adesso solo con gli occhi. La strada
lascia presto il posto alla sterrato e questo, a sua
volta, a quello che era il letto di un fiume. Le case
si cambiano in capanne e presto scompaiono, come
le tracce della pista. Gli occhi che Mohammed, la
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nostra guida, tiene seminascosti dietro lo chech, il
turbante, vedono cose per noi invisibili e i fuoristrada si muovono sicuri seguendo fili tesi fra punti di
riferimento a noi ignoti. Il primo campo ci lascia
senza fiato: è una duna di sabbia altissima appoggiata ad una ripida collina di roccia, che sembra
voler seppellire. Come bimbi, neanche il tempo di
scendere e siamo già a seguire, a piedi scalzi e in
fila indiana, il crinale che ci porta in vetta.
In cima siamo senza fiato, per la fatica del cammino
ma anche per lo sguardo che spazia quasi senza
vedere l’orizzonte nella luce della sera. Il campo
è laggiù, in fondo alla discesa, molto più in basso,
dove le nostre guide ci stanno preparando il tè.
Trovare questa bevanda calda alla fine del giorno,
sarà uno dei momenti più belli per l’occasione
di scambiarsi le emozioni vissute, le difficoltà
incontrate nell’oggi e nella vita o semplicemente
gustare il silenzio.
È la prima notte nel deserto, la prima nella piccola
tenda igloo, la prima in questo luogo fatato.
La pace di stare con se stessi
Ci alziamo presto ogni giorno, per svolgere le attività del campo ma, soprattutto, perché le prime ore
del giorno offrono grandi opportunità per trovare
un po’ di spazio-tempo da dedicare a noi stessi. ognuno portando qualcosa della sua tradizione ed
L’aria è fresca, il sole, ancora basso, delinea le abbattendo ogni distanza.
ombre fra le rocce e puoi camminare in silenzio, Kadì, con il suo strumento, suscita suoni e meloascoltare la sabbia che lascia affondare il tuo pas- die tipiche di questi luoghi. Canta e si muove con
so, osservare le tracce dei piccoli animali notturni delicatezza, questo gigante nero dagli occhi grandi
o, semplicemente, stare a braccia aperte in modo e dolci. Questi ritmi sembrano invitare a muoversi
che il silenzio che entra dentro ti svuoti dai pesi con morbidezza, senza frenesia in maniera più
accumulati e faccia posto al senso di pace.
consona alla nostra corporeità.
I fuoristrada si muovono su terreni sempre diversi, Comprendiamo come muoversi lentamente, non
sulla sabbia compatta dove puoi correre veloce affrettarsi sia un’esigenza dettata dal luogo, ma
gareggiando senza successo con le gazzelle, su anche qualcosa di più: un’interpretazione di vita.
piastre friabili di roccia che si sgretolano come Sollan sollan, nella lingua dei nostri amici tuafette biscottate sotto le ruote dentate, sulla sabbia reg, è la leggerezza nel muoversi e nel parlare, è
punteggiata da miriadi di
l’attenzione ai gesti ed alle
sassolini neri oppure cercose che fai, è interpretare
cando passaggi improbabili
il tempo e lo spazio dando
Soltanto guardando
fra fiumi di rocce aguzze.
importanza all’essenziale.
l'effimero dall'infinito,
La luce e le ombre disegnaPer questo viaggiamo del'effimero
no le ore del giorno e conpurandoci dall’eccesso, dal
sumano il nostro viaggio,
superfluo e, nello stesso
cessa di essere
ma non la sensazione di
tempo, evitando gli sprechi
una prigione.
percorrere un Sahara senza
e dando valore all’essenza
limiti. Per non fuggire il
delle cose, come l’acqua.
tempo e dare senso alla spazio, ancoriamo il nostro Durante il nostro cammino abbiamo incrociato
sguardo ai grandi archi forati, alle cattedrali di due pozzi ed, intorno a loro, anche gli unici gruppi
roccia che assumono il colore rosa del tramonto, ai di persone oltre al nostro. Pastori di dromedari e
pinnacoli isolati sormontati da cappelli di pietra, ai capre, riservati ma cordiali, poveri, per i nostri
volti di giganteschi guerrieri o alle forme d’animali criteri di valutazione, ma dignitosi e perfettamente
pietrificate dal tempo. Salire in alto, sulla vetta di integrati in un ambiente che continua a meravigliarqueste formazioni, diventa quasi un’esigenza, quasi ci ogni giorno e sempre più ci rivela che il deserto
poter definire un limite a questo spazio attraverso non è uno, ma una complessità. È la calura che ti
l’altezza ma è, nello stesso tempo, fruire della pace sorprende improvvisa, ma anche l’ombra che ti
di stare con se stessi, lavarsi gli occhi e la mente fornisce refrigerio; è la duna del nostro immagida cose insignificanti e dalle paure.
nario che sembra un onda da cavalcare, ma anche
In fondo al giorno, all’interno del campo, ci ritro- la roccia su cui arrampicarti; sono i graffiti, traccia
viamo intorno al fuoco, dove solo la legna degli remota d’uomini che ci hanno preceduto, ma analberi secchi trovati per via, ha il diritto di ardere. che le increspature della sabbia che domani non
Affamati e assetati, ci sediamo sui tappeti stesi al saranno più le stesse; è il sole padrone, ma anche
riparo delle auto e la zuppa di verdura, rigorosa- le stelle che non rendono mai buia la notte; è la
mente speziata di cumino, ci sembra non possa calma piatta del pomeriggio, ma anche il vento che
essere superata da nessun’altra pietanza. Accovac- la notte sembra strapparti la tenda; sono le scarpe
ciati nelle loro lunghe vesti colorate, Ibrahim e Alì, che si riempiono di granelli rosa, ma anche le tue
vigilano attenti alle nostre esigenze, per poi unirsi impronte accanto a quelle della persona che ami;
nella cena ai loro compagni Tuareg ed approfittare è l’aranciata fatta con l’acqua fresca della ghirba,
per parlare ridere di chissà cosa o chissà chi.
ma anche il caldo tè tuareg forte come la vita, dolce
come l’amore e leggero come l’amicizia.
Un invito a depurarci dal superfluo
Tutto questo è il deserto e molto di più ancora
La giornata è lunga ma mai troppo perché non potrai trovare, nascosto dentro di lui e dentro di
finisca cantando, ballando o giocando tutti insieme, te, se verrai a trovarlo… sollan… sollan.
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Un pomeriggio con ERRI DE LUCA
a cura di Massimo Orlandi
Ci sono cammini che hanno già fatto
tanta strada prima di incontrarsi.
A Romena, sin dagli inizi, abbiamo letto
e amato Erri De Luca nei suoi libri, nei
suoi articoli.
Il 17 giugno, grazie al ciclo di incontri
“Le parole e il silenzio” organizzato
dalla Fondazione Baracchi, lo scrittore
napoletano è venuto a Romena.
Lo abbiamo accolto in tanti, con energia e calore. Ecco solo alcuni frammenti
di quella conversazione.
La Bibbia
Il posto dove mi sento più al largo è quando
leggo la Scrittura Sacra, lì sono ospite di quegli
spazi e di quella lingua che pur essendo come
un’isola, molto circoscritta (l’antico ebraico ha
poco più di 5.000 vocaboli) per me contiene tutte
le vie di deserto percorribile, tutti gli isolamenti
possibili.
Io non sono credente, ma non credo che quella
storia si rivolga a dei credenti. Racconta una
relazione, una volontà di manifestazione di una
divinità che aveva un’urgenza, che gli scappava
dalle mani e dalla bocca, di fare, di creare, di
dire e di rivolgersi. E si rivolge ad un piccolo
gruppo di ascoltatori scelti. È una storia che si
svolge tra di loro.
Resta un mistero per me come quella storia sia
diventata poi il caposaldo della cultura della
nostra civiltà. Come quella piccola divinità, che
pretendeva di essere l’unica, è riuscita a convincere tutti quelli di quel mediterraneo che avevano
inventato tutte le divinità possibili immaginabili.
I greci avevano esaurito così tanto la loro fantasia
che si erano inventati pure un altare a un Dio
sconosciuto “ce ne fossimo scordato uno”. Ecco,
proprio in mezzo a questa prolificità di inventiva
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teologica si andava a piazzare una divinità nuova
che buttava all’aria il banco, le cancellava tutte.
Le estirpava dal suolo, dal cuore degli uomini.
Quella lingua e quella storia contengono una
forza creatrice e distruttrice, insieme, nella quale
io ci sono rimasto ficcato dentro. Io mi sveglio
tutte le mattine con quella lingua e faccio questo
percorso di sonnambulo. Certo, non sono uno che
sta camminando bene, ad occhi aperti, là sopra.
Sta sentendo una voce… perché la pronuncio
anche, la dico perché quella è una Scrittura, noi la
chiamiamo Bibbia, ma in ebraico si dice “miqrà”,
cioè lettura e lettura con la voce.
E così mi introduco dentro una giornata nuova.
Quello è per me il largo. Uscire dallo stretto, dal
chiuso, dal buio della notte in cui dormo come
un morto e ogni mattina mi sembra di risorgere…
Credo di non spostarmi neanche nel letto dalla
posizione in cui mi metto a quella del risveglio,
come una mummia. E poi invece la mattina avviene la resurrezione con l’ebraico antico e con
il caffè napoletano!
Credere
Sono rimasto un non credente, uno che tutti i
giorni sta lì e non si sposta da quella estraneità.
Mentre penso che esista nella vita degli altri.
Esistono delle notizie, delle consistenze nella vita lo insultano. Lo fanno stare in piedi e lo trattano
degli altri che io ignoro e che prendo per buone. male. Poi arrivano alla stazione, e qui l’uomo
Non ho la presunzione dell’ateo che dice non viene accolto con grandi onori. Fa tutta la sua
c’è niente, non esiste niente e che quelli che ci lezione, il suo racconto, la spiegazione della Scritcredono sono dei mutilati che hanno bisogno di tura Sacra che gli è stata assegnata e poi quegli
una protesi per reggersi. No, non ce l’ho quella ebrei che lo avevano insultato cercano di andare
notizia con quella certezza dell’ateo.
da lui per chiedergli scusa per il modo con cui si
La differenza maggiore sta tra credenti e non cre- sono comportati. Vogliono il suo perdono ma lui
denti, perché sia il credente che il non credente è risponde: “Io vi perdonerei tanto volentieri, ma
qualcuno che sta ubbidendo al participio presente; non posso perché voi dovete andare a chiedere
è qualcuno che si trova quella questione e quella perdono a quello del treno, non a me”. È proprio
Scrittura e quella Presenza tutti i giorni nella sua così: tu quella cosa lì non la puoi più riparare, però
vita e dà una risposta: il credente rinnovando la tutte le volte che in quella stessa circostanza evisua fiducia, il suo affidamento, la sua carta di terai di fare quella offesa, avrai chiesto perdono a
credito nei confronti di quella divinità, il non quello del treno. Cioè, quella singola cosa la puoi
credente senza riuscire a farci niente. Ma insom- poi moltiplicare, come esperienza di perdono, non
ma credo che siano affini perché si “scocuzzano” con quello che hai offeso, ma con tanti altri che
tutti i giorni, o spesso, con quella domanda. Penso magari non offendi più, per cui quella lezione ti
che invece siano affini l’ateo e il talebano, quelli è servita almeno per rimanere nel tuo ambito di
che hanno risolto il problema una volta per tutte. correttezza, di dignità umana.
Quelli lì si somigliano di
più. Quindi la contraddiL’amore
Mi sento un passaggio
zione maggiore non sta tra
L’uso del verbo amare mi
di mente sul mondo,
credente e non credente, ma
sembra un buon uso. Se ne
con però,
tra i credenti-non credenti e
fa poco. Se ne fa poco anche
gli atei-talebani.
tra i poeti o i romanzieri.
la consistenza
Noi a Napoli ci mettiamo
del dono di vivere.
Il perdono
due emme “Ammore”.
Io non sono capace di perMi piace tutte le volte che
donare. Non riesco a perdonare nessuna di quelle trovo il verbo amare. Credo che quel monoteioffese che sono state recate a me e agli altri. Ho smo, di cui si parlava all’inizio, sia riuscito a
un effetto secondario: io me ne scordo! E quindi fare piazza pulita di tutti gli altri perché è l’unica
è come se fosse passato perché poi quando me fra le divinità che si è rivolta a quel sentimento
ne ricordo, il fatto di essermelo scordato ha tolto della creatura umana, alla più forte energia pulita
quel nervo del risentimento, e quindi è andata. prodotta dal corpo e dalla creatura umana che è
Basta che me ne scordi.
l’amore. “Amerai il tuo Dio con tutto il tuo cuore,
Ma neanche so dire a qualcuno “Scusa, perdono con tutto il tuo fiato, con tutte le tue forze”. Ma
per quello che ti ho fatto” perché penso che quello quale divinità prima si era azzardata a bussare a
che si fa è irreparabile, non si può riparare, è questo sentimento?! Questo “a tutto il tuo cuore,
andata.
tutto il tuo fiato, tutte le tue forze”, insomma lo
C’è una storiella ebraica che ho trovato leggendo svuotamento totale delle energie fisiche. Simpaquegli argomenti. Un illustre studioso, un rabbi- tico che non dica assolutamente “con tutta la tua
no, un grande saggio del Talmud, poverissimo, intelligenza, con tutta la tua scienza, con tutta la
miserabile, viene invitato nella grande sinagoga tua cultura, il tuo sapere, la filosofia” proprio non
di Varsavia e dunque si avvia nei suoi poveri gliele importa niente, non è quella, non è da quelle
panni, dal suo villaggio. E sale su un treno, su un parti lì che vuole essere acciuffato, che vuole
vagone di terza classe e lì ci sono altri ebrei che essere ricambiato. Però se c’è un motivo per cui
stanno andando proprio a quell’appuntamento quel monoteismo si è piantato dentro la nostra
che non lo conoscono né lo riconoscono, e che civiltà è per via di quel verbo. “Amare”.
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Senza varcare la soglia
di Massimo Orlandi
Lettere tra Sorella Maria e Albert Schweitzer
Sorella Maria vive in un eremo nascosto nel
cuore dell’Umbria.
Albert Schweitzer in un ospedale immerso nell’Africa equatoriale. Non si vedranno mai.
Eppure oggi possiamo raccontarvi il loro incontro: sono lettere, sono decine di foto, di biglietti,
di doni, di pensieri.
Li abbiamo raccolti in un libro che non solo ci
permette di vedere da vicino queste straordinarie
figure, ma anche di capire quanto profonda e libera
possa essere un’amicizia.
Spesso le raccolte di lettere consentono di aprire
spazi nuovi, sconosciuti, nelle biografie di personaggi noti. La loro pubblicazione è però delicata,
perché la lettera apre canali di comunicazione molto
intimi.Le lettere tra Sorella Maria e Albert Schweitzer non sollevano questo imbarazzo. All’eremo la
lettura della corrispondenza è un rito quotidiano e
corale, a Lambaréné, Schweitzer si lascia sempre
aiutare dalla sue collaboratrici più fidate; il dono di
questo incontro a distanza è così grande, per i due
protagonisti, che non può essere loro patrimonio
esclusivo: e così le loro lettere riescono a tenere
insieme, magicamente, due cuori e due comunità.
Il carteggio è quindi soprattutto una celebrazione
dell’amicizia, di un’amicizia così libera e liberante
da non aver bisogno di nulla, nemmeno della conoscenza diretta.
Cammini paralleli
Le lettere coprono gli ultimi anni del cammino sulla
terra dei due protagonisti. Ma la sensazione che si
ha, leggendo il cammino di Schweitzer e di Sorella
Maria è che questa amicizia si sia preparata per tutta
una vita. Un primo segno di vicinanza è quello di
partenza: entrambi sono nati esattamente 75 anni
prima di conoscersi, lui il 14 gennaio del 1875, lei
appena dieci giorni dopo.
“Valeria Pignetti”, scrive nei registri l’impiegato
dell’anagrafe di Torino. Il nome Sorella Maria
lo detterà la vocazione. Suora nell’ordine delle
Francescane missionarie, superiora dell’ospedale
anglo-americano di Roma che svolge assistenza a
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militari feriti, Sorella Maria nel 1919 lascia l’ordine per obbedire a una chiamata: è il bisogno di
creare una comunità, un luogo dove tutti possano
essere accolti senza distinzione, con fraternità, con
rispetto, dove si viva in semplicità e povertà. La
destinazione ha già una forma nel cuore, ma ci vuole
ancora un lungo pellegrinaggio perché quel luogo si
possa trovare, inerpicandosi sui colli dell’Umbria.
È l’eremo di Campello, un piccolo gioiello che la
foresta nasconde e protegge, non lontano da Assisi.
Da allora (siamo nel 1926) l’eremo e le sue sorelle
offriranno un luogo di accoglienza, di abbraccio, di
attenzioni, di libertà a tutti i pellegrini. “La nostra
- scriverà sorella Jacopa, che Maria, per sottolinearne
la vicinanza, chiama l’Unanime - è una vita fraterna
di spirito monastico antico, su radici benedettine e
francescane. È clausura senza chiusura. Non siamo
né monache né suore, Non abbiamo una regola
speciale, ma seguiamo con semplicità e amore il
pensiero di San Francesco”.
In parallelo a quella di Maria anche la vita del giovane Schweitzer, nato in Alsazia, è segnata da una
chiamata. Giovanissimo si è già affermato come predicatore, come saggista, come pianista, ha la vita che
si apre a ventaglio, ma che finirà per muoversi dietro
una nuova vocazione: “Mi riusciva incomprensibile
– scriverà – che io potessi vivere una vita fortunata
mentre vedevo intorno a me così tanti uomini afflitti
da ansie e dolori. Mi aggrediva il pensiero che
questa fortuna non fosse una cosa ovvia ma che
dovessi dare qualcosa in cambio”. Decide così di
studiare medicina e nel 1913, subito dopo la laurea,
sposta la sua vita verso il caldo torrido del Gabon,
nel cuore dell’Africa. All’ospedale di Lambaréné, da
lui costruito, la cura delle terribili malattie tropicali e
della lebbra è anche un’occasione perché finalmente
l’uomo bianco e l’uomo nero si tendano la mano. Le
semplici strutture in legno sono aperte: l’ospedale
è una comunità dove si fa casa nella sofferenza e
nella speranza. E il segreto non sta nel bisturi, non
nelle medicine, quelli sono solo i primi messaggeri
di pace che l’Occidente porta in questo continente,
il segreto è nel senso di umanità che tutto abbraccia,
che nulla chiede in cambio. Schweitzer ha messo la
sua vita, i suoi studi, le sue riflessioni filosofiche in
quattro parole: rispetto per la vita. E Lambaréné
rappresenta lo specchio fedele di un pensiero che
non può esistere se non facendosi concreto. Anche
per questo, nel 1953, gli verrà assegnato il Premio
Nobel per la pace.
o Giovanni Vannucci.
In questo abbraccio gioioso verso tutte le forme
dell’umano si rimpiccioliscono sino a svanire i tanti
muri, spesso fittizi, creati nei secoli dalla mente
umana in ambito religioso. Così l’ecumenismo
rappresenta sia per Sorella Maria che per Schweitzer non una diplomazia delle confessioni, ma una
forma spontanea di incontro con tutti coloro che
amano Gesù.
“La fede – sostiene Sorella Maria – non si trova nelle
formule teologiche, non essendo l’atto di credere
ai dogmi e ai misteri teologici. La fede è l’invincibile fiducia nel Padre”. “Un cristiano – sintetizza
Schweitzer - è uno che ha lo spirito di Cristo. Questa
è l’unica teologia”.
Un abbraccio verso il mondo
È un destino delle profezie quello di abitare in periferia. Lambaréné è nella giungla africana, Campello
nei boschi dell’Umbria. Ma l’isolamento fisico è solo
apparente: in realtà questi luoghi hanno le braccia
aperte sul mondo, e se sono distanti rispetto ai
centri pulsanti della nostra civiltà è solo per essere
più vicini all’uomo. Lambaréné e il suo fondatore
diventano negli anni il simbolo di un mondo che
che può riconciliarsi solo se impara a ridare il giusto
valore alla vita. L’azione di Sorella Maria si compie
in maniera meno pubblica, meno eclatante. Ma è
sorprendente vedere quanti fili partano e quanti fili
ritornino all’eremo scrivendo traiettorie d’incontro
e di amicizia: prima di Schweitzer, Sorella Maria
corrisponde con Gandhi e con figure chiave di una
chiesa che cerca di rinnovarsi come Primo Mazzolari
La corrispondenza più preziosa
Gennaio 1950. Quando Sorella Maria invia la sua
prima lettera a Schweitzer tutto è ormai pronto perché tutto, in fondo, era stato già preparato. Seguono
almeno 60 intensi momenti di incontro. Nero su
bianco. “La corrispondenza con Sorella Maria – dirà
Schweitzer – è la più preziosa che abbiamo”.
Sorella Maria scrive l’ultima lettera a Schweitzer
nel gennaio 1961. Muore pochi mesi dopo. Il dottore
continua a comunicare con l’eremo fino a un passo
prima del suo ultimo respiro, nel 1965.
Alla vigilia di Natale di quell’anno a casa del dottore
viene recapitato un ramoscello d’ulivo. A Campello
arrivano invece alcune foglie della vite rampicante
che riveste la casa di Schweitzer. Accade la stessa
cosa un anno dopo e un anno dopo ancora.
Un ramoscello d’olivo nello studio del dottore. La
vite rampicante sulla madia di Campello. L’amicizia
continua. Non aveva avuto bisogno di un incontro.
Ora non le servono più neanche le parole.
Quello che posso fare
è una goccia d’acqua in un oceano.
Ma è ciò che dà significato
alla mia vita.
Che resterà di noi?
L’eco di un canto d’allodola
in un cuore
che l’ha ascoltata.
Albert Schweitzer
Sorella Maria
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Coraggio alzati
La nuova veglia di Romena
“Lavatevi i piedi
e accomodatevi sotto l’albero.
Permettete che vada a prendere
un boccone di pane
E rinfrancatevi il cuore;
dopo, potete proseguire”.
(Genesi 18, 1-10)
Bastano poche cose per portare Romena
in giro per l’Italia. Il silenzio, il lume di
una candela, la lettura di alcuni brani
(quest’anno il testo della Veglia, basato
su alcuni passaggi della Bibbia, è stato
scritto da don Luigi), pensieri, la musica
della pieve, composta e eseguita da Antonio Salis.
Poche cose ed essenziali, ma messe insieme sono le nostre veglie, sono le occasioni
per incontrarsi in ogni angolo d’Italia. Da
Biella a Messina, da Rovereto a Lamezia
Terme, da Milano a Bari, Romena si mette
in movimento per “fare casa” ovunque ci
siano amici che lo richiedano.Quest’anno
trenta città accoglieranno la nostra veglia,trenta città saranno Romena,per una
sera, creando quel clima di accoglienza
semplice, di intimità nel quale incontrare
se stessi, gli altri e forse anche Dio.
Coraggio Alzati è il titolo della veglia. Un
tema che si svilupperà attraverso tre fasi:
“Getta il mantello del lutto”, “Rivestiti del
mantello della giustizia”,“Alzati e guarda
verso oriente” e nel quale si intesseranno
i canti, le riflessioni e il silenzio.
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San Benedetto del tronto
Chiesa SS. Annunziata - Porto d’Ascoli
ore 21,00
S. Angelo in Vado
Monastero Serve di Maria
ore 21,00
Biella
Santuario Madonna della Brughiera - Trivero
ore 21,00
Genova
Nostra Signora Assunta di Rivarolo
ore 21,00
Rovereto
Parrocchia di Santa Caterina - Frati Cappuccini
ore 21,00
Udine
Parrocchia di San Pio X
ore 21,00
Padova
Parrocchia SS. Trinità - via Bernardi
ore 21,00
Brescia
Chiesa di San Faustino
ore 21,00
Bergamo
Parrocchia di S. Paolo d’Aragon
ore 21,00
Milano
Parrocchia Beata Vergine - Lavanderie Segrate
ore 21,00
LaMezia Terme
Chiesa del Carmine - Sambiase
ore 20,30
Catania
Parrocchia SS. Pietro e Paolo - via Siena
ore 20,30
Messina
Parrocchia S. Gregorio Magno - Villa Franca Tirrena ore 20,30
Napoli
Istituto Maria Ausiliatrice, via Alvino 9 - Vomero
ore 21,00
Valdarno
Pieve di Cascia - Reggello
ore 21,00
Firenze
Parrocchia dei Salesiani - via Gioberti
ore 21,00
26 Settembre
27 Settembre
2 Ottobre
3 Ottobre
16 Ottobre
17 Ottobre
18 Ottobre
23 Ottobre
24 Ottobre
25 Ottobre
5 Novembre
6 Novembre
7 Novembre
8 Novembre
21 Novembre
12 Dicembre
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AVVISI
CORSO BIBLICO
con Paolo De Benedetti
“Giobbe”
12 - 13 - 1 4 Ottobre
Festa d’Autunno
Una semplice festa all’insegna dei frutti di questa stagione.
Un momento d'incontro, di ascolto, di abbraccio.
Stiamo preparando gli incontri della giornata, per il
programma definitivo ti invitiamo a consultare il nostro
sito www.romena.it
21 Ottobre
CORSO
con Antonietta Potente
“La lotta con Dio”
17 - 18 Novembre
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La nuova Agenda di Romena
Ogni Giorno 2008
“Dobbiamo essere sempre
nuovi, nuovi nel pensiero,
nel sentimento, nella volontà,
nell’amore per le cose,
dobbiamo essere sempre
pronti al distacco perché
ogni alba ci ritrovi freschi e
aperti per ricominciare la
nostra esistenza.”
Giovanni Vannucci
O
gni giorno è una finestra aperta sul nuovo.
All'orizzonte c'è la nostra vita, che verrà.
Questa agenda vorrebbe offrirvi lo spazio per progettare o immaginare il vostro tempo che
sarà, ma anche l'occasione per accogliere il tempo che è, per provare a renderlo più fertile.
Quest'anno ci accompagnano lungo le settimane e i mesi i pensieri e le intuizioni di Giovanni
Vannucci (1913-1984), una delle figure più innovative e profetiche della nostra spiritualità
recente. Accanto alle sue anche le piccole perle quotidiane di artisti e pensatori, di uomini
di fede, di cultura, di scienza. Piccoli semi da far germogliare, giorno per giorno.
Puoi trovarla o ordinarla nella tua libreria (è distribuita da Messaggero Distribuzione) o a Romena.
Prezzo euro 14,00 - ISBN 978-88-89669-19-8
Disponibile da fine ottobre 2007
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GRAFFITI
igi, ultimamente ha sottolineato la stupidità di cercare un senso alla propria vita.
È vero la vita, in quanto tale, in quanto
dono di cui prendersi cura, ha già un senso in se
stessa. E allora da cosa nasce l’ansia che ho di
trovare questo fatidico senso? Guardo attentamente: non do ascolto alla mia parte profonda
e, quindi, antepongo i miei bisogni superficiali
a quelli essenziali. Teoria! Come fare in pratica
a discernere gli uni dagli altri? Darmi delle ricettine sarebbe facilissimo: “non occorre che tu
tolga niente, basta che tu guardi con occhi nuovi
ciò che hai già!!” già, si fa presto a dirlo, ma a
farlo?! Mi occorre un’esperienza concreta… il
Cammino di Santiago.
Il Cammino è un’ottima palestra per fare ordine,
per ridimensionare bisogni e capricci: camminare, solo camminare senza avere altro fine se
non quello di raggiungere la meta giornaliera
che, comunque, non è sempre quella da te programmata; la giornata va come deve andare.
Ho percorso, prevalentemente da sola, 800 km,
portando sulle spalle, come una tartaruga, la mia
casa: uno zaino pieno solo del necessario, dell’essenziale, senza orpelli. Passo dopo passo, libera
da pre-occupazioni, era più facile accorgermi che
ogni incontro arrivava al momento giusto e, ad
un livello o ad un altro, produceva uno scambio
creativo; era più facile guardare in profondità,
scorgere il seme che deve morire per dare frutto;
era più facile guardarmi intorno e provare una
sensazione di benessere di armonia, sentire che
ogni piccolo particolare che la natura mi offriva
era lì anche per me. Non avrei potuto fare una
scelta più indovinata per rispondere alla necessità,
che sento da tempo, di sperimentare uno stile di
G
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vita esenziale: ho avuto la conferma che, per me,
sfrondare, togliere non vuol dire “privarsi” vuol
dire trovare il molto nel poco.
Carla
iao Carissimi, sono una fortunata perchè
conosco Romena dal 1995, anno del mio
Primo corso con un forte Gigi! Ma mi
ritengo fortunata anche perchè, con insistenza ho
potuto ripetere il Primo corso il 20/21/22-04 con
Pigi, non da meno di Gigi!
Romena ha per me una forza che mi piace mantenere viva nella mia vita, mi ha aiutata a cominciare a considerarmi un essere di valore, certo con
difetti ma che se accolti e non esagerati li puoi
cambiare. Fu per me quasi doloroso sentirmi
dire che andavo bene anche così, cominciare ad
accogliermi! Molto forte! Perchè da lì il passo è
breve per accogliere gli altri! È Essenziale non
abbatterci per alcuni difetti, entriamo nel labirinto
della vittima e non se ne esce più, perchè quasi
diventa comodo! Molte vite si sciupano per questo. Prendere responsabilità è vitale ed accresce la
nostra maturità, per questo Romena, con tutte le
esperienze che possiamo fare ci aiuta a trovare il
meglio di noi, con la possibilità di essere di aiuto
anche al prossimo!
Grazie, grazie di cuore a te Gigi, che mi hai
sopportato in tutti questi anni, sperando nella
mia crescita, Grazie ancora e un ABBRACCIO
FORTE A TUTTI.
C
Rober ta
A causa di un guasto al nostro computer la maggior parte
delle mail inviateci sono andate perdute. Ci scusiamo per
la mancata pubblicazione dei vostri contributi.
e si prova ad associare una figura umana
al concetto di essenzialità, a molti verrà
subito in mente l’anziano asceta, che
medita in una grotta o sulla cima di una montagna
alla ricerca del senso ultimo delle cose. Ho solo
ventisei anni, ma questa immagine di persona
che ricerca la propria essenza nel raccoglimento
e nella riflessione mi accompagna da sempre: ho
vissuto tentando di aderire alla mia natura più
profonda, alla ricerca della mia intima specificità,
con un atteggiamento minimalista che mi portava
a ridimensionare gli aspetti della vita accessori
ed accidentali, quelli che portano soltanto piccoli
piaceri e dolori.
Condivido ancora lo spirito di quella ricerca,
ma credo anche che così impostata essa non
produca esiti. L’essenzialità non si esplica nello
stare immobili di fronte al mondo, osservandolo;
è piuttosto un modo di entrare in contatto con le
cose, con semplicità e immediatezza. Se fuggo
dal contatto con le esperienze della vita, se non
imparo a conoscere la mia modalità fondamentale
di stare al mondo, il tentativo di adeguarsi a una
S
mia immagine superiore, perfetta e distaccata
diventa la ricerca di un altro diverso da me, e
contraddice l’essenzialità stessa, che è appunto
lasciar esprimere con spontaneità il proprio io. Essere essenziali significa essere capaci di muoversi
in equilibrio sul nucleo della nostra personalità:
niente di quello che facciamo è accidentale, ogni
nostra piccola azione esprime
Marco
Aldo
PROSSIMO NUMERO: il giornale in uscita
a Dicembre approfondirà il tema:
“CORAGGIO ALZATI”. Inviateci lettere,
idee, articoli, foto (termine ultimo: 15 Novembre 2007), preferibilmente alla nostra
e-mail: [email protected]
UN CONTRIBUTO: se volete darci una
mano a realizzare il giornalino e a sostenere
le spese potete inoltrare il vostro contributo
sul c.c.p allegato.
CASSA COMUNE: è composta dai vostri
c.c.p. più offerte libere. La cassa sarà utilizzata per continuare a realizzare il giornale e
ampliarne la diffusione (in carceri, istituti,
associazioni, gruppi, ecc.)
PASSAPAROLA: se sai di qualcuno a cui non
è arrivato il giornale o ha cambiato indirizzo, o
se desideri farlo avere a qualche altra persona,
informaci.
SEGRETERIA: l’orario per le iscrizioni ai
corsi è preferibilmente dal mercoledì al venerdì dalle 17,30 alle 19,30, sabato e domenica
quando vuoi.
Le iscrizioni ai corsi si aprono il primo giorno
del mese precedente al corso stesso.
FRATERNITA’ DI ROMENA
- ONLUS -
Per darci una mano
La nostra associazione è giuridicamente riconosciuta come ONLUS (Organizzazione Non
Lucrativa d’Utilità Sociale), per questo chi vuole
dare un contributo può beneficiare delle agevolazioni fiscali previste contenute nel decreto
legislativo 460 /1997.
Il versamento può essere effettuato tramite:
- C/C Postale n. conto 38366340 intestato a:
Fraternità di Romena Via Romena 1 52015
Pratovecchio - Arezzo
- Bonifico bancario su C/C n. 3260
c/o Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio
(BPEL) Filiale di Pratovecchio codice ABI 5390
CAB 71590 intestato a Fraternità di Romena
Via Romena 1 52015 Pratovecchio - Arezzo,
specificando nella causale
“Offerta Progetto Romena”
31
D
obbiamo ritrovare
il sapore nuovo
delle cose essenziali,
delle verità che
non riusciamo
più a incontrare
perché ci sono
tanto vicine
da diventare
quasi invisibili.
Luigi Ciotti
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