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La fabbrica dei veleni e l`epidemia sospetta
incalabria sabato 7 marzo 2015 cronache del garantista 6 CASO LEGNOCHIMICA La fabbrica dei veleni e l’epidemia sospetta L’ ex stabilimento rendese nasconde un sottosuolo inquinato da metalli pesanti. In una famiglia che abita nei dintorni ben quattro casi di cancro e riesplode l’allarme nelle zone limitrofe SAVERIO PALETTA RENDE (CS) Quattro tumori, di cui due mortali, in una famiglia sola. Più che un’epidemia, sembra una maledizione. Giuseppe Costabile, 50 anni, vive da sempre a via Settimo, tra la zona industriale di Rende e la via che porta a Montalto. Negli ultimi dieci anni ha visto morire entrambi i genitori. Il primo ad andarsene è stato suo padre Adolfo, deceduto nel 2001 per un tumore al polmone. Poi, nel 2009, è stato il turno di sua madre, Angelina Nudo, che ha perso la battaglia contro un tumore al seno. «E non è finita qui», racconta Giuseppe: «Mio fratello Adolfo, che ha 66 anni, ha un linfoma all’inguine che gli ha creato problemi all’aorta addominale, non è operabile e deve sottoporsi alla chemio per contenere il male». Fin qui potrebbe essere una predisposizione genetica, se non fosse per un fatto: «AnDOLORE che mia coLANCINANTE gnata, la moGiuseppe Costabile glie di Adolha visto morire fo, è stata entrambi i genitori per operata per tumore, ma anche un tumore cognata e fratello maligno e si stanno male deve sottoporre a continue terapie». Tuttavia la famiglia Costabile non fa quasi notizia in quest’angolo di Rende, alle spalle dei quartieri modello di Quattromiglia e via Rossini, perché a via Settimo il cancro è di casa. Sono circa 16 i casi di malattie mortali. E c’è di più: 4 di questi tumori sono al pancreas, una tipologia non troppo frequente e considerata rara fino a un ventennio fa. E si sono verificati tutti nello stesso lasso di tempo, tra il 2008 e il 2009. Come se ci fosse qualcosa nell’aria, nel suolo o nelle falde sotterranee. I sospetti degli abitanti si appuntano tutti su Legnochimica, l’ex fabbrica di pannelli di legno che chiuse i battenti nel 2006 e che, nei suoi anni d’oro, aveva dato lavoro a oltre 500 operai. Sull’ex stabilimento ha già indagato la Procura di Cosenza nel 2010, in seguito agli allarmi degli ambientalisti. Sulle prime, l’inchiesta fu presa molto sul serio perché l’attenzione dei cittadiINDAGINE ni, organizzatisi in APERTA due comitati (CroIn una relazione cevia e Romore), e dell’attuale rettore Crisci delle istituzioni la conferma che le falde era altissima. Non sotterranee sono a caso le indagini cariche di residui furono coordinate tossici direttamente dal procuratore capo Dario Granieri, che si servì di un consulente d’eccezione: il non ancora rettore Gino Crisci, che redasse una relazione non ancora superata dal punto di vista scientifico. La relazione, 46 pagine corredate da grafici e tabelle, conferma gli allarmi della popolazione: le falde sotterranee sono inquinate da metalli pesanti e isotopi del cloro; le vasche di decantazione, che in origine erano otto, sono piene di ferro e il suolo sarebbe carico di residui di lavorazione. Prima di questa relazione, c’è stato un lungo braccio di ferro tra il Comune, che nel 2007 rifiutò il piano di caratterizzazione proposto dall’azienda, e quest’ultima, che sulle prime minimizzò il problema. Nel 2009, in seguito a un lungo tira e molCASO PLACANICA la, che coinvolse anche il commissario regionale all’Ambiente, l’Arpacal ammise che, in effetti, c’erano tracce di inquinamento industriale. Ma nulla di paragonabile a quanto rintracciato dallo staff dell’Unical. La cui validità scientifica è stata confermata al Garantista dallo stesso Crisci, che ha confermato tutti gli allarmi. CATANZARO Prima testimoLa situazione, adesso, è a bocnianza nel processo a carico di ce ferme. L’inchiesta, partita in Mario Placanica, accusato di quarta, si è arenata per un motiviolenza sessuale nei confronti vo banalissimo: la morte di Paldella figlia della sua ex convimiro Pellicori, il liquidatore di vente. I giudici del tribunale colLegnochimica spa e l’area è stata legiale hanno potuto ascoltare la dissequestrata. Lo scorso autunversione di un vecchio amico no sono ripresi i negoziati tra il dell’imputato, indicato dalla Comune e la società, rappresenpubblica accusa. L’udienza è statata dall’attuale liquidatore, il ta poi rinviata al prossimo 13 commercialista Pasquale Bilotta. maggio, giorno in cui sarà chiaMa tutto si è risolto in pochi, inmato a testimoniare un secondo fruttuosi, incontri. E, nella soteste. Il processo all’ex carabiniestanziale inerzia delle istituziore prosciolto per la morte di Carni, riemergono le paure. E le paulo Giuliani durante il G8 di Gere si trasformano in suggestioni nova nasce dalla denuncia delche aspettano una risposta seria. l’allora compagna, che lo ha acForse si è ancora in tempo per cusato di avere abusato sessualevitare che la bomba ecologica fimente della figlia che, all’epoca nisca di far danni, ha ammonito dei fatti, avvenuti nel 2007, aveCrisci. E, su tutto, resta una dova appena 11 anni. La ragazzina, manda: possibile che basti un dasentita durante le indagini prelito formale per fermare un’inchieminari, nel corso di un incidensta che, ancorché rintracciare i te probatorio, ha confermato il presunti colpevoli, dovrebbe troracconto della madre. (GioBe) vare una verità? Accusato di violenza sessuale Ascoltato teste CALIPARI DIECI ANNI DOPO La vedova a Pollari: gestì il blitz in modo ambiguo. L’ex Sismi: «Frase non meritata» REGGIO C. Che il sequestro di Giuliana Sgrena e le operazioni che portarono alla sua liberazione fossero ancora avvolte da un velo di mistero è cosa nota. Che nei servizi segreti italiani di quel periodo ci fosse una situazione piuttosto complessa, è altrettanto evidente. Ma quello che sta venendo fuori oggi, a dieci anni di distanza dalla morte di Nicola Calipari, il funzionario del Sismi ucciso dai militari americani in Iraq mentre portava in salvo la giornalista del “Manifesto”, rischia di aprire squarci che si pensava dovessero rimanere per sempre sepolti. Ed invece è bastato che il pensiero del grande poliziotto reggino tornasse in auge per il decimo anniversario, affinché certi fantasmi del passato si potessero materializzare. Sono state in primis le parole della vedova Calipari, Rosa Villecco, a riaccendere i fari su quella storia. La parlamentare ha definito la gestione di Nicolò Pollari come «ambigua, che agiva, machiavellicamente su linee opposte e che costarono la vita a Calipari» e lo ha fatto all’interno di un libro di Gabriele Polo, dal titolo “Il mese più lungo”, con prefazione della stessa Villecco Calipari. Puntuale è arrivata la risposta di Pollari nel corso della trasmissione Mix24 di Giovanni Minoli, su radio24. L’ex capo dei servizi ha esordito spiegando di avere «sincero rispetto per il dolore della vedova Calipari» e ha tenuto a precisare alcune cose: «Questa frase la riferisce Polo nel suo libro e la attribuisce alla signora Calipari. Mi sembra poco verosimile che possa averglielo detto, per una serie di ragioni. Perché, fatta eccezione per il momento della disgrazia, in cui le sono stato particolarmente vicino, non solo io ma tutto il servizio, con la signora Calipari non avevo alcun rapporto, né avevo qualche tipo di frequentazione preventiva. Per la verità, mi ero occupato di lei quando da vice segretario generale del Cesis avevo curato la sua posizione, con riferimento al transito ai servizi perché lei veniva da un Ministero, però non è che avessi rapporti». Minoli ha quindi chiesto se quella frase sia da attribuire davvero alla Calipari o meno e la risposta di Pollari è stata chiara: «Penso sia molto improbabile e sarebbe una frase poco meritata». L’ex direttore del Sismi ritiene non veritiero il racconto della donna, anche in merito al sequestro della Sgrena. Secondo la Villecco Calipari infatti, vi sarebbero state due linee: quella trattativista di Calipari e quella più intransigente e favorevole al blitz, di Mancini. «Prima di tutto – ha spiegato Pollari – la conduzione del servizio apparteneva alla mia responsabilità. Gli altri facevano quello che io dicevo e io facevo quello che diceva l'autorità politica, per parlar chiaro. E quando si trattava di questioni importanti, questo voglio sottolinearlo, io mi sono sempre assicurato che l'autorità politica si confrontasse con tutti i segretari dei partiti d'opposizione e ne avesse il consenso. L'ho sempre non dico preteso, perché non avevo la possibilità di pretenderlo, ma l'ho sempre, diciamo, caldamente raccomandato, ottenendo sempre i ritorni in questo senso. Non c'era nessuna linea diversa nell'uno o nell'altro, né il dottor Calipari e il dottor Mancini erano i monopolisti dell'azione. C'erano altri titolari di pezzi di azione». Insomma, secondo Pollari tra Mancini e Calipari «al di là di una sana e professionale competizione, non c’era una rivalità di altro tipo. Fuori dal lavoro, fuori dal servizio ho sempre incontrato Mancini e Calipari, in genere a casa di Mancini. Li ho anche incontrati anche in un famoso locale siciliano di Roma e in un altro locale che chiamavamo convenzionalmente “G”, vicino il Parlamento, dove andavano a pranzo insieme. Si facevano delle battute anche l’uno con l’altro, mica dico di no, però io non ho rilevato nulla». Così parla Pollari, che la città di Calipari – Reggio Calabria – la conosce bene. Proprio sullo Stretto, infatti, insegnava alla “Mediterranea”, il cui dipartimento aveva sede proprio al piano terra dell’edificio che ospitava l’intelligence reggina. Consolato Minniti