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Il Graffio del Viaggiatore
Il Graffio del Viaggiatore (con la V maiuscola perché Ivan vuole così) Numero 5 - giugno 2015 ad occhi chiusi L’EDITORIALE del GRAFFIO Pag. 2 …. Il Graffio è molto di più di Alessandro Ranucci i GRAFFI di Giugno Pag. 3 … Le tasche piene di sassi, le scarpe piene di passi… di Gianluca Crisantema i mini GRAFFI di Giugno Pag. 23 …. PAROLE IN LIBERTÀ “Cos’è la vita” e “Gli amici” di Michele Pag. 19 … Arriviamo ad Uyuni, 5000 metri di quota di Marco Cavallini Pag. 18 … I’M STILL FREE – I sogni e i progetti di Pag. 20 … Essaouria di Michele chi non vuole smettere di correre… Scriviamo e lasciamoci andare sempre e ovunque… Pag. 5 … Viaggiatori vacanzieri di Carlo Pancera Dedicato a tutti i migranti di Alessandro Ranucci Pag. 5 … Riflessioni sulla Colombia e sul partire soli di Cristina F. Pag. 21-22 … Puerto escondido es de todos… Welcome to Puerto Escondido e “Er ricordo” di Alessandro Ranucci cibo per l’anima Pag. 7 … Federico Jose Bruno (parte terza) di Vincenzo Tarantino Il Graffio lascia il segno Pag. 8 … Mind Full or Mindful? di Andrea Veggetti ogni mese un’esperienza diversa Pag. 9 … isole svalbard incontro con l’orso polare e navigazione nel pack di Ruggi Morenita Pag. 10 … la ruta verso il cabo, un viaggio ai confini dell’universo. di Diana Facile EMOZIONANTE Pag. 23 …. LA MUSICA PER CHI VUOLE VEDERE La musica di Ivan Ale Mic Il Graffio di giugno è sbocciato Mente e Corpo grazie a tutti voi… che non smettete di crederci Pag. 11 … Mama Trip di Ivan Ske Pag. 27 ... ANGOLO DEI LIBRI I libri consigliati da Gianluca Crisantema, Ale e Ivan CORRERE NON SERVE A NIENTE… COME VIAGGIARE… Spazio dedicato a chi ama correre… oltre che viaggiare. Pag. 14 …. 100 km del Passatore, la resilienza e la solitudine dell’ultramaratoneta di Roberto D’Uffizi miscellanea Pag. 25 …. COSE STRANE DAL MONDO Le foto di di Ivan Ale Mic intime emozioni Pag. 27 …. ESPERIENZE DA NON PERDERE Pag. 13 …. VERSI LIBERI La poesia di Ale Ivan Mic Pag. 29 …. GUESTBOOK di Alessandro Ranucci Un particolare ringraziamento a tutti coloro che hanno partecipato con le loro idee e le loro storie, alla redazione dei primi cinque numeri del Graffio. Senza di loro questo viaggio non sarebbe mai iniziato Vincenzo Tarantino Diana Facile Rudy Andrea Veggetti Carlo Pancera Cristina F. Ulf Stocchetti Alberto Pennella Cristina Ruggi Morenita Marco Cavallini 1 Giovanni Minelli Gianluca Crisantema Roberto D’Uffizi L’editoriale del Graffio Il Graffio è molto di più… di Alessandro Ranucci “”… pensieri sciolti, liberati sulla pagina alla rinfusa, come si fossero rovesciati da un bicchiere, o fossero macchie di colore lanciate sulla tela dalla mano di un artista …”” Il Graffio non è una semplice rivista. Il Graffio è uno scrigno di emozioni personali, percorsi interiori, pensieri spontanei che vengono dal profondo. Il Graffio non è un posto per timidi. La vita riserva talmente tante occasioni per esercitare la nostra timidezza, che regalarsi degli spazi per essere fino in fondo noi stessi, è un opportunità importante da cogliere. Aprirsi a se e agli altri è un’esperienza esaltante oltreché utile a vincere le proprie paure e debolezze. Il Graffio è un immenso campo nudisti dell’animo umano, dove spogliarsi delle introversioni, liberando le più segrete emozioni, affrontando qualsiasi argomento nella maniera più naturale e sincera possibili, come in un dialogo con noi stessi. Il Graffio è per anime a briglia sciolta, dove ci si libera dalle gabbie che ci siamo costruiti per vivere e sopravvivere, e che non permettono di essere totalmente noi stessi. Nel Graffio si deve deporre la maschera e tirare fuori gli artigli, scrivendo in maniera libera ed indipendente le nostre storie ed il nostro pensiero. Il Graffio è un luogo dove ci si può anche appassionare scrivendo di vite, storie e pensieri altrui, che ci commuovono e ci convincono che valga la pena divulgare e condividere con tutti. Il Graffio del Viaggiatore è un meraviglioso viaggio introspettivo, dove le sole armi a nostra disposizione sono il cuore e la penna. Nel Graffio si condividono sogni ed aspettative e si fa viaggiare libera la mente nei nostri ricordi più intimi e belli. Il Graffio non è per gente che si fa problemi. Il Graffio accoglie tutti, ma non è il posto più adatto per pubblicare sterili diari di viaggio, fatti di numeri, prezzi ed informazioni da guida turistica. Il Graffio pretende di più … perché viaggiare è molto di più… In linea con la filosofia del Graffio, il numero di Giugno non può che aprirsi con i pensieri di Gianluca Crisantema che, in una mail scritta alla nostra redazione per complimentarsi di quella che lui chiama “Avventura” del Graffio, è riuscito a condensare in poche frasi appassionate, tutto quello che noi, in cuor nostro, speravamo potesse generare nell’animo di ognuno di voi, leggere le pagine del Graffio… Parole limpide e sincere, che sono un vero Manifesto del Graffio e che meritano la prima pagina di questo numero. Buon Graffio a tutti… e soprattutto siate sereni e ritornate piccoli … anche dopo aver letto le parole di Gianluca … “” … Ivan (parto dal “direttore”), Ale e Michele, complimenti ancora per questa avventura, anzi direi per questo nuovo e spero lungo viaggio. L’ultimo numero de Il Graffio è stata una sorpresa ancora più grande: racconti, approfondimenti e soprattutto pensieri sciolti, liberati sulla pagina alla rinfusa, come si fossero rovesciati da un bicchiere, o fossero macchie di colore lanciate sulla tela dalla mano di un artista.. E’ bello poter leggere semplici frasi e riflessioni sconnesse, senza una evidente logica o fine, ma con l’impronta precisa di chi l’ha scritta.. Ultimamente purtroppo, sono diventato allergico ed insofferente a tutte le notizie in circolazione: TV e giornali ti riempiono testa e occhi con tutto il brutto che c’è nel mondo, trattando solo di uccisioni, furti e guerre. Sono stanco, mi sento esausto. Non che non sia giusto parlare di tutto ciò, anzi.. ma il mondo e noi esseri umani, non siamo solo questo. E allora penso che viaggio, e sogno, proprio per vedere di cosa siamo capaci (cosa abbiamo saputo fare di utile e bello) e per incontrare chi riesce ancora a sorridere nonostante tutto ciò, sperando di esserne contagiato. Ho finito di leggere il numero di Maggio, con le cuffie nelle orecchie mentre ascoltavo della buona musica.. Ma dopo aver finito, mi sono reso conto che la mia mente stava vagando, ricordando aneddoti di viaggi passati, esperienze positive e negative, e riflessioni più o meno serie sulla vita, sui sogni e su cosa vorrei. Anzi, più precisamente posso dire che non so cosa vorrei, ma sicuramente ho ben presente cosa non vorrei.. Beh, di questo vi ringrazio. Di 2 regalarmi con la vostra passione qualche attimo di intimità con me stesso (e riappropriarsi del tempo è una delle cose più preziose che ci sia), e poi subito lasciarmi la bella sensazione di ritornare piccolo, insieme ai miei compagni di giochi.. e se guardo avanti vedo tutto più sereno. So che non è così, ma a volte è bello poterlo credere, per continuare a sognare.. per continuare a mettere un passo innanzi all’altro, con la curiosità e la speranza sempre più forti della paura. Un abbraccio, e se volete (anche se lo scrivere non è sicuramente il mio forte) un piccolo aneddoto relativo ad uno dei miei primi viaggi in Costarica, che mi è tornato in mente leggendo “Il Graffio” (ma non chiedetemi il perché..), e mi ha strappato un sorriso. Continuate così.. “” BUON GRAFFIO A TUTTI Le tasche piene di sassi, le scarpe piene di passi… di Gianluca Crisantema Primi anni novanta, uno dei primi viaggi, sempre col mio fedele compagno di avventure Fabrizio.. Cahuita, allora piccolissimo e sonnolente villaggio sulla costa atlantica del Costarica, comunità Garifunas. Dopo l’arrivo a San José, Aeroporto Internazionale Juan Santamaría, noleggiamo una piccola auto e partiamo alla scoperta del Costa Rica, delle sue spiagge e dei suoi immensi parchi. Dopo alcune ora di guida, in compagnia della musica che esce dal mangianastri, e le chiacchiere sulle aspettative del viaggio, eccoci all’ingresso del paese, anche se paese ti fa pensare ad un centro abitato più grande, mentre Cahuita era ancora molto contenuto.. Siamo comunque stanchi ed assetati, quindi ci fermiamo al primo bar che si trova sulla destra della strada sterrata, all’entrata del paese. Sulla soglia del bar in piedi, un omone di colore alto e massiccio, e con lunghi “dreadlocks”, ci guarda scendere dall’auto. Ci fa segno di sederci sulla panca fuori dal bar, e ci chiede cosa vogliamo da bere. Poche parole nel loro dialetto, che risulta essere un miscuglio di inglese, spagnolo, e non so cos’altro.. Lo sguardo serio, duro, che in un certo modo fa quasi timore, ma che si rivelerà tutt’alto che ostile. Senza dire nulla ci offre da fumare: io non fumo ma il mio compagno accetta volentieri. Il gigante (lo chiamerò così per la stazza..) accende e gliela porge.. Poi ci lascia, entrando nel locale per preparare i nostri primi cuba libre in terra “costaricense”. Non c’è frigorifero perché la corrente è disponibile solo per alcune ore, quindi la mattina passa un pick-up che lascia dei grossi blocchi di ghiaccio nei vari bar e ristoranti.. A questo punto, munito di scalpello, stacca dal blocco un grosso pezzo di ghiaccio, e dopo averlo avvolto in uno strofinaccio, lo sbatte furiosamente contro il tronco di un albero che cresce rigoglioso in mezzo al bar, ed esce dal tetto, svettante verso il cielo. Ecco pronto il nostro ghiaccio: con le sue gigantesche 3 mani, che sembrano badili, lo prende e lo pressa nei bicchieri, poi mette due dita di coca-cola, e lo riempie fino all’orlo di rum.. E’ solo primo pomeriggio, il solo picchia forte, e dopo il primo sorso, iniziamo a sudare.. Lui si siede accanto a noi, beve e fuma rilassato, e non ci degna di uno sguardo. Dopo aver finito le bevande, eccoci pronti per andare a cercare un posto per le prossime notti.. Il gigante si alza, ci da una pacca sulla spalla (che oggi mi torna in mente ogni volta vedo in TV lo chef Cannavacciuolo), e ci fa il primo sorriso.. Ecco, abbiamo avuto il nostro benvenuto e battesimo. Troviamo un semplice alloggio e ci concediamo un meritato riposo pomeridiano. Causa il jet lag e la stanchezza ci destiamo tardi, facciamo una doccia veloce e siamo pronti per uscire: peccato che essendo vicini all’equatore, il buio cala molto presto.. e quindi non troviamo nulla di aperto per la cena: un po’ di digiuno ci farà bene! Disorientati, decidiamo di fare comunque due passi, quando in fondo alla strada buia, vediamo una luce. E’ un piccolo locale dove gli abitanti del paese vanno finire la serata, bevendo e giocando, dopo la dura giornata di lavoro. Entriamo, ordiniamo da bere e ci avviciniamo incuriositi ad un tavolo quadrato dove quattro schiamazzanti anziani giocano a domino, con l’allegra compagnia di un paio di bottiglie di Rum. Il tasso alcolico è molto alto, discutono a voce alta, ma al nostro arrivo si fermano e ci osservano stupiti; siamo al centro dell’attenzione, e ci sentiamo un po’ a disagio, ma l’uomo che sembra essere il più intraprendente, mi chiede il nome: “Lucas” rispondo.. Mi fa un cenno con la testa e mi dice di sedermi al suo posto, e di giocare. Inizia a riempirci e riempirsi il bicchiere, ed andrà avanti così imperterrito tutta la sera. Gli dico che non ho mai giocato, ma lui con calma mi spiega le semplici e poche regole, e sottolinea con una risata contagiosa che l’unica cosa davvero importante è sbattere forte le pedine sul tavolo. “Devi far rumore, sbatti più forte degli altri”. Solo così sei un bravo giocatore e ti rispetteranno! Così un bicchiere dopo l’altro, una bottiglia dopo l’altra, ed un colpo dopo l’altro, arriva l’ora di andare a dormire. Stasera abbiamo fatto la conoscenza di José, ma è ora di andare anche per lui; Josè fa l’ambulante ed al mattino si alza presto per vendere la sua frutta.. e sinceramente anche noi non ci reggiamo più in piedi. Certo che in questo piccolo paesino, ci sono dei personaggi incredibili, delle vere caricature. Tutti ci hanno trattato con riguardo e rispetto: sembrava ci conoscessimo da sempre, ma non ci vedessimo da tanto. Cahuita sembra un piccolo paese di frontiera, sonnolento e calmo, l’ideale per rilassarsi e godersi il lento passare del tempo, ma che all’improvviso ti regala emozioni impreviste. Il giorno dopo al ritorno dalla spiaggia, in lontananza vediamo José, e ci sbracciamo subito per salutarlo. Nessuna reazione, ci passa vicino senza degnarci di un cenno o di un saluto, e scompare in una stradina laterale. Ci resto male, e non mi spiego il suo comportamento dopo la serata passata insieme. Comunque per evitare di saltare nuovamente la cena, ci dirigiamo in camera per prepararci prima che si faccia troppo tardi. Con la pancia piena, torniamo nel locale della sera precedente, per l’ultimo bicchiere prima di andare a dormire. Appena entrati, ecco José che dal suo tavolo ci chiama a voce alta “Lucas, Fabricio..” e ci presenta ai suoi amici che ieri non erano presenti. Nuova bevuta insieme e partita a domino, per passare poi al biliardo a stecca, dove il cinquantenne campione locale (e che purtroppo mi chiamerà “gringo” per tutte il tempo di permanenza a Cahuita) mi sfiderà (e batterà) anche approfittando del nostro evidente tasso alcolico. A questo punto mi confronto con Fabrizio e finalmente mi spiego l’arcano mistero del pomeriggio: quando José non è ubriaco non ci riconosce, ma da sbronzo, dalla nebbia nella sua testa, ecco riemergere il contorno delle nostre facce, ed eccoci tornare grandi compagni di bevute e di gioco. La sera dopo, facciamo la conoscenza di Jimmy, un ragazzo garifuna che ci chiede se possiamo dargli un passaggio in auto per andare a ballare.. Perché no! Pronti via.. si parte per la serata. Usciremo alcune sere con Jimmy, il quale si rivelerà un ottima compagnia.. molto divertente, pieno di conoscenze, e veramente pazzo, ma in questo paese ormai penso sia la normalità! Fabrizio, il mio amico, è partito dall’Italia con un paio di Nike, vecchie e luride, che con il passare dei giorni, e colpevole il clima torrido e umido dal centro America, stanno letteralmente marcendo.. Quindi ogni notte chiedo a Fabrizio (ma forse 4 sarebbe più corretto dire che lo obbligo per la nostra sopravvivenza-) di lasciare le scarpe fuori dalla porta. Jimmy che sembra un incrocio tra un gangster ed un rapper, chiederà a Fabrizio di regalargli queste sue consunte Nike. “Non posso.. ho solo queste scarpe, anche se distrutte, oltre ad un paio di infradito che uso per doccia e spiaggia, quindi mi dispiace ma non posso proprio.. Mi capisci vero?” Jimmy insisterà con Fabrizio ancora nei giorni seguenti, tornando alla carica ma senza successo. Arriva il giorno della partenza, è ora di migrare verso l’altra costa (quella pacifica) attraversando il paese da parte a parte: sarà un viaggio incredibile sotto un diluvio incessante. Io che guido a passo d’uomo su strade impraticabili per il fango, e Fabrizio davanti a me - bagnato come un pulcino che con l’aiuto di un ramo “tasta” il terreno ricoperto da profonde pozzanghere; deve indicarmi il percorso migliore, e farmi evitare i crateri coperti d’acqua su cui potremmo arenarci, o peggio lasciarci un assale dell’auto. Al noleggio ci avevano avvisato che sarebbe servito un 4x4, ma i soldi erano pochi, ed abbiamo rischiato: d’altronde ogni viaggio deve essere un’avventura, quindi che problema c’è? Ma facciamo un passo indietro alla mattina della partenza, quando non pioveva ancora. Ecco fuori dall’albergo il nostro Jimmy che ci viene a salutare.. E’ una visita inaspettata, e mi fa particolarmente piacere.. E poi fa sorridere anche Fabrizio, che si era un po’ “rabbuiato” perché durante la notte gli hanno “sottratto” le sue mitiche scarpe. Beh, è giunta l’ora dei saluti.. quindi abbracciamo Jimmy, carichiamo gli zaini, e ci accingiamo a partire. A questo punto, già con l’auto in moto, Jimmy bussa sul finestrino augurandoci “in bocca al lupo” per il viaggio; poi lentamente si abbassa gli occhiali, guarda Fabrizio negli occhi, e sorridendo gli sussurra: “Sai Fabricio, stasera vado a ballare con le tue Nike..”. Poi da un colpo a mano aperta sul tetto dell’auto, io non trattengo più le lacrime dal ridere, metto la prima, sgommo e lasciamo Cahuita.. La sua spiaggia nera, l’ananas più buona che abbia mai assaggiato, il paese così raccolto e intimo, con i suoi incredibili personaggi mi accompagnano e mi fanno sorridere ancora oggi.. ogni volta che torno con la mente a quei giorni.. _____________ VIAGGIATORI/VACANZIERI di Carlo Pancera PAROLE IN DISUSO: viaggiatore. PAROLE IN USO: turista, vacanze, ferie, giro organizzato. Viaggiare, va bene ma uno viaggia perché? di solito per fare le ferie. Ma fare un viaggio vorrebbe originariamente implicare: per farsi un viaggio. Cioè per andare da chi è lontano, per incontrare chi non si è soliti incontrare, per vedere il mondo, incredibili paesaggi e panorami, e insomma per conoscere, vedere, constatare, cercare di capire l'altrove, per incontrare il diverso e riflettere. Ad esempio se l'India, la Cona, se l'Islam con la sua civiltà, se le grandi culture dei vari paesi musulmani, non vengono qui a mostrarsi, è perché quelli che di là emigrano (e qui immigrano) fanno tutto quel loro viaggio perché sono dei poveracci, disperati, o comunque bisognosi, ed emarginati, e in certa misura dunque anche ignoranti (ricordate le valige di cartone tenute assieme con lo spago, dei nostri poveri emigranti che viaggiavano in cerca di lavoro in Belgio o Germania, per sentirsi gridar dietro "maccaroni" come insulto ? o "mafia"?). Beh, allora andiamoci fisicamente noi (ovvero anche: facciamo un viaggio mentale, cioè istruiamoci al riguardo) a vedere, a conoscere quella civiltà, e le altre con cui ora ci veniamo a trovare a contatto in questo mondo globalizzato. Ma non tutti possono. Comunque oggi ci sono anche i mezzi malusati, abusati e sviliti come i vari media, come la tv che abbiamo in cucina, in sala, in camera da letto, che potremmo utilizzare per questo, o comunque cui potremmo chiedere che ci portino in casa immagini, suoni, parole, se non odori e sapori, di quelle culture, in orari e in modi appropriati allo scopo. Per es. a volte si può trovare qualcosa di interessante in canali come Babel, o come quelli del National Geographic, o in Arté, o altri, e trasmissioni varie che pur non mancano (anche se magari in fasce orarie di basso audience... ). Ma c'è internet, con i "motori" di ricerca, con YouTube, con iTunes, … Insomma se la montagna non va a Maometto, Maometto (quello vero, non quello sbeffeggiato e distorto delle vignette) ci va lui, come recita il famoso e saggio detto, cioè dà l'esempio mettendosi in viaggio, e andando lui alla montagna a vedere com'è, cos'è, che cosa gli può dire, e comunicare, e ritornare arricchito dall'incontro, per raccontare ai suoi uditori, per condividere l'esperienza con loro. Ecco che allora acquista senso 5 anche il portare di ritorno da un viaggio, immagini, o oggetti da quella lontana dimensione, per commentarli, contestualizzarli, per spiegare e illustrarne le funzioni, il senso, e fare assieme delle riflessioni. Il loro aspetto, i loro colori, i loro materiali, i loro odori, i loro sapori, ci porteranno tutto un mondo da immaginare, che stimolerà la nostra fantasia e che accenderà le nostre emozioni, aiutati magari anche da belle fotografie o filmati. Ecco che allora tutto acquisterà il sapore di un incontro e di uno scambio, di un arricchimento. Ritornare alla nostra Itaca (come Ulisse), o alla nostra Venezia (quella di Marco Polo), per favorire un allargamento dei confini mentali, un ampliamento di orizzonti, per facilitare una relativizzazione di ciò che pareva assoluto o unico, per conoscere la varietà dell'umano sentire. . . Ecco allora quello è stato un viaggio che fa fare anche agli altri dei bei viaggi... _____________ Riflessioni sulla COLOMBIA e sul partire soli Di Cristina F. Voglio parlarvi di un viaggio speciale, uno di quelli che avrà sempre un posto riservato nel mio cuore … Il viaggio è stato “concepito” da me, negli ultimi anni decido il Paese da visitare e compro il biglietto aereo, poi se trovo qualcuno bene, altrimenti parto da sola. Ho deciso di non farmi più limitare dal fatto se qualcuno mi accompagnerà o meno … è come un “richiamo” quello che sento… comunque, quella volta la compagnia per la Colombia ce l’avevo, ma ad un mese dalla partenza la persona in questione si è tirata indietro per paura … paura della Colombia (soliti luoghi comuni). Dunque che fare ? Partire da sola o affidarmi a qualche agenzia locale per un tour di gruppo ? Dopo vari “consulti” con gente che ci era stata, ho deciso : avrei fatto il mio viaggio come lo avevo pensato e poi … parlavo spagnolo accidenti! Questa è stata la mia esperienza: Playa Blanca (isola di Barù): ho dormito in una capanna sulla spiaggia, non c’era elettricità sull’isola, ho trascorso una notte magica cullata dal rumore delle onde e con la sola luce della luna ! Uno di quei posti che sogni da sempre : l’acqua cristallina del mare dei Caraibi, spiaggia da urlo e pochi turisti (e quei pochi che c’erano erano davvero simpatici!). La mattina seguente sarei dovuta tornare a Cartagena, ma non essendoci l’aliscafo prima del pomeriggio, mi sono accordata con il proprietario del campeggio che sarei andata con lui alla “maniera locale” dato che si doveva recare in città anche lui. Dunque un motorino sarebbe venuto a prendermi e mi avrebbe portato dall’altra parte dell’isola dove avremmo preso il traghetto che ci avrebbe portato sulla terra ferma e da lì bus fino a Cartagena. La mattina arriva il motorino e mentre il ragazzo sistemava la mia borsa sul manubrio, io mi accomodavo dietro di lui. Un po’ di timore c’era, dato che il primo tratto era costituito da sabbia, comunque il vecchietto del campeggio insisteva perché mi “appiccicassi” al motociclista ed io insistevo rassicurandolo che ero abituata ad andare in motorino e sapevo come “sistemarmi”, ma non avevo capito che anche lui sarebbe dovuto salire sul nostro mezzo! In tre in motorino con il mio bagaglio sul manubrio e sulla sabbia, comunque tra la mia incredulità su quel “sandwich” assurdo e la comicità di quella scena, siamo arrivati sulla strada asfaltata senza alcun problema. Da lì il vecchietto ha proseguito su un altro motorino. Arrivata al porticciolo dove ero l’unica turista naturalmente, sono salita su una canoa dato che avevo perso sia il traghetto che il mio accompagnatore. Approdata sull’altra sponda, mi sono ritrovata in un paesotto con le strade sterrate e nessuna indicazione per l’autobus per Cartagena. Ho conosciuto una ragazza con cui ho preso il bus (non avrei mai trovato la fermata senza di lei, non essendo segnalata) : 1 ora di tragitto con tutta gente locale e venditori ambulanti di medicinali … viva l’avventura !!! Di Villa de Leyva invece non dimenticherò mai la 1^ notte che ho passato lì. Questa cittadina sulle montagne, l’ho raggiunta dopo un faticoso viaggio in pullman e appena trovata la mia posada, ho deciso di uscire per una cena veloce e rientrare presto, ero davvero esausta. Dopo aver mangiato, attraversando la plaza Vieja sono stata ipnotizzata dalla musica, c’era un gruppo di ragazzi al centro della piazza che suonava. Mi sono avvicinata, era la prima volta che ascoltavo quel genere musicale che poi ho scoperto chiamarsi vallenato, sono rimasta stregata e subito sono stata accolta come una vecchia amica. Bè non scorderò mai quella notte di musica, chiacchere e risate, ed è stato tutto così naturale e speciale! Questo mi porta a riflettere sul viaggiare da soli. C’è chi dice che è un’esperienza a metà, perché non 6 puoi condividere le impressioni e le emozioni che vivi in quei momenti e un po’ è vero … però le situazioni che ho vissuto in questo e altri viaggi che ho fatto da sola, non si sarebbero mai presentate con un’altra persona al mio fianco. Fidarsi o no della gente che incontriamo ? Io ho sempre sentito dentro di me di chi fidarmi finora ed è andata bene, è bello credere ancora negli altri, noi occidentali tendiamo sempre a pensare che non si fa niente senza un ritorno e sono felice di constatare che da qualche parte c’è ancora gente che ti accoglie senza remore. Viaggiare da soli è anche una sfida con sé stessi : la buona riuscita del soggiorno dipende in gran parte da noi ed io lo trovo davvero stimolante! Noi, lontani dal nostro mondo, dalle nostre abitudini e convinzioni, vergini e aperti al nuovo, umili : è questo lo spirito con cui affronto le mie avventure. Quando parto mi spoglio dalla mia pelle occidentale per “immergermi” nel Paese che visito. Penso che quando si è soli si è più aperti verso la gente, più ricettivi, mentre quando si viaggia in compagnia ci si limita un pochino ad interagire per lo più con chi ci sta accanto e gli altri passano in secondo piano, malgrado ciò penso che sia bello viaggiare in entrambi i modi. Per tornare alla Colombia, ho voluto scrivervi di questa esperienza perché la gente lì mi ha voluto dimostrare in tutti i modi che i troppi luoghi comuni penalizzano questo Paese e la verità è che i colombiani sono un gran popolo! Viva la Colombia ! Ho sentito dire una volta che il sorriso è la distanza più breve tra due persone ed è vero ! _____________ Graffio… il sapore della vita Federico Jose BRUNO (parte terza) di Vincenzo Tarantino Comunicato stampa da parte della famiglia, in merito all’omicidio di Federico Bruno. Scriviamo questa lettera per riferire in merito all'omicidio di Federico Bruno da parte dell'esercito Colombiano mentre stava svolgendo il suo lavoro di giornalista. Federico José Bruno per un certo tempo lavorò come giornalista indipendente. Nel 1995 iniziò il suo viaggio attraverso il Sud America: da Salta (Argentina) a Bogotá (Colombia). Nel 1996, dopo aver frequentato i corsi del CIEVYC, aver preso parte come sceneggiatore e regista a sei cortometraggi, aver frequentato corsi presso il Foto Club Buenos Aires, iniziò il suo viaggio verso Santa Cruz de la Sierra e Valle Grande (Bolivia) con l'obiettivo di documentare il lavoro degli antropologi che stavano cercando il corpo di Ernesto Guevara. A metà anno 1997, tuttavia, giunse in America Centrale. In quell'occasione contattò le Nazioni Unite per richiedere i vari permessi utili per lasciare segni della sua rintracciabilità lungo il viaggio previsto ma che gli consentirono anche di iniziare uno studio sullo sfruttamento delle donne e dei bambini in quella parte del mondo. Dopo una tappa iniziale di qualche mese in Centro America verso fine Agosto 1997 riprese il viaggio verso il Cile, per poi raggiungere la Colombia, dove rimase pochi giorni, quindi Panama, San Josè (Costa Rica), Managua (Nicaragua), San Salvador (El Salvador, Tegicigalpa (Honduras), Guatemala City (Guatemala), e Belmopan (Belize). Durante il suo tragitto, in Guatemala, conobbe il dottor Abel Pascualini (medico impegnato nel soccorso in paesi colpiti da catastrofi e guerre). A Bogotà per caso conobbe Manuel Perez sacerdote e capo dell’ELN che contribuì a dare una svolta alla sua missione. Durante la permanenza in Colombia Federico riuscì a mantenere contatti regolari con noi e con i suoi amici costantemente aggiornati sui suoi spostamenti. Il 20 luglio del 1998 ci inviò un fax chiedendo di informare un suo amico cameraman del fatto che lo attendeva per delle riprese. Nello stesso periodo, però, tramite un telegiornale che riportava notizie rilasciate dall'esercito colombiano, fummo edotti della morte di Federico. Si parlava di un cittadino Argentino di Nome Bruno, parte dei FARC, rimasto vittima di uno scontro armato. Contattammo immediatamente l’Ambasciata Argentina in Colombia per reclamare il corpo di Federico ma le autorità Colombiane rifiutarono la richiesta perché, secondo fonti ufficiali, si trattava di un ex guerrigliero quindi di proprietà dell'esercito. Qualche tempo dopo, tuttavia, l’ambasciata ci comunicò che sarebbe stata eseguita un autopsia e che il corpo sarebbe stato sepolto in un cimitero di Bucaramanga. Ai media fu consegnata una foto che ritraeva il nostro Federico armato ed in uniforme da combattente. Noi chiedemmo i suoi effetti personali ma ci fu risposto negativamente e questo ci fece sorgere molti dubbi sulle dinamiche della sua morte. Le autorità 7 diplomatiche Argentine in Colombia continuarono ad adoperarsi per recuperare il corpo di Federico così, ad un certo punto, ci pervenne la bara accompagnata da un certificato provvisorio di sepoltura rilasciato da un’autorità amministrativa di Santander con su scritto nome e cognome ma con il suggerimento di cremare tutto senza aprirla. In seguito a una nostra richiesta venimmo contattati dai legali delle “Madres de Plaza de Mayo” che si adoperò per un intervento giudiziario urgente per un’autopsia al “Forensic Mody Medical”. Il nostro fine era quello di dimostrare l’identità di Federico e descrivere la causa e la modalità della sua morte perché nei documenti ufficiali non veniva specificato niente. Dopo varie insistenze, che rischiarono di sfociare addirittura in una rottura diplomatica, la corte di cassazione n.39 che si era sempre opposta ordinò l'autopsia per l'identificazione del corpo a cui partecipò nostra figlia Daniela Bruno che a causa del deterioramento del corpo e delle mutilazioni subite non fu in grado di identificare il fratello. Fu possibile farlo tramite le impronte digitali. I medici Argentini assieme al Medico legale e ad un'equipe di avvocati dell’associazione Madres del Plaza de mayo, formularono le seguenti conclusioni: Il corpo fu colpito alle spalle da 8 colpi d’arma da fuoco. Tra i fori d'ingresso dei proiettili ve ne era uno a livello della tempia destra. Da qui il proiettile progredì tanto da distruggere l'occhio dx ed il setto nasale. Dalle indagini della balistica si concluse che Federico José Bruno fu colpito da diversi colpi alle spalle da una distanza di 1,5 m mentre correva a piedi nudi per la presenza di terra nei piedi, l'ultimo colpo lo trafisse mentre era in ginocchio con le mani dietro la testa dal momento che un proiettile aveva attraversato l'intera mano penetrando dal dorso e fuoriuscendo dal palmo. A questo punto chiedemmo alla Corte el Juzgado federale Nº 2, responsabile Dr. Ferreyra Pella, di pressare l'esercito Colombiano a che restituisse gli effetti personali di Federico tra cui abiti e materiale fotografico e chiedemmo copia completa dei documenti della giustizia militare e l'autopsia fatta sul corpo prima che fosse depositato nella bara a noi pervenuta. Il generale Fernando Millán Capo della 5^ brigata, responsabile delle operazioni militari nella zona in cui era stato assassinato Federico José Bruno, rifiutò le richiesta e ne ebbe facoltà. Noi e tutta la nostra famiglia accettammo la scelta che Federico fece di aderire al FARC ma ad un certo punto scelse di lavorare come giornalista per difendere gli ideali del popolo latinoamericano sottomesso ed oltraggiato. L'esercito Colombiamo fece passare la morte di Federico come conseguenza di uno scontro armato ed invece si trattò di un'esecuzione venendo colpito a tradimento nel pieno svolgimento della sua attività giornalistica in difesa di un popolo in stato di necessità vessato dall'esercito. (Sul prossimo numero de “Il Graffio del Viaggiatore” la lettera che ELN (FARQ) hanno inviato alla famiglia Bruno). _____________ Il graffio aumenta la voglia!! Il graffio é per golosi della vita!! Mind Full or Mindful? di Andrea Veggetti Nella mia vita la parte relazionale ha un peso enorme, anche l’attività lavorativa non ne può assolutamente prescindere. Quando entriamo in relazione con le persone, chiacchieriamo, ci confrontiamo ma spesso ci capita di non essere presenti nella relazione con gli altri di parlare ma nel frattempo pensare ad altro, vagare nel passato o nel futuro o in quello che dovremmo fare e non abbiamo fatto o magari agli impegni di domani. Quante volte vi e’ capitato di chiedere ad una persona : “Ciao come stai ? Tutto bene ?” e poi magari neanche ascoltare la risposta oppure farcela scivolare addosso senza essere presente efficacemente al momento. A me capita spesso, anzi quasi sempre e questo vale non solo per le relazioni ma anche nella vita di tutti I giorni. Sto scrivendo un articolo per il graffio e penso che devo andare a prendere mio figlio all’asilo. Gioco con lui e penso a cosa preparerò per cena. Io non vivo il presente ma vado avanti con il pilota automatico. Di recente, anche spinto un po’ da mia moglie, ho fatto un corso in azienda di mindfulness ed e’ stata un’esperienza che in poche righe ho voglia di dividere con chi leggerà queste poche 8 righe, con Michele, con Alessandro o con Ivan oppure con chiunque voglia anche solo dedicarci qualche minuto. Mindfulness è la capacità di essere consapevoli della propria esperienza presente, momento dopo momento, senza giudizio (la capacità del QUI ed ORA). Agisce modificando non i contenuti della mente, ma la sua RELAZIONE con essi. Permette di sgretolare in qualche modo I preconcetti e gli schemi mentali che ci siamo costruiti e dare una visione diversa al quotidiano. Mindfulness è la traduzione inglese della parola sanscrita "Sati”, che significa ”presenza mentale” o "attenzione nuda”. Significa anche “ricordo”. Si riferisce quindi all’esperienza di risvegliarsi al presente, a un ricordarsi di essere qui e ora, di essere pienamente consapevoli. E’ proprio questo il punto; ogni volta che sto facendo qualcosa e riporto la mia mente al presente, a quello che sto facendo, ho la sensazione come di risvegliarmi. Ed e’ esattamente questo che deve succedere ci risvegliamo nel presente. La mente se concentrata sul presente e’ vigile, pronta e soprattutto attiva su quello che sto facendo in quel momento. In poche parole se ad esempio sto parlando con una persona e’ molto soddisfacente per entrambi essere vivi e presenti nella relazione, nel colloquio, nelle due parole che magari ci scambiamo. Dal punto di vista relazionale essere mindful implica maggiore capacità di ascolto, maggiore empatia, qualità nella relazione stessa intesa anche come aperture mentale. I programmi mindfulness based (cioè orientati ad aumentare la consapevolezza) hanno come principale obiettivo il benessere globale della persona ed agiscono sui piani: Fisico, Psichico, Relazionale, Professionale ed I benefici possono essere molteplici.. Il concetto stesso di mindfulness deriva sostanzialmente dalla pratica e dall’insegnamento Buddista e sfrutta pienamente quelle che sono le pratiche di meditazione. Essere mindfull richiede pratica e pratica e ancora pratica, la meditazione anche solo pochi minuti aiuta in questo, la nostra mente tende sempre a scappare via A non vivere il presente; la meditazione come la respirazione sono un esercizio utile per avviarsi sulla strada per essere un po’ piu’ MINDFUL e non MINDFULL…. Io ci provo ! ____________ ISOLE SVALBARD INCONTRO CON L’ORSO POLARE E NAVIGAZIONE NEL PACK di Ruggi Morenita Il volo che collega Oslo a Longyearbyen fornisce eccezionali visioni delle montagne artiche e dei ghiacciai delle Svalbard. Questo meraviglioso arcipelago, situato tra il 74° e l’81° parallelo a nord, non è soltanto il limite del Polo nord più facilmente raggiungibile, ma anche uno dei più spettacolari luoghi immaginabili. Negli ultimi anni ho visitato molti paesi, ma il grande nord mi attrae per diverse ragioni. vedere splendere il sole 24 ore al giorno; incontrare gli orsi polari; e il pack: navigare fra i ghiacci. A bordo di gommoni esploriamo l’interno del Liefdefjorden. Fa molto freddo siamo intirizziti e i piedi sembrano di ghiaccio. Ad un tratto un segnale ci fa dimenticare tutto. C’è l’orso Bianco! L’incontro tanto atteso finalmente è avvenuto. Sono emozionata come una bambina. Sull’isolotto di fronte, una madre dorme accovacciata accanto al suo cucciolo mentre un enorme maschio nuota verso riva. Quando esce dall’acqua si scuote e si mostra in tutta la sua possente mole. Gli orsi sono animali bellissimi, ma molto pericolosi. Osservarli, anche se a distanza resta perciò un’emozione fortissima e indimenticabile. Proseguiamo navigando tra scenari ammalianti, iceberg e blocchi di ghiaccio dalle forme bizzarre che affiorano da specchi d’acqua azzurra simili ad atolli tropicali. Hanno forme indescrivibili e tutti i colori dell’acqua e del cielo. Guardandomi intorno mi domando cosa ci spinge ad affrontare un viaggio per recarsi nel nulla, solo rocce e ghiacci, scoscesi a picco su un mare color piombo, solcato da iceberg e dai ghiacci a perdita d’occhio. In un paesaggio selvaggio, aspro e senza vegetazione, modellato dai venti continui, un ambiente gelido ma fantastico e carico di fascino. Una terra dove la natura è sovrana, ma dall’equilibrio ecologico fragilissimo, isolata dal resto del mondo, che offre al visitatore solo silenzio e solitudine. Eppure chi l’ha conosciuto non può non provare timore nostalgia e felicità per essere stato qui ad ammirare questi luoghi. Consulto assieme al capitano le carte nautiche. Lo convinco a portarci verso l’81° parallelo, alle isole di Parroya e Pippsoya che distano circa 900 km dal Polo nord. Navighiamo tutta la notte per arrivare. La mattina al risveglio siamo colpiti da una luce accecante. Ci precipitiamo sul ponte. L’emozione è 9 fortissima. La nave è immobile, imprigionata nel pack abbagliante senza orizzonte e bianco, bianco, di un candore che l’occhio fatica a fissare. Dopo giorni passati ad ammirare un mare che cambia dal blu al grigio, ora è il bianco assoluto. Il bianco magico, suggestivo pack, un deserto bianco, un orizzonte di ghiaccio in cima al mondo. L’immacolata distesa bianca sembra inghiottire tutto, anche il rumore e le vibrazioni della nave che avanza faticosamente tra i lastroni di ghiaccio cercando faticosamente di aprirsi un varco nel mare ghiacciato. Per proseguire nel pack la nave compie faticose manovre di avanzamento fino a dove il ghiaccio lo permette. A questo punto inizia una manovra di arretramento, per poi spingersi ancora in avanti e rompere un altro strato di crosta di ghiaccio. Queste operazioni vengono ripetute più volte fino all’uscita dal pack. L’artico è un mondo magico, da visitare in punta di piedi, perché solamente in questo modo gli stimoli che ci provengono da questo ambiente silenzioso e solitario, penetrano in noi poco alla volta, lentamente invadono la nostra mente e i nostri pensieri provocando sensazioni profonde. ___________ Toglietemi tutto… ma non il mio Graffio Un Graffio è per sempre Graffio, what else? LA RUTA VERSO IL CABO, UN VIAGGIO AI CONFINI DELL’UNIVERSO. di Diana Facile Di tutti i paesi dell'America Latina, un continente che mi appassiona per il sangue caliente che gli scorre nelle vene, la Colombia è in assoluto quello che amo di più. Di tutti i rischi che immagini di poter correre in Colombia, l'unico concreto è quello di volerci restare. Io ci ho passato complessivamente cinque mesi, percorrendola da Nord a Sud e vivendola con i locali, e vi confesso che ho dovuto lottare con me stessa per non cedere alla tentazione di fermarmi. Quello che vi propongo oggi è il racconto di un viaggio al Cabo de la Vela tratto dal GIORNALE DEI VIAGGI. Decisamente una delle destinazioni più belle, e meno gettonate, del paese. LA RUTA VERSO IL CABO, UN VIAGGIO AI CONFINI DELL’UNIVERSO. Venti sono le ore di bus che separano Bogotà da Rioacha, punto di arrivo, o di partenza, di questo viaggio memorabile nell’universo magico di Gabriel Garcia Marquez. Venti ore che scorrono come minuti nel susseguirsi di un paesaggio mozzafiato che si snoda per oltre 700 chilometri tra canyons, dirupi e imponenti montagne fino a quando all’orizzonte inizia a profilarsi il mare del caribe colombiano. Ma tropici, palme e frutta esotica aspetteranno perché io mi spingo oltre, alla penisola della Guajira, una delle regioni più remote e ambite dell’America Latina fin dai tempi della conquista. Giungo a Rioacha all’ora di pranzo e inauguro il mio arrivo con fiumi di cerveza bien fría e pollo fritto gentilmente offerti da un paisà che vive e lavora in questa tranquilla cittadina, capoluogo della regione. Mi sistemo in un alberghetto decrepito e inizio subito la ricerca di un autobus che mi porti al Cabo de la Vela, un villaggio di pescatori di etnia wayuu situato all’estremità nord del continente. Le notizie in merito sono un po’ vaghe ma coincidono tutte sul fatto che non esiste un collegamento diretto tra Rioacha e il Cabo. Dopo un paio d’ore mi arrendo! Sembra che l’unico modo per raggiungere in solitaria l’Alta Guajira sia quello di prendere un minibus gremito di gente che scarica i passeggeri al crocevia con Uribia. Lì, armati di una buona dose di pazienza, si aspetta l’arrivo di una camioneta senza sapere con precisione “se” e “quando” passerà. Non è tanto l’incertezza sul tempo d’attesa a scoraggiarmi quanto l’idea di dover trascorrere quel lasso di tempo imprecisato sotto il solleone. Si parla di 35° all’ombra e siamo in una zona desertica… a me l’ombra nel deserto suona come un ossimoro e non mi convince! Meglio un tour organizzato con una serie di “meno” a rendergli omaggio: meno complicato, meno avventuroso, meno faticoso… Mi rivolgo a un’agenzia che dopo varie contrattazioni mi accorda una riduzione sul prezzo ufficiale e insieme a tre colombiani e un’argentina salgo sulla 10 Toyota a 4 porte che ci accompagnerà per i prossimi due giorni. Da Manares, dove effettuiamo una breve sosta per visitare le saline, il terreno si fa accidentato. Sembra di partecipare a un rally, con le sospensioni del veicolo continuamente sotto tensione e l’autista che gronda sudore come una fontana nel tentativo di mantenere il controllo del mezzo!!! Ma d’altronde un viaggio meno avverso non renderebbe giustizia a quest’esperienza. La sola idea di trovarmi in pieno deserto con la consapevolezza che dietro la prossima duna potrebbe materializzarsi l’acqua cristallina del Caribe è sufficiente a farmi strippare!!! E difatti il Cabo è un miraggio che giunge inaspettato. Resto basita di fronte a un tale prodigio della natura. Blu e seppia i colori dominanti che rivelano la loro indiscutibile complementarietà nei tre elementi naturali: aria, acqua e terra. Un luogo mistico in cui la connessione con la natura è talmente forte da rigenerare qualsiasi cellula, animale o vegetale che sia. Entriamo in questo villaggio wayuu che sembra appartenere a un’altra dimensione spazio-temporale, uno di quei posti dove il tempo prende fiato e rallenta il suo ritmo. Un’unica via polverosa lungo la quale il villaggio si anima attorno alle capanne in bambù in cui vivono i locali. Cellulare e collegamento a internet appartengono a un film di fantascienza per gli abitanti del Cabo ed è impossibile non lasciarsi sedurre da tutte quelle piccole cose di cui la frenesia del mondo occidentale ci ha privato senza nemmeno consultarci: l’assaporare la dolcezza delle ore che scorrono lente, l’inebriarsi della brezza che solleva la sabbia e che sembra voler respingere il mare, il sole che senza alcun affanno inizia a calare lasciandosi ammirare nel suo splendore per un tempo apparentemente infinito prima di congedarsi definitivamente con un sorriso malizioso e accattivante che cela un invito per il giorno seguente. La permanenza al Cabo scorre tra ricche pietanze a base di pesce fresco accompagnato dal tradizionale riso al cocco e strepitosi patacones, spiagge di singolare bellezza e l’escursione al tramonto al Pilar de Azúcar, che secondo la tradizione wayuu sarebbe il luogo sacro ove le anime dei defunti si rifugiano per riposare e riversare sul villaggio i loro sogni di pace e tranquillità. Con una breve passeggiata ne raggiungo la cima per godere del piacere di una vista che al calar della sera assume toni surrealisti: la spiaggia sottostante appare ammorbidita dalle dune di sabbia rosata e le diverse tonalità di blu che la sovrastano si rincorrono l’un l’altra fino a sfumare nelle ultime pennellate di rosso con cui il sole ossequia i suoi spettatori. Il tutto sullo sfondo di un paesaggio desertico in cui piccole oasi, circondate di cactus a candelabro, si perdono nell’immensità del mio sguardo. La notte giunge inattesa e mi regala un altro di quei momenti che mi accompagneranno a lungo. Spaparanzata in un caldo e accogliente chinchorro, mi lascio cullare dalla brezza marina con il suono delle onde in sottofondo e mi perdo tra le migliaia di stelle che avvolgono l’oscurità. Sono così vicine che arrivo a sentirmi parte dell’universo … MAMA TRIP ( Come viaggiare NON solidalmente ) di Ivan Ske Per la prima volta sono costretto a fare una premessa perchè quello che andrete a leggere, sono fatti realmente accaduti (come sempre) in un viaggio in Vietnam nell'anno del temuto millenium bug dei computer tra il 1999 e il 2000. Allora avevo solo 23 anni, nessuno di noi parlava inglese e per noi viaggiare significava solo puro divertimento! Da Ho Chi Minh arriviamo a Nha Trang con un'auto privata guidata da un locale conosciuto a Saigon. Siamo quattro amici affiatati, per noi è molto conveniente e ne approfittiamo per fermarci anche a ogni bellissima vista panoramica sulla costa vietnamita. A Nha Trang alloggiamo al Vina Hotel ormai a tarda sera, ma di fianco all'albergo c'è un chiosco che pubblicizza tutte le escursioni delle varie isole della zona e con il nostro speak english alla Totò non perdiamo tempo e organizziamo un'escursione per il giorno dopo. Paghiamo subito e in mano ci troviamo quattro biglietti, senza sapere di preciso quello che ci attenderà la mattina 11 seguente. Il giorno dopo con tutta tranquillità, mentre io sono al cesso, Cosimo e Emiliano si fermano a fare colazione in albergo, mentre il quarto si è perso durante la notte. Nel frattempo era arrivato un minibus del tour a prenderci. Quando si sono accorti che eravamo ancora in hotel hanno iniziato a chiamarci e a spronarci per partire. Emiliano gli grida: " Non vedi che stiamo facendo colazione, stai calmo siamo in vacanza!". A quel punto l'autista ci fa segno che passa dopo. La sera prima non avevamo mica capito che dovevamo farci trovare pronti fuori dall'albergo. Dopo una mezz'ora ritorna non più col bus, ma con un motorino. Al primo viaggio si carica Cosimo e Emiliano sfrecciando in tre fino alla barca e subito dopo torna a caricarmi. Arrivo per ultimo con un'ora di ritardo sulla tabella di marcia, c'erano gli altri turisti che già iniziavano a sbuffare e a guardarci storto. Una volta saliti a bordo, io non avendo fatto colazione mi era venuta un po' di fame e di fronte a noi c'era un frigo lungo da gelati, mi alzo e vado a veder cosa posso mangiare, ma a mia insaputa il frigo è pieno di lattine di Carlsberg. Guardo i miei amici e gli dissi: " Oh qua è pieno di birra!", non lo avessi mai scoperto, e così iniziamo a bere una lattina dopo l'altra. Dopo che la nave salpò una signora vietnamita, denominata Mama Trip ci ordina di metterci tutti ai lati della barca per lasciare libero lo staff, tra cui anche una ragazza australiana, di prepararci la colazione. Iniziano a mettere piatti di ogni tipo di frutta esotica sul pavimento di legno del piano superiore della nave. Una trentina di piatti con frutta tropicale per tutti i turisti seduti ordinatamente uno di fianco all'altro fino a chiudere il cerchio. Per noi fu una grandissima sorpresa, eravamo all'oscuro di tutto ciò, almeno sicuramente ce lo avevano spiegato, ma noi non capendo l'inglese eravamo come dei pesci fuor d'acqua. Dopo colazione Mama trip chiese chi volesse delle birre, a noi ci davano le lattine, mentre lei beveva solo Carlsberg in bottiglia. All'improvviso un odore intenso di erba, subito ci chiediamo: " Ma da dove arriva, se siamo in mezzo al mare?" Vediamo Mama Trip salire dalla stiva con due canne accese, inizia a farle girare una in senso orario e l'altra in senso antiorario passandole ai primi turisti e invitandoli a farle girare per tutti i passeggeri. Io mi ritrovai in mezzo ai miei amici che quando arrivarono a loro, fumarono con gusto prendendomi in giro: " Mhmm che buona". Volete sapere come è andata a finire? Che quei due bastardi se la fumarono tutta senza passarmela e interrompendo il giro sacrale della canna, cosicchè Mama trip ne fece girare diverse, ma ogni volta si fermavano sempre da loro, fino a che scherzando mi lamento con lei e finalmente anch'io fumai. Buonissima, era talmente buona che incominciammo a chiederle ogni volta a Mama Trip fino a che lei esausta ci lanciò un pacchetto intero di joint di ganja. Apriti cielo, tra Carlsberg e mariujana eravamo fuorissimi. Da una semplice escursione che ci immaginavamo delle isole si trasformò in un mega party con musica a tutto volume a ballare con inglesi, australiane, israeliane, canadesi, francesi per tutto il giorno. Mama trip era troppo divertente ci invitava a tuffarci dalla nave nelle acque azzurre, io e Emiliano ci tuffammo dal punto più alto mentre Cosimo tutto fuori non se la sentiva di lanciarsi. Entravamo in acqua ed era l'unico modo per riprendersi un attimo, quel che bastava per ricominciare a bere e a fumare. Cosimo al piano inferiore della nave vide un mozzo, che invece di spazzare la nave, faceva canne in continuazione uno dopo l'altra con ai suoi piedi un sacco nero pieno di ganja. All'escursione della prima isola, dove si poteva nuotare tra le acque cristalline, nonostante eravamo tutti fatti, eravamo preoccupati dei nostri oggetti di valore, non sapevamo dove lasciarli, così scegliemmo una coppia, in viaggio di nozze tra l'altro, e gli chiedemmo di curarci i nostri portafogli e macchine fotografiche, mentre noi andavamo a divertirci. Loro per paura erano costretti a stare sulla barca, poverini si sono fatti tutta l'escursione sul barcone a custodire i nostri averi. Il pranzo fu servito come la colazione, sempre con i piatti sul pavimento in mezzo ed esclusivamente con le bacchette di legno. Noi eravamo sempre più fuori, ma tutti si divertivano con noi a ballare, a ridere, scherzare e a fare baldoria. I miei amici giocavano a vicenda gridandosi: "Cata su" letteralmente prendilo in milanese facendo anche il gesto dell'ombrello, ma con la mano aperta col palmo rivolto verso l'esterno. Era diventato un tormentone, glielo insegnammo anche al canadese, il quale beveva le birre con la cannuccia e continuava a divertirsi ripentendolo più volte senza saperne il significato a tutte le passeggere. Alla fine tutta la barca che urlava: "Cata su!". Mamma mia, anzi Mama Trip quanto ridere! Si era creata un'atmosfera molto gioviale, eravamo diventati l'attrazione principale del tour e Mama Trip era molto contenta che ci stessimo divertendo così tanto, non aveva neanche bisogno del suo 12 staff internazionale per intrattenere i clienti. Ad un tratto la barca si ferma e ci tuffiamo in mare con dei polistiroli da usare tipo tavolini galleggianti, dove poter appoggiare i nostri cocktail e immancabilmente si avvicinarono i vietnamiti con le loro barchette di paglia a commerciare i loro prodotti tipici. Dopo l'ultima isola cenammo addirittura al tramonto per poi prepararsi al ritorno. Fu una giornata fantastica, indimenticabile, straordinaria fino a che Mama Trip iniziò a raccogliere i soldi per le birre. Noi eravamo convinti che fosse tutto compreso nel prezzo, infatti insistevo a dirgli: "Noi abbiamo già pagato ieri" continuando a mostrargli i biglietti. Dopo un po' avevo capito che le birre erano escluse, ma ormai facevamo orecchie da mercante. Saltò fuori il canadese con gli occhiali da vista - lui ogni volta si metteva la linguetta della lattina che beveva alla stecca degli occhiali - tutto incazzato accusandoci che avevamo bevuto più di tutti e che minimo ne dovessimo pagare almeno dieci a testa, così ci accordammo di pagarne dieci in totale e qui anche Mama Trip non era più entusiasta di noi, come il resto del gruppo. Al molo ci aspettava il minibus per riportare tutti i turisti, ognuno al proprio hotel, noi salimmo per ultimi e vedendo i posti in fondo occupati, ordinammo di farci posto, sfrattando i poveri turisti a spostarsi altrove. L'autista non esitò un secondo e invece di fare il giro degli hotel ci portò subito nel nostro albergo per primi e mentre scendevamo tutti i passeggeri ci gridavano, ormai non più presi dalla nostra paura e soprattutto stanchi di noi: "Mafiosi! Mafiosi! Mafiosi!" C'era chi ha anche gridato: "Mangia spaghetti!". Quando tornammo in hotel il nostro amico appena ci vide arrivare e camminare a due all'ora e dopo aver visto le nostre facce era incredulo: " Cosa cazzo avete fatto oggi?" Infatti Emiliano si fermò a guardare le formiche in camera e Cosimo le osservava camminare fuori dalla porta, anche le formiche pensarono: "Ma che cazzo hanno questi?". Chi si perse il tour l'estate successiva tornò con un altro nostro amico per fare l'accoppiata Cambogia e Vietnam, ma quando tornò a Nha Trang scoprì che a Mama trip l'avevano arrestata!. Il nostro fu l'ultimo Mama Trip del Vietnam! Alla fine del trip hanno fatto salire i bambini a mangiare quello che noi avevamo lasciato, perché quel momento resta vivo nella mia memoria. Una di quelle scene che non si cancellano ed un poco ti iniziano a far pensare quando hai 20 anni. Ciao besos (quest'ultima frase me l'ha ricordata Emiliano, il mio carissimo amico che ora vive a Zaragoza. Ho voluto lasciarla apposta senza correggerla perchè la cosa più bella è dimenticarsi la propria lingua, la più poetica del mondo: l'italiano.) tutti coloro che vogliono intervenire con un loro pensiero, argomento, articolo di viaggio e non, sono invitati calorosamente a farlo. Sarà pubblicato sul prossimo numero del Graffio del Viaggiatore. Grazie mille [email protected] Sono vivo… sono libero VERSI LIBERI Sono qui Per questo vedo l’infinito Pelle meraviglioso profumo che libera la pelle Michele da i brividi, tanti brividi, eterni brividi Chiunque di noi è un turista fa caldo, dentro e fuori di me poi ognuno si sente un vero viaggiatore di lui mi avvolgo ed ardo ma in albergo chiede la camera con vista la vita é tutta in quel momento solo dopo tanti anni si viaggia con il cuore. ne prima ne dopo, solo ora… adesso Se non si è onesti, occhi intensi che guardano profondo almeno con se stessi, è meglio che a casa si resti che trafiggono il cuore è inutile andare in giro a fare i fessi. e mani che si cercano e finalmente si stringono Ivan Ske un solo corpo due soli occhi due sole mani Ma é già l alba ed é arrivato il tempo di partire... Chiunque abbia piacere di condividere i propri Versi Liberi all’interno di questa rubrica, può farlo inviando il proprio componimento alla redazione del “Graffio del Viaggiatore” si ma dove, e sopratutto perché. Alessandro Ranucci [email protected] 13 CORRERE NON SERVE A NIENTE… COME VIAGGIARE… allenata così come si allena un corpo o un cuore: nella tua beata solitudine, come quando vedi che il mondo non va nella direzione che tu ti aspetti, come quando vedi che una buona parte della società non risponde alle tue aspettative, come quando vedi che, nonostante la tua serenità di base, c’è qualcosa ancora che ti brucia dentro e ti fa vedere un futuro in questo Paese nè bianco nè grigio, ma nero sebbene qualsiasi colore ne conferirebbe una cromaticità distorta, tu lo vedi nel colore più cupo. E non è un bel vivere, ma un pugno allo stomaco quotidiano. Quello che è accaduto alla “100 km del Passatore” dello scorso anno è stato un esempio del viaggio e della crescita, dove la discesa verso gli inferi ha rappresentato un momento più o meno lungo necessario per sistemare delle cose. L’importante è stato saperlo cogliere e averlo sfruttarlo positivamente, invece che cullarcisi nello stato di vittima. Lo scorso anno sono stati sostanzialmente quattro i momenti chiave nei quali la mie capacità mentali di far fronte allo stremo mi hanno consentito di giungere al traguardo. Uno stremo dovuto all’inadeguata preparazione per un evento di questa portata (quest’anno sarà comunque insufficiente ma non inadeguata), unitamente ad altri fattori molto penalizzanti, dettati da molti errori dovuti all’inesperienza, oltre che dal clima e dalle forti pendenze del tragitto. Il primo momento in cui ho capito un pezzettino di me è stato al 71mo km: dovetti aver bisogno di un input ben preciso che potesse in qualche modo azionare di nuovo il mio cervello per consentirmi di giungere al ristoro del 76mo km, ossia il posto medico fisso che sapevo esser lì: sognavo una branda, una coperta e il ritiro e il mio unico sacrificio da lì in avanti sarebbe stato solo quello di percorrere quei 4-5 km con le tibie in fiamme e i muscoli doloranti fino all’inverosimile, zigzagando, con giramenti di testa, crisi di sonno, tremando... semicollassato, non c’è dubbio: se qualcuno dell’organizzazione mi avesse visto in quello stato, mi avrebbe senz’altro fermato: e avrebbe fatto bene. La volontà e una bustina di zuccheri importante anch’essa per ridare un minimo di lucidità al cervello, fecero in modo che ci arrivassi al ristoro di San Cassiano dove, una volta rinfrancato da un pieno di cibo corroborante, abbandonai l’idea di ritirarmi. Quello fu il secondo momento, mi scattò la molla: volevo per forza arrivare, anche camminando i restanti 25 km. Non era facile nemmeno quello, stavo un po’ meglio ma avevo pochissima energia e dolori dappertutto. Intanto però notavo una cosa: mentre andavo avanti con passo incerto e dolorante e spesso nel buio più completo, non concepivo più il paesaggio intorno come spettrale, la notte non mi procurava più Spazio dedicato a chi ama correre… oltre che viaggiare. 100 km del Passatore La resilienza e la solitudine dell’ultramaratoneta di Roberto D'Uffizi Nella vita bisogna vivere e non limitarsi alla superficie delle cose. Vivere vuole anche dire soffrire (e saper soffrire) oltre che gioire (e saper gioire), il problema è che il metro che misura gli stati d’animo ce lo ha fornito qualcuno che non sa niente di noi, già che ne sappiamo poco noi stessi in partenza. Allegoricamente la “100 km del Passatore” è proprio questo: sapere poco o niente di noi stessi in partenza, salvo scoprirlo strada facendo. Non è un caso che della gara dello scorso anno, ricordo ben poco della prima parte, mentre, al contrario, la seconda drammatica parte rimane ancora impressa nella mia memoria. E’ un qualcosa che ti entra nell’anima e solo tu sarai poi in grado di trasformare quanto accaduto in positivo, in negativo o in qualcosa comunque di utile alla tua esistenza. Non voglio rendere l’idea che la corsa in generale, soprattutto quella relativa a gare podistiche estreme, sia l’unico mezzo per arrivare a un percorso che porti a una crescita interiore come base essenziale del nostro “vivere”: ci sono tantissimi altri mezzi, molti purtroppo indotti anche da esperienze di alcune esistenze piene di sofferenza per cui la resilienza diviene una prerogativa individuale ineludibile per andare avanti. Relativamente a ciò che ho imparato dalla “100 km del Passatore” dello scorso anno, è che quando non hai più forze, hai il corpo che non risponde più e stai sull’orlo della disperazione impazzendo a 30 km dal traguardo e nonostante questo ci arrivi, puoi tranquillamente avere la resilienza necessaria per affrontare i problemi della vita quando sei in condizioni di relativo equilibrio psicologico e fisico. E la mente va 14 angoscia e anche il chiacchiericcio degli altri “zombie” che come me, cercavano disperatamente di arrivare a Faenza, non mi dava più fastidio: ormai stavo interpretando la cosa come normale, era questa la dimensione spazio-temporale della sfida, resa così aspra e disumana soprattutto dalla mancanza di preparazione specifica perché non è così per tutti ovviamente: 5-600 la preparano e arrivano (relativamente) bene, altrettanti la “preparicchiano”, altrettanti ancor di meno, e altrettanti si ritirano indipendentemente dal loro livello di preparazione. Il terzo momento in cui la mia mente giocò un ruolo fondamentale avvenne alle porte di Brisighella, precisamente al km 84. Naturalmente anche la mente, oltre al corpo, poté beneficiare dell’integrazione zuccherina e quindi di un po’ di ritornata energia, ma la vista in lontananza del paese posto a 11 km dall’arrivo mi fece scattare la molla di ricominciare a correre dopo 14 km di cammino straziante. E proprio di molla si trattò: presi il coraggio di abbandonare il tanto rassicurante cammino e presi il coraggio di voler di nuovo star lì a martoriare tendini e articolazioni con un qualcosa che più o meno implicasse l’azione di una fase di volo e di stacco di entrambi i piedi da terra: come un bimbo, approfittando di un leggero avallamento in discesa, buttai il corpo in avanti e cominciai a correre, fermandomi solo ai tre ristori rimasti e nei punti in cui le leggere e brevi salite rimaste mi provocavano ormai ulteriore strazio dopo i 90 e passa km d’avventura. Qui rifletto a posteriori su un aspetto e sul ruolo della mente di fronte al dolore fisico: come correvo in quei frangenti? Che sensazioni provavo? Era un qualcosa di simile a quando s’incontra il muro del maratoneta: corri male, lentamente, hai esaurito il glicogeno, insomma uno strazio e non ne puoi più. Esperienza già vissuta alla maratona di Jacksonville dove pensavo d’aver raschiato il fondo del barile, eppure nei 16 km finali del Passatore a correre in quello stato mi sembrava di volare, la mia mente recipiva la cosa come una liberazione, tale era stata la mia agonia dal 70mo al 76mo km e poi fino all’84 km. Come quando sbatti un gomito, magari il dolore è allucinante, ma dopo che ti sei dato una martellata su un dito: quel dolore sarà percepito come “lieve” se susseguente alla martellata, come terribile se isolato. Il quarto momento, lo considero il momento della liberazione: il cartello “Faenza” mi indicava che ormai stavo comunque nel territorio comunale della città d’arrivo e, benchè ripresomi ormai tutto sommato bene dalla crisi, i muscoli erano pur sempre duri e doloranti dopo 96 km e tutte quelle ore di martirio. Nonostante ciò, senza che forse nemmeno lo volessi completamente, le gambe ripresero a girare, io rimasi completamente in trance, non pensavo più a nulla: ero solo un tronco con due gambe che giravano nel lungo rettilineo fino a Faenza. Solo alla fine del rettilineo, alla vista dell’arrivo distante poche centinaia di metri, detti consapevolmente fondo a tutta l’energia rimasta e accelerai ulteriormente stringendo i denti: non paga della sofferenza, la mia mente in quel momento voleva che dessi tutto: non potevo sovvertire un risultato cronometricamente modesto, ma l’impegno profuso fino alla fine per recuperare anche quei pochi secondi, me lo sarei ritrovato nel corso della mia storia futura da runner e nel corso della vita. Finora ho dato risalto all’aspetto mentale di questa gara e alle motivazioni intrinseche che mi spingono a volerla di nuovo sperimentare, motivazioni che cercherò di sintetizzare alla fine. Naturalmente la tenuta mentale così come le motivazioni, non sono sufficienti a portarla a termine relativamente bene. A meno che non si decida di camminarla tutta impiegando un tempo prossimo a quello limite (20 ore). A queste persone va tutto il mio plauso. Ormai vedo che la gente, molta gente, non ha nemmeno voglia di farsi 100 metri a piedi magari posteggiando l’auto nei parcheggi invece che piazzarla davanti a negozi/uffici/scuole bloccando in questo modo il traffico veicolare: c’è una pigrizia così diffusa, una svogliatezza (per non parlare della conseguente maleducazione), che mi lascia basito. I marciatori della “100 km del Passatore” invece si fanno 100 km e non 100 metri, sfidando due montagne, il caldo, il freddo, l’oscurità: molti sono anziani, altri, come Carlo Papa, secondo arrivato nel 1980 con 7 ore e 05 (con questo tempo avrebbe vinto il Passatore 2014), che ho riconosciuto e salutato calorosamente prima del via. Non è un personaggio famoso, come quasi nessuno di coloro che praticano gli sport di resistenza: vidi un servizio della sua gara su Youtube, naturalmente ho potuto riconoscerlo solo dal nome che aveva sul pettorale. Ho saputo poi che ha concluso il suo Passatore in quasi 20 ore riuscendo nell’impresa a quasi 70 anni d’età e quel che più conta, dimenticando il suo passato da campione e accettando di stare tutto quel tempo sulle gambe per il solo gusto di vivere. Dicevo che bisogna pur sempre avere una relativa preparazione, se si vuole provare a correrla il più possibile. Per affrontare questo tipo di gara così disumana come distanza, altimetrie (si toccano prima i 500 metri d’altitudine, poi i 1000), sbalzi di clima e condizioni di buio assoluto, a mio avviso bisognerebbe toccare 70, ma ottimamente 80 km di lunghissimo e simulare durante la 15 preparazione specifica (che può durare anche quattro-cinque mesi) alcune delle situazioni che poi si affrontano in gara (caldo iniziale, dislivelli da montagna e correre nell’oscurità assoluta). Solo in questo modo si può essere più o meno sicuri di portarla a termine in maniera lineare e senza soffrire le pene dell’inferno al ritmo che ci si prefigge. Un po’ come succede a me in piccolo quando preparo una maratona: nei due mesi e mezzo che precedono la gara mi porto via via a sostenere la distanza al ritmo che individuo di poter tenere e, quasi al culmine della preparazione, l’esito dei 36 o 37 km dell’ultimo lunghissimo, è in grado di dare indicazioni certe e chiare circa il risultato della maratona che andrò ad affrontare. Nel caso di questa ultramaratona di 100 km le cose per me stanno diversamente. Ho accennato al fatto che questa volta il livello di preparazione personale permane pur sempre insufficiente, ma non è inadeguato come lo scorso anno. Come preparazione intanto porto in dote quanto fatto nel periodo invernale e primaverile per la Maratona di Roma, quindi, dopo un necessario scarico tra il 23 marzo e il 6 aprile, ho comunque mantenuto relativamente alto il mio personale livello di condizione partecipando, tra l’altro, a una mezza maratona, una gara da 13km e una da 10km tutte con buoni risultati nonostante siano state svolte in presenza di caldo che si sa, risulta essere molto penalizzante. A maggio, fino al prossimo 18, una minipreparazione intensiva fatta da: un lunghissimo (lento ma ben più veloce della media Passatore) di 51.5 km (più altri 4.5 circa per ritornare alla macchina in corsetta-camminata), due collinari brevi di circa 10 km utili per perfezionare la tecnica di corsa, altri quattro tra i 26 e i 20 km di lunghezza con dislivello 100-665 metri fatti sotto il caldo atroce, un paio di rifiniture, una seduta di ripetute corte e brevi , una gara di 5 km per ritrovare un po’ di smalto e un po’ di potenza aerobica e altre piccole rifiniture. Verranno 210-220 km circa in 18 giorni che, unitamente ai 40-50 di scarico dal 18 al 29 e alla gara stessa, potranno portare il numero dei km mensili relativi al mese di maggio a circa 350. Tutto ciò rimane obiettivamente insufficiente, tuttavia il lunghissimo di oltre 50 km corso lentamente ma a velocità ben più sostenuta di quella praticabile al Passatore, dovrebbe avermi indicato un’autonomia, di sola e pura potenza lipidica, di alcuni km in più (che non posso quantificare viste le pendenze in gara). I quattro collinari importanti dovrebbero avermi indicato il modo di correre (o non correre) su forti pendenze, la corsa in propulsione in salita dovrebbe avermi costruito un po’ più “gamba”, l’impegno al caldo dovrebbe avermi migliorato l’adattamento fisiologico della prima parte di gara e il numero complessivo di km in così pochi giorni mi consentiranno di aver migliorato gli adattamenti muscolari, tendinei e articolari per un impegno così gravoso. Il resto verrà fuori dalla tattica di gara anche in base all’esperienza passata, ma di questo parlerò logorroicamente a gara (spero) conclusa in quanto anche la strategia che si ha in mente può venire disattesa in corso d’opera da tanti fattori: a questo nulla valgono (purtroppo) consigli e suggerimenti trovati in internet dai resoconti di gara di chi vi ha partecipato: c’è chi dice “se non hai lo stomaco forte e non impari a digerire non puoi fare questa gara” (e in questo io sarei spacciato), c’è chi afferma che bisogna mangiare poco ma spesso (e questo l’ho verificato nel lunghissimo con risultati disastrosi), chi invita alla prudenza assoluta all’inizio (come dire non correre per niente per tutta la gara), chi dice cammina tutte le salite... insomma, indipendentemente dal livello di ogni singolo atleta, ognuno ha sue qualità fisiologiche specifiche che adatta come meglio crede alla strategia che più è in grado di esaltarle. Per quanto mi riguarda, preso atto che non posso avere la potenza lipidica di un centista e preso atto che non riesco ad aumentare la quota glicidica integrando gli zuccheri correndo, nemmeno lentamente, dovrò effettuare due importanti integrazioni oltre ad altre più leggere agli altri rifornimenti: al 17mo km dove avrò consumato almeno 1500 kcal e attorno al 40mo, in prossimità di due tratti sufficientemente lunghi dove l’impegno cardiaco sarà limitato e l’azione di corsa radente al suolo, se non camminata (in dolce discesa e in ripida salita) condizioni più ideali per digerire e assorbire i nutrienti. Nella passata edizione ho notato una cosa in prossimità di Marradi, località posta al 65mo km del percorso e teatro di tutte le crisi della “100 km del Passatore”. Solitamente si tende a voler recuperare in discesa parte di quanto si perde in salita ripida, che, a parte i migliori, viene effettuata solitamente al passo. Quando l’effetto trascinante della discesa si esaurisce appunto a Marradi, l’atleta paga il conto anche a livello muscolare e articolare oltre che a livello metabolico (esaurimento di glicogeno), innescando la crisi che si appresta a venire. Penso di aver studiato anche un modo di correre (o non correre) in quella ripida discesa per evitare di sommare guai a guai. L’anno scorso, dopo la partecipazione alla “100 km del Passatore”, ebbi ovviamente bisogno di un lungo periodo di rigenerazione, con conseguente calo di forma e una sorta di nausea per la corsa: a luglio non ero nemmeno in grado di fare un fondo medio di 6 km! 16 Poi, piano piano, ho cominciato a ricostruirmi, riuscendo in soli due mesi a preparare un’ottima Maratona di Chicago, svegliandomi alle 4 di mattina per fare gli allenamenti (sia a Roma che in Florida il caldo era veramente insopportabile). L’esperienza del Passatore era e rimane viva: psicologicamente riesco ad adattarmi di più a tutto, ad avere la voglia di fare le cose, a crederci e naturalmente sto migliorando in tutte le distanze nella corsa: meriterebbero un capitolo a parte la mezza maratona di Mount Dora finita col record nonostante alcune condizioni impossibili e la Maratona di Roma nonostante due stop dovuti a degli infortuni nel corso della oltretutto breve preparazione. Una ultramaratona di questo genere mette alla frusta l’organismo ma allo stesso tempo contribuisce a costruire il fisico che sopporta meglio gli sforzi, soprattutto quelli prolungati. E allena ovviamente la mente: non necessariamente solo alla corsa, ma anche a far fronte agli imprevisti della vita di tutti i giorni e questo è molto importante se si vuole realmente essere felici nella vita: condizione a cui dovrebbero aspirare le persone, specie quelle che hanno la fortuna di vivere nel mondo occidentale e che invece molto spesso a torto, tendono più che altro ad autodistruggersi e a precipitare in una spirale di cattivi sentimenti, scarsa umanità e indifferenza. Per chi come me, ama correre, il Passatore è un ottimo viatico per questo viaggio introspettivo ma è un percorso che devi far da solo: devi contare solo su te stesso. Per questo non biasimo ma non comprendo coloro i quali affrontano questa meravigliosa avventura con accompagnatori al seguito ad assisterli: sicuramente riusciranno a trarre vantaggio dalla situazione, sicuramente otterranno un tempo cronometrico migliore, sicuramente avranno il bisogno d’esser confortati dalle persone amiche in caso di crisi... io partirò da solo, con un kg e mezzo di peso sulle spalle portando i miei indumenti nello zainetto, starò solo tutto il tempo e chi mi ama mi aspetterà all’arrivo: perché è così che voglio io ed è solo così che questa gara assumerà il significato che voglio darle e di cui ho intimamente bisogno. nel prossimo numero del Graffio, Roberto ci racconterà la sua seconda emozionante avventura nel Passatore del 2015. Da non perdere! 17 I sogni e i progetti di chi non vuole smettere di correre… Scriviamo e lasciamoci andare sempre e ovunque… Non si è completamente liberi se non si comprende la sofferenza dell’uomo si rimane sempre nella gabbia dell’ignoranza, della stupidità e dell’egoismo chi ha un cuore crudo non potrà mai volare… dedicato a tutti i migranti Vite perdute disperate ai margini del mondo aspettando il loro giorno... quello fortunato... occhi lucidi di dolore e paura misere vite in cerca di libertà... di pace... di serenità senza gioia ne amore raminghi senza identità... ombre silenti che camminano stanche... si trascinano è sempre notte senza luna e l’alba non arriva mai un raggio di sole dove aggrapparsi… uno sguardo che doni speranza per trovare ciò che la vita non gli ha dato se potessi vi darei ali forti per volare sopra gli steccati e l’indifferenza dell’uomo... per arrivare li dove sapranno ascoltarvi ed amarvi e dove poter nascere di nuovo stavolta da esseri umani Alessandro Ranucci 18 I MINI GRAFFI Arriviamo ad Uyuni, 5000 metri di quota di Marco Cavallini Arriviamo ad Uyuni, 500 metri di quota, e prendo un mega fuoristrada per me e i 6 compagni di viaggio con autista favoloso che in partenza mi indica due secchi rossi sul portapacchi, ci sono a bagno le bistecche che ci cucinerà alla griglia sul favoloso isolotto in mezzo al meraviglioso Salar de Uyuni, un oceano di sale che incanta. Girovaghiamo per il favoloso deserto di Dalì a quote stratosferiche e dormiamo ospiti di famiglie locali, quando mangiamo il brodo spesso deborda perché la terra continua a muoversi. Non finiamo di stupirci prima visitando il Sol de la manana , una zona che ricorda Yellowstone per le sue buche di fango che bolle e i soffioni simili a piccoli geysers. Sono tre giorni di emozioni, pensavo che il culmine fosse vedere migliaia di fenicotteri rosa che prendono il volo sulle lagune verde smeraldo a 5000 metri di quota invece no l’emozione più forte arriva quando meno te l’aspetti! La frontiera Bolivia Cile è famosa per il traffico di cocaina, infatti vediamo asinelli carichi di sacchi che sconfinano su sentieri oltre i 5000 di quota e rientrano scarichi in territorio boliviano dalle frontiere ufficiali, sto attento che nessuno si avvicini ai nostri bagagli. Arrivato alla dogana cilena sono tranquillo, apro il mio sacco e la guardia mi invita ad aprire la busta con la roba da bagno … la sorpresa, il dramma, l’ineluttabile: una montagna di roba bianca!!! Mentre il poliziotto ride (ma perché cavolo ride!!!) io rivedo la mia vita passata e penso alle parole che nell’unica telefonata concessa dirò ai miei cari “Addio, è stato bello.” e penso alla chiave della mia futura cella che verrà lanciata lontano. Intanto il poliziotto continua a ridere, mi viene qualche pensiero omicida nei suoi confronti , mentre gli sento dire in spagnolo “si sposti a lato che ci metterà qualche minuto a pulire!” … “Como, non ho capito bene!!” “Sì, ci metterà qualche minuto a pulire visto che le è scoppiata la bomboletta della schiuma da barba, causa l’alta quota”!!! … poi non ricordo bene cosa è successo , penso di avergli fatto una proposta d’amore, sicuramente sono rinato e da allora in quota mi porto i tubetti o il gel che è verde o blu ed eventualmente non crea dubbi! 19 Essaouira di Michele Ero lontano, arrivato in Marocco da due settimane come catapultato da una macchina del tempo che mai prima di allora avevo pensato così nitidamente. Io e il mio zaino. Non stavo cercando il Marocco ma il Marocco trovò me. Io ero finalmente. Nel mio viaggio ho visto e capito cosa significa viaggiare. Il mio viaggio. Il primo, unico, puro. Ho visto e capito che non si smette mai di cercare di capire, riflettere sul significato della vita... Dopo due settimane arrivo a Essaouira. Un miraggio. Io che non sapevo perché ero lì entravo in città una sera... Essaouira mi abbracciò forte e mi diede la risposta del mio vagare... Non sapevo nulla di cosa significava camminare, non sapevo nulla di cosa significava correre, non sapevo nulla della vita... Il cielo era il più grande, quello più azzurro. L'oceano era il più amico, il più forte. Gli occhi erano i più felici e i sorrisi i più contagiosi. Il profumo dell'aria delizioso come la musica della vita... Non avevo niente e per questo ero felice. Trovai tutto e da allora iniziai la mia corsa, luminosa, infinita...bellissima ! Graffio… il gusto pieno della vita 20 Puerto escondido es de todos… Welcome to Puerto Escondido di Alessandro Ranucci Ci sono dei posti nel mondo in cui vorresti andare solo perché sei attratto dal nome, altri perché se ne parla come luoghi singolari o straordinari, per l’atmosfera che si respira o le persone che lo vivono. Ci sono dei luoghi che ci attraggono semplicemente perché fuori dalle rotte, dagli schemi e da tutto. Altri perché li riteniamo posti dove ci si possa rilassare, si possa pensare, meditare. Poi ci sono posti in cui speri di non trovare nulla, dove si pensa di potersi ritrovare e rinascere! Puerto Escondido rappresentò per me un po’ la sintesi di tutto questo. Ne avevo sentito parlare come un oasi di pace, dove dondolarsi oziosamente sull’amaca, aspettando solamente di mangiare, coccolati dal silenzioso incedere del tempo. Ed insieme a te solo il rumore del mare e del vento, il canto dei pellicani ed un pueblo accogliente ma mai invadente. Talmente ero affascinato dal luogo che ricordo comprai anche il film di Salvadores, di cui avevo sentito parlare ma che non avevo mai visto. E fu cosi che ci andai, in due differenti viaggi. E li trovai tutto ciò che mi aspettavo. La scena che ricordo volentieri e che rappresentò in quel momento la vera essenza di quel posto, è quando, camminando sulla spiaggia, dove l’arenile si assottigliava per dare spazio alle prime abitazioni di pescatori a ridosso del mare, fui costretto a fermarmi con l’acqua alle ginocchia, di fronte ad una grande banchina di legno traballante più alta di me e che dava accesso ad una zona privata. Ecco che dall’alto si affacciò verso di me con la mano tesa, un anziano rasta, che mi guardò dritto negli occhi e mi disse tirandomi su per il braccio: “”Puerto escondido es de todos… Welcome to Puerto Escondido!!””. Quel volto, al quale la salsedine non aveva dato ragione della sua vera età, rendendolo negli anni più arso e scavato e quei magnifici dreadlocks che scendevano dalla testa bagnati, come enormi radici di ficus, non li dimenticherò mai… proprio mai! Il Graffio… per l’uomo che non deve chiedere mai 21 Er Ricordo di Alessandro Ranucci Qualche giorno fa, mentre ero al parco con mia figlia, ad un certo punto si è posato a terra un uccellino appena sceso dal nido, Credo si trattasse di un cardellino. La mamma lo seguiva dall’alto richiamandolo ogni tanto col suo cinguettio, per esortarlo a volare e ancora a volare. Era un bell’uccellino paffuto e con tanta voglia di volare e cominciare cosi la sua vita. Ma non aveva purtroppo ancora imparato a diffidare dell’uomo e della sua crudeltà. Un gruppo di bambini scalmanati si uniscono in branco, rincorrendo il povero uccellino, come fosse una preda da catturare, un assurdo trofeo. Riescono a prenderlo una prima volta, litigando per tenerlo tra le loro manine piccole ma già capaci di stritolare una creatura cosi gracile. Dopo che l’uccellino, riuscito a liberarsi, prendeva nuovamente a volare, ecco che per la seconda volta venne raggiunto e circondato dal branco. Uno di loro, di quattro anni appena ma già con abbondante pelo sullo stomaco, con agghiacciante freddezza decise che la vita del povero uccellino dovesse concludersi nel suo momento più bello, quando finalmente poteva volteggiare libero insieme alla mamma ed abbracciare il mondo. Il peso terribile della scarpa soffocò per sempre in una morsa canaglia, il diritto di quella splendida creatura di vivere ed essere felice. Sono sempre afflitto di fronte a scene del genere, e credo sia profondamente sbagliato da parte di un genitore, giustificare o minimizzare le azioni sbagliate del proprio figlio, sopratutto le più gravi, imputando tutto alla candida innocenza del bambino. Bisogna intervenire sempre e comunque. Un padre o una madre di fronte ad un gesto del genere da parte del proprio figlio non possono, come ho avuto modo di sentire, solamente intervenire dicendo: “non si uccidono gli animali”. Ci vuole qualcosa di più. Ci vuole qualcosa che riecheggi nella testa del proprio figlio per la vita intera e che lo convinca della gravità di ciò che ha commesso e che soprattutto gli eviti di compiere nuovamente gesti del genere. Ci vuole ciò che a Roma chiamiamo “Sganassone”… si un sonoro sganassone! … o in alternativa un fragoroso CALCIO NEL CULO! Agostino Belli, in un bellissimo sonetto, ci ricorda una delle usanze del popolo romano in occasione delle esecuzioni in pubblica piazza. I padri davano sempre uno schiaffo ai figli, appena finita l’esecuzione. Questo per ricordare che fine facessero i poco di buono… ma io penso che lo schiaffo era anche un modo per ricordare al figlio l’orrore della morte. Er ricordo Er giorno che impiccorno Gammardella discenno: «Va’ la forca cuant’è bbella!». io m’ero propio allora accresimato. Tutt’a un tempo ar paziente Mastro Titta Me pare mó, ch’er zàntolo a mmercato j’appoggiò un carcio in culo, e Ttata a mmene me pagò un zartapicchio1 e ’na sciammella. un schiaffone a la guancia de mandritta. Mi’ padre pijjò ppoi la carrettella, «Pijja», me disse, «e aricordete bbene ma pprima vorze gode l’impiccato: che sta fine medema sce sta scritta e mme tieneva in arto inalberato pe mmill’antri che ssò mmejjo de tene» di Agostino Belli 22 PAROLE IN LIBERTÀ Cos'è la vita di Michele La vita è un attimo, ti può sfuggire via senza averla capita. Ti può capitare di viverla e comprendere di esserci stato dentro ma ancora non sapere di lei, di conoscerla. Pochissimo tempo per riflettere, ci sono istanti molto più importanti di storie lunghissime. La vita va senza freni e senza paura, scorre e travolge, passa e macina ogni cosa. La vita va e non si ferma. Ed è così bella che non la immaginate neanche. È la vita tutta intera, minuscola per noi che siamo piccolissimi e non contiamo niente. Noi che sogniamo a occhi aperti e che speriamo immaginiamo, soffriamo, ridiamo e ci inginocchiamo... La vita è un mare di vite e non ti sta a guardare, devi solo prendertela e rispettarla. La vita è il miracolo che possediamo, per sempre. Gli Amici di Michele Non si possono definire amici tutte le persone più o meno care. Gli amici sono una categoria in estinzione ? Gli amici sono molto importanti e hanno l'obbligo di rimproverarci, sgridarci, criticarci, senza paura di farlo ! Gli amici non devono applaudire e consolare, non possono solo ascoltare e acconsentire, non devono starsene fermi e zitti. Gli amici ti devono far pensare e parlare, discutere e arrabbiare, cercare altri modi di vedere la vita... ____________________________ LA MUSICA PER CHI VUOLE VEDERE La musica di Michele https://www.youtube.com/watch?v=mYxp27e3gMo Golden Smog https://www.youtube.com/watch?v=_Q-9__pRZyg jeff Tweady 23 https://youtu.be/FVqIJjkMEwY "I Can't Think About It Now" Grandissimi i DAWES x il Graffio di giugno un viaggiare liberi per spazi infinitamente grandi... https://youtu.be/liimDXIVfLk Una canzone "liquida"... La musica di Ivan Ske. https://www.youtube.com/watch?v=lbPRZRE8dVM&list=RDlbPRZRE8dVM Questa è per i bambini dategli cibo fateli crescere dite loro la verità, fate loro sapere Non voglio essere un bambino soldato che vive in un mondo per sempre selvaggio non mi insegnare ad uccidere portami a scuola, sono ancora ignorante e la mia pancia è vuota voglio vivere, voglio imparare ma nessuno mostra il minimo interesse per il mio benessere la mia educazione mi sento solo in questo mondo come un orfano THIS ONE IS FOR THE CHILDREN GIVE THEM THE FOOD AND LET THEM GROW TELL THEM THE TRUTH AND LET THEM KNOW i don't wanna be a soldier child living in the world that's for ever wild don't teach me to kill take me to school i'm still ignorant and my belly no full i wanna live; i wanna learn but nobody shows the slightest concern for my welfare ,my education i feel alone in this world like an orphan. Daara j Family - Children Children Ivan Ske 24 La musica di Ale https://www.youtube.com/watch?v=LCJahCEMm5A go! Mamacita go!! Madisen Ward and the Mama Bear - "Silent Movies" https://www.youtube.com/watch?v=H7PvgY65OxA Mandolin Orange - "Old Ties And Companions" https://www.youtube.com/watch?v=zB1Gh8qogjg la mente viaggia… un viaggio psichedelico… chiudi gli occhi e trovi spazi infiniti… stupenda cover! Phil Shoenfelt & Southern Cross - Death is Hanging Over Me Tricycle cinese a Yiwu city moto con l'ombrello a Guangzhou old auto polizia a Varsavia 25 taxi a Varsavia San Augustin - Colombia Eccovi un poster che mi piace Può starci nel numero di giugno... 26 ESPERIENZE DA NON PERDERE http://www.immagimondo.it/ IMMAGIMONDO, 18° Festival di Viaggi, Luoghi e Culture Il Festival dei Viaggiatori ... e dei loro racconti di Viaggio ____________ Invito alla lettura di Ivan Ske: Vai e vivrai Radu Mihaileanu Alain Dugrand "E' così, non ho dimenticato nulla. 'Va', vivi e diventa... ' Le tue parole hanno nutrito il mio dolore e le mie speranze. 'Va, vivi e diventa!' Ho rispettato il tuo desiderio: non ho mai smesso di cercare di essere qualcuno, di vivere quell'insegnamento in ogni istante dell'esistenza, passo dopo passo, per te. Non so se ce l'ho fatta, mamma, ma sono diventato un uomo di questo mondo. Sono andato, ho vissuto. Che la grazia non ti abbandoni mai. Ogni notte leggevo il tuo sguardo sulla pelle della luna, il tuo viso, la forma dei tuoi occhi. Sono partito nella paura e nel dolore, ma ho vissuto. Sono qualcuno." 1. L'ultimo respiro di Salomon Al campo di Um Raquba, l'esistenza è disumana... Gli ufficiali sudanesi che gestiscono questo campo profughi per conto della Comunità internazionale amministrano persone, risorse e beni secondo le loro usanze: burocrazia, confisca degli approvvigionamenti di cereali degli aiuti mondiali e, naturalmente, corruzione. Più la miseria è grande, più l'essenziale raggiunge il prezzo dell'oro. L'acqua non manca, ma vista la siccità delle ultime stagioni, il livello della falda è allo stadio più basso, i cammelli si abbeverano negli stagni fangosi, e gli esseri umani anche, nonostante le carcasse di animali morti in decomposizione. In cambio di soldi, e aiutandosi con i cartoni del latte vuoti, alcuni giovani travasano il liquido infetto in barili che diffondono i germi della dissenteria. Ma è davvero la morte il peggiore dei mali sotto i cieli del Sudan miserabile, in cui a migliaia aspettano, speranzosi, che la canicola cessi con la stagione delle piogge? Il crepuscolo si avvicina. Il bianco plumbeo del cielo è già velato da un'ombra violacea, una luna maestosa si alza sul vasto e muto brulicare. A est, rocce color ruggine virano al viola, in meno di due ore la notte africana cadrà di colpo. Il freddo allora strazierà i corpi, farà gracchiare la sabbia sotto i piedi. Man mano che l'oscurità avanza il silenzio si annulla. Le gole secche si infiammano, attacchi di tosse, versi raschiati sembrano richiamarsi l'un l'altro nell'inferno lugubre di Um Raquba, dove la notte è peggio del giorno. 27 Invito alla lettura di Gianluca Crisantema: Mi permetto anche di darvi un consiglio per un libro da leggere: Belle per sempre di Katherine Boo … La vita e le storie degli abitanti di uno slum Indiano.. _____________ Invito alla lettura di Alessandro Ranucci: La via dell’Incenso di Cino Boccazzi. “”… Duemila chilometri di pista attraverso deserti e altipiani, segnata dal passo lento delle carovane partite dai monti dell’Arabia Felice e dirette verso l’Arabia Petrea e la splendida Petra: questo è l’itinerario di una delle più antiche vie commerciali del mondo, la via dell’incenso. Nacque nel III secolo a.C. quando egiziani, fenici, siri, nabatei, giudei, romani facevano un immenso consumo di incenso e si snoda attraverso paesi, montagne e deserti, ripidi ghiaioni e lisce pareti di arenaria, resti di muri di pietra, antichi posti di guardia e tracce di città di cui a volte si sono persi nome e memoria. Antichissimo sentiero dove per millenni sono passati degli uomini che hanno lasciato tracce (frecce di pietra, asce, graffiti) e costruito giardini con palme dai datteri dolcissimi e città sante, che il vento scopre e ricopre come un’onda che va e viene su una spiaggia …”” una grande energia sorridere mangiare il mondo correre all’orizzonte ruggire emozionarsi Il Graffio lascia il segno… Non perdiamoci di vista… l’appuntamento è per il Graffio di Luglio 28 SPAZIO LIBERO DEDICATO AI COMMENTI ALLE CRITICHE E AI CONSIGLI DEI LETTORI Ricevuto, grazie, che bel numero! e allora Avanti così! complimenti, ciao :-) P.S.: (tra l'altro vi faccio notare che me lo avete mandato col titolo della mail: "il GRAFFIO DEL VIAGGIATORE. Aprile 2015" mentre invece era quello nuovo di Maggio…). Riciao C.P. Ciao ragazzi vi leggero con estremo piacere Ho visto poi che c è anche Diana... Saluti S&I Grandissima iniziativa ... si legge con il sorriso sul volto ed appena hai finito ti viene voglia di partire con il corpo , dato che la mente è già andata altrove ... complimenti e grazie. A. Appena finito di leggere il numero di maggio !!!!!!!!!!!!! Braviiiiiiiiii!!!!!!!!!!!! Ale il tuo articolo sull' "arca di Noè" davvero bello, mi ci sono ritrovata nei tuoi pensieri. Un abbraccio, C. Ciao ragazzi, vedo che il progetto va bene avanti. Purtroppo in questo periodo ho ancora meno tempo di prima ed anche questa volta ho letto il graffio in ritardo.... ma l'ho letto, e, se non mi faccio viva, ci sono lo stesso e spero che mi vogliate sentire presente. Continuate a spedirmi tutto. così sarò con voi e se vi dovesse capitare di passare da queste parti, fate un fischio.... Vi abbraccio forte, S. Controsenso" di Ivan Ske è formidabile e incriticabile. Ciao M. "fiori rosa fiori di pesco ... fatti crescere i baffi" Luca N. 29