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essenziale - Fraternità di Romena
Tariffa Assoc. Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.P.A - In A.P -D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/ 2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB/43/2004 - Arezzo - Anno XI n° 2-3/2007 L essenziale ' 3 Primapagina Scegliere tra il molto e l'uno 6 4 Attraverso la cruna dell'ago Un nocciolo di vita 8 10 Beati i puri di cuore Riconoscere l'essenziale 12 14 Il cuore comune di ciò che esiste Le pietre di fuoco 18 Un pomeriggio con Erri De Luca 22 SOMMARIO 20 Desiderio di deserto 24 Senza varcare la soglia La nuova veglia di Romena 26 La nuova agenda 29 28 Avvisi 30 Graffiti trimestrale Anno XI - Numero 2/3 - Settembre 2007 REDAZIONE località Romena, 1 - 52015 Pratovecchio (AR) tel./fax 0575/582060 www.romena.it e-mail: [email protected] DIRETTORE RESPONSABILE: Massimo Orlandi REDAZIONE e GRAFICA: Simone Pieri - Massimo Schiavo Stampa: Arti Grafiche Cianferoni - Stia (Ar) FOTO: Alessandro Ferrini, Massimo Schiavo, Giuliano Fantechi. Copertina: Massimo Schiavo e Claudia Sander. Hanno collaborato: Luigi Verdi, Pierluigi Ricci, Maria Teresa Abignente., Stefania Ermini, Thomas Müller www.romena.it A cura di Alessandro Bartolini Filiale E.P.I. 52100 Arezzo Aut. N. 14 del 8/10/1996 Conosco le isole Vanuatu perché c’è andata a vivere una vecchia amica. Anche per questo mi ha colpito un articolo di giornale secondo cui è proprio lì, in quel minuscolo arcipelago perso nel Pacifico, che vivono le persone più felici del mondo. Eppure è gente povera, quella di Vanuatu. Il reddito medio non arriva a 3mila euro l’anno, in molti villaggi non ci sono luce elettrica nè telefono. Perché allora stanno così bene? “Non abbiamo molto – spiega il direttore dell’unico giornale locale – ma quello che abbiamo lo condividiamo”. Non fare spazio, ma dare spazio. Non isolarsi, ma aprirsi. Sono questi i movimenti dell’essenzialità. Facili da raccontare. Ma inutili se solo raccontati. Ha scritto Gibran: “Prima o poi voglio semplicemente vivere quello che dico”: si comprende davvero ciò che è essenziale solo quando si comincia a affondare le mani nelle viscere della vita. Io, per esempio, faccio fatica a tradurre il richiamo verso uno stile di vita più semplice perchè vivo ancora una contraddizione fra le mie amate radici contadine e la scarsa capacità che ho di misurarmi con la concretezza della terra. Eppure non c’è alternativa: per incontrare l’essenzialità non basta respirare la campagna, bisogna entrarci in contatto. Ascolto ancora Piero che col suo percorso rivolto all’infanzia in realtà parla a tutti noi: “Da un po’ di tempo insegno ai bambini a costruirsi i giochi. Oggi i bambini non sanno né quali né quanti giochi hanno. Ma quando tornano a casa con il giocattolo che hanno saputo realizzare da soli non lo abbandonano più: hanno imparato ad amarlo”. Il cammino verso l’essenzialità non può che partire da qui: da un diverso grado di amore. È quando un pezzo di legno passa per le nostre mani, quando un muro è fatto della calce che abbiamo preparato, è quando il destino di un fiore è affidato alle nostra cure che comincia il viaggio verso la nostra “Vanuatu”. Servono spazi, servono mani. Serve la terra. E una meta: “Non aver molto, e saperlo condividere”. Pochi ingredienti. Il succo della vita. Massimo Orlandi PRIMAPAGINA L’essenziale abita il mondo. Trovo la mia Vanuatu nelle mani estrose di un artigiano. Si chiama Piero Santoni, faceva il falegname, ora che è in pensione dedica il tempo a costruire giocattoli. Ne riscopre di vecchi, ne crea di nuovi. Prende pezzi di legno e materiali riciclati e li tiene insieme con lo spago della fantasia e la colla della passione. La lingua dell’essenzialità parla con le sue mani che accarezzano il legno, che ridanno vita a una bottiglia di plastica, a un pezzo di stoffa. Il primo passo verso l’essenziale, mi insegna, consiste nel riappropriarsi di un rapporto vero, non mercantile, con ciò che abbiamo intorno: si diventa essenziali non quando si rinuncia a qualcosa, ma quando si impara a guardare ciò che abbiamo con uno sguardo diverso, dandogli valore, dignità, attenzione. Piero ha anche scelto un genere di giochi: quelli di relazione. “I giochi – sostiene — non devono isolare i bambini, ma insegnargli a comunicare tra sé e con gli adulti”. È ancora una metafora di ciò che serve per diventare essenziali: se si guardano le cose in profondità si scopre che non sono fatte per servire solamente a noi, ma per essere messe in circolo, offerte, condivise. Più ti avvicini al cuore di un oggetto, più entri nel flusso della vita: senti di esser parte di un tutto, e quel tutto lo senti parte di te. SCEGLIERE TRA IL MOLTO E L'UNO di Luigi Verdi Si può tornare a vivere con poche cose? Sì lo possiamo, ma è difficile, perché l’essenzialità non solo di oggetti ma sopratutto di gesti e di spazio richiede una ricchezza interiore che non abbiamo più. C’è un nemico che minaccia il nostro cammino e avvelena i pozzi della gioia, è il bisogno. Maggiori sono i nostri bisogni, minore è la nostra gioia. Il demone della velocità ci istupidisce tanto da essere incapaci di abitare il corpo e restare in contatto con il nostro cuore, e questo ha come conseguenza l’impossibilità di essere in contatto con “l’altro”. In ebraico essenzialità è iquar, che significa la radice.Come una radice che spacca la terra cercando nutrimento, l’essenziale è nascosto agli occhi. Dipendiamo da questa modernità, dalle sue nevrosi, e dipendiamo dalle nostre radici. Ma se provassimo a spogliarci di ogni alibi, di ogni sicurezza e legame, cosa rimarrebbe? Se lavorassimo ogni giorno come a pulire il chicco di grano dalla pula e dalla scorza, non ritroveremmo forse la nostra vera forma tenera, nuda, palpitante? Quando cogli l’essenziale è come essere afferrati dal vento, da un vento indicatore che ti getta là dove inizia il cammino. L’essenziale fa sì che la materia non resti chiusa in se stessa, ci ricorda che noi siamo chiamati ad altro,evita di farci rimanere prigionieri del nostro “dentro”. L’essenziale apre il tempo, dilata il tempo e, per poter fare a meno delle cose, ci pone in attesa. “Marta tu ti agiti e ti preoccupi per troppe cose, ma una sola è la cosa di cui tu hai bisogno”. II messaggio è di saper scegliere tra il molto e l’uno. Il Vangelo è l’opposto delle possibilità televisive che moltiplicano le sensazioni, i bisogni. Ci è chiesto di opporci a questa moltiplicazione: “Vivi l’essenziale, le troppe cose, i troppi desideri, soffocano l’uomo”. (Gc 1,15) È essenziale nutrire la vita ed essere fedeli ad essa: questa fedeltà al “poco” ci renderà capaci di “esserci” quando l’amore si risveglierà. Resto appeso alla speranza che Dio abbia ancora nelle sue mani una carta da giocare, una carta capace di sorprenderci. Io ho avuto alcune passioni ma molto disordinate. Ma nonostante il disordine quello che capitava in un certo orizzonte del mio sguardo lo assorbivo con molto interesse. Cosa è diventato essenziale oggi per me? La bellezza fatta di attenzione, di ricerca di armonia in tutto ciò che vedo e tocco. Mi piace la nudità della materia, quella del fango, della tela grezza, del legno naturale, della creta: questa loro essenzialità ispira la mia creatività, fa emergere forme che esprimono armonia. La leggerezza che si oppone alla pesantezza che vorrebbe portare il peso di troppa roba, di tutto, mentre la leggerezza prende solo l’essenziale. La tenerezza e la dolcezza che trovo nel volto dell’altro che mi interpella con la sua fragilità e debolezza, nel profumo della rosa senza sentire il bisogno di strapparla. Amo tanto chi ripone nel silenzio tutta la forza della dolcezza. Amo chi attende pazientemente il proprio momento di resurrezione trattenendo il respiro e mantenendo il contatto con la terra. La piccolezza e l’umiltà come frutto dell’estrema libertà del cuore che si è scrollato tutte le prigioni. Mi piace “La chiesa di Auvers” di Van Gogh, così piegata al vento, obliqua, insicura, come la nostra preghiera malferma, questa chiesa scossa come un terremoto dalle preghiere nate dagli abissi da dove giunge il grande grido. Mi piace pensare che l’essenziale è quel grido che nasce dal profondo e quel cielo aperto sopra ogni chiesa piegata al vento. Foto di Massimo Schiavo Il mio cuore aveva tanti desideri sparsi, ma quando ti ho visto, si sono condensati in uno. Charles de Foucauld ATTRAVERSO LA CRUNA DELL'AGO diGiovanni Vannucci* “È più facile che un cammello passi per la cruna compagno di viaggio verso la gioia dello spirito, di un ago che un ricco entri nel regno di dio” (Mt tutto è avvicinato con nuova tenerezza e con 19,24). Sono Parole dure per i nostri innumere- infinito rispetto. voli attaccamenti, gioiose per la rivelazione che Che forza, che pace quando riusciamo ad annullala vera grandezza dell’uomo è nella più totale re ogni forma di avere, a lasciare indietro i calvari spoliazione, unica via per raggiungere la vita. della proprietà, a immergerci nella comunione. Chi è il ricco? Innumerevoli sono i modi del La spoliazione si ha quando l’io tramonta, quando possesso: i campi, le case, le ricchezze, l’onore, le cose non più possedute diventano compartecipi la fama, la stima, la capacità, le idee, le teologie, della nostra vita senza fine: essa colma tutte le le visioni del mondo, gli effetti, il proprio io. Essi nostre aspettative, rivela l’intima essenza del tutto non sono dio. Egli dimora oltre e l’inanità dei nostri innumeretutti questi limitati confini. voli possessi. La spoliazione non è compiuta Così anche nella vita terrena: Che forza, che pace per ripiegamento masochista quando amate, cosa fate? Vi quando riusciamo su se stessi, è la liberazione da spogliate di tutte le convinzioni ad annullare quanto imprigiona le vive forze che avevate dell’amore. Esso ogni forma di avere, umane perché erompano in tutsorge in voi come qualcosa di ta la loro nobile vigoria. a lasciare indietro i calvari nuovo e non ricorrete ai libri Quando il fiore si spoglia nel per sapere se è vero o no; amate della proprietà, frutto segue una legge che e vivete questa esperienza con a immergerci spinge la pianta a compiere il pienezza di partecipazione e nella comunione. suo ciclo vitale. Analogamente con novità di sentimenti. Così è per la vita che cristianamenl’artista, nel momento della te vuole raggiungere la sua creazione, si libera da tutte le pienezza. conoscenze che ha imparato e crea una forma La spoliazione è il superamento della ricerca spa- nuova, ed è attraverso questa spoliazione che smodica della salute, della bellezza, dei piaceri, si svincola dalle pesantezze delle accademie dell’attaccamento alle proprie sofferenze, della che renderebbero il suo verbo artistico meno ricerca di fermare l’attenzione altrui su di noi. intenso. È l’andare oltre il desiderio di possedere le co- La spoliazione, necessaria anche nei piani più noscenze non sul piano dell’ascesa, ma su quello ordinari e semplici della nostra esistenza, quando dell’utilitarismo. È il superamento della paura ci inoltriamo nell’essenza della vita bisogna che della sofferenza, della morte, del complesso di sia ancor più completa. colpa, di perdere le nostre limitate raffigurazioni Nell’incontro con Cristo dobbiamo avere la del divino. preoccupazione di spogliarci di ciò che viene Il non-ricco è colui che, liquidando l’avere e le dalle nostre convinzioni, dai nostri ragionamenti. bramosie, vive nello spazio sacro dell’io senza io, Fare silenzio ed ascoltare il fluire della sua vita. in una beatificante comunione con Dio. Dio ci stimola a liberarci da molti amati possessi Comunione, non disincarnazione: gli oggetti e questa è la via per fare un passo in più verso del possesso vengono riscoperti nella loro es- una vita nuova e diversa. senziale verità, non più oggetti, ma soggetti che Domandiamo a Dio la grazia di spogliarci sempre emergono illuminati da una luce inimmaginabile di più per poter passare attraverso la cruna dell’ago, e incontaminata. Nulla è più mio e tuo, tutto è unica via per giungere alla verità e alla vita. * Tratto da “Meditazioni cristiane”, Edizioni Gribaudi (Torino) 1972 Foto di Alessandro Ferrini È bene che restiamo “senza”, senza punti di riferimento fissi, senza sicurezze. Così possiamo diventare sensibili al trasparire del divino. R. Panikkar UN NOCCIOLO DI VITA di Maria Teresa Marra Abignente “Io dico addio di minuto in minuto e mi libero da Ho conosciuto persone che con la loro vita mi ogni esteriorità. Recido le funi che mi tengono hanno fatto meditare la possibilità di un respiro ancora legata, imbarco tutto quel che mi serve profondo ed umile, perché sono giunte ad essere per intraprendere il viaggio…” (Etty Hillesum) come realmente sono, profondamente ed umilNo, non è solo per l’ultimo viaggio che bisogna mente. Persone che senza fatica e sforzo riescono recidere le funi. È per il mare da solcare, per quel- a rendere grandi le cose piccole, dimostrandomi la vastità che attimo dopo attimo si apre davanti che il segreto è nascosto solo in noi, semplicemena noi e diventa la nostra storia, la nostra vita. È te perché siamo noi quel segreto: è il più interiore inutile e inopportuno aggrapparsi agli ormeggi e del nostro intimo, è quel nocciolo di vita, amore, appesantirsi di zavorre: il viaggio ne potrebbe ri- dolore racchiuso in noi e che in loro si è come sentire, i tempi potrebbero allungarsi e noi essere dilatato. Trasformandosi da nocciolo in frutto. più facilmente prede di tempeste. Potrebbe sembrare facile essere come realmente Non trovo immagine migliore per cercare di siamo, riuscire cioè a diventare quella materia parlare dell’essenzialità. Questa dimensione che prima di cui siamo plasmati: può essere il lavoro sembra esser propria solo dei santi e degli asce- di una vita quando non sappiamo più chi siamo ti, di coloro così tanto abituati alle rinunce e ai perché sepolti da bisogni e desideri fittizi, mossi sacrifici che sembrano ormai non soffrirne più; da venti inaffidabili, agitati da passioni superfidi quelli che riducono tanto ciali. E allora la nostra barca all’osso i propri bisogni da rischia di affondare, portata sembrare levitare un metro al In qualche nascondiglio del alla deriva in un oceano tanto di sopra di noi comuni mortali. cuore c'è un seme segreto, più pericoloso perché sconoTroppo lontano, troppo alto qualcosa che assomiglia a sciuto. questo concetto di essenzialità Non resta che metterci silenuna promessa, e probabilmente adatto solo a ziosamente in ascolto di noi dove il visibile si fonde persone non comuni. stessi, guardarci dentro con con l'invisibile. Ma forse c’è un tipo di essenocchi spalancati, cercare di zialità alla quale tutti siamo afferrare quel nocciolo: solo chiamati, forse anche noi postendendo l’orecchio ed affisiamo raggiungere una dimensione che ci leghi nando il nostro tatto saremo capaci di intendere all’essenza della vita e ci liberi da ancore e pesi. quel po’ di vita, di amore e di dolore deposto in Se solo riuscissimo a recidere le funi ed a mettere noi. Ma c’è bisogno di silenzio, perché è una voce nella nostra barca quel che realmente ci serve per delicata e che a volte sembra muta, una presenza il viaggio... Tagliare quelle spesse funi che ci an- che dobbiamo imparare a decifrare tra le ombre e nodano alla terra e che nonostante gli strattoni non i fruscii che vogliono nasconderla o soffocarla. ci lasciano andare, liberi e attirati dal vento... C’è un invisibile che ci nutre: nascosto nell’osPenso che dovremmo rivedere la nostra nozione so c’è un midollo che porta cibo e nutrimento, di essenzialità partendo dal fatto che non è qual- che noi non vediamo ma che genera una linfa cosa cui si giunge “togliendo” o “sottraendo”: profonda e ci consente il respiro. Così in qualnon ci si arriva mediante la spoliazione o la scar- che nascondiglio del nostro cuore c’è un seme nificazione dei nostri bisogni; anzi, credo che chi segreto, qualcosa che assomiglia ad una progiunge a questa dimensione riesca ad assaporare messa, dove si fonde il visibile con l’invisibile. il tutto con più gusto, proprio perché capace di L’essenzialità è sentir fluire questa linfa, rimanere coglierne le sfumature ed i particolari, perchè ha in contatto con quel midollo che ci rende capaci così tanto allargato i suoi orizzonti da contenerli di vedere l’invisibile e toccare l’impalpabile, e di misteriosamente tutti... come se portasse tutto il prendere finalmente il largo con le vele gonfiate mondo nella propria anima. dal vento. Foto di Massimo Schiavo L’essenziale non è nel raccolto, l’essenziale è nella semina, nel rischio, nelle lacrime. Neher "BEATI I PURI DI CUORE" di Antonietta Potente La ricerca dell’essenzialità nelle intuizioni della teologa domenicana. Il testo è tratto dal suo ultimo libro ‘Semplicemente vivere’ che riproduce i testi delle sue conversazioni alla pieve di Romena. L’essenzialità e la libertà Quando nasciamo, nasciamo semplici, nudi, senza nessuna protezione. Ma lungo il cammino le cose si complicano: cominciamo a rivestirci, una e più volte; cominciamo a proteggerci, a difenderci, a diventare sospettosi gli uni degli altri. È quello che le varie culture tramandano nelle loro tradizioni: pensate alla tradizione giudaico-cristiana della Genesi che racconta proprio il passaggio dal sentirsi liberi, essenziali, al diventare sospettosi, all’essere reciprocamente falsi, a raccontare cose che non sono essenziali. La falsità non consiste nel non dire la verità, ma proprio nel dire cose che non sono essenziali. Essere essenziali significa anche essere liberi. Le sapienze religiose e culturali, anche quelle scientifiche, ci ricordano l’itinerario di vita verso la Libertà, cioè verso la semplicità. Pensiamo alla beatitudine di Matteo: “Beati i puri di cuore perché vedranno”; i puri di cuore”, i semplici vedranno qualcosa che certamente aiuterà loro e altre persone a vivere. L’essenzialità e la diversità La semplicità consiste in gesti e spazi dove ci si sente vivi, e non si impara da soli, ma stando con altre semplicità, nella vita. I vangeli non invitano a stranezze: “Guardate i gigli del campo…” è un invito alla consapevolezza, al contatto con la realtà, con elementi della vita che evocano la semplicità e dai quali a lungo andare si impara. Il problema è che non siamo semplici di mentalità: abbiamo pregiudizi grandissimi per cui per esempio intendiamo l’ascoltare come rivolto esclusivamente a una persona che parla: dove è scritto? Si ascolta tutto, non solo chi parla o cosa dice. Nella comunità dove vivo la più anziana non sa leggere e scrivere. Quando è uscito un mio libro che, nella versione castigliana ha una copertina allegra, con tutti i colori tipici della Bolivia lei ha esclamato: “Che bello!”. Non leggerà mai il libro, e anche se sapesse leggere non capirebbe, tratta questioni di mistica… Ma lei ha un’altra dimensione, preziosissima, da portare avanti. Il problema non è quello di parlare tutti i medesimi linguaggi. Il problema è scoprire linguaggi diffe- 10 renti perché questa è la semplicità che possiamo vivere tutti. Noi occidentali pensiamo che la semplicità sia l’esclusione: un ambiente diventa semplice se togliamo il quadro, le seggiole, il tavolo, i lampadari, le cose tecnologiche che non servono. Invece probabilmente è il contrario. È cominciare a riconoscere che c’è anche il lampadario, che ci sono dei quadri più o meno belli, delle tende, un tappeto, delle seggiole e tante persone differenti. Questo potrebbe essere un altro itinerario da percorrere. L’essenzialità e lo spazio Lasciare spazio, lasciare silenzio e solitudine intorno a noi, non occupare tutto lo spazio, lasciare che qualcosa si produca, senza occupare tutto il tempo della produzione. Probabilmente è questa l’essenzialità, anche rispetto al Mistero. Alle nostre preghiere dobbiamo lasciare ancora più spazio. Per vivere l’essenzialità dobbiamo osservare, guardare, essere umili, fare spazio non solo intorno a noi, ma dentro, nel nostro corpo, nella nostra mente. È preziosa la capacità di far entrare in noi altre idee, ma in questo ci scontriamo con le istituzioni post moderne che fanno tutto meno che creare spazi. Continuo a pensare che la solitudine consista nell’accorgerci che lo spazio è molto più grande di quello che pensavamo. Per cui dobbiamo rendere grazie tutte le volte che ci accorgiamo che siamo soli, che lo spazio è molto più grande, per cui possiamo accogliere ancora altre cose, altre persone. L’essenzialità e il tempo Dovremmo passare più tempo insieme in silenzio per dilatare il tempo, invece riempiamo tutto il tempo che passiamo insieme e facciamo così anche con Dio: se non ci danno qualcosa in mano da leggere non sappiamo come pregare. Anche nelle nostre dinamiche di incontro dovremmo passare dei tempi di silenzio con le persone che amiamo: sono tempi profondamente preziosi. Non dobbiamo aver paura dei lunghi silenzi, dello stare lì e sentire, ascoltare, dando al silenzio il suo essere, il suo un significato, quello di essere un linguaggio alternativo. Foto di Alessandro Ferrini Ama la vita così com’è, amala pienamente, senza pretese; amala quando ti amano o quando ti odiano, amala quando nessuno ti capisce o quando tutti ti comprendono. Alda Merini RICONOSCERE L'ESSENZIALE di Stefania Ermini “Quando devo insegnare a pregare, mi viene in mente mio figlio che ha 3 anni. Lo vedo disteso sul divano appoggiato alla sua sorellina. È questo che mi fa dire agli altri come accarezzare Dio ogni giorno”. Incontrare Dio nella concretezza dell’esperienza e nell’essenzialità della Parola. La Fraternità ha incontrato Lidia Maggi, pastora della Chiesa battista di Milano, teologa, ma anche moglie e madre di 4 figli. Una mamma che parla di Dio. Lidia si muove lentamente negli spazi, accoglie con un sorriso, mastica parole semplici, asciutte. Lidia Maggi, pastora della chiesa battista, ci incontra a Romena. Il mondo cattolico, racconta Lidia, le stava stretto. Essenzialità. Questo è ciò che cerca nelle chiese della riforma che, dice Lidia, “hanno fatto deserto nella chiesa, hanno cercato l’essenzialità della fede. A 14 anni mi innamoro di Gesù del suo modo di parlare, dei suoi gesti, della sua vita esemplare. È un’esperienza di fede forte, intensa, totalizzante. Tuttavia la conversione è tutt’altro che un incontro di libertà. Oggi oserei parlare piuttosto di fede devastante!” Lidia ci porta nella Scrittura, nelle sue prediche, negli incontri. Racconta della fedeltà alla vita, della fragilità umana, dell’imperfezione dell’uomo. Ogni parola, ogni tema è un continuo tornare alla Scrittura, è un tornare a Dio ospite che abita l’uomo, le sue case, le sue famiglie. A Romena si sente a casa. “Qui riconosco volti già visti e questo a significare che le persone si rincontrano, i luoghi si attraversano”. Getta voci lunghe e appassionate Lidia. Getta voci e parole nude sul bisogno di riconoscere l’essenzialità, di trasformare la parola di Dio in 12 cibo da cucinare, da masticare. “Noi dobbiamo fare i conti con un cibo cucinato e anche condiviso. Il cibo accompagna la necessità di dire si alla vita. Basti pensare che tutto inizia con un morso sbagliato! Per parlarvi di questo cibo di vita scelgo Eliseo. Eliseo non ha lo stesso carisma e passione di Elia. Vive un tempo di carestia di parole di Dio. Quel Dio che parla con tutti i profeti, con Eliseo parla sottotono. Eliseo è in cucina (Libro dei RE, cap 4, 38-41) che prepara una minestra per i suoi discepoli e chiede ai discepoli di accendere il fuoco e cuocere la realtà. Ci sono alcuni discepoli che aspettano davanti al fuoco mentre altri vanno fuori a cercare gli ingredienti necessari per la minestra”. Alcuni discepoli seguono dunque una vita contemplativa, mentre altri discepoli vanno fuori e cercano gli ingredienti e selezionano, rischiano di percorrere sentieri selvatici e incontrano piante mai assaggiate o conosciute. Lidia riprende il racconto “Un discepolo trova una pianta che produce zucche e se ne riempie il grembiule, porta il suo contributo senza sapere se sarà buono o cattivo. Le zucche vengono messe nella minestra e poi viene distribuita a tutti. Mentre viene distribuita Eliseo si accorge che la Lidia si muove con le parole e i suoni della sua minestra è velenosa. Ma erano tempi di carestia e voce. Si muove nella Pieve, nell’aria. Si muove bisognava essere cauti, non si poteva buttare tutto tra la gente che ascolta tenendo stretta a sé le al vento. Eliseo compie un gesto semplice: prende sue parole. La parola di Lidia ha poi un sussulto. la farina, la mette nella minestra e da velenosa Tutto è fermo. Lidia si porta le mani sulle gambe, diventa nutriente. Eliseo si limita a correggere la quasi a carezzare lentamente le parole che stanno realtà valorizzando il lavoro di tutti” arrivando. “Sono mamma di quattro figli. Sono L’essenziale è lì, nascosto nel tempo, nel giorno, una mamma che parla di Dio. Come essere negli eventi quotidiani. mamma entro il percorso di fede? Non lo so! La L’essenziale è lì, è anche dentro i fallimenti, mia fede è abitata in ogni piega della mia vita. anche dentro le minestre riuscite male. Ogni La vita familiare entra nelle pieghe di tutta la mia scelta “sbagliata” può essere corretta e diven- vita. Tendo all’astrazione. Non sono concreta. Ma tare nutrimento. “Dio non abita nel tempio ma sono i miei figli la concretezza del quotidiano. vive nelle famiglie imperfette” ricorda Lidia. Le mie illustrazioni nei sermoni vengono “Riconciliamoci con la nostra fragilità, con i dal mio vissuto familiare, quotidiano, dalle nostri fallimenti. Siamo fragili e imperfetti e Dio domande dei miei figli. Quando devo insegnare disdegna la nostra perfezione. Se cerchiamo Dio a pregare, ad avere una relazione affettiva con dobbiamo cercarlo nella nostra fragilità. Chi è Dio mi viene in mente mio figlio che ha 3 anni. povero, chi è nudo sa cosa vuol Lo vedo disteso sul divano dire abbandonarsi a lui. È da appoggiato al corpo morbido quell’essere nudo e fragile che e amabile di sua sorella. È Se cerchiamo Dio, si può provare a ripartire. Si questo che mi fa narrare agli possono trasformare le situaaltri come accarezzare Dio dobbiamo cercarlo zioni. Ritrovare l’essenziale ogni giorno”. non significa sfuggire la vita, nella nostra fragilità. Di nuovo, in questo quotidiano non significa appiattire il prepovero, vero, fedele al giorno, sente. Vedete il profeta Eliseo Lidia ritrova l’essenziale della non ha necessità di fare grandi parola, ritrova Dio, ritrova se proclami, si accontenta di guardare da un’altra stessa. Riconosce l’essenziale in questo muoversi prospettiva. È il profeta che aggiusta le cose, calmo, disteso di suo figlio. Lidia si cala nella non fa nuovi cieli, non fa nuove terre” aggiunge terra ogni giorno. Ascolta le storie affidatele dagli Lidia. “Mi piace perché mi acquieta rispetto alle altri e le intreccia nella sua storia quotidiana con performance della vita. Questo è un miracolo che la Scrittura, con Dio. risana la pentola che richiede di aggiustare, più In questo incontro Lidia ci ha nutriti con la che inventare qualcosa di nuovo” . sua minestra, ci ha nutriti con i suoi gesti La Parola di Dio risulta a volte cruda, indigesta familiari, con le sue parole misurate. Ci ha e deve essere cotta perché sia resa appetibile per dato un nocciolo duro e nudo da masticare. nutrire la nostra realtà, perché si trasformi in Quello di riconoscere con coraggio, il vero, minestra che può essere distribuita e mangiata da l’essenziale. Senza inventare il nuovo. Solo molti. Vorremmo trovare nuovi linguaggi, nuovi trasformando. Solo riconoscendo. Essenzialità ingredienti per cuocere la Parola, nuove ricette. dunque. Un’essenzialità del quotidiano che “Carestia di Parola, di passione, di coraggio e di scioglie; un’essenzialità del quotidiano che brucia discernimento. Forse però la morsa della fame e cura le ferite; un’essenzialità del quotidiano ci rende disponibili ad apprezzare anche solo le che dà sapore; un’essenzialità del quotidiano che briciole della parola di Dio e a non gettare via preserva, conserva. troppo frettolosamente quei piatti che ci sembra- Lidia ci fa dono di un nocciolo da masticare no riusciti male”. piano, piano, col tempo. Ci lascia un nocciolo da Eliseo corregge, cerca e riconosce l’essenziale: rigirare in bocca come le sue parole. Un nocciolo ciò che serve, ciò che basta è già lì. C’è solo da da riconoscere e aggiustare, che non richiede trasformare, da aggiungere un po’ di creatività, niente di nuovo. Un nocciolo solo da trattenere, un po’ di fantasia. solo da custodire. 13 IL CUORE COMUNE DI CIÒ CHE ESISTE di Thomas Müller L’essenzialità è il cuore comune di ogni cosa. cose che ci attirano, gli ideali che inseguiamo, Nell’essenzialità dell’altro, di un avvenimen- ci nutrono solo in quanto noi li “addomestito, di un sentimento riconosco la mia propria chiamo”, naturalmente non nel senso di coloessenzialità e il mio destino comune a tutte le nizzarli ma di lasciarli entrare dentro di noi, in realtà di questo mondo. casa nostra, nel nostro spazio più intimo. Oggigiorno non è facile vivere la consapevo- Che le cose esterne diventino interne, come lezza del collegamento fra tutte le cose in Dio, quelle interne esterne: in ciò possiamo scoprie che ci fa riconoscere le mille cose del mondo re il collegamento fra l’interno e l’esterno e esterno e dei nostri mondi interni come tanti fra tutte le cose. Siamo chiamati a riconoscere fili di un unico tessuto. il mondo come un mondo unico, un mondo Quotidianamente devo richiamare me stesso fatto di una sola sostanza, ciò che chiamiamo dalle distrazioni che mi portano al superfi- “l’essenziale”, l’essenzialità. ciale e al superfluo invece che all’essenziale, Possiamo dare tanti nomi a questa essenza: e lasciarmi prendere da ciò che mi nutre ve- l’invisibile, il cuore, la vita, Dio… non imramente: l’essenziale che non s’impone con porta. Importa invece sapere che è la nostra voce rozza o insistente, le cose autentiche che capacità di riconoscere l’essenzialità delle richiedono solo la mia semcose, delle persone che alla plice presenza. fine ci dà ciò che noi cerchiaPerché è così difficile stare La divinità dell'uomo mo e di cui abbiamo bisogno nell’essenzialità delle cose, per vivere: il riconoscimento è la sua capacità di nella consapevolezza del della nostra propria essenziavedere la divinità tutt’uno? Perché siamo così lità e attraverso di lei il notanto distratti? Antoine de stro collegamento con il tutto dell'altro. Saint-Exupéry nel racconto che c’è. Il Piccolo Principe ce lo dice Parlando della Genesi e della con parole chiare e nette: “È molto semplice: creazione dell’essere umano ad immagine di non si vede bene che col cuore. L’essenziale è Dio, sentii un rabbino dire: “la divinità delinvisibile agli occhi… È il tempo che hai per- l’uomo è la sua capacità di vedere la divinità duto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa dell’altro”. così importante… Tu diventi responsabile per Mi è sempre rimasta in mente questa semplisempre di quello che hai addomesticato.” ce e radicale affermazione. L’essenzialità per Rimaniamo troppo sulla superficie delle cose. me non è frutto dei bei pensieri astratti, ma Ci interessano solo in quanto possono darci di un impegno quotidiano, di una “tensione” qualcosa, materialmente, emotivamente, spi- ininterrotta che, più che altro, mi mette conritualmente. tinuamente di fronte alle mie incapacità e ai Cerchiamo sempre al di fuori di noi le cose miei mille modi di sfuggirmi ed ingannarmi. che ci possono nutrire, che ci possono dare Alla fine riesco a riconoscere che l’essenziale soddisfazione e felicità. E non riusciamo a tro- è sempre lì, dentro e fuori di me, che l’essenvarle. È ugualmente vero che non le troviamo zialità è nient’altro che la materia della quale neppure dentro di noi, quando trattiamo que- noi, io e tutto il resto siamo fatti. sto spazio interiore come una realtà scollegata Mi basta fermarmi un po’ ed ascoltare il mondal resto del mondo, quando viviamo la nostra do che mi circonda e che mi riempie per sentiinteriorità come un regno separato dagli altri. re il vento che passa dentro e fuori di me e mi I rapporti con le persone che amiamo, le belle unisce con tutto ciò che c’è. 14 Foto di Massimo Schiavo Le parole devono essere poche, fra spazi e silenzi. Così vivono. Lalla Romano 16 Foto di Giuliano Fantechi Senza studiare, senza fiatare, basta intuire che è anche troppo. Colpo d’occhio è quello che ci vuole, uno sguardo rapido. Il nostro suono, il nostro suono è un battito. Ivano Fossati 17 LE PIETRE DI FUOCO di Wolfgang Fasser Sono grandi caramelle colorate, che vengono lanciate come segno di gioia alla fine di ogni matrimonio in Svizzera. La loro ricerca è anche la prima occasione in cui un bambino di allora, uomo oggi, si accorge che la sua vista non è uguale a quella degli altri bambini, che potrà trovare le sue pietre di fuoco solo con un cammino diverso, più lento, più attento ai particolari, più essenziale. Il nostro Wolfgang Fasser, fisioterapista, musicoterapeuta, non vedente a causa di una malattia da quando aveva 20 anni, ci permette di conoscere questa storia tratta dalla sua vita. Ne sta raccogliendo altre che, come sassi di Pollicino, costruiranno un cammino che per noi diventerà un libro in uscita nei prossimi mesi. Suonano a festa le campane nella chiesa del mio paese. È il segnale. La cerimonia del matrimonio sta finendo e gli sposi stanno per uscire. Con gli altri bambini arriviamo a frotte davanti alla chiesa. Non conosciamo nessuno, ma che importa? Ci interessa quello che avverrà tra poco: sposi e invitati usciranno di chiesa, saliranno sulle loro macchine e da lì ci lanceranno manciate di caramelle. È una nostra tradizione, come il vostro riso, le caramelle sono la scia di dolcezza che gli sposi lasciano per condividere il loro primo cammino insieme. Sono caramelle grandi, colorate di rosso acceso, di verde, di giallo. Le chiamiamo pietre di fuoco. Buonissime. A pensarci già ne sentiamo il sapore. Ed ecco, le macchine si mettono in movimento, il festoso corteo parte: è ora, i finestrini si abbassano, spuntano fuori mani cariche di pietre di fuoco. Corriamo, corriamo forte, è una gara tra noi bambini raccoglierle appena cadono in terra, farne bottino, dimostrare di essere i più veloci. Ci provo anch’io. Ma i miei occhi non mi danno retta. Il mio campo visivo è troppo stretto per individuare la traiettoria delle caramelle. Mi devo muovere con lentezza, quando arrivo gli altri bambini si sono già presi tutto. Le mie tasche restano vuote. “Non vedo, non vedo come gli altri”. Per la prima volta percepisco con chiarezza che la mia vita sarà 18 diversa, diversa da quella dei miei compagni. È un momento duro, durissimo, per me. Eppure non sono triste. È difficile spiegarlo: mi sento come toccato da Dio, con dolcezza. Vivo sulla mia pelle l’esperienza di una fiducia profonda e consapevole verso un ordine più grande di me. In quell’ordine c’è spazio anche per la mia diversità. “Va bene così”, mi dico mentre vedo gli altri bambini che sciamano festosi verso casa portando i loro colorati trofei di zucchero. Io non ho fretta. Mi muovo lentamente, ora che sono solo posso guardarmi intorno con calma, soffermarmi sui particolari. Sono di nuovo davanti alla chiesa, in uno spazio verde abbracciato da alcuni ippocastani. Cammino tra le foglie, le smuovo delicatamente, ed ecco, d’un tratto, la sorpresa: ma sì, sono loro, una rossa, una verde, una blu. Tre pietre colorate. Nessuno aveva guardato lì sotto: quelle pietre di fuoco erano nascoste per gli altri, ma non per me. Le ho tenute in casa molto tempo. Contenevano un messaggio troppo prezioso: mi ricordavano che la mia diversità non era un’esperienza solo negativa. Anche la mia vita avrebbe avuto lo stesso una sua ricchezza, un suo significato. In posti nascosti, all’ombra, come sotto a quelle foglie, avrei trovato altre pietre colorate. Foto di Massimo Schiavo Non si comunica con gli altri se non si riesce a trovare sé stessi, non ci si ritrova che a patto di ridimensionare le cose attorna a sé. Domenico Bianco 19 Desiderio di deserto Di Maurizio Valleri e Rita Garfagnini È un’esperienza speciale, di incontro in profondità con se stessi e con la natura nella sua essenza: sabbia, rocce, cielo. È il deserto che, sui passi di Charles de Foucauld, ormai vari gruppi di amici della Fraternità hanno intrapreso. Maurizio e Rita ci raccontano il loro viaggio, tra le dune del Sahara. Quale fosse il motivo di questo desiderio di deserto, non lo sapevamo, fino a quando non abbiamo sentito la nostalgia nel salutare Alì, Mustafà, Ibrahim, Kadì, e Baschir la notte del ritorno, alla partenza dall’aeroporto. Avevamo un bisogno quasi fisico di mettere “spazio” fra noi e le paure che c’inseguono, mettere “tempo” fra noi e questo periodo fatto d’esami, visite mediche e terapie. Il deserto è ambiente da affrontare leggeri, così per agevolarci qualcuno degli inservienti dell’aeroporto ha pensato bene di non spedirci metà del nostro bagaglio. Ma forse è l’essere nei luoghi di Charles de Foucauld che ci fa dimenticare rapidamente l’inconveniente, trasformandolo in occasione di leggerezza e condivisione. Da Tamanrasset, dalla capanna dove ha vissuto Charles, fondatore dei Piccoli Fratelli, comincia il nostro viaggio con quattordici compagni di età, provenienza e storie diverse. Partiamo, la mattina, con un’emozione che condividiamo per adesso solo con gli occhi. La strada lascia presto il posto alla sterrato e questo, a sua volta, a quello che era il letto di un fiume. Le case si cambiano in capanne e presto scompaiono, come le tracce della pista. Gli occhi che Mohammed, la 20 nostra guida, tiene seminascosti dietro lo chech, il turbante, vedono cose per noi invisibili e i fuoristrada si muovono sicuri seguendo fili tesi fra punti di riferimento a noi ignoti. Il primo campo ci lascia senza fiato: è una duna di sabbia altissima appoggiata ad una ripida collina di roccia, che sembra voler seppellire. Come bimbi, neanche il tempo di scendere e siamo già a seguire, a piedi scalzi e in fila indiana, il crinale che ci porta in vetta. In cima siamo senza fiato, per la fatica del cammino ma anche per lo sguardo che spazia quasi senza vedere l’orizzonte nella luce della sera. Il campo è laggiù, in fondo alla discesa, molto più in basso, dove le nostre guide ci stanno preparando il tè. Trovare questa bevanda calda alla fine del giorno, sarà uno dei momenti più belli per l’occasione di scambiarsi le emozioni vissute, le difficoltà incontrate nell’oggi e nella vita o semplicemente gustare il silenzio. È la prima notte nel deserto, la prima nella piccola tenda igloo, la prima in questo luogo fatato. La pace di stare con se stessi Ci alziamo presto ogni giorno, per svolgere le attività del campo ma, soprattutto, perché le prime ore del giorno offrono grandi opportunità per trovare un po’ di spazio-tempo da dedicare a noi stessi. ognuno portando qualcosa della sua tradizione ed L’aria è fresca, il sole, ancora basso, delinea le abbattendo ogni distanza. ombre fra le rocce e puoi camminare in silenzio, Kadì, con il suo strumento, suscita suoni e meloascoltare la sabbia che lascia affondare il tuo pas- die tipiche di questi luoghi. Canta e si muove con so, osservare le tracce dei piccoli animali notturni delicatezza, questo gigante nero dagli occhi grandi o, semplicemente, stare a braccia aperte in modo e dolci. Questi ritmi sembrano invitare a muoversi che il silenzio che entra dentro ti svuoti dai pesi con morbidezza, senza frenesia in maniera più accumulati e faccia posto al senso di pace. consona alla nostra corporeità. I fuoristrada si muovono su terreni sempre diversi, Comprendiamo come muoversi lentamente, non sulla sabbia compatta dove puoi correre veloce affrettarsi sia un’esigenza dettata dal luogo, ma gareggiando senza successo con le gazzelle, su anche qualcosa di più: un’interpretazione di vita. piastre friabili di roccia che si sgretolano come Sollan sollan, nella lingua dei nostri amici tuafette biscottate sotto le ruote dentate, sulla sabbia reg, è la leggerezza nel muoversi e nel parlare, è punteggiata da miriadi di l’attenzione ai gesti ed alle sassolini neri oppure cercose che fai, è interpretare cando passaggi improbabili il tempo e lo spazio dando Soltanto guardando fra fiumi di rocce aguzze. importanza all’essenziale. l'effimero dall'infinito, La luce e le ombre disegnaPer questo viaggiamo del'effimero no le ore del giorno e conpurandoci dall’eccesso, dal sumano il nostro viaggio, superfluo e, nello stesso cessa di essere ma non la sensazione di tempo, evitando gli sprechi una prigione. percorrere un Sahara senza e dando valore all’essenza limiti. Per non fuggire il delle cose, come l’acqua. tempo e dare senso alla spazio, ancoriamo il nostro Durante il nostro cammino abbiamo incrociato sguardo ai grandi archi forati, alle cattedrali di due pozzi ed, intorno a loro, anche gli unici gruppi roccia che assumono il colore rosa del tramonto, ai di persone oltre al nostro. Pastori di dromedari e pinnacoli isolati sormontati da cappelli di pietra, ai capre, riservati ma cordiali, poveri, per i nostri volti di giganteschi guerrieri o alle forme d’animali criteri di valutazione, ma dignitosi e perfettamente pietrificate dal tempo. Salire in alto, sulla vetta di integrati in un ambiente che continua a meravigliarqueste formazioni, diventa quasi un’esigenza, quasi ci ogni giorno e sempre più ci rivela che il deserto poter definire un limite a questo spazio attraverso non è uno, ma una complessità. È la calura che ti l’altezza ma è, nello stesso tempo, fruire della pace sorprende improvvisa, ma anche l’ombra che ti di stare con se stessi, lavarsi gli occhi e la mente fornisce refrigerio; è la duna del nostro immagida cose insignificanti e dalle paure. nario che sembra un onda da cavalcare, ma anche In fondo al giorno, all’interno del campo, ci ritro- la roccia su cui arrampicarti; sono i graffiti, traccia viamo intorno al fuoco, dove solo la legna degli remota d’uomini che ci hanno preceduto, ma analberi secchi trovati per via, ha il diritto di ardere. che le increspature della sabbia che domani non Affamati e assetati, ci sediamo sui tappeti stesi al saranno più le stesse; è il sole padrone, ma anche riparo delle auto e la zuppa di verdura, rigorosa- le stelle che non rendono mai buia la notte; è la mente speziata di cumino, ci sembra non possa calma piatta del pomeriggio, ma anche il vento che essere superata da nessun’altra pietanza. Accovac- la notte sembra strapparti la tenda; sono le scarpe ciati nelle loro lunghe vesti colorate, Ibrahim e Alì, che si riempiono di granelli rosa, ma anche le tue vigilano attenti alle nostre esigenze, per poi unirsi impronte accanto a quelle della persona che ami; nella cena ai loro compagni Tuareg ed approfittare è l’aranciata fatta con l’acqua fresca della ghirba, per parlare ridere di chissà cosa o chissà chi. ma anche il caldo tè tuareg forte come la vita, dolce come l’amore e leggero come l’amicizia. Un invito a depurarci dal superfluo Tutto questo è il deserto e molto di più ancora La giornata è lunga ma mai troppo perché non potrai trovare, nascosto dentro di lui e dentro di finisca cantando, ballando o giocando tutti insieme, te, se verrai a trovarlo… sollan… sollan. 21 Un pomeriggio con ERRI DE LUCA a cura di Massimo Orlandi Ci sono cammini che hanno già fatto tanta strada prima di incontrarsi. A Romena, sin dagli inizi, abbiamo letto e amato Erri De Luca nei suoi libri, nei suoi articoli. Il 17 giugno, grazie al ciclo di incontri “Le parole e il silenzio” organizzato dalla Fondazione Baracchi, lo scrittore napoletano è venuto a Romena. Lo abbiamo accolto in tanti, con energia e calore. Ecco solo alcuni frammenti di quella conversazione. La Bibbia Il posto dove mi sento più al largo è quando leggo la Scrittura Sacra, lì sono ospite di quegli spazi e di quella lingua che pur essendo come un’isola, molto circoscritta (l’antico ebraico ha poco più di 5.000 vocaboli) per me contiene tutte le vie di deserto percorribile, tutti gli isolamenti possibili. Io non sono credente, ma non credo che quella storia si rivolga a dei credenti. Racconta una relazione, una volontà di manifestazione di una divinità che aveva un’urgenza, che gli scappava dalle mani e dalla bocca, di fare, di creare, di dire e di rivolgersi. E si rivolge ad un piccolo gruppo di ascoltatori scelti. È una storia che si svolge tra di loro. Resta un mistero per me come quella storia sia diventata poi il caposaldo della cultura della nostra civiltà. Come quella piccola divinità, che pretendeva di essere l’unica, è riuscita a convincere tutti quelli di quel mediterraneo che avevano inventato tutte le divinità possibili immaginabili. I greci avevano esaurito così tanto la loro fantasia che si erano inventati pure un altare a un Dio sconosciuto “ce ne fossimo scordato uno”. Ecco, proprio in mezzo a questa prolificità di inventiva 22 teologica si andava a piazzare una divinità nuova che buttava all’aria il banco, le cancellava tutte. Le estirpava dal suolo, dal cuore degli uomini. Quella lingua e quella storia contengono una forza creatrice e distruttrice, insieme, nella quale io ci sono rimasto ficcato dentro. Io mi sveglio tutte le mattine con quella lingua e faccio questo percorso di sonnambulo. Certo, non sono uno che sta camminando bene, ad occhi aperti, là sopra. Sta sentendo una voce… perché la pronuncio anche, la dico perché quella è una Scrittura, noi la chiamiamo Bibbia, ma in ebraico si dice “miqrà”, cioè lettura e lettura con la voce. E così mi introduco dentro una giornata nuova. Quello è per me il largo. Uscire dallo stretto, dal chiuso, dal buio della notte in cui dormo come un morto e ogni mattina mi sembra di risorgere… Credo di non spostarmi neanche nel letto dalla posizione in cui mi metto a quella del risveglio, come una mummia. E poi invece la mattina avviene la resurrezione con l’ebraico antico e con il caffè napoletano! Credere Sono rimasto un non credente, uno che tutti i giorni sta lì e non si sposta da quella estraneità. Mentre penso che esista nella vita degli altri. Esistono delle notizie, delle consistenze nella vita lo insultano. Lo fanno stare in piedi e lo trattano degli altri che io ignoro e che prendo per buone. male. Poi arrivano alla stazione, e qui l’uomo Non ho la presunzione dell’ateo che dice non viene accolto con grandi onori. Fa tutta la sua c’è niente, non esiste niente e che quelli che ci lezione, il suo racconto, la spiegazione della Scritcredono sono dei mutilati che hanno bisogno di tura Sacra che gli è stata assegnata e poi quegli una protesi per reggersi. No, non ce l’ho quella ebrei che lo avevano insultato cercano di andare notizia con quella certezza dell’ateo. da lui per chiedergli scusa per il modo con cui si La differenza maggiore sta tra credenti e non cre- sono comportati. Vogliono il suo perdono ma lui denti, perché sia il credente che il non credente è risponde: “Io vi perdonerei tanto volentieri, ma qualcuno che sta ubbidendo al participio presente; non posso perché voi dovete andare a chiedere è qualcuno che si trova quella questione e quella perdono a quello del treno, non a me”. È proprio Scrittura e quella Presenza tutti i giorni nella sua così: tu quella cosa lì non la puoi più riparare, però vita e dà una risposta: il credente rinnovando la tutte le volte che in quella stessa circostanza evisua fiducia, il suo affidamento, la sua carta di terai di fare quella offesa, avrai chiesto perdono a credito nei confronti di quella divinità, il non quello del treno. Cioè, quella singola cosa la puoi credente senza riuscire a farci niente. Ma insom- poi moltiplicare, come esperienza di perdono, non ma credo che siano affini perché si “scocuzzano” con quello che hai offeso, ma con tanti altri che tutti i giorni, o spesso, con quella domanda. Penso magari non offendi più, per cui quella lezione ti che invece siano affini l’ateo e il talebano, quelli è servita almeno per rimanere nel tuo ambito di che hanno risolto il problema una volta per tutte. correttezza, di dignità umana. Quelli lì si somigliano di più. Quindi la contraddiL’amore Mi sento un passaggio zione maggiore non sta tra L’uso del verbo amare mi di mente sul mondo, credente e non credente, ma sembra un buon uso. Se ne con però, tra i credenti-non credenti e fa poco. Se ne fa poco anche gli atei-talebani. tra i poeti o i romanzieri. la consistenza Noi a Napoli ci mettiamo del dono di vivere. Il perdono due emme “Ammore”. Io non sono capace di perMi piace tutte le volte che donare. Non riesco a perdonare nessuna di quelle trovo il verbo amare. Credo che quel monoteioffese che sono state recate a me e agli altri. Ho smo, di cui si parlava all’inizio, sia riuscito a un effetto secondario: io me ne scordo! E quindi fare piazza pulita di tutti gli altri perché è l’unica è come se fosse passato perché poi quando me fra le divinità che si è rivolta a quel sentimento ne ricordo, il fatto di essermelo scordato ha tolto della creatura umana, alla più forte energia pulita quel nervo del risentimento, e quindi è andata. prodotta dal corpo e dalla creatura umana che è Basta che me ne scordi. l’amore. “Amerai il tuo Dio con tutto il tuo cuore, Ma neanche so dire a qualcuno “Scusa, perdono con tutto il tuo fiato, con tutte le tue forze”. Ma per quello che ti ho fatto” perché penso che quello quale divinità prima si era azzardata a bussare a che si fa è irreparabile, non si può riparare, è questo sentimento?! Questo “a tutto il tuo cuore, andata. tutto il tuo fiato, tutte le tue forze”, insomma lo C’è una storiella ebraica che ho trovato leggendo svuotamento totale delle energie fisiche. Simpaquegli argomenti. Un illustre studioso, un rabbi- tico che non dica assolutamente “con tutta la tua no, un grande saggio del Talmud, poverissimo, intelligenza, con tutta la tua scienza, con tutta la miserabile, viene invitato nella grande sinagoga tua cultura, il tuo sapere, la filosofia” proprio non di Varsavia e dunque si avvia nei suoi poveri gliele importa niente, non è quella, non è da quelle panni, dal suo villaggio. E sale su un treno, su un parti lì che vuole essere acciuffato, che vuole vagone di terza classe e lì ci sono altri ebrei che essere ricambiato. Però se c’è un motivo per cui stanno andando proprio a quell’appuntamento quel monoteismo si è piantato dentro la nostra che non lo conoscono né lo riconoscono, e che civiltà è per via di quel verbo. “Amare”. 23 Senza varcare la soglia di Massimo Orlandi Lettere tra Sorella Maria e Albert Schweitzer Sorella Maria vive in un eremo nascosto nel cuore dell’Umbria. Albert Schweitzer in un ospedale immerso nell’Africa equatoriale. Non si vedranno mai. Eppure oggi possiamo raccontarvi il loro incontro: sono lettere, sono decine di foto, di biglietti, di doni, di pensieri. Li abbiamo raccolti in un libro che non solo ci permette di vedere da vicino queste straordinarie figure, ma anche di capire quanto profonda e libera possa essere un’amicizia. Spesso le raccolte di lettere consentono di aprire spazi nuovi, sconosciuti, nelle biografie di personaggi noti. La loro pubblicazione è però delicata, perché la lettera apre canali di comunicazione molto intimi.Le lettere tra Sorella Maria e Albert Schweitzer non sollevano questo imbarazzo. All’eremo la lettura della corrispondenza è un rito quotidiano e corale, a Lambaréné, Schweitzer si lascia sempre aiutare dalla sue collaboratrici più fidate; il dono di questo incontro a distanza è così grande, per i due protagonisti, che non può essere loro patrimonio esclusivo: e così le loro lettere riescono a tenere insieme, magicamente, due cuori e due comunità. Il carteggio è quindi soprattutto una celebrazione dell’amicizia, di un’amicizia così libera e liberante da non aver bisogno di nulla, nemmeno della conoscenza diretta. Cammini paralleli Le lettere coprono gli ultimi anni del cammino sulla terra dei due protagonisti. Ma la sensazione che si ha, leggendo il cammino di Schweitzer e di Sorella Maria è che questa amicizia si sia preparata per tutta una vita. Un primo segno di vicinanza è quello di partenza: entrambi sono nati esattamente 75 anni prima di conoscersi, lui il 14 gennaio del 1875, lei appena dieci giorni dopo. “Valeria Pignetti”, scrive nei registri l’impiegato dell’anagrafe di Torino. Il nome Sorella Maria lo detterà la vocazione. Suora nell’ordine delle Francescane missionarie, superiora dell’ospedale anglo-americano di Roma che svolge assistenza a 24 militari feriti, Sorella Maria nel 1919 lascia l’ordine per obbedire a una chiamata: è il bisogno di creare una comunità, un luogo dove tutti possano essere accolti senza distinzione, con fraternità, con rispetto, dove si viva in semplicità e povertà. La destinazione ha già una forma nel cuore, ma ci vuole ancora un lungo pellegrinaggio perché quel luogo si possa trovare, inerpicandosi sui colli dell’Umbria. È l’eremo di Campello, un piccolo gioiello che la foresta nasconde e protegge, non lontano da Assisi. Da allora (siamo nel 1926) l’eremo e le sue sorelle offriranno un luogo di accoglienza, di abbraccio, di attenzioni, di libertà a tutti i pellegrini. “La nostra - scriverà sorella Jacopa, che Maria, per sottolinearne la vicinanza, chiama l’Unanime - è una vita fraterna di spirito monastico antico, su radici benedettine e francescane. È clausura senza chiusura. Non siamo né monache né suore, Non abbiamo una regola speciale, ma seguiamo con semplicità e amore il pensiero di San Francesco”. In parallelo a quella di Maria anche la vita del giovane Schweitzer, nato in Alsazia, è segnata da una chiamata. Giovanissimo si è già affermato come predicatore, come saggista, come pianista, ha la vita che si apre a ventaglio, ma che finirà per muoversi dietro una nuova vocazione: “Mi riusciva incomprensibile – scriverà – che io potessi vivere una vita fortunata mentre vedevo intorno a me così tanti uomini afflitti da ansie e dolori. Mi aggrediva il pensiero che questa fortuna non fosse una cosa ovvia ma che dovessi dare qualcosa in cambio”. Decide così di studiare medicina e nel 1913, subito dopo la laurea, sposta la sua vita verso il caldo torrido del Gabon, nel cuore dell’Africa. All’ospedale di Lambaréné, da lui costruito, la cura delle terribili malattie tropicali e della lebbra è anche un’occasione perché finalmente l’uomo bianco e l’uomo nero si tendano la mano. Le semplici strutture in legno sono aperte: l’ospedale è una comunità dove si fa casa nella sofferenza e nella speranza. E il segreto non sta nel bisturi, non nelle medicine, quelli sono solo i primi messaggeri di pace che l’Occidente porta in questo continente, il segreto è nel senso di umanità che tutto abbraccia, che nulla chiede in cambio. Schweitzer ha messo la sua vita, i suoi studi, le sue riflessioni filosofiche in quattro parole: rispetto per la vita. E Lambaréné rappresenta lo specchio fedele di un pensiero che non può esistere se non facendosi concreto. Anche per questo, nel 1953, gli verrà assegnato il Premio Nobel per la pace. o Giovanni Vannucci. In questo abbraccio gioioso verso tutte le forme dell’umano si rimpiccioliscono sino a svanire i tanti muri, spesso fittizi, creati nei secoli dalla mente umana in ambito religioso. Così l’ecumenismo rappresenta sia per Sorella Maria che per Schweitzer non una diplomazia delle confessioni, ma una forma spontanea di incontro con tutti coloro che amano Gesù. “La fede – sostiene Sorella Maria – non si trova nelle formule teologiche, non essendo l’atto di credere ai dogmi e ai misteri teologici. La fede è l’invincibile fiducia nel Padre”. “Un cristiano – sintetizza Schweitzer - è uno che ha lo spirito di Cristo. Questa è l’unica teologia”. Un abbraccio verso il mondo È un destino delle profezie quello di abitare in periferia. Lambaréné è nella giungla africana, Campello nei boschi dell’Umbria. Ma l’isolamento fisico è solo apparente: in realtà questi luoghi hanno le braccia aperte sul mondo, e se sono distanti rispetto ai centri pulsanti della nostra civiltà è solo per essere più vicini all’uomo. Lambaréné e il suo fondatore diventano negli anni il simbolo di un mondo che che può riconciliarsi solo se impara a ridare il giusto valore alla vita. L’azione di Sorella Maria si compie in maniera meno pubblica, meno eclatante. Ma è sorprendente vedere quanti fili partano e quanti fili ritornino all’eremo scrivendo traiettorie d’incontro e di amicizia: prima di Schweitzer, Sorella Maria corrisponde con Gandhi e con figure chiave di una chiesa che cerca di rinnovarsi come Primo Mazzolari La corrispondenza più preziosa Gennaio 1950. Quando Sorella Maria invia la sua prima lettera a Schweitzer tutto è ormai pronto perché tutto, in fondo, era stato già preparato. Seguono almeno 60 intensi momenti di incontro. Nero su bianco. “La corrispondenza con Sorella Maria – dirà Schweitzer – è la più preziosa che abbiamo”. Sorella Maria scrive l’ultima lettera a Schweitzer nel gennaio 1961. Muore pochi mesi dopo. Il dottore continua a comunicare con l’eremo fino a un passo prima del suo ultimo respiro, nel 1965. Alla vigilia di Natale di quell’anno a casa del dottore viene recapitato un ramoscello d’ulivo. A Campello arrivano invece alcune foglie della vite rampicante che riveste la casa di Schweitzer. Accade la stessa cosa un anno dopo e un anno dopo ancora. Un ramoscello d’olivo nello studio del dottore. La vite rampicante sulla madia di Campello. L’amicizia continua. Non aveva avuto bisogno di un incontro. Ora non le servono più neanche le parole. Quello che posso fare è una goccia d’acqua in un oceano. Ma è ciò che dà significato alla mia vita. Che resterà di noi? L’eco di un canto d’allodola in un cuore che l’ha ascoltata. Albert Schweitzer Sorella Maria 25 Coraggio alzati La nuova veglia di Romena “Lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Permettete che vada a prendere un boccone di pane E rinfrancatevi il cuore; dopo, potete proseguire”. (Genesi 18, 1-10) Bastano poche cose per portare Romena in giro per l’Italia. Il silenzio, il lume di una candela, la lettura di alcuni brani (quest’anno il testo della Veglia, basato su alcuni passaggi della Bibbia, è stato scritto da don Luigi), pensieri, la musica della pieve, composta e eseguita da Antonio Salis. Poche cose ed essenziali, ma messe insieme sono le nostre veglie, sono le occasioni per incontrarsi in ogni angolo d’Italia. Da Biella a Messina, da Rovereto a Lamezia Terme, da Milano a Bari, Romena si mette in movimento per “fare casa” ovunque ci siano amici che lo richiedano.Quest’anno trenta città accoglieranno la nostra veglia,trenta città saranno Romena,per una sera, creando quel clima di accoglienza semplice, di intimità nel quale incontrare se stessi, gli altri e forse anche Dio. Coraggio Alzati è il titolo della veglia. Un tema che si svilupperà attraverso tre fasi: “Getta il mantello del lutto”, “Rivestiti del mantello della giustizia”,“Alzati e guarda verso oriente” e nel quale si intesseranno i canti, le riflessioni e il silenzio. 26 San Benedetto del tronto Chiesa SS. Annunziata - Porto d’Ascoli ore 21,00 S. Angelo in Vado Monastero Serve di Maria ore 21,00 Biella Santuario Madonna della Brughiera - Trivero ore 21,00 Genova Nostra Signora Assunta di Rivarolo ore 21,00 Rovereto Parrocchia di Santa Caterina - Frati Cappuccini ore 21,00 Udine Parrocchia di San Pio X ore 21,00 Padova Parrocchia SS. Trinità - via Bernardi ore 21,00 Brescia Chiesa di San Faustino ore 21,00 Bergamo Parrocchia di S. Paolo d’Aragon ore 21,00 Milano Parrocchia Beata Vergine - Lavanderie Segrate ore 21,00 LaMezia Terme Chiesa del Carmine - Sambiase ore 20,30 Catania Parrocchia SS. Pietro e Paolo - via Siena ore 20,30 Messina Parrocchia S. Gregorio Magno - Villa Franca Tirrena ore 20,30 Napoli Istituto Maria Ausiliatrice, via Alvino 9 - Vomero ore 21,00 Valdarno Pieve di Cascia - Reggello ore 21,00 Firenze Parrocchia dei Salesiani - via Gioberti ore 21,00 26 Settembre 27 Settembre 2 Ottobre 3 Ottobre 16 Ottobre 17 Ottobre 18 Ottobre 23 Ottobre 24 Ottobre 25 Ottobre 5 Novembre 6 Novembre 7 Novembre 8 Novembre 21 Novembre 12 Dicembre 27 AVVISI CORSO BIBLICO con Paolo De Benedetti “Giobbe” 12 - 13 - 1 4 Ottobre Festa d’Autunno Una semplice festa all’insegna dei frutti di questa stagione. Un momento d'incontro, di ascolto, di abbraccio. Stiamo preparando gli incontri della giornata, per il programma definitivo ti invitiamo a consultare il nostro sito www.romena.it 21 Ottobre CORSO con Antonietta Potente “La lotta con Dio” 17 - 18 Novembre 28 La nuova Agenda di Romena Ogni Giorno 2008 “Dobbiamo essere sempre nuovi, nuovi nel pensiero, nel sentimento, nella volontà, nell’amore per le cose, dobbiamo essere sempre pronti al distacco perché ogni alba ci ritrovi freschi e aperti per ricominciare la nostra esistenza.” Giovanni Vannucci O gni giorno è una finestra aperta sul nuovo. All'orizzonte c'è la nostra vita, che verrà. Questa agenda vorrebbe offrirvi lo spazio per progettare o immaginare il vostro tempo che sarà, ma anche l'occasione per accogliere il tempo che è, per provare a renderlo più fertile. Quest'anno ci accompagnano lungo le settimane e i mesi i pensieri e le intuizioni di Giovanni Vannucci (1913-1984), una delle figure più innovative e profetiche della nostra spiritualità recente. Accanto alle sue anche le piccole perle quotidiane di artisti e pensatori, di uomini di fede, di cultura, di scienza. Piccoli semi da far germogliare, giorno per giorno. Puoi trovarla o ordinarla nella tua libreria (è distribuita da Messaggero Distribuzione) o a Romena. Prezzo euro 14,00 - ISBN 978-88-89669-19-8 Disponibile da fine ottobre 2007 29 GRAFFITI igi, ultimamente ha sottolineato la stupidità di cercare un senso alla propria vita. È vero la vita, in quanto tale, in quanto dono di cui prendersi cura, ha già un senso in se stessa. E allora da cosa nasce l’ansia che ho di trovare questo fatidico senso? Guardo attentamente: non do ascolto alla mia parte profonda e, quindi, antepongo i miei bisogni superficiali a quelli essenziali. Teoria! Come fare in pratica a discernere gli uni dagli altri? Darmi delle ricettine sarebbe facilissimo: “non occorre che tu tolga niente, basta che tu guardi con occhi nuovi ciò che hai già!!” già, si fa presto a dirlo, ma a farlo?! Mi occorre un’esperienza concreta… il Cammino di Santiago. Il Cammino è un’ottima palestra per fare ordine, per ridimensionare bisogni e capricci: camminare, solo camminare senza avere altro fine se non quello di raggiungere la meta giornaliera che, comunque, non è sempre quella da te programmata; la giornata va come deve andare. Ho percorso, prevalentemente da sola, 800 km, portando sulle spalle, come una tartaruga, la mia casa: uno zaino pieno solo del necessario, dell’essenziale, senza orpelli. Passo dopo passo, libera da pre-occupazioni, era più facile accorgermi che ogni incontro arrivava al momento giusto e, ad un livello o ad un altro, produceva uno scambio creativo; era più facile guardare in profondità, scorgere il seme che deve morire per dare frutto; era più facile guardarmi intorno e provare una sensazione di benessere di armonia, sentire che ogni piccolo particolare che la natura mi offriva era lì anche per me. Non avrei potuto fare una scelta più indovinata per rispondere alla necessità, che sento da tempo, di sperimentare uno stile di G 30 vita esenziale: ho avuto la conferma che, per me, sfrondare, togliere non vuol dire “privarsi” vuol dire trovare il molto nel poco. Carla iao Carissimi, sono una fortunata perchè conosco Romena dal 1995, anno del mio Primo corso con un forte Gigi! Ma mi ritengo fortunata anche perchè, con insistenza ho potuto ripetere il Primo corso il 20/21/22-04 con Pigi, non da meno di Gigi! Romena ha per me una forza che mi piace mantenere viva nella mia vita, mi ha aiutata a cominciare a considerarmi un essere di valore, certo con difetti ma che se accolti e non esagerati li puoi cambiare. Fu per me quasi doloroso sentirmi dire che andavo bene anche così, cominciare ad accogliermi! Molto forte! Perchè da lì il passo è breve per accogliere gli altri! È Essenziale non abbatterci per alcuni difetti, entriamo nel labirinto della vittima e non se ne esce più, perchè quasi diventa comodo! Molte vite si sciupano per questo. Prendere responsabilità è vitale ed accresce la nostra maturità, per questo Romena, con tutte le esperienze che possiamo fare ci aiuta a trovare il meglio di noi, con la possibilità di essere di aiuto anche al prossimo! Grazie, grazie di cuore a te Gigi, che mi hai sopportato in tutti questi anni, sperando nella mia crescita, Grazie ancora e un ABBRACCIO FORTE A TUTTI. C Rober ta A causa di un guasto al nostro computer la maggior parte delle mail inviateci sono andate perdute. Ci scusiamo per la mancata pubblicazione dei vostri contributi. e si prova ad associare una figura umana al concetto di essenzialità, a molti verrà subito in mente l’anziano asceta, che medita in una grotta o sulla cima di una montagna alla ricerca del senso ultimo delle cose. Ho solo ventisei anni, ma questa immagine di persona che ricerca la propria essenza nel raccoglimento e nella riflessione mi accompagna da sempre: ho vissuto tentando di aderire alla mia natura più profonda, alla ricerca della mia intima specificità, con un atteggiamento minimalista che mi portava a ridimensionare gli aspetti della vita accessori ed accidentali, quelli che portano soltanto piccoli piaceri e dolori. Condivido ancora lo spirito di quella ricerca, ma credo anche che così impostata essa non produca esiti. L’essenzialità non si esplica nello stare immobili di fronte al mondo, osservandolo; è piuttosto un modo di entrare in contatto con le cose, con semplicità e immediatezza. Se fuggo dal contatto con le esperienze della vita, se non imparo a conoscere la mia modalità fondamentale di stare al mondo, il tentativo di adeguarsi a una S mia immagine superiore, perfetta e distaccata diventa la ricerca di un altro diverso da me, e contraddice l’essenzialità stessa, che è appunto lasciar esprimere con spontaneità il proprio io. Essere essenziali significa essere capaci di muoversi in equilibrio sul nucleo della nostra personalità: niente di quello che facciamo è accidentale, ogni nostra piccola azione esprime Marco Aldo PROSSIMO NUMERO: il giornale in uscita a Dicembre approfondirà il tema: “CORAGGIO ALZATI”. Inviateci lettere, idee, articoli, foto (termine ultimo: 15 Novembre 2007), preferibilmente alla nostra e-mail: [email protected] UN CONTRIBUTO: se volete darci una mano a realizzare il giornalino e a sostenere le spese potete inoltrare il vostro contributo sul c.c.p allegato. CASSA COMUNE: è composta dai vostri c.c.p. più offerte libere. La cassa sarà utilizzata per continuare a realizzare il giornale e ampliarne la diffusione (in carceri, istituti, associazioni, gruppi, ecc.) PASSAPAROLA: se sai di qualcuno a cui non è arrivato il giornale o ha cambiato indirizzo, o se desideri farlo avere a qualche altra persona, informaci. SEGRETERIA: l’orario per le iscrizioni ai corsi è preferibilmente dal mercoledì al venerdì dalle 17,30 alle 19,30, sabato e domenica quando vuoi. Le iscrizioni ai corsi si aprono il primo giorno del mese precedente al corso stesso. FRATERNITA’ DI ROMENA - ONLUS - Per darci una mano La nostra associazione è giuridicamente riconosciuta come ONLUS (Organizzazione Non Lucrativa d’Utilità Sociale), per questo chi vuole dare un contributo può beneficiare delle agevolazioni fiscali previste contenute nel decreto legislativo 460 /1997. Il versamento può essere effettuato tramite: - C/C Postale n. conto 38366340 intestato a: Fraternità di Romena Via Romena 1 52015 Pratovecchio - Arezzo - Bonifico bancario su C/C n. 3260 c/o Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio (BPEL) Filiale di Pratovecchio codice ABI 5390 CAB 71590 intestato a Fraternità di Romena Via Romena 1 52015 Pratovecchio - Arezzo, specificando nella causale “Offerta Progetto Romena” 31 D obbiamo ritrovare il sapore nuovo delle cose essenziali, delle verità che non riusciamo più a incontrare perché ci sono tanto vicine da diventare quasi invisibili. Luigi Ciotti 32