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MINISTERO DELL’INTERNO Scuola Superiore dell'Amministrazione dell'Interno XXV Corso di formazione dirigenziale per l'accesso alla qualifica di Viceprefetto Dalla centralità del Parlamento alla centralità del Governo: l’evoluzione della forma di Governo a Costituzione invariata Tesi di: Paolo ACCARDI Alfonsa CALIO’ Paolo CANAPARO Francesco Fabio MARZANO Giorgio NERONI Maria Antonietta OLIVIERI Giacomo VARANELLI Relatore: Prof. Carlo COLAPIETRO INDICE INTRODUZIONE p. 1 CAPITOLO I FORME DI STATO E DI GOVERNO. L’EVOLUZIONE DELLA FORMA DI GOVERNO ITALIANA 1.1 Analisi delle forme di Stato e di Governo p. 3 1.2 La forma di Governo italiana voluta dai Costituenti p. 8 1.3 Evoluzione della forma di Governo a Costituzione invariata p. 10 1.4 L'ascesa dell'esecutivo nel contesto dell'Unione europea p. 13 CAPITOLO II LA PRIMAZIA DEL GOVERNO NELLA CONTITOLARITÀ DELLA FUNZIONE DI INDIRIZZO POLITICO 2.1 La funzione di indirizzo politico e gli strumenti della sua attuazione p. 17 2.2 Le vicende del rapporto fiduciario p. 20 2.3 Riflessi del sistema elettorale vigente sul rapporto Parlamento-Governo p. 23 CAPITOLO III LA FUNZIONE NORMATIVA PRIMARIA DEL GOVERNO 3.1 La funzione normativa primaria nel nuovo rapporto tra Governo e Parlamento p. 27 3.2 Le leggi delegate p. 29 3.3 La decretazione d'urgenza p. 32 2 CAPITOLO IV LA FUNZIONE NORMATIVA SECONDARIA DEL GOVERNO 4.1 La funzione normativa secondaria nel sistema delle fonti del diritto p. 40 4.2 I regolamenti dell'esecutivo p. 42 4.3 Il problema della delegificazione p. 46 4.4 I regolamenti ministeriali ed interministeriali p. 50 CAPITOLO V LE FUNZIONI AMMINISTRATIVE DEL GOVERNO 5.1 Politica e Amministrazione p. 52 5.2 La separazione tra politica e amministrazione e la riorganizzazione degli apparati statali p. 53 5.3 Il nuovo rapporto di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni e la riforma della dirigenza pubblica p. 58 5.4 Il Governo delle autonomie locali p. 63 CAPITOLO VI LA CENTRALITA’DELL’ESECUTIVO NELLA NUOVA GOVERNANCE DELLA FINANZA PUBBLICA 6.1 La crisi della legislazione finanziaria complessa e la riforma dell'ordinamento Finanziario p. 66 6.2 La negoziazione in materia di finanza pubblica p. 78 6.3 Il controllo parlamentare sulla finanza pubblica e le fonti d’informazione. p. 82 CONCLUSIONI p. 89 3 INTRODUZIONE Da qualche anno è emerso un interesse generalizzato sul ruolo assunto dal Governo nel sistema istituzionale vigente, sempre più centralizzato rispetto agli altri organi istituzionali; a quest’aspetto si correla un’altra questione, più volte analizzata sotto molteplici punti di vista , ossia la “crisi dello Stato nazionale”, inteso nella sua accezione più ampia. 1 Infatti, un tratto comune alle democrazie occidentali è il fenomeno della crisi dello Stato nazionale che si manifesta in due direzioni: verso l’alto per effetto della globalizzazione e della crescita degli ordinamenti internazionali sovranazionali; verso il basso per effetto del decentramento amministrativo e della conseguente valorizzazione delle collettività locali. Tale processo di affermazione del Governo, avviatosi nel corso del Novecento, sia nei regimi parlamentari che in quelli presidenziali, sfida i tradizionali criteri classificatori- forme di Stato e forme di Governo- ed ha ragioni variamente differenziate a seconda delle congiunture storicopolitiche dei diversi Paesi. Alla posizione di primazia del potere esecutivo sulla scena politico-istituzionale si contrappone la progressiva marginalizzazione del Parlamento che si iscrive nell’ambito della crisi dell’organo assembleare come organo di autogoverno. Il presente contributo analizza lo stato dei rapporti tra Parlamento e Governo, attraverso una breve ricostruzione storico-giuridica delle tradizionali forme di Stato e di Governo, individuate dalla dottrina costituzionale e della scelta fatta dal legislatore costituente per l’ordinamento italiano; chiuderà il primo capitolo una disamina degli elementi che, sia nel contesto interno che in quello dell’integrazione europea, hanno portato all’evoluzione della forma di governo a Costituzione invariata. Il secondo capitolo sarà dedicato all'analisi della funzione di indirizzo politico e delle sue manifestazioni significative; nel terzo capitolo sarà esaminato il potere di 4 normazione primaria nelle sue espressioni più tipiche (decreto-legge, decreto legislativo), il cui esercizio denota il progressivo scollamento tra formale titolarità della funzione legislativa propria del Parlamento ed il concreto esercizio della sovranità popolare. Il terzo capitolo focalizzerà l'attenzione sul rafforzamento del potere normativo secondario del Governo che si estrinseca nel potere regolamentare di cui all’art. 17 della legge 23 Agosto 1988 n.400 “ Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri”. Nel capitolo seguente si analizzerà la funzione amministrativa del Governo, con particolare riguardo al rapporto tra politica e amministrazione, alla riorganizzazione degli apparati statali ed al sistema delle autonomie locali. Il sesto capitolo sarà dedicato ai rapporti Parlamento-Governo in materia di finanza pubblica nella consapevolezza che la politica economica e finanziaria è esercitata dal Governo attraverso la complessiva manovra di bilancio e, nel contempo, mediante l’emanazione di atti elaborati per l'allocazione delle risorse economiche; rispetto a tali procedure il potere del Parlamento di apportare emendamenti risulta dunque assoggettato a forti limiti. 1 F.Lanchester” Lo Stato sovrano dopo l’affermazione del modello democratico”, in Federalismi.it n.21/11 5 CAPITOLO PRIMO FORME DI STATO E FORME DI GOVERNO. L’EVOLUZIONE DELLA FORMA DI GOVERNO ITALIANA 1.1 Analisi delle forme di Stato e di Governo L’approccio storico-giuridico alle forme di Stato e di Governo, su cui la dottrina costituzionalista ha avuto modo di confrontarsi ampiamente, appare necessario per ben delineare il nucleo essenziale della tematica oggetto di disamina, ovvero la centralità del Governo e la forma da esso assunta nell’attuale quadro istituzionale che, disciplinata nella parte II della Costituzione, non ha visto riforme formali diversamente da quanto è accaduto per il Titolo V. Nell’accezione tradizionale con il termine forma di Stato s’intende fare riferimento ad un determinato sistema costituzionale con un complesso di rapporti che s’instaurano tra governanti e governati e si definisce, in ciascuno di loro, la misura della partecipazione dei governati alla direzione politica. La dottrina costituzionalista2 ha elaborato, sulla base della comparazione di esperienze storiche e di individuazione dei tratti comuni delle medesime, diverse configurazioni di forme di Stato; senza addentrarci, per esigenze di sintesi, nelle varie tipologie di classificazioni operate, possiamo affermare che i criteri utilizzati tradizionalmente per la succitata classificazione fanno riferimento: 1) alla struttura unitaria e pluralista delle forme di Stato: 2) al modo di configurare i rapporti tra governanti e governati per quanto concerne in particolare l’indirizzo politico; 3) al modo in cui si configurano i rapporti tra autorità e cittadini ed alla tutela dei diritti degli stessi; 4) al modo in cui si configura l’interesse pubblico con particolare riguardo agli interessi economici. 2 F.Modugno, Ordinamento,Diritto, Stato, in Lineamenti di diritto pubblico,a cura di F. Modugno, Giappichelli, 2010, pag. 46 ess 6 Il primo criterio suaccennato consente di operare la distinzione tra Stato unitario e Stato composto; nel primo caso il potere sovrano è attribuito ad un unico centro di potere, caratterizzato da un apparato amministrativo centrale e periferico dipendente in larghissima parte dal Governo centrale. Lo Stato composto si ha, invece, quando il potere è suddiviso tra lo Stato centrale e più enti che assumono all’interno dell’ordinamento complessivo la caratteristica di Stati. La forma più diffusa di Stato composto è lo Stato federale che si ha quando più Stati, pur conservando la propria identità e la propria autonomia, si uniscono per dare vita ad uno stato sovraordinato cui confluiscono determinati poteri in materia di relazioni internazionali, forze armate e sviluppo economico con la conseguente compressione dei poteri degli Stati membri a vantaggio dello Stato centrale, in tutte quelle materie nelle quali è necessario che lo Stato adotti un indirizzo unitario. Il secondo criterio del rapporto tra governanti e governati porta alla distinzione tra struttura democratica o autoritaria dello Stato: nel primo caso la titolarità del potere è fondata sulla rappresentanza politica, nel secondo caso sull’ereditarietà o investitura di un gruppo di notabili. A tal proposito autorevole dottrina 3afferma che, tenuto conto della misura di partecipazione dei governati alla direzione politica dello Stato si deve distinguere tra Stato feudale o patrimoniale, Stato assoluto, Stato moderno e Stato sociale. Nello Stato feudale o patrimoniale non si può operare una netta demarcazione tra diritto pubblico e diritto privato, il territorio è patrimonio del sovrano e dei vari feudatari ed il sovrano stesso impersona l’unità dei rapporti di vassallaggio, in un ordinamento che non persegue interessi generali, ma singoli interessi particolari facenti capo ai singoli feudatari. Lo Stato assoluto nasce come reazione al particolarismo feudale, con un rigido accentramento dell’apparato autoritario nel monarca, fonte di ogni potere politico teso a tutelare gli interessi della società indivisa. Allo Stato assoluto succede lo Stato di polizia (inteso come polis) che tende a promuovere il benessere dei cittadini, assicurato dal monarca secondo la sua libera valutazione, non già per effetto di riconoscimento di 3 T. Martines “ Diritto costituzionale”, Giuffrè, 2010, pag.157 7 diritti, bensì di concessioni regie; in questo modo affiora timidamente la rivendicazione da parte dei cittadini di alcuni diritti nei confronti dello Stato, specie di carattere patrimoniale. Il superamento della forma di Stato assoluto avviene in Inghilterra con Oliver Cromwell alla metà del 1600 e intorno alla fine del 1700 in Francia, con l’ascesa al potere della borghesia che, grazie alle sue migliorate condizioni economiche e soprattutto in relazione alla maggiore consapevolezza politica, aveva acquisito la capacità di governare lo Stato da sola o assieme ad un monarca, peraltro fortemente limitato nei suoi poteri da una serie di principi codificati nelle prime costituzioni. Nasce lo Stato di diritto i cui presupposti teorici si ritrovano nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino redatta dall’Assemblea nazionale francese nel 1789 e che ispireranno le prime costituzioni degli Stati moderni: il principio di separazione dei poteri, il principio dell’uguaglianza formale e la tutela dei diritti fondamentali. Tutti i pubblici poteri sono assoggettati alle norme giuridiche, scompare la figura del sovrano” legibus solutus”. Contribuirono all’evoluzione della forma di Stato le dottrine liberali del XVIII e XIX secolo, che da un lato miravano a circoscrivere l’azione dello Stato nei confronti del singolo, dall’altro a distribuire il potere tra i vari organi in modo da limitare l’arbitrio dei governanti secondo il principio della divisione dei poteri di Montesquieu. Questa prima forma di Stato moderno vede il predominio della parte più ricca della borghesia, e pertanto l’interesse generale era espresso non già dalla collettività, ma da chi, detenendo il potere economico e politico, era arbitro di interpretarne le esigenze e i valori. A quest’evoluzione storica si aggancia l’ultimo criterio elaborato dalla dottrina4 che tiene conto del ruolo esercitato dai partiti di massa che si sostituiscono ai partiti di èlite; tale processo storico-dottrinale si determina in un contesto economico-sociale che, tra la fine dell’800 e l’inizio del 900, aveva subito profonde trasformazioni dovute al processo di industrializzazione con susseguente aumento del peso specifico del proletariato urbano. Storicamente questa evoluzione è favorita dal susseguirsi a breve distanza di tempo delle due guerre mondiali; il modello di Stato ottocentesco entra in 4 T.Martines, op.ult.cit. 8 crisi già con la fine della prima guerra mondiale; si ha la nascita dell’embrione dello Stato sociale nel quale la parte più colta del proletariato (aristocrazia operaia) percepisce che spetta anche ai lavoratori di essere rappresentati dai propri deputati e nel quale non viene eliminata l’iniziativa economica privata, ma, a fianco di essa, lo Stato interviene nell’economia attraverso interventi finalizzati alla realizzazione di un’ eguaglianza sostanziale tesa ad una più equa distribuzione dei redditi. Passando alla disamina delle forme di Governo, la dottrina tradizionale 5 indica i modi in cui le funzioni dello Stato sono distribuite tra i vari organi dello Stato apparato. Si tratta di diverse tipologie talvolta altamente articolate da far configurare diversi tipi di classificazioni. Per esigenze di sintesi riteniamo opportuno soffermarci sulle elaborazioni più espressive di forme di governo. Il primo criterio di classificazione di carattere sostanziale fa riferimento al reale atteggiarsi dei rapporti tra organi costituzionali e sulla loro capacità effettiva di incidere sulla determinazione ed attuazione dell’indirizzo politico: a tal proposito s’individuano le forme di governo pure (monarchia assoluta e democrazia diretta) che invero difficilmente si possono realizzare nella realtà senza l’intervento di strumenti d’intermediazione; nella prassi sono prevalenti le forme di governo miste caratterizzate dalla partecipazione di una pluralità di soggetti alla vita politica dello Stato. Limitando la nostra disamina alle forme di governo dello Stato contemporaneo possiamo distinguere monarchie costituzionali, repubbliche presidenziali, governi direttoriali e parlamentari.La monarchia costituzionale si caratterizza per la limitazione dei poteri del Re dati dallo Statuto e l’esercizio della funzione legislativa da parte di gruppi sociali politicamente attivi: al Re era conferito il potere esecutivo ed al Parlamento il potere legislativo, senza consentire a quest’ultimo di concorrere direttamente all’attività d’indirizzo politico. Per quanto concerne il sistema presidenziale (tipico degli USA) lo stesso si caratterizza per l’attribuzione al Capo dello Stato ed all’amministrazione delle funzioni esecutive e dell’indirizzo politico, alle Assemblee elettive della funzione legislativa ed 5 F.Modugno, op.cit 9 al Corpo dei magistrati di quella giurisdizionale senza interferenza da parte di poteri diversi. Specie della forma di governo presidenziale e con caratteristiche peculiari è quella attuata in Francia quale risulta dalla costituzione del 1958, modificata nel 1962 che, pur presentando caratteri propri della forma di governo parlamentare (fiducia parlamento-governo), accentua tuttavia i poteri del Presidente della Repubblica; questi infatti è eletto dal popolo, è a capo dell’esecutivo, provvede a nominare ed a revocare i ministri e può sciogliere il Parlamento; quindi le sorti dell’esecutivo sono legate sia alle determinazioni del Presidente della Repubblica che a quelle del Parlamento. La forma di governo direttoriale (ad esempio in Svizzera), dal nome del c.d Direttorio che guidò la Francia in forza della Costituzione del 1795, si caratterizza per la presenza di un organo collegiale, il Consiglio federale, al quale è affidata la suprema autorità di governo della Confederazione. Il Presidente, che è anche Presidente del Consiglio federale, è eletto per la durata di un anno tra i membri del Consiglio; le funzioni di governo vengono svolte dai singoli componenti il Consiglio Federale, per cui il potere esecutivo è una diretta emanazione del potere legislativo. In tale assetto le Camere esercitano una funzione di sindacato politico sull’azione del Consiglio federale. Da ultimo la forma di governo parlamentare si caratterizza per il rapporto di fiducia che lega il Governo al Parlamento e che deve permanere per tutta la durata in carica del Governo stesso: il suo venir meno comporta l’obbligo di dimettersi (crisi di governo).Poiché il Governo e il Parlamento condividono la direzione politica dello Stato, qualora il rapporto fiduciario s’interrompa occorre procedere alla nomina di un nuovo governo. Non può revocarsi in dubbio, come affermato dalla dottrina costituzionale, che le forme di governo sopradescritte non costituiscono rigidi schemi in cui s’iscrive una società organizzata, bensì presentano una certa flessibilità e duttilità che consente di modularsi in ragione del concreto esercizio del potere di direzione politica e del rapporto tra governanti e governati. Peraltro l’espressione definitoria dell’Esecutivo non sempre appare idonea a dare contezza della funzione di governo, che è una funzione complessa articolata in differenti modalità d’esercizio non 10 meramente esecutive delle deliberazioni del Parlamento, ma espressione di funzioni proprie (per esempio, la politica estera). Ove si tenga conto di una classificazione sotto il profilo sostanziale, come propone autorevole dottrina 6, è necessario fare riferimento a quello che può essere considerato l’effettivo centro di potere sia esso una classe sociale, uno o più partiti (a tal proposito si parla di governo a partito unico o a pluralità di partiti). Altra dottrina 7 propone una classificazione più articolata delle forme di governo parlamentare (dualistiche e monistiche o ancora a prevalenza del Capo dello Stato, del Parlamento, o del Governo). Peraltro la complessità delle società moderne, la crescita e la diffusione dei compiti statali ha inciso sui modelli classici in modo tale da attenuare notevolmente, o in alcuni casi sovvertire il principio di separazione dei poteri. 1.2 La forma di Governo italiana voluta dai Costituenti Il sistema politico istituzionale italiano è caratterizzato da una sostanziale continuità, pur con l’intersecarsi di significative cesure sia per quanto riguarda i profili formali (dallo Statuto Albertino alla Costituzione repubblicana) che quelli sostanziali (a Costituzione formale invariata). All’inizio dell’Unità d’Italia il sistema è caratterizzato dalla presenza dello Statuto Albertino, cioè la Costituzione concessa dal Re di Sardegna Carlo Alberto che l’aveva firmata e promulgata il 4 marzo 1848 a valere come “legge fondamentale perpetua ed irrevocabile della monarchia”. Lo Statuto, al pari di altre costituzioni del tempo, nasceva come costituzione di una « monarchia costituzionale »: prevedeva la separazione dei poteri, la garanzia dei diritti, la religione cattolica come unica religione dello Stato e la tolleranza degli altri culti. Era previsto un Parlamento bicamerale, col senato di nomina regia e la Camera dei deputati elettiva; il re aveva poteri sostanziali: non solo era titolare del potere esecutivo, ma concorreva a quello legislativo tramite la sanzione delle leggi e la giustizia era amministrata in suo nome. Il governo era formato da fiduciari del re inizialmente responsabili verso di lui e, solo nello sviluppo consuetudinario 6 7 T. Martines,op,ult.cit F.Modugno, cit 11 successivo, politicamente responsabili verso la camera elettiva, essendo il re politicamente irresponsabile. In linea di principio si ammetteva che la forma di governo superasse lo schema iniziale della monarchia costituzionale e si risolvesse rapidamente in parlamentare; infatti, pur permanendo la nomina regia dei ministri, si affermò in via di consuetudine il principio della fiducia data al Governo dalla camera elettiva. Il potere di decisione politica passò quindi dal Re al Governo e quest’ultimo era posto in grado di operare con la collaborazione della maggioranza parlamentare che lo appoggiava. Questa situazione non escludeva tuttavia il mantenimento di un ruolo politico primario della monarchia in materia d’affari militari e rapporti internazionali, come pure non impediva in alcuni momenti della storia italiana un recupero del ruolo governante del re a svantaggio del governo. Questo stato di cose fu evidente in importanti circostanze. Si pensi alla decisione imposta dal re di entrare nel conflitto mondiale nel 1915; inoltre il re mantenne costantemente il potere di nomina dei ministri della guerra, della marina, degli esteri; talvolta, nella prassi dell’epoca, ebbe peso notevole il c.d. “partito di corte”, riunione informale di ministri e parlamentari uniti dal proposito di appoggiare le scelte della corona. Per questo si è parlato di forma di governo pseudo parlamentare. Col crollo del regime fascista, e quindi con l’armistizio, si apre nel 1943 una fase costituzionale transitoria che condurrà, dopo note alterne vicende, all’Assemblea Costituente e quindi alla nuova Costituzione. Il Costituente del 1947 prevede il Governo della Repubblica, delineandone le funzioni negli scarni artt. 92 e 95. I costituenti, infatti, favorevoli al superamento del precedente stato liberale e dello stato autoritario, s’ispirarono a forme conciliative dei propri orientamenti ideologici, connotando con la natura compromissoria il patto costituzionale: orientamenti della componente cattolica, di quella marxista e di quella liberale confluirono in un disegno che, in molti casi, appariva ai primi commentatori come « programmatico » e proprio per tale genericità e a volte sfumature di contenuto, si manifestò in seguito idoneo ad adattarsi costantemente allo sviluppo della società italiana in rapido cambiamento. 12 Per comprendere la forma di Governo italiana delineata dal Costituente del ’48 occorre verificare come il tradizionale principio di divisione dei poteri risalenti all’enunciazione teorica di Montesquieu abbia trovato applicazione; possiamo affermare che esso abbia trovato soltanto una applicazione ideale essendosi combinato anche con il principio pluralistico. La Costituzione italiana del 1948 ha tentato, infatti, di rinvigorire la forma di governo parlamentare ponendo accanto al Parlamento una pluralità di centri di potere, statuali e non, cui è riconosciuto un particolare rilievo: essi sono, oltre al Parlamento, il Presidente della Repubblica, il Governo, la magistratura, gli enti territoriali, la Corte Costituzionale, unico organo cui è demandato il potere di risolvere il conflitto d’attribuzioni tra i poteri dello Stato. La struttura statuale delineata dall’atto normativo fondamentale affianca al principio della divisione dei poteri quello della competenza che contribuisce a definire il nostro ordinamento costituzionale come pluralistico istituzionale o normativo; reduce dall’esperienza fascista, che aveva visto un rafforzamento del ruolo dell’esecutivo, il costituente preferì rinunciare all’opzione per la forma di governo presidenziale che si adattava meglio al sistema bipartitico e optò invece per quella parlamentare conciliabile con il sistema pluripartitico. È quindi introdotto il principio cardine della forma di governo parlamentare: la necessaria sussistenza del rapporto fiduciario che lega il Parlamento al Governo in grado di configurare una sorta di responsabilità politica del Governo nei confronti del Parlamento; il Costituente ha poi introdotto delle peculiarità che caratterizzano la forma di governo italiana rispetto alla forma di governo parlamentare c.d. puro (poteri e ruolo del Presidente della Repubblica). 1.3 Evoluzione della forma di Governo a Costituzione invariata Nel ripercorrere sinteticamente le vicende che hanno portato alla configurazione dell’istituzione Governo va evidenziato che la Costituzione non 13 configura un modello definito e non modificabile dello stesso, funzionale ad una partitocrazia proporzionalista operante all’epoca, dove i governi erano di coalizione e la scelta del Presidente del Consiglio e dei ministri era affidata ai partiti. 8 È stato osservato che la forma di governo voluta dal Costituente delineava un governo debole per tre ordini di motivi: la disciplina costituzionale in tema di funzioni e di struttura di governo è sommaria e dai costituzionalisti ritenuta debole 9 per l’assenza di meccanismi idonei a garantirne stabilità; per la indeterminazione dei poteri (mancando la previsione espressa di poteri di guida dei procedimenti parlamentari e per la mancata definizione dell’organo d’indirizzo politico (Consiglio dei Ministri o Presidente del Consiglio). Peraltro la stessa funzione di governo non era concentrata sul Consiglio dei Ministri sia per la composizione pletorica del consesso, sia per la presenza di comitati interministeriali, nonché per il ruolo dei ministri che agivano più come rappresentanti dei partiti che come capi d’amministrazione. In questa situazione il Parlamento era il luogo del dialogo e del compromesso tra le forze politiche. I motivi della scelta operata dal Costituente erano riconducibili, alla presenza di partiti politici forti reduci dalla partecipazione alla lotta antifascista, facenti capo ai due blocchi internazionali antitetici e determinanti sulla formazione di governi di coalizione. Il Presidente del Consiglio era una figura debole, perché non vi era la coincidenza tipica di altri regimi parlamentari tra premiership governativa e leadership partitica, svolgeva il ruolo di mediatore al fine di garantire l’equilibrio del quadro politico, componendo gli stimoli centrifughi dei partiti e delle loro coalizioni. La presenza di un partito forte come la Democrazia Cristiana ed il suo ruolo d’unione svolto nei confronti degli altri partiti che condividevano la linea politica internazionale del Paese, fecero sì che dalla cosiddetta “democrazia compromissoria“ si passasse al regime di democrazia bloccata in cui la presenza di un partito comunista, collegato al blocco sovietico, comportò l’esclusione di quest'ultimo dalla possibilità di far parte del Governo (cosiddetta conventio ad excludendum); d’altronde la partecipazione del partito comunista ai lavori della Costituente, alla programmazione dei lavori, al procedimento legislativo ed anche 8 V.Lippolis “ La centralità del Governo nel sistema politico .Le specifità del caso italiano” in Il Filangieri Quaderno, ,Jovene editore, 2010. 14 ai regolamenti parlamentari del 1971 impediva la marginalizzazione di un partito che rappresentava un terzo delle forze politiche; il sistema politico assunse un carattere consensualistico ed il Parlamento divenne la sede del dialogo e del compromesso tra le forze politiche di governo da cui il Partito comunista italiano era escluso. Dagli anni 80 ad oggi la Costituzione vive, superando quella concezione di disegno unitario di vita politica e sociale e ha cominciato ad essere trattata e scomposta in parti diverse. Sono cambiati gli equilibri politici, i vari tentativi di razionalizzare il modello parlamentare sono stati vanificati dalle frequenti crisi politiche e dall’avvicendarsi di governi instabili e dalla conseguente difficoltà di realizzare l’unità di indirizzo politico-amministrativo; si pongono pertanto le basi per un progressivo rafforzamento dell’istituzione Governo. La Costituzione del 1948 fu il patto per la pace, ”un accordo pacificatore” che nasceva in una condivisione di pluralismo politico e che, come ogni patto, si fondava su reciproche concessioni tra le posizioni. 10 La Costituzione delinea il Parlamento quale sede istituzionale ove si esplica la rappresentanza politica, dove i parlamentari eletti dal popolo svolgono senza vincolo di mandato le proprie funzioni, esprimendo quella sovranità che, in virtù dell’art. 1 “appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti previsti dalla Costituzione.” Il mutamento degli equilibri internazionali e il superamento della convenzione che vedeva una divisione di ruoli tra Primo Ministro e Segretario di partito (ne sono esempi i Governi Spadolini, Craxi, De Mita) accelera il processo di rafforzamento del Governo. Sulla stessa scia si pone l’approvazione della già citata legge 88/ 400, oggetto di successivo approfondimento per le modifiche alla struttura di governo, nonché sulla struttura amministrativa della Presidenza del Consiglio con il conseguente rafforzamento dei poteri del Premier. Ulteriore elemento è la legge 362 dell’88 che apporta un novum nella disciplina della decisione annuale di bilancio e delle leggi di spesa, introducendo dei vincoli ai procedimenti gestionali in materia di spesa pubblica. 9 Id.op.ult.cit; G.Zagrebelsky in “ Memoria e identità di una nazione” scritto in occasione del 60° anniversario della Costituzione italiana 10 15 Si rafforza la funzione normativa del Governo con il ricorso alla legislazione delegata, a deleghe plurime e deleghe con i decreti correttivi. Tutti questi elementi conferiscono, seppure a Costituzione invariata, al Governo una notevole posizione di vantaggio e rafforzano pure la posizione del Ministro del Tesoro, poi dell’Economia ed indirettamente la funzione di guida e di coordinamento della politica del Governo spettante al Presidente del Consiglio. Non va sottaciuto il contesto storico politico in cui si consolidano le basi del processo evolutivo: il dilagante emergere della corruzione politica unita alla congiuntura economica negativa, i cui sintomi più evidenti furono il rapido incremento del debito pubblico e la svalutazione della lira, la decapitazione del sistema dei partiti sino allora operante per effetto di” Tangentopoli “hanno consentito quello che autorevole dottrina definisce “il superamento della fase del parlamento 11 compromissorio” . Il contestuale crollo del tradizionale sistema dei partiti politici conferisce ai governi succedutisi nel biennio 1992/1994 un’autonomia nuova con riferimento alla determinazione dell’indirizzo politico ed alla formazione della compagine ministeriale. In questa fase il Governo coglie le potenzialità introdotte dalla legge 400/88, consolidando la propria funzione normativa nei rapporti con il Parlamento in crisi di legittimazione per effetto degli scandali che travolgono i partiti storici. Nel periodo della seconda repubblica, storicamente segnato dalle elezioni del 1994, si rafforza la centralità dell’istituzione Governo, senza modificazioni del dettato costituzionale, ma per effetto dell’approvazione di un nuovo sistema elettorale di tipo maggioritario, fondato sui principi del bipolarismo e dell’alternanza, con la formazione di coalizioni preelettorali e l’individuazione preventiva del leader della coalizione. 1.4 L’ascesa dell’Esecutivo nel contesto dell’Unione Europea L’analisi sopradescritta si completa con alcune riflessioni sull’azione propulsiva data alla centralità del Governo dal processo d’integrazione europea. È noto, peraltro, come da diverso tempo si sia verificata un’azione di “ riterritorializzazione del 11 F. Modugno” Lineamenti di diritto pubblico,cit, pag.70 16 potere politico” 12 per corrispondere ad una logica di multilevel governance, ossia un processo decisionale che si articola su più livelli (Europa-Stato-Regioni) al fine di corrispondere al meglio alle esigenze del cittadino. In questo contesto, peraltro comune ad altri Paesi aderenti all’UE, si è determinato un ulteriore rafforzamento degli esecutivi e dei loro leader con margini d’azione sempre più ampi, con lo spostamento dei processi decisionali verso l’alto (livello sopranazionale ed internazionale) e la riduzione degli spazi per gli altri attori coinvolti. Nell’ambito delle istituzioni comunitarie (Consiglio Europeo, Parlamento e Commissione) sono assunte decisioni che condizionano larga parte della tradizionale sovranità dei Parlamenti nazionali. Da più parti si parla, infatti, di marginalizzazione del Parlamento nazionale in relazione alla formazione ed all’attuazione di norme dell’Unione, demandando allo stesso solo l’approvazione della legge annuale comunitaria prevista dalla legge n.89/86 ( legge La Pergola). Tale marginalizzazione è da un lato conseguenza del carattere tecnico delle norme di derivazione europea, dall’altro è correlata alla tempestività con la quale devono essere attuate le norme europee che richiedono processi decisionali spediti. Il processo decisionale comunitario si fonda sul Consiglio Europeo, composto da esponenti dei Governi degli Stati membri ed inoltre, per la peculiarità delle relazioni internazionali, ha visto naturaliter l’affermazione degli esecutivi. Anche in Italia il Parlamento ha svolto un ruolo marginale nel processo di formazione delle politiche comunitarie, esercitando una generica funzione di controllo e di indirizzo sull’esecutivo, peculiare in un sistema di governo parlamentare, ma in realtà poco azionata in relazione alle materie comunitarie 13. Inoltre se in un primo tempo le questioni comunitarie gravitavano nell’ambito delle funzioni del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro per gli Affari Esteri e dei Ministri di volta in volta competenti per materia, attualmente il ruolo del Ministero degli Affari Esteri è stato in parte ridotto, mentre è emersa la figura del Presidente del Consiglio e del Ministro senza portafoglio delegato per le politiche comunitarie. La disciplina delle 10 C.Colapietro” Il governo e la Pubblica Amministrazione,Giappichelli, Torino, 2010, pag.353 17 funzioni e dei ruoli all’interno del Governo in relazione alle politiche comunitarie è il portato dell’evoluzione delle norme e delle prassi e attualmente disciplinato dal combinato disposto della legge n.400/88 e del D.lgs. n.303/99. Va senza dubbio sottolineato che l’evoluzione delle politiche pubbliche dell’UE è determinata dall’esigenza di dare risposte strategiche a problematiche globali d’ampio respiro tipiche dell’epoca contemporanea (emergenza ambientale, crisi-economica finanziaria, flussi migratori e libera circolazione). Ciò ha favorito il frequente ricorso a visioni complessive e articolate che, sebbene modulabili in relazione alle diverse specificità territoriali nazionali, generano un quadro di vincoli e di obiettivi per le politiche nazionali. Le politiche attuate concentrano negli esecutivi e nelle sedi intergovernative sopranazionali l’impostazione degli indirizzi politici, il raccordo dei livelli territoriali e anche il confronto con tutti gli attori istituzionali e socio-economici. Per converso i Parlamenti vengono a svolgere ruoli residuali, prevalentemente di ratifica di soluzioni già definite senz’alcuna partecipazione. Si è assistito negli anni ad una crescita delle istituzioni europee maggiormente politiche 14, per quella caratteristica eziogenesi delle politiche europee che esercitano azioni d’ impulso e d’indirizzo generale. Dal Rapporto 2010 sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea della Camera dei deputati è emerso che gli obiettivi e, spesso, i contenuti delle attività regolative sono determinati dalla Commissione europea deputata all’esercizio della funzione legislativa , ma di fatto sono definiti gli strumenti specifici per il raggiungimento degli obiettivi fissati al massimo livello politico. Anche dopo l’entrata in vigore del Trattato d’Amsterdam, i poteri del Parlamento non sono efficaci, quindi “ Il Governo dell’Unione determina un evidente rafforzamento degli esecutivi “. 15 Si parla dunque di deficit democratico dell’Unione al quale si è cercato di porre rimedio con il Trattato di Lisbona che valorizza la partecipazione dei Parlamenti nazionali nella formazione delle norme ed anche in fase d’attuazione. Viene, infatti, stabilita la garanzia per i Parlamenti nazionali di essere informati direttamente dalla Commissione, nonchè un ruolo di partecipazione nell’ambito dello spazio di libertà e giustizia, per quanto riguarda le cd. 13 Cartabia-Weiler” L’Italia in Europa,Profili istituzionali e costituzionali,Il Mulino,2010,pag.142 R.Zaccaria” Fuga dalla legge-Seminari sulla qualità della legislazione” ed. Grafo 2011 15 Cartabia-Weiler,op.cit; 14 18 norme passerella che permettono di passare da una procedura d’adozione degli atti all’unanimità ad una a maggioranza o da una speciale ad una ordinaria. Al riguardo è emerso che il ruolo del Parlamento nazionale italiano è stato poco attivo in questo senso 16.Dal già citato rapporto 2010 della Camera dei deputati la necessità di rivalutare e rafforzare il ruolo dei Parlamenti nazionali, anche con riferimento agli strumenti strategici e programmatici. Per concludere, sebbene appare claris verbis la centralità del Governo perché collocato in una rete articolata di rapporti politici amministrativi, può ritenersi che la forma di Governo sia in continua evoluzione e tensione, con un obiettivo squilibrio tra Esecutivo e Parlamento, che porta a leggere il quadro nazionale costituzionale attraverso modelli dogmatici diversi da quelli tradizionali individuati dalla dottrina e soprattutto rispetto a ciò che è consacrato nel testo costituzionale. È pur vero in ogni modo che il bisogno crescente di decisioni efficienti richiede un Governo capace di incidere sui processi decisionali, ma questo porta a dubitare della permanenza del binomio Parlamento- sovranità popolare. 16 in Fuga dalla legge, op.cit pag 260,cap.VII si legge che” per l’Italia il c.d metodo” Barroso” ha funzionato poco.Nel 2006-2007 non sono stati emessi pareri; negli anni successivi sono stati pronunciati rispettivamente 8 pareri dalla Camera e 7 dal Senato a fronte degli 83 pareri del Portogallo” 19 CAPITOLO II LA PRIMAZIA DEL GOVERNO NELLA CONTITOLARITÀ DELLA FUNZIONE DI INDIRIZZO POLITICO 2.1 La funzione di indirizzo politico e gli strumenti della sua attuazione Come accennato nel primo capitolo, nel periodo compreso tra gli anni 1992 e 1994 l’adozione di un sistema elettorale maggioritario, sia pure misto, ha avviato una fase di transizione durante la quale l’equilibrio tra Parlamento e Governo si è progressivamente spostato a favore di quest’ultimo, in ragione dell’investitura diretta del corpo elettorale e non più quale risultato di una trattativa tra i partiti basata sulla loro forza in Parlamento 17. Nel nuovo quadro storico, il Governo si è evoluto da un ruolo di esecuzione delle determinazioni politiche del Parlamento a quello di “comitato direttivo della maggioranza parlamentare” nell’espletamento della funzione di indirizzo politico di cui è la sede istituzionale, ai sensi dell’articolo 95, 1 comma, della Costituzione, e che deve condividere con le Camere secondo la dinamica del rapporto fiduciario di cui all’articolo 94. Secondo la più recente dottrina, la distinzione tra le varie forme di governo in un particolare contesto politico è conseguenza diretta delle diverse modalità di ripartizione 17 V. Lippolis, Governare le democrazie.Esecutivi, leader sfide, in il Filangeri, Quaderno 2010, Jovene, pp. 16-19; S. Fabbrini, Governare l’Italia: il rafforzamento dell’esecutivo tra pressioni e resistenze, in il Filangeri, Quaderno 2010, Jovene, pp. 37-38 20 del potere di indirizzo politico nelle fasi teleologica, strumentale ed effettuale in cui esso si esprime 18. In quella teleologica, dove viene instaurata la relazione fiduciaria con l’approvazione della relativa mozione da parte delle Camere nei confronti del programma presentato dal Governo, l’assenso delle Assemblee parlamentari viene ad esprimersi in una “rinuncia a manifestare un proprio autonomo contributo alla determinazione dell’indirizzo, aderendo sostanzialmente all’esposizione del Governo con una motivazione per relationem della fiducia” 19. Nella successiva fase di realizzazione delle politiche pubbliche (ovvero di predisposizione degli strumenti materialmente necessari allo scopo), la “centralità del Governo”, sempre secondo la citata dottrina, si concretizza attraverso “i cosiddetti atti di indirizzo politico che interessano settori di rilievo strategico della politica generale del Governo, nell’ambito dei quali quest’ultimo riveste un ruolo di autentico protagonista nel processo decisionale” 20 . Per la loro importanza nell’esprimere le strategie governative, la menzionata dottrina evidenzia tra le più significative le seguenti: - la politica economica e finanziaria, “le cui scelte sono adottate con la complessiva manovra di bilancio, attraverso la quale le decisioni circa l’allocazione e distribuzione delle risorse vengono articolate su di una pluralità di atti elaborati dal Governo ed in relazione ai quali il potere di introdurre emendamenti in sede parlamentare subisce diverse limitazioni”; - la politica estera, “sia per quanto riguarda i rapporti internazionali - nei quali il Governo ha il compito della concreta negoziazione e stipula dei trattati internazionali ed il cui contenuto è inemendabile in sede di successivo intervento autorizzatorio da parte delle Camere, peraltro non necessario in presenza di accordi conclusi in forma semplificata – sia in 18 C. Colapietro, Il Governo e la pubblica Amministrazione, in Lineamenti di diritto pubblico e cura di F. Modugno, G. Giappichelli Editore, Torino 2010, p. 379 19 Id., op. ult. cit., p. 380 20 Id, op. ult. cit, ibidem 21 merito ai rapporti con le istituzioni comunitarie, detenuti pressoché in via esclusiva, nel nostro come negli altri Paesi dell’Unione Europea, dal Governo, che riveste un ruolo centrale sia nel processo di formazione della posizione italiana in sede comunitaria, sia in sede di adempimento degli obblighi comunitari”; - la politica militare e di difesa, “di cui il Governo è sostanzialmente il titolare e risponde dell’esercizio dei relativi poteri dinanzi le Camere, dal momento che nella prassi viene riconosciuto un primato in funzione operativa dell’esecutivo”; - la politica dell’informazione per la sicurezza pubblica, “di cui l’alta direzione, la responsabilità generale ed il coordinamento sono affidate, ai sensi della legge 3 agosto 2007, n. 124, al Presidente del Consiglio dei Ministri che, a tal fine, viene coadiuvato dal Dipartimento delle informazioni per la sicurezza istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri” 21. Sempre alla luce della citata dottrina, rappresentano altrettanti strumenti per l’attuazione della fase di indirizzo politico tanto i poteri normativi del Governo, quanto il potere di iniziativa legislativa, nonché gli atti concernenti i rapporti con le Regioni e le altre autonomie territoriali (attraverso la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ai sensi dell’articolo 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400 e successive integrazioni) e costituiscono competenza esclusiva del Governo le relazioni con le confessioni religiose e con le organizzazioni sindacali ed imprenditoriali con le quali il Governo può, qualora lo ritenga opportuno in presenza di determinate congiunture economiche, addivenire alla concertazione delle scelte di politica economica 22. Nell’ultima delle menzionate tre fasi (quella effettuale), la centralità del Governo si esprime nell’ambito dell’organizzazione amministrativa dello Stato, sia centrale che 21 22 Id, op. ult. cit, pp. 380-381 Id, op. ult. cit., p 382 22 periferica, sulla quale viene esercitata una competenza esclusiva attraverso l’azione dei Ministri 23. Si soggiunge, sempre al fine di evidenziare la centralità del Governo, che la citata legge n. 400 del 1988 ha rafforzato, nei limiti del dettato costituzionale, le attribuzioni del Presidente del Consiglio dei Ministri (dettagliatamente elencate all’articolo 5) che, a tal fine, è supportato dal Segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri (articolo 18). 2.2 Le vicende del rapporto fiduciario L’articolo 94 della Costituzione, integrato successivamente dalla prassi e dai Regolamenti parlamentari, disciplina in modo dettagliato la relazione fiduciaria che lega il Governo alle Camere. Il Legislatore costituente, che non ha scelto di definire detto rapporto entro un modello di governo rigido, ha voluto, comunque, tutelare la stabilità dell'azione di indirizzo politico del primo dai cosiddetti “eccessi di parlamentarismo” ed, a tal fine, ha razionalizzato sia l’iter dell’atto instaurativo della relazione fiduciaria (mozione di fiducia) che quello dell'atto interruttivo del rapporto fiduciario (mozione di sfiducia) 24. Viceversa la questione di fiducia, non prevista dal dettato costituzionale, è stata disciplinata dalla prassi parlamentare fino a quando è stata introdotta nel 1971 dal Regolamento della Camera dei Deputati all'articolo 116 e, successivamente, nel 1988 da quello del Senato all'articolo 161, nonché, da ultimo, dall'articolo 2, secondo comma, della legge n. 400 del 1988. Relativamente alla mozione di fiducia, la citata norma costituzionale dispone che “il Governo, “entro dieci giorni dalla sua formazione, si presenta alle Camere per 23 24 Id, op. ult. Cit., Ibidem Id, op. ult. cit., pp. 357-363 23 ottenerne la fiducia, che ciascuna Camera accorda o respinge mediante mozione motivata e votata per appello nominale” 25. Conseguentemente, devono essere indicate le ragioni che inducono le Assemblee parlamentari a condividere l’indirizzo politico presentato dal Governo attraverso una votazione per appello nominale, a scrutinio palese e con pubblica assunzione di responsabilità da parte di ciascun parlamentare, con lo scopo di contrastare il fenomeno dei “franchi tiratori”. Inoltre, la mozione in parola deve essere votata a maggioranza semplice dei presenti come richiesto, ai sensi del terzo comma dell'articolo 64 della Costituzione, per tutte le deliberazioni assembleari. Anche la mozione di sfiducia, la cui approvazione da parte di uno solo dei due rami del Parlamento comporta l'obbligo di dimissioni da parte del Governo 26 , viene disciplinata in modo dettagliato sempre a garanzia della stabilità dell’azione governativa. In particolare, il quinto comma dell’articolo 94 dispone che “La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione”. La disciplina in esame impone un “quorum” minimo di presentatori ed una discussione non immediata per consentire ai parlamentari un adeguato spazio di riflessione; deve, inoltre, come per l'atto instaurativo del rapporto fiduciario, essere anch'essa motivata e votata per appello nominale. Sempre a garanzia della stabilità dell'”Esecutivo” si muove anche la disposizione contenuta nel quarto comma dell'articolo 94 della Costituzione, secondo cui “Il voto contrario di una o di entrambe le Camere su di una proposta del Governo non comporta l'obbligo delle sue dimissioni”. 25 26 Articolo 94 della Costituzione, commi 2 e 3 Articolo 94 della Costituzione, comma 1:”Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere” 24 Tuttavia, qualora detta iniziativa risulti fondamentale per la prosecuzione dell’indirizzo politico, il Governo può decidere di dimettersi prendendo atto, nella circostanza, del venire meno della fiducia parlamentare originariamente espressa. Per quanto riguarda l’ultimo dei menzionati “strumenti di misurazione” della relazione fiduciaria, si osserva che la questione di fiducia consente al Governo, oltre che a controbilanciare il potere riconosciuto al Parlamento tramite quella di sfiducia, di rafforzare la sua posizione di organo politicamente direttivo della maggioranza parlamentare. Ciò condizionando la permanenza in carica all'approvazione parlamentare di deliberazioni assembleari ritenute fondamentali per l'attuazione dell'indirizzo politico ed in relazione alle quali l'”Esecutivo” mira, da un lato, a rendere compatta la maggioranza governativa e, dall'altro, a contrastare l'ostruzionismo della minoranza 27. Per la descritta importanza e delicatezza, la decisione di presentare la questione di fiducia spetta al Presidente del Consiglio, previo assenso del Consiglio dei Ministri 28 , ed il voto è, come per le citate mozioni, per appello nominale. Alla luce delle disposizioni costituzionali e regolamentari sopra indicate, le crisi di governo parlamentari si possono realizzare per mancata concessione iniziale della fiducia, anche da parte di una sola delle Assemblee e per interruzione del rapporto fiduciario dovuta ad approvazione di una mozione di sfiducia, oppure conseguente ad un voto contrario delle Camere alla questione di fiducia posta dal Governo. Come evidenziato da autorevole dottrina, in realtà “le crisi che hanno finora interessato gli Esecutivi in Italia sono classificabili come extraparlamentari, in quanto determinate dalle dimissioni spontanee del Governo (ovvero del Presidente del Consiglio dei Ministri) allo scopo di evitare la sanzione formale di un voto parlamentare di sfiducia e sono da ricollegarsi in genere a difficoltà politiche interne 27 28 Id, op. ult.cit., p. 361. Articolo 2, comma 2, legge 23 agosto 1988, n. 400 25 alla coalizione governativa, in relazione alle quali il Governo prende atto di non godere più dell’appoggio di una maggioranza in Parlamento” 29 Come, altresì, evidenziato dal citato Autore, “alcuni Presidenti della Repubblica (Presidenza Pertini) hanno avvertito l’esigenza di parlamentarizzare le crisi invitando il Governo dimissionario a presentarsi alle Camere per esporre le ragioni della crisi e per consentire l’eventuale apertura di un dibattito chiarificatore in merito, diretto, più che a fare rientrare la crisi, a far sì che i partiti assumano le loro responsabilità, anche di fronte all’opinione pubblica” 30 2.3 Riflessi del sistema elettorale vigente sul rapporto Parlamento - Governo Per comprendere gli effetti dell’introduzione del sistema elettorale del 1993 sulle dinamiche Governo - Parlamento, occorre tenere presente che le norme costituzionali in materia di forma di governo sono tuttora a fattispecie aperta, in quanto impongono soltanto l’obbligo del rapporto fiduciario. Ciò in quanto il compromesso tra le più importanti forze politiche presenti nell’Assemblea costituente (rispettivamente di ispirazione cattolica, liberale e socialista/comunista) ha precluso la scelta di una forte istituzione di governo per la “paura del tiranno” sia a seguito della dittatura fascista, sia per l'incertezza sull'esito delle imminenti consultazioni elettorali del 18 aprile 1948. 31 Occorre, altresì, tenere presente che, anche per gli effetti di un sistema elettorale di tipo proporzionale, durante quasi l’intero periodo della Guerra Fredda (1945-1989), l'Italia parlamentare aveva avuto governi generalmente deboli ed instabili, a loro volta espressione di partiti forti e stabili, con il risultato di una democrazia definita “consensuale” dove il Parlamento esprimeva la propria centralità in quanto era la sede 29 C. Colapietro, Il Governo e la Pubblica Amministrazione, op. cit., pp. 362 Id., op. ult. cit. p.363 31 V. Lippolis, Governare le democrazie. Esecutivi, leader sfide, cit. pp. 10-11. 30 26 di formazione dei governi, quale risultato della negoziazione tra le principali forze politiche 32. Solo con la fine della Guerra Fredda si sono attivate dinamiche che hanno portato ad un ricambio personale della élite politica, ad un cambiamento radicale del sistema politico attraverso la scomparsa dei vecchi partiti e la nascita di nuovi e, soprattutto, qualche anno dopo, ad una riforma del sistema elettorale 33. Con le elezioni politiche della primavera del 1994, che vedono l'applicazione di un nuovo sistema elettorale prevalentemente maggioritario introdotto nel 1993 34, si determina il passaggio tra la prima e la seconda Repubblica, fase a partire dalla quale l'istituzione governo si rafforza considerevolmente sia per effetto degli sconvolgimenti che travolgono il precedente sistema politico, sia per l'indubbio collegamento che lega la volontà del corpo elettorale alla scelta del Governo e soprattutto al ruolo del Presidente del Consiglio, che viene pienamente legittimata dall'investitura popolare 35. Infatti, la figura istituzionale del Presidente del Consiglio non è più caratterizzata dall'essere il mediatore in Parlamento di una coalizione che si fonda sulla forza dei partiti (parlamentarismo consensuale), bensì dall'essere il leader di una coalizione che, sulla base di un programma elettorale predefinito, viene condotta al successo. Pertanto, anche se i governi restano di coalizione, la figura del Presidente del Consiglio trova ora una propria caratterizzazione nel ruolo di direzione politica e di 32 S. Fabbrini, Governare l’Italia: il rafforzamento dell’esecutivo tra pressioni e resistenze, Id, op. ult. cit., p. 36 33 Crisi di identità dei maggiori partiti politici italiani (Democrazia Cristiana; Partito Socialista Italiano e Partito Comunista Italiano); affermazione dell’antipolitica ed ascesa di forze politiche nuove quali le Leghe; grave crisi economica ed obblighi imposti dall’Accordo di Mastricht; tangentopoli; attentati di mafia, ruolo dei mass media; referendum abrogativi del sistema elettorale proporzionale sul quale si reggevano i Governi della prima Repubblica 34 Le leggi 4 agosto 1993, n. 276 (Norme per l'elezione del Senato della Repubblica) e n. 277 (Nuove norme per l'elezione della Camera dei Deputati), emanate a seguito degli esiti del referendum popolare del 18 aprile 1993 per l'abrogazione del sistema elettorale proporzionale puro, introducono un sistema elettorale misto con quota maggioritaria al 75% dei seggi parlamentari e per il rimanente 25% prevedono una quota proporzionale alla Camera ed un recupero proporzionale al Senato. 35 V. Lippolis, Governare le democrazie.Esecutivi, leader sfide, in il Filangeri, Quaderno 2010, Jovene, p. 16 - 18. 27 impulso dell'azione governativa della coalizione e viene, soprattutto, supportata da una “investitura popolare” in sede di elezioni 36. Anche la vigente legge elettorale del 2005 37, seppure di impianto proporzionalistico, ma con effetto maggioritario, conferma la trasformazione in atto perché prevede, comunque, l'adesione ad uno schieramento e la designazione, da parte dei partiti, del Capo della coalizione, che costituisce – unitamente al programma della stessa – il “trait d'union” sulla base del quale le forze politiche collegate tra di loro si candidano a governare. Pertanto i tre elementi della combinazione governativa (leader, programma di governo e partiti alleati) che in precedenza erano il prodotto di trattative post elettorali condizionate dalla forza parlamentare acquistata autonomamente da ciascuna forza politica, vengono direttamente presentati al giudizio degli elettori, la cui volontà ha un immediato riflesso nella formazione del governo, in quanto l’espletamento delle fasi preparatorie (consultazione, incarico, nomina e giuramento) risulta molto più celere rispetto al periodo della prima Repubblica 38 Viceversa le procedure preparatorie riassumono tutta la loro originaria importanza e complessità nel caso in cui, durante la Legislatura, si verifichino crisi di governo e si renda necessario riscontrare l’eventuale esistenza di una nuova maggioranza parlamentare prima di poter sciogliere le Camere. In definitiva il nuovo sistema elettorale tende a determinare, per i motivi sopra descritti, non solo l'esito generale di trasferire l'equilibrio tra Parlamento e Governo a favore di quest'ultimo, ma di produrre anche il risultato di rafforzare il ruolo del Presidente del Consiglio 39. Dinanzi a tale obiettivo, autorevole dottrina osserva tuttavia che nel nostro Paese non si è ancora raggiunta la formazione di governi forti e bilanciati (più quelli di centro 36 Id, op. ult. cit. p. 19; Legge 21 dicembre 2005, n. 270, recante “Modifiche alle norme per l'elezione della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica”. 38 V. Lippolis, Governare le democrazie. Esecutivi, leader sfide, in il Filangeri, Quaderno 2010, Jovene p. 18 37 28 sinistra, ma anche quelli di centro destra) a causa della persistente alta conflittualità tra le forze politiche che sostengono le maggioranze e che “avendo ormai perso filtri ideologici o programmatici o etici, (i partiti) sarebbero divenuti terreno di conquista da parte di gruppi, lobbies, associazioni e, talora, di organizzazioni criminali” 40. La medesima dottrina osserva, altresì, che l’ascesa dell’Esecutivo e del suo leader sia “avvenuta in assenza di un sistema regolativo capace di generare i necessari bilanciamenti e controlli, tra i quali un sistema dei media pluralistico nella sua struttura proprietaria accompagnato da una regolamentazione del conflitto d’interessi” 41 . Al riguardo, il riferimento dell’ Autore è verso i governi di centro destra il cui leader (Silvio Berlusconi), “ha sintetizzato in sé il progetto politico della coalizione” sia per la perduta capacità dei partiti storici di acquisire il consenso degli elettori (vedasi nota 11 in merito ai motivi della crisi d’identità dei maggiori partiti politici italiani nel periodo compreso tra il 1992 ed il 1994), sia per l’impiego massiccio della televisione quale strumento prioritario della divulgazione delle notizie e, soprattutto, del loro commento 42 Sotto quest’ultimo profilo, l’Autore sostiene che si è assistito ad un “processo di personalizzazione della politica”, in quanto in “regimi teledemocratici, dal confronto spettacolare tra leader rivali, passano messaggi individuali e non quelli collettivi “. Ulteriore significativa anomalia evidenziata è che “ in nessun’altra democrazia occidentale, il principale imprenditore televisivo privato è divenuto anche il principale imprenditore politico nazionale” 43 Ulteriore critica è posta dall’Autore sugli effetti del vigente sistema elettorale del 2005 “che non consente di vincolare i parlamentari alla lealtà nei confronti dei propri 39 Id., op. ult. cit. p. 19 S. Fabbrini, Governare l’Italia: il rafforzamento dell’esecutivo tra pressioni e resistenze, Id, op. ult. cit., p. 49 41 Id, op. ult. cit. p 51 42 Id, op. ult. cit. pp. 43-44 43 Id, op. ult. cit., p.44 40 29 elettori, essendo stati nominati e non eletti e non dovendo, quindi, rispondere agli elettori ma ai capi di partito”. Aggiunge l’Autore che “una volta che è stata spezzata la connessione elettorale tra il deputato ed i suoi elettori (connessione invece imposta dai collegi uninominali o dal voto di preferenza) i calcoli del primo non debbono prendere più in considerazione le esigenze dei secondi. Ecco perché il rappresentante diventa un “free raider” (nell’arena parlamentare) che genera un neo “Trasformismo storico” che cerca di giustificarsi sulla base dell’esigenza di proteggere particolari comunità o “constituences” elettorali insensibili agli schieramenti politici, ma non ai loro interessi territoriali o funzionali” 44. CAPITOLO III LA FUNZIONE NORMATIVA PRIMARIA DEL GOVERNO 3.1 La funzione normativa primaria nel nuovo rapporto tra Governo e Parlamento. Ė nel periodo della cosiddetta Seconda Repubblica, apertosi con le elezioni politiche del 1994, che si rafforza significativamente la centralità del Governo. A fronte di un Parlamento in crisi di legittimazione, riflesso della crisi che travolge progressivamente i partiti storici della Repubblica, il Governo sa cogliere tutte le potenzialità insite nella L. 23 agosto 1988 n. 400 ( Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), rafforzando la propria funzione di elaborazione normativa. Si afferma l’assoluta predominanza del potere di iniziativa legislativa governativa rispetto a quella parlamentare 45. Tale potere costituisce la forma più importante e 44 Id., op. ult. cit., p. 50 Ciò avviene anche in seguito alla particolare congiuntura economica che, determinando una contrazione delle risorse disponibili, rende decisivo il ruolo del Ministero dell’economia, da cui dipende 45 30 compiuta di iniziativa legislativa, per il fatto che l’Esecutivo può contare, almeno di regola, su una maggioranza parlamentare ed esercitare poteri di condizionamento nella fase della programmazione dei lavori parlamentari e, più in generale, nel corso dell’intero procedimento legislativo. Si assiste al consolidamento del potere normativo del Governo, nella forma dell’utilizzazione sempre più massiccia ed incisiva della decretazione d’urgenza 46 e della delega legislativa. In particolare nell’ultimo quindicennio si assiste ad una straordinaria espansione del ricorso alla delega legislativa. Ciò non soltanto per il numero delle leggi di delega 47, ma anche per l’ampiezza e l’importanza del loro oggetto. In tal senso la delegazione legislativa, resa molto più flessibile dal ricorso alle pratiche di cui si parlerà nei paragrafi successivi delle deleghe plurime e dei decreti correttivi, è stato il principale strumento attraverso cui governi di schieramenti diversi hanno portato avanti le riforme. L’illustrato fenomeno dello spostamento del baricentro dell’equilibrio dei rapporti tra Parlamento e Governo a favore di quest’ultimo attraverso il rafforzamento dell’esercizio del suo potere normativo porta a due considerazioni tra loro collegate: la legge non è più la forma più alta di esercizio della sovranità popolare che si esprime in ultima istanza l’allocazione delle risorse disponibili. Risorse scarse in relazione agli andamenti di finanza ed all’esigenza di mantenere l’equilibrio imposto dalle regole dell’Unione Europea. 46 In particolare si è evidenziato che il ricorso al decreto-legge assume almeno per i grandi interventi, specie in materia economico finanziaria, un carattere sistematico e si calcola che circa il 95% delle decisioni di spesa adottate in Parlamento tra il 2006 ed il 2010 sia passato attraverso disposizioni contenute in decreti-legge. Cfr. U. Zampetti, Evoluzione della legislazione e ruolo del Parlamento, in Rassegna parlamentare, 2011, n.1, pp. 47 ss. 47 Nella XVI legislatura, alla data del 6 maggio 2011, all’interno delle 226 leggi approvate sono contenute 282 disposizioni di delega. Nella XIII legislatura le disposizioni di delega sono state 516 su 906 leggi approvate, nella XIV legislatura 712 su 686 leggi e nella XV, durata solo due anni, 160 su 112 leggi. Alla stessa data del 6 maggio 2011, nella XVI legislatura, i decreti delegati sono stati 139, nella XIII legislatura 378, nella XIV legislatura 288 e nella XV 114. Cfr. V. Lippolis in AA. VV., Governare le Democrazie. Esecutivi, leader e sfide, in Il Filangieri, Quaderni 2010, Napoli, Jovene, pp.22 e 23. 4 Per dei brevi cenni sul ruolo della legge e del Parlamento si veda R .Di Maria, Diritto e questioni pubbliche, n. 10/2010, par. 1. “Introduzione: Ruolo della legge e ruolo del Parlamento: Kelsen, Schmitt, parlamentarismo e Stato legislativo (brevi cenni)”, pp. 305 ss. 5 Si veda F. Modugno, in F. Modugno (a cura di), Lineamenti di diritto pubblico, Torino, 2010, pp. 120 ss; S. Merlini e G. Tarli Barbieri, Il governo parlamentare in Italia, Torino, 2011, pp. 280 ss. 31 attraverso il Parlamento 48; la legge perde la sua caratteristica di contenitore che il Parlamento può riempire di qualsiasi contenuto, purchè conforme alla Costituzione e non riservato ad altre fonti o ad altri poteri. In tal senso si è affermata una corrente dottrinale che parla di “crisi della legge” 49. Con tale formula si abbraccia tanto l’inflazione legislativa (troppe leggi), quanto lo scadimento della qualità della legislazione (leggi spesso mal scritte) e in particolare l’impoverimento del ruolo della legge (perdendosi in casi secondari spesso la legge smarrisce il suo ruolo di guida del sistema, che la sua natura di fonte primaria per eccellenza le assegnerebbe). Una “crisi della legge” che è il risultato del passaggio dalla società omogenea dello Stato liberale borghese alla attuale società disomogenea, in cui la legge si afferma come modello di regolazioni diversificate, articolate e settoriali, meglio rispondenti alle richieste provenienti da una società pluralista 50. L’incidenza sulla legislazione nazionale di fattori esterni dettati dal processo di integrazione europea e, in modo sempre più crescente, dalla globalizzazione porta ad affermare che più che una “crisi” di contenuto, apparendo lo stesso quasi obbligato, si possa parlare di una “crisi” del sistema. Attualmente, infatti, si assiste all’affermazione di un principio di pluralismo istituzionale e normativo, quindi ad un sistema delle fonti organizzato per competenze, ed al superamento del tradizionale sistema delle fonti di tipo gerarchico 51. 50 “La legge parlamentare diviene anche strumento di realizzazione dell’integrazione sociale, soprattutto mediante l’intervento sempre più massiccio in campo economico. E perde la sua centralità anche in altro senso per effetto della inadeguatezza dell’intervento statale a fronte di problemi complessi, quali gli squilibri economici tra le diverse aree mondiali o la globalizzazione dei mercati, che richiedono forme di collaborazione e cooperazione transnazionali.” F.Modugno, in F. Modugno (a cura di), op. cit., 2010, p. 121. 51 V. Lippolis, nota che la legislazione delegata è lo strumento privilegiato per l’attuazione delle Direttive dell’Unione Europea. “Ed in effetti se si scompone il dato relativo ai decreti delegati” della XVI legislatura “sempre alla data del 6 maggio 2011, risulta che ben 107 sono dovuti alla trasposizione di norme europee”. V.Lippolis, AA. VV., op. cit., p.23. 32 Una “crisi” la cui analisi è importante per i suoi riflessi sul rapporto tra assetto delle fonti e forma di governo. Un rapporto duplice, nel senso che da un lato il sistema di produzione normativa è indice rivelatore degli equilibri sussistenti a livello di forma di governo; dall’altro l’evoluzione della forma di governo è destinata ad influenzare l’assetto delle fonti 52. 3.2 Le leggi delegate Il potere normativo primario del Governo si esprime attraverso le leggi delegate (decreti legislativi) e la decretazione d’urgenza (decreti-legge). Una premessa. Gli articoli 2 delle disp. prel del cc., 15 del t.u. 1092/1985 e 14, 15 e 16 della L. 400/1988 usano, per gli atti di normazione primaria del Governo, la dizione di “atti equiparati alla legge ordinaria”. Tale dizione conferma la derivazione dal parlamentarismo affermatosi all’inizio del novecento dell’assetto dato all’attività legislativa dai padri costituenti dopo il secondo conflitto mondiale: l’”ordinarietà” dell’esercizio della funzione legislativa in capo al Parlamento (art.70 della Costituzione) e l’ ”eccezionalità” dell’esercizio della funzione medesima in capo al Governo (artt. 76 e 77 della Costituzione): atti “speciali” e “specializzati” rispetto alla legge “ordinaria” del Parlamento. Una strutturazione dell’attività legislativa che, per la laconicità dei limiti fissati dalla Costituzione, esalta l’attività interpretativa che si esprime attraverso la giurisprudenza della Corte Costituzionale, che non ha potuto che cavalcare il prepotente fenomeno del rafforzarsi dell’attività normativa del Governo, ponendo dei paletti a quest’attività, ma non potendo al contempo che prendere atto dell’ineluttabilità di tale evoluzione. L’attività legislativa del Governo è prevista dagli artt. 76 e 77 della Costituzione. L’art. 76 prevede che ciascuna delle Camere in Assemblea plenaria possa trasferire mediante legge di delega l’esercizio della funzione legislativa al Governo. Ciò può 52 Cfr. A., Pizzorusso, Sistema delle fonti e forma di Stato e di governo, in Quad. cost., 1986, pp.217 ss. 33 essere fatto solo riferendosi ad oggetti definiti, per un tempo limitato e con l’individuazione di principi e criteri direttivi che indirizzino l’attività legislativa delegata al Governo. Nella definizione del rapporto tra la legge di delega ed il decreto legislativo delegato si è assistito ad un’evoluzione sia della dottrina che della giurisprudenza costituzionale, per cui la legge di delega, se all’origine era considerata soltanto “fonte di produzione” dei decreti legislativi priva di una qualche efficacia erga omnes, ora viene vista come un vero e proprio atto normativo; cioè atto diretto a porre, con efficacia erga omnes, norme legislative costitutive dell’ordinamento giuridico che si caratterizzano per la particolare struttura ed efficacia di norme contenenti principi e criteri direttivi. In tal senso sembra potersi affermare che la legge di delega, proprio per le limitazioni che devono essere imposte a sua cura al decreto legislativo, crea in un certo senso un potere legislativo nuovo. Potere certo discrezionale, ma non libero nei fini, proprio per effetto della determinazione parlamentare dei principi e dei criteri direttivi. Quindi, specializzato per definizione. Ė proprio sull’elasticità dei due termini, unitarietà dell’oggetto e determinazione dei criteri direttivi contenuti nella legge di delega, che si è giocata, e ancor oggi si gioca, la possibilità per il Governo, nella emanazione dei conseguenti decreti legislativi, di estendere la propria attività normativa. In tal senso la giurisprudenza costituzionale ha avallato il fenomeno per cui la legge di delega, accanto al contenuto minimo e necessario individuabile nelle disposizioni che disciplinano direttamente e con immediata efficacia la materia deleganda (cioè quelle che contengano principi, criteri e indirizzi per il Governo), può contenere anche disposizioni che pongono ulteriori limiti all’attività governativa, senza però disciplinare immediatamente e direttamente gli oggetti su cui si opera la delega. In tal senso la Consulta ha affermato che i principi ed i criteri direttivi cui fa riferimento l’art. 76 della Costituzione possono essere desunti anche per relationem, con riferimento a fonti normative esterne alla stessa legge di delega e, comunque, anche attraverso il richiamo ai principi generali eventualmente stabiliti dalla medesima legge. 34 Se le norme deleganti non possono essere così generiche da essere riferibili indistintamente a materie vastissime ed eterogenee, pure non possono esaurirsi nella mera enunciazione di finalità, ma devono essere idonee ad indirizzare concretamente ed efficacemente l’attività normativa del Governo, senza con ciò eliminare ogni discrezionalità nell’esercizio della delega, in modo che resti pur sempre salvo il potere di valutare le specifiche e complesse situazioni da disciplinare 53. Da ciò l’affermarsi del fenomeno delle “vaste deleghe”. Cioè di quelle deleghe aventi oggetti di notevole ampiezza e complessità riconducibili ad una materia unitaria, ma anche ad una pluralità di materie. In questa prospettiva vanno visti i fenomeni delle “deleghe plurime” e dei ”decreti correttivi”. Il fenomeno delle “deleghe plurime” è previsto dalla L.400/1988. Il comma 3 dell’art. 14 prevede la possibilità che, ove la delega si riferisce ad una pluralità di oggetti distinti e suscettibili di separata disciplina, “il Governo può esercitarla mediante più atti successivi per uno o più degli oggetti predetti”. Con i “decreti correttivi”, intende farsi riferimento a quei decreti legislativi che rinviano la piena attuazione della delega a ulteriori decreti del Governo, limitandosi a prevedere la procedura per la loro emanazione. Ritornando alle considerazioni svolte alla fine del precedente paragrafo circa l’evolversi del sistema delle fonti normative, sembra che il rapporto tra la legge di delega, che si pone come norma sulla produzione legislativa autorizzata da una norma di rango costituzionale (art.76 Cost.), ed il decreto legislativo delegato esemplifichi bene il richiamato fenomeno della pluralizzazione e differenziazione delle fonti che ormai caratterizza il livello primario, scompaginando il tradizionale sistema gerarchico delle fonti 54. 53 In tal senso si veda la sentenza della Corte Costituzionale n. 156 del 1987. F. Modugno nota che ”I decreti legislativi delegati, infatti sono sì fungibili con la legge parlamentare (hanno forza di legge), ma incontrano il limite della legge di delega, la quale,” in quanto norma interposta tra la previsione costituzionale dell’art.76 ed il singolo decreto legislativo, “a sua volta, è posta in una posizione speciale rispetto ai ‘suoi’ decreti delegati (ha quindi valore diverso dalle altre leggi). Qui – ed è un caso classico – la gerarchia non funziona”, in F. Modugno (a cura di), op. cit., 2010, p.131. 54 35 3.3 La decretazione d’urgenza La decretazione d’urgenza del Governo, che si manifesta con l’emanazione dei decreti-legge, trova il suo fondamento nell’art. 77 della Costituzione che ne prevede l’adozione “in casi straordinari di necessità e d’urgenza”. Anche nel caso della decretazione d’urgenza balza evidente la laconicità dei limiti posti dalla Costituzione all’esercizio di tale potestà normativa. La Costituzione definisce i decreti-legge come “provvedimenti provvisori con forza di legge”, ponendo al centro il Governo, che risulta essere il primo giudice della necessità e dell’urgenza del provvedere. L’esistenza di tali presupposti e della connessa straordinarietà delle circostanze che li determinano sono rimesse alle valutazioni ed alle scelte soggettive del Governo, in relazione alla realizzazione ed allo sviluppo del suo programma politico. In che modo i limiti costituzionalmente posti alla decretazione d’urgenza del Governo hanno trovato attuazione e sono stati interpretati? Occorre puntualizzare che l’appellativo dato a questi atti dall’art.77 della Costituzione di “provvedimenti provvisori con forza di legge” non esclude che i decretilegge possano ben contenere, come di regola contengono, vere e proprie prescrizioni ripetibili. Caratteristica dei decreti-legge, quanto al loro contenuto, non è dunque la concretezza, l’individualità o l’irripetibilità che dir si voglia (caratteristiche queste del provvedere), quanto l’omogeneità sostanziale dell’oggetto su cui devono vertere 55. La A complemento delle considerazioni sopra svolte si richiamano, senza poter procedere al loro sviluppo, e a riprova della varietà del fenomeno della delegazione legislativa a favore del Governo i fenomeni delle c.d. “deleghe accessorie” (contenenti cioè le norme di attuazione, di coordinamento e transitorie di leggi organiche di riforma) o delle deleghe per la redazione di Testi Unici, anche in materie di notevole importanza. In tal senso si vedano V. Lippolis, in AA. VV., op. cit., p.23 e R. Di Maria, op. cit., p.329 nota 84, ed i riferimenti in essa contenuti. 55 Cfr. le sentenze della Corte Cost. 171/2007 e 128/2008 che hanno fatto leva sulla “disomogeneità” del decreto, che però non si traduce in vizio di costituzionalità dello stesso, ma è mero sintomo dell’ “evidente mancanza” dei presupposti per la sua adozione. Sono interessanti in merito le precisazioni di parte della dottrina che si esprime nelle seguenti parole di A. Ruggeri: “non è detto…che le norme omogenee siano” per ciò solo “giustificate in relazione alla situazione di fatto che ne determina l’adozione….nulla in partenza esclude che uno stesso atto possa simultaneamente volgersi a far fronte ad una medesima situazione straordinaria con norme eterogenee ovvero a situazioni diverse ma ugualmente “straordinarie” e che dunque allo scopo si doti di norme 36 molteplicità di disposizioni di un decreto legge dovrebbe essere riconducibile ad un unitario principio ispiratore, pena la sua illegittimità (tale sembra essere il caso dei c.d. decreti-legge omnibus, nei quali confluiscono talvolta più disegni di legge o spezzoni di disegni di legge, spesso contenenti norme disparate risalenti a necessità urgenti di diversa tipologia). Sulla definizione dell’oggetto dei decreti-legge, l’art. 15 della L. 400/1988 interviene sia attraverso un procedimento ad excludendum, individuando cioè al comma 2 le materie nelle quali è escluso l’intervento del Governo con la decretazione d’urgenza; sia individuando al comma 3 le caratteristiche delle norme in essi contenute: “I decreti devono contenere misure di immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo”. Nell’ottica di una definizione dei limiti della decretazione d’urgenza, alla luce della segnalata laconicità dei paletti posti dall’art. 77 della Costituzione, quale efficacia può essere riconosciuta ai limiti posti dall’art. 15 richiamato? Una risposta a questa domanda può derivare da un’altra: per come il decreto-legge si è venuto configurando nella prassi, esso è sempre riconducibile al modello disegnato dall’art. 77 della Costituzione? Certo è che attualmente il decreto-legge da strumento eccezionale di normazione è diventato strumento di normazione ordinaria, quasi soppiantando la stessa legge formale 56. Esso appare sempre più un tipo di atto normativo primario, di per sé a competenza generale, che conosce eccezioni o sottrazioni di competenze nominative ed elencate, quindi insuscettibili di estensione analogica. Ecco quindi svilupparsi una corrente dottrinale 57 secondo cui il decreto-legge è riconducibile a due tipi diversi di atti normativi, che, pur avendo tratti caratteristici comuni, rispondono a due matrici diverse: un decreto-legge “ordinario” ed un decreto- congrue in rapporto alle situazioni stesse, proprio per ciò disomogenee” in A. Ruggeri, “Evidente mancanza” dei presupposti fattuali e disomogeneità dei decreti-legge (a margine di Corte cost. n. 128 del 2008), in giurcost.org. 56 In tal senso si veda, con riferimento agli anni tra la metà degli ’70 e la metà degli anni ’90, A. Celotto, L’abuso del decreto legge, Padova, 1997. 37 legge “straordinario”. A fronte di questa dualità, l’efficacia vincolante dei limiti posti al decreto-legge dal comma 2 dell’art. 15 della L. 400/1988 si espliciterebbe pienamente nel solo caso della decretazione “ordinaria”. In effetti l’efficacia vincolante dei limiti posti dall’art. 15 può escludersi nel caso del decreto-legge “straordinario”, adottato nei casi di necessità assoluta, indifferibile (art. 77 Cost.). Ma nel caso di decreti-legge “ordinari”, ove cioè sia presente una relativa straordinarietà, certa dottrina 58 ha considerato la possibilità che una legge ordinaria (vedasi per l’appunto l’art. 15 della L. 400/1988) stabilisca limiti ulteriori di legittimità, dato il rapporto istituzionale esistente tra Parlamento e Governo ed il conseguente effetto condizionante che ogni legge, specie se organica, ha nei confronti degli atti legislativi del Governo su cui opera. Naturale sviluppo delle considerazioni sopra svolte è l’analisi, seppure per sommicapi, dell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale in tema di vizi del decreto-legge. Un momento di snodo ed evoluzione della giurisprudenza si è avuto nel biennio 1995/1996, in particolare con la sentenza n. 29/1995. Prima di detta pronuncia era pacifico che i decreti-legge una volta convertiti erano in ogni caso da considerarsi assorbiti dalla legge di conversione (un fenomeno di novazione della fonte) e, prima della conversione, non poteva operarsi alcun controllo sulla sussistenza dei presupposti e sugli eventuali vizi, se non nel ristretto tempo (60 giorni) della loro vigenza. Con la sentenza 29/1995 si pone in essere un fondamentale cambiamento di rotta, nel senso 57 Cfr F. Modugno, in F. Modugno (a cura di), op. cit., 2010, pp.140 e 141. Una posizione per la verità minoritaria, pur se autorevole. Si veda C. Esposito, Decreto legge, in Enc. Dir., XI, Milano, 1962, pp.835, 840 ss.; C. Lavagna, Istituzioni di diritto pubblico, VI ed., Torino, 1985, pp.321 ss. Tale teoria è stata recentissimamente ripresa da A. Celotto che, nel valutare negativamente il fenomeno recente della trasmissione al Parlamento dei decreti-legge per la loro conversione oltre il termine perentorio del “giorno stesso” della loro adozione, come previsto dall’art. 77 Cost., afferma: “Accanto al decreto-legge ‘normale’, rigorosamente conforme alla interpretazione dell’art. 77, che attribuisce al decreto-legge la natura di atto legislativo indifferibile, ma provvisorio, si è pian piano consolidato un suo secondo tipo che fa del decreto-legge un atto di mera anticipazione legislativa , destinato ad introdurre una disciplina immediata, ma tendenzialmente stabile”. A. Celotto, Ormai è crollato anche il requisito costituzionale della “immediata presentazione” del decreto-legge alla Camere (prendendo spunto dal D.L. n. 98 del 2011)”, rivista AIC n. 3/2011 del 19/07/2011, www.associazionedeicostituzionalisti.it. 58 38 della sindacabilità in ogni tempo dei decreti-legge, con riferimento alla sussistenza nel caso concreto dei presupposti della necessità ed urgenza. Tali presupposti sono requisito di validità costituzionale del decreto-legge, la cui “evidente”, “chiara e manifesta” mancanza configura un vizio di legittimità costituzionale del decreto-legge, ed un vizio in procedendo della sopravvenuta legge di conversione, avendo quest’ultima valutato erroneamente l’esistenza di presupposti di validità in realtà inesistenti 59. Il vizio dell’ “evidente mancanza” dei presupposti è quindi rilevabile in ogni tempo, indipendentemente dalla sopravvenuta legge di conversione 60. Altro tema sul quale la Corte ha dovuto esprimersi è il fenomeno della reiterazione del decreto-legge. L’art. 15 al comma 2 lett. c della L. 400/1988 vieta la rinnovazione delle disposizioni dei decreti-legge dei quali sia stata negata la conversione in legge con il voto contrario di una delle due Camere. Da ciò deriva che, nell’ipotesi di mancata conclusione del procedimento di conversione in legge nel termine (60 giorni) previsto dal comma 3 dell’art. 77 della Costituzione, il Governo potrebbe rinnovare le disposizioni contenute nel decreto non convertito, ove persistano i presupposti di necessità ed urgenza. L’uso crescente del ricorso alla reiterazione ha spinto la Corte, dapprima con la sent. 84/1996, ad affermare che la modifica della disciplina impugnata a cura dell’ultimo decreto di una catena che si è venuta svolgendo nelle more del giudizio di costituzionalità determina il trasferimento della quaestio al decreto-legge in vigore (e non ancora convertito), in mancanza di mutamento del contenuto normativo. Ma nel caso in cui nella nuova disciplina il contenuto precettivo essenziale del decreto-legge impugnato fosse mutato, la Corte dovrebbe restituire gli atti al giudice a quo per il riesame della rilevanza. 59 Dopo aver ribadito con la sent. n. 341/2003 il principio affermato con la sent. n. 29/1995, la Corte ha dichiarato per la prima volta con la sent. n. 171/2007 l’incostituzionalità di un decreto-legge convertito per l’evidente mancanza dei suoi presupposti di legittimità. Tale indirizzo è stato confermato poco dopo con la sent. n. 128/2008. 16 F. Modugno precisa “ ‘evidente’ e non ‘semplice’ perché la Corte non vuole (non può?) sovrapporsi al giudizio di tipo politico svolto dal Parlamento in sede di conversione.” In F. Modugno (a cura di), op. cit., p.135. 39 Ma in seguito, con l’ord. n. 197/1996, spostando il parametro di giudizio dalla esistenza nel decreto impugnato delle condizioni di necessità ed urgenza, invocato dal giudice a quo, al parametro della provvisorietà della disciplina posta dal decreto-legge (art. 77, comma 3 Cost.), la Corte solleva dinanzi a sé la questione relativa al decreto vigente per il fatto di aver rinnovato attraverso la reiterazione l’efficacia di norme decadute, in seguito alla mancata conversione nel termine fissato dalla norma costituzionale, di un precedente decreto-legge che le prevedeva. Viene così in primo piano la problematica della riproduzione o reiterazione dei decreti-legge, che diviene motivo autonomo di illegittimità costituzionale, sganciato da quello della sua adozione in carenza di presupposti. Ė con la sentenza 360/1996 che la Corte, nel condannare il fenomeno della prassi della reiterazione 61, definisce i limiti entro cui la iterazione possa dirsi legittima: la diversità sostanziale dei contenuti normativi oppure la presenza di presupposti giustificativi nuovi di natura straordinaria. Se quindi il decreto-legge vigente al momento del giudizio ha introdotto “variazioni formali e sostanziali” rispetto ai decreti impugnati, il giudizio non può venire trasferito su di esso. Ma in caso di trasferimento tout court di disposizioni del decreto impugnato nel decreto vigente, il trasferimento del giudizio di costituzionalità è possibile, così permettendo di trarre ad oggetto del giudizio il fatto stesso della riproduzione di decreti-legge di contenuto sostanzialmente identico. Ma a ben vedere il divieto di reiterazione appare aggirabile: basta dimostrare l’accresciuta o persistente necessità e urgenza del provvedere, sia pure fondandola su motivi diversi. E non solo. La Corte nella medesima sentenza fa salvi i decreti già 61 La Corte nella sent. 360/1996 nel punto 4 del considerato in diritto affermava che il decreto-legge reiterato ”lede la previsione costituzionale sotto più profili…..altera la natura provvisoria della decretazione d’urgenza procrastinando, di fatto, il termine invalicabile previsto dalla Costituzione per la conversione in legge…..toglie valore al carattere straordinario dei requisiti della necessità e dell’urgenza, dal momento che la reiterazione viene a stabilizzare e a prolungare nel tempo il richiamo ai motivi già posti a fondamento del primo decreto….attenua la sanzione della perdita retroattiva di efficacia del decreto non convertito, venendo il ricorso ripetuto alla reiterazione a suscitare nell’ordinamento un’aspettativa circa la possibilità di consolidare gli effetti determinati dalla decretazione d’urgenza mediante la sanatoria finale della disciplina reiterata”. 40 convertiti in legge o che stanno per essere convertiti in legge alla data della decisione. Quindi per essere effettivo il sindacato della Consulta dovrebbe intervenire prima della conversione in legge o della sanatoria. La sent. 360/1996 sembra in effetti aver escluso la trasmissione alla legge di conversione del vizio in procedendo del decreto illegittimamente reiterato. Prima di passare alle conclusioni di questo paragrafo, è interessante riferire della recente sentenza della Corte Costituzionale n. 22/2012, depositata il 16 febbraio 2012. In questa sentenza è stata dichiarata l’incostituzionalità parziale dell’art. 2, comma 2 quater del d.l. 225/2010 (convertito in legge, con modificazioni, con l. 10/2011), per avere la legge di conversione introdotto le norme impugnate, non facenti parte del testo originario del decreto sottoposto alla firma del Presidente della Repubblica, e per le quali risulta “palese l’estraneità (…) rispetto all’oggetto e alle finalità del decretolegge”. La sentenza, nel confermare la più recente giurisprudenza costituzionale (sentt. n. 171/2007 e n. 128/2008) che "collega il riconoscimento dell’esistenza dei presupposti fattuali, di cui all’art. 77, secondo comma, Cost., ad una intrinseca coerenza delle norme contenute in un decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico”, aggiunge un nuovo profilo di analisi collegato col fenomeno dell’introduzione, a cura della legge di conversione, di norme nuove, non presenti nel decreto-legge. Questa sentenza ferma la sua attenzione sul momento della conversione in legge, affermando che tale procedimento si imbatte nel “vincolo costituzionale dell’omogeneità” delle modifiche apportate dal Parlamento rispetto al testo da convertire. In assenza di tale omogeneità, e la modificazione approvata dal Parlamento sia da ritenersi “del tutto estranea (per oggetto o finalità)” al testo del decreto da convertire, si ha l’illegittimità costituzionale della disposizione modificativa posta in essere dalla legge di conversione. Ma, e in ciò consiste la novità di questa decisione, l’illegittimità costituzionale non è imputabile all’assenza dei presupposti di necessità ed urgenza delle disposizioni introdotte, bensì è conseguenza, rileva per la prima volta la Corte, di un “uso improprio” del potere parlamentare di conversione, contrario alla disciplina 41 costituzionale del suo procedimento, che si caratterizza per la sua peculiarità e tipicità 62. Sembra quindi possibile affermare che il fenomeno comunemente etichettato come “abuso del decreto-legge” sia una delle esemplificazioni del progressivo mutamento dell’equilibrio tra Governo e Parlamento - nel caso di specie relativamente all’esercizio della potestà normativa di rango primario – indotto altresì dal più generalizzato ed obiettivo mutamento, a Costituzione invariata, della forma di governo italiana o, meglio, della complessiva trasformazione del quadro politico repubblicano. Sotto questo profilo, non pare un caso che la ”svolta” nella giurisprudenza costituzionale italiana si collochi proprio all’alba della transizione dalla I alla II Repubblica, nel pieno della trasformazione in senso maggioritario della forma di governo parlamentare italiana. Certo la natura della legge di conversione come atto che determina un fenomeno di novazione della fonte, per cui la stessa può essere vista come strumento con cui restaurare il principio costituzionale che affida alle Camere l’esercizio ordinario della funzione legislativa, non esclude che i decreti-legge, in quanto tali, concorrano con la legge ordinaria e, sia pur provvisoriamente e precariamente, possano sostituirne le disposizioni. Sembra, quindi, che anche attraverso “l’uso” o “l’abuso” della decretazione d’urgenza trovi conferma la considerazione fatta alla fine del primo paragrafo di questo capitolo: attualmente si assiste all’affermazione di un principio di pluralismo istituzionale e normativo, quindi ad un sistema delle fonti organizzato per competenze, ed al superamento del tradizionale sistema delle fonti di tipo gerarchico. 62 Si vedano anche le lettere del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano del 22 febbraio 2011 e 23 febbraio 2012, quest’ultima direttamente collegata con la sent. della C. Cost. 22/2012, inviate ai Presidenti delle Camere e al Presidente del Consiglio dei Ministri, in cui si stigmatizza il fenomeno in esame. In www.quirinale.it. 42 Capitolo IV LA FUNZIONE NORMATIVA SECONDARIA DEL GOVERNO 4.1 La funzione normativa secondaria nel sistema delle fonti del diritto Nel complessivo quadro istituzionale 63, contestualmente ad una sempre maggiore erosione delle attribuzioni amministrative dell’esecutivo, è dato oggigiorno riscontrare il considerevole incremento delle sue funzioni normative secondarie 64. 63 In cui si è avuto già modo di enucleare il ruolo del Governo quale organo politico direttivo in ragione della sensibile valorizzazione delle funzioni di direzione politica. 64 Su quelle primarie, similmente, V. supra, CAP. III, in particolare § 3.1; sul punto, C. COLAPIETRO, in F. MODUGNO (a cura di), Lineamenti di diritto pubblico, Torino, 2010, p. 378. 43 Più in generale, la categoria delle fonti secondarie comprende tutti gli atti espressione del potere normativo della pubblica amministrazione statale o di altri enti pubblici, trattandosi di atti formalmente amministrativi, ma sostanzialmente normativi 65. Nell’ambito delle fonti “secondarie”, sul piano positivo, i regolamenti sono definiti, in sede legislativa, quali “atti amministrativi generali a contenuto normativo” (art. 14 del D. P. R. 24 novembre 1971, n. 1199, in materia di ricorsi amministrativi), mentre la loro previsione generale in termini di fonti del diritto si rinviene nelle disposizioni preliminari al codice civile (art. 3) 66. In tale contesto, al livello secondario propriamente pertengono, in virtù del principio della gerarchia delle fonti del diritto 67, gli atti normativi secondari o derivati, sia di provenienza statale, governativa o non, sia di provenienza autonoma 68. 65 Sotto la denominazione di regolamenti, invero, “si raggruppa una vasta gamma di attività normative, diverse tra loro, che può trovare un comune denominatore nel concetto di autonomia, così generico e vago però da non illuminare molto circa le caratteristiche da cui sono contraddistinti. Sono da menzionare anzitutto: 1) i regolamenti disciplinanti l’attività degli organi costituzionali (come le camere del parlamento, la corte costituzionale) aventi efficacia non puramente interna; 2) i regolamenti degli enti autarchici e gli atti normativi degli enti pubblici (statutari, per quelli fra essi dotati del potere di autorganizzazione, e regolamentari); 3) i regolamenti delle autorità governative, centrali o locali”. Così, C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1975, pp.349 e 350. Le fonti secondarie si distinguono, pertanto, in regolamenti, ordinanze e statuti degli enti minori e in quanto atti amministrativi sono soggetti alle leggi e a tutti gli atti di pari grado e forza. Per la conseguenza, non possono derogare, né contrastare non solo con le norme costituzionali, ma neanche con tutti gli atti legislativi ordinari, rilevandosi pertanto che non hanno forza, né valore di legge, ma solo forza normativa, cioè non possono equipararsi alle leggi, pur disponendo comunque di una forza giuridica, che le pone specificamente tra le fonti di diritto. Tale rilievo, come noto, non è privo di significative conseguenze pratiche: a) sotto il profilo delle regole di interpretazione; b) del principio jura novit curia; c) del regime d’impugnazione scaturente dalla loro violazione; d) del costituire, solo le norme di diritto, parametro del giudizio; e) capaci queste ultime di determinare particolari qualificazioni dei fatti, quali la legittimità e l’antigiuridicità. Cfr., in particolare: F. MODUGNO, (a cura di -) Lineamenti di diritto pubblico, Op. cit., , pp. 87 e 88. 66 “ Il potere regolamentare del Governo è disciplinato da leggi di carattere costituzionale. - Il potere regolamentare di altre autorità è esercitato nei limiti delle rispettive competenze, in conformità delle leggi particolari”. L’art. 4: “ Limiti della disciplina regolamentare.- I regolamenti non possono contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi. - I regolamenti emanati a norma del secondo comma dell’art.3 non possono nemmeno dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo “. 67 Non possono essere sottaciute le difficoltà ermeneutiche connesse al ridetto criterio discretivo, considerato che la stessa categoria è a sua volta frazionabile in una pluralità di livelli e che tra essi non può escludersi, anche sul piano dell’efficacia, una totale impenetrabilità tra i modelli (sul punto, in particolare, circa il problema della delegificazione: infra, questo Cap. IV, § 4.3). 68 Si ritiene, in generale, che le fonti di livello primario possano creare a loro volta fonti di livello secondario, cioè di livello inferiore a se stesse; così dunque per gli statuti di enti locali (disciplinati per la prima volta dalla legge 142/1990 e ora citati dall’art.114 della Cost., nella nuova formulazione risultante 44 Invero, la riserva di legge ed il principio di legalità, così come ricevuti dalla dominante dottrina costituzionalistica, impongono limiti all’espressione del potere normativo del Governo, i cui confini non appaiono certi e definiti, laddove la legge 23 agosto 1988, n. 400 ha regolato i poteri normativi secondari dell’Esecutivo, fissandone l’attribuzione della competenza a porre in essere regolamenti 69. Da rimarcare, al riguardo, è che i richiamati generali principi cardine del sistema delle fonti sono da riguardare proprio alla luce del rilievo e delle linee direttrici afferenti alla dinamica coinvolgente il concreto rapporto tra l’organo legislativo e quello esecutivo; sicché quest’ultimo è giunto ad assumere sempre di più, parallelamente alla ricordata svolta maggioritaria, il ruolo di nucleo direttivo delle scelte politiche fondamentali, pervenendo a rivestire una centralità inedita nel rapporto con il Parlamento, in luogo della precedente “centralità parlamentare” 70, con evidenti riflessi anche a livello “secondario” di esercizio delle funzioni normative. 4.2 I regolamenti dell’Esecutivo Sul piano costituzionale, significative indicazioni si traggono dall’art. 87, 5° comma, che prevede la competenza ad emanarli in capo al Presidente della Repubblica, nonché attualmente dall’art. 117, 6° comma, il quale limita la potestà regolamentare del Governo alle sole materie sulle quali lo Stato ha potestà legislativa esclusiva, riservando alle Regioni il potere regolamentare in tutte le altre materie. Con specifico riguardo ai regolamenti governativi 71, attualmente la materia è stata ex novo regolata dall’art. 17 legge 23 agosto 1988, n. 400 72 ed alla stregua di tale ultima dalla legge cost. n. 3/2001) e per i regolamenti delle autorità indipendenti; sul punto, V. anche: F. MODUGNO, Op. cit., p. 86, 98. 69 Vale a dire che al Governo è riconosciuto l’esercizio di tale competenza in virtù di quella generale attribuzione e non a condizione che singole leggi di volta in volta lo autorizzino; Cfr. ID., Op. cit., p. 102. 70 In relazione alla illustrata transizione del ruolo del Governo da “comitato esecutivo delle scelte politiche generali compiute dal Parlamento” a quello di “comitato direttivo della maggioranza parlamentare”, V. anche, supra Cap.II, § 2.1. 71 Invero, l’attribuzione della relativa potestà all’Esecutivo si rinveniva già nell’art. 1 legge 31 gennaio 1926, n. 100, emanata dunque prima dell’entrata in vigore della Costituzione. 72 Circa l’iter formativo, i regolamenti governativi, secondo l’ordinario schema ivi previsto, sono deliberati dal Consiglio dei Ministri, udito il parere del Consiglio di Stato ed emanati con decreto del 45 disposizione i regolamenti possono essere classificati nelle seguenti tipologie 73 : 1) regolamenti esecutivi, 2) regolamenti di attuazione e integrazione, 3) regolamenti indipendenti, 4) regolamenti di organizzazione, 5) regolamenti “in delegificazione” (o “autorizzati”). In particolare: 1) I regolamenti esecutivi disciplinano “l’esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi, nonché 74dei regolamenti comunitari”. Presidente della Repubblica. Tutti i regolamenti devono recare la denominazione di “regolamento” ed essere sottoposti al visto e alla registrazione della Corte dei Conti; sono, quindi, inseriti nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana, pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale ed entrano in vigore dopo un periodo di vacatio di quindici giorni dalla pubblicazione (salva l’indicazione di un termine più breve). Viene, però, fatto notare che la scelta legislativa operata dalla L.400/1988 ha comportato un deciso aumento degli atti ministeriali emanati al di fuori delle suindicate regole procedurali, indotto dalla volontà dell’organo politico di sottrarsi ai maggiori condizionamenti che esse comportano (E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2002, p.333). 73 La tipologia regolamentare indicata dalla cit. legge n. 400/1988 non esaurisce, tuttavia, la figura delle fonti secondarie governative, dovendo esserne inclusi anche: 1) i regolamenti di esecuzione delle ulteriori intese previste dall’Accordo del 18 aprile 1984 tra Italia e Santa Sede e 2) i regolamenti di attuazione delle direttive comunitarie, previsti dall’art. 11 della legge n. 11/2005. Nel primo caso, le ulteriori intese dovrebbero fondarsi su altri accordi soggetti a ratifica ed esecuzione, ma dovrebbero essere a loro volta recepite o comunque attuate con un atto interno di natura regolamentare. Nell’altro caso, il 1° comma dell’art. 11 della legge n. 11/2005 dispone che nelle materie di cui all’art. 117, 2° comma, Cost., già disciplinate con legge, ma non coperte da riserva assoluta di legge, le direttive possono essere attuate mediante regolamento se così dispone la legge comunitaria. Da tale regime, il tipo regolamentare sembrerebbe potersi collocare in una posizione intermedia tra i regolamenti indipendenti e quelli autorizzati; se infatti può disciplinare in conformità alle disposizioni comunitarie materie precedentemente disciplinate dalla legge, occorre che si tratti di materie non coperte da riserva assoluta di legge. Inoltre, l’art. 11, al 2° e 3° comma, della stessa legge 11/2005, nel disciplinare i regolamenti di attuazione di norme comunitarie non direttamente applicabili, fa riferimento all’art. 17, 1° e 2°comma, della legge n. 400/1988, dettando le norme generali cui i regolamenti devono conformarsi, nel rispetto dei principi e delle disposizioni contenuti nelle direttive da attuare. L’art. 11, 5° comma, della medesima legge, stabilisce ancora che nelle materie di cui all’art. 117, 2° comma Cost., non disciplinate dalla legge o da regolamento emanato ai sensi dell’art. 17, 1° e 2° comma, della legge n. 400/1988 e non coperte da riserva di legge, le direttive possono essere attuate con regolamento ministeriale o interministeriale (ai sensi dell’art. 17, 3° comma, della legge n. 400/1988) o con atto amministrativo generale da parte del Ministro con competenza prevalente per la materia, di concerto con gli altri Ministri interessati. E’ previsto, infine, che in relazione a quanto disposto dall’art. 117, 5° comma della Cost. gli atti normativi ora indicati possono essere adottati nelle materie di competenza legislativa delle Regioni e delle Province autonome al fine di porre rimedio all’eventuale inerzia dei suddetti enti nel dare attuazione a norme comunitarie (8° comma). 74 Secondo l’ultima integrazione operata dall’art. 11 della legge n. 25/1999 (legge comunitaria per il 1998). 46 Tali regolamenti esecutivi costituiscono le fonti governative mediante le quali sono poste norme di dettaglio e, dunque, norme secondarie e complementari rispetto alle leggi da eseguire, cui ineriscono 75. 2) I regolamenti di attuazione e integrazione sono predisposti per “l’attuazione e l’integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio, esclusi quelli relativi a materie riservate alla competenza regionale”. Diversamente dai regolamenti esecutivi che si limitano a specificare disposizioni di legge, si versa in tale categoria laddove l’atto legislativo di riferimento contenga solo norme di principio; così postulando implicitamente la esistenza di disposizioni primarie e realizzando – attraverso l’introduzione di elementi di integrazione - quella funzione di completamento, consistente nel dare svolgimento concreto e sviluppo puntuale ai principi ricavabili dalle stesse disposizioni. E’ da riscontrare, tuttavia, nella prassi, la sostanziale assimilazione tra i regolamenti di mera esecuzione e quelli in esame con accentuata e dunque problematica vocazione alla funzione integrativa di regolamenti seppur definiti di mera “attuazione” 76. Del resto, lo stesso carattere della “secondarietà”, come subordinazione alla legge 77, può venire ad incrinarsi, laddove questi regolamenti integrativi siano in grado, 75 Va così evidenziata la loro funzione “servente” ad essi assegnata in relazione a disposizioni poste da fonti primarie. In dettaglio,“la funzione del regolamento di esecuzione sarebbe “essenzialmente” interpretativa della legge cui si riferisce “ (G. AMATO, , Rapporti tra norme primarie e secondarie, Milano, 1962, pp. 80 ss.). Si precisa, ancora, che il regolamento di stretta esecuzione della legge possa intervenire anche in materie coperte da riserva assoluta (V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, II, 1, VI ed. agg., Padova, 1993, p. 62). 76 E’ controverso se le richiamate funzioni attuative e integrative siano tra loro separabili o se costituiscano una mera endiadi, nel senso che siano intimamente e reciprocamente connesse. In particolare, se taluni Autori ritengono i regolamenti in esame qualificabili come regolamenti di esecuzione, altri li considerano invece regolamenti indipendenti; secondo altra dottrina, ancora, trattasi di un tertium genus di regolamenti inquadrabili in una posizione di equidistanza tra i regolamenti indiretti e quelli esecutivi. Unico limite testuale è costituito dalle “materie riservate alla competenza regionale”, ma ulteriore termine di confine, implicito, dovrebbe consistere nella specifica materia oggetto della disciplina, laddove coperta da riserva assoluta di legge. Sul punto, Cfr. L. COSSU, Regolamenti governativi e ministeriali, in Dizionario di diritto pubblico (diretto da S.CASSESE), Milano, 2006, p.5034. 77 Invero questi regolamenti “integrativi” possono rappresentare “norme sostanzialmente primarie”; tant’è che si è anche dubitato della legittimità costituzionale della loro previsione Cfr.: F. MODUGNO, Op. cit., p. 177. E’ stato, peraltro, notato che la L.400/1988, prevedendo sia i regolamenti esecutivi, che quelli 47 in concreto, di ingenerare dubbi sulla puntuale competenza dell’organo da cui promanano, urtando contro la rigidità dello schema gerarchico delle fonti 78. 3) I regolamenti indipendenti possono intervenire nelle materie “in cui manchi la disciplina da parte di leggi o di atti aventi forza di legge, sempre che non si tratti di materie comunque riservate alla legge”. In tale categoria si comprendono quei regolamenti che disciplinano in modo autonomo, ossia libero da condizionamenti legislativi, una certa materia, non previamente regolata dalla legge (o da atti aventi forza di legge) e non coperta da riserva, relativa o assoluta, di legge, consentendo in tal modo un maggior spazio d’azione all’Esecutivo. E’ però individuabile un duplice ordine di limiti operativi: uno generale di diritto, nel senso che non possono disciplinare materia riservata alla legge ed un ulteriore limite specifico (e di fatto), costituito - in concreto - dall’assenza di disciplina di rango legislativo. La categoria era ed è molto discussa, sul rilievo che, impiegandosi oltremodo siffatto strumento normativo, possa emergere e costituirsi un polo normativo concorrente rispetto a quello parlamentare 79. integrativi ed attuativi, ha troncato le dispute esistenti in precedenza in ordine al significato da attribuire all’espressione “esecuzione” utilizzata dalla disciplina previgente. 78 Cfr. Cons. Stato, sez III, parere 3 settembre 1998, n. 2251 che ha contributo a definire meglio l’ambito di applicazione di tali regolamenti, distinguendoli da quelli di esecuzione sulla base della relativa idoneità ad innovare l’ordinamento giuridico: “mentre i regolamenti di esecuzione sono intesi a specificare il contenuto della legge o a prescriverne modalità attuative, senza possibilità di ampliarne il contenuto o innovarne la disciplina, i regolamenti di attuazione e integrazione sono diretti a disciplinare l’attuazione e l’integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio e hanno forza innovativa, pur nel rispetto di norme di principio contenute nelle leggi che sono chiamati ad attuare e dei principi generali posti a livello normativo generale”. 79 Il cui unico fondamento legale, tuttavia, non è altro che quello rappresentato dall’art. 17 della L. 400/1988; del resto, il supporto dogmatico di tale previsione pare radicarsi sul fatto che, ove la Costituzione non richieda espressamente l’intervento del legislatore, la materia possa essere disciplinata anche mediante regolamento. Questa base verrebbe meno e potrebbe sostenersi l’illegittimità costituzionale della previsione di tali regolamenti, laddove si affermasse una generale presunzione di competenza normativa obbligatoria del Parlamento e l’inesistenza di settori normativi non coperti da riserva di legge (in base al cd. principio di legalità sostanziale generalizzato). Peraltro, il nostro ordinamento ha visto più volte nascere fonti di diritto non contemplate esplicitamente in Costituzione e introdotte da legge o altro atto avente forza di legge e dirette a ampliare il novero del livello “secondario” delle fonti (basti considerare il rilevante fenomeno delle fonti cd. comunitarie: regolamenti e direttive). In particolare, sul principio di legalità nelle sue accezioni, nonché valenze formali e sostanziali: Cfr. ID., Op. cit., pp. 86 e 98 . 48 4) I regolamenti di organizzazione sono emanati “per l’organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla legge”. A differenza di quelli che precedono, hanno oggetto predeterminato, poiché riguardano la materia dell’organizzazione dei pubblici uffici, coperta da riserva di legge ex art. 97 Cost. 80, dovendo comunque assicurare “il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”. E’ da evidenziare che la materia in esame, almeno con specifico riferimento ai Ministeri, non è più soggetta, a seguito della legge 15 marzo 1997, n. 59, art. 13, alla disciplina dei tradizionali regolamenti di organizzazione, avendo assunto la qualità di “materia delegificata” 81. Più in dettaglio, l’art. 4 del d.lgs. n. 300/1999, recante “Riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dell’art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59”, prevede ora anche che i regolamenti in questione raccolgano tutte le disposizioni normative relative a ciascun Ministero e che le restanti norme vigenti siano abrogate con effetto dall’entrata in vigore dei regolamenti medesimi. 5) I regolamenti “in delegificazione” (o “autorizzati”) sono adottati “per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l’esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della 80 Dal punto di vista dei caratteri di tali regolamenti, sono ritenuti assimilabili ai regolamenti esecutivi ovvero possono assumere i tratti attuativi o di integrazione della legge di riferimento. 81 Perplessità erano già state avanzate anche in ordine all’inserimento dei regolamenti di delegificazione (V. infra, , questo Cap. IV, § 4.3) nella materia dell’organizzazione dei Ministeri, coperta ex art. 95 Cost., da riserva di legge unanimemente considerata come assoluta. In particolare, il predetto art. 13 ha aggiunto all’art. 17 della legge cit. 400/1988 un comma 4 - bis, in base al quale l’organizzazione e il funzionamento dei Ministeri sono determinati con regolamenti emanati ai sensi del 2° comma del medesimo articolo, su proposta del Ministro competente, d’intesa con il Presidente del Consiglio dei Ministri e con il Ministero dell’economia e delle finanze, nel rispetto dei principi posti dal d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165 e ss. mm. e ii, specificando altresì i criteri che devono essere osservati. 49 materia e dispongono l’abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall’entrata in vigore delle norme regolamentari” 82. In particolare, il regolamento in delegificazione si sostituisce alle precedenti disposizioni contenute nelle leggi o in atti aventi forza di legge, sulla base di una legge cd. di autorizzazione. Quest’ultima demanda al regolamento il potere di disporre un quid pluris rispetto a quanto si possa fare con i regolamenti tipici, vale a dire conferisce il potere di abrogare precedenti disposizioni legislative. 4.3 Il problema della delegificazione Più in dettaglio, il problema della delegificazione si presenta alquanto complesso, non potendosi esaurire nella possibilità di previsione e predisposizione dei cd. regolamenti in delegificazione o autorizzati, ma si caratterizza comunque per il dato comune: costituito, a seconda delle distinte impostazioni, dal trasferimento o dalla dismissione da parte del legislatore di una materia o parte di materia ad una sede diversa da quella parlamentare. Questo aspetto assume notevole peso nel quadro dell’acquisita centralità del Governo, che nell’espletamento anche della suddetta potestà regolamentare, vede rafforzata la propria funzione di elaborazione normativa, in rapporto alla tradizionale attività legislativa demandata al Parlamento 83. In questa prospettiva la delegificazione presupporrebbe una sorta di rinuncia da parte dello Stato a disciplinare direttamente ed espressamente materie o attività, in quanto non ritenute più meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento ed, in tal senso, si propone più propriamente la formula “deregulation” 84. 82 Art. 17, 2° comma, cit. L. n. 400/1988: “con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio di Stato e previo parere delle commissioni parlamentari competenti in materia che si pronunciano entro 30 giorni dalla richiesta”. 83 Al riguardo, sono sorti vari orientamenti dottrinali circa l’inquadramento esatto del fenomeno in questione. Sul punto, V. F. MODUGNO, Op. cit., p. 179. 84 Ciò anche al fine di ridurre la disciplina normativa di una materia o attività e limitando il potere di porre regole da parte dei poteri pubblici. In tale visuale, si afferma che la delegificazione, in senso tecnico, consiste nel trasferimento della funzione normativa su determinate materie e attività dalla sede 50 In altra ottica, con particolare riguardo all’ipotesi di trasferimento nei confronti della potestà legislativa regionale e delle altre fonti di autonomia territoriale, si prospetta conveniente il termine di “decentramento legislativo”. Vi è dunque da osservare che leggi della Repubblica possono autorizzare l’esercizio di una speciale potestà regolamentare del Governo, che è così in grado di incidere su norme primarie, modificandole o abrogandole, riconoscendo nella norma di rinvio una sorta di delega che il legislatore ha inteso affidare all’Esecutivo 85. Proprio per questo, in considerazione della significativa portata normativa conseguente agli specifici interventi programmati, le disposizioni di legge suscettibili di abrogazione dovrebbero essere individuate, una per una, nella legge autorizzante, in modo da prevenire ogni possibile contrasto con l’art. 76 della Cost., che ammette sì l’attribuzione di siffatto potere al Governo, ma solo mediante decreto legislativo, al fine di assicurare il pieno rispetto del principio di legalità, quale limite all’esercizio dei poteri dell’Esecutivo e, più in generale, ai pubblici poteri diversi dal legislativo 86. In tale legislativa statale ad altra sede. Del resto, in siffatto ampio contesto ordinamentale, è agevolmente comprensibile quali implicazioni e rilevanza possono assumere i confini inerenti a detto fenomeno proprio in relazione alla centralità del ruolo dell’Esecutivo, nell’espressione delle sue prerogative e in ragione delle modalità con cui concretamente intenda esercitare le potestà normative di rango regolamentare. 85 Di qui la denominazione di “regolamenti liberi” o “delegati”: tuttavia quest’ultimo termine è apparso improprio, sul rilievo che la delega è consentita dalla Costituzione solo per l’emanazione di decreti aventi forza di legge e dunque per evitare indebita assimilazione al diverso fenomeno dei decreti legislativi delegati (Cfr. art.76 Cost.). Si è in dottrina tentato di spiegare tali regolamenti ossia quelli a cui determinate leggi consentono di derogare a disposizioni proprie o altre leggi, ovvero di disciplinare ex novo materie già regolate per legge o riservate alla legge o esulanti dal campo amministrativo, come ipotesi di abrogazione tacita, nonché facendo riferimento al congegno operativo della clausola risolutiva (C. LAVAGNA, Istituzioni di diritto pubblico, Torino,1982, p.360). Da altra visuale, inoltre, è stato fatto richiamo esplicito (F. MODUGNO, Op. cit., p. 181) alla tesi del declassamento, in base alla quale, per giustificare l’abrogazione di norme poste da fonti primarie, la legge nel momento in cui viene posta, degrada sé stessa o altre norme a regolamento o a norme regolamentari; posizione, questa che, secondo altre ricostruzioni dottrinali, vede esaltato il carattere della dispositività delle norme legislative, fissata proprio da una legge contemporanea o successiva alle norme rese dispositive. La dottrina prevalente spiega il fenomeno in esame non già in base alle accennate tesi del declassamento o della dispositività, ma in funzione delle espresse previsioni della legge, attributiva di una speciale competenza regolamentare, che subordina appunto l’abrogazione delle preesistenti norme di legge al fatto dell’entrata in vigore dei regolamenti autorizzati proprio ad intervenire sulla materia. 86 In tale contesto può utilmente essere richiamata la distinzione proposta dalla dottrina ed accolta dalla giurisprudenza costituzionale tra riserva di legge assoluta e relativa, comportando la prima l’esclusione della materia che ne è oggetto (es. art. 13, 14, 15, 80, 81) dalla normazione regolamentare (ad eccezione dei regolamenti di stretta esecuzione della legge); richiedendosi invece nella riserva relativa che la legge detti una disciplina di principio, regolando gli aspetti essenziali della materia in modo da circoscrivere la 51 ottica, la legittimità dei regolamenti in delegificazione dovrebbe ritenersi subordinata primariamente all’assenza di ogni riserva assoluta di legge ed all’esplicita autorizzazione legislativa all’esercizio della potestà regolamentare, nonché alla predeterminazione delle norme generali regolatrici della materia, con la conseguente abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall’entrata in vigore delle norme regolamentari. Tale schema operativo, da ricondurre al paradigma del cit. art. 17, 2° comma della legge n. 400/1988 non è stato, tuttavia, sempre rispettato nella prassi legislativa 87; tendenza questa avallata anche dallo stesso Consiglio di Stato, che non ha anzi ritenuto necessario che la legge di delegificazione indichi puntualmente le disposizioni di legge abrogabili. In tale quadro ordinamentale, peraltro, può riscontrarsi nella legislazione, successiva alla cit. L. n. 400/1988, un’ulteriore linea di impulso al fenomeno della delegificazione 88. Al riguardo, la complessa disciplina di riferimento è stata dapprima modificata dalla legge n. 50/1999 89 e successivamente dalla legge 229/2003, che ha inserito discrezionalità dell’autorità amministrativa nell’esercizio dei poteri normativi ed amministrativi attribuiti dalla legge (es. art. 23, 41, 42, 44, 97 Cost.). Cfr. F. MODUGNO, Op. cit., p. 182. 87 Rispetto al modello anzi descritto, la prassi legislativa si è anzi discostata talora in misura rilevante. Basti ricordare che talora le “norme generali regolatrici della materia” sono poste in modo del tutto sommario o vengono desunte dalla legislazione vigente senza ulteriore specificazione. Sicché il richiamo a detta disposizione si é così, di fatto, trasformato in mera invocazione formale diretta a qualificare il potere regolamentare, di volta in volta, attribuito come comprensivo della facoltà di derogare alle leggi vigenti nella misura indicata dalle clausole abilitanti. Per esempio, si ricordi l’art. 9, 6° comma, della legge 537/1993, che autorizza il Governo “ad emanare un regolamento in deroga alle leggi vigenti, contenente norme dirette ad alienare i beni pubblici, ivi compresi tutti quelli oggetto di concessione”, escludendo taluni beni, ma non contenendo la necessità della previsione di norme generali. V. anche l’art. 32, 3° comma, legge n. 36/1994 che rinvia al regolamento perché determini gli atti incompatibili con la stessa legge “delegificante”. 88 Può notarsi che laddove più ci si allontana dallo schema delineato dalla stessa cit. L. 400/1988, più diventa difficile sostenere che l’effetto abrogativo continui a derivare dalla norma di delegificazione, piuttosto che direttamente dalle specifiche norme regolamentari: con riferimento, anzitutto, all’art. 20 della legge n. 59/1997 che, sulla base di una legge annuale di semplificazione, prevedeva l’adozione di regolamenti in delegificazione diretti a disciplinare i procedimenti amministrativi in virtù di principi e criteri fissati in parte dalla stessa disposizione (art. 20, 5° comma) e in parte dalle singole leggi annuali, trasformando dunque la delegificazione in strumento di normazione continua. 89 Prima legge di semplificazione approvata per il 1998, che prevede, fra l’altro, che il Governo, sentita la Conferenza unificata Stato - Regioni - Città, individui direttamente, in sede di attuazione della delegificazione, i procedimenti o gli aspetti del procedimento relativi a funzioni e servizi che, per loro 52 particolari novità, prevedendo l’adozione di decreti legislativi e regolamentari 90 per la semplificazione e il riassetto normativo, in base ad una legge annuale di delegificazione 91, introducendo anche la nuova figura di decreti legislativi di riassetto (cd. codici di settore), nonché dalla legge n. 246/2005 92, che ha ulteriormente sviluppato il ricorso a detti codici di settore 93. Occorre precisare che al notevole ricorso alla delegificazione registrato negli anni novanta fa riscontro una forte riduzione del fenomeno, pur con le ampie recenti delegificazioni previste dal d. l n. 112/2008 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133/2008 94. In ultima analisi, la prospettiva rimane sempre nel segno dello spostamento dell’asse della produzione normativa dal Parlamento al Governo 95. caratteristiche e per la loro pertinenza a comunità territoriali, possono essere autonomamente disciplinati dalle Regioni e dagli Enti locali (art. 2, 1° comma, lett. a). La cit. legge n. 50/1999 ha, altresì, profondamente modificato la disciplina vigente in materia di emanazione di testi unici, ossia la redazione di raccolte di testi normativi, emanati successivamente nel tempo e riguardanti determinate materie al fine di una loro migliore comprensione e applicazione. 90 Di esecuzione e, appunto, in delegificazione. 91 La cit. legge n. 229/2003, di semplificazione per il 2001 ha riscritto il dettato dell’art. 20 della legge n. 59/1997, prevedendo peraltro la soppressione dell’istituto dei testi unici misti (di cui all’art. 7 della legge n. 50/1999, e che riunivano in un unico testo sia norme legislative, che regolamentari, pur in una prospettiva di riordino della legislazione e dunque di semplificazione normativa). In dettaglio, il Governo sulla base di un programma di priorità di interventi, presenta al Parlamento, entro il 31 maggio di ogni anno, un disegno di legge per la semplificazione e il riassetto normativo, volto a definire per l’anno successivo, gli indirizzi, i criteri, le modalità e le materie di intervento, anche ai fini della ridefinizione dell’area di incidenza delle pubbliche funzioni, con particolare riguardo all’assetto delle competenze dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali. Il disegno di legge presentato prevede l’emanazione di decreti legislativi, relativamente alle norme legislative sostanziali e procedimentali, nonché di regolamenti ai sensi dell’art. 17, 1° e 2° commi, della legge n. 400/1988, per le norme regolamentari di competenza dello Stato. 92 Legge di semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005. 93 Disponendo un meccanismo (“taglia- leggi”) di abrogazione generalizzata della legislazione pubblicata anteriormente al 1° gennaio 1970 e prevedendo il compito per il Governo di adottare decreti legislativi per individuare le disposizioni legislative di cui si ritiene indispensabile la permanenza in vigore, alle quali si aggiungono una serie di categorie di atti legislativi sottratte dalla stessa legge alla abrogazione generalizzata. 94 Ciò é stato ricondotto alla previsione del nuovo art. 117, 6° comma, Cost. secondo il quale allo Stato è attribuito il potere regolamentare nelle sole materie di competenza esclusiva; richiamandosi l’importanza, al riguardo e nel più ampio quadro della gerarchia delle fonti, della sentenza della Corte Costituzionale n.303/2003. 95 Cfr., F. MODUGNO, Op. cit., p. 186. 53 4.4 I regolamenti ministeriali ed interministeriali Sono previsti dall’art. 17 della legge n. 400/1988, 2° comma, laddove stabilisce la possibilità di adottare, con decreto ministeriale, regolamenti nelle materie di competenza del Ministro o di autorità sottordinate al Ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti, per materie di competenza di più Ministri, possono essere adottati con decreti o altri atti interministeriali, ferma restando la necessità di apposita autorizzazione da parte della legge. Essi non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. e debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio prima della loro emanazione; è prescritta anche per essi la denominazione di “regolamento”, l’obbligatoria audizione del parere del Consiglio di Stato e la registrazione della Corte dei Conti, nonché la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e la ripubblicazione nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica 96. S’individua così una distinzione, anche nella forma dai comuni provvedimenti amministrativi, sicché l’atto amministrativo con contenuto sostanzialmente normativo potrà essere annullato dal giudice amministrativo 97, ove non risponda alle prescrizioni della legge n. 400/1988. Si ritiene, peraltro, che non potendo dettare norme contrarie non solo alla legge, ma anche ai regolamenti governativi, questa categoria sia da ricondurre alle fonti terziarie e non secondarie. 96 Per i regolamenti ministeriali e interministeriali il procedimento é analogo al modello generale: manca ovviamente la delibera del Consiglio dei Ministri. V. art. 15 del d. P. R. 28 dicembre 1985, n. 1092/1985. 54 CAPITOLO QUINTO LE FUNZIONI AMMINISTRATIVE DEL GOVERNO 5.1 Politica e amministrazione Finora si è esaminato il crescente ruolo del Governo rispetto alla funzione di indirizzo politico e di produzione normativa, primaria e secondaria, il che non deve però oscurare il fatto che gran parte della sua attività consiste nell'esercizio di funzioni amministrative, intese come cura concreta di interessi collettivi 98. Di qui l'importanza di un corretto rapporto tra politica e amministrazione. Nei regimi democratici l'amministrazione pubblica dipende da organi politici, i quali sono vertici dell' 97 Così, F. MODUGNO, Op. cit., p.189. Sulla generale tutela giurisdizionale nei confronti dei regolamenti illegittimi, F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2007, p.461 ss. 98 Per una definizione della funzione amministrativa, v. Vincenzo Cerulli lrelli, Lineamenti di diritto amministrativo, Torino, 2010, pp.I-5. Per un'indagine sull'espansione della funzione amministrativa nei Paesi di common law, cfr. Timothy Endicott, Administrative Law, London, 2012, p.14. Per la crescita delle funzioni amministrative nel passaggio dallo Stato monoclasse ottocentesco allo Stato pluriclasse il riferimento d'obbligo è M.S.Giannini, Il pubblico potere, Bologna, 1986. E' stato anche considerata la ricostruzione, risalente ma tuttora fondament.ale, offerta da Ernst Forsthoff in Rechtsstaat im Wandel.Verfassungsrechtliche Abhandlungen 1950-1964, Stuttgart, 1964. 55 amministrazione (e come tali responsabili degli atti compiuti dagli apparati che dirigono: art. 95 comma 2 Cost.) ed espressione di una parte politica (art. 49 Cost.). Sennonché la dipendenza dell'amministrazione dalla politica comporta il rischio che l'amministrazione si trasformi in un apparato partigiano, orientato a perseguire interessi di parte a scapito degli interessi della collettività 99. Consapevole di questo pericolo, la Costituzione ha, prefigurato un modello di amministrazione imparziale, oggettivo e orientato al servizio della collettività nel rispetto della Costituzione e della legge. Tale configurazione dell' amministrazione risulta nitidamente dai principi costituzionali sull' amministrazione che compete al legislatore tradurre in pratica, di modo che si tratta di capire se e come il legislatore abbia realizzato la cornice costituzionale dell' amministrazione. Affronteremo la questione esaminando diversi profili relativi agli apparati centrali e periferici dello Stato e al rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, con particolare riguardo alla posizione della dirigenza " pubblica, per chiudere infine con la governance dei rapporti centro-periferia. L'insieme di queste angolazioni permetterà di presentare alcune considerazioni generali sulle trasformazioni in atto dei rapporti tra organi costituzionali nel nostro ordinamento. 5.2 La separazione tra politica e amministrazione e la riorganizzazione degli apparati centrali dello Stato Fin dalla legge Cavour del 1853 sulla riorganizzazione degli apparati dello Stato sabaudo, il nostro sistema amministrativo è stato caratterizzato da una impostazione verticistica, nella quale il Ministro era la spina dorsale di tutta l'amministrazione, e da una visione unidirezionale del rapporto tra politica e amministrazione, tale da concentrare nella responsabilità degli organi a titolarità politica tutte le funzioni amministrative 100. Questa visione rigida e irrealistica della responsabilità ministeriale, 99 Sul rapporto politica e amministrazione, cfr. Vincenzo Cerulli Irelli, Lineamenti, cit., pp.50-51. Si veda anche C. Colapietro, Il Governo e la Pubblica Amministrazione, In Lineamenti di diritto pubblico, a cura di F. Modugno, Torino, 2010, pp.387-9. 100 Per una buona ricostruzione, da un punto di vista di storia dell'amministrazione, della vicenda del modello cavouriano, v. S. Sepe, Amministrazione e storia, Rimini, 1995, pp.39-40. Critica questa visione assolutizzante della responsabilità ministeriale, C. Colapietro, Il Governo e la Pubblica 56 conservatasi per quasi un secolo e mezzo, è stata superata rendendo possibile impostare su basi più razionali il rapporto tra governo e pubblica amministrazione. Il punto di svolta è stato l'affermarsi di una distinzione tra la sfera della politica e quella dell' amministrazione, fondata sulla separazione funzionale tra i rispettivi ambiti di competenza. Il principio ha comportato una diversa distribuzione delle funzioni amministrative tra gli uffici a titolarità politica e quelli a titolarità burocraticoprofessionale, assegnando ai primi compiti di programmazione, indirizzo e controllo e conferendo agli uffici burocratici le funzioni gestionali. Il principio in questione, ormai entrato nell'ordinamento (art. 4 d. 19s. 165/2001), ha notevoli riflessi costituzionali 101. Con riferimento alla riorganizzazione dell' amministrazione centrale, conviene prendere l'avvio dalla riforma della Presidenza del Consiglio dei Ministri come dalla variabile intorno alla quale è ruotata la riorganizzazione degli apparati ministeriali 102. La riforma, in attuazione dell'art. 92 Cost., è stata avviata con la legge n. 400/1988, è proseguita sulla base dell'art. Il comma 1 della legge n. 59/97 ed è stata compiutamente realizzata con il d. lgs. n. 303/99 103. La legge n. 400/1988 fa del Presidente del Consiglio il garante dell'attuazione del programma di governo di fronte all'elettorato 104 e assume il profilo più di un leader che di un chairman, cioè di mediatore tra le forze di maggioranza com' era avvenuto nei primi decenni della Repubblica 105. Per questo la legge n. 400/88 disegna la Presidenza del Consiglio come un' organizzazione servente rispetto alle funzioni presidenziali, affatto diversa dai Ministeri e connotata da autonomia organizzativa, contabile e di bilancio 106. Al contempo le funzioni acquisite nel tempo dalla Presidenza del Consiglio sono cedute alle strutture amministrative Amministrazione"cit., pp. 388-89. Sul fatto che negli Stati avanzati avviene sempre più spesso che la burocrazia, con il controllo delle informazioni, l'expertise e la sua stabilità riesca sempre più spesso a imporsi ai Governi v., in chiave di scienza dell'amministrazione, B. Guy Peters, La pubblica amministrazione, Bologna, 1999, pp.51-54 101 Come bene rileva C. Colapietro, op. ult. cit., p.390. 102 Cfr. Id., op. ult.cit., pp. 391-92. 103 Sulla importanza della legge n. 400/1988 nel disegnare la forma di governo, nonché le funzioni, e le correlative responsabilità, degli organi (necessari) che compongono il Governo, cfr. S. Merlini- G. Tarli Barbieri, Il Governo parlamentare in Italia, Torino, 2011, pp. 174 ss. 104 1d., op. ult. cit., pp. 223-25. 105 Id., op.ult. cit., pp.ll1 ss. 106 Cfr. C. Colapietro, op. ult. cit., p. 393. 57 settorialmente competenti 107. Tuttavia la razionalità del disegno dura poco. Infatti, in primo luogo, successivi provvedimenti normativi 108 restituiscono alla Presidenza del Consiglio compiti riguardanti politiche di settore, come per il passato delegati dal Presidente a Ministri senza portafoglio. Inoltre, c'è da rilevare qualcosa anche sugli aspetti organizzativi. La Presidenza si articola in dipartimenti e in uffici equiparati. Quattro dipartimenti sono previsti dalla legge (politiche comunitarie, affari giuridici e amministrativi, rapporti con le autonomie e informazioni per la sicurezza), tutto il resto è oggetto del potere normativo del Presidente del Consiglio che con regolamenti in delegificazione può plasmare come vuole le strutture della Presidenza. Figura di rilievo della quale è il segretario generale. Quest'ultimo, tramite tra il Presidente e la struttura, è nominato con d.p.c.m. ed essendo nominato intuitu personae, decade col giuramento del nuovo Governo (art. 18 comma 3 legge n. 400/1988). Nel complesso, la disciplina della Presidenza presenta luci e ombre. Da un lato c'è l'arretramento della legge a vantaggio dei poteri presidenziali di auto-organizzazione, sovrabbondanti, di solito usati per esigenze di equilibrio politico e contrastanti con la riserva di legge di cui all'art. 95 comma 3 Costo Pure negativa è l'intermittente attribuzione al Presidente del Consiglio di competenze spurie rispetto alle sue funzioni 109. Dall'altro lato, è positiva la separazione tra politica e amministrazione insita nella fiduciarietà tra vertici burocratici(segretario generale e capi dipartimenti) e Presidente del Consiglio. Anche gli apparati ministeriali hanno conosciuto una profonda opera di revisione 110. La riorganizzazione è stata realizzata in attuazione della delega di cui all'art. Il comma 1 legge n. 59/1997, attuativa dell'art. 95 comma 3 Cost., e si è concretata nel d. lgs. n. 300/1999. La riforma dei Ministeri doveva essere coerente con la nuova visione della Presidenza del Consiglio quale struttura deputata all'esercizio 107 Il Considerano una tendenza degenerati va la trasformazione progressiva della Presidenza da struttura servente del primo ministro a organo di amministrazione attiva, S. Merlini- G. Tarli Barbieri, Il Governo parlamentare, cit., p.280. 108 Il d.l. n. 181/2006, poi convertito con modifiche nella legge n. 233/2006 e il d.l. n. 85/2008, convertito con modifiche nella legge n. 121/2008. 109 Sul punto, cfr. S. Niccolai, Il governo, cit. p.143. 110 Sulla riforma dei Ministeri, si veda, a titolo introduttivo, G. Vesperini, La riforma dell'amministrazione centrale, Milano 2005 e l'ampia ricerca di L. Torchia, Il sistema amministrativo italiano, Bologna, 2009.. 58 delle funzioni proprie del Presidente del Consiglio. L'idea era conferire ai Ministeri le funzioni di settore, al contempo accorpandone le competenze e riducendone il numero, legislativamente fissato in 12 111. Anche in questo caso, i buoni propositi hanno avuto vita breve. Pochi anni dopo (a partire dal d.l. n. 181/2006), il legislatore ha riorganizzato gli apparati ministeriali, per lo più mediante decreto legge, variandone di continuo il numero (al momento 13) 112. Il principio di distinzione tra uffici a titolarità politica e uffici a titolarità burocratico-professionale per i Ministeri si declina nel senso che il Ministro ha innanzitutto la direzione e la responsabilità politica del Dicastero. Inoltre, egli disimpegna le funzioni politico-amministrative avvalendosi degli uffici di diretta collaborazione, composti di personale reclutato con ampia discrezionalità anche al di fuori dell'amministrazione (artt. 7 d lgs.300/99 e 14 comma 2 d. lgs. 165/2001 ). Tali uffici hanno spesso manifestato una patologica tendenza a esorbitare dalle loro funzioni e a esercitare compiti di amministrazione attiva 113. Quanto a questi ultimi, i Ministeri seguono due modelli organizzativi, il modello dipartimentale e il modello a direzione generale. Nel primo la legge individua per ogni Ministero un certo numero (da 2 a 5) di politiche molto diversificate tra loro e omogenee alloro interno. Tipico in questo senso è il Ministero dell'Interno. Invece, nel modello a direzione generale, il Ministero cura una sola policy, ma altamente settorializzata, con la conseguenza che diverse direzioni generali ne seguono differenti profili. Tipico esempio di questo modello è il Ministero degli Affari Esteri. Il dipartimento opera come un'entità di coordinamento ed esercita anche funzioni strumentali. Vi è preposto un capo dipartimento con compiti di direzione e controllo nei confronti degli uffici dei dirigènti generali, nominato con d.p.r. previa delibera del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro competente. Il capo dipartimento è in rapporto fiduciario col vertice politico in termini non dissimili dal 111 Su questi aspetti, v. S. Niccolai, op. ult. cit., p. 124, G. Vesperini, op ult. cit., cap. IV, passim, C. Franchini, La riforma dei ministeri, in G. Vesperini, op. ult. cit. pp.I-20. S. Merlini-G. Tarli Barbieri, Il Governo parlamentare, cit., p. 276. S. Sepe, Amministrazione e storia, cit. pp.173- 74, rileva che, storicamente, una del1e radici del basso rendimento complessivo degli apparati ministeriali è da rintracciare nel1a tendenza al1a segmentazione e nel1a difficoltà di dimensionare gli uffici centrali ai compiti da svolgere. 112 Criticano la variazione continua, e bipartisan, del numero dei Ministeri a colpi di d.l. come pura spressione di "ragion politica", S. Merlini-G. Tarli Barbieri, Il Governo parlamentare, cit., pp. 257-58. 113 Sugli uffici di diretta collaborazione, v. A. Pajno e L.Torchia, La riforma del Governo, Bologna, 2000, rr141-44 e sulla loro propensione all'invasione di campo, C. Colapietro, op. ult. cit., p.388. 59 segretario generale della Presidenza del Consiglio. Nel modello a direzione generale ogni direzione generale tratta una parte delle attribuzioni del Ministero, ma non è un sub-sistema autosufficiente e non ha funzioni strumentali. Di qui la necessità di un segretario generale con compiti di coordinamento, la cui posizione coincide con quella dei capi dipartimento (art. 6 d.lgs.300/99). La riforma del 1999 privilegiava il modello dipartimentale, ma successivi provvedimenti normativi sono tornati al modello a direzione generale anche per ragioni di contenimento della spesa per conferimento di incarichi dirigenziali 114. L'organizzazione centrale dell'amministrazione statale conosce anche due ulteriori modelli, l'agenzia e l'azienda autonoma, della quale ultima qui non ci si occupa per la sua marginalità. Le agenzie (artt. 8-10 d. lgs. 300/99) sono prive di personalità giuridica (non così le agenzie fiscali) e svolgono compiti tecnico-operativi. Esse sono soggette al potere di indirizzo e vigilanza del Ministro. Il vertice burocratico (direttore generale) è legato da un rapporto fiduciario col Governo 115. Le fonti normative primarie si limitano a stabilirne i tratti principali 116, pèr il resto le Agenzie sono rette da statuti, che hanno natura di regolamenti in delegificazione, da regolamenti delle medesime Agenzie e, per quanto concerne l'attività, da convenzioni, stipulate dalle Agenzie sulla falsariga di convenzioni-tipo fissate dai Ministeri competenti 117. Molti Ministeri hanno un'organizzazione periferica, ridottasi negli ultimi anni per effetto del decentramento amministrativo e del rilancio delle autonome locali. Attualmente il più importante ufficio periferico statale è costituito dalle Prefetture, che col d. lgs. n. 300/1999 hanno assunto la denominazione di Prefetture-UTG mantenendo le proprie specifiche competenze di uffici periferici del Ministero dell'Interno e assumendo anche la titolarità di tutte le attribuzioni dell' amministrazione periferica statale non espressamente assegnate ad altre amministrazioni. Con la rete delle Prefetture-UTG il legislatore ha voluto, da un lato, promuovere il coordinamento dell' 114 Sul ritorno al modello a d.g., cfr. C. Colapietro, op.ult.cit., p.399. Sulle agenzie, v. V. Cerulli Irelli, Lineamenti dir. amm., cit., pp. 100-01, G. Vesperini, Le agenzie, in A. Pajno e l. Torchia, La riforma del governo, cit., pp.145-163. 116 Cfr. S. Niccolai, op. ult. cit., pp.47-48. 117 Resta fuori dall'amministrazione centrale della persona giuridica Stato (il che ha conseguenze importanti sul fronte della responsabilità patrimoniale verso i terzi) l'amplissima categoria degli enti pubblici "parastatali", che in base all'art. l d. lgs. 165/01, include tra le amministrazioni pubbliche anche gli enti pubblici non economici, locali e nazionali. 115 60 attività amministrativa periferica statale e, dall'altro, concretare il principio di leale collaborazione con gli enti locali puntando sul Prefetto nella sua tradizionale doppia veste di rappresentante del Governo sul territorio e di interprete delle esigenze delle collettività locali. Nell'esercizio di tali funzioni il Prefetto è coadiuvato da una Conferenza permanente, di cui sono componenti i rappresentanti delle amministrazioni statali in periferia e in cui possono essere invitati anche esponenti degli enti locali (art. Il d. 19s. n. 300/99) 118. Che dire della riforma dei Ministeri? Innanzitutto il continuo mutare del loro numero, con effetti negativi sulla funzionalità degli apparati e per giunta realizzato attraverso decreti legge all’atto di insediamento del Governo, rivela che l’obiettivo dell’efficienza si sottomette alla “ragion politica” del Governo. Inoltre, la legge arretra paurosamente: attualmente la fonte principale di organizzazione di Ministeri e Agenzie non è la legge (art. 95 comma 3 Cost.), ma i regolamenti in delegificazione del Governo ex art. 17 comma 4 bis legge n. 400/1988 119, con conseguente emarginazione del Parlamento dal settore dell' organizzazione degli apparati statali nel quale il Costituente aveva invece inteso garantirgli uno spazio rilevante 120. 118 Per effetto dell'eliminazione del Commissario di Governo in seguito alla riforma costituzionale del 2001, sono state attribuite al Prefetto del capoluogo di Regione le funzioni di Rappresentante dello Stato per i rapporti con le autonomie locali e i correlativi compiti di raccordo con le amministrazioni dello Stato (art. 10 legge n. 131/2003), compiti rispetto ai quali il "Prefetto regionale" dipende funzionalmente dal Presidente del Consiglio dei Ministri. Sul ruolo delle Prefetture-UTG nel quadro della riorganizzazione degli apparati periferici dello Stato, v. G. D'Auria, Il Ministero dell 'Interno", in A. Pajno e L. Torchia, La riforma del Governo, cit., pp. 217-30, S. Niccolai, op. ult. cito , pp.161-62, V. Cerulli Irelli, Lineamenti dir. amm., cit., pp. 99-100, C. Colapietro, op. ult. cit., p. 401. 119 Su questi aspetti, v. S. Niccolai, op. ult. cit., p. 125 e C. Colapietro, op. ult. cit., p.396. Si veda anche S. Merlini-G. Tarli Barbieri, Il Governo parlamentare, cit., pp.175- 77, i quali rilevano anche come la tendenza a ritoccare il numero dei Ministeri per corrispondere alle richieste dei partiti della maggioranza accomuni le coalizioni di centro-destra e quelle di centro-sinistra, ibidem, pp. 256-60. Considerano il culmine della torsione del potere regolamentare del Governo quella attuata dall'art. 13 della legge n. 59/1997 in materia di organizzazione dei Ministeri, S. Merlini-G. Tarli Barbieri, op. ult. cit., pp.288-89. 120 Come bene nota C. Colapietro, op. ult. cito p.397. Sul fenomeno dell'espansione dei regolamenti dell'esecutivo, V. F. Sorrentino, Le fonti del diritto italiano, Padova, 2009, nonché, con particolare riguardo all'assunzione di potere normativo regolamentare del Governo nell'organizzazione delle pubbliche amministrazioni, V. N. Lupo, Dalla legge al regolamento, Bologna, 2003.Un'agile introduzione si deve a F Modugno, Le fonti del diritto, in Lineamenti di diritto pubblico, a cura di F. Modugno, pp. 175 e ss. Sul rafforzamento del potere normativo del Governo, v. anche Vincenzo Lippolis, La centralità del Governo nel sistema politico. La specificità del caso italiano, in II Filangieri, 2010, Napoli, pp. 22-23. 61 5.3 Il nuovo rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni e la riforma della dirigenza pubblica La riforma degli apparati statali ha investito anche il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, fino ad allora disciplinato da leggi speciali (d.p.r. n. 3/1957) 121. Il salto dalla disciplina pubblicistica dell'impiego pubblico al regime di privatizzazione avrebbe dovuto omogeneizzare il lavoro pubblico rispetto a quello privato per aumentare l'efficienza dell'amministrazione e ridurne i costi 122. La privatizzazione accentua la "contrattualizzazione" del rapporto di lavoro già in corso a partire dagli anni Ottanta (ma la cd. "riforma Brunetta" inverte la tendenza 123) e, sia detto en passant , sposta il punto di equilibrio tra lavoratori e datori di lavoro pubblici a favore di questi ultimi 124. Occorre peraltro rilevare che la privatizzazione conserva tratti pubblicistici. Infatti, a parte le categorie "non contrattualizzate", del tutto attratte dalla disciplina pubblicistica, anche per le altre continuano ad operare istituti di diritto amministrativo relative ad aspetti qualificanti del rapporto 125, il che riduce la auspicata omogeneizzazione col lavoro privato. Oltre a ciò, anche sul piano della disciplina del rapporto di lavoro si manifesta la tendenza a ridurre l'area della legge, che per l'innanzi copriva tutti gli aspetti e le vicende del rapporto. Ora si hanno meno leggi, ma non 121 Un'agile introduzione alla storia del diritto del pubblico impiego si deve a L. Maiorini, Lineamenti di storia dell'amministrazione pubblica, Torino, 1989, pp.165-66. Un'analisi dei precedenti dello "statuto del pubblico impiego" del 1957, interpretati come tentativi della burocrazia di arginare lo strapotere della politica, si trova in S. Sepe, Amministrazione storia, cit., pp. 38-40. Per un esame comparatistico della privatizzazione delle burocrazie dei sistemi politici occidentali in chiave di scienza dell'amministrazione, V. E. Gualmini, L'amministrazione nelle democrazie contemporanee, Roma-Bari, seconda edizione, 2004, cap. 111, passim. 122 Cfr. C. Colapietro, op.ult. cit., pp. 407-09. 123 Il decr. Brunetta riduce gli ambiti rimessi alla contrattazione collettiva alle relazioni sindacali e ai diritti e obblighi discendenti direttamente dal rapporto di lavoro. 124 Sul punto, v. S. Niccolai, op.ult. cit., p. 123. 125 Si pensi, per esempio, al principio della predeterminazione organica del personale, fissato attraverso la cd. "dotazione organica", che sottrae all'amministrazione la libera disponibilità delle risorse umane, al principio di accesso per concorso (art. 97 Cost.) e all'applicazione ai nuovi dipendenti del principio della posizione organica, con conseguente forte stabilità del rapporto di lavoro nell'ambito della posizione di inserimento. Su questi aspetti, v. V. Cerulli lrelli "Lineamenti dir. amm.", cito pp. 211-219. Sul rapporto tra legge e contratto collettivo nel pubblico impiego, v. V. Talamo, Legge e contratto collettivo nel pubblico impiego dopo il d. lgs. 30 marzo 2001 n. 165, in Lavoro nella PA, 2004, pp.3 ss., C. Colapietro, op ult. cit., p. 409. 62 meno regole, dato che buona parte della disciplina è rimessa ai poteri auto-organizzatori del Governo. Per conseguenza, la privatizzazione riconsegna al Governo poteri di gestione sulla burocrazia non molto lontani da quelli che esso aveva nel periodo statutario e fascista 126. Il punto più qualificante della riforma del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche risiede nella nuova disciplina della dirigenza pubblica 127. Il d.p.r. n. 748/1972 aveva istituito la dirigenza statale, articolando la in tre livelli e sancendo il principio dell' accesso ad essa mediante corso-concorso al fine di aumentare l'autonomia dei dirigenti dal vertice politico e di incrementare l'efficienza dell' amministrazione. Di fatto, tuttavia, l'accesso alla dirigenza ha continuato ad avvenire in base al criterio dell' anzianità, con scarsa autonomia decisionale dei dirigenti e confusione nei rapporti tra autorità politica e vertici burocratici 128. Il vero tornante è il d. lgs. n. 29/1993 che sancisce il principio della scissione tra direzione politica e gestione amministrativa, la prima attribuita all'autorità politica, l'altra ai dirigenti, per la prima volta connotati da una specifica e autonoma responsabilità. Una seconda tornata di privatizzazione della dirigenza si ha con la cd. legge Bassanini (legge n. 59/1997), attuata coi d. lgs. n 80/1998 e 387/1998, i quali la estendono ai dirigenti generali, in un primo tempo da essa esclusi, e stabiliscono più chiaramente il principio di distinzione tra il potere di indirizzo politico-amministrativo e i poteri di amministrazione concreta. Il principio ha un effetto molto forte sull' assetto delle relazioni interorganiche del sistema amministrativo. Laddove, infatti, al modello cavouriano corrispondeva un rapporto gerarchico in senso stretto, nel quale per definizione non esiste differenziazione di competenza tra organi in quanto il vertice politico decide ad nutum la distribuzione delle competenze e degli affari 129, la nuova disciplina della dirigenza presenta caratteristiche diverse. Il vertice politico non ha più poteri d'ordine nei 126 Sul significato complessivo della privatizzazione del pubblico impiego come accrescimento dell'influenza del Governo sugli apparati pubblici, v. S. Niccolai, op. ult. cit. p. 123. 127 Sul punto cfr. S. Cassese, Il nuovo regime dei dirigenti pubblici italiani: una modificazione costituzionale, in Giornale di diritto amministrativo, 2002, pp.1341 ss. 128 Cfr. E. Gualmini, op. ult. cit., p. 402. Per una valutazione delle ragioni del mancato decollo della riforma della dirigenza nel 1972, v. S. Sepe, Amministrazione e storia, cit., pp.9I-95. 129 Sul modello di relazione gerarchica si veda G. Marongiu, Gerarchia amministrativa, in Enc. dir., XVIII, Milano, 1969, pp. 616 ss. 63 confronti dei dirigenti (ma solo di direttiva), è escluso il potere di avocazione del Ministro e limitato il potere di sostituzione 130. In compenso il vertice politico, che non può sostituirsi al dirigente, lo può allontanare se incapace o inottemperante alle diretti ve. Inoltre, si assiste a una scissione tra rapporto di ufficio e rapporto di servizio per il personale dirigenziale, nel senso che mentre il primo può essere temporaneo o permanente, il rapporto di ufficio è sempre temporaneo (da 2 a 7 anni). Viene anche introdotto il sistema delle spoglie tipico dei Paesi di common law 131. La nuova disciplina riconosce al vertice politico il potere di scegliere liberamente persone di propria fiducia come dirigenti apicali (capi dipartimento, segretari generali) e si stabilisce la regola che l'alta dirigenza può essere revocata entro 90 giorni dal voto di fiducia al nuovo Governo, salva conferma implicita. In questo quadro di profonda trasformazione della fisionomia della dirigenza pubblica interviene la legge n. 145/2002 (cd. legge Frattini), la quale precarizza i dirigenti pubblici e aumenta i poteri di comando del Governo sui vertici dell'amministrazione 132. In primo luogo, infatti, la legge in questione configura l'atto di conferimento dell'incarico dirigenziale non come un atto privatistico bensì come un atto di alta amministrazione 133. In secondo luogo, la riforma interviene sui termini di durata, minimi e massimi, degli incarichi dirigenziali 134. Inoltre, si dispone l'automatica cessazione degli incarichi dirigenziali apicali trascorsi 90 giorni dal voto di fiducia al nuovo Governo, in tal modo eliminando la conferma tacita, e si estende l'applicazione della norma agli incarichi dirigenziali assegnati a personale esterno all'amministrazione 135. Infine si introduce il meccanismo del cd. "spoils system una tantum", che prevede, in sede di prima applicazione della 130 Si confrontino, per i rapporti tra organi burocratici, gli artt. 16 comma 1, lett. e 17 lett. d, nonché, per i rapporti tra Ministro e dirigenti, l'art.14 comma 3 d. lgs. n. 165/200. 131 Per una approfondita discussione su costi e benefici del sistema delle spoglie in contrapposizione al sistema meritocratico come criterio di selezione della dirigenza pubblica nei Paesi avanzati, v. B. Guy Peters, La Pubblica amministrazione, cit. pp.121-129. Sulla delicatezza costituzionale del sistema delle spoglie, v. V. Cerulli Irelli, Lineamenti dir. amm., cit., p.185, C.Colapietro, op. ult. cit., p.403. Insiste sul rafforzamento dei poteri dell’esecutivo sulla burocrazia, indotta dal sistema delle spoglie, S. Niccolai, op. ult. cit., p. 144. 132 Una rapida ma puntuale ricostruzione della legge Frattini si deve a C. Colapietro, op. ult. cit., p.404. 133 Sul punto, cfr. V. Cerulli Irelli,op ult. cit., p.m e C. Colapietro, op ult. cit., p.404. 134 In seguito il d. I. n. 115/2005, convertito in legge n. 168/2005, ha fissato in 3 anni il termine minimo e in 5 il termine massimo di durata. 64 legge, la cessazione generalizzata e automatica degli incarichi dirigenziali (anche non apicali), il che significa trasferire in blocco al nuovo Governo il potere di riattribuirli secondo criteri di sintonia politica. L'idea è che debba esservi una stretta corrispondenza tra sistema elettorale maggioritario (in vigore al momento del varo della legge n.145/2002) e sistema delle spoglie. Purtroppo si tratta di un'idea sbagliata dato che il rafforzamento dell'Esecutivo attraverso il sistema elettorale maggioritario avrebbe dovuto essere bilanciato dal potenziamento dell'indipendenza dell'alta burocrazia. Sulla delicata problematica è intervenuta la Corte costituzionale (sentenza n. 233/2006), affermando la legittimità in via di principio del sistema delle spoglie per gli incarichi dirigenziali apicali, ma non anche per gli altri in base al rilievo che solo per i primi l'atto di conferimento dell'incarico promana dal vertice politico ed è quindi legittimo che la scelta sottostante sia fatta intuitu personae al fine di rafforzare la coesione tra politica e amministrazione136. In seguito (sentenza n. 103/2007), la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'applicazione del sistema delle spoglie cd. "una tantum" agli incarichi dirigenziali, sulla base dell' assunto che siccome il meccanismo delle spoglie interrompe il rapporto di ufficio in corso, in assenza di congrue garanzie procedimentali, viene meno la continuità dell'azione amministrativa, che è strettamente legata al principio del buon andamento 137. Da ultimo sulla materia è intervenuta la cd. "riforma Brunetta" che, recependo le indicazioni della Corte, ha procedimentalizzato la revoca degli incarichi, l'ha vincolata alla sola ipotesi di acclarato non raggiungimento dei risultati da parte del dirigente e ha introdotto l'obbligo di congrua motivazione per il caso di mancata conferma del dirigente 138. 135 Art. 2 comma 159 del d.l. n. 262/2006, convertito con modifiche nella legge n. 286/2006 che hanno ritoccato l'art. 19 commi 5 bis e 6 del d. lgs. n. 165/2001. 136 Cfr. S. Battini, In morte del principio dello spoils system: la Corte preferisce lo spoils system, in Giornale di dir. amm., 2006,8, pp. 911 ss. 137 La Corte costituzionale, in diverse occasioni successive, ha avuto modo di sviscerare il tema dello spoils system in rapporto ai principi costituzionali sul funzionamento degli apparati pubblici e lo ha fatto restando sulla falsa riga dell’orientamento di cui al testo. Le sentenze più rilevanti sono state la sentenza n. 161/2008, la n. 81/2010, la n. 304/2011 e la n. 246/2011. Per una loro ricostruzione complessiva nel quadro dei pertinenti principi costituzionali, si veda N. Durante, spoils system e dirigenza pubblica, Roma, 2011. 138 Sulla evoluzione della giurisprudenza della Corte Costituzionale sul tema dello spoils system, si veda anche. V. Cerulli Irelli, Lineamenti dir. amm., cit. p.185 e C. Colapietro, op. ult. cit. p. 405. N. Durante, 65 Nel complesso la riforma della dirigenza si presta ad alcune osservazioni. La prima è che nel nostro Paese il sistema delle spoglie è stato stravolto, aumentando il clientelismo nell'amministrazione e gli oneri a carico della finanza pubblica. Se a questo difetto si aggiunge il più volte citato arretramento della legge dalla disciplina delle organizzazioni pubbliche, ne risulta un sistema amministrativo nel quale continuità del rapporto d'ufficio e responsabilità dei dirigenti sono nella disponibilità dell'autorità politica, con conseguente, sostanziale, svuotamento della riserva di legge ex art. 97 Cost., cioè dell'unica copertura che dà al dirigente l'indipendenza funzionale al buon andamento e all'imparzialità dell'azione amministrativa. 5.4 Il governo delle autonomie locali La crescente autonomia delle collettività locali è un fenomeno caratteristico degli Stati contemporanei 139. Essa garantisce politiche più democratiche perché più vicine e più controllabili dai cittadini, ma aggrava il problema del rapporto tra politica e amministrazione se non altro perché aumentano i centri di decisione 140. In Italia già la cd. "riforma Bassanini" (legge n. 59/1997), in attuazione dell'art. 5 Cost., aveva in linea di principio conferito le funzioni amministrative agli enti pubblici territoriali in base ai criteri di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Poi la legge costituzionale n. 3/2001 di riforma del Titolo V della Costituzione ha costituzionalizzato le idee-guida della legge Bassanini (art. 118 comma 1 Cost.) e, in più, ha sancito la tendenziale dislocazione dell'amministrazione in sede locale, salvo esigenze di carattere unitario che rendano necessario attivare livelli di governo più elevati 141. Di qui un imponente spoils system, cit., contiene anche una esposizione aggiornata della giurisprudenza di legittimità in materia, dalla quale si evincono due punti chiave relativi alla tutela giurisdizionale del dirigente: l’attribuzione al giudice ordinario della competenza in ordine agli atti di conferimento degli incarichi dirigenziali, che sono considerati “atti datoriali”, come tali privatistici, e la pienezza di tutela giurisdizionale del dirigente, di natura risarcitoria e ripristinatoria. 139 Cfr., in chiave di diritto pubblico comparato, M. Volpi, Libertà e autorità, Torino, 2004, p. 50. 140 Come osserva V. Cerulli Irelli, op. ult. cit., pp. 50-51. 141 Si veda G. Berti- G.C.De Martin, Il sistema amministrativo dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, Roma, 2002, pp. 16-17. Sul decentramento amministrativo e sul principio di sussidiarietà, cfr. V. Cerulli Irelli, Decentramento amministrativo, in Diz. dir. pubbl., 111, Milano, 2006, Id., Sussidiarietà (dir. amm.), in Enc. giur., XXX, Roma, 2003. Una sintetica introduzione al tema delle 66 riassetto delle funzioni tra Stato e Regioni con tendenziale dislocazione a livello locale delle competenze amministrative, rendendo necessari dispositivi di concertazione e soprattutto istanze di raccordo tra i diversi livelli istituzionali, finalizzati a portare "intorno a un tavolo" gli enti interessati per arrivare a determinazioni condivise 142. Il punto interessante ai fini della presente indagine è capire ciò che succede quando emergono dissensi tra i soggetti in posizione co-decisoria. In tal caso entrano in azione meccanismi istituzionali di raccordo, la cui manifestazione più rilevante è la Conferenza Stato- Regioni, la Conferenza Stato- città e la Conferenza unificata (laddove la questione tocchi tutti i livelli di governo), disciplinate dapprima dalla legge n. 400/1988 e poi dal d. lgs. n. 281/1997. Cosa hanno di notevole tali organismi? In primo luogo, essi operano quali sedi di mediazione politica e di composizione di interessi, nel senso che pur potendo essi votare "per corpi", di fatto le deliberazioni sono quasi sempre prese all'unanimità 143. In secondo luogo, nelle Conferenze in esame siedono esclusivamente gli Esecutivi, nazionali e degli enti locali, cioè soggetti affini che si mettono d'accordo su questioni di interesse comune 144. Infine, la garanzia del buon funzionamento degli accordi stipulati nelle sedi di concertazione si fonda sulla capacità dei "concertanti" di fare rispettare gli accordi alle proprie collettività di riferimento. Il loro successo è tale che oggi il meccanismo della concertazione è il modo più diffuso per raggiungere decisioni amministrative tra più enti in posizione co-decisoria 145. La concertazione garantisce bassa conflittualità, rapidità e discrezione 146. La sua esplosione è sintomatica del autonomie locali si deve a M. Ruotolo, Le autonomie locali, in Lineamenti di diritto pubblico acd. F. Modugno, cit., pp.508 ss. 142 Si pensi alla conferenza di servizi, di cui esiste una variante relativa alla fase istruttoria del procedimento e una per la fase decisoria: art. 14 legge n. 241/1990, per non parlare degli innumerevoli concerti, delle intese e, per quanto riguarda gli enti locali, degli accordi di programma (art. 34 TUEL). Sulle diverse tipologie di conferenza di servizi, v. F. Bassanini- L. Carbone, La conferenza di servizi: il modello e i principi, in La disciplina generale dell'azione amministrativa, acd. V. Cerulli Irelli, Napoli, 2006. 143 Sul punto, v. V. Cerulli Irelli, Lineamenti dir amm., cit., pp.62-63. 144 Cfr. S. Niccolai, op. ult. cit,. p.99. 145 Cfr. Vincenzo Lippolis, La centralità del Governo nel sistema politico. La specificità del caso italiano, in Il Filangieri, Napoli, 2010, pp.25-26. Si noti che la prassi concertativa è assai diffusa anche tra le amministrazioni statali, ma qui eventuali dissensi sono risolti in sede di Consiglio dei Ministri: art. 2 legge n. 400/1988. 146 Cfr. S. Niccolai, op. ult. cjt., pp.55-59. Si veda anche V. Lippolis, op. ult: cit., p.26. 67 passaggio dallo "Stato legislativo" allo "Stato amministrativo", nel quale la legittimità delle decisioni risiede nel procedimento, che isola e seleziona temi e attori del conflitto prima della decisione (in modo tale che eventuali dissensi siano ex ante neutralizzati)147. In questo modo si assumono decisioni politiche relative a interessi concreti di settori della società, che hanno però anche una portata generale e che, come tali, dovrebbero essere disciplinati sul piano normativo solo con decisioni del Parlamento, sede costituzionalmente preposta a tutelare l'interesse generale. Da questo punto di vista, è chiaro che la concertazione pone un grave problema di effettività della democrazia parlamentare e induce a chiedersi se il Parlamento sia ancora la sede dell'autogoverno del popolo sovrano ovvero la stanza notarile di registrazione di decisioni, che riguardano tutti in termini di costi e conseguenze, ma che sono assunte soltanto dagli stakeholders coinvolti, cioè da interessi forti ormai in grado di interloquire direttamente e senza mediazione politica con gli esecutivi (a tutti i livelli: sopranazionali, nazionali e sub-nazionali), i quali, dal canto loro, continuano a espandere incessantemente la propria influenza come perno, ormai pressoché esclusivo, del rapporto societàistituzioni 148. 147 La teoria che nell'odierna società complessa il procedimento e, segnatamente, il procedimento concertativo; sia una, e forse la principale, risorsa di legittimità del potere per ridurre la complessità ed escludere o almeno marginalizzare la conflittualità sociale dal processo politico, è stata elaborata da N.Luhmann, Legitimation durch Verfahren, Frankfurt am Main, 2001, p. 117 e pp.153-73. 148 Cfr. M. Volpi, Libertà e autorità, cit., pp.51-53, C. Crouch, Postdemocrazia, cit., pp. 112-16 68 Capitolo VI LA CENTRALITA' DELL'ESECUTIVO NELLA NUOVA GOVERNANCE DELLA FINANZA PUBBLICA 6.1 La crisi della legislazione finanziaria complessa e la riforma della procedura di bilancio La riforma della governance della finanza pubblica è sicuramente al centro del processo di sostanziale revisione dei rapporti tra Governo e Parlamento, attesa anche la sempre maggiore rilevanza che la dimensione finanziaria assume nell’elaborazione ed attuazione di tutte le politiche pubbliche. In particolare, l’esigenza di una stabilizzazione definitiva dei conti pubblici in adesione agli impegni assunti a livello comunitario ha imposto la complessiva riforma degli strumenti e delle procedure di finanza pubblica che ha comportato lo specifico ripensamento dell’architettura istituzionale in materia 69 finanziaria, anche a Costituzione vigente 149. Alla modifica, in via sperimentale, di alcune regole della formazione del bilancio pubblico è seguita la legge n. 196 del 2009 150 che, rivedendo l’intero sistema della contabilità e finanza pubblica, ha ridisegnato l’impianto delle relazioni tra Camere e Governo in materia di politiche di bilancio, “lasciando al Parlamento prevalenti competenze di controllo e di indirizzo e riservando all’Esecutivo tanto la potestà decisionale in materia di spesa pubblica quanto le connesse responsabilità sia politiche sia a livello di pubbliche amministrazioni” 151. Secondo gli orientamenti prevalenti in ambito europeo e internazionale ulteriormente rafforzatisi nei diversi fora (OCSE, Fondo monetario internazionale, Commissione europea), a seguito della pressante esigenza di contrastare con maggiore efficacia la crisi economico-finanziaria - la stabilizzazione dei bilanci pubblici passa anche attraverso la riforma complessiva degli aspetti organizzativi e di funzionamento degli ordinamenti finanziari nazionali che implica, necessariamente, una revisione del sistema delle relazioni istituzionali in materia di finanza pubblica. La tendenza - che, peraltro, interessa tutti i Paesi OCSE - è di spostare nell’orbita dell’Esecutivo il baricentro della governance in materia finanziaria e, al contempo, rafforzare il ruolo delle Assemblee elettive nell’indirizzo e nel controllo delle politiche di bilancio con l’attribuzione di più stringenti poteri di verifica della “salute” dei conti pubblici e dell'operato degli organi di governo. Il rafforzamento delle prerogative parlamentari nei sensi predetti è indicato come lo strumento indispensabile per assicurare la trasparenza delle decisioni pubbliche di bilancio, anche verso la cittadinanza, il consolidamento della disciplina fiscale e la più efficace finalizzazione della spesa. La necessaria 149 Su questi aspetti cfr. D.Cabras, La nuova sessione di bilancio: gli effetti sull’attività del Parlamento, in federalismi.it, n. 16/2010. L’autore, pag. 3, evidenzia come “la questione delle fonti e degli strumenti normativi con cui si attua la manovra finanziaria non è altro che il riflesso di una questione istituzionale che riguarda innanzitutto il Governo”. 150 La legge n. 196 del 31 dicembre 2009, recante la riforma della contabilità generale dello Stato e delle norme di finanza pubblica, definisce il quadro normativo unico volto ad adeguare le regole di gestione del bilancio e di coordinamento della finanza pubblica agli obblighi derivanti dall’ordinamento comunitario e ai nuovi rapporti economici e finanziari tra Stato ed enti decentrati derivanti dal processo di attuazione del federalismo fiscale. 151 R.Dickmann, “La riforma della legislazione di finanza pubblica e del sistema di bilancio dello Stato e degli enti pubblici”, in federalismi.it, n. 1/2010, pag. 27. 70 premessa è costituita dal potenziamento della base informativa sui costi dei diversi programmi di spesa e sulla loro efficacia in termini di risultati ottenuti, coerente con l’obiettivo, più generale, della promozione di una maggiore attenzione alla qualità delle decisioni in materia di finanza pubblica 152. Lungo tali direttrici, anche la riforma nazionale ha innovato il sistema di governo delle politiche di bilancio prevedendo la tendenziale concentrazione nell’Esecutivo delle attività di programmazione e gestione delle risorse pubbliche con “i riflessi sull’attività parlamentare che sembrano di due tipi: conservativo, se non riduttivo, delle competenze legislative, estensivo, sotto il profilo quantitativo e qualitativo della funzione di controllo” 153 . Due sono peraltro i profili che incidono in maniera significativa sulla costruzione dei nuovi rapporti istituzionali Parlamento-Governo in materia finanziaria: da un lato, la nuova disciplina del ciclo e degli strumenti della programmazione e di bilancio anche in ragione dell’esigenza di armonizzare ed allineare le modalità della programmazione finanziaria - e in particolare i contenuti e la tempistica dell’esame dei principali documenti contabili - alle nuove regole adottate dall'Unione europea per il maggiore coordinamento delle politiche economico-finanziarie degli Stati membri 154; dall'altro, il consolidamento del sistema di governo multilivello caratterizzato dal sostanziale ridimensionamento delle competenze finanziarie dello Stato per effetto, da un lato, della partecipazione all’Unione monetaria europea, e dei sempre più stringenti vincoli nell'impostazione della gestione finanziaria che ne conseguono, e, dall’altro, del riconoscimento dell’autonomia finanziaria agli enti regionali e locali, che ha determinato la trasformazione del sistema delle relazioni finanziarie tra centro e periferia da verticale e piramidale in orizzontale ed a rete (il c.d. coordinamento di finanza pubblica). Questo nuovo assetto multilevel comporta lo spostamento verso il sistema dei rapporti Unione europea-Governo-Parlamento nazionale- e Governoautonomie territoriali-Parlamento nazionale degli aspetti attinenti la finanza pubblica 152 Su questi aspetti cfr. Ministero dell’economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, La riforma della contabilità e della finanza pubblica, Novità, riflessioni e prospettive, 2010, disponibile sul sito www.mef.rgs.it. 153 Cfr. D.Cabras, La nuova sessione di bilancio: gli effetti sull’attività del Parlamento, cit., pag. 1. 154 Su questi aspetti R.Dickmann, “Le regole della governance economica europea e il pareggio di bilancio in costituzione”, in federalismi.it, n. 4/2012. 71 in precedenza circoscritti esclusivamente all’interno delle dinamiche tra Governo e Parlamento nazionale – e la conseguente gestione di complesse attività inter-istituzionali - di natura negoziale - per il coinvolgimento degli attori sovra-nazionali (Commissione e Consiglio europeo) e sub-nazionali (regioni ed enti locali) nell’elaborazione ed attuazione delle politiche nazionali di bilancio 155. Sicuramente il cuore della riforma delle funzioni e relazioni Parlamento-Governo è costituito dalla ridefinizione dei tempi e delle modalità delle annuali procedure di bilancio - che rappresentano la forma tipica di legislazione complessa di iniziativa dell’Esecutivo – arrivate a ricomprendere buona parte della legislazione annuale di maggiore rilevanza 156. La gestione del bilancio nazionale diventa, per il legislatore della riforma, un’attività permanente che accompagna i lavori parlamentari e dell'Esecutivo per tutto l'anno secondo i nuovi termini dello scambio istituzionale che possono riassumersi: “per il Parlamento meno potere legislativo e più poteri di controllo e, di riflesso, per il Governo, maggiore semplicità e speditezza delle procedure legislative, più obblighi informativi e necessità di sottoporsi a controlli più pervasivi” 157. La costruzione di un quadro affidabile, aggiornato e condiviso di dati ed informazioni, anche con riferimento alla finanza degli enti territoriali, ne costituisce il presupposto imprescindibile. Ai fini dell’adeguamento della procedura nazionale di bilancio all’architettura del “semestre europeo” 158, l'avvio della fase programmatica di finanza pubblica è anticipato 155 Su questi aspetti D.Cabras, Appunti sul tema del coordinamento della finanza pubblica tra Unione europea, Stato e autonomie territoriali, in federalismi.it, n. 22/2010. 156 Su questi aspetti Ministero dell’economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, La riforma della contabilità e della finanza pubblica, Novità, riflessioni e prospettive, cit.. 157 D.Cabras” I poteri di informazione e controllo del Parlamento in materia di contabilità e finanza pubblica alla luce della legge 31 dicembre, 2009, n. 196”, www.forumcostituzionale.it, pag. 3. 158 Si tratta di un meccanismo per il coordinamento ex ante delle politiche economiche nazionali introdotto con la decisione del 7 settembre 2010 del Consiglio ECOFIN che ha apportato alcune modifiche al Codice di condotta sull’attuazione del Patto di stabilità e crescita – che ha segnato il passaggio da una procedura europea di verifica dei bilanci nazionali solo a consuntivo (il rispetto del Patto di stabilità e crescita) ad un potenziamento della fase preventiva, con una armonizzazione dei tempi e in parte anche dei modi della programmazione europea economico-finanziaria, concentrata nella prima metà dell’anno, in modo tale che i Governi nazionali abbiano già ottenuto una valutazione ed eventuali indirizzi in sede europea prima ancora della presentazione ai rispettivi Parlamenti delle proprie proposte di bilancio. Il semestre europeo prevede le seguenti fasi: gennaio: presentazione da parte della Commissione dell’indagine annuale sulla crescita; febbraio/marzo: il Consiglio europeo elabora le linee 72 al 10 aprile, termine entro il quale il Governo è tenuto alla presentazione alle Camere, per le conseguenti deliberazioni, del Documento di economia e finanza (DEF) 159. Questo documento sostituisce il DPEF, ampliandone in maniera significativa i contenuti, e contiene gli schemi del Programma di stabilità e del Programma nazionale di riforme, chiamati, rispettivamente, secondo la nuova disciplina comunitaria per il maggiore coordinamento delle politiche economiche nazionali, ad esplicitare gli obiettivi di bilancio di ogni Stato membro e le principali riforme da attuare e lo stato di avanzamento di quelle già avviate per una maggiore competitività dei sistemi economici nazionali. La presentazione alle Camere è finalizzata a consentire alle stesse di esprimere le proprie valutazioni prima della formalizzazione dei due programmi da parte del Governo al Consiglio dell'Unione europea e alla Commissione europea, nel termine del 30 aprile di ciascun anno. L’indicata modulazione temporale, con i venti giorni intercorrenti tra la presentazione del Documento di economia e finanza e la trasmissione del Programma di stabilità e del Piano nazionale di riforma - ad esso allegati - all’Unione europea, comporta l’evidente concentrazione dei tempi di esame parlamentare del nuovo documento di programmazione economico-finanziaria, tenuto conto che le Commissioni bilancio delle due Camere, pur prevedendo un lavoro congiunto, procedono ormai, secondo una prassi consolidata, a una serie di audizioni di soggetti istituzionali (Banca d’Italia, ISTAT, Corte dei conti, CNEL, rappresentanti guida di politica economica e di bilancio a livello UE e a livello di Stati membri; fine aprile: gli Stati membri sottopongono contestualmente i Piani nazionali di riforma (PNR, elaborati nell’ambito della nuova Strategia UE 2020) ed i Piani di stabilità e convergenza (PSC, elaborati nell’ambito del Patto di stabilità e crescita), tenendo conto delle linee guida dettate dal Consiglio europeo; inizio giugno: sulla base dei PNR e dei PSC, la Commissione europea elabora le raccomandazioni di politica economica e di bilancio rivolte ai singoli Stati membri; giugno: il Consiglio ECOFIN e, per la parte che gli compete, il Consiglio Occupazione e Affari Sociali, approvano le raccomandazioni della Commissione europea, anche sulla base degli orientamenti espressi dal Consiglio europeo di giugno; seconda metà dell’anno: gli Stati membri approvano le rispettive leggi di bilancio, tenendo conto delle raccomandazioni ricevute. L’analisi annuale della crescita è chiamata a stabilire gli orientamenti per le politiche economiche e di bilancio degli Stati membri 159 Vedi articolo 9 della L. 31 dicembre 2009, n. 196, come modificata dalla L. 7 aprile 2011, n. 39. Si rammenta che il Ministro dell’economia e delle finanze è comunque tenuto, ai sensi del comma 2 del citato articolo 9, a riferire alle Commissioni parlamentari entro 15 giorni dalla trasmissione delle linee guida di politica economica e di bilancio elaborate dal Consiglio europeo entro febbraio/marzo, fornendo una valutazione dei dati e delle misure prospettate dalle linee guida, nonché delle loro implicazioni per l’Italia, anche ai fini della predisposizione del programma di stabilità e del Programma nazionale di riforma. . 73 delle autonomie locali) ed eventualmente anche delle organizzazioni rappresentative degli operatori economici. Una diversa tempistica non appare, peraltro, possibile in ragione delle necessità, da un lato, di rispettare il termine "finale" imposto a tutti gli Stati membri, dall'altro, di attendere il rilascio dei dati di contabilità nazionale e dei dati di finanza pubblica da parte dell'ISTAT - per questioni tecniche non prima della fine di marzo - e consentire la successiva elaborazione dei documenti - molto ponderosi - da parte del Mef 160. Ciò che appare necessario, al di là della questione della tempistica, è, comunque, evitare che l’intervento parlamentare finisca per avere una scarsa incidenza sulla formazione delle scelte configurandosi come “mero commento” o “testimonianza” in merito a posizioni già consolidate tra istituzioni europee ed esecutivi 161. Per superare queste criticità occorre non soltanto rivedere procedure e prassi interne a ciascuna Assemblea, ma utilizzare in maniera efficace gli strumenti di raccordo tra Governo e Parlamento soprattutto con riferimento agli obblighi in capo all’Esecutivo di fornire alle Camere informazioni circostanziate e di contesto e di rendere conto del seguito dato agli indirizzi espressi nelle sedi parlamentari. L’effettivo coinvolgimento parlamentare nell’elaborazione di politiche euro-nazionali è, peraltro, richiesto dalla stessa normativa comunitaria che prevede espressamente che ogni programma nazionale di stabilità debba comprendere le informazioni sullo stato del suo iter a livello nazionale, precisando se esso è stato presentato al Parlamento nazionale, se il Parlamento nazionale ha avuto l'opportunità di discutere il parere del Consiglio sul precedente programma, oppure su eventuali raccomandazioni o avvertimenti, e se il programma ha 160 Su questi aspetti cfr. Audizione presso la V Commissione (Bilancio, Tesoro e Programmazione) della Camera dei deputati del Ragioniere generale dello Stato in materia di “Modifiche alla legge 31 dicembre 2009, n. 196, conseguenti alle nuove regole adottate dall’Unione europea in materia di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri: esame dell’Atto Camera n. 3921”, reperibile sul sito www.mef.rgs.it. 161 Si rammenta che, in occasione della prima attuazione del “Semestre europeo”, nel 2011, il Documento di economia e finanza è stato presentato alle Camere il 13 aprile 2011 (l’ultimo allegato al Documento, relativo agli interventi nelle aree sottoutilizzate, è stato presentato il 28 aprile), le Commissioni Bilancio dei due rami hanno svolto attività conoscitiva congiunta dal 18 al 20 aprile; l’esame in Commissione si è sviluppato nell’arco della giornata del 27 aprile; la discussione in Assemblea si è svolta il giorno successivo. D’altra parte, la legge di modifica alla legge n. 196 del 2009 per l’adeguamento del ciclo di bilancio alle nuova programmazione finanziaria europea, datata 7 aprile 2011, è intervenuta troppo tardi per sfruttare appieno le potenzialità insite nella nuova procedura; inoltre, la spalmatura della manovra in tre provvedimenti d’urgenza, approvati nel periodo estivo, ha mostrato come i fatti contingenti possano vanificare o contraddire la attività di programmazione. 74 ricevuto l'approvazione parlamentare. La discussione del programma e dei pareri del Consiglio sul medesimo adottati divengono, così, requisito di forma-contenuto del programma stesso ed assumono rilievo anche ai fini della sua valutazione da parte delle Istituzioni dell’Unione, aprendo la strada ad una considerazione della partecipazione parlamentare alla definizione del programma quale valore aggiunto per la stessa affidabilità e credibilità delle indicazioni economiche e finanziarie in esso contenute 162. Al DEF in aprile fa seguito la trasmissione - prima eventuale, ora obbligatoria - da parte del Governo alle Camere, entro il 20 settembre, di una nota di aggiornamento degli andamenti macroeconomici e di finanza pubblica 163. Questa nota precede la presentazione della manovra finanziaria - composta dai disegni di legge di bilancio e di stabilità - posticipata al 15 ottobre (il precedente termine era il 30 settembre) con la conseguente riduzione di 15 giorni della durata della sessione parlamentare di bilancio. La riorganizzazione della manovra finanziaria, basata sul potenziamento dello strumento di bilancio, da un lato, e il passaggio, non soltanto nominalistico, dalla legge finanziaria alla legge di stabilità 164, dall’altro, segna la radicale trasformazione del modello di legislazione in sede di sessione di bilancio, nella prospettiva di una riaffermazione del diritto al bilancio del Parlamento a fronte della conferma della concentrazione nell’Esecutivo dell’iniziativa legislativa in materia finanziaria (leggi di bilancio, legge di stabilità, collegati alla manovra finanziaria, a cui si aggiunge, come vedremo, il sempre più frequente ricorso alla decretazione d’urgenza) 165. In particolare, alla legge di bilancio viene riconosciuta la possibilità di intervenire 162 Su questi aspetti cfr. Camera dei deputati, Osservatorio sulla legislazione, XVI legislatura, Rapporto 2010 sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea, Nota di sintesi, Le assemblee legislative e le nuove strategie dell’Unione europea, 29 novembre 2010. 163 L’articolo 10, comma 11, della L. 31 dicembre 2009, n. 196 prevede che, entro il 30 giugno di ogni anno, ad integrazione del DEF, il Ministro dell'economia e delle finanze è, comunque, tenuto a trasmettere alle Camere un apposito allegato in cui sono riportati i risultati del monitoraggio degli effetti sui saldi di finanza pubblica derivanti dalle misure contenute nelle manovre di bilancio adottate anche in corso d'anno. A ciò si aggiunge l’articolo 10-bis, comma 6, che, nella ipotesi in cui il Governo intenda aggiornare gli obiettivi o scostamenti da questi che renda necessario adottare correttivi, impone allo stesso Esecutivo di trasmettere alle Camere una relazione. 164 Su questi aspetti F.Sciola, Dalla legge finanziaria alla legge di stabilità, osservatoriosullefonti.it, n. 2/2010. 75 sulle leggi di autorizzazione di spesa così innovando il previgente sistema che escludeva tale possibilità e rimetteva, conseguentemente, alla legge finanziaria tutta la serie di interventi sulle singole leggi sostanziali di spesa da adottare in sede di manovra finanziaria, poi recepiti negli effetti dalla legge di bilancio. Contestualmente, l'unità di voto parlamentare per la spesa è elevata al livello del programma per migliorare la leggibilità e la trasparenza del bilancio e limitare sensibilmente il numero delle possibili votazioni intorno alle quali proporre un esame parlamentare più approfondito. L’intento è di rafforzare in questo modo la consapevolezza del Parlamento nelle decisioni di allocazione delle risorse e valorizzarne il ruolo nella definizione delle linee strategiche delle politiche pubbliche, a fronte della concessione al Governo di più ampi spazi di manovra nella gestione del bilancio 166. La “nuova” finanziaria viene “asciugata” nei contenuti con l’esclusione di norme a carattere ordinamentale e organizzatorio, anche qualora si caratterizzino per un rilevante miglioramento dei saldi, di norme di natura localistica o microsettoriale, nonché di quelle finalizzate direttamente al sostegno o al rilancio dell'economia, con l’effetto di limitare, indirettamente, il potere di emendamento parlamentare proprio rispetto al provvedimento più atteso, in quanto consentiva tradizionalmente interventi, spesso anche di impatto modesto, in tutti i settori economici 167. Gli interventi – anche quelle puntuali o di dettaglio - nei diversi settori ai fini dell’aggiustamento tra obiettivi e vincoli di bilancio e singole politiche vengono ripartiti tra diversi strumenti legislativi destinati proprio ad “assorbire” i c.d. contenuti impropri che avevano caratterizzato le leggi finanziarie. Le misure di sviluppo economico e tutto ciò che ha rilevanza ordinamentale, anche se con riflessi sull’economia, sono, in linea di principio e secondo logica, destinate ad apposti disegni di legge collegati 168 (i disegni di legge collegati 165 Su questi aspetti G.Rivosecchi, La riforma della legge di contabilità tra riaffermazione del diritto al bilancio del Parlamento e concezioni stato centriche del coordinamento della finanza pubblica, www.forumcostituzionale.it, 8 giugno 2009. 166 Il riferimento è alla possibilità della movimentazione da parte dei centri di spesa ministeriali delle risorse all’interno di ciascun programma per il superamento dei vincoli “puntuali” discendenti dal sistema previgente che prevedeva l’approvazione da parte del Parlamento dei capitoli di spesa. 167 Cfr D.Cabras, La nuova sessione di bilancio: gli effetti sull’attività del Parlamento, cit., pag. 2. 168 I disegni di legge devono essere indicati nella Decisione di economia e finanza o nella successiva Nota di aggiornamento e presentati entro il mese di gennaio. Questo non sembra tuttavia escludere la 76 nascono storicamente quando si decide di limitare il contenuto della legge finanziaria), omogenei per materia e per competenza delle amministrazioni. Questa soluzione dovrebbe, tra l’altro, consentire alle Commissioni parlamentari di settore di riprendere centralità relativamente all’esame delle misure della parte di manovra finanziaria di interesse, laddove l’impropria confluenza di tutti i contenuti nella legge finanziaria ha finito per attrarre l’intero esame della manovra alle competenze delle Commissioni bilancio, con il conseguente interessamento delle Commissioni di merito limitatamente all’espressione di un parere in sede consultiva. Alla migliore utilizzazione dei collegati è correlato il rafforzamento dei veicoli legislativi annuali chiamati ad intervenire nella varietà e complessità di articolazione degli interventi nei diversi settori, con l’affiancamento alla legge comunitaria della recente introduzione delle leggi per la maggiore concorrenza e per il sostegno al sistema delle piccole e medie imprese (PMI), dirette proprio a garantire la revisione periodica di normative specifiche secondo criteri di maggiore organicità e coerenza. La trasparenza e la chiarezza del bilancio, nonché la riorganizzazione e la razionalizzazione della manovra finanziaria, vogliono costituire la premessa per un più ordinato ed efficace svolgimento dell’attività legislativa in sede di sessione di bilancio 169 al fine di superarne le criticità sia in termini di contenuti che di tempi e procedure 170. Gli obiettivi sono il definitivo superamento di quel fenomeno del periodo possibilità di collegati di sessione ma solo riconoscere al Governo la possibilità di presentare disegni di legge collegati entro un termine più ampio. 169 Su questi aspetti cfr. Camera dei deputati, Osservatorio sulla legislazione, XVI legislatura, Rapporto 2009 sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea, Nota di sintesi, La riarticolazione territoriale delle politiche pubbliche nazionali e il ruolo delle Assemblee legislative, cit.. Nel rapporto richiamato si evidenzia come il cambiamento della legge finanziaria modifichi l’intero assetto della legislazione in Parlamento e segni la fine del lungo ciclo non solo del dominio della legislazione complessa ma quello – ben più lungo – del domino della legislazione tout court come principale strumento del governo del Paese. Questo cambiamento, secondo lo stesso Rapporto, rappresenta una svolta da non sottovalutare dal momento che modifiche al processo legislativo parlamentare hanno sempre influenzato gli equilibri assai più profondi dell’intero sistema istituzionale. 170 Su questi aspetti Camera dei deputati, Osservatorio sulla legislazione, XVI legislatura, Rapporto 2009 sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea, Nota di sintesi, La riarticolazione territoriale delle politiche pubbliche nazionali e il ruolo delle Assemblee legislative, cit.. Si tratta, come evidenziato dal Rapporto richiamato, di una crisi che, peraltro, riguarda tutte le diverse forme di legislazione complessa e che si manifesta nell’evidente crescita degli inconvenienti legati all’uso eccessivo, e a volte forzato, dei diversi strumenti legislativi. All’interno dei provvedimenti più vasti, intorno ad un nucleo di misure ad alto rilievo politico, si inserisce un numero altissimo di interventi di micro-legislazione 77 1999-2007, che giunge all’apice nel corso della XV legislatura, caratterizzato dal sempre maggiore accentramento sostanziale delle decisioni di spesa nella funzione di governo 171, a fronte, peraltro, della continua crescita dei volumi della finanziaria in sede esame parlamentare, che giunge a ricomprendere buona parte della legislazione annuale, anche dai contenuti marginali sul quadro di finanza pubblica 172. Le pressioni politiche e la proliferazione di emendamenti micro-settoriali finiscono per alimentare quell’approccio di tipo “incrementale” al bilancio, con il grosso della spesa pubblica definito di anno in anno con cambiamenti marginali, alla base del consolidamento dei livelli di spesa (la c.d. spesa storica) senza un riesame approfondito della validità dei programmi in essere e della sempre più scarsa rispondenza tra priorità del Governo e scelte di bilancio. Le scelte di bilancio risultano sempre più condizionate da lobbies e “contrattazioni” con singoli parlamentari o piccoli gruppi, il più delle volte rispondenti a logiche e interessi territoriali piuttosto che di appartenenza a partiti politici 173. La tendenza registra un Governo che stabilisce il contenuto della finanziaria in via preliminare, riprende in Parlamento le questioni rimaste aperte al suo interno, riceve parte delle proposte micro-settoriali e localistiche presentate dai parlamentari, le raccoglie mediante maxi-emendamenti costituiti da centinaia di commi e, infine, scarica occasionale, secondo una modalità “opportunistica” che sfrutta la forza trainante di veicoli legati a precise scadenze, o comunque ad andamento annuale (legge finanziaria, decreti mille-proroghe, legge comunitaria), ovvero quella dei decreti-legge ad alto contenuto politico o di emergenza. L’unione tra misure ad alto contenuto politico e le ondate di legislazione occasionale sono state il profilo che ha contraddistinto negli anni la legge finanziaria e i provvedimenti equivalenti. La crescita di condizioni di compatibilità legate a equilibri o vincoli connessi a processi esterni di varia natura ha condotto al ricorso sistematico ai maxi-emendamenti e alla questione di fiducia, determinando abnormi e interminabili sequenze di commi e rendendone, infine, il costo politico superiore ai vantaggi. 171 La legge finanziaria diviene, in quel periodo, una legge universale (legge “omnibus”) in cui tende a risolversi, in misura sempre maggiore, l’intera politica economico-finanziaria del Governo. L’interessamento, anche se a volte in maniera incidentale, dell’intero arco delle politiche pubbliche è ragione per l’adozione di misure spesso al limite o oltre il limite dei confini di competenza delineati dalla Corte costituzionale nell’interpretazione del Titolo V così finendo per costituire terreno fertile per il contenzioso tra Stato e regioni ed enti locali. 172 Su questi aspetti cfr. R. Dickman, Legge finanziaria e qualità della formazione, www.federalsimi.it, n. 4/2008. 173 Su questi aspetti Camera dei deputati, Osservatorio sulla legislazione, XVI legislatura, Rapporto 2008 sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea, Tomo I, 10 ottobre 2008. Il rapporto, pag. 18, evidenzia: “L’ipertrofia della legge finanziaria e degli strumenti ad essa variamente associati, nei quali ha finito per concentrarsi una grande quota della legislazione annuale più rilevante, rappresenta nella lunga durata un fattore di opacità e di riduzione delle garanzie democratiche di ordine, trasparenza e comprensione da parte dell’opinione pubblica”. 78 sul Parlamento l’onere di non causare una crisi tramite la posizione della questione di fiducia sul testo, strumentale a garantire l'approvazione della manovra nei tempi e con contenuti “sostenibili” rispetto agli impegni di bilancio assunti con l’Unione europea. L’esigenza di contrastare questa degenerazione dei contenuti e delle modalità di svolgimento della sessione di bilancio ha portato, nelle sessioni di bilancio 2008 e 2009, alla riduzione sperimentale dei contenuti della legge finanziaria, poi sostanzialmente ripresa dalla riforma. Certamente per effetto del periodo di emergenza economicofinanziaria - che influenza, in maniera determinante, i tempi e le modalità dell’attività legislativa in materia finanziaria - la sperimentazione ha dovuto, peraltro, fare i conti con la prassi, contestualmente introdotta, di adottare le misure legislative in materia economico-finanziaria prevalentemente, se non in via esclusiva, tramite il binomio decretazione d’urgenza- apposizione della fiducia, anticipando con le c.d. manovre estive le misure di correzione ai saldi di bilancio, i cui effetti sul quadro finanziario nazionale sono stati poi recepiti dai disegni di legge finanziaria 174. I decreti-legge hanno assunto, in parte, i contenuti dispositivi tipici della legge finanziaria e, soprattutto, quelli dei provvedimenti collegati, con il vincolo di omogeneità degli stessi contenuti, gioco forza, ritenuto sussistente con riferimento alla finalità complessivamente perseguita dai decreti-legge, di norma il contrasto della crisi economico-finanziaria ed il rilancio dell’economia 175. L’apposizione della questione di fiducia è divenuta non soltanto lo strumento per garantire la conversione nei termini costituzionali (la c.d. fiducia tecnica, volta a ridurre i tempi dell’esame dei provvedimenti in Assemblea) ma anche per una “responsabilizzazione” delle Camere rispetto ai sempre più stringenti vincoli comunitari e alle necessità di rassicurare i mercati finanziari. 174 Cfr. G.Rivosecchi, Il Governo europeo dei conti pubblici tra crisi economico-finanziaria e riflessi sul sistema delle fonti, osservatoriosullefonti.it, n. 1/2010, pag. 12. L’autore, pag. 12, evidenzia come:“Le leggi nn. 133 del 2008, 102 del 2009 e 141 del 2009 (di conversione di decreti-legge), costituiscono esempi significativi della tendenza ad eludere il controllo parlamentare sulle politiche sostanziali, scorporandone buona parte dei contenuti che vengono “blindati” attraverso l'uso combinato della decretazione d'urgenza e della questione di fiducia, con l'aggravante che si tratta spesso di atti normativi che, dietro titoli ad effetto mediatico (“sviluppo economico”; “provvedimenti anticrisi”), esprimono tanto consistenti quanto disomogenei interventi sulle finanze pubbliche, sull'economia nazionale, sull'organizzazione fiscale e sui procedimenti amministrativi nei settori più disparati delle pubbliche amministrazioni”. 175 Cfr. D.Cabras, La nuova sessione di bilancio: gli effetti sull’attività del Parlamento, cit., pagg. 2 e 3. 79 Anche il successivo avvio, con la sessione di bilancio 2010, del nuovo modello di legislazione in sede di manovra finanziaria ha confermato, peraltro, questa tendenza alla sostanziale concentrazione delle politiche di spesa nella funzione di Governo, con effetti, come più volte evidenziato dalla Corte dei conti 176, di diminuito controllo parlamentare sulle politiche di spesa e, quindi, di sostanziale vanificazione del nuovo assetto Governo-Parlamento delineato dalla riforma. La tendenza è stata all’adozione della normativa di rilievo finanziario in un numero relativamente ristretto di provvedimenti d’urgenza, sia per effetto di norme previste fin dal testo originario, sia per l’inserimento, divenuto abituale, di ulteriori disposizioni conseguenti all’approvazione di maxiemendamenti presentati nel corso del procedimento di conversione 177. L’intenso ricorso alla decretazione d’urgenza è stato accompagnato dall’evidente contingentamento dell’esame parlamentare, nella gran parte dei casi ormai limitato ad una sola delle due Camere, sia per l’esigenza di intervenire con immediatezza sul quadro nazionale di finanza pubblica, che per l’abituale richiamata prassi governativa di presentare maxi-emendamenti e contestualmente apporre la questione di fiducia già in prima lettura, con la volontà politica di “blindare” i contenuti della conversione in vista dell’esame da parte del secondo ramo del Parlamento 178. Così, se i contenuti finanziari della prima legge di stabilità 179, pur prettamente tabellari, in linea con lo spirito della riforma, sono stati anticipati da un decreto-legge 180, ancor più articolati sono stati gli interventi finanziari nell’anno 2011, ove la legge di stabilità per l’anno 2012 è stata preceduta da ben tre decreti-legge e seguita, peraltro, da un altro decreto-legge 181, varato subito dopo l’insediamento del Governo Monti. In particolare, se il decreto legge n. 70 è stato convertito utilizzando quasi tutti i 60 giorni utili, il 176 Da ultimo cfr. Corte dei conti – Sezioni riunite in sede di controllo, Relazione sulla tipologia delle coperture adottate e sulle tecniche di quantificazione degli oneri relative alle leggi pubblicate nel quadrimestre maggio-agosto 2011, deliberazione 30 dicembre 2011. 177 Su questi aspetti Camera dei deputati, Osservatorio sulla legislazione, XVI legislatura, Rapporto 2011 sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea, Nota di sintesi, Nuovi modelli di governance europea, quali spazi per il coordinamento tra le assemblee legislative?, 4 novembre 2011. 178 Su questi aspetti G.M. Salerno, La legge finanziaria 2008 tra fondati timori e necessità di riforma, federalismi.it, n. 19/2007. 179 L. 13 dicembre 2010, n. 220. 180 D.L. 31 maggio 2010, n. 78. 181 D.L.6 dicembre 2011, n. 201. 80 decreto-legge n. 98, emanato il 6 luglio, ha concluso il suo esame parlamentare già il 15 luglio e il decreto-legge n. 138, emanato il 13 agosto, è stato esaminato dalle due Camere nel volgere di un solo mese. Con questa evidente ristrettezza dei tempi di esame le modifiche in conversione sono state limitatissime, circoscritte in prima lettura e adottate esclusivamente in sede di commissione referente, con un esame spot del provvedimento in seconda lettura e l’apposizione della questione di fiducia in entrambi i rami del Parlamento. La stessa legge di stabilità per l’anno 2012 182 ha assunto, di nuovo, contenuti “pesanti” per l’inserimento, nel disegno di legge presentato dal Governo alle Camere (composto da 7 articoli e 148 commi ), di tutti i correttivi – anche di carattere ordinamentale – necessari al conseguimento degli obiettivi di riduzione di spesa assegnati ai diversi Ministeri 183 e, con un maxiemendamento governativo in prima lettura, delle misure urgenti per il sostegno alla crisi 184 che ha portato il testo definitivo a 36 articoli e 331 commi. 6.2 La negoziazione in materia di finanza pubblica. L’introduzione di meccanismi per la più stretta convergenza delle politiche economico-finanziarie degli Stati membri e il nuovo assetto delle relazioni finanziarie tra centro e periferia hanno necessariamente determinato, come già evidenziato, la costruzione di una complessa rete di rapporti in forma continuativa tra i diversi livelli ordinamentali. Questa rete concentra nell’Esecutivo la gestione di vere e proprie negoziazioni al fine di preventivamente definire le iniziative nazionali in attuazione degli impegni derivanti dall’adesione alla moneta unica e successivamente disciplinare i termini e le modalità della partecipazione degli enti territoriali al conseguimento degli obiettivi nazionali, individuati a seguito degli accordi di livello sovra-nazionale, nel 182 L. 12 novembre 2011, n. 183. L’inserimento è avvenuto in deroga alle disposizioni sulla legge di contabilità per effetto dell’articolo 10, comma 4, della L. 15 luglio 2011, n. 111, di conversione del D.L. 6 luglio 2011, n. 98. 184 Si è trattato di una parte delle disposizioni che avrebbero dovuto confluire nel c.d. decreto-legge sviluppo non più adottato dal Governo Berlusconi. 183 81 necessario rispetto delle prerogative di autonomia riconosciute ai livelli di governo subnazionale 185. Nel quadro del nuovo patto di stabilità, l’Unione europea si è aperta, infatti, a conoscere le caratteristiche particolari dell’economia e della finanza pubblica di ciascun Paese, prendendo in considerazione approfondita non soltanto elementi a breve termine, ma anche a lungo termine e non soltanto profili quantitativi, ma anche di ordine qualitativo, con riferimento alle diverse tipologie di spesa e ai loro effetti sulla economia 186. In questa situazione si sono moltiplicati gli effetti del crescente articolarsi e dettagliarsi della disciplina comunitaria delle politiche di bilancio che ha determinato un fortissimo intensificarsi delle interrelazioni e correlazioni nei più diversi comparti normativi e finanziari. La fitta rete di rapporti tra organismi comunitari e Governi nazionali che ne discende pone l’evidente questione di garantire l’adeguato coinvolgimento delle Assemblee elettive nella preliminare fase di definizione dell’indirizzo politico. Ciò tenuto conto anche della tendenza al ricorso ad una gestione intergovernativa della crisi che attribuisce un ruolo fondamentale – e prevalente – al controllo reciproco tra gli Stati membri - sia in sede di programmazione che di successiva attuazione delle manovre di bilancio – esercitato in sede di Consiglio europeo e dei c.d. Euro-summit tra i Capi di Stato e di Governo degli Stati dell’area euro, per i quali si è giunti ad una disciplina dello svolgimento con il recente Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell’unione economica e monetaria (il c.d. Fiscal compact) 187, firmato in occasione del Consiglio europeo dell'1-2 marzo 2012 da venticinque Paesi dell’Unione europea, con l’esclusione del Regno Unito e della Repubblica Ceca, e che entrerà in 185 Cfr. Camera dei deputati, Osservatorio sulla legislazione, XVI legislatura, Rapporto 2009 sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea, Nota di sintesi, La riarticolazione territoriale delle politiche pubbliche nazionali e il ruolo delle Assemblee legislative, 30 ottobre 2009, pag. 27. 186 Su questi aspetti G.Rivosecchi, Il Governo europeo dei conti pubblici tra crisi economico-finanziaria e riflessi sul sistema delle fonti, cit.. 187 Per un approfondimento dei contenuti del trattato: Camera dei deputati, Ufficio rapporti con l’Unione europea, XVI legislatura, Progetto di trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell’unione economica e monetaria, 25 gennaio 2012, n. 202. 82 vigore all’atto di ratifica di almeno dodici Paesi contraenti 188. Nelle predette sedi i vertici politici degli Stati membri non solo raggiungono direttamente accordi e intese su posizioni comuni a scapito delle procedure e forme di contatto e di mediazione previste dai Trattati, ma, come parte integrante del rafforzamento degli impegni assunti, svolgono verifiche “tra pari” (peer review) dei progressi raggiunti, sulla base di indicatori concordati e definiti congiuntamente, e richiedono gli eventuali ulteriori correttivi di finanza pubblica, ponendo, in tal modo, la questione dell’effettiva sussistenza di una sovranità nazionale in materia di bilancio 189. L’esigenza dell’individuazione di meccanismi di coinvolgimento “sistematico” delle Assemblee elettive ha trovato peraltro recentemente riscontro, anche se non certamente risolutivo, nell’articolo 13 del c.d. fiscal compact che assegna al Parlamento europeo e ai Parlamenti nazionali il compito di determinare insieme, come previsto dal Titolo II del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti nazionali allegato al Trattato 188 Questo accordo ha previsto lo svolgimento di almeno due euro- summit all’anno per discutere i temi connessi alla governance dell’eurozona, e in particolare gli orientamenti strategici per potenziare la competitività e la convergenza economica. La previsione rende sistematico lo svolgimento di tali vertici che, a partire dal 2010, per effetto della crisi economica, si sono svolti più volte l’anno, spesso in seguito a convocazioni urgenti, ed hanno adottato, mediante dichiarazioni o accordi informali, rilevanti decisioni in materia economica e finanziaria. Questi vertici mantengono comunque carattere informale non configurando la creazione di una nuova istituzione o organo. 189 Il c.d. patto Euro-plus ha imposto l’adozione di quelle ulteriori misure necessarie, in aggiunta a quanto previsto in attuazione della nuova governance economica europea, per superare gli squilibri tra i diversi Stati membri. Gli Stati membri s’impegnano, inoltre, a consultare i partners prima di adottare decisioni di politica economica con prevedibili e significativi effetti di ricaduta sul corretto funzionamento del mercato interno e dell'Unione economica e monetaria. Ogni anno gli Stati membri partecipanti sono tenuti a convenire a livello di Capi di Stato e di Governo le azioni concrete da realizzare nei dodici mesi successivi, che si rispecchieranno nei programmi nazionali di riforma e nei programmi di stabilità che la Commissione, il Consiglio e l’Eurogruppo sono chiamati a valutare nell’ambito del semestre europeo. Sono esclusi il o i settori per i quali lo Stato membro è in grado di dimostrare che nessun intervento è necessario. Ciascun Paese conserva la competenza di scegliere gli interventi politici specifici che si rivelino necessari per conseguire gli obiettivi comuni, ma deve prestare particolare attenzione alle possibili misure elencate nel Patto di stabilità europeo. Gli impegni assunti annualmente dai Paesi aderenti devono tenere conto delle migliori prassi e dei parametri rappresentati dalle prestazioni migliori, sia all'interno dell'Europa sia rispetto ad altri partners strategici. La verifica, di natura prettamente politica, sull’attuazione di tali impegni e sui progressi verso la realizzazione degli obiettivi politici comuni, è rimessa ad una procedura basata sulla peer review, analogamente a quanto sperimentato a livello globale. In particolare, il controllo è esercitato, a cadenza annuale, dai capi di Stato o di governo aderenti al Patto sulla scorta di una relazione della Commissione europea e con riferimento ad una serie d'indicatori condivisi, inerenti a competitività, occupazione, sostenibilità di bilancio e stabilità finanziaria. 83 dell’Unione europea 190, l’organizzazione e la promozione di una conferenza dei presidenti delle commissioni bilancio dei parlamenti nazionali e delle competenti commissioni del Parlamento europeo (la c.d. cooperazione parlamentare). Significativa, in tal senso, la posizione assunta dal Parlamento europeo con la risoluzione del 18 gennaio 2012 riguardo al progetto del c.d. fiscal compact che richiama l’esigenza di garantire la responsabilità democratica rafforzando il coinvolgimento del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali, ai rispettivi livelli, in tutti gli aspetti del coordinamento e della governance europei in ambito economico. Nell’ordinamento nazionale l’esigenza di garantire la partecipazione del Parlamento nazionale al “circuito” europeo trova espresso riscontro con la nuova legge sulla contabilità e la finanza pubblica che, a prescindere dalla descritta fase interna antecedente alla formalizzazione agli organi comunitari dei programmi di stabilità e di riforme, impone al Governo di trasmettere alle Camere tutti gli atti, i progetti di atti e i documenti adottati dalle istituzioni dell’Unione europea nell’ambito del semestre europeo, ai fini dell’esame a norma dei rispettivi regolamenti 191. Rimane aperta la questione di estrema attualità, non solo istituzionale ma anche politica, di garantire analogo coinvolgimento parlamentare rispetto agli altri profili diversi dal semestre europeo. Quest’esigenza di coinvolgimento parlamentare ha trovato, recentemente, riscontro nella informativa del Presidente del Consiglio Monti alle Camere sulle strategie comunitarie per superare la crisi, con la successiva approvazione di mozioni in merito agli orientamenti da assumere da parte del Governo. Analogo fenomeno di intensificazione dei rapporti tra diversi livelli di governo si verifica nell’ordinamento nazionale dove la condivisione di aspetti programmatici e 190 In particolare, l’articolo 9 del Protocollo stabilisce che il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali definiscono insieme l'organizzazione e la promozione di una cooperazione interparlamentare efficace e regolare in seno all'Unione. L’articolo 10 prevede che una conferenza degli organi parlamentari specializzati per gli affari dell'Unione può sottoporre all'attenzione del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione i contributi che ritiene utili. La conferenza promuove inoltre lo scambio di informazioni e buone prassi tra i parlamenti nazionali e il Parlamento europeo, e tra le loro commissioni specializzate. Può altresì organizzare conferenze interparlamentari su temi specifici, in particolare per discutere su argomenti che rientrano nella politica estera e di sicurezza comune, compresa la politica di sicurezza e di difesa comune. I contributi della conferenza non vincolano i parlamenti nazionali e non pregiudicano la loro posizione. 191 Articolo 9, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196. 84 operativi tra Stato e autonomie comporta la costante ricerca di intese, non solo al livello degli aggregati complessivi di finanza pubblica, ma anche nell’ambito delle singole politiche che concorrono ad essi (sanità, pubblico impiego, infrastrutture etc). L’elemento di novità è l’individuazione di una sede permanente di confronto tra i diversi livelli ordinamentali con l’istituzione, nell’ambito della Conferenza unificata, della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri e composta dai rappresentanti dei diversi livelli istituzionali 192. La suddetta Conferenza, ai fini di garantire il necessario circuito informativo con le Camere, è tenuta a trasmettere al Parlamento tutte le determinazioni ed a mettere a disposizione dello stesso tutti gli elementi informativi raccolti. Gli strumenti di attuazione delle politiche di coordinamento della finanza pubblica sono individuati nel patto di stabilità interno 193 - introdotto dal 1999 secondo la logica del patto di stabilità europeo e volto a definire gli interventi degli enti territoriali per conseguire gli obiettivi nazionali di finanza pubblica – e nel patto di convergenza, specificamente destinato, nel nuovo quadro del federalismo fiscale, alla definizione delle misure necessarie a realizzare l’obiettivo della convergenza dei costi e fabbisogni standard e un percorso di convergenza degli obiettivi di servizio ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali. Per la definizione dei contenuti dei patti il Governo è tenuto ad una serie di adempimenti finalizzati al coinvolgimento delle autonomie territoriali e del Parlamento sia nella fase preliminare di definizione del concorso del settore degli enti locali agli obiettivi nazionali di finanza pubblica, che, in quella successiva, della conseguente individuazione delle misure necessarie all’attuazione di tale concorso. Innanzitutto, nel DEF trasmesso alle Camere ad aprile l’Esecutivo deve indicare l’articolazione della manovra finanziaria per i sotto-settori del conto delle amministrazioni pubbliche (amministrazioni centrali, locali ed enti di 192 Vedi articolo 4 della L. 5 maggio 2009, n. 42, e articoli da 33 a 37 del D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 68. Sinteticamente, la Conferenza concorre alla definizione e alla ripartizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto e svolge funzioni di monitoraggio sull’utilizzo dei fondi stanziati per gli interventi speciali, sulle relazioni finanziarie tra i diversi livelli di governo, sull’adeguatezza delle risorse finanziarie di ciascun livello di governo rispetto alle funzioni svolte, sul funzionamento del nuovo ordinamento finanziario degli enti territoriali e sull’applicazione dei meccanismi di premialità e di quelli sanzionatori e sul loro funzionamento. 193 Articolo 8, comma 1, della L. 31 dicembre 2009, n. 196. 85 previdenza ed assistenza sociale), nonché dare un’indicazione di massima delle misure attraverso le quali intende raggiungere gli obiettivi nazionali di finanza pubblica. Il DEF, contestualmente alla presentazione alle Camere, è inviato alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica ai fini dell’espressione del parere, comunque in tempo utile per le deliberazioni parlamentari 194. Qualora si renda necessario modificare gli obiettivi di finanza pubblica definiti nel DEF, il Governo è tenuto, quindi, ad inviare alla suddetta Conferenza, per il preventivo parere, le linee guida per la nuova ripartizione degli stessi obiettivi tra i tre sotto-settori. Sulla base dell’assegnazione degli obiettivi al sotto-settore degli enti locali, il Governo esplicita nella Nota di aggiornamento al DEF trasmessa alle Camere i contenuti sia del patto di stabilità che di quello di convergenza ed inserisce nel disegno di legge di stabilità gli eventuali interventi normativi necessari alla loro attuazione. 6.3 Il controllo parlamentare sulla finanza pubblica e le fonti di informazione. La descritta concentrazione nell’Esecutivo della governance in materia finanziaria è “bilanciata” dal contestuale rafforzamento del controllo parlamentare con l’ampliamento delle fonti informative e di monitoraggio dell'andamento della finanza pubblica nonché degli strumenti operativi, con particolate riguardo alla verifica, anche a posteriori, della correttezza e della qualità nella amministrazione delle risorse pubbliche, nella prospettiva che pone al centro dell’attenzione del Parlamento la valutazione dei risultati conseguiti con il bilancio pubblico. Il riferimento è all’arricchimento, quantitativo e qualitativo, del contenuto informativo dei principali documenti di finanza pubblica, all’elaborazione di note esplicative delle metodologie di costruzione dei tendenziali di finanza pubblica, alla redazione di allegati informativi sull’efficacia delle manovre di finanza pubblica. Nel nuovo contesto istituzionale la configurazione dei documenti di bilancio in missioni e programmi è diretta non solo ad incrementare l’efficienza e a rendere più trasparenti le 194 Si evidenzia che i tempi ristretti per l’esame parlamentare del DEF comprimono, conseguentemente, quelli per l’espressione del parere. 86 decisioni in merito all’allocazione delle risorse, ma anche a dare conto delle attività effettivamente svolte e degli obiettivi perseguiti dalle singole amministrazioni, individuando in modo inequivoco i responsabili della spesa. La nuova articolazione dei documenti di finanza pubblica e di bilancio si accompagna, peraltro, alla costruzione di un flusso periodico di informazioni dal Governo alle Camere, per il tramite del Ministero dell’economia e delle finanze (Mef) e della Ragioneria generale dello Stato (RGS), che ha uno sbocco in sede parlamentare sotto forma di relazioni, rapporti e documentazione informativa sugli andamenti della finanza pubblica, anche locale. Nella stessa ottica di implementazione della cultura della “accountability" nella gestione delle risorse pubbliche, è infine riconosciuta alle Camere la possibilità di accedere, sulla base di apposite intese, alle banche dati delle amministrazioni pubbliche - tra cui quella istituita presso il Mef al fine specifico di assicurare l'efficace controllo e monitoraggio degli andamenti della finanza pubblica, nonché per acquisire gli elementi informativi necessari per dare attuazione e stabilità al federalismo fiscale - e “ad ogni altra fonte informativa gestita da soggetti pubblici rilevante ai fini del controllo della finanza pubblica 195”, nonché la possibilità di stipulare apposite convenzioni con l'ISTAT per l’acquisizione di dati ed elaborazioni considerate necessarie per l’esame dei documenti di finanza pubblica. La prosecuzione “a regime” della c.d. spending review - al fine di consentire il riesame in modo sistematico dell’insieme dei programmi di spesa, valutandone efficacia, efficienza ed economicità - prevede, inoltre, la presentazione alle Camere, da parte di ciascun Ministro, entro il 15 giugno, di una relazione annuale sullo stato della spesa, l'efficacia nell'allocazione delle risorse nelle amministrazioni di rispettiva competenza e il grado di efficienza dell'azione amministrativa svolta da ciascun dicastero. Anche sulla scorta di questi elementi, il Mef – RGS è tenuto alla presentazione alle stesse Camere, ogni tre anni, di un Rapporto sulla spesa delle amministrazioni dello Stato in cui illustrare la composizione e l’evoluzione della spesa, proporre gli indicatori di risultato da adottare, fornire la base analitica per valutare il conseguimento degli obiettivi di ciascuna amministrazione e accrescere la qualità dei 195 Articolo 6 della L. 31 dicembre 2009, n. 196. 87 servizi pubblici, suggerire possibili riallocazioni della spesa. Questo specifico quadro informativo è completato dalla nuova attività della Corte dei conti che, nell’ambito della relazione annuale al Parlamento sul rendiconto generale dello Stato, è chiamata ad esprimere le proprie valutazioni anche con riferimento alle tematiche inerenti lo stato della spesa e l’efficienza delle pubbliche amministrazioni trattate nelle suddette relazioni ministeriali, tenendo conto delle priorità indicate dal Parlamento ai fini della predisposizione dei programmi e dei criteri per l’esercizio dell’attività di controllo successivo sulla gestione. Oneri specifici di informazione alle Camere riguardano, infine, i profili della copertura finanziaria delle leggi con l’obbligo di corredare con una relazione tecnica tutte le disposizioni recanti oneri finanziari e l'obbligo del Mef di riferire sulle cause degli eventuali scostamenti rispetto agli oneri previsti che si dovessero determinare in sede di attuazione dei dispositivi. Una preziosa fonte di informazione per evidenziare eventuali “eccessi legislativi” nella copertura delle spese è costituita comunque dalla relazione quadrimestrale della Corte dei conti alle Camere sulla tipologia delle coperture finanziarie adottate e sulle tecniche di quantificazione degli oneri. Il nuovo quadro informativo alle Camere è affiancato dal rafforzamento degli aspetti operativi del controllo parlamentare 196 con la possibilità di intese tra i Presidenti dei due rami per la promozione di attività congiunte (per es. indagini conoscitive, audizioni) e l'integrazione delle attività delle strutture di supporto tecnico, al fine di favorire l'omogeneità delle istruttorie e di potenziare la capacità di approfondimento dei profili tecnici della contabilità e della finanza pubblica 197. Un’azione specifica di controllo verso il Governo è riconosciuta alle Commissioni parlamentari (non necessariamente alle Commissioni Bilancio) - anche congiuntamente - in merito all’attuazione della legge di riforma della contabilità pubblica con la possibilità della formulazione di eventuali osservazioni e valutazioni utili alla migliore impostazione dei 196 Articolo 4 della L. 31 dicembre 2009, n. 196.. Un’azione specifica di controllo verso il Governo è riconosciuta alle Commissioni parlamentari (non necessariamente alle Commissioni Bilancio) - anche congiuntamente - in merito all’attuazione della legge di riforma della contabilità pubblica con la possibilità della formulazione di eventuali osservazioni e valutazioni utili alla migliore impostazione dei documenti di bilancio e delle procedure di finanza pubblica. 197 88 documenti di bilancio e delle procedure di finanza pubblica. Al descritto rafforzamento delle prerogative di controllo parlamentare si devono aggiungere le significative innovazioni in materia di controllo di finanza pubblica contenute nel disegno di legge costituzionale sull'introduzione del principio del pareggio di bilancio, già approvato in seconda deliberazione dalla Camera dei Deputati e che dovrebbe terminare il suo iter al Senato della Repubblica entro la fine del mese di aprile, nel rispetto degli impegni assunti con l'Unione europea 198. Il disegno di legge costituzionale attribuisce alle Camere (articolo 5, comma 4) l’esercizio, secondo modalità stabilite dai rispettivi regolamenti, della “funzione di controllo sulla finanza pubblica con particolare riferimento all’equilibrio tra entrate e spese nonché alla qualità e all’efficacia della spesa delle pubbliche amministrazioni”. A questo riconoscimento di funzioni di controllo - peraltro sostanzialmente già svolte 199 - si accompagna “l’istituzione presso le Camere, nel rispetto della relativa autonomia costituzionale, di un organismo indipendente al quale attribuire compiti di analisi e verifica degli andamenti di finanza pubblica e di valutazione dell’osservanza delle regole di bilancio” (articolo 5, primo comma, lett. e)) 200. Il tema è la creazione di un’istituzione indipendente per il controllo della politica fiscale che, nel più generale quadro delle misure europee per fronteggiare e superare l'emergenza economico- 198 Il disegno di legge “Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale” è stato approvato in prima deliberazione dalla Camera dei deputati il 30 novembre 2011 e dal Senato della Repubblica il 15 dicembre 2011 e in seconda deliberazione dalla Camera dei deputati il 6 marzo 2012. Il provvedimento è ora all'esame del Senato per la definitiva approvazione. 199 Il dossier Servizio studi del Senato, “Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale, Disegni di legge AA.SS. nn 3047, 2384, 2851, 2881, 2890 e 2965”, XVI legislatura, n. 322, dicembre 2011, pag. 73, evidenzia come il contenuto innovativo della disposizione dell’articolo 5, comma 4, non appaia agevolmente individuabile posto che l’esercizio di siffatto controllo non appare estraneo alle funzioni delle Camere già come disegnate dal vigente ordinamento costituzionale. La norma letta nel complessivo contesto della revisione costituzionale sembrerebbe assumere una funzione di tipo programmatico indicando alle Camere un’opportunità. Analoga considerazione sul carattere programmatico della disposizione in quanto ricognitiva di poteri vigenti è espressa nel dossier Servizio del Bilancio del Senato nel , “A.S. 3047: "Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale", XVI legislatura, n. 55, dicembre 2011, pag. 19. 200 Il dossier Servizio studi del Senato, “Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale, Disegni di legge AA.SS. nn 3047, 2384, 2851, 2881, 2890 e 2965”, ult. cit., pag. 74, evidenzia come le due disposizioni possano essere poste in rapporto di correlazione ma non necessariamente di coincidenza, né nell’attività (ampia, quella del controllo delle Camere, più circostanziata, quella dell’organismo indipendente), né nel soggetto (le Camere, da una parte, 89 finanziaria legata alla grave crisi del debito sovrano 201, dovrebbe assicurare la consistente trasparenza delle voci di bilancio, la formazione delle previsioni macroeconomiche e dei tendenziali di finanza pubblica, alla base delle scelte di policy e alla luce dei quali va valutata la sostenibilità degli obiettivi programmatici, informata a criteri di prudenza e trasparenza, l’adeguata verifica dell’effettiva sostenibilità delle misure di riduzione di spesa, la fondatezza delle previsioni di maggiori entrate e l’adeguatezza di ogni altro intervento oggetto della manovra. Attualmente, in Italia, la valutazione degli effetti delle leggi di spesa e di entrata, nonché la previsione degli andamenti di finanza, pur sottoposte ad una valutazione tecnica da parte dei servizi di bilancio delle due Camere al momento della presentazione dei documenti di finanza pubblica per le deliberazioni parlamentari, è svolta, quasi esclusivamente, dal Governo che detiene anche un sostanziale monopolio dell’informazione. La disposizione costituzionale recepisce, anche a livello terminologico, quanto previsto dalla direttiva 2011/85/UE del Consiglio dell'8 novembre 2011 che fa riferimento alla necessaria presenza di organismi indipendenti (o comunque dotati di autonomia funzionale rispetto alle autorità di bilancio degli Stati membri) che eseguano il controllo dell'osservanza delle regole di bilancio sulla base di un'analisi indipendente, così come all'esistenza di un’istituzione incaricata di elaborare previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica 202. Il riferimento è all’istituto conosciuto come “Fiscal council ” e diffuso negli ordinamenti di diversi Paesi europei ed extraeuropei (ad esempio, Olanda, Belgio, Svezia, Ungheria, Regno Unito, Canada, Stati Uniti 203) e di cui sia il Fondo monetario l’organismo, dall’altra), né nelle finalità (in ipotesi individuabili nel controllo e nell’indirizzo politico, in un caso, nell’accertamento strumentale, nell’altro). 201 Si tratta, in particolare, del c.d. six pack approvato dal Consiglio europeo il 4 ottobre scorso e che è stato formalizzato con l'adozione dei seguenti atti del 16 novembre 2011: regolamenti (UE) n. 1173/2011; n. 1174/2011; n. 1175/2011; n. 1176/2011; n. 1173/2011, Direttiva 2011/85/UE del Consiglio dell'8 novembre 2011. 202 Il Regolamento COM(2011)821 definitivo, del 23 novembre 2011 - rafforzando ulteriormente l'esigenza espressa nella direttiva citata – prescrive, inoltre, agli Stati membri di avvalersi di un "consiglio indipendente di bilancio" per il monitoraggio dell'applicazione delle regole sul saldo dei bilanci nazionali e pone a base della programmazione di bilancio a medio termine e dei progetti di legge di bilancio per le amministrazioni pubbliche previsioni macroeconomiche indipendenti, imparziali ed attendibili in quanto espresse da un ente indipendente o dotato di autonomia funzionale nei confronti delle autorità di bilancio dello Stato membro. 203 La più recente istituzione è l’Office for Budget Repsonsability (OBR), istituito nel Regno Unito nel 2010. I compiti assegnati all’OBR comprendono la realizzazione di previsioni economiche e di finanza 90 sia l’Unione europea da tempo raccomandano l’introduzione nei Paesi che ne sono privi. In queste esperienze, il Fiscal council, pur nelle differenti articolazioni organizzative e funzionali, esercita il compito di monitoraggio della politica di bilancio, noto in letteratura come watchdog (cane da guardia), e di supporto tecnico, anche rilasciando raccomandazioni in termini di fiscal stance ottimale o di opzioni di policy 204. Nel testo costituzionale l’organismo indipendente – che, secondo quanto confermato in sede di dibattito parlamentare, dovrà avere natura esclusivamente tecnica, non politica 205 - è collocato in Parlamento con ciò ponendo la conseguente questione della natura dei suoi rapporti con le Camere atteso che il requisito di indipendenza riveste una funzione cruciale nel nuovo sistema di governance, che, da un lato, parla di indipendenza funzionale, dall'altro, precisa che tale indipendenza dovrebbe essere esercitata nei confronti delle autorità di bilancio degli Stati membri, cioè dovrebbe presentarsi sia nei confronti del Governo che nei rapporti con il Parlamento. Sulla soluzione adottata la stessa Corte dei conti ha manifestato perplessità in quanto “non appare idonea a risolvere il problema dell’effettiva indipendenza del soggetto” 206. La norma costituzionale – evidenzia la Corte - prevede, per legge, la sola istituzione dell’organismo attribuendo alle Camere, nel rispetto della relativa autonomia costituzionale, la disciplina dell’organizzazione e del funzionamento e riproponendo, così, le difficoltà – già sperimentate nell’operare di molte delle autorithies finora pubblica, tra cui è compresa la valutazione delle ipotesi utilizzate nelle previsioni di fonte governativa: la verifica dell’aderenza delle politiche perseguite dal Governo con gli obiettivi di lungo periodo fissati dal Cancelliere dello Scacchiere; la valutazione del bilancio del settore pubblico, che tenga in considerazione anche l’analisi dei costi dei servizi connessi all’invecchiamento della popolazione e al funzionamento del sistema pensionistico. 204 Per un approfondimento dell’istituzione e del ruolo dei fiscal councils: Servizio studi del Senato, “Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale, Disegni di legge AA.SS. nn 3047, 2384, 2851, 2881, 2890 e 2965”, XVI legislatura, cit., pag 62, e Servizio studi del Senato, “A.S. 2555:”Modifiche alla legge 31 dicembre 2009, n. 196, conseguenti alle nuove regole adottate dall’Unione europea in materia di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri”, XVI legislatura, n. 43, febbraio 2011, pag. 29. 205 Un precedente in questo senso può essere rinvenibile nei lavori preparatori della legge di contabilità e finanza pubblica. Nel testo inizialmente approvato dal Senato sottoposto alla Camera (A.C. 2555) era previsto, all’articolo 7, che “Gli elementi tecnici funzionali al controllo parlamentare della finanza pubblica sono forniti da un’unica apposita struttura di supporto, istituita d’intesa tra i Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica”. La norma, successivamente soppressa dalla Camera, non compare pertanto nel testo finale approvato della legge n. 196/2009. 206 Corte dei conti, Sezioni riunite in sede consultiva, Parere in ordine al disegno di legge costituzionale A.S. 3047, adunanza 13 dicembre 2011. 91 costituite – ad assicurare un’operatività al riparo dai condizionamenti della maggioranza che esprime il Governo di legislatura. La mancanza di un’articolazione a rete sul territorio - secondo la stessa Corte - conferma poi l’interpretazione che si tratti di “un organismo che ha sostanzialmente funzione strumentale e di servizio a favore del solo Parlamento”. E’ evidente comunque la duplice esigenza di coordinamento del nuovo organismo indipendente, da un lato, con le funzioni svolte dalla Corte dei conti, organo di garanzia costituzionalmente previsto per la tutela della gestione delle risorse pubbliche e per la garanzia degli equilibri e la trasparenza dei conti pubblici; dall’altro, nei confronti dello stesso Parlamento alla luce della richiamata contestuale attribuzione alle Camere della funzione di controllo sulla finanza pubblica con particolare riferimento all’equilibrio tra entrate e spese, nonché alla qualità e all’efficacia della spesa delle amministrazioni pubbliche 207. CONCLUSIONI Tra un popolo, la sua storia e le sue istituzioni c’è sempre uno stretto legame 208. I Costituenti lo sapevano bene, così come sapevano che la società italiana era divisa e che per governarla sarebbe stato preferibile, come si è mostrato nel primo capitolo, una forma di governo parlamentare, capace di dare spazio a tutte le componenti della società. Uno dei compiti principali delle Costituzioni è distribuire il potere tra gli organi 207 Cfr. Servizio studi del Senato, “Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale, Disegni di legge AA.SS. nn 3047, 2384, 2851, 2881, 2890 e 2965”, XVI legislatura, cit., pag 61. 208 Cfr. S. Niccolai, op.ult. cit., p.21. 92 costituzionali 209. Per questo esse sono innanzitutto una trama di rapporti tra gli organi supremi di direzione dello Stato, a partire da quello, fondamentale, tra Parlamento e Governo. Questo studio ha esaminato in quale misura l’atteggiarsi di questo rapporto siccome disegnato dalla Costituzione vigente sia attuale e sia riuscito a modellare la realtà istituzionale del nostro Paese. Nei vari capitolo sono state considerate le variabili esplicative rilevanti per dar conto del concreto svolgimento del rapporto in questione. La conclusione è che rispetto a tutte le variabili esaminate- dalla funzione di indirizzo politico ai poteri normativi, primari e secondari del Governo, dalle sue funzioni amministrative alle decisioni di politica economica- oggi i rapporti tra Parlamento e Governo sono molto diversi da come li aveva delineati il Costituente. C’ è stata una trasformazione profonda, avvenuta a Costituzione invariata, che ha visto il Governo uscito fortemente rafforzato e il Parlamento e, più in generale, il ruolo e la centralità della legge, significativamente indeboliti. E anche se è sempre stato vero, che nei rapporti tra i supremi organi di direzione dello Stato, “la separazione è un concetto molto teorico, non un fatto”, e che “ ciò che constata non è la divisione dei poteri, ma (…) la loro combinazione (…) e qualche volta la loro confusione”, come ha scritto Ralf Dahrendorf 210 , nondimeno l’attuale conformazione dei rapporti tra Parlamento e Governo induce ad una seria riflessione sulla sua compatibilità con una democrazia reale. 209 Cfr. M. Elliot-R. Thomas, Public Law, London, 2011, p.5. Ralf Dahrendorf, A confusion of powers: politics and the rule of law”, Modern Law Review, London, 1977, 1, pp.11-12. 210 93