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Il vero ribelle è chi studia

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Il vero ribelle è chi studia
Il vero ribelle è chi studia1
di Fernando SODERO
Pare che una delle caratteristiche più deleterie della contemporaneità sia il
venir meno della centralità dei processi formativi, legati ad una certa idealizzazione
dell’uomo e ad una diversa idea di società. La presenza pervasiva della tecnica e la
ferrea logica del mercato, infatti, rendono inutile ogni forma di educazione e di
studio. Non serve a nulla assimilare dati, concetti e nozioni, perché, in rete con un
semplice clic, è possibile reperire ogni genere di informazione, grazie alla completa
“esternalizzazione” della memoria. Adesso i ragazzi fotografano i compiti col
cellulare o li copiano dal minischermo dell’Iphone. Lo studio, un tempo, compito
precipuo di ogni studente, diviene, oggi, una sorta di optional, inutile e da biasimare.
Non studiano più gli insegnanti, perché la scuola tende sempre più a fagocitare
il loro tempo con sterili riunioni sulla programmazione didattica, sull’orientamento in
entrata e in uscita, sull’accoglienza, sui bisogni educativi speciali e chi più ne ha ne
metta. Non studiano più i politici, incapaci di elaborare efficaci strategie per fornire
risposte adeguate alle esigenze ed ai bisogni del territorio. Non studiano i tanti
intellettuali, o presunti tali, che, senza alcun pudore, ostentano il loro “sapere non
sapiente”, sciorinando pseudo certezze e presunte verità, nelle innumerevoli
comparse mediatiche. E, infine, non studiano più nemmeno gli studenti, di ogni
ordine e grado, che si adeguano passivamente alle grandi strategie globali di un
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09.10.’15
mercato, che sembra assumersi in proprio il compito della formazione degli individui,
in rapporto alle sue esigenze di ordine economico e sociale.
Lo studio non seduce più e, come dimostrano i personaggi mediaticamente più
in vista dello sport e dello spettacolo, è sempre meno in grado di funzionare come
ascensore sociale. «E’ da predestinati alla sconfitta. Lo studio evoca Leopardi che
perde la giovinezza, si rovina la salute e rimane solo come un cane. E’ Pinocchio che
vende i libri per andare a vedere le marionette. E’ la scuola, l’adolescenza coi brufoli,
la fatica, la noia, il dovere. E’ un’ombra che oscura il mondo, è una crepa sul muro:
incrina e abbuia la nostra gaudente e affollata voglia di vivere nel presente. Lo studio
è sparito dalle nostre vite. E con lui è sparito il piacere per le cose che si fanno senza
pensare a cosa servono. La cosa più incredibile è che non importa a nessuno».
Di chi la colpa? Nel suo ultimo pamphlet, La passione ribelle, edito da Laterza,
Paola Mastracola, ex docente di lettere nei licei, sostiene che la responsabilità non è
solo dei ragazzi, ma della scuola, che si autopromuove, sempre più spesso, come
mero luogo di socializzazione, più che come istituzione tesa a trasmettere precisi
contenuti disciplinari e messaggi formativi.
La passione ribelle si oppone a tutto ciò. È la capacità applicarsi a qualcosa
con diligenza e fatica, di impegnarsi incondizionatamente nella ricerca del sapere. La
passione ribelle è quella per il libro, che va letto, sottolineato, annotato ed esaminato
con cura, per acquisire quelle “conoscenze, competenze ed abilità” necessarie per
definire nel migliore dei modi la nostra identità e saper vivere. «Quando diciamo
“studiare”, intendiamo andare a scuola, avere un’istruzione, procurarsi un titolo,
possibilmente una laurea (quel che oggi si chiama “percorso formativo”); non
intendiamo invece quasi mai l’altro significato del verbo: l’atto in sé, lo stare sui
libri».
Nonostante la nostra scuola faccia di tutto per sopprimere l’amore per la lettura
e il sapere, oggi, il vero ribelle è chi studia, chi pensa con la propria testa, chi sa
distinguere e giudicare, protestando silenziosamente, con la nobile e grata fatica
dell’apprendimento, che dà felicità e rende liberi. «Abbiamo solo un modo di
cambiare le cose: metterci a studiare (…). Ti ribelli, spegni cellulari, computer, mail,
messaggi, tivù, radio, carriere, piani finanziari, viaggi, relazioni. Spegni. Te ne vai.
Tanti saluti. Pensi. Studi. Allora sì che lo studio diventerebbe il gesto più
rivoluzionario che possiamo compiere».
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