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Il Graffio del Viaggiatore

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Il Graffio del Viaggiatore
Il Graffio del Viaggiatore
(con la V maiuscola perché Ivan vuole così)
Numero 5 - giugno 2015
ad occhi chiusi
L’EDITORIALE del GRAFFIO
Pag. 2 …. Il Graffio è molto di più
di Alessandro Ranucci
i GRAFFI di Giugno
Pag. 3 … Le tasche piene di sassi,
le scarpe piene di passi…
di Gianluca Crisantema
i mini GRAFFI di Giugno
Pag. 23 …. PAROLE IN LIBERTÀ
 “Cos’è la vita” e “Gli amici”
di Michele
Pag. 19 … Arriviamo ad Uyuni,
5000 metri di quota
di Marco Cavallini
Pag. 18 … I’M STILL FREE – I sogni e i progetti di
Pag. 20 … Essaouria
di Michele
chi non vuole smettere di correre…
Scriviamo e lasciamoci andare sempre
e ovunque…
Pag. 5 … Viaggiatori vacanzieri
di Carlo Pancera
Dedicato a tutti i migranti
di Alessandro Ranucci
Pag. 5 … Riflessioni sulla Colombia
e sul partire soli
di Cristina F.
Pag. 21-22 … Puerto escondido es de todos…
Welcome to Puerto Escondido
e
“Er ricordo”
di Alessandro Ranucci
cibo per l’anima
Pag. 7 … Federico Jose Bruno (parte terza)
di Vincenzo Tarantino
Il Graffio lascia il segno
Pag. 8 … Mind Full or Mindful?
di Andrea Veggetti
ogni mese un’esperienza diversa
Pag. 9 … isole svalbard incontro con l’orso
polare e navigazione nel pack
di Ruggi Morenita
Pag. 10 … la ruta verso il cabo,
un viaggio ai confini dell’universo.
di Diana Facile
EMOZIONANTE
Pag. 23 …. LA MUSICA PER CHI VUOLE VEDERE
La musica di Ivan Ale Mic
Il Graffio di giugno è sbocciato
Mente e Corpo
grazie a tutti voi…
che non smettete di crederci
Pag. 11 … Mama Trip
di Ivan Ske
Pag. 27 ... ANGOLO DEI LIBRI
I libri consigliati da
Gianluca Crisantema, Ale e Ivan
CORRERE NON SERVE A NIENTE…
COME VIAGGIARE…
Spazio dedicato a chi ama correre…
oltre che viaggiare.
Pag. 14 …. 100 km del Passatore, la resilienza e
la solitudine dell’ultramaratoneta
di Roberto D’Uffizi
miscellanea
Pag. 25 …. COSE STRANE DAL MONDO
Le foto di di Ivan Ale Mic
intime emozioni
Pag. 27 …. ESPERIENZE DA NON PERDERE
Pag. 13 …. VERSI LIBERI
La poesia di Ale Ivan Mic
Pag. 29 …. GUESTBOOK
di Alessandro Ranucci
Un particolare ringraziamento a tutti coloro che hanno partecipato con le loro idee e le loro storie,
alla redazione dei primi cinque numeri del Graffio.
Senza di loro questo viaggio non sarebbe mai iniziato
Vincenzo Tarantino
Diana Facile
Rudy
Andrea Veggetti
Carlo Pancera
Cristina F.
Ulf Stocchetti Alberto Pennella
Cristina
Ruggi Morenita
Marco Cavallini
1
Giovanni Minelli
Gianluca Crisantema
Roberto D’Uffizi
L’editoriale del Graffio
Il Graffio è molto di più…
di Alessandro Ranucci
“”… pensieri sciolti, liberati sulla pagina alla rinfusa, come si fossero rovesciati da un bicchiere, o
fossero macchie di colore lanciate sulla tela dalla mano di un artista …””
Il Graffio non è una semplice rivista. Il Graffio è uno scrigno di emozioni personali, percorsi interiori, pensieri spontanei che vengono
dal profondo. Il Graffio non è un posto per timidi. La vita riserva talmente tante occasioni per esercitare la nostra timidezza, che
regalarsi degli spazi per essere fino in fondo noi stessi, è un opportunità importante da cogliere. Aprirsi a se e agli altri è
un’esperienza esaltante oltreché utile a vincere le proprie paure e debolezze. Il Graffio è un immenso campo nudisti dell’animo umano,
dove spogliarsi delle introversioni, liberando le più segrete emozioni, affrontando qualsiasi argomento nella maniera più naturale e
sincera possibili, come in un dialogo con noi stessi. Il Graffio è per anime a briglia sciolta, dove ci si libera dalle gabbie che ci siamo
costruiti per vivere e sopravvivere, e che non permettono di essere totalmente noi stessi. Nel Graffio si deve deporre la maschera e
tirare fuori gli artigli, scrivendo in maniera libera ed indipendente le nostre storie ed il nostro pensiero. Il Graffio è un luogo dove ci si
può anche appassionare scrivendo di vite, storie e pensieri altrui, che ci commuovono e ci convincono che valga la pena divulgare e
condividere con tutti. Il Graffio del Viaggiatore è un meraviglioso viaggio introspettivo, dove le sole armi a nostra disposizione sono il
cuore e la penna. Nel Graffio si condividono sogni ed aspettative e si fa viaggiare libera la mente nei nostri ricordi più intimi e belli. Il
Graffio non è per gente che si fa problemi. Il Graffio accoglie tutti, ma non è il posto più adatto per pubblicare sterili diari di viaggio,
fatti di numeri, prezzi ed informazioni da guida turistica. Il Graffio pretende di più …
perché viaggiare è molto di più…
In linea con la filosofia del Graffio, il numero di Giugno non può che aprirsi con i pensieri di Gianluca Crisantema che, in una mail scritta
alla nostra redazione per complimentarsi di quella che lui chiama “Avventura” del Graffio, è riuscito a condensare in poche frasi
appassionate, tutto quello che noi, in cuor nostro, speravamo potesse generare nell’animo di ognuno di voi, leggere le pagine del
Graffio…
Parole limpide e sincere, che sono un vero Manifesto del Graffio e che meritano la prima pagina di questo numero.
Buon Graffio a tutti…
e soprattutto siate sereni e ritornate piccoli … anche dopo aver letto le parole di Gianluca …
“” … Ivan (parto dal “direttore”), Ale e Michele, complimenti ancora per questa avventura, anzi direi per questo nuovo e spero lungo
viaggio. L’ultimo numero de Il Graffio è stata una sorpresa ancora più grande: racconti, approfondimenti e soprattutto pensieri sciolti,
liberati sulla pagina alla rinfusa, come si fossero rovesciati da un bicchiere, o fossero macchie di colore lanciate sulla tela dalla mano
di un artista.. E’ bello poter leggere semplici frasi e riflessioni sconnesse, senza una evidente logica o fine, ma con l’impronta precisa
di chi l’ha scritta.. Ultimamente purtroppo, sono diventato allergico ed insofferente a tutte le notizie in circolazione: TV e giornali ti
riempiono testa e occhi con tutto il brutto che c’è nel mondo, trattando solo di uccisioni, furti e guerre. Sono stanco, mi sento esausto.
Non che non sia giusto parlare di tutto ciò, anzi.. ma il mondo e noi esseri umani, non siamo solo questo. E allora penso che viaggio, e
sogno, proprio per vedere di cosa siamo capaci (cosa abbiamo saputo fare di utile e bello) e per incontrare chi riesce ancora a
sorridere nonostante tutto ciò, sperando di esserne contagiato. Ho finito di leggere il numero di Maggio, con le cuffie nelle orecchie
mentre ascoltavo della buona musica.. Ma dopo aver finito, mi sono reso conto che la mia mente stava vagando, ricordando aneddoti di
viaggi passati, esperienze positive e negative, e riflessioni più o meno serie sulla vita, sui sogni e su cosa vorrei. Anzi, più
precisamente posso dire che non so cosa vorrei, ma sicuramente ho ben presente cosa non vorrei.. Beh, di questo vi ringrazio. Di
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regalarmi con la vostra passione qualche attimo di intimità con me stesso (e riappropriarsi del tempo è una delle cose più preziose
che ci sia), e poi subito lasciarmi la bella sensazione di ritornare piccolo, insieme ai miei compagni di giochi.. e se guardo avanti vedo
tutto più sereno. So che non è così, ma a volte è bello poterlo credere, per continuare a sognare.. per continuare a mettere un passo
innanzi all’altro, con la curiosità e la speranza sempre più forti della paura. Un abbraccio, e se volete (anche se lo scrivere non è
sicuramente il mio forte) un piccolo aneddoto relativo ad uno dei miei primi viaggi in Costarica, che mi è tornato in mente leggendo “Il
Graffio” (ma non chiedetemi il perché..), e mi ha strappato un sorriso. Continuate così.. “”
BUON GRAFFIO A TUTTI
Le tasche piene di
sassi, le scarpe piene di
passi…
di Gianluca Crisantema
Primi anni novanta, uno dei primi viaggi,
sempre col mio fedele compagno di
avventure Fabrizio..
Cahuita, allora piccolissimo e sonnolente
villaggio sulla costa atlantica del
Costarica, comunità Garifunas.
Dopo l’arrivo a San José, Aeroporto
Internazionale
Juan
Santamaría,
noleggiamo una piccola auto e partiamo
alla scoperta del Costa Rica, delle sue
spiagge e dei suoi immensi parchi. Dopo
alcune ora di guida, in compagnia della
musica che esce dal mangianastri, e le
chiacchiere sulle aspettative del viaggio,
eccoci all’ingresso del paese, anche se
paese ti fa pensare ad un centro abitato
più grande, mentre Cahuita era ancora
molto contenuto.. Siamo comunque
stanchi ed assetati, quindi ci fermiamo al
primo bar che si trova sulla destra della
strada sterrata, all’entrata del paese.
Sulla soglia del bar in piedi, un omone di
colore alto e massiccio, e con lunghi
“dreadlocks”, ci guarda scendere
dall’auto. Ci fa segno di sederci sulla
panca fuori dal bar, e ci chiede cosa
vogliamo da bere. Poche parole nel loro
dialetto, che risulta essere un miscuglio di
inglese, spagnolo, e non so cos’altro.. Lo
sguardo serio, duro, che in un certo modo
fa quasi timore, ma che si rivelerà
tutt’alto che ostile. Senza dire nulla ci
offre da fumare: io non fumo ma il mio
compagno accetta volentieri. Il gigante (lo
chiamerò così per la stazza..) accende e
gliela porge.. Poi ci lascia, entrando nel
locale per preparare i nostri primi cuba
libre in terra “costaricense”. Non c’è
frigorifero perché la corrente è
disponibile solo per alcune ore, quindi la
mattina passa un pick-up che lascia dei
grossi blocchi di ghiaccio nei vari bar e
ristoranti.. A questo punto, munito di
scalpello, stacca dal blocco un grosso
pezzo di ghiaccio, e dopo averlo avvolto in
uno strofinaccio, lo sbatte furiosamente
contro il tronco di un albero che cresce
rigoglioso in mezzo al bar, ed esce dal
tetto, svettante verso il cielo. Ecco pronto
il nostro ghiaccio: con le sue gigantesche
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mani, che sembrano badili, lo prende e lo
pressa nei bicchieri, poi mette due dita di
coca-cola, e lo riempie fino all’orlo di
rum.. E’ solo primo pomeriggio, il solo
picchia forte, e dopo il primo sorso,
iniziamo a sudare.. Lui si siede accanto a
noi, beve e fuma rilassato, e non ci degna
di uno sguardo. Dopo aver finito le
bevande, eccoci pronti per andare a
cercare un posto per le prossime notti.. Il
gigante si alza, ci da una pacca sulla
spalla (che oggi mi torna in mente ogni
volta vedo in TV lo chef Cannavacciuolo), e
ci fa il primo sorriso.. Ecco, abbiamo
avuto il nostro benvenuto e battesimo.
Troviamo un semplice alloggio e ci
concediamo un meritato riposo
pomeridiano. Causa il jet lag e la
stanchezza ci destiamo tardi, facciamo
una doccia veloce e siamo pronti per
uscire: peccato che essendo vicini
all’equatore, il buio cala molto presto.. e
quindi non troviamo nulla di aperto per la
cena: un po’ di digiuno ci farà bene!
Disorientati, decidiamo di fare comunque
due passi, quando in fondo alla strada
buia, vediamo una luce. E’ un piccolo
locale dove gli abitanti del paese vanno
finire la serata, bevendo e giocando, dopo
la dura giornata di lavoro. Entriamo,
ordiniamo da bere e ci avviciniamo
incuriositi ad un tavolo quadrato dove
quattro schiamazzanti anziani giocano a
domino, con l’allegra compagnia di un paio
di bottiglie di Rum. Il tasso alcolico è
molto alto, discutono a voce alta, ma al
nostro arrivo si fermano e ci osservano
stupiti; siamo al centro dell’attenzione, e
ci sentiamo un po’ a disagio, ma l’uomo
che sembra essere il più intraprendente,
mi chiede il nome: “Lucas” rispondo.. Mi fa
un cenno con la testa e mi dice di sedermi
al suo posto, e di giocare. Inizia a
riempirci e riempirsi il bicchiere, ed andrà
avanti così imperterrito tutta la sera. Gli
dico che non ho mai giocato, ma lui con
calma mi spiega le semplici e poche
regole, e sottolinea con una risata
contagiosa che l’unica cosa davvero
importante è sbattere forte le pedine sul
tavolo. “Devi far rumore, sbatti più forte
degli altri”. Solo così sei un bravo
giocatore e ti rispetteranno! Così un
bicchiere dopo l’altro, una bottiglia dopo
l’altra, ed un colpo dopo l’altro, arriva
l’ora di andare a dormire. Stasera
abbiamo fatto la conoscenza di José, ma è
ora di andare anche per lui; Josè fa
l’ambulante ed al mattino si alza presto
per vendere la sua frutta.. e sinceramente
anche noi non ci reggiamo più in piedi.
Certo che in questo piccolo paesino, ci
sono dei personaggi incredibili, delle vere
caricature. Tutti ci hanno trattato con
riguardo e rispetto: sembrava ci
conoscessimo da sempre, ma non ci
vedessimo da tanto. Cahuita sembra un
piccolo paese di frontiera, sonnolento e
calmo, l’ideale per rilassarsi e godersi il
lento passare del tempo, ma che
all’improvviso ti regala emozioni
impreviste. Il giorno dopo al ritorno dalla
spiaggia, in lontananza vediamo José, e ci
sbracciamo subito per salutarlo. Nessuna
reazione, ci passa vicino senza degnarci
di un cenno o di un saluto, e scompare in
una stradina laterale. Ci resto male, e non
mi spiego il suo comportamento dopo la
serata passata insieme. Comunque per
evitare di saltare nuovamente la cena, ci
dirigiamo in camera per prepararci prima
che si faccia troppo tardi. Con la pancia
piena, torniamo nel locale della sera
precedente, per l’ultimo bicchiere prima
di andare a dormire. Appena entrati, ecco
José che dal suo tavolo ci chiama a voce
alta “Lucas, Fabricio..” e ci presenta ai
suoi amici che ieri non erano presenti.
Nuova bevuta insieme e partita a domino,
per passare poi al biliardo a stecca, dove
il cinquantenne campione locale (e che
purtroppo mi chiamerà “gringo” per tutte
il tempo di permanenza a Cahuita) mi
sfiderà (e batterà) anche approfittando
del nostro evidente tasso alcolico. A
questo punto mi confronto con Fabrizio e
finalmente mi spiego l’arcano mistero del
pomeriggio: quando José non è ubriaco
non ci riconosce, ma da sbronzo, dalla
nebbia nella sua testa, ecco riemergere il
contorno delle nostre facce, ed eccoci
tornare grandi compagni di bevute e di
gioco. La sera dopo, facciamo la
conoscenza di Jimmy, un ragazzo garifuna
che ci chiede se possiamo dargli un
passaggio in auto per andare a ballare..
Perché no! Pronti via.. si parte per la
serata. Usciremo alcune sere con Jimmy,
il quale si rivelerà un ottima compagnia..
molto divertente, pieno di conoscenze, e
veramente pazzo, ma in questo paese
ormai penso sia la normalità! Fabrizio, il
mio amico, è partito dall’Italia con un paio
di Nike, vecchie e luride, che con il
passare dei giorni, e colpevole il clima
torrido e umido dal centro America,
stanno letteralmente marcendo.. Quindi
ogni notte chiedo a Fabrizio (ma forse
4
sarebbe più corretto dire che lo obbligo per la nostra sopravvivenza-) di lasciare
le scarpe fuori dalla porta. Jimmy che
sembra un incrocio tra un gangster ed un
rapper, chiederà a Fabrizio di regalargli
queste sue consunte Nike. “Non posso.. ho
solo queste scarpe, anche se distrutte,
oltre ad un paio di infradito che uso per
doccia e spiaggia, quindi mi dispiace ma
non posso proprio.. Mi capisci vero?”
Jimmy insisterà con Fabrizio ancora nei
giorni seguenti, tornando alla carica ma
senza successo. Arriva il giorno della
partenza, è ora di migrare verso l’altra
costa (quella pacifica) attraversando il
paese da parte a parte: sarà un viaggio
incredibile sotto un diluvio incessante. Io
che guido a passo d’uomo su strade
impraticabili per il fango, e Fabrizio
davanti a me - bagnato come un pulcino che con l’aiuto di un ramo “tasta” il
terreno ricoperto da profonde
pozzanghere; deve indicarmi il percorso
migliore, e farmi evitare i crateri coperti
d’acqua su cui potremmo arenarci, o
peggio lasciarci un assale dell’auto. Al
noleggio ci avevano avvisato che sarebbe
servito un 4x4, ma i soldi erano pochi, ed
abbiamo rischiato: d’altronde ogni viaggio
deve essere un’avventura, quindi che
problema c’è? Ma facciamo un passo
indietro alla mattina della partenza,
quando non pioveva ancora. Ecco fuori
dall’albergo il nostro Jimmy che ci viene a
salutare.. E’ una visita inaspettata, e mi fa
particolarmente piacere.. E poi fa
sorridere anche Fabrizio, che si era un po’
“rabbuiato” perché durante la notte gli
hanno “sottratto” le sue mitiche scarpe.
Beh, è giunta l’ora dei saluti.. quindi
abbracciamo Jimmy, carichiamo gli zaini,
e ci accingiamo a partire. A questo punto,
già con l’auto in moto, Jimmy bussa sul
finestrino augurandoci “in bocca al lupo”
per il viaggio; poi lentamente si abbassa
gli occhiali, guarda Fabrizio negli occhi, e
sorridendo gli sussurra: “Sai Fabricio,
stasera vado a ballare con le tue Nike..”.
Poi da un colpo a mano aperta sul tetto
dell’auto, io non trattengo più le lacrime
dal ridere, metto la prima, sgommo e
lasciamo Cahuita.. La sua spiaggia nera,
l’ananas più buona che abbia mai
assaggiato, il paese così raccolto e intimo,
con i suoi incredibili personaggi mi
accompagnano e mi fanno sorridere
ancora oggi.. ogni volta che torno con la
mente a quei giorni..
_____________
VIAGGIATORI/VACANZIERI
di Carlo Pancera
PAROLE IN DISUSO: viaggiatore. PAROLE IN
USO: turista, vacanze, ferie, giro
organizzato.
Viaggiare, va bene ma uno viaggia
perché? di solito per fare le ferie. Ma fare
un viaggio vorrebbe originariamente
implicare: per farsi un viaggio. Cioè per
andare da chi è lontano, per incontrare
chi non si è soliti incontrare, per vedere il
mondo, incredibili paesaggi e panorami, e
insomma per conoscere, vedere,
constatare, cercare di capire l'altrove,
per incontrare il diverso e riflettere. Ad
esempio se l'India, la Cona, se l'Islam con
la sua civiltà, se le grandi culture dei vari
paesi musulmani, non vengono qui a
mostrarsi, è perché quelli che di là
emigrano (e qui immigrano) fanno tutto
quel loro viaggio perché sono dei
poveracci, disperati, o comunque
bisognosi, ed emarginati, e in certa
misura dunque anche ignoranti (ricordate
le valige di cartone tenute assieme con lo
spago, dei nostri poveri emigranti che
viaggiavano in cerca di lavoro in Belgio o
Germania, per sentirsi gridar dietro
"maccaroni" come insulto ? o "mafia"?).
Beh, allora andiamoci fisicamente noi
(ovvero anche: facciamo un viaggio
mentale, cioè istruiamoci al riguardo) a
vedere, a conoscere quella civiltà, e le
altre con cui ora ci veniamo a trovare a
contatto in questo mondo globalizzato. Ma
non tutti possono. Comunque oggi ci sono
anche i mezzi malusati, abusati e sviliti
come i vari media, come la tv che abbiamo
in cucina, in sala, in camera da letto, che
potremmo utilizzare per questo, o
comunque cui potremmo chiedere che ci
portino in casa immagini, suoni, parole, se
non odori e sapori, di quelle culture, in
orari e in modi appropriati allo scopo. Per
es. a volte si può trovare qualcosa di
interessante in canali come Babel, o come
quelli del National Geographic, o in Arté, o
altri, e trasmissioni varie che pur non
mancano (anche se magari in fasce orarie
di basso audience... ). Ma c'è internet, con
i "motori" di ricerca, con YouTube, con
iTunes, … Insomma se la montagna non va
a Maometto, Maometto (quello vero, non
quello sbeffeggiato e distorto delle
vignette) ci va lui, come recita il famoso e
saggio detto, cioè dà l'esempio mettendosi
in viaggio, e andando lui alla montagna a
vedere com'è, cos'è, che cosa gli può dire,
e comunicare, e ritornare arricchito
dall'incontro, per raccontare ai suoi
uditori, per condividere l'esperienza con
loro. Ecco che allora acquista senso
5
anche il portare di ritorno da un viaggio,
immagini, o oggetti da quella lontana
dimensione,
per
commentarli,
contestualizzarli, per spiegare e
illustrarne le funzioni, il senso, e fare
assieme delle riflessioni. Il loro aspetto, i
loro colori, i loro materiali, i loro odori, i
loro sapori, ci porteranno tutto un mondo
da immaginare, che stimolerà la nostra
fantasia e che accenderà le nostre
emozioni, aiutati magari anche da belle
fotografie o filmati. Ecco che allora tutto
acquisterà il sapore di un incontro e di
uno scambio, di un arricchimento.
Ritornare alla nostra Itaca (come Ulisse),
o alla nostra Venezia (quella di Marco
Polo), per favorire un allargamento dei
confini mentali, un ampliamento di
orizzonti,
per
facilitare
una
relativizzazione di ciò che pareva assoluto
o unico, per conoscere la varietà
dell'umano sentire. . . Ecco allora quello è
stato un viaggio che fa fare anche agli
altri dei bei viaggi...
_____________
Riflessioni sulla COLOMBIA
e sul partire soli
Di Cristina F.
Voglio parlarvi di un viaggio speciale, uno
di quelli che avrà sempre un posto
riservato nel mio cuore …
Il viaggio è stato “concepito” da me, negli
ultimi anni decido il Paese da visitare e
compro il biglietto aereo, poi se trovo
qualcuno bene, altrimenti parto da sola.
Ho deciso di non farmi più limitare dal
fatto se qualcuno mi accompagnerà o
meno … è come un “richiamo” quello che
sento… comunque, quella volta la
compagnia per la Colombia ce l’avevo, ma
ad un mese dalla partenza la persona in
questione si è tirata indietro per paura …
paura della Colombia (soliti luoghi
comuni). Dunque che fare ? Partire da
sola o affidarmi a qualche agenzia locale
per un tour di gruppo ? Dopo vari
“consulti” con gente che ci era stata, ho
deciso : avrei fatto il mio viaggio come lo
avevo pensato e poi … parlavo spagnolo
accidenti!
Questa è stata la mia esperienza:
Playa Blanca (isola di Barù): ho dormito in
una capanna sulla spiaggia, non c’era
elettricità sull’isola, ho trascorso una
notte magica cullata dal rumore delle
onde e con la sola luce della luna ! Uno di
quei posti che sogni da sempre : l’acqua
cristallina del mare dei Caraibi, spiaggia
da urlo e pochi turisti (e quei pochi che
c’erano erano davvero simpatici!). La
mattina seguente sarei dovuta tornare a
Cartagena, ma non essendoci l’aliscafo
prima del pomeriggio, mi sono accordata
con il proprietario del campeggio che
sarei andata con lui alla “maniera locale”
dato che si doveva recare in città anche
lui. Dunque un motorino sarebbe venuto a
prendermi e mi avrebbe portato dall’altra
parte dell’isola dove avremmo preso il
traghetto che ci avrebbe portato sulla
terra ferma e da lì bus fino a Cartagena.
La mattina arriva il motorino e mentre il
ragazzo sistemava la mia borsa sul
manubrio, io mi accomodavo dietro di lui.
Un po’ di timore c’era, dato che il primo
tratto era costituito da sabbia, comunque
il vecchietto del campeggio insisteva
perché mi “appiccicassi” al motociclista
ed io insistevo rassicurandolo che ero
abituata ad andare in motorino e sapevo
come “sistemarmi”, ma non avevo capito
che anche lui sarebbe dovuto salire sul
nostro mezzo! In tre in motorino con il
mio bagaglio sul manubrio e sulla sabbia,
comunque tra la mia incredulità su quel
“sandwich” assurdo e la comicità di quella
scena, siamo arrivati sulla strada
asfaltata senza alcun problema. Da lì il
vecchietto ha proseguito su un altro
motorino. Arrivata al porticciolo dove ero
l’unica turista naturalmente, sono salita
su una canoa dato che avevo perso sia il
traghetto che il mio accompagnatore.
Approdata sull’altra sponda, mi sono
ritrovata in un paesotto con le strade
sterrate e nessuna indicazione per
l’autobus per Cartagena. Ho conosciuto
una ragazza con cui ho preso il bus (non
avrei mai trovato la fermata senza di lei,
non essendo segnalata) : 1 ora di tragitto
con tutta gente locale e venditori
ambulanti di medicinali … viva l’avventura
!!! Di Villa de Leyva invece non
dimenticherò mai la 1^ notte che ho
passato lì. Questa cittadina sulle
montagne, l’ho raggiunta dopo un faticoso
viaggio in pullman e appena trovata la mia
posada, ho deciso di uscire per una cena
veloce e rientrare presto, ero davvero
esausta.
Dopo
aver
mangiato,
attraversando la plaza Vieja sono stata
ipnotizzata dalla musica, c’era un gruppo
di ragazzi al centro della piazza che
suonava. Mi sono avvicinata, era la prima
volta che ascoltavo quel genere musicale
che poi ho scoperto chiamarsi vallenato,
sono rimasta stregata e subito sono stata
accolta come una vecchia amica. Bè non
scorderò mai quella notte di musica,
chiacchere e risate, ed è stato tutto così
naturale e speciale! Questo mi porta a
riflettere sul viaggiare da soli. C’è chi dice
che è un’esperienza a metà, perché non
6
puoi condividere le impressioni e le
emozioni che vivi in quei momenti e un po’
è vero … però le situazioni che ho vissuto
in questo e altri viaggi che ho fatto da
sola, non si sarebbero mai presentate con
un’altra persona al mio fianco. Fidarsi o
no della gente che incontriamo ? Io ho
sempre sentito dentro di me di chi fidarmi
finora ed è andata bene, è bello credere
ancora negli altri, noi occidentali
tendiamo sempre a pensare che non si fa
niente senza un ritorno e sono felice di
constatare che da qualche parte c’è
ancora gente che ti accoglie senza
remore. Viaggiare da soli è anche una
sfida con sé stessi : la buona riuscita del
soggiorno dipende in gran parte da noi ed
io lo trovo davvero stimolante! Noi, lontani
dal nostro mondo, dalle nostre abitudini e
convinzioni, vergini e aperti al nuovo, umili
: è questo lo spirito con cui affronto le mie
avventure. Quando parto mi spoglio dalla
mia pelle occidentale per “immergermi”
nel Paese che visito. Penso che quando si
è soli si è più aperti verso la gente, più
ricettivi, mentre quando si viaggia in
compagnia ci si limita un pochino ad
interagire per lo più con chi ci sta accanto
e gli altri passano in secondo piano,
malgrado ciò penso che sia bello viaggiare
in entrambi i modi. Per tornare alla
Colombia, ho voluto scrivervi di questa
esperienza perché la gente lì mi ha voluto
dimostrare in tutti i modi che i troppi
luoghi comuni penalizzano questo Paese e
la verità è che i colombiani sono un gran
popolo! Viva la Colombia ! Ho sentito dire
una volta che il sorriso è la distanza più
breve tra due persone ed è vero !
_____________
Graffio… il sapore della vita
Federico
Jose
BRUNO
(parte terza)
di Vincenzo Tarantino
Comunicato stampa da parte della
famiglia, in merito all’omicidio di Federico
Bruno.
Scriviamo questa lettera per riferire in
merito all'omicidio di Federico Bruno da
parte dell'esercito Colombiano mentre
stava svolgendo il suo lavoro di
giornalista.
Federico José Bruno per un certo tempo
lavorò come giornalista indipendente. Nel
1995 iniziò il suo viaggio attraverso il Sud
America: da Salta (Argentina) a Bogotá
(Colombia). Nel 1996, dopo aver
frequentato i corsi del CIEVYC, aver preso
parte come sceneggiatore e regista a sei
cortometraggi, aver frequentato corsi
presso il Foto Club Buenos Aires, iniziò il
suo viaggio verso Santa Cruz de la Sierra
e Valle Grande (Bolivia) con l'obiettivo di
documentare il lavoro degli antropologi
che stavano cercando il corpo di Ernesto
Guevara. A metà anno 1997, tuttavia,
giunse in America Centrale. In
quell'occasione contattò le Nazioni Unite
per richiedere i vari permessi utili per
lasciare segni della sua rintracciabilità
lungo il viaggio previsto ma che gli
consentirono anche di iniziare uno studio
sullo sfruttamento delle donne e dei
bambini in quella parte del mondo. Dopo
una tappa iniziale di qualche mese in
Centro America verso fine Agosto 1997
riprese il viaggio verso il Cile, per poi
raggiungere la Colombia, dove rimase
pochi giorni, quindi Panama, San Josè
(Costa Rica), Managua (Nicaragua), San
Salvador (El Salvador, Tegicigalpa
(Honduras), Guatemala City (Guatemala),
e Belmopan (Belize). Durante il suo
tragitto, in Guatemala, conobbe il dottor
Abel Pascualini (medico impegnato nel
soccorso in paesi colpiti da catastrofi e
guerre). A Bogotà per caso conobbe
Manuel Perez sacerdote e capo dell’ELN
che contribuì a dare una svolta alla sua
missione. Durante la permanenza in
Colombia Federico riuscì a mantenere
contatti regolari con noi e con i suoi amici
costantemente aggiornati sui suoi
spostamenti. Il 20 luglio del 1998 ci inviò
un fax chiedendo di informare un suo
amico cameraman del fatto che lo
attendeva per delle riprese. Nello stesso
periodo, però, tramite un telegiornale che
riportava notizie rilasciate dall'esercito
colombiano, fummo edotti della morte di
Federico. Si parlava di un cittadino
Argentino di Nome Bruno, parte dei FARC,
rimasto vittima di uno scontro armato.
Contattammo
immediatamente
l’Ambasciata Argentina in Colombia per
reclamare il corpo di Federico ma le
autorità Colombiane rifiutarono la
richiesta perché, secondo fonti ufficiali, si
trattava di un ex guerrigliero quindi di
proprietà dell'esercito. Qualche tempo
dopo, tuttavia, l’ambasciata ci comunicò
che sarebbe stata eseguita un autopsia e
che il corpo sarebbe stato sepolto in un
cimitero di Bucaramanga. Ai media fu
consegnata una foto che ritraeva il nostro
Federico armato ed in uniforme da
combattente. Noi chiedemmo i suoi effetti
personali ma ci fu risposto negativamente
e questo ci fece sorgere molti dubbi sulle
dinamiche della sua morte. Le autorità
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diplomatiche Argentine in Colombia
continuarono ad adoperarsi per
recuperare il corpo di Federico così, ad
un certo punto, ci pervenne la bara
accompagnata da un certificato
provvisorio di sepoltura rilasciato da
un’autorità amministrativa di Santander
con su scritto nome e cognome ma con il
suggerimento di cremare tutto senza
aprirla. In seguito a una nostra richiesta
venimmo contattati dai legali delle
“Madres de Plaza de Mayo” che si adoperò
per un intervento giudiziario urgente per
un’autopsia al “Forensic Mody Medical”. Il
nostro fine era quello di dimostrare
l’identità di Federico e descrivere la causa
e la modalità della sua morte perché nei
documenti ufficiali non veniva specificato
niente. Dopo varie insistenze, che
rischiarono di sfociare addirittura in una
rottura diplomatica, la corte di cassazione
n.39 che si era sempre opposta ordinò
l'autopsia per l'identificazione del corpo a
cui partecipò nostra figlia Daniela Bruno
che a causa del deterioramento del corpo
e delle mutilazioni subite non fu in grado
di identificare il fratello. Fu possibile farlo
tramite le impronte digitali. I medici
Argentini assieme al Medico legale e ad
un'equipe di avvocati dell’associazione
Madres del Plaza de mayo, formularono
le seguenti conclusioni: Il corpo fu colpito
alle spalle da 8 colpi d’arma da fuoco. Tra
i fori d'ingresso dei proiettili ve ne era
uno a livello della tempia destra. Da qui il
proiettile progredì tanto da distruggere
l'occhio dx ed il setto nasale. Dalle indagini
della balistica si concluse che Federico
José Bruno fu colpito da diversi colpi alle
spalle da una distanza di 1,5 m mentre
correva a piedi nudi per la presenza di
terra nei piedi, l'ultimo colpo lo trafisse
mentre era in ginocchio con le mani dietro
la testa dal momento che un proiettile
aveva attraversato l'intera mano
penetrando dal dorso e fuoriuscendo dal
palmo. A questo punto chiedemmo alla
Corte el Juzgado federale Nº 2,
responsabile Dr. Ferreyra Pella, di
pressare l'esercito Colombiano a che
restituisse gli effetti personali di Federico
tra cui abiti e materiale fotografico e
chiedemmo copia completa dei documenti
della giustizia militare e l'autopsia fatta
sul corpo prima che fosse depositato
nella bara a noi pervenuta. Il generale
Fernando Millán Capo della 5^ brigata,
responsabile delle operazioni militari nella
zona in cui era stato assassinato Federico
José Bruno, rifiutò le richiesta e ne ebbe
facoltà. Noi e tutta la nostra famiglia
accettammo la scelta che Federico fece di
aderire al FARC ma ad un certo punto
scelse di lavorare come giornalista per
difendere gli ideali del popolo
latinoamericano
sottomesso
ed
oltraggiato. L'esercito Colombiamo fece
passare la morte di Federico come
conseguenza di uno scontro armato ed
invece si trattò di un'esecuzione venendo
colpito a tradimento nel pieno svolgimento
della sua attività giornalistica in difesa di
un popolo in stato di necessità vessato
dall'esercito.
(Sul prossimo numero de “Il Graffio del
Viaggiatore” la lettera che ELN (FARQ)
hanno inviato alla famiglia Bruno).
_____________
Il graffio aumenta la voglia!!
Il graffio é per golosi della vita!!
Mind Full
or Mindful?
di Andrea Veggetti
Nella mia vita la parte relazionale ha un
peso enorme, anche l’attività lavorativa
non ne può assolutamente prescindere.
Quando entriamo in relazione con le
persone, chiacchieriamo, ci confrontiamo
ma spesso ci capita di non essere
presenti nella relazione con gli altri di
parlare ma nel frattempo pensare ad
altro, vagare nel passato o nel futuro o in
quello che dovremmo fare e non abbiamo
fatto o magari agli impegni di domani.
Quante volte vi e’ capitato di chiedere ad
una persona : “Ciao come stai ? Tutto
bene ?” e poi magari neanche ascoltare la
risposta oppure farcela scivolare addosso
senza essere presente efficacemente al
momento. A me capita spesso, anzi quasi
sempre e questo vale non solo per le
relazioni ma anche nella vita di tutti I
giorni. Sto scrivendo un articolo per il
graffio e penso che devo andare a
prendere mio figlio all’asilo. Gioco con lui
e penso a cosa preparerò per cena. Io non
vivo il presente ma vado avanti con il
pilota automatico. Di recente, anche
spinto un po’ da mia moglie, ho fatto un
corso in azienda di mindfulness ed e’ stata
un’esperienza che in poche righe ho voglia
di dividere con chi leggerà queste poche
8
righe, con Michele, con Alessandro o con
Ivan oppure con chiunque voglia anche
solo dedicarci qualche minuto.
Mindfulness è la capacità di essere
consapevoli della propria esperienza
presente, momento dopo momento, senza
giudizio (la capacità del QUI ed ORA).
Agisce modificando non i contenuti della
mente, ma la sua RELAZIONE con essi.
Permette di sgretolare in qualche modo I
preconcetti e gli schemi mentali che ci
siamo costruiti e dare una visione diversa
al quotidiano. Mindfulness è la traduzione
inglese della parola sanscrita "Sati”, che
significa ”presenza mentale” o "attenzione
nuda”. Significa anche “ricordo”. Si
riferisce quindi all’esperienza di
risvegliarsi al presente, a un ricordarsi di
essere qui e ora, di essere pienamente
consapevoli. E’ proprio questo il punto;
ogni volta che sto facendo qualcosa e
riporto la mia mente al presente, a quello
che sto facendo, ho la sensazione come di
risvegliarmi. Ed e’ esattamente questo
che deve succedere ci risvegliamo nel
presente. La mente se concentrata sul
presente e’ vigile, pronta e soprattutto
attiva su quello che sto facendo in quel
momento. In poche parole se ad esempio
sto parlando con una persona e’ molto
soddisfacente per entrambi essere vivi e
presenti nella relazione, nel colloquio,
nelle due parole che magari ci
scambiamo. Dal punto di vista relazionale
essere mindful implica maggiore capacità
di ascolto, maggiore empatia, qualità nella
relazione stessa intesa anche come
aperture mentale. I programmi
mindfulness based (cioè orientati ad
aumentare la consapevolezza) hanno
come principale obiettivo il benessere
globale della persona ed agiscono
sui piani: Fisico, Psichico, Relazionale,
Professionale ed I benefici possono
essere molteplici.. Il concetto stesso di
mindfulness deriva sostanzialmente dalla
pratica e dall’insegnamento Buddista e
sfrutta pienamente quelle che sono le
pratiche di meditazione. Essere mindfull
richiede pratica e pratica e ancora
pratica, la meditazione anche solo pochi
minuti aiuta in questo, la nostra mente
tende sempre a scappare via A non vivere
il presente; la meditazione come la
respirazione sono un esercizio utile per
avviarsi sulla strada per essere un po’
piu’ MINDFUL e non MINDFULL…. Io ci provo
!
____________
ISOLE SVALBARD
INCONTRO CON L’ORSO POLARE E
NAVIGAZIONE NEL PACK
di Ruggi Morenita
Il volo che collega Oslo a Longyearbyen
fornisce eccezionali visioni delle
montagne artiche e dei ghiacciai delle
Svalbard. Questo meraviglioso arcipelago,
situato tra il 74° e l’81° parallelo a nord,
non è soltanto il limite del Polo nord più
facilmente raggiungibile, ma anche uno
dei più spettacolari luoghi immaginabili.
Negli ultimi anni ho visitato molti paesi,
ma il grande nord mi attrae per diverse
ragioni. vedere splendere il sole 24 ore al
giorno; incontrare gli orsi polari; e il pack:
navigare fra i ghiacci. A bordo di gommoni
esploriamo l’interno del Liefdefjorden. Fa
molto freddo siamo intirizziti e i piedi
sembrano di ghiaccio. Ad un tratto un
segnale ci fa dimenticare tutto. C’è l’orso
Bianco! L’incontro tanto atteso finalmente
è avvenuto. Sono emozionata come una
bambina. Sull’isolotto di fronte, una madre
dorme accovacciata accanto al suo
cucciolo mentre un enorme maschio
nuota verso riva. Quando esce dall’acqua
si scuote e si mostra in tutta la sua
possente mole. Gli orsi sono animali
bellissimi, ma molto pericolosi. Osservarli,
anche se a distanza resta perciò
un’emozione fortissima e indimenticabile.
Proseguiamo navigando tra scenari
ammalianti, iceberg e blocchi di ghiaccio
dalle forme bizzarre che affiorano da
specchi d’acqua azzurra simili ad atolli
tropicali. Hanno forme indescrivibili e tutti
i colori dell’acqua e del cielo.
Guardandomi intorno mi domando cosa ci
spinge ad affrontare un viaggio per
recarsi nel nulla, solo rocce e ghiacci,
scoscesi a picco su un mare color
piombo, solcato da iceberg e dai ghiacci a
perdita d’occhio. In un paesaggio
selvaggio, aspro e senza vegetazione,
modellato dai venti continui, un ambiente
gelido ma fantastico e carico di fascino.
Una terra dove la natura è sovrana, ma
dall’equilibrio ecologico fragilissimo,
isolata dal resto del mondo, che offre al
visitatore solo silenzio e solitudine.
Eppure chi l’ha conosciuto non può non
provare timore nostalgia e felicità per
essere stato qui ad ammirare questi
luoghi. Consulto assieme al capitano le
carte nautiche. Lo convinco a portarci
verso l’81° parallelo, alle isole di Parroya
e Pippsoya che distano circa 900 km dal
Polo nord. Navighiamo tutta la notte per
arrivare. La mattina al risveglio siamo
colpiti da una luce accecante. Ci
precipitiamo sul ponte. L’emozione è
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fortissima. La nave è immobile,
imprigionata nel pack abbagliante senza
orizzonte e bianco, bianco, di un candore
che l’occhio fatica a fissare. Dopo giorni
passati ad ammirare un mare che cambia
dal blu al grigio, ora è il bianco assoluto. Il
bianco magico, suggestivo pack, un
deserto bianco, un orizzonte di ghiaccio in
cima al mondo. L’immacolata distesa
bianca sembra inghiottire tutto, anche il
rumore e le vibrazioni della nave che
avanza faticosamente tra i lastroni di
ghiaccio cercando faticosamente di
aprirsi un varco nel mare ghiacciato. Per
proseguire nel pack la nave compie
faticose manovre di avanzamento fino a
dove il ghiaccio lo permette. A questo
punto inizia una manovra di arretramento,
per poi spingersi ancora in avanti e
rompere un altro strato di crosta di
ghiaccio. Queste operazioni vengono
ripetute più volte fino all’uscita dal pack.
L’artico è un mondo magico, da visitare in
punta di piedi, perché solamente in questo
modo gli stimoli che ci provengono da
questo ambiente silenzioso e solitario,
penetrano in noi poco alla volta,
lentamente invadono la nostra mente e i
nostri pensieri provocando sensazioni
profonde.
___________
Toglietemi tutto…
ma non il mio Graffio
Un Graffio è per sempre
Graffio, what else?
LA RUTA VERSO IL CABO,
UN VIAGGIO AI CONFINI
DELL’UNIVERSO.
di Diana Facile
Di tutti i paesi dell'America Latina, un
continente che mi appassiona per il
sangue caliente che gli scorre nelle vene,
la Colombia è in assoluto quello che amo
di più. Di tutti i rischi che immagini di
poter correre in Colombia, l'unico
concreto è quello di volerci restare. Io ci
ho passato complessivamente cinque
mesi, percorrendola da Nord a Sud e
vivendola con i locali, e vi confesso che ho
dovuto lottare con me stessa per non
cedere alla tentazione di fermarmi. Quello
che vi propongo oggi è il racconto di un
viaggio al Cabo de la Vela tratto dal
GIORNALE DEI VIAGGI. Decisamente una
delle destinazioni più belle, e meno
gettonate, del paese.
LA RUTA VERSO IL CABO, UN VIAGGIO AI CONFINI
DELL’UNIVERSO.
Venti sono le ore di bus che separano
Bogotà da Rioacha, punto di arrivo, o di
partenza, di questo viaggio memorabile
nell’universo magico di Gabriel Garcia
Marquez. Venti ore che scorrono come
minuti nel susseguirsi di un paesaggio
mozzafiato che si snoda per oltre 700
chilometri tra canyons, dirupi e imponenti
montagne fino a quando all’orizzonte inizia
a profilarsi il mare del caribe colombiano.
Ma tropici, palme e frutta esotica
aspetteranno perché io mi spingo oltre,
alla penisola della Guajira, una delle
regioni più remote e ambite
dell’America Latina fin dai tempi della
conquista.
Giungo a Rioacha all’ora di pranzo e
inauguro il mio arrivo con fiumi di cerveza
bien fría e pollo fritto gentilmente offerti
da un paisà che vive e lavora in questa
tranquilla cittadina, capoluogo della
regione. Mi sistemo in un alberghetto
decrepito e inizio subito la ricerca di un
autobus che mi porti al Cabo de la Vela,
un villaggio di pescatori di etnia wayuu
situato all’estremità nord del
continente. Le notizie in merito sono un
po’ vaghe ma coincidono tutte sul fatto
che non esiste un collegamento diretto
tra Rioacha e il Cabo. Dopo un paio d’ore
mi arrendo! Sembra che l’unico modo per
raggiungere in solitaria l’Alta Guajira sia
quello di prendere un minibus gremito di
gente che scarica i passeggeri al crocevia
con Uribia. Lì, armati di una buona dose di
pazienza, si aspetta l’arrivo di una
camioneta senza sapere con precisione
“se” e “quando” passerà. Non è tanto
l’incertezza sul tempo d’attesa a
scoraggiarmi quanto l’idea di dover
trascorrere quel lasso di tempo
imprecisato sotto il solleone. Si parla di
35° all’ombra e siamo in una zona
desertica… a me l’ombra nel deserto
suona come un ossimoro e non mi
convince! Meglio un tour organizzato con
una serie di “meno” a rendergli omaggio:
meno complicato, meno avventuroso,
meno faticoso…
Mi rivolgo a un’agenzia che dopo varie
contrattazioni mi accorda una riduzione
sul prezzo ufficiale e insieme a tre
colombiani e un’argentina salgo sulla
10
Toyota a 4 porte che ci accompagnerà per
i prossimi due giorni. Da Manares, dove
effettuiamo una breve sosta per
visitare le saline, il terreno si fa
accidentato. Sembra di partecipare a un
rally, con le sospensioni del veicolo
continuamente sotto tensione e l’autista
che gronda sudore come una fontana nel
tentativo di mantenere il controllo del
mezzo!!! Ma d’altronde un viaggio meno
avverso non renderebbe giustizia a
quest’esperienza. La sola idea di
trovarmi in pieno deserto con la
consapevolezza che dietro la prossima
duna potrebbe materializzarsi l’acqua
cristallina del Caribe è sufficiente a
farmi strippare!!!
E difatti il Cabo è un miraggio che
giunge inaspettato. Resto basita di
fronte a un tale prodigio della natura. Blu
e seppia i colori dominanti che rivelano la
loro indiscutibile complementarietà nei
tre elementi naturali: aria, acqua e terra.
Un luogo mistico in cui la connessione
con la natura è talmente forte da
rigenerare qualsiasi cellula, animale o
vegetale che sia.
Entriamo in questo villaggio wayuu che
sembra appartenere a un’altra
dimensione spazio-temporale, uno di quei
posti dove il tempo prende fiato e rallenta
il suo ritmo. Un’unica via polverosa lungo
la quale il villaggio si anima attorno alle
capanne in bambù in cui vivono i locali.
Cellulare e collegamento a internet
appartengono a un film di fantascienza
per gli abitanti del Cabo ed è
impossibile non lasciarsi sedurre da
tutte quelle piccole cose di cui la
frenesia del mondo occidentale ci ha
privato senza nemmeno consultarci:
l’assaporare la dolcezza delle ore che
scorrono lente, l’inebriarsi della brezza
che solleva la sabbia e che sembra voler
respingere il mare, il sole che senza alcun
affanno inizia a calare lasciandosi
ammirare nel suo splendore per un tempo
apparentemente infinito prima di
congedarsi definitivamente con un sorriso
malizioso e accattivante che cela un invito
per il giorno seguente.
La permanenza al Cabo scorre tra
ricche pietanze a base di pesce fresco
accompagnato dal tradizionale riso al
cocco e strepitosi patacones, spiagge
di singolare bellezza e l’escursione al
tramonto al Pilar de Azúcar, che
secondo la tradizione wayuu sarebbe il
luogo sacro ove le anime dei defunti si
rifugiano per riposare e riversare sul
villaggio i loro sogni di pace e
tranquillità. Con una breve passeggiata
ne raggiungo la cima per godere del
piacere di una vista che al calar della sera
assume toni surrealisti: la spiaggia
sottostante appare ammorbidita dalle
dune di sabbia rosata e le diverse tonalità
di blu che la sovrastano si rincorrono l’un
l’altra fino a sfumare nelle ultime
pennellate di rosso con cui il sole
ossequia i suoi spettatori. Il tutto sullo
sfondo di un paesaggio desertico in cui
piccole oasi, circondate di cactus a
candelabro, si perdono nell’immensità del
mio sguardo.
La notte giunge inattesa e mi regala un
altro di quei momenti che mi
accompagneranno a lungo. Spaparanzata
in un caldo e accogliente chinchorro, mi
lascio cullare dalla brezza marina con il
suono delle onde in sottofondo e mi perdo
tra le migliaia di stelle che avvolgono
l’oscurità. Sono così vicine che arrivo a
sentirmi parte dell’universo …
MAMA TRIP
( Come viaggiare NON solidalmente )
di Ivan Ske
Per la prima volta sono costretto a fare
una premessa perchè quello che andrete
a leggere, sono fatti realmente accaduti
(come sempre) in un viaggio in Vietnam
nell'anno del temuto millenium bug dei
computer tra il 1999 e il 2000. Allora
avevo solo 23 anni, nessuno di noi parlava
inglese e per noi viaggiare significava solo
puro divertimento!
Da Ho Chi Minh arriviamo a Nha Trang con
un'auto privata guidata da un locale
conosciuto a Saigon. Siamo quattro amici
affiatati, per noi è molto conveniente e ne
approfittiamo per fermarci anche a ogni
bellissima vista panoramica sulla costa
vietnamita. A Nha Trang alloggiamo
al Vina Hotel ormai a tarda sera, ma di
fianco all'albergo c'è un chiosco che
pubblicizza tutte le escursioni delle varie
isole della zona e con il nostro speak
english alla Totò non perdiamo tempo e
organizziamo un'escursione per il giorno
dopo. Paghiamo subito e in mano ci
troviamo quattro biglietti, senza sapere di
preciso quello che ci attenderà la mattina
11
seguente. Il giorno dopo con tutta
tranquillità, mentre io sono al cesso,
Cosimo e Emiliano si fermano a fare
colazione in albergo, mentre il quarto si è
perso durante la notte. Nel frattempo era
arrivato un minibus del tour a prenderci.
Quando si sono accorti che eravamo
ancora in hotel hanno iniziato a chiamarci
e a spronarci per partire. Emiliano gli
grida: " Non vedi che stiamo facendo
colazione, stai calmo siamo in vacanza!". A
quel punto l'autista ci fa segno che passa
dopo. La sera prima non avevamo mica
capito che dovevamo farci trovare pronti
fuori dall'albergo. Dopo una mezz'ora
ritorna non più col bus, ma con un
motorino. Al primo viaggio si carica
Cosimo e Emiliano sfrecciando in tre fino
alla barca e subito dopo torna a
caricarmi. Arrivo per ultimo con un'ora di
ritardo sulla tabella di marcia, c'erano gli
altri turisti che già iniziavano a sbuffare e
a guardarci storto. Una volta saliti a
bordo, io non avendo fatto colazione mi
era venuta un po' di fame e di fronte a noi
c'era un frigo lungo da gelati, mi alzo e
vado a veder cosa posso mangiare, ma a
mia insaputa il frigo è pieno di lattine di
Carlsberg. Guardo i miei amici e gli dissi: "
Oh qua è pieno di birra!", non lo avessi
mai scoperto, e così iniziamo a bere una
lattina dopo l'altra. Dopo che la nave salpò
una signora vietnamita, denominata Mama
Trip ci ordina di metterci tutti ai lati della
barca per lasciare libero lo staff, tra cui
anche
una
ragazza
australiana, di prepararci la colazione.
Iniziano a mettere piatti di ogni tipo di
frutta esotica sul pavimento di legno del
piano superiore della nave. Una trentina di
piatti con frutta tropicale per tutti i turisti
seduti ordinatamente uno di fianco
all'altro fino a chiudere il cerchio. Per noi
fu una grandissima sorpresa, eravamo
all'oscuro di tutto ciò, almeno
sicuramente ce lo avevano spiegato, ma
noi non capendo l'inglese eravamo come
dei pesci fuor d'acqua. Dopo
colazione Mama trip chiese chi volesse
delle birre, a noi ci davano le lattine,
mentre lei beveva solo Carlsberg in
bottiglia. All'improvviso un odore intenso
di erba, subito ci chiediamo: " Ma da dove
arriva, se siamo in mezzo al mare?"
Vediamo Mama Trip salire dalla stiva con
due canne accese, inizia a farle girare
una in senso orario e l'altra in senso
antiorario passandole ai primi turisti e
invitandoli a farle girare per tutti i
passeggeri. Io mi ritrovai in mezzo ai miei
amici che quando arrivarono a loro,
fumarono con gusto prendendomi in giro:
" Mhmm che buona". Volete sapere come
è andata a finire? Che quei due bastardi
se la fumarono tutta senza passarmela e
interrompendo il giro sacrale della canna,
cosicchè Mama trip ne fece girare
diverse, ma ogni volta si fermavano
sempre da loro, fino a che scherzando mi
lamento con lei e finalmente anch'io fumai.
Buonissima, era talmente buona che
incominciammo a chiederle ogni volta
a Mama Trip fino a che lei esausta ci
lanciò un pacchetto intero di joint di ganja.
Apriti cielo, tra Carlsberg e mariujana
eravamo fuorissimi. Da una semplice
escursione che ci immaginavamo delle
isole si trasformò in un mega party con
musica a tutto volume a ballare con
inglesi, australiane, israeliane, canadesi,
francesi per tutto il giorno. Mama trip era
troppo divertente ci invitava a tuffarci
dalla nave nelle acque azzurre, io e
Emiliano ci tuffammo dal punto più alto
mentre Cosimo tutto fuori non se la
sentiva di lanciarsi. Entravamo in
acqua ed era l'unico modo per riprendersi
un attimo, quel che bastava per
ricominciare a bere e a fumare. Cosimo al
piano inferiore della nave vide un mozzo,
che invece di spazzare la nave,
faceva canne in continuazione uno dopo
l'altra con ai suoi piedi un sacco nero
pieno di ganja. All'escursione della prima
isola, dove si poteva nuotare tra le acque
cristalline, nonostante eravamo tutti fatti,
eravamo preoccupati dei nostri oggetti di
valore, non sapevamo dove lasciarli, così
scegliemmo una coppia, in viaggio di nozze
tra l'altro, e gli chiedemmo di curarci i
nostri portafogli e macchine fotografiche,
mentre noi andavamo a divertirci. Loro
per paura erano costretti a stare sulla
barca, poverini si sono fatti tutta
l'escursione sul barcone a custodire i
nostri averi. Il pranzo fu servito come la
colazione, sempre con i piatti sul
pavimento in mezzo ed esclusivamente
con le bacchette di legno. Noi eravamo
sempre più fuori, ma tutti si divertivano
con noi a ballare, a ridere, scherzare e a
fare baldoria. I miei amici giocavano a
vicenda
gridandosi:
"Cata
su"
letteralmente prendilo
in milanese
facendo anche il gesto dell'ombrello, ma
con la mano aperta col palmo rivolto
verso l'esterno. Era diventato un
tormentone, glielo insegnammo anche al
canadese, il quale beveva le birre con la
cannuccia e continuava a divertirsi
ripentendolo più volte senza saperne il
significato a tutte le passeggere. Alla fine
tutta la barca che urlava: "Cata su!".
Mamma mia, anzi Mama Trip quanto
ridere! Si era creata un'atmosfera molto
gioviale, eravamo diventati l'attrazione
principale del tour e Mama Trip era molto
contenta che ci stessimo divertendo così
tanto, non aveva neanche bisogno del suo
12
staff internazionale per intrattenere i
clienti. Ad un tratto la barca si ferma e ci
tuffiamo in mare con dei polistiroli da
usare tipo tavolini galleggianti, dove poter
appoggiare i nostri cocktail e
immancabilmente si avvicinarono i
vietnamiti con le loro barchette di paglia a
commerciare i loro prodotti tipici. Dopo
l'ultima isola cenammo addirittura al
tramonto per poi prepararsi al ritorno. Fu
una giornata fantastica, indimenticabile,
straordinaria fino a che Mama Trip iniziò a
raccogliere i soldi per le birre. Noi
eravamo convinti che fosse tutto
compreso nel prezzo, infatti insistevo a
dirgli: "Noi abbiamo già pagato ieri"
continuando a mostrargli i biglietti. Dopo
un po' avevo capito che le birre erano
escluse, ma ormai facevamo orecchie da
mercante. Saltò fuori il canadese con gli
occhiali da vista - lui ogni volta si metteva
la linguetta della lattina che beveva alla
stecca degli occhiali - tutto incazzato
accusandoci che avevamo bevuto più di
tutti e che minimo ne dovessimo pagare
almeno dieci a testa, così ci accordammo
di pagarne dieci in totale e qui
anche Mama Trip non era più entusiasta di
noi, come il resto del gruppo. Al molo ci
aspettava il minibus per riportare tutti i
turisti, ognuno al proprio hotel, noi
salimmo per ultimi e vedendo i posti in
fondo occupati, ordinammo di farci posto,
sfrattando i poveri turisti a spostarsi
altrove. L'autista non esitò un secondo e
invece di fare il giro degli hotel ci portò
subito nel nostro albergo per primi e
mentre scendevamo tutti i passeggeri ci
gridavano, ormai non più presi dalla
nostra paura e soprattutto stanchi di noi:
"Mafiosi! Mafiosi! Mafiosi!" C'era chi ha
anche gridato: "Mangia spaghetti!".
Quando tornammo in hotel il nostro amico
appena ci vide arrivare e camminare a
due all'ora e dopo aver visto le nostre
facce era incredulo: " Cosa cazzo avete
fatto oggi?" Infatti Emiliano si fermò a
guardare le formiche in camera e Cosimo
le osservava camminare fuori dalla porta,
anche le formiche pensarono: "Ma che
cazzo hanno questi?". Chi si perse il tour
l'estate successiva tornò con un altro
nostro amico per fare l'accoppiata
Cambogia e Vietnam, ma quando tornò
a Nha Trang scoprì che a Mama
trip l'avevano arrestata!. Il nostro fu
l'ultimo Mama Trip del Vietnam!
Alla fine del trip hanno fatto salire i
bambini a mangiare quello che noi
avevamo lasciato, perché quel momento
resta vivo nella mia memoria. Una di
quelle scene che non si cancellano ed un
poco ti iniziano a far pensare quando hai
20 anni. Ciao besos
(quest'ultima frase me l'ha ricordata
Emiliano, il mio carissimo amico che ora
vive a Zaragoza. Ho voluto lasciarla
apposta senza correggerla perchè la cosa
più bella è dimenticarsi la propria lingua,
la più poetica del mondo: l'italiano.)
tutti coloro che vogliono intervenire con un loro pensiero, argomento, articolo di viaggio e
non, sono invitati calorosamente a farlo.
Sarà pubblicato sul prossimo numero del Graffio del Viaggiatore.
Grazie mille
[email protected]
Sono vivo… sono libero
VERSI LIBERI
Sono qui
Per questo vedo l’infinito
Pelle
meraviglioso profumo che libera la pelle
Michele
da i brividi, tanti brividi, eterni brividi
Chiunque di noi è un turista
fa caldo, dentro e fuori di me
poi ognuno si sente un vero viaggiatore
di lui mi avvolgo ed ardo
ma in albergo chiede la camera con vista
la vita é tutta in quel momento
solo dopo tanti anni si viaggia con il cuore.
ne prima ne dopo, solo ora… adesso
Se non si è onesti,
occhi intensi che guardano profondo
almeno con se stessi,
è meglio che a casa si resti
che trafiggono il cuore
è inutile andare in giro a fare i fessi.
e mani che si cercano e finalmente si stringono
Ivan Ske
un solo corpo due soli occhi due sole mani
Ma é già l alba ed é arrivato il tempo di partire...
Chiunque abbia piacere di condividere i propri Versi Liberi
all’interno di questa rubrica, può farlo inviando il proprio
componimento alla redazione del “Graffio del Viaggiatore”
si ma dove, e sopratutto perché.
Alessandro Ranucci
[email protected]
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CORRERE NON SERVE A NIENTE…
COME VIAGGIARE…
allenata così come si allena un corpo o un cuore: nella tua beata
solitudine, come quando vedi che il mondo non va nella direzione
che tu ti aspetti, come quando vedi che una buona parte della
società non risponde alle tue aspettative, come quando vedi che,
nonostante la tua serenità di base, c’è qualcosa ancora che ti
brucia dentro e ti fa vedere un futuro in questo Paese nè bianco
nè grigio, ma nero sebbene qualsiasi colore ne conferirebbe una
cromaticità distorta, tu lo vedi nel colore più cupo. E non è un bel
vivere, ma un pugno allo stomaco quotidiano. Quello che è
accaduto alla “100 km del Passatore” dello scorso anno è stato
un esempio del viaggio e della crescita, dove la discesa verso gli
inferi ha rappresentato un momento più o meno lungo necessario
per sistemare delle cose. L’importante è stato saperlo cogliere e
averlo sfruttarlo positivamente, invece che cullarcisi nello stato
di vittima. Lo scorso anno sono stati sostanzialmente quattro i
momenti chiave nei quali la mie capacità mentali di far fronte allo
stremo mi hanno consentito di giungere al traguardo. Uno
stremo dovuto all’inadeguata preparazione per un evento di
questa portata (quest’anno sarà comunque insufficiente ma non
inadeguata), unitamente ad altri fattori molto penalizzanti, dettati
da molti errori dovuti all’inesperienza, oltre che dal clima e dalle
forti pendenze del tragitto. Il primo momento in cui ho capito un
pezzettino di me è stato al 71mo km: dovetti aver bisogno di un
input ben preciso che potesse in qualche modo azionare di nuovo
il mio cervello per consentirmi di giungere al ristoro del 76mo
km, ossia il posto medico fisso che sapevo esser lì: sognavo una
branda, una coperta e il ritiro e il mio unico sacrificio da lì in
avanti sarebbe stato solo quello di percorrere quei 4-5 km con le
tibie in fiamme e i muscoli doloranti fino all’inverosimile,
zigzagando, con giramenti di testa, crisi di sonno, tremando...
semicollassato, non c’è dubbio: se qualcuno dell’organizzazione
mi avesse visto in quello stato, mi avrebbe senz’altro fermato: e
avrebbe fatto bene. La volontà e una bustina di zuccheri
importante anch’essa per ridare un minimo di lucidità al cervello,
fecero in modo che ci arrivassi al ristoro di San Cassiano dove,
una volta rinfrancato da un pieno di cibo corroborante,
abbandonai l’idea di ritirarmi. Quello fu il secondo momento, mi
scattò la molla: volevo per forza arrivare, anche camminando i
restanti 25 km. Non era facile nemmeno quello, stavo un po’
meglio ma avevo pochissima energia e dolori dappertutto. Intanto
però notavo una cosa: mentre andavo avanti con passo incerto e
dolorante e spesso nel buio più completo, non concepivo più il
paesaggio intorno come spettrale, la notte non mi procurava più
Spazio dedicato a chi ama correre… oltre che viaggiare.
100 km del Passatore
La resilienza e la solitudine
dell’ultramaratoneta
di Roberto D'Uffizi
Nella vita bisogna vivere e non limitarsi alla superficie delle cose.
Vivere vuole anche dire soffrire (e saper soffrire) oltre che
gioire (e saper gioire), il problema è che il metro che misura gli
stati d’animo ce lo ha fornito qualcuno che non sa niente di noi,
già che ne sappiamo poco noi stessi in partenza. Allegoricamente
la “100 km del Passatore” è proprio questo: sapere poco o niente
di noi stessi in partenza, salvo scoprirlo strada facendo. Non è un
caso che della gara dello scorso anno, ricordo ben poco della
prima parte, mentre, al contrario, la seconda drammatica parte
rimane ancora impressa nella mia memoria. E’ un qualcosa che ti
entra nell’anima e solo tu sarai poi in grado di trasformare
quanto accaduto in positivo, in negativo o in qualcosa comunque
di utile alla tua esistenza. Non voglio rendere l’idea che la corsa
in generale, soprattutto quella relativa a gare podistiche
estreme, sia l’unico mezzo per arrivare a un percorso che porti a
una crescita interiore come base essenziale del nostro “vivere”:
ci sono tantissimi altri mezzi, molti purtroppo indotti anche da
esperienze di alcune esistenze piene di sofferenza per cui la
resilienza diviene una prerogativa individuale ineludibile per
andare avanti. Relativamente a ciò che ho imparato dalla “100 km
del Passatore” dello scorso anno, è che quando non hai più forze,
hai il corpo che non risponde più e stai sull’orlo della
disperazione impazzendo a 30 km dal traguardo e nonostante
questo ci arrivi, puoi tranquillamente avere la resilienza
necessaria per affrontare i problemi della vita quando sei in
condizioni di relativo equilibrio psicologico e fisico. E la mente va
14
angoscia e anche il chiacchiericcio degli altri “zombie” che come
me, cercavano disperatamente di arrivare a Faenza, non mi dava
più fastidio: ormai stavo interpretando la cosa come normale,
era questa la dimensione spazio-temporale della sfida, resa così
aspra e disumana soprattutto dalla mancanza di preparazione
specifica perché non è così per tutti ovviamente: 5-600 la
preparano e arrivano (relativamente) bene, altrettanti la
“preparicchiano”, altrettanti ancor di meno, e altrettanti si
ritirano indipendentemente dal loro livello di preparazione. Il
terzo momento in cui la mia mente giocò un ruolo fondamentale
avvenne alle porte di Brisighella, precisamente al km 84.
Naturalmente anche la mente, oltre al corpo, poté beneficiare
dell’integrazione zuccherina e quindi di un po’ di ritornata
energia, ma la vista in lontananza del paese posto a 11 km
dall’arrivo mi fece scattare la molla di ricominciare a correre
dopo 14 km di cammino straziante. E proprio di molla si trattò:
presi il coraggio di abbandonare il tanto rassicurante cammino e
presi il coraggio di voler di nuovo star lì a martoriare tendini e
articolazioni con un qualcosa che più o meno implicasse l’azione
di una fase di volo e di stacco di entrambi i piedi da terra: come
un bimbo, approfittando di un leggero avallamento in discesa,
buttai il corpo in avanti e cominciai a correre, fermandomi solo ai
tre ristori rimasti e nei punti in cui le leggere e brevi salite
rimaste mi provocavano ormai ulteriore strazio dopo i 90 e
passa km d’avventura. Qui rifletto a posteriori su un aspetto e sul
ruolo della mente di fronte al dolore fisico: come correvo in quei
frangenti? Che sensazioni provavo? Era un qualcosa di simile a
quando s’incontra il muro del maratoneta: corri male,
lentamente, hai esaurito il glicogeno, insomma uno strazio e non
ne puoi più. Esperienza già vissuta alla maratona di Jacksonville
dove pensavo d’aver raschiato il fondo del barile, eppure nei 16
km finali del Passatore a correre in quello stato mi sembrava di
volare, la mia mente recipiva la cosa come una liberazione, tale
era stata la mia agonia dal 70mo al 76mo km e poi fino all’84 km.
Come quando sbatti un gomito, magari il dolore è allucinante, ma
dopo che ti sei dato una martellata su un dito: quel dolore sarà
percepito come “lieve” se susseguente alla martellata, come
terribile se isolato. Il quarto momento, lo considero il momento
della liberazione: il cartello “Faenza” mi indicava che ormai stavo
comunque nel territorio comunale della città d’arrivo e, benchè
ripresomi ormai tutto sommato bene dalla crisi, i muscoli erano
pur sempre duri e doloranti dopo 96 km e tutte quelle ore di
martirio. Nonostante ciò, senza che forse nemmeno lo volessi
completamente, le gambe ripresero a girare, io rimasi
completamente in trance, non pensavo più a nulla: ero solo un
tronco con due gambe che giravano nel lungo rettilineo fino a
Faenza. Solo alla fine del rettilineo, alla vista dell’arrivo distante
poche centinaia di metri, detti consapevolmente fondo a tutta
l’energia rimasta e accelerai ulteriormente stringendo i denti:
non paga della sofferenza, la mia mente in quel momento voleva
che dessi tutto: non potevo sovvertire un risultato
cronometricamente modesto, ma l’impegno profuso fino alla fine
per recuperare anche quei pochi secondi, me lo sarei ritrovato
nel corso della mia storia futura da runner e nel corso della vita.
Finora ho dato risalto all’aspetto mentale di questa gara e alle
motivazioni intrinseche che mi spingono a volerla di nuovo
sperimentare, motivazioni che cercherò di sintetizzare alla fine.
Naturalmente la tenuta mentale così come le motivazioni, non
sono sufficienti a portarla a termine relativamente bene. A meno
che non si decida di camminarla tutta impiegando un tempo
prossimo a quello limite (20 ore). A queste persone va tutto il
mio plauso. Ormai vedo che la gente, molta gente, non ha
nemmeno voglia di farsi 100 metri a piedi magari posteggiando
l’auto nei parcheggi invece che piazzarla davanti a
negozi/uffici/scuole bloccando in questo modo il traffico
veicolare: c’è una pigrizia così diffusa, una svogliatezza (per non
parlare della conseguente maleducazione), che mi lascia basito. I
marciatori della “100 km del Passatore” invece si fanno 100 km e
non 100 metri, sfidando due montagne, il caldo, il freddo,
l’oscurità: molti sono anziani, altri, come Carlo Papa, secondo
arrivato nel 1980 con 7 ore e 05 (con questo tempo avrebbe
vinto il Passatore 2014), che ho riconosciuto e salutato
calorosamente prima del via. Non è un personaggio famoso,
come quasi nessuno di coloro che praticano gli sport di
resistenza: vidi un servizio della sua gara su Youtube,
naturalmente ho potuto riconoscerlo solo dal nome che aveva sul
pettorale. Ho saputo poi che ha concluso il suo Passatore in quasi
20 ore riuscendo nell’impresa a quasi 70 anni d’età e quel che più
conta, dimenticando il suo passato da campione e accettando di
stare tutto quel tempo sulle gambe per il solo gusto di vivere.
Dicevo che bisogna pur sempre avere una relativa preparazione,
se si vuole provare a correrla il più possibile. Per affrontare
questo tipo di gara così disumana come distanza, altimetrie (si
toccano prima i 500 metri d’altitudine, poi i 1000), sbalzi di clima
e condizioni di buio assoluto, a mio avviso bisognerebbe toccare
70, ma ottimamente 80 km di lunghissimo e simulare durante la
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preparazione specifica (che può durare anche quattro-cinque
mesi) alcune delle situazioni che poi si affrontano in gara (caldo
iniziale, dislivelli da montagna e correre nell’oscurità assoluta).
Solo in questo modo si può essere più o meno sicuri di portarla a
termine in maniera lineare e senza soffrire le pene dell’inferno al
ritmo che ci si prefigge. Un po’ come succede a me in piccolo
quando preparo una maratona: nei due mesi e mezzo che
precedono la gara mi porto via via a sostenere la distanza al
ritmo che individuo di poter tenere e, quasi al culmine della
preparazione, l’esito dei 36 o 37 km dell’ultimo lunghissimo, è in
grado di dare indicazioni certe e chiare circa il risultato della
maratona che andrò ad affrontare. Nel caso di questa
ultramaratona di 100 km le cose per me stanno diversamente. Ho
accennato al fatto che questa volta il livello di preparazione
personale permane pur sempre insufficiente, ma non è
inadeguato come lo scorso anno. Come preparazione intanto
porto in dote quanto fatto nel periodo invernale e primaverile per
la Maratona di Roma, quindi, dopo un necessario scarico tra il 23
marzo e il 6 aprile, ho comunque mantenuto relativamente alto il
mio personale livello di condizione partecipando, tra l’altro, a una
mezza maratona, una gara da 13km e una da 10km tutte con buoni
risultati nonostante siano state svolte in presenza di caldo che si
sa, risulta essere molto penalizzante. A maggio, fino al prossimo
18, una minipreparazione intensiva fatta da: un lunghissimo (lento
ma ben più veloce della media Passatore) di 51.5 km (più altri 4.5
circa per ritornare alla macchina in corsetta-camminata), due
collinari brevi di circa 10 km utili per perfezionare la tecnica di
corsa, altri quattro tra i 26 e i 20 km di lunghezza con dislivello
100-665 metri fatti sotto il caldo atroce, un paio di rifiniture, una
seduta di ripetute corte e brevi , una gara di 5 km per ritrovare
un po’ di smalto e un po’ di potenza aerobica e altre piccole
rifiniture. Verranno 210-220 km circa in 18 giorni che, unitamente
ai 40-50 di scarico dal 18 al 29 e alla gara stessa, potranno
portare il numero dei km mensili relativi al mese di maggio a
circa 350. Tutto ciò rimane obiettivamente insufficiente, tuttavia
il lunghissimo di oltre 50 km corso lentamente ma a velocità ben
più sostenuta di quella praticabile al Passatore, dovrebbe avermi
indicato un’autonomia, di sola e pura potenza lipidica, di alcuni km
in più (che non posso quantificare viste le pendenze in gara). I
quattro collinari importanti dovrebbero avermi indicato il modo
di correre (o non correre) su forti pendenze, la corsa in
propulsione in salita dovrebbe avermi costruito un po’ più
“gamba”, l’impegno al caldo dovrebbe avermi migliorato
l’adattamento fisiologico della prima parte di gara e il numero
complessivo di km in così pochi giorni mi consentiranno di aver
migliorato gli adattamenti muscolari, tendinei e articolari per un
impegno così gravoso. Il resto verrà fuori dalla tattica di gara
anche in base all’esperienza passata, ma di questo parlerò
logorroicamente a gara (spero) conclusa in quanto anche la
strategia che si ha in mente può venire disattesa in corso
d’opera da tanti fattori: a questo nulla valgono (purtroppo)
consigli e suggerimenti trovati in internet dai resoconti di gara di
chi vi ha partecipato: c’è chi dice “se non hai lo stomaco forte e
non impari a digerire non puoi fare questa gara” (e in questo io
sarei spacciato), c’è chi afferma che bisogna mangiare poco ma
spesso (e questo l’ho verificato nel lunghissimo con risultati
disastrosi), chi invita alla prudenza assoluta all’inizio (come dire
non correre per niente per tutta la gara), chi dice cammina tutte
le salite... insomma, indipendentemente dal livello di ogni singolo
atleta, ognuno ha sue qualità fisiologiche specifiche che adatta
come meglio crede alla strategia che più è in grado di esaltarle.
Per quanto mi riguarda, preso atto che non posso avere la
potenza lipidica di un centista e preso atto che non riesco ad
aumentare la quota glicidica integrando gli zuccheri correndo,
nemmeno lentamente, dovrò effettuare due importanti
integrazioni oltre ad altre più leggere agli altri rifornimenti: al
17mo km dove avrò consumato almeno 1500 kcal e attorno al
40mo, in prossimità di due tratti sufficientemente lunghi dove
l’impegno cardiaco sarà limitato e l’azione di corsa radente al
suolo, se non camminata (in dolce discesa e in ripida salita)
condizioni più ideali per digerire e assorbire i nutrienti. Nella
passata edizione ho notato una cosa in prossimità di Marradi,
località posta al 65mo km del percorso e teatro di tutte le crisi
della “100 km del Passatore”. Solitamente si tende a voler
recuperare in discesa parte di quanto si perde in salita ripida,
che, a parte i migliori, viene effettuata solitamente al passo.
Quando l’effetto trascinante della discesa si esaurisce appunto a
Marradi, l’atleta paga il conto anche a livello muscolare e
articolare oltre che a livello metabolico (esaurimento di
glicogeno), innescando la crisi che si appresta a venire. Penso di
aver studiato anche un modo di correre (o non correre) in quella
ripida discesa per evitare di sommare guai a guai. L’anno scorso,
dopo la partecipazione alla “100 km del Passatore”, ebbi
ovviamente bisogno di un lungo periodo di rigenerazione, con
conseguente calo di forma e una sorta di nausea per la corsa: a
luglio non ero nemmeno in grado di fare un fondo medio di 6 km!
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Poi, piano piano, ho cominciato a ricostruirmi, riuscendo in soli
due mesi a preparare un’ottima Maratona di Chicago,
svegliandomi alle 4 di mattina per fare gli allenamenti (sia a
Roma che in Florida il caldo era veramente insopportabile).
L’esperienza del Passatore era e rimane viva: psicologicamente
riesco ad adattarmi di più a tutto, ad avere la voglia di fare le
cose, a crederci e naturalmente sto migliorando in tutte le
distanze nella corsa: meriterebbero un capitolo a parte la mezza
maratona di Mount Dora finita col record nonostante alcune
condizioni impossibili e la Maratona di Roma nonostante due stop
dovuti a degli infortuni nel corso della oltretutto breve
preparazione. Una ultramaratona di questo genere mette alla
frusta l’organismo ma allo stesso tempo contribuisce a costruire
il fisico che sopporta meglio gli sforzi, soprattutto quelli
prolungati. E allena ovviamente la mente: non necessariamente
solo alla corsa, ma anche a far fronte agli imprevisti della vita di
tutti i giorni e questo è molto importante se si vuole realmente
essere felici nella vita: condizione a cui dovrebbero aspirare le
persone, specie quelle che hanno la fortuna di vivere nel mondo
occidentale e che invece molto spesso a torto, tendono più che
altro ad autodistruggersi e a precipitare in una spirale di cattivi
sentimenti, scarsa umanità e indifferenza. Per chi come me, ama
correre, il Passatore è un ottimo viatico per questo viaggio
introspettivo ma è un percorso che devi far da solo: devi contare
solo su te stesso. Per questo non biasimo ma non comprendo
coloro i quali affrontano questa meravigliosa avventura con
accompagnatori al seguito ad assisterli: sicuramente riusciranno
a trarre vantaggio dalla situazione, sicuramente otterranno un
tempo cronometrico migliore, sicuramente avranno il bisogno
d’esser confortati dalle persone amiche in caso di crisi... io
partirò da solo, con un kg e mezzo di peso sulle spalle portando i
miei indumenti nello zainetto, starò solo tutto il tempo e chi mi
ama mi aspetterà all’arrivo: perché è così che voglio io ed è solo
così che questa gara assumerà il significato che voglio darle e di
cui ho intimamente bisogno.
nel prossimo numero del Graffio, Roberto ci racconterà la
sua seconda emozionante avventura nel Passatore del 2015.
Da non perdere!
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I sogni e i progetti di chi non vuole smettere di correre…
Scriviamo e lasciamoci andare sempre e ovunque…
Non si è completamente liberi se non si comprende la sofferenza dell’uomo
si rimane sempre nella gabbia dell’ignoranza, della stupidità e dell’egoismo
chi ha un cuore crudo non potrà mai volare…
dedicato a tutti i migranti
Vite perdute disperate ai margini del mondo
aspettando il loro giorno... quello fortunato...
occhi lucidi di dolore e paura
misere vite in cerca di libertà... di pace... di serenità
senza gioia ne amore
raminghi senza identità... ombre silenti che camminano stanche... si trascinano
è sempre notte senza luna e l’alba non arriva mai
un raggio di sole dove aggrapparsi… uno sguardo che doni speranza
per trovare ciò che la vita non gli ha dato
se potessi vi darei ali forti per volare sopra gli steccati e l’indifferenza dell’uomo...
per arrivare li dove sapranno ascoltarvi ed amarvi
e dove poter nascere di nuovo
stavolta da esseri umani
Alessandro Ranucci
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I MINI GRAFFI
Arriviamo ad Uyuni, 5000 metri di quota
di Marco Cavallini
Arriviamo ad Uyuni, 500 metri di quota, e prendo un mega fuoristrada per me e i 6 compagni di viaggio con autista favoloso che in
partenza mi indica due secchi rossi sul portapacchi, ci sono a bagno le bistecche che ci cucinerà alla griglia sul favoloso isolotto in
mezzo al meraviglioso Salar de Uyuni, un oceano di sale che incanta. Girovaghiamo per il favoloso deserto di Dalì a quote
stratosferiche e dormiamo ospiti di famiglie locali, quando mangiamo il brodo spesso deborda perché la terra continua a muoversi.
Non finiamo di stupirci prima visitando il Sol de la manana , una zona che ricorda Yellowstone per le sue buche di fango che bolle e i
soffioni simili a piccoli geysers. Sono tre giorni di emozioni, pensavo che il culmine fosse vedere migliaia di fenicotteri rosa che
prendono il volo sulle lagune verde smeraldo a 5000 metri di quota invece no l’emozione più forte arriva quando meno te l’aspetti! La
frontiera Bolivia Cile è famosa per il traffico di cocaina, infatti vediamo asinelli carichi di sacchi che sconfinano su sentieri oltre i 5000
di quota e rientrano scarichi in territorio boliviano dalle frontiere ufficiali, sto attento che nessuno si avvicini ai nostri bagagli.
Arrivato alla dogana cilena sono tranquillo, apro il mio sacco e la guardia mi invita ad aprire la busta con la roba da bagno … la
sorpresa, il dramma, l’ineluttabile: una montagna di roba bianca!!! Mentre il poliziotto ride (ma perché cavolo ride!!!) io rivedo la mia
vita passata e penso alle parole che nell’unica telefonata concessa dirò ai miei cari “Addio, è stato bello.” e penso alla chiave della mia
futura cella che verrà lanciata lontano. Intanto il poliziotto continua a ridere, mi viene qualche pensiero omicida nei suoi confronti ,
mentre gli sento dire in spagnolo “si sposti a lato che ci metterà qualche minuto a pulire!” … “Como, non ho capito bene!!” “Sì, ci
metterà qualche minuto a pulire visto che le è scoppiata la bomboletta della schiuma da barba, causa l’alta quota”!!! … poi non ricordo
bene cosa è successo , penso di avergli fatto una proposta d’amore, sicuramente sono rinato e da allora in quota mi porto i tubetti o il
gel che è verde o blu ed eventualmente non crea dubbi!
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Essaouira
di Michele
Ero lontano, arrivato in Marocco da due settimane come catapultato da una macchina del tempo che mai prima di allora avevo pensato
così nitidamente.
Io e il mio zaino.
Non stavo cercando il Marocco ma il Marocco trovò me.
Io ero finalmente.
Nel mio viaggio ho visto e capito cosa significa viaggiare.
Il mio viaggio. Il primo, unico, puro.
Ho visto e capito che non si smette mai di cercare di capire, riflettere sul significato della vita...
Dopo due settimane arrivo a Essaouira.
Un miraggio.
Io che non sapevo perché ero lì entravo in città una sera...
Essaouira mi abbracciò forte e mi diede la risposta del mio vagare...
Non sapevo nulla di cosa significava camminare, non sapevo nulla di cosa significava correre, non sapevo nulla della vita...
Il cielo era il più grande, quello più azzurro.
L'oceano era il più amico, il più forte.
Gli occhi erano i più felici e i sorrisi i più contagiosi.
Il profumo dell'aria delizioso come la musica della vita...
Non avevo niente e per questo ero felice.
Trovai tutto e da allora iniziai la mia corsa, luminosa, infinita...bellissima !
Graffio…
il gusto pieno della vita
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Puerto escondido es de todos… Welcome to Puerto Escondido
di Alessandro Ranucci
Ci sono dei posti nel mondo in cui vorresti andare solo perché sei attratto dal nome, altri perché se ne parla come luoghi singolari o
straordinari, per l’atmosfera che si respira o le persone che lo vivono. Ci sono dei luoghi che ci attraggono semplicemente perché
fuori dalle rotte, dagli schemi e da tutto. Altri perché li riteniamo posti dove ci si possa rilassare, si possa pensare, meditare. Poi ci
sono posti in cui speri di non trovare nulla, dove si pensa di potersi ritrovare e rinascere! Puerto Escondido rappresentò per me un po’
la sintesi di tutto questo. Ne avevo sentito parlare come un oasi di pace, dove dondolarsi oziosamente sull’amaca, aspettando
solamente di mangiare, coccolati dal silenzioso incedere del tempo. Ed insieme a te solo il rumore del mare e del vento, il canto dei
pellicani ed un pueblo accogliente ma mai invadente. Talmente ero affascinato dal luogo che ricordo comprai anche il film di
Salvadores, di cui avevo sentito parlare ma che non avevo mai visto. E fu cosi che ci andai, in due differenti viaggi. E li trovai tutto ciò
che mi aspettavo. La scena che ricordo volentieri e che rappresentò in quel momento la vera essenza di quel posto, è quando,
camminando sulla spiaggia, dove l’arenile si assottigliava per dare spazio alle prime abitazioni di pescatori a ridosso del mare, fui
costretto a fermarmi con l’acqua alle ginocchia, di fronte ad una grande banchina di legno traballante più alta di me e che dava
accesso ad una zona privata. Ecco che dall’alto si affacciò verso di me con la mano tesa, un anziano rasta, che mi guardò dritto negli
occhi e mi disse tirandomi su per il braccio: “”Puerto escondido es de todos… Welcome to Puerto Escondido!!””. Quel volto, al quale la
salsedine non aveva dato ragione della sua vera età, rendendolo negli anni più arso e scavato e quei magnifici dreadlocks che
scendevano dalla testa bagnati, come enormi radici di ficus, non li dimenticherò mai… proprio mai!
Il Graffio…
per l’uomo che non deve chiedere mai
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Er Ricordo
di Alessandro Ranucci
Qualche giorno fa, mentre ero al parco con mia figlia, ad un certo punto si è posato a terra un uccellino appena sceso dal nido, Credo
si trattasse di un cardellino. La mamma lo seguiva dall’alto richiamandolo ogni tanto col suo cinguettio, per esortarlo a volare e ancora
a volare. Era un bell’uccellino paffuto e con tanta voglia di volare e cominciare cosi la sua vita. Ma non aveva purtroppo ancora
imparato a diffidare dell’uomo e della sua crudeltà. Un gruppo di bambini scalmanati si uniscono in branco, rincorrendo il povero
uccellino, come fosse una preda da catturare, un assurdo trofeo. Riescono a prenderlo una prima volta, litigando per tenerlo tra le
loro manine piccole ma già capaci di stritolare una creatura cosi gracile. Dopo che l’uccellino, riuscito a liberarsi, prendeva
nuovamente a volare, ecco che per la seconda volta venne raggiunto e circondato dal branco. Uno di loro, di quattro anni appena ma
già con abbondante pelo sullo stomaco, con agghiacciante freddezza decise che la vita del povero uccellino dovesse concludersi nel
suo momento più bello, quando finalmente poteva volteggiare libero insieme alla mamma ed abbracciare il mondo. Il peso terribile
della scarpa soffocò per sempre in una morsa canaglia, il diritto di quella splendida creatura di vivere ed essere felice.
Sono sempre afflitto di fronte a scene del genere, e credo sia profondamente sbagliato da parte di un genitore, giustificare o
minimizzare le azioni sbagliate del proprio figlio, sopratutto le più gravi, imputando tutto alla candida innocenza del bambino. Bisogna
intervenire sempre e comunque. Un padre o una madre di fronte ad un gesto del genere da parte del proprio figlio non possono, come
ho avuto modo di sentire, solamente intervenire dicendo: “non si uccidono gli animali”. Ci vuole qualcosa di più. Ci vuole qualcosa che
riecheggi nella testa del proprio figlio per la vita intera e che lo convinca della gravità di ciò che ha commesso e che soprattutto gli
eviti di compiere nuovamente gesti del genere. Ci vuole ciò che a Roma chiamiamo “Sganassone”… si un sonoro sganassone! … o in
alternativa un fragoroso CALCIO NEL CULO! Agostino Belli, in un bellissimo sonetto, ci ricorda una delle usanze del popolo romano in
occasione delle esecuzioni in pubblica piazza. I padri davano sempre uno schiaffo ai figli, appena finita l’esecuzione. Questo per
ricordare che fine facessero i poco di buono… ma io penso che lo schiaffo era anche un modo per ricordare al figlio l’orrore della
morte.
Er ricordo
Er giorno che impiccorno Gammardella
discenno: «Va’ la forca cuant’è bbella!».
io m’ero propio allora accresimato.
Tutt’a un tempo ar paziente Mastro Titta
Me pare mó, ch’er zàntolo a mmercato
j’appoggiò un carcio in culo, e Ttata a mmene
me pagò un zartapicchio1 e ’na sciammella.
un schiaffone a la guancia de mandritta.
Mi’ padre pijjò ppoi la carrettella,
«Pijja», me disse, «e aricordete bbene
ma pprima vorze gode l’impiccato:
che sta fine medema sce sta scritta
e mme tieneva in arto inalberato
pe mmill’antri che ssò mmejjo de tene»
di Agostino Belli
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PAROLE IN LIBERTÀ
Cos'è la vita
di Michele
La vita è un attimo, ti può sfuggire via senza averla capita.
Ti può capitare di viverla e comprendere di esserci stato dentro ma ancora non sapere di lei, di conoscerla.
Pochissimo tempo per riflettere, ci sono istanti molto più importanti di storie lunghissime.
La vita va senza freni e senza paura, scorre e travolge, passa e macina ogni cosa.
La vita va e non si ferma.
Ed è così bella che non la immaginate neanche.
È la vita tutta intera, minuscola per noi che siamo piccolissimi e non contiamo niente.
Noi che sogniamo a occhi aperti e che speriamo immaginiamo, soffriamo, ridiamo e ci inginocchiamo...
La vita è un mare di vite e non ti sta a guardare, devi solo prendertela e rispettarla.
La vita è il miracolo che possediamo, per sempre.
Gli Amici
di Michele
Non si possono definire amici tutte le persone più o meno care.
Gli amici sono una categoria in estinzione ?
Gli amici sono molto importanti e hanno l'obbligo di rimproverarci, sgridarci, criticarci, senza paura di farlo !
Gli amici non devono applaudire e consolare, non possono solo ascoltare e acconsentire, non devono starsene fermi e zitti.
Gli amici ti devono far pensare e parlare, discutere e arrabbiare, cercare altri modi di vedere la vita...
____________________________
LA MUSICA PER CHI VUOLE VEDERE
La musica di Michele
https://www.youtube.com/watch?v=mYxp27e3gMo
Golden Smog
https://www.youtube.com/watch?v=_Q-9__pRZyg
jeff Tweady
23
https://youtu.be/FVqIJjkMEwY
"I Can't Think About It Now"
Grandissimi i DAWES x il Graffio di giugno un viaggiare liberi per spazi
infinitamente grandi...
https://youtu.be/liimDXIVfLk
Una canzone "liquida"...
La musica di Ivan Ske.
https://www.youtube.com/watch?v=lbPRZRE8dVM&list=RDlbPRZRE8dVM
Questa è per i bambini
dategli cibo fateli crescere
dite loro la verità, fate loro sapere
Non voglio essere un bambino soldato
che vive in un mondo per sempre selvaggio
non mi insegnare ad uccidere
portami a scuola, sono ancora ignorante e la mia pancia è vuota
voglio vivere, voglio imparare
ma nessuno mostra il minimo interesse per il mio benessere
la mia educazione
mi sento solo in questo mondo come un orfano
THIS ONE IS FOR THE CHILDREN
GIVE THEM THE FOOD AND LET THEM GROW
TELL THEM THE TRUTH AND LET THEM KNOW
i don't wanna be a soldier child
living in the world that's for ever wild
don't teach me to kill
take me to school i'm still ignorant and my belly no full
i wanna live; i wanna learn
but nobody shows the slightest concern for my welfare ,my education
i feel alone in this world like an orphan.
Daara j Family - Children
Children
Ivan Ske
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La musica di Ale
https://www.youtube.com/watch?v=LCJahCEMm5A
go! Mamacita go!!
Madisen Ward and the Mama Bear - "Silent Movies"
https://www.youtube.com/watch?v=H7PvgY65OxA
Mandolin Orange - "Old Ties And Companions"
https://www.youtube.com/watch?v=zB1Gh8qogjg
la mente viaggia… un viaggio psichedelico… chiudi gli occhi e trovi spazi infiniti…
stupenda cover!
Phil Shoenfelt & Southern Cross - Death is Hanging Over Me
Tricycle cinese a Yiwu city
moto con l'ombrello
a Guangzhou
old auto polizia a Varsavia
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taxi a Varsavia
San Augustin - Colombia
Eccovi un poster che mi piace
Può starci nel numero di giugno...
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ESPERIENZE DA NON PERDERE
http://www.immagimondo.it/
IMMAGIMONDO, 18° Festival di Viaggi, Luoghi e Culture
Il Festival dei Viaggiatori ... e dei loro racconti di Viaggio
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Invito alla lettura di Ivan Ske:
Vai e vivrai
Radu Mihaileanu Alain Dugrand
"E' così, non ho dimenticato nulla.
'Va', vivi e diventa... ' Le tue parole hanno nutrito il mio dolore e le mie speranze. 'Va, vivi e diventa!'
Ho rispettato il tuo desiderio: non ho mai smesso di cercare di essere qualcuno, di vivere quell'insegnamento in ogni istante
dell'esistenza, passo dopo passo, per te. Non so se ce l'ho fatta, mamma, ma sono diventato un uomo di questo mondo.
Sono andato, ho vissuto. Che la grazia non ti abbandoni mai.
Ogni notte leggevo il tuo sguardo sulla pelle della luna, il tuo viso, la forma dei tuoi occhi.
Sono partito nella paura e nel dolore, ma ho vissuto. Sono qualcuno."
1.
L'ultimo respiro di Salomon
Al campo di Um Raquba, l'esistenza è disumana... Gli ufficiali sudanesi che gestiscono questo campo profughi per conto della Comunità
internazionale amministrano persone, risorse e beni secondo le loro usanze: burocrazia, confisca degli approvvigionamenti di cereali
degli aiuti mondiali e, naturalmente, corruzione. Più la miseria è grande, più l'essenziale raggiunge il prezzo dell'oro. L'acqua non
manca, ma vista la siccità delle ultime stagioni, il livello della falda è allo stadio più basso, i cammelli si abbeverano negli stagni
fangosi, e gli esseri umani anche, nonostante le carcasse di animali morti in decomposizione. In cambio di soldi, e aiutandosi con i
cartoni del latte vuoti, alcuni giovani travasano il liquido infetto in barili che diffondono i germi della dissenteria. Ma è davvero la morte
il peggiore dei mali sotto i cieli del Sudan miserabile, in cui a migliaia aspettano, speranzosi, che la canicola cessi con la stagione delle
piogge?
Il crepuscolo si avvicina. Il bianco plumbeo del cielo è già velato da un'ombra violacea, una luna maestosa si alza sul vasto e muto
brulicare. A est, rocce color ruggine virano al viola, in meno di due ore la notte africana cadrà di colpo. Il freddo allora strazierà i
corpi, farà gracchiare la sabbia sotto i piedi.
Man mano che l'oscurità avanza il silenzio si annulla. Le gole secche si infiammano, attacchi di tosse, versi raschiati sembrano
richiamarsi l'un l'altro nell'inferno lugubre di Um Raquba, dove la notte è peggio del giorno.
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Invito alla lettura di Gianluca Crisantema:
Mi permetto anche di darvi un consiglio per un libro da leggere:
Belle per sempre di Katherine Boo
… La vita e le storie degli abitanti di uno slum Indiano..
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Invito alla lettura di Alessandro Ranucci: La
via dell’Incenso di Cino Boccazzi.
“”… Duemila chilometri di pista attraverso deserti e altipiani, segnata dal passo lento delle carovane partite dai monti dell’Arabia Felice
e dirette verso l’Arabia Petrea e la splendida Petra: questo è l’itinerario di una delle più antiche vie commerciali del mondo, la via
dell’incenso. Nacque nel III secolo a.C. quando egiziani, fenici, siri, nabatei, giudei, romani facevano un immenso consumo di incenso e si
snoda attraverso paesi, montagne e deserti, ripidi ghiaioni e lisce pareti di arenaria, resti di muri di pietra, antichi posti di guardia e
tracce di città di cui a volte si sono persi nome e memoria. Antichissimo sentiero dove per millenni sono passati degli uomini che
hanno lasciato tracce (frecce di pietra, asce, graffiti) e costruito giardini con palme dai datteri dolcissimi e città sante, che il vento
scopre e ricopre come un’onda che va e viene su una spiaggia …””
una grande energia
sorridere
mangiare il mondo
correre all’orizzonte
ruggire
emozionarsi
Il Graffio lascia il segno…
Non perdiamoci di vista… l’appuntamento è per il Graffio di Luglio
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SPAZIO LIBERO DEDICATO AI COMMENTI ALLE CRITICHE E AI CONSIGLI DEI LETTORI
Ricevuto, grazie, che bel numero! e allora Avanti così!
complimenti, ciao :-)
P.S.: (tra l'altro vi faccio notare che me lo avete mandato col titolo della mail: "il GRAFFIO DEL VIAGGIATORE. Aprile 2015"
mentre invece era quello nuovo di Maggio…).
Riciao
C.P.
Ciao ragazzi
vi leggero con estremo piacere
Ho visto poi che c è anche Diana...
Saluti
S&I
Grandissima iniziativa ... si legge con il sorriso sul volto ed appena hai finito ti viene voglia di partire con il corpo , dato che la mente è
già andata altrove ... complimenti e grazie.
A.
Appena finito di leggere il numero di maggio !!!!!!!!!!!!! Braviiiiiiiiii!!!!!!!!!!!! Ale il tuo articolo sull' "arca di Noè" davvero bello, mi ci sono
ritrovata nei tuoi pensieri.
Un abbraccio,
C.
Ciao ragazzi, vedo che il progetto va bene avanti. Purtroppo in questo periodo ho ancora meno tempo di prima ed anche questa volta
ho letto il graffio in ritardo.... ma l'ho letto, e, se non mi faccio viva, ci sono lo stesso e spero che mi vogliate sentire presente.
Continuate a spedirmi tutto. così sarò con voi e se vi dovesse capitare di passare da queste parti, fate un fischio....
Vi abbraccio forte,
S.
Controsenso" di Ivan Ske è formidabile e incriticabile.
Ciao M.
"fiori rosa fiori di pesco ... fatti crescere i baffi"
Luca N.
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