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Luciana Borghi Cedrini, Il trovatore Peire Milo

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Luciana Borghi Cedrini, Il trovatore Peire Milo
DOI 10.1515/zrp-2014-0048
ZrP 2014; 2014(130): 565–571
Luciana Borghi Cedrini, Il trovatore Peire Milo (Studi, testi e manuali, n. s. 10 –
«Subsidia» al «Corpus des Troubadours», n. s. 7), Modena, Mucchi, 2008, 543 p.
Il volume è il risultato di una lunga e impegnativa ricerca di Luciana Borghi
Cedrini, parzialmente anticipata in alcuni lavori preparatori.1 Il trovatore provenzale Peire Milo è indicato nei manoscritti della lirica trobadorica come
l’autore di soli nove componimenti, otto canzoni e una cobla; un’altra cobla,
PC 461.170b Molt m’agrada trobar d’invern ostage, trasmessa anonima dal
ms. N,2 gli è attribuita dubitativamente dall’editrice: un corpus esiguo, anche
per la tradizione manoscritta (solo cinque canzoni sono attestate in sei–sette
mss.), che tuttavia presenta un interesse particolare per il linguista romanzo.
Gran parte delle 540 dense pagine di questa edizione sono dedicate all’esame di
una lingua di cui Carl Appel,3 uno dei due studiosi che se ne è occupato in
modo specifico, aveva rimarcato la distanza dalla «norma» trobadorica e la
vicinanza alle altrettanto «irregolari» poesie religiose trasmesse nel ms. Extrav. 268 della Biblioteca di Wolfenbüttel. Appoggiandosi all’esame di queste
ultime effettuato da Emil Levy,4 Appel concludeva che Peire Milo poteva essere
un italiano del Nord o qualcuno del versante francese delle Alpi, che poetava
con scarsa perizia tecnica e poca conoscenza dell’occitano, e che l’autore delle
poesie di Wolfenbüttel ne condivideva la lingua, se non l’identità. Successiva-
1 Il lavoro più remoto è del 1996 (Una recente acquisizione trobadorica e il problema delle
attribuzioni, Medioevo Romanzo 20, 1996, 3–44), ma l’interesse è ben anteriore [cf. Premessa, 8];
quello pubblicato più di recente è Lingua degli autori e lingua dei copisti nella tradizione manoscritta trobadorica, in: Lachin, Giosuè (ed.), I trovatori nel Veneto e a Venezia. Atti del Convegno
Internazionale (Venezia, 28–31 ottobre 2004), Roma/Padova, Antenore, 2008, 325–346.
2 New York, The Pierpont Morgan Library, ms. M 819; gli altri canzonieri trobadorici citati nel
séguito sono i mss. Paris, Bibliothèque Nationale de France, fr. 856 (C), fr. 854 (I), fr. 12473 (K),
fr. 12474 (M), la copia del Canzoniere di Bernart Amoros (a), smembrata in due parti: Firenze,
Biblioteca Riccardiana, 2814 e Modena, Biblioteca Estense, Càmpori γ. N. 8. 4; 11, 12, 13, oltre ai
frammenti di canzoniere Bologna, Archivio di Stato (z’) e Roma, Biblioteca Nazionale Vittorio
Emanuele II, 1119 (ω, il cosiddetto «Frammento De Lollis»).
3 Appel, Carl, Provenzalische Inedita aus Pariser Handschriften, Leipzig, Fues, 1890, 239–244; id.,
Poésies provençales inédites tirées des manuscrits d’Italie, Revue des Langues Romanes 39 (1896),
177–216, 185–216.
4 Levy, Emil, Poésies religieuses, françaises et provençales, du ms. extrav. 268 de la bibl. de
Wolfenbüttel, Revue des Langues Romanes 31 (1887), 173–288, 420–435. Il canzoniere è studiato
soprattutto da Zeno Verlato: l’intervento più recente è Il pretesto trobadorico della raccolta di
poesie religiose del manoscritto di Wolfenbüttel, in: Brugnolo, Furio/Gambino, Francesca (edd.),
La lirica romanza del Medioevo. Storia, tradizioni, interpretazioni, Atti del VI convegno triennale
della SIFR (Padova-Strà, 27 settembre–1 ottobre 2006), vol. 1, Padova, Unipress, 2009, 263–291.
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mente, Giulio Bertoni5 ha affrontato nuovamente la questione linguistica, escludendo che Peire Milo potesse essere l’autore delle poesie di Wolfenbüttel, e
credendo possibile, ma non certo, che entrambi fossero italiani del Nord.
Insomma, l’italianità del trovatore restava dubbia.
Questa è l’immagine del trovatore che ci è stata restituita dalla tradizione
degli studi, e che Borghi Cedrini ha smontato con un lavoro scrupoloso e impeccabile, la cui utilità supera di gran lunga l’obiettivo dello studio del trovatore.
Nel rifiutare la spiegazione tradizionale, che l’autorevolezza dei proponenti
aveva fatto accettare senza troppe distinzioni, la studiosa fa notare che i tratti
linguistici caratteristici non sono univocamente italoromanzi e che non esistono
pezze d’appoggio documentali che colleghino con sicurezza Peire Milo all’Italia;
inoltre troppi elementi contrastano con questa immagine di imperizia, sia sul
piano metrico-letterario, sia su quello propriamente linguistico.
Una tesi di fondo del lavoro è che il trovatore presenti tratti tematici e metrici,
oltre che linguistici, assai interessanti e di fatto originali, e che tale originalità dia
luogo a un sistema; ma che al contempo il trovatore presenti elementi marcati di
convenzionalità, e che perciò un’analisi parziale rischi di enfatizzare questi ultimi
e risolvere i dati contrastanti in termini di contraddizione, di scarso controllo dei
mezzi poetici. Perciò l’analisi della studiosa si sforza, con risultati importanti, di
esperire un’indagine a tutto tondo. In particolare, il lavoro si appoggia com’è
usuale a loci paralleli e a spogli di fenomeni linguistici, ma i riscontri intertestuali
forniti dalle due principali banche dati romanze, la COM 2 per l’area occitana, e il
Corpus OVI dell’italiano antico per quella italiana,6 sono vagliati alla luce della
tradizione manoscritta, delle varie edizioni, degli studi che se ne sono occupati: e
gli spogli linguistici, testuali, bibliografici sono numerosi e precisi, le questioni
sono sempre affrontate con ampiezza di argomenti.
Non si cerca insomma solo una soluzione ai problemi sollevati dallo studio
del trovatore ma ci si propone innanzitutto di presentarli nel modo più chiaro e
completo. Un esempio su tutti: l’esame degli esordi di Peire Milo (tre stagionali,
tre con similitudine) è condotto riconsiderando la questione, con dati che coinvolgono molti trovatori [107–138], integrando e specificando quelli offerti dagli studi
sull’argomento, e in particolare dal libro di Oriana Scarpati, Retorica del ‘trobar’.
Le comparazioni nella lirica occitanica (Roma, Viella, 2008) uscito quando questa
5 Bertoni, Giulio, I Trovatori d’Italia (Biografie, testi, traduzioni, note), Modena, Orlandini, 1915,
131–132, 177–181.
6 Ricketts, Peter T. (ed.), Concordance de l’Occitan Médiéval. Les Troubadours. Les textes narratifs
en vers, CD-ROM, Turnhout, Brepols, 2005; Beltrami, Pietro G. (ed.), Corpus OVI dell’italiano
antico, Istituto CNR Opera del Vocabolario Italiano, consultabile online all’indirizzo <http://
www.vocabolario.org> (è la base della redazione del Tesoro della Lingua Italiana delle Origini).
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parte del libro era già pronta. La lunga preparazione del volume, infatti, ha
implicato la considerazione di testi e studi pubblicati nel frattempo, coi quali la
studiosa sviluppa un fecondo dialogo.
Il lavoro presenta risultati innovativi in una struttura tradizionale: lo studio
introduttivo comprende sei capitoli: «Studi moderni e tradizione manoscritta»
[11–58], «Metrica» [59–106], «Stile e poetica» [107–159], «Lingua» [161–341],
«Discussione ecdotica» [343–423], «Criteri di edizione» [425ss.]. Segue l’edizione
dei dieci componimenti [429–495], completa di un apparato che «comprende tutte
le varianti, senza discriminare quelle che in genere vengono considerate meramente formali ma che qui sono state in vari casi trattate come sostanziali» [427], una
traduzione italiana molto fedele alla lettera del testo e un’annotazione volutamente
scarna, che evita l’accumulo di passi paralleli nella lirica trobadorica che le banche
dati hanno ormai reso semplice e inutile, «ma si limita a dar conto di elementi
ancora non discussi, a illustrare scelte – e dubbi – di traduzione e ad allegare le
osservazioni effettuate sul testo da altri studiosi» [427]. Il volume è chiuso da un
«Indice linguistico» [497–502], che comprende «i vocaboli e le locuzioni notevoli –
perché rari o inattestati nel lessico trobadorico, o divergenti per forma o significato
da quelli consueti, o portatori di accezioni particolari – e gli istituti linguistici
‹devianti› o alternativi» [497], e da una ricca bibliografia [503–540].
Vediamo nell’ordine i dati salienti dell’introduzione. Considerata la mancanza di documenti su Peire Milo, Borghi Cedrini tenta di delinearne la figura
appoggiandosi a una vida di cui sono rimaste poche righe mal leggibili trasmesse
dal frammento di canzoniere z’, scoperto alcuni anni fa da Monica Longobardi7
[30–34] e all’analisi delle miniature che raffigurano il poeta [35–46]. Una trattazione che si segnala per la portata generale dei ragionamenti,8 e che costituisce
un modello per analisi di questo importante elemento paratestuale, non sempre
ben valorizzato in chiave ecdotica. Con tutte le cautele del caso, la studiosa
formula in conclusione un’ipotesi sul rapporto fra vidas e miniature:
«si può supporre che quanto meno nella tradizione italiana ci sia uno stretto legame tra le
due tecniche di presentazione dei poeti, biografica e figurativa, non solo nel senso […] che
nei codici che le applicano entrambe […] i ritratti risultano più individualizzati perché sono
ispirati alle vidas; ma nel senso che c’era una corrispondenza biunivoca fra ritratti e testi
biografici, che cioè soltanto, e tutti, gli autori che erano inscritti nel corpus delle vidas e
razos, come in una sorta di albo d’oro della lirica trobadorica, avevano altresì l’onore di una
presentazione figurativa» [46].
7 Longobardi, Monica, Frammenti di un canzoniere provenzale nell’Archivio di Stato di Bologna,
Studi Mediolatini e Volgari 36 (1990), 29–55.
8 Sulla scorta delle pagine fondamentali di Meneghetti, Maria Luisa, Il pubblico dei trovatori. La
ricezione della poesia cortese fino al XIV secolo, Torino, Einaudi, 21992, 209–276.
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Segue un accurato esame della tradizione manoscritta che trasmette le poesie del
trovatore, che comprende anche la corretta verifica delle infide menzioni di Jean
de Nostredame in Les vies des plus célèbres et anciens poètes provençaux, e quindi
della presenza di Peire Milo nel canzoniere perduto del conte di Sault [48–54].
Il trovatore appare interessante anche sotto il profilo metrico: se è vero che la
sua versificazione non si distacca per aspetti rilevanti dagli usi più comuni dei
trovatori (per il numero delle coblas, per la prevalenza del décasyllabe, ecc.), non
mancano tratti innovativi, che inducono Borghi Cedrini a rovesciare la collocazione vulgata del trovatore nella stagione tarda della produzione poetica occitanica.
In realtà, i rapporti imitativi che emergono dall’esame degli schemi metrici e rimici
potrebbero essere in parte rovesciati; e se non l’inventore di schemi come quello
raro ed elaboratissimo delle coblas redondas, Peire Milo potrebbe essere un
aggiornatissimo ricettore delle novità, in dialogo, e non in rapporto imitativo, con
grandi trovatori come Arnaut Daniel (in questo Borghi Cedrini si appoggia alla
valutazione di uno specialista di metrica dei trovatori come Dominique Billy9).
La parte linguistica è quella preponderante del lavoro ed è anche quella che
contiene importanti indicazioni metodologiche. Lo studio della lingua di un trovatore presenta sempre delle difficoltà perché in essa coesistono tratti che possono
appartenere ai luoghi d’origine del poeta, quelli disponibili in quella sorta di koiné
letteraria usata da trovatori di ogni area, quelli sovrapposti dai copisti cui si deve
l’effettiva trasmissione dei componimenti. L’esame della lingua di Peire Milo è
complicato dal fatto che i suoi usi sono particolarmente irregolari dal punto di vista
delle norme grammaticali, incoerenti e confrontabili con quelli di esperienze
poetiche periferiche e poco studiate. I buoni risultati che emergono dal lavoro
dipendono certamente dalle competenze linguistiche della studiosa, ma soprattutto da un metodo di analisi che tiene conto, nello studio di ciascun tratto linguistico,
della tradizione manoscritta del luogo analizzato, delle caratteristiche linguistiche
dei testimoni che la compongono, dei luoghi paralleli nella tradizione trobadorica
anch’essi esaminati criticamente, oltre che degli apporti degli studi.
L’esame distingue i tratti in rima e garantiti dal metro [163–278] e i tratti fuori
rima [308–341], cui si aggiunge un capitolo dedicato ad un’analisi comparativa
della lingua delle poesie di Wolfenbüttel [278–308]. Per le tre serie le conclusioni
sono analoghe: la gran quantità di «irregolarità» linguistiche riscontrabile nelle
poesie di Peire Milo (e nelle poesie di Wolfenbüttel) non vanno intese come
eccezioni alla norma, come indizi di una lingua artificiale elaborata dal poeta, ma
9 Cf. in particolare Billy, Dominique, Amour et contrafacture dans la poésie des troubadours, in:
Bianchini, Simonetta (ed.), Lessico, parole-chiave, strutture letterarie del Medioevo romanzo,
Roma, Bagatto, 2005, 11–32.
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piuttosto come l’assunzione di regole alternative rispetto a quelle dell’occitano
letterario codificato. E il fatto di ritrovare i tratti in alcuni testi «devianti» che
hanno creato non pochi problemi attributivi e di localizzazione linguistica (per es.
PC 70.11 Bels Monruels, aicel que·s part de vos, attribuito a vari trovatori tra cui
Bernart de Ventadorn, o PC 356.2 Douss’amiga, no·m posc mais, che l’unico
testimone dà a Peire Rogier) deve spostare l’attenzione dal singolo testo al
sistema linguistico dei trovatori, rovesciando la prospettiva:
«il fatto insomma che la ‹devianza› linguistica fra i trovatori sia tanto diffusa quanto non
univocamente localizzabile, anzitutto sostiene la possibilità che sotto questa etichetta siano
oggi collocate forme che all’epoca apparivano legittime, e di conseguenza dimostra la
necessità che si riconsiderino globalmente i dati linguistici della tradizione manoscritta,
riunendoli in una grammatica idiografica à la Skårup 199710 che servirà assai meglio di
quelle normative medievali e moderne a ricostruire l’uso vivo dei trovatori» [308].
Esemplare in questo senso è l’esame dell’uso della ‑s segnacaso [205–234], che
coinvolge un ampio numero di testi di ogni epoca del trobadorismo provenzale
(più di 50, ciascuno opportunamente commentato) e porta la studiosa a ipotizzare
che alcuni rimanti fuori norma non vadano intesi come «degli arbìtri o degli errori
di singoli individui» ma rappresentino «delle ‹regole alternative›, ammesse nell’esercizio poetico della lingua d’oc seppure non nelle teorizzazioni proposte nelle
grammatiche ‹per stranieri› a partire da fine XII – inizio XIV secolo» [228]. I poeti
potevano utilizzare – in particolare in sede di rima, dove il fenomeno non sarà
stato più abbondante che altrove ma solo più percepibile – modi alternativi di
declinare una parola, aprendosi già nel XII secolo «alla variabilità flessiva che
doveva vieppiù caratterizzare il parlato d’oc, se è vero che si stava allora compiendo (e in talune regioni era forse compiuto) l’abbandono della declinazione bicasuale» [228]. L’analisi è volta a confutare l’idea di Appel che le tante «irregolarità»
di Peire Milo dipendano dall’assenza nella lingua madre dell’autore della declinazione bicasuale e che si tratti di un trovatore tardo.
La procedura ecdotica per la ricostruzione dei testi è strettamente connessa ai
risultati dell’analisi linguistica, nel senso che questa si appoggia ai dati della
tradizione manoscritta e restituisce elementi per la ricostruzione ecdotica. Si
genera insomma, con le parole della studiosa,
«un circolo vizioso, connaturato alla irrituale procedura ecdotica che si è resa necessaria per
l’opera di Peire Milo: si sono prima assunte delle varianti prettamente linguistiche (in altre
tradizioni relegabili fra i dati formali di scarso peso per la restitutio textus) come conferme –
o perfino indicatori – di rapporti genetici fra i testimoni e di caratteristiche delle loro fonti, e
10 Skårup, Povl, Morphologie élémentaire de l’ancien occitan, Copenhague, Museum Tusculanum
Press, 1997.
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poi ci si è serviti di questi rapporti e caratteristiche per effettuare la scelta fra altre varianti
linguistiche» [344].
La soluzione appare ben fondata; avremmo semmai delle perplessità sulla validità generale di un principio di cui la studiosa si serve in più punti dell’edizione,
secondo cui, dovendo decidere quale fra due lezioni si trovasse «nell’originale»,
la scelta deve cadere su quella che presenta qualche ambiguità interpretativa o
difficoltà linguistica, perché lezioni chiare, limpide, corrette «se fossero state
nell’originale, difficilmente sarebbero state fraintese» [170, ma formulazioni analoghe sono alle pagine 123, 136, 332, 397]. Ora, è vero che «il processo di alterazione del testo procede dal ‹più difficile› al ‹più facile›»,11 ma senza entrare nel merito
delle scelte operate, la formulazione appare un po’ drastica e non spiega la
grande abbondanza nella tradizione trobadorica di varianti adiafore assolutamente equivalenti e tutte egualmente chiare e limpide, delle quali normalmente
una sarà stata nell’originale, le altre nelle copie.
I rapporti fra i testimoni sono analizzati complessivamente, secondo un
procedimento che richiama quello esperito da d’Arco Silvio Avalle (maestro di
Borghi Cedrini durante il magistero torinese) per l’edizione delle poesie di Peire
Vidal:12 le sei poesie pluriattestate sono ricondotte a un archetipo [344–352], da
cui discende la famiglia dei mss. I K N z’ [352–387]; i rapporti fra gli altri testimoni
sono discussi in relazione ai componimenti che tramandano: C a ω per la
canzone I [387–391], a ω per le canzoni VI, VII, IX [391–396], M a per la canzone
VIII [396–400], M N a per la canzone II [400–415]. Si segnala inoltre l’analisi
approfondita dei tratti linguistico-testuali del ms. a [410–420], l’infida copia del
Canzoniere di Bernart Amoros, codice notoriamente complesso e stratificato,
corrotto dall’azione di un copista scorretto ma che anche in altre tradizioni ha
fornito lezioni di indubbia bontà; Borghi Cedrini lo assume come base della grafia
per tutti i testi lì tramandati, ossia per l’intero corpus miloniano, eccetto la
cobla III trasmessa da N P, e l’anonima PC 461.170b, unicum di N. L’analisi del
ms. a integra i risultati dello studio di François Zufferey con quelli di Walter
Meliga e di Lucia Fornaro,13 e costituisce il presupposto per un’edizione dei due
11 Beltrami, Pietro G., A che serve un’edizione critica? Leggere i testi della letteratura romanza
medievale, Bologna, il Mulino, 22012, 36.
12 Avalle, d’Arco Silvio (ed.), Peire Vidal, Poesie, edizione critica e commento, Milano/Napoli,
Ricciardi, 1960.
13 Zufferey, François, Recherches linguistiques sur les chansonniers provençaux, Genève, Droz,
1987, 82–84, 97–101; Meliga, Walter, Les études graphématiques et la tradition des troubadours,
Revue des Langues Romanes 98 (1994), 31–47; Fornaro, Lucia, Studio grafico-linguistico del
canzoniere occitanico di Bernart Amoros, Tesi di Laurea, Torino, Università degli Studi di Torino,
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unica del codice (canzoni IV e V) dove non si rinuncia a intervenire sul testo,
laddove Appel si era limitato a trascrivere il testo del manoscritto con minime
correzioni.
Proprio perché è l’analisi della lingua a guidare la ricostruzione ecdotica,
l’editrice ha invece rinunciato a ricostruire il testo laddove il testo tramandato
appariva irrimediabilmente scorretto, segnalando il luogo con puntini fra cruces;
succede per esempio nella canzone I in corrispondenza di due lezioni individuate
come errori d’archetipo: v. 29 «qe si m’a fag la bella de †…†» (de cui sos I K N a z’
ω, de ioy blos C) e v. 30 «te va t’en tost a·l bella de †…†» (de cui sos in tutti i mss.).
L’espediente, che ricorda quello di Appel nell’edizione per molti aspetti insuperata delle poesie di Bertran de Born,14 consente di evidenziare con chiarezza i luoghi
più problematici di testi complessivamente difficili.
Molto è rimasto fuori da questo parzialissimo resoconto: d’altronde, del fatto
che la ricchezza del volume appaia a prima vista sproporzionata rispetto all’oggetto dello studio dichiarato nel titolo è consapevole l’autrice stessa, che con
autoironia ha scelto come esergo della premessa l’inizio del celebre v. 139 dell’Ars
poetica di Orazio: Parturient montes … Ma non ne è nato un topolino: è semmai il
«ridiculus mus» Peire Milo ad aver generato una montagna di dati e di analisi di
cui si gioveranno a lungo i linguisti e i filologi romanzi.
Dr. Paolo Squillacioti: CNR - Opera del Vocabolario Italiano, Via di Castello 46, IT-50141 Firenze,
E-Mail: [email protected]
1995. Borghi Cedrini stessa si propone di studiare insieme con Meliga la struttura e le modalità
compositive del canzoniere [cf. 25 n. 27].
14 Appel, Carl (ed.), Die Lieder Bertrans von Born, Halle, Niemeyer, 1932.
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