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Sentire cum Ecclesia ritiro - parrocchiaspiritosantocerignola.it
Sentire cum Ecclesia
Angelo Card. Amato, SDB
1. Carattere ecclesiale della fede
Pur essendo personale, l’atto di fede del cristiano adulto riveste anche un carattere ecclesiale e
comunitario.1 L’esperienza dei primi cristiani, dopo la risurrezione di Gesù, fu proprio questa:
convertirsi a Cristo, credere in lui, essere battezzati ed essere accolti nella Chiesa. Dopo l’ispirato
discorso di Pietro a Pentecoste «quelli che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno si
unirono a loro circa tremila persone» (At 2,41). I battezzati esprimevano e vivevano la loro fede
nell’ascolto della Parola, nella comunione e nell’orazione: «erano assidui nell’ascoltare
l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere» (At
22,42).
Il fariseo Saulo e il centurione pagano Cornelio, tra i primissimi esempi di conversione
personale a Gesù, furono affidati rispettivamente alla comunità cristiana di Damasco (At 9,10-19) e
a Pietro (At 10,5) per essere istruiti nella fede.2
Tra Gesù e la Chiesa, infatti, c’è la relazione vitale che esiste tra il capo e il corpo. L’unione tra
Gesù e la Chiesa viene vista da Paolo come una comunione sponsale: «Per questo l'uomo lascerà
suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è
grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!» (Ef 5,31-32). Per l’apostolo, l’affermazione
della Genesi in realtà evoca anche la comunione che si realizza tra Cristo e la Chiesa, una
comunione e una solidarietà sponsale, intima e vitale: «così, infatti, Cristo ama la sua Chiesa e ha
dato la sua vita per lei» (Ef 5,25-27).3
Cristo è presente nella sua Chiesa, nella comunità dei credenti che si raccoglie in preghiera,
nell’eucaristia, mistero della fede, che nutre lo spirito dei fedeli. È il Christus totus. Cristo non si dà
senza la Chiesa né la Chiesa senza Cristo.
1
Cf. EDITORIALE, Il carattere ecclesiale della fede cristiana, in «La Civiltà Cattolica» 150 (1999) III p.
3-12.
2
Questo carattere comunionale della nostra fede veniva espresso negli antichi simboli di fede dal verbo
«Crediamo»: cf. il Simbolo niceno-costantinopolitano: Denz n. 150.
3
Cf. LG n. 7.
1
Il carattere ecclesiale della fede dipende anche dal fatto che la Chiesa è il “luogo”, l’ambiente
naturale della fede: in essa il credente trova la fede e nella Chiesa e per mezzo della Chiesa riceve la
fede. La sua fede è la fede della Chiesa. Crede quello che la Chiesa crede e insegna a credere.
«Che cosa chiedi alla Chiesa di Dio?». «La fede», risponde il battezzando o, se è piccolo, i
genitori e i padrini. «Quale fede?». «La fede della Chiesa».
Per il battesimo il bambino deve fare un atto di fede. Non essendone capace, la Chiesa crede per
lui e gli comunica la sua fede: «E così i bambini – scrive San Tommaso d’Aquino - credono non per
un atto proprio, ma per la fede della Chiesa, che è loro comunicata».4
Il germe della fede si sviluppa e cresce nella Chiesa mediante l’annuncio della Parola, che
motiva i contenuti della fede esortando i battezzati a credere in maniera sempre più convinta e
gioiosa; mediante i sacramenti, che nutrono, esprimono e irrobustiscono la fede (SC n. 59);
mediante la preghiera, con la quale la Chiesa intercede per tutti i suoi figli e perché il dono della
fede sia concesso anche a coloro che ancora non credono in Gesù.
2. La Chiesa madre e maestra della fede
La Chiesa è quindi la madre della nostra fede, perché ci genera, ci nutre, ci irrobustisce nella
fede. Essa è la madre dei credenti in Cristo (cf. LG n. 6-7): «Non può avere Dio per padre, chi non
ha prima la Chiesa per madre».5 E lo stesso San Cipriano aggiunge: «noi siamo nati dal suo seno,
siamo nutriti dal suo latte, siamo animati dal suo spirito».6 Anche Sant’Agostino esorta ad amare il
Signore e la sua Chiesa, nostra madre.7
La madre Chiesa è anche maestra autorizzata e autorevole della nostra fede. È agli apostoli e ai
suoi successori che Gesù affidò il compito di predicare il vangelo a ogni creatura e di battezzare nel
nome della Santissima Trinità. E tale insegnamento la Chiesa lo fa con autorevolezza, perché essa
gode dell’assistenza dello Spirito Santo, lo Spirito di verità (cf. Gv 14,17), che guida la Chiesa «alla
verità tutta intera» (Gv 16,13).
Per questo la Chiesa diventa la garante della fede. Con le due ali della sapienza dei pastori e
della santità dei testimoni la Chiesa vive nella verità, perché vive e si nutre del suo Signore, «via,
verità e vita» (Gv 14,6).
4
STh III, 1. 69, a. 6 ad 3.
CIPRIANO, Ep. 74, n. 7.
6
CIPRIANO, De unitate Ecclesiae, c. 5.
7
AGOSTINO, Sermo 116, n. 8.
5
2
La Chiesa è, quindi, per il battezzato madre, maestra, testimone della fede e sua patria spirituale:
dovunque si trovi, in qualunque nazione del mondo viva, il cristiano confessa e celebra la stessa
fede della Chiesa. La Chiesa è veramente una e cattolica.
Infine, la Chiesa è anche oggetto di fede. Nel “Credo” dopo aver professato la nostra fede in Dio
Padre, in Gesù Cristo, nello Spirito Santo, noi aggiungiamo: «Credo la Chiesa una, santa, cattolica e
apostolica». C’è relazione stretta tra fede nella Trinità e la fede ecclesiale: infatti la fede nella
Trinità è la fede della Chiesa.
Ma il “credere la Chiesa” non costituisce un quarto articolo di fede, dal momento che fa parte
del terzo articolo del credo, quello che esprime la fede nello Spirito. La motivazione ce la dà
sant’Ireneo quando scrive: «Dov’è la Chiesa, lì è anche lo Spirito di Dio; e dove è lo Spirito di Dio,
lì è anche la Chiesa e ogni grazia».8
Inoltre, mentre si crede nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, per quanto riguarda la Chiesa,
si dice: “credo la Chiesa”. Ciò significa credere che esiste la Chiesa come mistero, come sacramento
salvifico di Cristo nella storia, come corpo di Cristo animato dal suo Spirito di santità e di verità,
come mezzo mediante il quale giunge all’uomo la salvezza e la grazia divina.9
3. Amare la Chiesa
Abbiamo già visto come Cristo ami la sua Chiesa: «Christus dilexit ecclesiam et se ipsum
tradidit pro ea» (Ef 5,25). Il battezzato, come figlio che riconosce la Chiesa come sua madre, sua
maestra, sua patria, ama la Chiesa, la difende, si addolora quando viene perseguitata, non la giudica
e non la condanna mai. E soprattutto non si mette mai a guardarla “dal di fuori”, con spietatezza,
con acrimonia, con asprezza.
Il cristiano ama la Chiesa, ne difende l’unità, non attenta alla sua integrità, anzi si adopera
perché possa espandere il suo mantello di grazia fino agli estremi confini della terra. «L’amore alla
Chiesa madre è dunque la tessera del vero cattolico».10 Madeleine Delbrêl, come del resto altri
cristiani, usava l’espressione Cristo-Chiesa»: per lei la “Chiesa” era il “Gesù di ora”.11 Questa
testimone del vangelo oggi ci ha lasciato delle pagine meravigliose sul suo amore alla Chiesa: «La
Chiesa: io vi sono dentro come un membro nel corpo, come una cellula in un organismo vivo, lei mi
8
IRENEO, Adversus haereses, III, 24,1.
Cf. OT n. 9: la formazione sacerdotale implica educare al senso della Chiesa.
10
EDITORIALE, Il carattere ecclesiale della fede cristiana, in «La Civiltà Cattolica» 150 (1999) III p. 12.
11
J. LOEW, Dall’ateismo alla mistica, p. 98.
9
3
comunica la vita dei Figli di Dio».12 «Duemila anni di Chiesa ci hanno insegnato che solo questa
chiesa è idonea, nel senso pieno della parola, a vivere il Vangelo. Solo la Chiesa è sufficientemente
forte per portare il Vangelo senza soccombere».13 «Ora noi siamo le cellule del corpo Cristo-Chiesa,
cellule nel contempo intelligenti e amanti. Una sola cellula può infettare l’organismo intero, una
sola cellula può lasciar passare l’ago dell’iniezione che salva».14
L’amore alla Chiesa è un amore profondo e filiale, che produce una obbedienza gioiosa, serena,
non forzata e servile.
Se si deve amare la madre terrena, a maggior ragione si deve amare la Chiesa, la madre che ci
ha fatto nascere alla vita divina mediante il battesimo, che ci fa crescere e ci nutre con i suoi
sacramenti.
L’amore alla Chiesa produce una più intima conoscenza di questa nostra madre. Già San
Gregorio Magno diceva: «Quando noi amiamo le verità divine, amandole le conosciamo, perché
l’amore è esso stesso una conoscenza (Amor ipse notitia est)».15
L’amore alla Chiesa diventa spesso per il battezzato l’offerta della propria vita per questa sua
Madre fedele. Nel 1998 moriva, consumato dalla malattia, Mons. Vittorio Fusco, vescovo di NardòGallipoli e noto biblista. Sul letto di morte affidò a Mons. Cosimo Ruppi, arcivescovo di Lecce, il
seguente testamento spirituale: «Ve lo confido, Eccellenza, non so come andranno le cose, ma
sappiate una cosa: “offro la mia vita per il Santo Padre, per la diocesi, per le vocazioni, per questa
buona gente salentina, per la Chiesa. ricordatevi di quello che sto dicendo”».16
La missione e l’apostolato deve far trasparire la coscienza ecclesiale del sacerdote e il suo amore
intenso per la Chiesa.
4. «Sentire cum Ecclesia»17
L’amore alla Chiesa deve tradursi in un atteggiamento di ascolto e di fedeltà. Vale per tutti
l’esortazione che Giovanni Paolo II rivolse ai Padri Gesuiti il 22 aprile 1991: «Amate la Chiesa; sia
12
Ib. p. 97.
Ib. p. 97.
14
Ib. p. 98.
15
GREGORIO MAGNO, Omelie sui Vangeli, II, 27,4.
16
L’Osservatore Romano, 16 luglio 1999, p. 7.
17
Cf. Francesco D’OSTILIO, Amare la Chiesa. «Sentire cum Ecclesia», uno dei frutti del Grande
Giubileo 2000: dovere comune a tutti i fedeli dovere speciale dei chierici e dei consacrati, LEV, Città del
Vaticano 1999.
13
4
senza ombra la vostra filiale adesione al suo Magistero […]. Ogni fondatore ed ogni fondatrice ha
lasciato come eredità ai suoi seguaci il “sentire cum Ecclesia” e la fedeltà al Magistero». 18
Di San Francesco di Assisi si è scritto: «Con la Chiesa credere, pregare, operare, sentire:
“Sentire cum ecclesia” è per lui un principio fondamentale al pari di quello di regolarsi in ogni cosa
secondo il Vangelo; sicché senza esagerazione possiamo dire che Francesco era la “ecclesiasticità
personificata”».19
San Francesco d’Assisi, totalmente preso dal suo sentire cum Ecclesia, esorta i suoi figli a
essere «sempre sudditi e soggetti ai piedi della medesima santa Chiesa, stabili nella fede
cattolica».20
Di sant’Ignazio di Loyola, che Giovanni Papini chiamò “il più cattolico dei santi”, Padre
Riccardo Villoslada scrive: «La sua devozione al Vicario di Cristo e alla “nostra santa madre Chiesa
gerarchica” scaturiva naturalmente dal suo appassionato amore al “Nostro comune Signore Gesù”, a
“Cristo Redentore nostro Sommo Pontefice”».21
Per quanto riguarda il sentire cum Ecclesia vissuto da Don Bosco in riferimento soprattutto alla
devozione al Sommo Pontefice e al suo magistero, un suo autorevole successore, Don Paolo Albera
(secondo successore di Don Bosco: 1910-1912) scriveva: «Rammentiamo che Don Bosco seguendo
le orme dei santi, e soprattutto di San Francesco di Sales, non si accontentava di quella
sottomissione d’intelletto che si restringe alle definizioni ex cathedra, ma voleva la sottomissione
sincera a qualunque insegnamento del Papa e sotto qualunque forma impartito. Né solamente ne
seguiva e faceva seguire gli ordini, ma reputava e voleva che i suoi figli reputassero qual legge e
qual dolce comando ogni avviso, ogni consiglio, ogni desiderio del Vicario di Gesù Cristo».22
«Conoscere, amare, difendere il Papa» fu la strenna dell’anno 1949 scritta da Don Pietro Ricaldone
(1932-1951), quarto successore di Don Bosco.
Concludendo una sua recentissima pubblicazione sulla spiritualità salesiana, Francis Desramaut
scrive: «Il salesiano si inserisce, senza ostentazione, tra i cristiani capaci di parlare con amore della
Chiesa, “giudicandola con affetto, quasi fosse una madre”. Questi sono coscienti di aver ricevuto la
vita dello Spirito nella Chiesa e tramite la Chiesa. Forse ne conoscono i limiti, le rughe e perfino gli
scandali. Ma non vi danno grande importanza. Valutano invece dovutamente i vantaggi della sua
18
GIOVANNI PAOLO II, Allocuzione alla Compagnia di Gesù durante la celebrazione per l’anno
ignaziano, in «L’Osservatore Romano» 24 aprile 1991, p. 1,5.
19
F. D’OSTILIO, Amare la Chiesa, LEV, Città del Vaticano 2000, p. 41.
20
Regola Bollata 1221, cap. 12: Fonti Francescane, Assisi 1978, p. 108-109.
21
R. VILLOSLADA, Ignazio di Loyola, in Bibliotheca Sanctorum, VII col. 688-689.
22
P. ALBERA, Lettere circolari ai salesiani, SEI, Torino 1922, p. 102.
5
presenza per la persona e per l’umanità: le energie benefiche che diffonde, l’esperienza di Dio
manifestata dalla santità che offre come esempio, la saggezza che emana dalla Parola di Dio,
l’amore che unisce e suscita solidarietà al di là delle frontiere nazionali e continentali, il senso della
vita che propone, i valori che difende e le prospettive di vita eterna che apre. La famiglia salesiana
ammira e ama la Chiesa di Gesù Cristo».23
Per il gesuita Padre Paolo Dezza «il sentire con la Chiesa significa non solamente conoscere e
volere, ma avere un conoscere e un volere informati dall’amore, animati da questo sentimento
affettuoso verso la Chiesa, che rende possibile e facile anche quello che potrebbe sembrare
impossibile o troppo difficile».24
5. È difficile “sentire cum Ecclesia”?
Nessuno si nasconde le carenze presenti nei figli della Chiesa e non solo nei semplici fedeli. Ma
il nostro atteggiamento al riguardo è una rinnovata risposta di amore: nonostante tutto, lo Sposo
divino non farà mai mancare alla sua Sposa la sua fedeltà totale e santificante.
Nel messaggio ai sacerdoti del 30 giugno 1968 Paolo VI scriveva: «Fratelli e figli carissimi,
abbiate fiducia nella chiesa, amatela assai … amatela anche nei suoi limiti, nel suoi difetti; non certo
per i suoi limiti e per i suoi difetti e forse anche per le sue colpe, ma perché solo amandola, potremo
guarirla e fare risplendere la sua bellezza di sposa di Cristo».25
Un’altra difficoltà può provenire dal Magistero della Chiesa. Spesso si tende a dare più ragione
alla stampa o a testi teologiche opinabili che non alle indicazioni chiare e precise del magistero della
Chiesa. Occorre ricordare che anche le conclusioni dei teologi sono soggetti al giudizio del
magistero della Chiesa.
L’amore alla Chiesa implica accoglienza e obbedienza al suo magistero, che deve diventare luce
e guida della nostra predicazione, della nostra pastorale e della nostra spiritualità.
In un momento particolarmente difficile della vita ecclesiale postconciliare, Paolo VI invitava
ad avere il gusto della Chiesa: «Bisogna amare la Chiesa. Si è parlato del senso della Chiesa; noi
vorremmo spingere più avanti questo fenomeno interiore ed esortarvi ad avere gusto della Chiesa,
che oggi, purtroppo, sembra venir meno in tanti, che pur della Chiesa si atteggiano a riformatori;
hanno il gusto della contestazione, della critica, della imancipazione, della arbitraria concezione, e
23
F. DESRAMEAU, Spiritualità salesiana, LAS, Roma 2001, p. 151.
P. DEZZA, Amare la Chiesa per sentire con la Chiesa, in «Vita consacrata» 16 (1980) p. 467.
25
Insegnamenti di Paolo VI, VI (1968), p. 316.
24
6
spesso della sua disgregazione e demolizione. No, non possono avere il gusto della Chiesa e forse
nemmeno l’amore».26
Per comprendere come l’amore non riduca l’aspirazione all’autenticità, il Padre Agostino
Gemelli soleva affermare che Francesco aveva gli stessi scopi rinnovatori degli eretici: «Ma quello
che distingue subito S. Francesco dagli eretici e lo colloca d’un tratto mille miglia al di sopra delle
sette, è la sua decisa e totale sottomissione alla chiesa Cattolica. Tutti i punti posti dagli eretici in
contrapposizione a Roma, egli riprende e risolve in obbedienza a Roma; essi volevano seguire il
Vangelo alla lettera, e S. Francesco così fa, ma del Vangelo accetta ogni parola, comprese quelle
che si riferiscono all’autorità di Pietro, degli Apostoli e dei loro successori; gli eretici volevano la
predicazione in volgare, e S. Francesco predica in volgare, ma con il permesso del Papa; essi
volevano povertà, castità e lavoro, ma foderavano di superbia la propria virtù, imprecando
all’avarizia e al mal costume del clero, condannando quelli che non vivevano come loro e
seminando odio; S. Francesco, invece si ritiene l’ultimo degli uomini, bacia la terra dove passa un
prete, sia pure un indegno, perché ministro di Dio; ammonisce i peccatori prima di tutto con
l’esempio e con la penitenza; non pretende la santità dagli altri; non condanna nessuno, ma incolpa e
corregge se stesso e porta ovunque la pace».27
6. In comunione piena con i pastori della Chiesa
Concretamente il sentire cum Ecclesia significa vivere in piena comunione con i pastori della
Chiesa e avere una fede operosa nel servizio alla Chiesa, sentendosi figli affettuosi e fedeli della
Santa Madre Chiesa.
Negli Esercizi Spirituali, Sant’Ignazio tra le 18 regole circa il “sentire cum Ecclesia”, ne pone
una, paradossale, che suona così: «13. Per non sbagliare, dobbiamo ritenere che quello che vediamo
bianco sia nero, se lo dice la Chiesa gerarchica. Perché crediamo che quello spirito che ci governa e
ci sorregge, per la salvezza delle nostre anime, sia lo stesso in Cristo Nostro Signore, che è lo sposo,
e nella Chiesa, che è la sua sposa. Infatti la nostra santa madre Chiesa è retta e governata dallo
stesso Spirito e Signore Nostro il quale dettò i dieci comandamenti».
Il Beato Josemaría Escrivá, fondatore dell’Opus Dei, scriveva: «518. Che gioia poter dire con
tutte le forze della mia anima: amo mia Madre, la santa Chiesa!».
26
27
Insegnamenti di Paolo VI, XIV (1970), p. 499.
A. GEMELLI, Il francescanesimo, Vita e Pensiero, Milano 1947, p. 11-12.
7
Il “sentire cum ecclesia” significa in concreto “cogitare cum Ecclesia”, “iudicare cum Ecclesia”,
“amare Ecclesiam”, “criteria habere quae Ecclesia habet”.
I Santi si sono letteralmente accaniti accanirsi per rendere attraente la Chiesa. La santità di
Cristo-Chiesa deve poter trasparire attraverso la nostra vita. Si tratta di una testimonianza di amore
che è uno slancio vitale verso tutti i confini del mondo, si tratti di confini geografici o sociali; uno
slancio interiore per ritrovare coloro ai quali Cristo si è interessato per primo: i piccoli, i sofferenti, i
poveri: «Più il mondo al quale ci rivolgiamo è senza Chiesa, più dobbiamo esservi Chiesa.
Depositaria della missione è la Chiesa, ma bisogna che passi attraverso di noi».28
7. Il segreto dell’amore alla Chiesa: amare Cristo e rimanere in Lui
Riaccendiamo l’amore alla Chiesa. È come rivolto a noi il dialogo pasquale che Cristo ebbe con
Simon Pietro. Invece di Pietro mettiamo il nostro nome e invece di Cristo mettiamo la Chiesa:
«Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?».
«Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene».
«Gli disse: «Pasci i miei agnelli».
Gli disse di nuovo per la seconda volta:
«Simone di Giovanni, mi ami?».
Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene».
Gli disse: «Pascola le mie pecore».
Gli disse per la terza volta: «Simonie, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?».
Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse:
«Signore, tu conosci tutto, tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore» (Gv
21,15-17).
L’amore a Cristo-Chiesa è la legittimazione dell’apostolato sacerdotale e anche la sorgente della
sua efficacia. Come fare per riaccendere questo fuoco di carità verso la Chiesa?
Ecco come risponde un maestro di vita spirituale come Padre Gaston Courtois (1897.1970):
«Lascia fare a me: sono io il tuo fuoco, la tua luce, la tua gioia. Ti sono sempre vicino e non ti
abbandono. Non contare su di te, conta su di Me. Non contare sulle tue forze, ma sulle mie. Unisci
la tua preghiera alla mia preghiera, la tua azione alla mia azione, le tue lacrime e le tue sofferenze
alle mie sofferenze. Gli anni che ti restano da vivere sono come la primavera con i suoi fiori
multicolori, come l’estate con i suoi frutti maturi, come l’autunno con lo spettacolo delle foglie che
28
Ib. p. 99.
8
cadono e come l’inverno, che ti invita a scomparire nell’oceano della mia carità dove troverai
l’eterna dimora di felicità».29
8. Obbedienza al magistero del Papa
Un segno di amore a Gesù e alla Chiesa è l’ascolto e l’obbedienza al Magistero del Papa:
«Mettiti con fiducia al seguito del mio vicario, il successore di Pietro. Non sbagli se ti sforzi di
vivere e pensare in accordo con lui, poiché in lui sono io a essere presente e a insegnare ciò di cui
l’umanità ha bisogno nei tempi attuali. Non c’è niente di più pericoloso quanto il separarsi, anche
solo interiormente, dalla Gerarchia. Ci si priva della “gratia capitis”; si giunge via via
all’oscuramento dello spirito, all’indurimento del cuore: sufficienza, orgoglio e presto …
catastrofe».30
Oggi più che mai urge questa fiducia e questo abbandono. Altrimenti nell’esercizio del nostro
apostolato si perde la partita della sua efficacia e della nostra santità. Come Vicario di Cristo in
terra, il Papa può ripetere le parole di Gesù ai suoi discepoli: «Se rimanete in me e le mie parole
rimangono in voi, chiedete quel che vorrete e vi sarà dato» (Gv 15,7).
La Chiesa è il luogo santo di questa sovrabbondanza di grazia, di luce, di carità e di giustizia. E
il Papa è la nostra guida sicura per attraversare senza essere travolti il Mar Rosso di questa nostra
convulsa e confusa civiltà.
In un editoriale pubblicato dal giornale “Avvenire”, domenica 23 gennaio 2011, don Maurizio
Patriciello, parroco di San Paolo Apostolo a Caivano (Napoli, diocesi di Aversa), ribellandosi a una
stupida vignetta, che, durante una trasmissione televisiva, aveva infangato il Papa, scriveva: «Sono
un prete. Un prete della Chiesa cattolica. Uno dei tanti preti italiani. Seguo con interesse e ansia le
vicende del mio Paese. Non avendo la bacchetta magica per risolvere i problemi che affliggono
l’Italia, faccio il mio dovere perché ci sia in giro qualche lacrima in meno e qualche sorriso in più.
Sono un uomo che, come tanti lotta, soffre, spera. Che si sforza ogni giorno di essere più uomo e
meno bestia. Sono un uomo che rispetta tutti e chiede di essere rispettato. Che non offende e
gradirebbe di non essere offeso, infangato. Da nessuno. Inutilmente. Pubblicamente. Vigliaccamente. Sono un prete che lavora e riesce a dare gioia, pane, speranza a tanta gente bistrattata,
ignorata, tenuta ai margini. Un prete che ama la sua Chiesa e il Papa».
29
Da alcune riflessioni di G. COURTOIS, Quando il Maestro parla al cuore, Edizioni Paoline, Cinisello
Balsamo Milano 1988, p. 92-93.
30
Ib. p. 97.
9
Di questi preti coraggiosi e buoni ce ne sono tanti nella Chiesa. Sabato scorso ne abbiamo
beatificato uno, don Giustino Russolillo, parroco santo di Pianura di Napoli. Questa sera leggeremo
il decreto sull’eroicità delle virtù del vostro confratello cerignolese, il Venerabile Antonio Palladino.
È nel fedele amore alla Chiesa e nella filiale devozione al Papa il segreto dell’efficacia apostolica di
ogni sacerdote cattolico.
Nella voluminosa Positio del Venerabile Antonio Palladino c’è una testimonianza di un teste de
visu sulla devozione che il santo sacerdote aveva nei confronti del Papa. Quando Papa Leone XIII
scrisse una lettera ai Vescovi invitandoli a celebrare la festa della Pentecoste, don Palladino
obbedisce prontamente celebrando la Pentecoste con particolare solennità. E poi il testimone
aggiunge: «Per lui la voce del Papa è la voce del Signore. Addirittura la sua vita pastorale la imposta
mettendola in sintonia coi desideri del programma del Papa, tanto che cono convinto che la sua vita
pastorale si potrà dividere in tante fasi quanti sono i Papi della sua vita: Leone XIII, Pio X,
Benedetto XV e Pio XI. Quindi la sua vita cammina in sintonia con la voce del Papa. Perciò la sua
vita non si può soltanto individuare per i fatti esterni, ma anche per i fatti interni, per la concezione e
la mentalità. Addirittura sul letto di morte dirà ad alcune sue figlie spirituali: “Mi raccomando,
ascoltate il Papa”. E queste parole sul letto non sono parole di consiglio, sono semplicemente un
testamento […] spirituale. Quindi hanno un senso profondo per la Chiesa e per il papato; la sua vita
spirituale non si può concepire senza il Papa. Dal Papa dell’eucaristia, la sua istituzione sarà il culto
eucaristico, si farà domenicano, parecchie istituzioni in parrocchia saranno di ispirazione
domenicane. Per cui guarda con attenzione. Non soltanto la vita spirituale, ma anche la vita
sociale».31 L’obbedienza al Papa non significa avere uno sguardo solo affettivo verso il Papa, ma
soprattutto effettivo: «Si fa guidare mentalmente, il Papa non lo sa, importante che lo veda il
Signore, importante è che il suo cuore palpiti e batta all’unisono con il Papa. Pio X chi è? Il grande
Papa dell’Eucaristia, quindi c’è sintonia in pieno fra le sue aspirazioni verso Cristo eucaristico e il
desiderio del Papa».32 Il programma di Pio X instaurare omnia in Christo diventa anche il
programma segreto del nostro Venerabile. A una figlia spirituale egli dice: Ama Gesù, ama il
Papa».33
Concludo queste mie parole con il consiglio del nostro Venerabile sul letto di morte in un
momento in cui emergono i valori essenziali della vita sacerdotale: “Mi raccomando, ascoltate il
Papa”.
31
Positio, Summarium, vol II p. 164. Il testo è Don Nicola Petronelli, teste de visu del Venerabile.
Ib. p. 167.
33
Ib. p. 168.
32
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