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Il Parlamento Sezione I Le Camere
Titolo I Il Parlamento Sezione I Le Camere (Articoli 55-69) La Costituzione colloca al centro della vita politica del Paese il Parlamento, unico organo eletto direttamente dal popolo a livello nazionale. Scegliendo la forma di governo parlamentare, i Costituenti hanno affidato al raccordo Governo-Parlamento la gestione politica dello Stato, moderata dalla presenza del Presidente della Repubblica in veste di organo di equilibrio del sistema, imparziale e super partes rispetto alla determinazione dell’indirizzo politico (1). Secondo quanto previsto dalla Costituzione, il Parlamento determina l’indirizzo politico che lo Stato deve seguire ed esercita un controllo politico sull’operato del Governo attraverso l’istituto della fiducia. Infatti, il Governo, per poter restare in carica, deve ottenere l’appoggio della maggioranza dei parlamentari sulle scelte politiche e sul programma. Il Titolo I della Parte Seconda della Costituzione è interamente dedicato al Parlamento ed è suddiviso in due sezioni: — nella prima, Le Camere (artt. 55-69), si tracciano le linee fondamentali della disciplina cui è soggetto il Parlamento; (1) Nelle forme di governo presidenziale (es.: Stati Uniti) il Capo dello Stato rappresenta — al contrario — il principale organo politico, che racchiude anche la funzione esecutiva, giacché nomina e revoca i Ministri che rispondono solo a lui. Art. 55 • Parte Seconda - Ordinamento della Repubblica 90 — nella seconda, La formazione delle leggi (artt. 70-82), si descrive, essenzialmente, la più importante attività svolta da questo organo, ossia la funzione legislativa, esercitata dalle due assemblee collettivamente dando in tal modo luogo a una forma di bicameralismo perfetto, forma che verrà superata dalla revisione della Costituzione in atto. In proposito si segnala che dall’articolo 55 in poi riportiamo le prospettive di riforma previste dal disegno di legge costituzionale S. 1429 (presentato al Senato l’8 aprile 2014 e adottato come testo base dalla Commissione Affari costituzionali del Senato il 6 maggio 2014) in riquadri autonomi per dare al lettore la possibilità (in relazione ai singoli argomenti) di confrontare il testo costituzionale ancora vigente con i contenuti della riforma che trasformeranno il nostro sistema bicamerale da perfetto a imperfetto. Le Camere, inoltre, svolgono una importante funzione ispettiva sull’attività del Governo con alcuni istituti tipici quali: interrogazioni, interpellanze, question time, mozioni, istituzione di commissioni ispettive (anche bicamerali) etc. La struttura del Parlamento Art. 55 Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Il Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere nei soli casi stabiliti dalla Costituzione. ◆ Il sistema bicamerale L’articolo 55 delinea la struttura bicamerale del Parlamento che, pur essendo formato da due Camere, è un istituto unitario composto di due Camere, la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica: si tratta di un bicameralismo perfetto, perché entrambe le Camere hanno gli stessi poteri e le stesse competenze (vedi riquadro a fine articolo). Il bicameralismo, che costituisce una diretta conseguenza del principio della separazione dei poteri teorizzato da Montesquieu, si è affermato nel passaggio dallo Stato assoluto a quello liberale, con l’obiettivo di contemperare la componente aristocratica, costituita da una Camera di nomina regia e, quindi, non elettiva (Senato), con quella borghese, costituita da una Camera elettiva (Camera dei Deputati). 91 Titolo I - Il Parlamento • Sezione I - Camere • Art. 55 All’interno dell’Assemblea costituente il dibattito fu molto acceso tra i sostenitori di tale sistema e coloro che auspicavano un Parlamento monocamerale. In particolare, essendo venute meno le classi al potere, la seconda Camera, se non svolge attività politiche differenziate, costituisce un inutile doppione. Dalla contrapposizione su tale scelta scaturì una soluzione di compromesso: si optò per un bicameralismo perfetto, fondato su due Camere poste entrambe sullo stesso piano e con gli stessi poteri. ◆ Differenze tra le due assemblee: prospettiva di riforma Le principali differenze che attualmente differenziano Camera e Senato riguardano: —l’elettorato passivo (40 anni per il Senato, 25 per la Camera) e l’elettorato attivo (25 per il Senato, 18 per la Camera); —il sistema elettorale; —la consistenza numerica di ciascuna assemblea; —la presenza in Senato di componenti non elettivi (cd. senatori a vita); —la durata, che inizialmente era di 6 anni per il Senato e 5 per la Camera, ora unificata dall’art. 3 della L. cost. 2/1963. ◆ Il Parlamento in seduta comune I due rami del Parlamento operano con due regolamenti distinti e senza alcuna influenza reciproca. Per le attività di particolare rilievo istituzionale, indicate dalla Costituzione, le Camere attualmente sono chiamate a esercitare i loro compiti congiuntamente in seduta comune, specificamente per: —l’elezione del Presidente della Repubblica; —il suo giuramento; —la messa in stato d’accusa del Capo dello Stato per alto tradimento e attentato alla Costituzione; —l’elezione di un terzo dei giudici della Corte costituzionale; —l’elezione di un terzo dei membri del Consiglio superiore della Magistratura. Prospettive di riforma L’art. 55 Cost., nella sua nuova formulazione, trasformerebbe il bicameralismo perfetto dell’attuale sistema parlamentare italiano in un bicameralismo imperfetto. In particolare, il Parlamento si comporrebbe di: — una Camera dei deputati, i cui membri rappresenterebbero la Nazione; Art. 56 • Parte Seconda - Ordinamento della Repubblica 92 — un Senato delle autonomie, i cui membri rappresenterebbero le istituzioni territoriali e non i cittadini. Differenti sarebbero a questo punto le funzioni esercitate da ciascuno dei due rami del Parlamento. La Camera sarebbe titolare del rapporto di fiducia con il Governo ed eserciterebbe da sola la funzione di indirizzo politico, la funzione legislativa ordinaria e quella di controllo dell’operato del Governo. Il Senato, invece, al di là della partecipazione alla funzione legislativa condivisa con la Camera solo in materia costituzionale e secondo le modalità stabilite dalla Costituzione: — si occuperebbe del raccordo fra Stato, Regioni, Città metropolitane e Comuni; — parteciperebbe alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi dell’Unione europea; — verificherebbe l’attuazione delle leggi dello Stato e valuterebbe l’impatto delle politiche pubbliche sul territorio. Da quanto detto emerge come alla Camera spetterebbero le decisioni fondamentali con esclusione del Senato, su tutte la funzione legislativa, al fine di garantire un notevole snellimento dell’iter legislativo che attualmente si dipana con continue «navette» tra le due Assemblee, costringendo il Governo (ormai monopolista del potere di iniziativa legislativa) ad adottare atti aventi forza di legge (decreti-legge e decreti legislativi) per la cui approvazione è richiesta in modo pressoché costante la questione di fiducia, e determinando, così, la trasformazione della legge «ordinaria» in uno strumento «eccezionale». Viene così a cadere il «bicameralismo perfetto» che ha caratterizzato sia la prima che la seconda Repubblica (1948-2014). Le elezioni della Camera dei deputati Art. 56 La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto. Il numero dei deputati è di seicentotrenta, dodici dei quali eletti nella circoscrizione Estero. Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età. La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall’ultimo censimento 93 Titolo I - Il Parlamento • Sezione I - Camere • Art. 56 generale della popolazione, per seicentodiciotto e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti. ◆ Caratteristiche del voto La Costituzione non disciplina direttamente il sistema elettorale per eleggere i componenti del Parlamento, questione che volutamente è stata demandata alla legge ordinaria. Le ragioni di tale scelta risiedono nel fatto che la procedura elettorale deve poter essere agevolmente adeguata ai diversi contesti storici e politici per cui fissarla in norme costituzionali ne avrebbe determinato un inevitabile e inopportuno irrigidimento in quanto le modifiche alla nostra Costituzione richiedono un procedimento «aggravato». La Camera dei deputati, in particolare, è eletta a suffragio universale diretto, per cui hanno diritto di voto tutti i cittadini senza alcuna distinzione (universalità) e senza alcun tipo di mediazione (direttamente). Tale principio è stato introdotto in Italia solo nel 1945 per le elezioni politiche e le votazioni dell’Assemblea Costituente (tenutesi poi nel 1946): fino ad allora il diritto di voto era limitato ai soli cittadini di sesso maschile. L’età per poter essere eletti deputati (elettorato passivo) è fissata a 25 anni. Per quanto riguarda la «capacità di votare» (elettorato attivo), sono elettori tutti coloro che hanno raggiunto la maggiore età, dal 1975 fissata a 18 anni. Il numero dei deputati attualmente è di seicentotrenta, vale a dire esattamente il doppio del numero dei senatori. L’articolo 56, modificato da una legge costituzionale del 2001, prescrive che gli italiani residenti all’estero eleggano dodici deputati. Allo stesso modo è stato modificato l’articolo 57, il quale prevede che gli italiani all’estero eleggano sei senatori. I cittadini italiani residenti all’estero hanno diritto di voto per il rinnovo delle Camere nonché per i referendum popolari abrogativi e confermativi. Si vota per corrispondenza con le schede che ogni elettore riceve per posta al proprio indirizzo e che deve poi spedire al consolato più vicino. ◆ Il sistema elettorale italiano Il sistema elettorale costituisce quel complesso di regole e di procedure che determinano le modalità con cui gli elettori esprimono il loro voto e il metodo con cui i voti vengono tradotti in seggi. Art. 56 • Parte Seconda - Ordinamento della Repubblica 94 Il sistema elettorale italiano è stato fino all’ultima legislatura disciplinato dalla L. 21-12-2005, n. 270 (anche definita Porcellum dal politologo Giovanni Sartori dopo che il suo principale relatore Roberto Calderoli l’aveva giudicata «una porcata»). I punti caratterizzanti tale legge sono: — la suddivisione del territorio nazionale in 27 circoscrizioni per l’elezione della Camera e 20 per il Senato. L’attribuzione dei seggi si realizza su base proporzionale in ragione delle percentuali di consensi ottenute da partiti e coalizioni su scala nazionale alla Camera e su scala regionale al Senato; — il premio di maggioranza, che assicura alla coalizione vincente 340 seggi alla Camera, qualora non li abbia già ottenuti. Al Senato opera, invece, un premio di coalizione regionale, in virtù del quale la coalizione che ottiene più voti in una Regione potrà disporre di almeno il 55% dei seggi attribuiti a quella Regione; — le soglie di sbarramento. Alla Camera partecipano alla ripartizione dei seggi le coalizioni con almeno il 10% dei consensi, i partiti non collegati con almeno il 4% ed i partiti che, nell’ambito di una coalizione, ottengono almeno il 2%. È, inoltre, previsto che partecipi al riparto dei seggi anche la lista che, nell’ambito di una coalizione, ha ottenuto il miglior risultato pur non superando il 2%. Al Senato le soglie di sbarramento sono il 20% per le coalizioni, l’8% per i partiti non coalizzati e il 3% per i partiti facenti parte di una coalizione (o dell’8% se la coalizione non ha raggiunto il 20% dei consensi); — le liste bloccate. Sulla scheda elettorale è consentito apporre un solo segno, sul simbolo della lista prescelta: in tal modo entrano in Parlamento i candidati in ordine di lista; — il deposito da parte dei partiti che si candidano a governare, contestualmente al deposito del contrassegno, del programma elettorale nel quale dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come capo della forza politica; — la sottoscrizione delle liste presentate. Nessuna sottoscrizione è richiesta per i partiti costituiti in gruppo parlamentare in entrambe le Camere all’inizio della legislatura in corso al momento della convocazione dei comizi, né per i partiti o gruppi politici collegati con almeno due altri partiti o gruppi politici e che abbiano conseguito almeno un seggio in occasione delle ultime elezioni per il Parlamento europeo; — la tutela delle minoranze linguistiche, le cui liste nelle Regioni a statuto speciale possono accedere al riparto dei seggi qualora superino la soglia del 20% dei voti validi. Ai partiti ed ai gruppi politici rappresentativi delle minoranze linguistiche, inoltre, nel caso abbiano ottenuto almeno un seggio alla Camera o al Senato alle precedenti elezioni, non è richiesta alcuna sottoscrizione all’atto della presentazione delle liste. La Corte costituzionale, con sentenza 1/2014, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme della legge n. 270/2005 che prevedono l’assegnazione di un premio di maggioranza (sia per la Camera dei Deputati che per il Senato della Repubblica) alla lista o alla coalizione di liste che abbiano ottenuto il maggior numero di voti e che non abbiano conseguito, almeno, alla Camera, 340 seggi e, al Senato, il 55% dei seggi assegnati a ciascuna Regione. La Consulta ha altresì dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme che stabiliscono la presentazione di liste elettorali «bloccate», nella parte in cui non consentono all’elettore di esprimere una preferenza. 95 Titolo I - Il Parlamento • Sezione I - Camere • Art. 57 La riforma elettorale: il cd. Italicum All’indomani della sentenza della Consulta che ha dichiarato incostituzionale la L. 270/2005, il Parlamento ha proceduto all’esame del disegno di legge, scaturente dall’accordo dei leaders dei due maggiori partiti italiani PD e Froza Italia, riguardante l’approvazione di una nuova legge elettorale. La nuova legge elettorale (cd. Italicum), ancora all’esame del Parlamento, non prevede espressamente alcuna norma per l’elezione del Senato, in considerazione della sua annunciata abolizione. In particolare, i punti qualificanti l’Italicum, che costituisce un sistema elettorale proporzionale, sono: — un premio di maggioranza per chi supera il 37%: al fine di garantire una governabilità che assicura la maggioranza assoluta al partito o alla coalizione vincente, bisogna superare la soglia del 37% dei voti; — il doppio turno se nessuno supera la soglia del 37%: in particolare, i primi due partiti o coalizioni si sfidano in un doppio turno per l’assegnazione del premio. Il vincitore ottiene 327 seggi, i restanti 290 vanno agli altri partiti (non sono calcolati i deputati eletti all’estero); — una soglia di sbarramento: 4,5% per i partiti che si presentano in coalizione, l’8% al di fuori, 12% per le coalizioni; — l’impossibilità di esprimere preferenze: resta il cd. sistema delle liste bloccate, non potendo gli elettori esprimere preferenze (scelta molto criticata che probabilmente sarà suscettibile di modifiche da parte delle assemblee legislative in quanto potrebbe essere dichiarata incostituzionale); — la presentazione di liste paritarie: le liste dei candidati dovranno garantire la presenza di uomini e donne al 50% ma senza alternanza obbligatoria. Le liste bloccate, infine, non potranno avere fino a due nominativi maschili di seguito. Le elezioni del Senato Art. 57 Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero. Il numero dei senatori elettivi è di trecentoquindici, sei dei quali eletti nella circoscrizione Estero. Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sette; il Molise ne ha due, la Valle d’Aosta uno. La ripartizione dei seggi tra le Regioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, previa applicazione delle dispo- Art. 58 • Parte Seconda - Ordinamento della Repubblica 96 sizioni del precedente comma, si effettua in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti. Art. 58 I Senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età. Sono eleggibili a senatori gli elettori che hanno compiuto il quarantesimo anno. Nelle intenzioni dei Costituenti uno degli elementi che avrebbe dovuto differenziare le due Camere era la caratterizzazione del Senato come più diretta espressione delle istanze regionalistiche. Nei fatti il Senato non ha mai assunto questo ruolo, dal momento che, al di là delle disposizioni dell’articolo 57, in nessun’altra parte della Costituzione sono previste norme in tal senso. ◆ Le caratteristiche del Senato Il Senato attualmente si compone di 315 membri scelti direttamente dal popolo (elettivi), sei dei quali eletti dagli italiani residenti all’estero. Accanto ad essi, diversamente a quanto stabilito per la Camera dei deputati, la Costituzione prevede due altre categorie di membri non elettivi, (v. articolo 59). In merito alla capacità di voto e per essere eletti la Costituzione ha previsto due diverse soglie di età per poter eleggere i membri dei due rami del Parlamento: 18 anni per la Camera, 25 anni per il Senato. Così pure, per essere eletti deputati occorre aver compiuto 25 anni, mentre si può essere eletti senatori solo al superamento dei 40 anni. Il motivo per cui i Costituenti hanno stabilito età diverse per l’elettorato attivo e passivo dei due rami del Parlamento risiede nell’intento di attribuire al Senato un ruolo di «Camera di ripensamento», garantendo, grazie all’età media più elevata dei suoi componenti, una più matura riflessione e discussione dei progetti di legge. Prospettive di riforma L’art. 57 della Costituzione segna il superamento del bicameralismo perfetto (o paritario), obiettivo ritenuto indispensabile da tutte le parti politiche e da lungo tempo oggetto di intenso dibattito fra i partiti. L’intenzione del Costituente è trasformare il Senato in una «Camera onoraria» di rappresentanza di Regioni a autonomie locali sulla cui formazione e composizione si è aperto un acceso dibattito politico nella Commissione Affari costituzionali del Senato che in data 6-5-2014 ha licenziato un testo base sul quale lavorare nei mesi che seguiranno. 97 Titolo I - Il Parlamento • Sezione I - Camere • Art. 59 Essa dovrebbe prendere il nome di Senato delle autonomie ed essere (per il dis. leg. cost. S.1429) composta dai Presidenti delle Giunte regionali e delle Province autonome di Trento e Bolzano, nonché, per ciascuna Regione da due membri eletti dai Consigli regionali tra i propri componenti e da due Sindaci eletti da un’assemblea dei Sindaci della stessa Regione (opzione contestata). Altri membri dovrebbero essere nominati discrezionalmente dal Presidente della Repubblica tra cittadini in possesso di altissimi meriti nel campo sociale, artistico e letterario. La differenza fra i componenti il Senato delle autonomie riguarda la durata del loro mandato, in quanto: — i Presidenti delle Giunte regionali, delle Province autonome di Trento e Bolzano e dei due membri eletti dai Consigli regionali tra i propri componenti restano in carica per la durata del loro mandato; — i tre Sindaci eletti da un’assemblea dei Sindaci della Regione restano in carica 5 anni; — i membri nominati dal Capo dello Stato per altissimi meriti 7 anni. Inoltre, stante la trasformazione del Senato in un Senato delle autonomie, composto cioè dai rappresentanti delle istituzioni territoriali, viene disposta l’abrogazione del vigente art. 58 che tratta unicamente dell’elettorato attivo e passivo del Senato. I senatori a vita Art. 59 È senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica. Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. L’art. 59 disciplina le cariche non elettive presenti nel Senato. Attualmente gli ex Presidenti della Repubblica, cessato il loro mandato, hanno diritto di ricoprire per tutta la vita, a meno che non vi rinuncino, un seggio in Senato. Non godono di nessun privilegio particolare, e la loro posizione è equiparata a quella degli altri senatori. Alla seconda categoria di senatori non elettivi è quella dei senatori a vita nominati dal Capo dello Stato: non possono essere più di cinque e devono essere scelti tra persone che si sono distinte in tutti i campi (sociale, scientifico, artistico e letterario) dando lustro al nostro Paese per gli eccezionali risultati raggiunti nella loro professione. Art. 60 • Parte Seconda - Ordinamento della Repubblica 98 Attualmente sono senatori a vita Carlo Azelio Ciampi (ex Presidente), Mario Monti (economista), Carlo Rubbia (fisico nucleare), Renzo Piano (architetto), Elena Cattaneo (neurobiologa), mentre è recentemente venuto a mancare Claudio Abbado (direttore d’orchestra). Prospettive di riforma Nel progetto di revisione costituzionale, relativamente all’art. 59, viene lasciato immutato il comma 1 relativamente al diritto riconosciuto ai Presidenti della Repubblica, alla scadenza del loro mandato, di ricoprire la carica di senatore a vita, mentre viene abrogato la nomina da parte del Presidente della Repubblica dei senatori a vita. Le figure dei senatori «nominati» da parte del Capo dello Stato in realtà non scompare del tutto, disponendo il nuovo art. 57 (v.) la nomina di un certo numero di cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario, per la durata di 7 anni. La durata della legislatura: proroga dei poteri in caso di guerra Art. 60 La Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sono eletti per cinque anni. La durata di ciascuna Camera non può essere prorogata se non per legge e soltanto in caso di guerra. Il periodo di tempo che intercorre tra un’elezione e l’altra è detto legislatura e ha la durata di cinque anni, fatta eccezione per i casi di scioglimento anticipato o di proroga in caso di guerra. Tale forma di proroga (detta prorogatio) è un atto che il Parlamento deve disporre con legge e con il quale si stabilisce un prolungamento del mandato delle due Camere oltre il termine stabilito dalla Costituzione (vale a dire cinque anni). Tale atto può essere adottato solo in una circostanza del tutto eccezionale come la guerra, che, imponendo il richiamo alle armi, la generale mobilitazione dei cittadini e, soprattutto, l’assunzione di decisioni in tempi rapidi, non consentirebbe il regolare svolgimento di una campagna elettorale. I Costituenti hanno tassativamente escluso altre ipotesi di proroga per impedire potenziali abusi di tale potere da parte della maggioranza parlamentare che, una volta eletta, potrebbe essere tentata a prolungare il proprio mandato, mediante l’adozione di successivi decreti di proroga, rinviando, così, le elezioni e instaurando di fatto una «dittatura della maggioranza». 99 Titolo I - Il Parlamento • Sezione I - Camere • Art. 61 Prospettive di riforma La revisione della Parte Seconda della Costituzione, incentrata sul superamento del bicameralismo perfetto attraverso la creazione di un Senato delle autonomie, la cui composizione è variamente determinata anche per quanto concerne la durata del mandato dei suoi membri, prevede la modifica dell’art. 60. In particolare, verrebbe indicata unicamente la durata del mandato dei membri della Camera dei deputati che rimarrebbe in 5 anni. La proroga dei poteri delle Camere Art. 61 Le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti. La prima riunione ha luogo non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni. Finché non siano riunite le nuove Camere sono prorogati i poteri delle precedenti. Per evitare pericolosi vuoti di potere tra una legislatura e l’altra, e in base al principio di continuità degli organi costituzionali, questo articolo prevede una proroga temporanea, fino alle nuove elezioni, dei poteri di ciascuna Camera. Il mandato delle due Camere cessa al termine della legislatura, che dura cinque anni, come stabilito dall’articolo 60, oppure per scioglimento anticipato disposto dal Presidente della Repubblica nell’ipotesi regolata dall’articolo 88. In ogni caso, con il decreto di scioglimento viene fissata anche la data delle future elezioni, che coincide con l’ultima domenica entro il 70° giorno dalla data dello scioglimento. Nello stesso decreto è anche fissata la data della prima riunione delle nuove Camere, che deve necessariamente tenersi entro venti giorni dalle elezioni. Che cosa succede, quindi, dal momento dello scioglimento fino alla prima riunione delle nuove Camere? La «proroga di durata» (cd. prorogatio), di cui al precedente articolo 60 costituisce un atto eccezionale previsto in caso di guerra (art. 78) e diretto a prolungare la durata del mandato delle Camere in quanto si presume che gran parte degli elettori non possono recarsi alle urne. Nell’articolo 61, invece, la proroga consente alle Camere, una volta cessato il mandato, di continuare ad esercitare, temporaneamente, i loro poteri fino alla prima riunione del nuovo Parlamento e alla proclamazione dei nuovi Art. 62 • Parte Seconda - Ordinamento della Repubblica 100 eletti, in ossequio al «principio di continuità» cui devono uniformarsi gli organi costituzionali. Sulla portata dei poteri prorogati in dottrina si distingue fra chi ritiene che le Camere conserverebbero una pienezza di poteri, e chi ritiene che potrebbero compiere solo atti di ordinaria amministrazione (cioè tutti gli atti indifferibili); deve segnalarsi anche chi assume una posizione intermedia ritenendo che le Camere potrebbero deliberare solo in situazioni di emergenza, così come previsto dall’art. 77, comma 2, che riconosce il potere delle Camere, anche se sciolte, di convertire i decreti-legge. In ogni caso, le Camere prorogate, ex art. 85, comma 3, non possono procedere all’elezione del Presidente della Repubblica. Prospettive di riforma La riforma del sistema parlamentare italiano, prevedendo una distinzione netta fra le due Assemblee quanto a struttura e funzioni, con il Senato non più elettivo, dedica l’art. 61 della Costituzione, che disciplina l’istituto della prorogatio, esclusivamente alla Camera dei deputati. La convocazione delle Camere Art. 62 Le Camere si riuniscono di diritto il primo giorno non festivo di febbraio e di ottobre. Ciascuna Camera può essere convocata in via straordinaria per iniziativa del suo Presidente o del Presidente della Repubblica o di un terzo dei suoi componenti. Quando si riunisce in via straordinaria una Camera, è convocata di diritto anche l’altra. Le Camere, in quanto organi collegiali, per poter svolgere la propria attività necessitano di una serie di regole costituzionalmente garantite che ne disciplinino la convocazione. Rispetto allo Statuto Albertino, che prevedeva la convocazione annuale delle Camere su richiesta del Re, la nostra Costituzione prevede varie forme di convocazione oltre che l’ampliamento del numero di titolari del potere di convocazione straordinaria (il Presidente di ciascuna Camera, il Presidente della Repubblica, un terzo dei componenti di ciascuna Camera). Nella prassi vigente la regola è quella dell’aggiornamento della seduta che, così, non interrompe mai il periodo di convocazione. 101 Titolo I - Il Parlamento • Sezione I - Camere • Art. 63 Le convocazioni di diritto non richiedono alcuna comunicazione e sono soltanto tre: quella iniziale, che impone di riunire le Camere entro 20 giorni dall’insediamento del nuovo Parlamento, disposta dal Presidente della Repubblica nel decreto di scioglimento delle precedenti Camere, e le due convocazioni annuali, fissate per il primo giorno non festivo dei mesi di febbraio e di ottobre. Attualmente, come detto, l’attività del Parlamento si svolge senza interruzioni, attraverso sedute quotidiane, al termine delle quali è aggiornata la seduta a quella successiva. Le uniche interruzioni dell’attività parlamentare coincidono con i normali periodi di ferie. La convocazione straordinaria delle Camere può essere attuata solo in circostanze eccezionali, come, ad esempio, nei casi di paralisi dell’attività parlamentare. Prospettive di riforma Fermo restando la convocazione legale e straordinaria delle Assemblee e quella di iniziativa di ciascun Presidente o del Presidente della Repubblica o di un terzo dei componenti, la riforma prevede, proprio per la diversità funzionale delle due Camere, che non vale più la regola che la riunione straordinaria di una Camera importi automaticamente anche quella dell’altra Camera. L’organizzazione interna delle Camere Art. 63 Ciascuna Camera elegge fra i suoi componenti il Presiden- te e l’Ufficio di presidenza. Quando il Parlamento si riunisce in seduta comune, il Presidente e l’Ufficio di presidenza sono quelli della Camera dei deputati. Uno dei primi compiti spettanti alle Camere neo-elette è di eleggere gli organi interni che ne assicurano l’organizzazione e il funzionamento, in particolare il Presidente e l’Ufficio di presidenza. Attualmente i Presidenti delle Assemblee costituiscono, dopo il Presidente della Repubblica e con il Presidente del Consiglio, le «Alte cariche dello Stato», elette dall’organo rappresentativo del popolo: dovrebbero rivestire, nell’ambito delle assemblee, il ruolo di organi super partes e di garanzia in quanto sono tenuti a tutelare le minoranze nonché a rappresentare i tutori del corretto funzionamento delle Assemblee. In tale veste danno la parola ai singoli parlamentari, dirigono e moderano le discussioni, mantengono l’ordine, fissano i calendari, gli ordini del giorno e l’ordine delle votazioni. Art. 64 • Parte Seconda - Ordinamento della Repubblica 102 Tale disposizione contiene l’unica disposizione relativa al funzionamento del Parlamento riunito in seduta comune: la direzione dei lavori è affidata al Presidente della Camera e al suo Ufficio di presidenza. Questo perché i Costituenti volevano evitare una concentrazione di cariche istituzionali in capo a una stessa persona. Infatti, al Presidente del Senato spetta già la supplenza del Presidente della Repubblica, quando quest’ultimo è impossibilitato a svolgere le sue funzioni. Il funzionamento delle Camere Art. 64 Ciascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggio- ranza assoluta dei suoi componenti. Le sedute sono pubbliche; tuttavia ciascuna delle due Camere e il Parlamento a Camere riunite possono deliberare di adunarsi in seduta segreta. Le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti, e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale. I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto, e se richiesti obbligo, di assistere alle sedute. Devono essere sentiti ogni volta che lo richiedono. I regolamenti parlamentari sono un complesso di norme che rappresentano l’espressione concreta dell’autonomia normativa e organizzativa di ciascuna Camera. Essi stabiliscono lo svolgimento dei lavori dell’Assemblea, le procedure di decisione, l’esercizio delle varie funzioni e i rapporti con il Governo. Sotto la vigenza dello Statuto Albertino, i regolamenti parlamentari non erano considerati fonti del diritto, atti in grado, cioè, di innovare l’ordinamento giuridico, bensì regole prodotte e applicate solo all’interno delle Camere, da considerarsi quindi come «interna corporis», ossia meri atti interni dell’organo. La Costituzione, invece, garantendo al Parlamento una vera e propria autonomia normativa nei confronti di qualunque altro potere statale e di ogni altra fonte subordinata alla Costituzione, ha previsto una vera e propria riserva a favore dei regolamenti, attribuendo diverse materie (quelle indicate dall’articolo 72 e, più in generale, tutto ciò che attiene all’organizzazione delle Assemblee) alla loro competenza esclusiva: se una legge violasse tale competenza, dovrebbe essere dichiarata incostituzionale. Discussa è la sindacabilità dei regolamenti parlamentari da parte della Corte costituzionale [v. art. 134]. 103 Titolo I - Il Parlamento • Sezione I - Camere • Art. 64 La tesi affermativa è sostenuta dalla dottrina prevalente, secondo la quale, in caso contrario, tali atti potrebbero dettare qualunque previsione, anche in contrasto con la Costituzione, senza subire alcuna forma di controllo e di sanzione. La Consulta, invece, con grande responsabilità e senso del diritto ha escluso un controllo diretto della costituzionalità dei regolamenti, quando gli stessi sono suscettibili di intaccare l’indipendenza dell’organo sovrano per eccellenza, il Parlamento (sent. 154/1985). Infine, con sent. 9/1959, la Corte ha dichiarato la propria incompetenza a sindacare la violazione dei regolamenti della Camera nel corso del procedimento legislativo dal momento che il controllo della Consulta riguarda le norme costituzionali e le disposizioni regolamentari non sono formalmente da ritenersi di rango costituzionale. ◆ Le diverse maggioranze per decidere La Costituzione, nell’articolo 64, stabilisce le maggioranze necessarie perché le Camere possano deliberare validamente. La maggioranza assoluta dei componenti consiste nella metà + 1 dei membri che compongono ciascuna Camera. Ad esempio, per la Camera dei deputati, formata da 630 membri, la maggioranza assoluta dei componenti è pari a 315 + 1. È questa la maggioranza richiesta per l’adozione di alcuni atti particolarmente importanti. Il regolamento della Camera, ad esempio, deve essere approvato con almeno 316 voti a favore. La maggioranza dei presenti è il numero corrispondente alla metà + 1 dei membri di ciascuna Camera che risultino presenti in aula, ed è generalmente definita maggioranza relativa. Ad esempio, se dei 630 membri della Camera dei deputati fossero presenti in aula solo 350 deputati, la maggioranza relativa sarebbe pari a 175 + 1. La «maggioranza dei presenti» è richiesta per la validità della maggior parte delle deliberazioni parlamentari. Comunque, per evitare che esigui gruppi prendano decisioni di parte, approfittando di temporanee assenze, la Costituzione prescrive che in aula vi sia sempre un numero minimo di presenti, che corrisponde alla maggioranza (metà + 1) dei componenti la Camera: è questo il cosiddetto numero legale. Infine, in entrambe le Camere vige il principio della presunzione del numero legale (si considera sempre presente in aula la metà + 1 dei parlamentari), che viene a cadere soltanto quando almeno venti deputati o dodici senatori o lo stesso Presidente richiedano la verifica del numero legale. Se l’accertamento dà esito negativo, la seduta viene sospesa o rinviata. Esistono poi dei casi in cui le Camere assumono decisioni con una maggioranza particolare, detta qualificata, che di solito corrisponde ai due terzi o ai tre quinti dei componenti. Quest’ultima è richiesta per decisioni di grande rilievo. Per l’elezione del Presidente della Repubblica, ad esempio, nelle prime tre votazioni è richiesta la maggioranza qualificata, ma se il Parlamento (in questo caso riunito in seduta comune) non riesce ad eleggere il Capo dello Stato al terzo scrutinio, la Costituzione prescrive di procedere a maggioranza assoluta (metà + 1 dei componenti). Maggioranza relativa metà + 1 dei presenti Maggioranza assoluta metà + 1 dei componenti Maggioranza qualificata due terzi o tre quinti dei componenti Artt. 65-66 • Parte Seconda - Ordinamento della Repubblica 104 Ineleggibilità, incompatibilità e incandidabilità dei parlamentari Art. 65 La legge determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore. Nessuno può appartenere contemporaneamente alle due Camere. Art. 66 Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità. ◆ L’ineleggibilità È un impedimento, di natura giuridica, che esiste già prima dell’elezione e non consente a un soggetto di essere eletto a una determinata carica pubblica. In genere sono ineleggibili persone che, svolgendo certe attività, potrebbero porsi in una posizione di vantaggio rispetto ad altri candidati o comunque potrebbero influenzare la scelta dell’elettore. Tra le categorie di soggetti ineleggibili rientrano: i presidenti delle Giunte provinciali, i sindaci dei Comuni con popolazione superiore ai ventimila abitanti, il capo e il vicecapo della polizia, i prefetti, i magistrati nella circoscrizione in cui esercitano la giurisdizione, gli ufficiali superiori delle Forze armate nella circoscrizione del loro comando territoriale, tutti coloro che hanno impiego da Governi esteri, i giudici della Corte costituzionale. Il concetto di ineleggibilità non va confuso con quello di incapacità elettorale, vale a dire tutte quelle cause che impediscono a una persona sia di esercitare il diritto di voto (elettorato attivo) sia di essere eletta (elettorato passivo). Le cause di ineleggibilità, infatti, incidono solo sull’elettorato passivo, ben potendo il soggetto partecipare alle elezioni in qualità di elettore. Ad esempio, chi non ha compiuto diciotto anni non può votare né tantomeno candidarsi (incapacità elettorale); chi, invece, ricopre la carica di Sindaco in un Comune con più di ventimila abitanti non può candidarsi alla carica di parlamentare (è ineleggibile), ma conserva il diritto di votare. ◆ L’incompatibilità È una situazione che si verifica quando una stessa persona ricopre contemporaneamente due o più cariche pubbliche tra loro in conflitto. In questo caso, il soggetto deve scegliere l’una o l’altra carica: così, ad esempio, non è possibile ricoprire contemporaneamente la carica di senatore o deputato e quella di Presidente della Repubblica. La differenza tra ineleggibilità e incompatibilità consiste nel fatto che nel primo caso l’elezione è nulla, mentre nel secondo è valida, ma impone una opzione tra la nuova carica e la precedente. 105 Titolo I - Il Parlamento • Sezione I - Camere ◆ • Art. 66 L’incandidabilità Differenti dall’ineleggibilità e incompatibilità sono le ipotesi di incandidabilità approvate dal D.Lgs. 31 dicembre 2012, n. 235 che ha dettato un riordino della disciplina per quanto concerne le fattispecie inerenti le Regioni e gli enti locali e ha previsto (finalmente) i casi riguardanti i parlamentari e coloro che ricoprono incarichi di governo. In particolare, non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore coloro che hanno riportato condanne definitive a: — pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti dall’art. 51, commi 3bis e 3quater, c.p.p.; — pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, commessi dai pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione; — pene superiori a due anni di reclusione, per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, ex art. 278 c.p.p. Allo stesso modo, coloro che si trovano in tali condizioni non possono ricoprire incarichi di governo. L’accertamento dell’incandidabilità comporta la cancellazione automatica dalla lista dei candidati. L’incandidabilità derivante da sentenza definitiva di condanna per tali delitti decorre dalla data del passaggio in giudicato della sentenza stessa ed ha effetto per un periodo corrispondente al doppio della durata della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici comminata dal giudice. In ogni caso non è inferiore a sei anni. Qualora la condizione di incandidabilità sopravvenga o sia accertata successivamente e prima della proclamazione degli eletti si procede alla dichiarazione di mancata proclamazione nei confronti del soggetto incandidabile. Qualora una causa di incandidabilità sopravvenga o comunque sia accertata nel corso del mandato elettivo, la Camera di appartenenza delibera ai sensi dell’articolo 66 della Costituzione. Nel caso in cui il delitto che determina l’incandidabilità o il divieto di assumere incarichi di governo è stato commesso con abuso dei poteri o in violazione dei doveri connessi al mandato elettivo, di parlamentare nazionale o europeo, o all’incarico di Governo, la durata dell’incandidabilità o del divieto è aumentata di un terzo. ◆ Le giunte per le elezioni e per le immunità L’organo cui spetta la verifica dei poteri, per evitare qualsiasi interferenza su un organo sovrano, è affidata allo stesso Parlamento (alla Camera, la Giunta per le elezioni, al Senato, la Giunta per le elezioni e le immunità). Pertanto, al fine di tutelare un’improbabile autonomia delle Camere, si è sacrificata l’indispensabile principio della separazione controllore-con- Art. 66 • Parte Seconda - Ordinamento della Repubblica 106 trollato ed affidato tale controllo ad un organo «terzo» di garanzia (come, ad esempio, la Corte costituzionale). Al momento, pertanto, molte perplessità suscita l’operazione di verifica dei poteri. ◆ Il controllo sui titoli di ammissione A tutela dell’indipendenza delle assemblee legislative, l’articolo 66 affida alla Camera di appartenenza il potere di controllo sulla validità dei titoli di ammissione dei suoi membri. Tale disposizione costituisce una contraddizione, dal momento che crea un’anomala situazione in cui la figura del controllore e quella del controllato coincidono, a meno che tale potere non faccia capo all’opposizione, che istituzionalmente è deputata proprio al «controllo dell’attività della maggioranza». In seno all’Assemblea Costituente furono vagliate anche le soluzioni adottate in altri Paesi, fondate sul controllo operato dalla Corte costituzionale (Costituzione austriaca del 1920) o da un apposito Tribunale formato da parlamentari e magistrati (Costituzione di Weimar). Tuttavia, l’esperienza fascista, che aveva visto l’assoggettamento della magistratura alla volontà dell’esecutivo, l’incognita rappresentata dalla neo-istituita Corte costituzionale [v. 134], e la considerazione che, nel complesso, l’attività di verifica dei poteri svolta sotto lo Statuto Albertino non aveva dato luogo a particolari abusi, convinsero il Costituente a conservare tale istituto. Prospettive di riforma Pur permanendo il principio della verifica dei poteri, che resta assegnato alle Camere di appartenenza a tutela dell’autonomia e indipendenza delle stesse, non è prevista, nella riforma in esame al Senato, l’attribuzione di tale funzione a un organo super partes come la Corte costituzionale la cui «terzietà» è indubbia e che darebbe più garanzia rispetto alla naturale tendenza «corporativa» di qualsiasi Assemblea. La novità del riformato art. 66 Cost. consiste nell’attribuzione del Senato delle autonomie di un potere aggiunto, quello dell’accertamento della sopravvenienza delle cause ostative alla prosecuzione del mandato dei componenti. La ratio del nuovo testo è evidente in quanto, ad eccezione dei membri nominati dal Presidente della Repubblica per meriti extrapolitici, ci troviamo di fronte a membri che appartengono a enti territoriali dello Stato e che, per la loro situazione di dipendenza, possono trovarsi in condizione di ineleggibilità o incompatibilità. Spetterà dunque al Senato vigilare sulla sopravvenienza di tali cause. 107 Titolo I - Il Parlamento • Sezione I - Camere • Art. 67 Il compito primario della figura del «parlamentare» Art. 67 Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato. In un Paese democratico e rappresentativo il Parlamento non può perseguire interessi di parte, in quanto vige il principio della rappresentanza politica nazionale in base al quale attualmente i singoli deputati e senatori, una volta eletti, non rappresentano le circoscrizioni locali da cui sono stati votati, ma la Nazione nella sua unicità. La rappresentanza nazionale, comunque, non impedisce che il parlamentare si faccia interprete di interessi, bisogni, aspirazioni di carattere locale, ma esige che tali interessi siano valutati soprattutto tenendo conto dell’insieme degli interessi del Paese. Tuttavia, un grave equivoco sorto con la Seconda Repubblica è quello in base al quale la vittoria delle elezioni da parte di una coalizione politica implichi anche la legittimazione, per il leader e i suoi lealisti, ad assumere comportamenti che talvolta vadano «al di là della legge», proprio facendosi scudo della legittimazione popolare che li abilita ad instaurare la «dittatura della maggioranza». La nazione è l’insieme degli individui legati da comuni vincoli di natura etnica, linguistica, culturale, religiosa e sociale. Si tratta, dunque, di un legame, cui, però, la Costituzione riconosce un valore giuridico, in quanto sono equiparati ai cittadini, per l’accesso alle cariche pubbliche e a quelle elettive, anche gli «italiani non appartenenti alla Repubblica», anche se cittadini di altri Stati di nazionalità italiana. La norma sancisce anche il cd. divieto del mandato imperativo, per il quale il parlamentare non può accettare alcuna istruzione o direttiva, da qualsiasi parte provenga, circa l’esercizio delle sue funzioni, e ciò a tutela della sua indipendenza da qualsiasi potere politico, economico o sociale. Ne consegue che ciascun parlamentare, nello svolgimento della sua attività, può agire liberamente, non sussistendo alcun mezzo giuridico per costringerlo al rispetto di eventuali accordi sulla condotta o per chiamarlo in giudizio a rispondere del modo in cui ha esercitato il proprio mandato. La mancanza di una responsabilità giuridica del parlamentare nei confronti dei propri elettori non esclude, però, una sua responsabilità politica, che il corpo elettorale può far valere solo in sede di nuove elezioni, allorquando avrà la possibilità di esprimere un giudizio sull’operato del parlamentare che si ripresenta candidato, confermandogli o negandogli (nel caso la condotta del parlamentare non abbia risposto alle aspettative) la propria prefe- Art. 68 • Parte Seconda - Ordinamento della Repubblica 108 renza quando non ci si trovi in un «regime» di liste bloccate, di liste cioè formate dai leaders e dalle Segreterie dei partiti a prescindere dalla volontà degli elettori. Il problema del vincolo di mandato si propone in tutta la sua complessità in relazione ai rapporti che si instaurano tra membro del Parlamento e partito politico di appartenenza. La linea politica adottata dal partito, infatti, si sovrappone il più delle volte agli orientamenti personali del parlamentare, relegandolo in una condizione di mero portavoce del partito in seno al Parlamento. In caso di «liste bloccate», infatti le «ribellioni» del parlamentare alla linea e alle direttive del partito sono punite, a mo’ di caserma, con sanzioni disciplinari che possono giungere fino all’espulsione dal partito e alla richiesta di dimissioni dei ribelli dalle cariche ricoperte (si veda ad esempio quanto accaduto nel Movimento 5 stelle, il cui leader ha imposto ai candidati alle elezioni europee del suo Movimento la firma di un contratto che prevede in caso di dissenso dalla linea politica interna il pagamento di una penale al Movimento di e 250.000!). Prospettive di riforma L’omissione dell’espressione «ogni membro del parlamento rappresenta la Nazione» trova il suo fondamento nel diverso grado di rappresentatività dei membri: — della Camera, che rappresenta la «Nazione» nella sua interezza, ed è composta dai rappresentanti dello Stato-persona; — del Senato, che al contrario rappresenta le istituzioni territoriali (Regioni, Città metropolitane, Comuni), a tutela delle guarentigie dello Stato-comunità. Le immunità parlamentari Art. 68 I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. 109 Titolo I - Il Parlamento • Sezione I - Camere • Art. 68 Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza. Gli ultimi due articoli di questa sezione disciplinano le prerogative parlamentari che tutelano il libero esercizio della funzione parlamentare e per questo sono irrinunciabili. Questa norma, in particolare, protegge la libertà di manifestazione del pensiero dei parlamentari i quali non possono sentirsi condizionati nell’esprimere le proprie idee, né aver timore di dover rendere conto dell’attività svolta, né essere esposti alla possibilità di essere in qualche modo perseguiti, sia quando sono parlamentari sia quando non lo sono più. Essi quindi godono di particolari garanzie disposte dalla Costituzione che costituiscono delle «immunità» e non privilegi perché non tutelano la persona a cui vengono concesse, ma la funzione esercitata. L’articolo 68 riconosce a deputati e senatori sia l’immunità per le opinioni e i voti espressi sia l’immunità penale. ◆ L’insindacabilità Le opinioni dei parlamentari sono insindacabili, sia quando sono espresse nell’aula parlamentare, sia in altri luoghi (cioè extra moenia, come ad esempio nei dibattiti televisivi o nei congressi di partito). L’insindacabilità non si estende alle affermazioni che il parlamentare fa in veste di privato cittadino e non collegabili alla carica ricoperta. Si noti che l’art. 122 al comma quarto estende l’insindacabilità anche ai consiglieri regionali. L’insindacabilità per le opinioni è un principio accolto già in passato dal parlamentarismo inglese, mentre nel resto d’Europa venne affermato soltanto a seguito della Rivoluzione francese (1789). ◆ L’immunità penale La Costituzione stabilisce l’inviolabilità del parlamentare che non può essere sottoposto, durante lo svolgimento del suo mandato a provvedimenti che ne limitino la libertà (perquisizioni, intercettazioni, arresto etc.) senza l’assenso della Camera di appartenenza. L’istituto dell’immunità parlamentare è stato riformato nel 1993, e da allora la cosiddetta autorizzazione a procedere non è più necessaria per iniziare un procedimento penale nei confronti di un parlamentare, né per dare esecuzione a sentenze irrevocabili di condanna. Art. 68 • Parte Seconda - Ordinamento della Repubblica 110 Essa, invece, va sempre richiesta se impedisce la presenza del parlamentare dal suo ufficio limitandone la libertà personale (fermo, arresto), domiciliare (perquisizione) o di corrispondenza (intercettazioni telefoniche). In queste ipotesi le Camere, adite dall’autorità giudiziaria, possono negare l’autorizzazione solo se considerano tali provvedimenti persecutori o intimidatori nei confronti dei loro membri. Con l’entrata in vigore della Costituzione del 1948, le immunità parlamentari, hanno conservato l’obiettivo non solo di tutelare le Assemblee rappresentative attraverso i loro stessi componenti da iniziative giudiziarie potenzialmente arbitrarie, ma anche garantire le minoranze da possibili «abusi» da parte della maggioranza di governo. La sentenza irrevocabile di condanna afferma definitivamente la colpevolezza dell’imputato e non è più soggetta ad impugnazione. Per arresto obbligatorio in flagranza si intende la privazione temporanea della libertà personale. È la polizia giudiziaria a disporlo, di propria iniziativa, nel caso in cui il soggetto venga colto nell’atto di commettere determinati reati (flagranza di reato). L’arresto in flagranza è obbligatorio quando la pena prevista per il reato commesso è l’ergastolo o la reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni, purché nel massimo raggiunga i venti anni. L’intercettazione è un mezzo di ricerca della prova attraverso il quale vengono ascoltate (all’insaputa di almeno uno degli interessati) comunicazioni telefoniche o conversazioni tra persone presenti (cosiddetta intercettazione ambientale). L’intento dei Costituenti attraverso l’istituto dell’autorizzazione a procedere è tutelare i parlamentari contro un uso distorto dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, la cui adozione poteva condizionare la loro libertà. Si pensi agli effetti che potrebbe avere l’arresto, anche provvisorio, di alcuni membri del Parlamento in coincidenza di una votazione per la quale si prevede uno scarto di voti molto esiguo. La norma tutela esclusivamente la funzione di cui il parlamentare è investito e non la sua persona: pertanto, quando si dimostri che il provvedimento restrittivo è stato adottato correttamente senza alcun intento persecutorio, il Parlamento non può negare l’autorizzazione ad eseguirlo. Prospettive di riforma Qualche perplessità desta il differente status di parlamentare che riguarda coloro che appartengono alle due Assemblee. In particolare, mentre sono riconosciute inalterate le prerogative (insindacabilità, immunità penale etc.) per i membri della Camera, viene omesso per gli appartenenti al Senato i quali «perdono» tale pacchetto di guarentigie, forse perché la loro presenza è considerata di minor rilievo rispetto a quella indefettibile dei rappresentanti della «Nazione». 111 Titolo I - Il Parlamento • Sezione I - Camere • Art. 69 L’indennità parlamentare Art. 69 I membri del Parlamento ricevono una indennità stabilita dalla legge. In base al principio democratico che riconosce le pari opportunità anche per i membri delle assemblee legislative, al fine di rimuovere gli ostacoli di ordine economico o all’effettiva partecipazione all’organizzazione politica del paese, sono state previste una serie di indennità. In particolare, per i parlamentari (deputati e senatori) si prevede: — un’indennità, economica corrisposta mensilmente ed equiparata al trattamento complessivo massimo annuo lordo pari a quella dei magistrati con funzioni di presidente di Sezione della Corte di Cassazione; — una diaria riconosciuta, a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a Roma, ridotta per ogni giorno di assenza da quelle sedute dell’Assemblea in cui si svolgono votazioni; — un rimborso forfetario per spese inerenti al rapporto tra eletto ed elettori; — un rimborso spese trimestrale per i trasferimenti dal luogo di residenza all’aeroporto più vicino e Montecitorio; — una tessera per la libera circolazione autostradale, ferroviaria, marittima e aerea per i trasferimenti sul territorio nazionale; — una somma annua per le spese telefoniche; — un’assistenza sanitaria integrativa, determinata dal versamento mensile del Parlamentare di una quota della propria indennità lorda; — un assegno di fine mandato pari all’80% dell’importo mensile lordo dell’indennità, per ogni anno di mandato effettivo (o frazione non inferiore a sei mesi); — un trattamento pensionistico basato sul sistema del calcolo contributivo come tutti i pubblici dipendenti che dall’1-1-2012 ha sostituito il meccanismo del cd. «vitalizio» che rappresentava una scandalosa forma di privilegio del parlamentare. Prospettive di riforma È importante e altamente significativo, anche ai fini di ottenere una riduzione dei «costi della politica», che la carica di membro del Senato delle autonomie è totalmente «onoraria», fatti salvi i rimborsi spesa che probabilmente ricadranno sulle istituzioni di appartenenza. La circostanza che il maggior costo del Senato non ricada più direttamente sul bilancio dello Stato deve essere visto non tanto come una misura populista (diminuire i non più sopportabili alti costi della politica), quanto un’affermazione del principio — che fatica ad affermarsi in Italia — della non duplicabilità degli emolumenti di chi riceve già uno stipendio ben alto. Titolo V Le Regioni, le Province, i Comuni (Articoli 114-133) Il modello di Stato previsto dalla nostra Costituzione si basa sul decentramento, cioè sulla ripartizione dei poteri tra un’autorità centrale di governo ed enti territoriali autonomi, dotati di proprie funzioni e competenze. La legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, modificando il Titolo V della parte seconda della Costituzione, ha delineato un nuovo assetto istituzionale della Repubblica ancor più orientato ad un sistema autonomistico. Tale sistema poggia sulla equiordinazione tra lo Stato e gli altri livelli di governo, configurati come enti costitutivi della Repubblica e dunque necessari (art. 114). Lo Stato, pur vedendo inalterata la sua funzione sovrana di garante dell’unità nazionale nonché di unico depositario di talune funzioni di primaria importanza, quali ad esempio la funzione giurisdizionale, non può dunque, «da solo», identificarsi con la Repubblica. Ma la riforma costituzionale del 2001 (attuata a livello formale con l’emanazione della L. 131/2003, cd. legge La Loggia) ha mostrato nel tempo numerosi limiti anche per la necessità di una dettagliata disciplina di rango primario, (es. come è accaduto nel caso della legge sul federalismo fiscale ovvero la L. 42/2009, e dei relativi decreti attuativi). Il percorso storico-evolutivo sulle autonomie territoriali si arricchisce di un importantissimo disegno riformatore (avanzato dal Governo Renzi e presentato al Senato l’8 aprile 2014) che, reca tra l’altro, la revisione del Titolo V della Parte Seconda della Costituzione. 181 Titolo V - Le Regioni, le Province, i Comuni • Artt. 114-115 In attesa della nuova riforma del Titolo V con la recentissima L. 7 aprile 2014, n. 56 recante «Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle Unioni e Fusioni di Comuni» si è proceduto ad una riorganizzazione significativa del sistema delle autonomie locali con particolare riferimento all’Ente Provincia e alla Città metropolitana (in proposito si veda infra). Gli enti autonomi Art. 114 La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione. Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento. Art. 115 [Le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi fissati nella Costituzione]. Articolo abrogato L’articolo 114, nel testo introdotto dalla L. cost. 3/2001, accoglie il principio del pluralismo istituzionale paritario che consente la convivenza, nell’ambito dell’ordinamento statale, di una serie di ordinamenti territoriali minori dotati di autonomia e di pari dignità istituzionale. Detto articolo, nella sua originaria formulazione, prevedeva la ripartizione della Repubblica in Regioni, Province e Comuni. Ora tale elencazione, improntata alla sussidiarietà, è completamente ribaltata e menziona in primis proprio gli enti più vicini ai cittadini, i Comuni. L’autonomia degli enti elencati nel nuovo articolo è piena, nel senso che trova un limite solo nei principi desumibili dalla stessa Costituzione e comporta per essi: — autonomia politica, poiché possono farsi portatori di orientamenti politici diversi da quello nazionale; Art. 115 • Parte Seconda - Ordinamento della Repubblica 182 — autonomia normativa, in quanto emanano leggi (Regioni) o regolamenti (tutti gli altri enti); — autonomia statutaria, poiché possono adottare il loro atto fondamentale, lo statuto, nel quale disciplinare la propria organizzazione; — autonomia amministrativa, poiché emanano atti amministrativi (efficaci nell’ambito del loro territorio) che hanno lo stesso valore di quelli dello Stato; — autonomia finanziaria, poiché hanno la facoltà di stabilire e applicare propri tributi. Grazie alla riforma costituzionale del 2001, inoltre, vengono inserite nel novero degli enti che concorrono a formare la Repubblica anche le Città metropolitane, enti territoriali previsti dalla legislazione ordinaria (L. 142/1990, poi trasfusa nel D.Lgs. 267/2000) per meglio gestire nuove realtà cittadine caratterizzate da agglomerati urbani di notevoli dimensioni. A seguito della L. cost. 3/2001, dunque, le Città metropolitane (al pari di Comuni, Province e Regioni) rinvengono direttamente nella Carta costituzionale il fondamento della loro autonomia e della loro potestà normativa. L’ultimo comma dell’art. 114, infine, costituzionalizza lo status di Roma quale Capitale della Repubblica. Ne riconosce, dunque, un ordinamento differenziato rinviandone alle leggi statali la disciplina dettagliata. La principale fonte normativa che disciplina le autonomie locali a livello di legislazione primaria è il D.Lgs. 18-8-2000, n. 267 (T.U. degli enti locali) che ha raccolto e coordinato tutta l’opera di rafforzamento delle collettività locali di decentramento delle funzioni portata avanti dal legislatore nell’arco degli anni ’90 (in primis con la L. 142/1990 e poi con le ccdd. leggi Bassanini). Da ultimo, nell’attesa che si realizzi una nuova riforma del Titolo V della Costituzione, come già accennato, è stata emanata la L. 7 aprile 2014, n. 56 (cd. legge Delrio), che nell’ottica della razionalizzazione delle istituzioni locali e del perseguimento di una maggiore efficienza nell’esercizio decentrato delle funzioni, ha avviato una parziale riforma del sistema degli enti locali incentrata sulla riorganizzazione delle Province, l’istituzione delle Città metropolitane e la promozione delle forme associative, quali le Unioni di Comuni. È opportuno menzionare che già l’allora in carica Governo Monti, nell’ottica di alleggerire i «costi della politica», aveva avanzato (mediante il D.L. 201/2011, conv. con modif. in L. 214/2011 e il D.L. 95/2012, conv. con modif. in L. 135/2012) un progetto di riforma dell’ente Provincia basato sul ridimensionamento delle funzioni e sulla rivisitazione degli organi di governo. Le disposizioni recanti tali innovazioni, tuttavia, sono state dichiarate incostituzionali con la sentenza della Corte costituzionale n. 220/2013 per contrasto con l’art. 77 Cost. 183 Titolo V - Le Regioni, le Province, i Comuni ◆ • Art. 115 Il Comune Ai sensi dell’art. 3, co. 2, del D.Lgs. 267/2000 il Comune è l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo. Sono organi di governo del Comune: — il Consiglio comunale, organo collegiale dotato di autonomia funzionale e organizzativa, i cui membri sono eletti dal corpo elettorale comunale, che svolge funzioni di indirizzo e di controllo politico-amministrativo e che detiene una competenza esclusiva per quanto concerne l’adozione di taluni atti fondamentali; — la Giunta, i cui membri (gli assessori) sono nominati dal Sindaco. È l’organo esecutivo del Comune con competenza generale e autonoma, seppur residuale in quanto avente ad oggetto le materie non attribuite dalla legge alla competenza esclusiva del Consiglio o del Sindaco; — il Sindaco (anch’esso eletto dal popolo) è l’organo monocratico che rappresenta l’ente ed è legato alla Giunta da un rapporto di stretta fiducia. Questi ricopre contemporaneamente la duplice veste di capo dell’amministrazione comunale e di Ufficiale del Governo, ossia organo periferico dell’amministrazione statale in sede locale. ◆ La Provincia Trattasi di un ente intermedio tra Comune e Regione, che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi, ne promuove e ne coordina lo sviluppo (art. 3, D.Lgs. 267/2000). Come accennato, il legislatore ordinario, spinto dalla necessità di comprimere i costi dell’amministrazione pubblica, ha emanato la L. 7 aprile 2014, n. 56, con la quale ha riformato l’ente Provincia risistemandone la struttura e le competenze. Le Province vengono così definite enti territoriali di vasta area, la cui disciplina si rinviene nella medesima L. 56/2014 (art. 1, commi 51-100), in attesa della riforma del Titolo V, Parte II della Costituzione. Esse sono chiamate a svolgere funzioni circoscritte a campi specifici. In ragione di ciò la stessa L. 56/2014 ha ridisciplinato (avuto riguardo alla scadenza temporale dei mandati nelle singole Province) gli organi di governo individuandoli nel Presidente della Provincia, nel Consiglio provinciale (entrambi non più organi eletti direttamente dal popolo) e nell’Assemblea dei Sindaci (costituita dai Sindaci appartenenti alla Provincia) e con poteri propositivi, consultivi e di controllo secondo quanto disposto dallo Statuto. I membri di tali organi svolgono il loro incarico a titolo gratuito. Art. 115 • ◆ Parte Seconda - Ordinamento della Repubblica 184 La Città metropolitana Nel riordino del modello dell’organizzazione pubblica sul territorio locale operato dalla L. 7 aprile 2014, n. 56 (cd. legge Delrio) un ruolo fondamentale è assunto dalla Città metropolitana, alla quale sono espressamente estese, per quanto compatibili, le disposizioni in materia di Comuni di cui al D.Lgs. 267/2000, nonché le norme di cui all’art. 4 della L. 131/2003 relativo alla potestà normativa degli enti locali. Tale ente di governo di vasta area è chiamato a perseguire le seguenti finalità istituzionali: — cura dello sviluppo strategico del territorio metropolitano; — promozione e gestione integrata dei servizi, delle infrastrutture e delle reti di comunicazione di interesse della Città metropolitana; — cura delle relazioni istituzionali afferenti al proprio livello, ivi comprese quelle con le Città e le Aree metropolitane europee. La L. 56/2014, in attesa della riforma costituzionale del Titolo V, Parte II Cost., individua 9 Città metropolitane (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria), il cui territorio coincide con quello della Provincia omonima, ferma restando l’iniziativa dei Comuni (compresi i Comuni capoluogo delle Province limitrofe) per la modifica delle Circoscrizioni provinciali limitrofe e per l’adesione alla Città metropolitana ai sensi dell’art. 133, comma 1 Cost. (art. 1, comma 6). Gli organi del nuovo ente, individuati dalla L. 56/2014, sono: il Sindaco metropolitano, il Consiglio metropolitano e la Conferenza metropolitana; tutti gli incarichi ricoperti presso la Città metropolitana sono svolti a titolo gratuito. La L. 56/2014 estende alla Città metropolitana di Roma Capitale le norme relative alle Città metropolitane. Prospettive di riforma Il disegno di legge costituzionale presentato dal Governo Renzi in Senato l’8 aprile 2014 (S. 1429) prevede, tra le altre cose, la riforma del Titolo V, Parte II Cost. finalizzata sostanzialmente a snellire l’assetto istituzionale decentrato, rendendolo così più moderno ed efficiente anche alla luce dei limiti e delle criticità evidenziate dall’entrata in vigore della precedente riforma del 2001 mai completamente attuata. In particolare, si intende sopprimere qualsiasi riferimento alle «Province» nei diversi articoli della Costituzione (artt. 114-133) che disciplinano gli enti territoriali. In ragione di ciò le Province non sarebbero più un ente territoriale costituzionalmente necessario. 185 Titolo V - Le Regioni, le Province, i Comuni • Art. 116 Sul punto è da evidenziare che è stato presentato (in data 11 marzo 2014) anche un altro disegno di legge costituzionale (cd. DdL Crimi) di modifica agli artt. 114, 117, 118, 119, 120, 132 e 133 della Costituzione che punta esclusivamente all’eliminazione testuale dal dettato costituzionale della parola «Provincia». Le Regioni a statuto speciale e il regionalismo differenziato Art. 116 Il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino- Alto Adige/Südtirol e la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale. La Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è costituita dalle Province autonome di Trento e di Bolzano. Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata. L’articolo 116, modificato nel 2001, identifica e riconosce cinque Regioni a Statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano cui attribuisce una capacità di governo maggiormente flessibile e maggior autonomia. Il riconoscimento di forme particolari e più ampie di autonomia alle Regioni indicate è giustificato dalla particolarità del loro patrimonio storico, linguistico e culturale, oltre che dalla posizione geografica (insulare o di confine) di alcune di esse nonché in osservanza del principio di tutela delle minoranze linguistiche ex art. 6. In particolare, l’ordinamento delle Regioni Speciali (che godono di più ampia autonomia) è contenuto nei rispettivi Statuti adottati e modificati con legge costituzionale e rispetto ai quali la disciplina costituzionale delle Regioni ordinarie ha valore integrativo. Nel terzo comma dell’articolo viene introdotta una norma che apre la strada al cd. regionalismo differenziato, che prevede la possibilità (in un ambito circoscritto alle materie di legislazione concorrente) per le Regioni a Art. 117 • Parte Seconda - Ordinamento della Repubblica 186 Statuto ordinario di accedere a forme maggiori di autonomia, anche se solo nei campi indicati dalla norma. Prospettive di riforma Il progetto di revisione costituzionale all’esame del Parlamento (S. 1429) superando la rigida ripartizione legislativa (tra Stato e Regioni) per materie in favore, invece, di una ripartizione anche per funzioni più flessibile, prevede l’eliminazione del ventaglio delle competenze di legislazione concorrente attualmente individuate al comma 3 dell’articolo 117. In conseguenza di ciò è soppressa la previsione del regionalismo differenziato di cui al vigente terzo comma dell’art. 116 della Costituzione, inserito dalla riforma costituzionale n. 3 del 2001. La competenza legislativa dello Stato e delle Regioni Art. 117 La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: a)politica estera e rapporti internazionali dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea; b)immigrazione; c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose; d)difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi; e)moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza, sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; perequazione delle risorse finanziarie; f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo; g)ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali; h)ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale; i) cittadinanza, stato civile e anagrafi; 187 Titolo V - Le Regioni, le Province, i Comuni • Art. 117 l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa; m)determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; n)norme generali sull’istruzione; o)previdenza sociale; p)legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane; q)dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale; r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale; opere dell’ingegno; s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Sta- Art. 117 • Parte Seconda - Ordinamento della Repubblica 188 to, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza. La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite. Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive. La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni. Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato. ◆ Il sistema di governo multilivello Questo articolo disciplina un complesso sistema di governo multilivello che fa capo ai due «centri di potere» rappresentati dallo Stato e dalle Regioni cui spetta il potere legislativo. La caratteristica più importante dell’ordinamento regionale italiano è, infatti, l’attribuzione alle Regioni della potestà legislativa che, rompendo il monopolio legislativo degli organi statali (Parlamento e Governo), conferma la dignità, l’importanza e l’equiordinazione (art. 114) ad esse conferita: tutte le Regioni (e le Province autonome di Trento e Bolzano) per la Costituzione Repubblicana non rappresentano semplici enti di decentramento amministrativo, ma sono considerate persone giuridiche pubbliche, con elevato grado di autonomia e indipendenza, destinate ad arricchire lo stesso ordinamento giuridico a livello normativo primario. L’art. 117 opera una distinzione tra: — potestà legislativa esclusiva dello Stato. Si tratta dei settori citati nel comma 2, nei quali la potestà legislativa deve essere esercitata esclusivamente dallo Stato. La legislazione statale si esercita, dunque, sia su materie definite (ad esempio difesa e forze armate, rapporti tra Repubblica e confessioni religiose) che a tutela di interessi unitari e valori che devono trovare uguale attuazione su tutto il territorio nazionale (si pensi alla tutela della concorrenza o dell’ambiente e alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali); 189 Titolo V - Le Regioni, le Province, i Comuni • Art. 117 — potestà legislativa concorrente. Si tratta dei settori individuati nel comma 3, il quale procede ad una suddivisione dei compiti tra lo Stato e le Regioni: al primo spetta il compito di «determinare i principi fondamentali» (attraverso le leggi quadro o leggi cornice), mentre alle Regioni spetta il compito di emanare la legislazione specifica di settore; — potestà legislativa piena o residuale delle Regioni. I settori che rientrano in tale ambito non sono né identificati né definiti nel testo costituzionale, ma vanno ricavati per esclusione. È tuttavia da tener presente che l’inquadramento di una determinata disciplina statale o regionale in una delle materie elencate dall’articolo in esame non sempre risulta agevole, a causa di interferenze, intrecci e connessioni fra le materie stesse. Per risolvere tale problema in alcuni casi si deve fare ricorso al criterio di prevalenza, mentre in molti altri casi, si deve ricorrere al canone della leale collaborazione (v. art. 120), che impone alla legge statale di predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni, a salvaguardia delle loro competenze. ◆ Regioni e Unione europea Le Regioni, nelle materie di loro competenza, nei confronti dell’Unione europea: — possono, attraverso propri rappresentanti, partecipare alle sessioni europee anche attraverso la Conferenza Stato-Regioni per la formazione delle norme europee; — attuano gli atti normativi europei nelle materie di loro competenza esclusive trasfondendole in normative regionali. Lo Stato in questi casi, in assenza di leggi regionali di recepimento, può attivare il suo potere sostitutivo. La norma, infine, costituzionalizza le intese tra le Regioni rafforzando in tal modo i principi del «regionalismo cooperativo». Prospettive di riforma Nel progetto di revisione costituzionale (S. 1429), presentato al Senato l’8 aprile 2014, rientra anche il superamento della rigida ripartizione legislativa tra Stato e Regioni, che caratterizza il vigente articolo 117 della Costituzione, in favore, invece, di una più moderna ripartizione delle competenze per materie e per funzioni. Superando l’eccessiva frammentazione di competenze tra Stato e Regioni (art. 117 Cost.) si vuole, eliminare la sfera di legislazione concorrente (comma 3 art. 117) andando a ridefinire, di conseguenza, le competenze esclusive dello Stato e quelle residuali delle Regioni. Art. 118 • Parte Seconda - Ordinamento della Repubblica 190 Al contempo, attraverso una clausola di supremazia, si garantisce l’intervento dello Stato nelle materie di competenza regionale in presenza di esigenze di tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, o per la realizzazione di programmi o riforme economico sociali di interesse nazionale. A bilanciamento dell’ampliamento della sfera della legislazione esclusiva dello Stato (es. commercio con l’estero, tutela e sicurezza del lavoro, ordinamento degli enti locali e degli enti di vasta area etc.) è, altresì, prevista la possibilità di una delega della funzione legislativa esclusiva dallo Stato alle Regioni. Tale possibilità di delega è però circoscritta per un tempo limitato e previo il rispetto delle garanzie e delle eccezioni per gli ambiti di materie fissate dalla stessa Costituzione. Coerentemente alla redistribuzione delle competenze legislative in favore di un modello che può essere definito di «regionalismo cooperativo» si dovrà procedere ad una ridefinizione degli ambiti della potestà regolamentare come ora individuati dal dettato costituzionale. Le funzioni amministrative Art. 118 Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni sal- vo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell’articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali. Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà. La funzione amministrativa è l’attività con cui vengono realizzati concretamente gli obiettivi della comunità. Si estrinseca attraverso provvedimenti amministrativi, vale a dire atti autoritativi che in posizione di supremazia incidono sulla vita dei cittadini. Ante L. cost. 3/2001 si applicava il principio del parallelismo delle funzioni, in base al quale l’ente titolare della competenza legislativa in un settore svolgeva parallelamente anche le relative funzioni amministrative.