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Murray Perahia - Società del Quartetto di Milano
Martedì 8 marzo 2016, ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio 14 Murray Perahia pianoforte Mozart - Rondò in la minore K 511 - Sonata in la minore K 310 Brahms - Ballade in sol minore op. 118 n. 3 - Intermezzo in do maggiore op. 119 n. 3 - Intermezzo in mi minore op. 119 n. 2 - Intermezzo in la maggiore op. 118 n. 2 - Capriccio in re minore op. 116 n. 1 2015 2016 1 5 1 a S TA G I O N E Beethoven - Sonata n. 29 in si bemolle maggiore op. 106 “Hammerklavier” Di turno Di turno Antonio Antonio Magnocavallo Magnocavallo Liliana Konigsman MarioAntonio Mario Bassani Bassani Magnocavallo Consulente Consulente Artistico Artistico Consulente Artistico Paolo Paolo ArcàArcà Paolo I concerti sono preceduti da una breve introduzione di Gaia Varon o Oreste Bossini Sponsor Sponsor istituzionali istituzionali Con il Con contributo il contributo di di patrocinio e il contributo di Con ilil patrocinio Con il patrocinio SoggettoSoggetto riconosciuto riconosciuto di rilevanza di rilevanza regionaleregionale La Società La Società del Quartetto del Quartetto partecipa partecipa a a Media Media partnerpartner In collaborazione con con In collaborazione È vietato, È vietato, senza senza il consenso il consenso dell’artista, dell’artista, fare fotografie fare fotografie e registrazioni, e registrazioni, audio audio o video, o video, ancheanche con il con cellulare. il cellulare. IniziatoIniziato il concerto, il concerto, si puòsientrare può entrare in salainsolo salaalla solo fine alladifine ognidicomposizione. ogni composizione. Si raccomanda Si raccomanda di: di: • disattivare • disattivare le suonerie le suonerie dei telefoni dei telefoni e ogniealtro ogniapparecchio altro apparecchio con dispositivi con dispositivi acustici; acustici; • evitare • evitare colpi di colpi tosse di tosse e fruscii e fruscii del programma; del programma; • non lasciare • non lasciare la salalafino salaalfino congedo al congedo dell’artista. dell’artista. Il programma Il programma è pubblicato è pubblicato sul nostro sul nostro sito web sitoil web venerdì il venerdì precedente precedente il concerto. il concerto. Wolfgang Amadeus Mozart (Salisburgo 1756 - Vienna 1791) Rondò in la minore K 511 (1787) (ca. 10’) Sonata in la minore K 310 (1778) (ca. 22’) I. Allegro maestoso II. Andante cantabile III. Presto Mozart impiega la tonalità di la minore in un lavoro per pianoforte solo soltanto due volte in tutta la sua produzione, nella Sonata K 310 del 1778 e nell’enigmatico Rondò K 511 del 1787. Entrambi i lavori appartengono a periodi molto difficili della vita di Mozart, che reagisce con infallibile istinto musicale al senso di prostrazione e di avvilimento vissuto in quelle circostanze. Il Rondò viene terminato l’11 marzo del 1787. Il ritorno a Vienna, dopo il clamoroso successo delle Nozze di Figaro a Praga, fu un periodo tutt’altro che sereno per Mozart. Alla fine di febbraio la cantante Nancy Storace, grande protagonista della scena teatrale viennese, decide inaspettatamente di lasciare la città, lasciando un vuoto nel cuore di Mozart chiaramente percepibile nella grande aria da concerto con pianoforte obbligato Ch’io mi scordi di te? K 505. Inoltre, in quegli stessi giorni Mozart piangeva anche la scomparsa prematura di uno dei suoi migliori amici viennesi, il conte August Hatzfeld, suo coetaneo ed eccellente violinista. Nella notizia apparsa sul Magazin der Musik di Amburgo, il corrispondente da Vienna ricorda che Hatzfeld «era diventato amico di Mozart. Aveva studiato e suonato i suoi famosi quadros [quartetti] sotto la guida dell’autore, ed era entrato così intimamente nello spirito del loro compositore che quest’ultimo era diventato quasi restìo ad ascoltare i suoi capolavori da chiunque altro». La cosa peggiore, tuttavia, era che Mozart aveva cominciato a percepire attorno a sé un clima se non ostile, certamente più freddo da parte della città. La nobiltà viennese non gli aveva perdonato l’audacia di mettere alla berlina il loro mondo nelle Nozze di Figaro e, come sempre accade, le mode passano in fretta, compresa quella di Mozart. Solo, depresso, preoccupato per la salute del padre, che morirà alla fine di maggio, Mozart si rifugia in una pagina pianistica di genere minore come un Rondò, spoglio di virtuosismi ed enigmatico nell’espressione. La scrittura infatti è pressoché dominata dallo stile cromatico, che si manifesta a partire dall’intonazione del tema. La semplicità della forma si rispecchia nella sobrietà della tecnica pianistica, adatta a un lavoro da risuonare meglio in una stanza piuttosto che in una sala da concerto. La magia di questo pezzo è tutta racchiusa nell’eleganza dell’espressione e nelle leggere increspature provocate da sporadici e sempre controllati sussulti d’emozione. Mozart aveva attraversato un periodo critico per molti versi simile una decina d’anni prima, al termine dello sfortunato soggiorno a Parigi nel 1778. Gli obiet- tivi del viaggio, progettato dal padre per ottenere un incarico presso qualche importante corte europea, erano stati tutti falliti. Parigi non era più la città di Maria Antonietta e delle moine ricevute a Versailles da bambino, bensì una capitale ostica da conquistare, affollata di musicisti ben attenti a non lasciar spazio a un pericoloso rivale. Mozart si sentiva a disagio in mezzo a una società interessata alla letteratura, alla politica e all’arte più che alla musica. Infelice e pieno di nostalgia per la ragazza, Aloysia Weber, che gli aveva fatto palpitare il cuore e sognare un destino da artisti alla conquista dei teatri italiani, Mozart sciupava il tempo ad aspettare nelle anticamere gelide di palazzi sordi e indifferenti alla sua musica. Parigi era costata anche la perdita della madre Anna Maria, spirata la sera del 2 luglio tra le braccia del figlio nel decoroso appartamento preso in affitto in Rue du Gros Chenet. Mozart ha la forza d’animo di scrivere, quella stessa notte, due lettere a Salisburgo: una a Leopold, fingendo che la madre sia gravemente malata ma in condizioni non disperate; l’altra a un amico di famiglia, l’abate Joseph Bullinger, perché prepari il padre e la sorella alla notizia. “Questo fu il più triste giorno della mia vita”, scrive a Bullinger, ma non poteva permettersi nemmeno di lasciarsi andare al dolore. In qualche maniera il coacervo di sentimenti contraddittorî vissuti in quella estate è confluito nell’unica Sonata scritta da Mozart in la minore, spiritualmente gemella della coeva Sonata in mi minore per violino e pianoforte. Il lavoro si apre con un tema dilaniato da sentimenti contrastanti. La prima parte infatti è molto aggressiva, con la voce principale accompagnata da accordi tempestati senza respiro a note ribattute. La seconda invece si placa all’improvviso, come in preda allo sconforto, per poi riaccendersi ancora di ardente passione. Il tema secondario, in do maggiore, manifesta un’analoga agitazione, anche se espressa in maniera meno focosa. Lo sviluppo elabora esclusivamente il ritmo mozzafiato del tema principale, che ricompare al termine di un’energica salita cromatica di un’ottava e conduce alla ripresa dell’esposizione senza offrire un sollievo finale al termine di questo angoscioso movimento. L’“Andante cantabile”, con la sua elegante e distesa melodia in fa maggiore, sembra in netto contrasto con il tumulto di sentimenti dell’“Allegro maestoso” precedente. Nella nobile scrittura di Mozart pare riecheggiare un passo della lettera inviata all’abate Bullinger: «Facendosi il male vieppiù pericoloso, ho domandato a Dio solo 2 cose: che a mia madre desse un trapasso felice, e a me animo e forza - e il buon Dio mi ha esaudito, concedendomi ampiamente queste 2 grazie». Sotto la superficie di serena e matura saggezza trasuda tuttavia l’oscura energia del movimento precedente, pronta ad esplodere in ogni momento. Infatti il “Presto” successivo ripiomba nei sentimenti tumultuosi dell’inizio, con una melodia di rapinosa bellezza, che sorvola d’un fiato l’intero rondò. La Sonata in la minore non sarebbe Mozart, però, se non offrisse anche in questo “Presto” finale qualche raggio di luce in mezzo a tanti cupi pensieri, che non riescono a offuscare completamente la natura luminosa e positiva del giovane autore. Johannes Brahms (Amburgo 1833 - Vienna 1897) da 6 Klavierstücke op. 118 (1893) n. 3 Ballade in sol minore (ca. 3,5’) da 4 Klavierstücke op. 119 (1893) n. 3 Intermezzo in do maggiore (ca. 9,5’) n. 2 Intermezzo in mi minore (ca. 4,5’) da 6 Klavierstücke op.118 n. 2 Intermezzo in la maggiore (ca. 1,5’) da Fantasien op. 116 (1892) n.1 Capriccio in re minore (ca. 2,5’) Brahms deve alla sua abilità di pianista le esperienze più significative della sua carriera artistica. Fu grazie al pianoforte che Brahms entrò nella cerchia di Robert Schumann e strinse i rapporti più profondi, come quelli con Josef Joachim, Clara Schumann, Elisabeth von Herzogenberg. Clara scriveva sul diario, nell’ottobre 1853, dopo una visita di Brahms: «È davvero commovente vederlo seduto al pianoforte, con il suo giovane e interessante viso trasfigurato mentre suona, le sue belle mani che dominano le più grandi difficoltà con perfetto controllo (le sue cose sono molto difficili), e in aggiunta quelle notevoli composizioni». Il pianoforte rimase sempre il fedele compagno di Brahms, che tuttavia ha scritto abbastanza poco per il suo strumento. Brahms ha detto addio alle grandi forme sul pianoforte con la Sonata op. 5, scritta nel 1853. Nei decenni successivi, la musica sinfonica e quella da camera hanno occupato il regno principale dell’attività di Brahms, che ha riservato al pianoforte sempre più il ruolo di alter ego e di confidente. Come ha giustamente osservato il critico musicale e amico Eduard Hanslick, le ultime serie di Klavierstücke, la cui stesura risale in maggior parte agli anni 1892 e 1893, rappresentano una sorta di lungo monologo. La musica di Brahms degli anni Novanta guarda soprattutto al passato e rappresenta una meditazione retrospettiva, spesso circondata da un’aura di nostalgia e di pessimismo. La perdita di persone care, come la bella e sensibile amica e pianista Elisabeth von Herzogenberg, scomparsa a soli 45 anni nel 1892, contribuì ad accentuare la solitudine del musicista. Alla figura di Elisabeth era legata la prima serie di Klavierstücke op. 76 composta da Brahms, nel 1878, dove compare per la prima volta il titolo di “Intermezzo”. Questa definizione elusiva e sfuggente sarebbe diventata alla fine la prediletta, al punto di formare un connubio indissolubile con il nome del compositore, come “Impromptu” con Schubert o “Notturno” con Chopin. La serie dell’op. 118 inizia con un Intermezzo in la minore, che si apre con una robusta e assertiva melodia rinforzata dalle ottave della mano destra, quasi un preambolo dell’Intermezzo successivo in la maggiore. Qui troviamo la vena più dolce e cantabile di Brahms, che esprime nella parte centrale in fa diesis minore la struggente nostalgia per gli anni verdi del suo rapporto con Elisabeth, l’epoca dei Klavierstücke op. 76 e della Sonata per violino e pianoforte in sol maggiore. “Ballade”, un altro titolo che compare nella raccolta, è una fiera cavalcata del pianoforte in un territorio tonale molto ampio, distribuito tra il sol minore iniziale e il si maggiore della sezione intermedia. Il carattere eroico s’incupisce alla fine in senso tragico, con gli accordi di sol minore scolpiti violentemente alla fine del pezzo. L’ultima serie di Klavierstücke op. 119 parte idealmente dal punto in cui si era fermata la precedente. La produzione di Brahms per pianoforte si chiude così con l’anacronistico ritorno agli eroismi giovanili da una parte e l’amara consapevolezza del buio della notte imminente dall’altra. Gli ultimi quattro pezzi per pianoforte rappresentano una sorta di estremo esame di coscienza, nel quale Brahms lascia intravedere i lati più nascosti della sua complessa e contraddittoria natura. I due Intermezzi centrali, il n. 2 in mi minore e il n. 3 in do maggiore, mostrano una libertà di scrittura e una mobilità d’espressione che ricorda la pittura degli Impressionisti, con un’armonia talmente ricca di sfumature da allentare in maniera molto moderna i vincoli tonali. Dalla prima serie di pezzi, intitolati Fantasien op. 116, viene il Capriccio in re minore, una sorta di scherzo che apre la raccolta. “Scherzo” va inteso non solo nel senso di un pezzo di carattere ritmico infarcito di piccole sorprese armoniche, ma anche come divertimento compositivo, in grado di concentrare nello stile di una miniatura una sorta di forma sonata completa di sviluppo e di ripresa. Ludwig van Beethoven (Bonn 1770 - Vienna 1727) Sonata n. 29 in si bemolle maggiore op. 106 “Hammerklavier” (1817-1818) (ca. 45’) I. Allegro II. Scherzo. Assai vivace III. Adagio sostenuto IV. Largo - Allegro Allegro risoluto In una lettera di Beethoven del gennaio 1817 all’editore Sigmund Anton Steiner, chiamato scherzosamente Luogotenente Generale, si legge a proposito della Sonata op. 101: «Quanto al titolo della nuova Sonata, basta solo applicarle quello che la Wiener musikalische Zeitung ha dato alla Sinfonia in la, vale a dire “La Sonata difficile da eseguire”. Il mio Luogotenente generale rimarrà stupito pen- sando che “difficile” è un termine relativo, ciò che per una persona è difficile, per un’altra è facile, di per se stesso non significa nulla, tuttavia il LG deve sapere che significa anche tutto, in quanto ciò che è difficile è pure bello, buono, grande ecc.; chiunque può quindi comprendere che questo è il massimo elogio che si possa fare, perché ciò che è difficile fa sudare». Questa osservazione è da tenere ben presente per inquadrare la successiva sonata per pianoforte di Beethoven, che approfondisce e dilata nella “Hammerklavier” i temi proposti in maniera ancora acerba dalla Sonata in la maggiore op. 101. Un altro elemento che rende imparentati i due lavori emerge da un’altra lettera a Steiner dello stesso periodo: «Esaminata la questione e udito il parere del nostro Consiglio, abbiamo deliberato e con la presente deliberiamo che d’ora in poi su tutte le nostre opere con titolo tedesco, anziché piano-Forte, figuri Hammerklavier». Il legame tra la scrittura pianistica e le innovazioni tecniche del pianoforte risultano evidenti dall’esame del nuovo modello di strumento della ditta inglese Broadwood&Sons costruito nel 1817, in possesso di Beethoven negli ultimi anni. Non solo la maggior estensione della tastiera, che abbraccia sei ottave dal do grave a quello acuto, ma anche la complessità della pedaliera spiegano certi dettagli della scrittura, come per esempio l’indicazione nell’Adagio “poco a poco due ed allora tutte le corde”. Il nodo estetico della ciclopica e per così dire mostruosa Sonata in si bemolle maggiore è racchiuso tuttavia in quella frase di Beethoven, ciò che è difficile è pure bello, buono, grande. In essa si trova la radice di un atteggiamento completamente nuovo, che supera in maniera definitiva il secolo precedente e apre la strada a tutte le musiche dell’avvenire e a tutti gli –ismi dell’arte contemporanea. Anche le dediche delle due Sonate sono significative. La prima è dedicata alla baronessa Dorothea von Ertmann, ottima pianista e interprete di fiducia di Beethoven. Quella più avveniristica e impegnativa invece reca sul frontespizio il nome dell’arciduca Rodolfo d’AsburgoLorena, eccellente musicista cresciuto sotto la guida attenta di Beethoven, che a lui ha dedicato i suoi lavori più audaci e impenetrabili, come il Trio op. 97, la Sonata op. 106 e la Missa solemnis. La statura della Sonata viene fissata subito dalla fanfara di accordi iniziale. La croma in levare della mano sinistra, che è obbligata a compiere un balzo leonino dal si bemolle grave all’accordo in fortissimo sul battere, rappresenta già il primo scoglio su cui rischia d’infrangersi l’interprete. A rendere le cose ancora più complicate, al limite dell’impossibile, è il tempo di metronomo indicato da Beethoven, la minima 138. Questa Sonata è l’unica a essere provvista di indicazione metronomiche di Beethoven, che in tutti i movimenti segna dei tempi molto più rapidi di quanto di norma si ascolti, specie per quanto riguarda la fuga conclusiva. La diatriba sull’ineseguibilità dei suoi ultimi lavori è stata liquidata dallo stesso autore, che in risposta a una lamentela dell’amico (e grande violinista) Ignaz Schuppanzig su un passaggio molto scomodo in uno degli ultimi quartetti sbottò: «Ma cosa vuole che me ne importi del suo stupido violino, quando lo spirito mi parla?». L’elemento cruciale della Sonata infatti è proprio il suo enorme respiro spirituale, che abbraccia nei suoi quattro movimenti l’intero arco delle passioni umane. Basta notare l’abbondanza e la varietà dei contrasti nell’“Allegro” iniziale, di carattere stilistico, armonico, gestuale, sonoro, per rendersi conto dell’enorme ricchezza di questo lavoro. Beethoven riempie la struttura classica di linfa vitale, costringendola però a riformare la propria architettura in un senso più dinamico, più flessibile. Lo sviluppo, per esempio, prende spunto da un dettaglio ritmico della fanfara per intessere una trama contrappuntistica di stile completamente diverso dal resto del movimento. La tavolozza di sentimenti della Sonata non contempla solo l’eroico, il tragico, il patetico, ma anche l’ironia e l’umorismo. Beethoven è anche l’uomo di spirito a volte grossolano che emerge dalle lettere, per esempio. In questa chiave va letto soprattutto lo “Scherzo”, che alterna momenti di semplicità idilliaca a gesti da buffone. La commedia umana della Sonata si conclude con lo sterminato “Adagio sostenuto” in fa diesis minore. Beethoven affida al pianoforte le confessioni di un’anima segnata da innumerevoli cicatrici e ricolma d’amore, che si riversa soprattutto nell’ultima e celestiale parte in fa diesis maggiore dell’“Adagio”. Quello che avviene nel movimento finale, con la poderosa fuga a tre voci “con alcune licenze”, va oltre i limiti dell’esperienza umana. La fuga viene introdotta da un vero e proprio preludio, che all’inizio sembra cercare lo spazio sonoro con una sequenza di fa naturali, in contrasto con il fa diesis finale dell’adagio precedente, che coprono l’intero arco della tastiera. La tensione sale increspando la superficie della musica di note e accordi ribattuti, fino a sfociare in una serie di trilli che annunciano la fuga come le trombe dell’Apocalisse, che si scatena in una forma musicale di inaudita potenza, come mai Beethoven aveva osato in precedenza. Oreste Bossini Murray Perahia in uno schizzo di Giorgio Tabet, Società del Quartetto, 3 febbraio 1976. Murray Perahia pianoforte Murray Perahia è nato a New York, e ha iniziato lo studio del pianoforte a quattro anni; ha inoltre compiuto la sua formazione in direzione e composizione al Mannes College of Music di New York. Le estati trascorse a Marlboro hanno creato gli incontri con Rudolf Serkin e Pablo Casals fondatori della scuola, e il Quartetto di Budapest; a quel periodo risale anche l’insegnamento di Mieczyslaw Horszowski. Il primo premio al concorso internazionale di Leeds nel 1972 lo ha imposto all’attenzione delle sale concertistiche europee; nel 1973 al festival di Aldeburgh è iniziata la collaborazione con Benjamin Britten e Peter Pears, che lo ha portato a condividere la direzione artistica del festival dal 1981 al 1989. Più tardi, altre tracce importanti sarebbero nate dalla profonda amicizia con Vladimir Horowitz. Perahia è ospite in recital e nel repertorio sinfonico delle maggiori sale in tutto il mondo. Svolge la sua attività di direttore e solista prevalentemente in collaborazione con English Chamber Orchestra, l’orchestra da camera Franz Liszt, Chamber Orchestra of Europe e Camerata Salzburg. Dal 2000 è direttore ospite principale dell’Academy of St. Martin-in-the-Fields alla quale è legato da un lungo rapporto di amicizia e collaborazione. Nella doppia veste di direttore e solista è stato protagonista di tournée in tutta Europa, negli Stati Uniti, in Asia e in Giappone. Nella primavera 2015 Perahia ha affrontato una lunga serie di recital, che lo hanno visto suonare a New York, Chicago, Firenze, Lisbona, Barcellona, Milano, Praga, Londra, Parigi e Bologna. La sua discografia è molto ricca e pluripremiata. Sony Classical ha pubblicato un cofanetto in edizione speciale con numerosi dvd e tutte le sue incisioni dal titolo “I primi 40 anni”. Da alcuni anni lavora ad un progetto di una nuova edizione critica delle Sonate di Beethoven per Henle Urtext Edition. Inoltre ha prodotto e pubblicato numerose ore di registrazioni del leggendario pianista Alfred Cortot, recentemente ripubblicate da Sony con il titolo “Alfred Cortot: The Master Classes”. È membro onorario del Royal College of Music e della Royal Academy of Music e ha ricevuto l’“Honorary Doctorate” dalle Università di Leeds e di Duke. Nel 2004 è stato nominato Knight of the British Empire (Cavaliere dell’Impero Britannico) per il suo contributo alla vita musicale del Regno Unito. Ospite dei Concerti del Quartetto al Teatro alla Scala nel giugno 1996 e nel 2000 per il ciclo Grandi Pianisti alla Scala, è stato ospite della nostra Società nel 1968, 1973, 1976, 1998, 2002, 2007, 2008, 2010, 2011, 2013 e 2015. Prossimo concerto: Martedì 22 marzo 2016, ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio Orchestre des Champs-Élysées Collegium Vocale Gent Philippe Herreweghe direttore Nella settimana di Pasqua il concerto del Quartetto si rivolge a un capolavoro della musica sacra come Le ultime sette parole di Cristo sulla Croce di Haydn. La forma nasce dalle circostanze della sua creazione, ossia l’antico rito del Venerdì Santo nella Cattedrale di Cadice. Sono sette adagii strumentali da far seguire alle meditazioni del canonico su ciascuna delle ultime parole di Cristo. La composizione si chiudeva infine con una pagina di musica descrittiva, il terremoto seguito alla morte di Cristo. Esistono varie versioni del lavoro, tutte di pugno dell’autore. Quella proposta da Herreweghe è la versione per orchestra del 1794, di rara esecuzione, con l’aggiunta di una parte corale. Società del Quartetto di Milano - via Durini 24 20122 Milano - tel. 02.795.393 www.quartettomilano.it - [email protected]