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radici del paesaggio sonoro

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radici del paesaggio sonoro
CONSERVATORIO di MUSICA “G. VERDI" – COMO
Corso di diploma accademico
di secondo livello in discipline musicali
Musica elettronica e Tecnologie del suono
IMPROVVISAZIONE E AMBIENTE ACUSTICO NATURALE:
ALLE RADICI DEL PAESAGGIO SONORO
Relatore
M° Andrea VIGANI
Tesi finale di:
Emanuele MAGNI
Matr. 3309
Anno accademico 2014-2015
Indice
RIASSUNTO..............................................................................................................................1
PARTE TEORICA: il concetto di Paesaggio Sonoro.................................................................2
Capitolo 1: NASCITA DEL CONCETTO DI PAESAGGIO SONORO..............................4
1.1 Ecologia Acustica........................................................................................................6
1.1.1 Il Paesaggio Sonoro Hi-Fi....................................................................................7
1.1.2 Il Paesaggio Sonoro Lo-Fi...................................................................................7
Capitolo 2: EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI PAESAGGIO SONORO....................11
2.1 Elementi del Paesaggio Sonoro.................................................................................11
2.2 Niche Hipothesys.......................................................................................................10
2.3 Stato di salute di un Paesaggio Sonoro......................................................................12
Capitolo 3: CORRENTI MUSICALI...................................................................................15
3.1 Documentario............................................................................................................17
3.2 Ricostruzione.............................................................................................................17
3.3 Trasformazione..........................................................................................................18
3.4 Integrazione...............................................................................................................19
Capitolo 4: ARTE E SCIENZA...........................................................................................21
4.1 Ecologia del Paesaggio Sonoro.................................................................................21
4.2 Composizione del Paesaggio Sonoro........................................................................22
PARTE PRATICA: la composizione di un Paesaggio Sonoro.................................................25
Capitolo 5: RACCOLTA MATERIALE.............................................................................26
5.1 Analisi del Paesaggio Sonoro....................................................................................26
5.1.1 Lo Spazio...........................................................................................................26
5.1.2 Il Sassofono........................................................................................................28
5.2 La registrazione ........................................................................................................31
5.2.1 Scelta microfoni.................................................................................................32
5.2.2 Posizionamento microfoni.................................................................................33
Capitolo 7: LA COMPOSIZIONE.......................................................................................36
7.1 Spazializzazione........................................................................................................36
7.2 Elaborazione del suono .............................................................................................40
7.3 Montaggio..................................................................................................................41
Appendice A: analisi del brano e considerazioni compositive.............................................43
Appendice B: criticità incontrate nella composizione..........................................................46
Therefore, isn't the musician's relation to nature the same as the hypnotist's relation to a fortune teller?
E. T. A. Hoffman
RIASSUNTO
Questo lavoro di tesi è diviso in due parti: nella prima mi occupo di descrivere l'evoluzione
del significato del termine Soundscape partendo dalla definizione del suo coniatore Murray
Schafer. La mia analisi evidenzia un po' di confusione circa questo significato, in particolare
dovuta al fatto che che il termine è stato utilizzato - e lo è tuttora - per descrivere un ambito
che spazia tra scienza ed arte.
Oltre a ciò mi sono cimentato nel comporre una brano che potesse essere ricondotto alla
definizione “artistica” di Soundscape: la seconda parte di questo scritto si occupa quindi di
descrivere il processo compositivo che ho seguito, le tecniche utilizzate ed il paesaggio
sonoro con cui mi sono trovato ad avere a che fare.
1
PARTE TEORICA: il concetto di Paesaggio Sonoro
Il termine paesaggio sonoro, traduzione dell'inglese Soundscape, è ormai quasi
universalmente conosciuto, o almeno riconosciuto come stile musicale. Da una banale ricerca
del termine in internet troviamo infatti diversi risultati che propongono questo tipo di
composizioni, oltre ad altri numerosi risultati che invece con il mio personale concetto di
paesaggio sonoro hanno poco a che fare. Questa consapevolezza mi ha portato a cercare di
approfondire l'argomento per chiarire a me stesso innanzitutto cosa significhi comporre un
paesaggio sonoro, e in fin dei conti se è possibile farlo. Dico questo perché affrontando la
questione mi sono reso conto che forse l'unico vero paesaggio sonoro è ciò che possiamo
sentire in diretta quando siamo immersi in un ambiente, e di conseguenza l'atto di comporre
un paesaggio sonoro dovrebbe considerarsi esclusivamente la scelta del luogo in cui
registrare. Più si cerca di manipolare queste registrazioni e più ci stiamo forse allontanando
dalla purezza di un paesaggio sonoro, così la mia curiosità è spinta proprio dal cercare di
identificare il limite che rende una composizione non più definibile come paesaggio sonoro.
Con questo non voglio entrare nell'ambito delle definizioni di genere, attività spesso fine a se
stessa che cerca di categorizzare forme di espressione che dovrebbero godere di libertà
massima (se si escludono determinati generi ormai affermati ed identificati da caratteristiche
ben precise). Ma effettuando diversi ascolti mi accorgo che inconsapevolmente identifico
come Paesaggio
Sonoro
alcune
composizioni che per esempio non fanno uso di
registrazioni ambientali, e viceversa non ritengo paesaggi sonori composizioni che ne fanno
uso esclusivo.
Quello che cerco di fare è quindi razionalizzare questa mia percezione appigliandomi a quello
che è la letteratura del settore. In fondo il paesaggio sonoro è stato per millenni l'unico
concerto a disposizione dell'essere umano, e forse il termine di riferimento ultimo per dare
2
giudizi estetici di qualcosa è la natura.
Il compositore ha così un ruolo molto importante, soprattutto oggi dove il paesaggio sonoro in
cui siamo immersi è profondamente alterato dai rumori del progresso: il ruolo è quello di
utilizzare gli strumenti del progresso per almeno conservare la bellezza sonora della natura.
Affermando ciò incontriamo però il paradosso della tecnologia che viene utilizzata per
simulare ciò che la tecnologia ci ha tolto. Situazione che mette così il compositore di Paesaggi
Sonori in una posizione di incoerenza, quando ad esempio prende un mezzo a motore come
l'aereo per andare a registrare paesaggi sonori in luoghi remoti, utilizzando una tecnologia che
per esistere ha bisogno di generare rumore, per poi lamentarsi dei paesaggi sonori che
vengono inquinati da rumori di mezzi elettromeccanici; ma questa forse è una speculazione
fine a se stessa, e di sicuro non è oggetto di questo scritto.
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Capitolo 1: NASCITA DEL CONCETTO DI PAESAGGIO
SONORO
“L'ambiente sonoro con enfasi nella maniera in cui è percepito e interpretato dagli individui.
Tecnicamente, qualsiasi parte dell'ambiente dei suoni considerata come campo di studio e
ricerca. Il termine può applicarsi tanto ad ambienti reali, quanto a costruzioni astratte, quali le
composizioni musicali o i montaggi e missaggi di nastri magnetici, in particolare quando
vengono considerati come ambienti.”
Così R. Murray Schafer definisce il neologismo Soundscape da lui coniato nel 1969. Il
termine trae origine dal parallelismo con il mondo delle immagini, dove Landscape (in
italiano “paesaggio”) è composto dai termini Land (terra) e Scape (veduta). Sostituendo il
termine Land con Sound ci troviamo così il termine composto Soundscape che in italiano
viene comunemente tradotto con “Paesaggio sonoro”.
Shafer suddivide le principali caratteristiche per l'analisi di un paesaggio sonoro in tre
categorie:
–
Toniche: in ambito musicale la tonica è la nota che identifica la chiave o la tonalità di
una particolare composizione; è in riferimento a questa nota che ogni altro momento
della composizione acquista il proprio particolare significato, anche quando il
materiale ruota intorno ad essa, mascherandone spesso l'importanza. Parallelamente, in
un paesaggio sonoro le toniche sono quei suoni che vengono percepiti di continuo o
con tale frequenza da costituire uno sfondo sul quale vengono poi percepiti gli altri
suoni. Ad esempio: il rumore del mare per una comunità che vive accanto ad esso, o il
rumore dei motori a combustione per le città moderne. Prosegueno il parallelismo con
il mondo delle immagini, le Toniche possono essere considerate come lo sfondo del
paesaggio.
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–
Segnali: sono suoni verso cui si rivolga l'attenzione in modo particolare, solitamente in
primo piano ed uditi coscientemente; si distinguono dalle Toniche nello stesso modo
in cui nel campo delle immagini si contrappongono figura in primo piano e sfondo.
–
Impronte sonore: queste sono in realtà un sottoinsieme dei Segnali. Sempre facendo
riferimento al mondo delle immagini, il termine in inglese è Soundmark, che deriva
da Landmark il cui significato è: “punto di riferimento, pietra miliare”; quindi con
impronta sonora si intendono quei suoni con peculiarità tali da far sì che gli abitanti di
una comunità abbiano nei loro confronti un atteggiamento ed una capacità di
riconoscimento particolari. Un suono di questo genere, sempre secondo Schafer,
dovrebbe essere tutelato per il suo valore storico-culturale.
Notiamo che la definizione data da Schafer si riferisce sia ad ambienti reali che a
composizioni musicali, quindi evidentemente anche a combinazioni delle due cose. E forse è
proprio la combinazione delle due cose che interessava maggiormente al compositore. O forse
mi azzardo a dire che il riferimento a composizioni musicali è stato inserito nella definizione
per questioni contingenti, ma che il fulcro della questione fosse il paesaggio sonoro naturale,
dato che all'epoca (fin degli anni '60) Schafer fondava il World Soundscape Project (WSP),
progetto di ricerca internazionale con l'obiettivo di trovare soluzioni per avere un paesaggio
sonoro equilibrato, dove quindi il rapporto tra essere umano e ambiente acustico fosse in
armonia.
Le attività del WSP si fondano quindi particolarmente sullo studio del rapporto esistente tra
esseri umani ed ambiente, disciplina che prende il nome di Ecologia Acustica, disciplina
intrinseca in tutti gli ambiti dell'attività umana che comportano una generazione di rumore. “Il
rumore, infatti, rappresenta uno spreco energetico. La macchina perfetta sarà una macchina
silenziosa, e tutta l'energia verrà utilizzata.”
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1.1 Ecologia Acustica
Nell'essere traghettati nel mondo utopico dove le macchine non genereranno rumore, per
Schafer diventa necessaria la figura del Designer Acustico, figura con competenze
scientifiche, sociali e musicali con il ruolo di migliorare la qualità estetica del paesaggio
sonoro in cui vive l'essere umano.
“Solo una concezione d'insieme dell'ambiente acustico può darci i mezzi necessari a
migliorare l'orchestrazione del paesaggio sonoro. Il design acustico non riguarda soltanto gli
ingegneri acustici, ma richiede al contrario la collaborazione di moltissime persone:
professionisti, dilettanti, giovani, e di chiunque abbia buone orecchie. Perché il concerto
dell'universo è un concerto permanente e i posti in sala sono gratuiti.”
Il compositore di soundscape non compone quindi in termini assoluti, bensì relativamente
all'ambiente e per il pubblico in questione, poiché spazio sonoro e contesto sociale dovrebbero
essere stati presi in considerazione dall'autore. “La padronanza del proprio mestiere consiste
nel sapere tutto del materiale con il quale si lavora. […] Un vero designer acustico deve
cercare di comprendere alla perfezione l'ambiente che gli sta di fronte, deve possedere
conoscenze in campo acustico, in psicologia, in sociologia, in musica e in altre discipline
ancora, a seconda delle esigenze e delle necessità”.
Un designer acustico deve insomma essere un esperto di Ecologia Acustica. Come l'ecologia è
lo studio dei rapporti tra gli organismi viventi e il loro ambiente, così l'ecologia acustica è lo
studio degli effetti prodotti dall'ambiente acustico (o paesaggio sonoro) sulle caratteristiche
fisiche e sui modelli di comportamento degli esseri che vi abitano. Tra i suoi specifici
obiettivi, quello di segnalare gli squilibri che potrebbero rivelarsi malsani o dannosi.
La disciplina prende vita dalla consapevolezza che a partire dalla rivoluzione industriale un
numero sempre crescente di paesaggi sonori è andato estinguendosi, sommerso nella nuvola
di rumore della civiltà, la cui tonica è diventata il rumore (pensiamo al traffico nelle città).
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Il contrasto tra gli ambienti acustici pre-industriali e post-industriali è espresso da Schafer con
il termine hi-fi (alta fedeltà) contro lo-fi (bassa fedeltà).
1.1.1 Il Paesaggio Sonoro Hi-Fi
Un sistema hi-fi è caratterizzato da un rapporto segnale / rumore soddisfacente. Il paesaggio
sonoro hi-fi è quindi quello in cui il basso livello del rumore ambientale permette di udire con
chiarezza i singoli suoni. In genere la campagna è un ambiente a maggiore alta fedeltà rispetto
alla città, e così è per la notte rispetto al giorno, per i tempi antichi rispetto a quelli moderni.
Un paesaggio sonoro hi-fi è un ambiente dove i suoni si sovrappongono non di frequente,
dove c'è prospettiva e si riconoscono figure e sfondo. In questo tipo di ambiente non c'è
mascheramento e tutti i suoni possono essere uditi indistintamente e nessuno è anonimo; i
suoni inoltre generalmente si alternano in maniera ciclica. In un paesaggio di questo tipo,
l'orizzonte sonoro si estende per diversi chilometri.
1.1.2 Il Paesaggio Sonoro Lo-Fi
Al contrario, in un paesaggio sonoro lo-fi abbiamo l'impressione di un muro sonoro più o
meno costante che di fatto isola l'ascoltatore dall'ambiente. Molti suoni rimangono
mascherati, riducendo lo spazio sonico dell'individuo. L'estremo è la situazione in cui non si
possono udire nemmeno i suoni propri, trovandosi così in una situazione di vero e proprio
isolamento acustico. Nella nostra società il paesaggio sonoro lo-fi è determinato dai rumori a
bassa frequenza originati da macchine elettromeccaniche. I rumori a bassa frequenza, inoltre
possiedono una caratteristica particolare: poiché la loro lunghezza d'onda possiede un
maggior potere di trasporto e poiché vengono influenzati in misura minore dalla diffrazione, i
suoni a bassa frequenza sono in grado di aggirare un ostacolo e di riempire uno spazio con
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una maggiore completezza. E' quindi più difficile localizzare la sorgente sonora di un suono a
bassa frequenza. Sebbene questa caratteristica non sia negativa in termini assoluti, nel
contesto di un paesaggio sonoro lo-fi introduce un'ulteriore dimensione di alienazione sonora.
Riporto a questo proposito il frammento di un articolo scritto nel 1974 da Philippot:
“Secondo le testimonianze in nostro possesso, il rumore a Parigi nel XVII secolo pare fosse
letteralmente insopportabile. La stessa fonte ci documenta sulla natura di questi rumori: grida,
carri e carrozze, cavalli, campane, artigiani al lavoro, ecc. Possiamo quindi inferire che il
livello sonoro medio presentasse marcate fluttuazioni e che il suo profilo fosse ricco di picchi
e di flessioni, fosse in realtà a “denti di sega”. Inoltre, lo spettro doveva essere molto povero
di basse frequenze, dal momento che i rumori citati fanno parte della gamma di frequenza
media e medio-alta. Nell'epoca della meccanica e – parlando del rumore delle grandi città –
con l'invenzione dell'automobile, il rumore divenne più continuo e le frequenze più basse si
moltiplicarono considerevolmente (il brontolio sordo del traffico urbano, il rumorio continuo
delle automobili, l'ampio spettro e l'estesa copertura del rumore degli aerei). Il rumore
ambientale “moderno” potrebbe essere brevemente definito come pesante e continuo, con
fluttuazioni lente di difficile identificazione e localizzazione. Un rumore avvolgente,
penetrante.”
Questa analisi ci aiuta a comprendere che lo stato lo-fi non è un naturale corollario di una più
alta densità di popolazione o dell'incremento demografico. La Parigi del XVII secolo, pur
rumorosa che fosse, non era infatti definibile lo-fi.
Il suono è in tal modo diventato qualcosa non da ascoltare ma da escludere, o piuttosto da
sostituire con qualcos'altro – la musica generalmente.
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Capitolo 2: EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI PAESAGGIO
SONORO
Mentre le intenzioni del WSP erano prettamente focalizzate sul rapporto tra ambiente ed
essere umano, negli anni successivi sono nate correnti che si sono portate in maniera esplicita
sul più ampio rapporto tra organismi viventi e paesaggio sonoro. Una delle persone che
maggiormente ha contribuito a questo settore è Bernie Krause. Krause nasce come musicista,
ma una serie di circostanze lo portarono ad essere uno dei primi nella seconda metà degli anni
'60 ad intraprendere la strada del Field Recording (la cui traduzione letterale in italiano
potrebbe essere “Registrazione sul campo”; il termine è usato per qualsiasi forma di
registrazione prodotta la di fuori di uno studio di registrazione, e principalmente si riferisce
alla registrazione di ambienti). Krause cerca una prospettiva più ampia considerando gli effetti
del paesaggio sonoro relativamente a tutti gli essere viventi, differenziando la sua ricerca da
ciò che era l'ambito della bioacustica per il fatto di non concentrarsi sullo studio di singole
specie animali ma piuttosto sul paesaggio sonoro nel suo complesso e sulle sue interazioni.
2.1 Elementi del Paesaggio Sonoro
Krause ha quindi ridefinito gli elementi del paesaggio sonoro in termini di origine del suono,
ricavando tre macro categorie descritte di seguito:
–
Geofonia: dai prefissi greci geo che significa “relativo alla terra” e phon che significa
suono, definisce i suoni naturali con origini non biologiche, quindi i suoni prodotti dai
quattro elementi vento, acqua, terra e fuoco e tutte le loro combinazioni. Temporali,
terremoti, eruzioni vulcaniche, la neve che cade, sono tutti suoni ascrivibili a questa
categoria. Sono i suoni con cui ogni organismo vivente deve avere a che fare quando
cerca lo spazio sonoro in cui collocarsi.
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–
Biofonia: dai prefissi greci bio
che significa vita e phon che significa suono, si
riferisce al suono degli organismi viventi, essere umano escluso. Lo studio della
biofonia si focalizza sull'impatto di tutti i suoni biologici di un determinato ambiente
naturale e sulle relazioni reciproche, a differenza della biocaustica che tende invece a
focalizzarsi sullo studio della comunicazione sonora di una determinata specie.
–
Antropofonia: dai prefissi greci anthro che significa umano e phon che significa
suono. In questa categoria troviamo tutti i suoni generati dall'essere umano, sia quelli
correlati quali musica e linguaggi che quelli incoerenti come i suoni generati da
macchine elettromeccaniche.
Notiamo come questa categorizzazione sia compatibile con quella originariamente proposta
da Schafer, soltanto analizza il paesaggio sonora da un punto di vista differente. Soprattutto,
Krause divide gli elementi in termini scientifici, mentre quanto descritto da Schafer prevede
un aspetto di analisi, di conoscenza profonda del contesto in esame; e soprattutto introduce un
aspetto di soggettività, dato che la differenza tra Segnale ed Impronta sonora può risultare
ambigua o addirittura cambiare nel tempo. Prendiamo ad esempio i rintocchi di una campana,
Impronta per una comunità religiosa, segnale per un ascoltatore non religioso o con un credo
differente.
2.2 Niche Hipothesys
Gli studi di Krause si sono concentrati sull'analisi dei paesaggi sonori naturali. Riporto le sue
parole relativamente ad una registrazione effettuata in Kenya nei primi anni 80: “Una volta
tornato a San Francisco, una delle prime cose che ho fatto è stata trasformare le registrazioni
in spettrogrammi (rappresentazioni grafiche del suono che mostrano tempo e frequenza, dove
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il tempo è rappresentato sull'asse X da sinistra a destra e la frequenza sull'asse Y, dal basso
verso l'alto). Quando ho riascoltato le registrazioni guardando il relativo spettrogramma ho
notato che le immagini rappresentavano forme distinte simili alle moderne rappresentazioni di
notazione musicale: i pipistrelli vocalizzavano nella parte più acuta di frequenze, gli insetti
nella parte media, le iene un po' più in basso mentre gli elefanti la parte più grave […].
Prima di stampare questi spettrogrammi consideravo i suoni naturali come qualcosa di caotico
e casuale. La stessa analisi dei suoni emessi dagli animali effettuata dai biologi si occupava di
studiare le voci isolate fuori dal loro contesto. Ma dopo il Kenya, proseguendo con l'ananlisi
degli spettrogrammi delle mie registrazioni (anche grazie allo sviluppo di nuovi software con
cui lavorare), i pattern che suggerivano strutture musicali nei paesaggi sonori naturali sono
diventati troppo evidenti per essere ignorati.”
La teoria di Krause, detta Niche Hypothesis, sostiene quindi che “i segnali acustici degli
animali vengono modificati a seconda dell'ambiente in cui sono inseriti con l'obiettivo di
massimizzare la loro propagazione all'interno dell'habitat”, minimizzando di conseguenza
eventuali sovrapposizioni di frequenze. Ovviamente questo meccanismo implica l'avere a che
fare anche con i suoni geofonici, e questo giustifica ad esempio il comportamento di alcune
specie di rane che hanno sviluppato un linguaggio di comunicazione che occupa le frequenze
ultrasoniche, presumibilmente per diventare udibili in contesti dove lo scorrere dell'acqua
produce un suono costante a frequenze medio-basse.
E' opportuno sottolineare come già Schafer negli anni '70 aveva intuito questa situazione,
quando trascrivendo le registrazioni di ambienti naturali aveva notato che i suoni si
alternavano in cicli ripetitivi, concludendo che questo comportamento fosse una caratteristica
dei paesaggi sonori naturali; questa ciclicità può essere spiegata con la tendenza degli esseri
viventi ad emettere suoni minimizzando la sovrapposizione di frequenze, una sorta di
alternarsi organizzato per fare in modo che tutto sia udibile.
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Questa scoperta di Krause ci può quindi aiutare a dare una definizione più puntuale di cosa
significhi comporre un paesaggio sonoro: il modello a cui fare riferimento è il paesaggio
sonoro naturale, e svelare le sue leggi un compito del compositore.
2.3 Stato di salute di un Paesaggio Sonoro
Krause ha proseguito la sua ricerca, portando alla luce il fatto che non solo l'inquinamento
acustico attuale provoca un mascheramento del paesaggio sonoro, ma ne causa una vera e
propria alterazione. Un ambiente acustico malsano non è fecondo per gli esseri viventi, poiché
vengono a mancare le possibilità di comunicazione, o più in generale vengono a rompersi
equilibri fondamentali per un biosistema.
Riporto ora l'esempio di un anfibio del Nord America: la vocalizzazione del rospo maschio in
questione svolge due funzioni principali:
–
attrarre una potenziale compagna,
–
proteggere il territorio;
Ascoltando una comunità di questi animali nel loro habitat naturale emerge una caratteristica
particolare: il gracchiare dei singoli individui avviene in modalità sincrona, in modo che i
predatori che fanno uso dell'udito per individuare le prede (volpe, coyote e gufo per citare i
principali) abbiano difficoltà ad individuare il singolo, la cui anonimità e protezione rimane
garantita dal canto collettivo. Anonimità che convive con il fatto che all'interno della
comunità stessa i singoli rospi riescono ad udire la propria voce in maniera indistinta
(rendendo altrimenti impossibile anche l'individuazione di potenziali partner..).
Ora veniamo al dunque: quando un aereo militare sorvola la zona può creare un rumore a 110
dBA, più che sufficiente a mascherare la vocalizzazione dei rospi. Questa mancanza di
contatto sonoro tra gli individui provoca quindi la perdita del sincronismo, che ha bisogno di
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un tempo poco minore di un'ora per essere completamente ristabilito. Tempo che rimane a
disposizione dei predatori per individuare e catturare la preda.
Un'altro aspetto emerso dalle ricerche di Krause è relativo all'ascolto del paesaggio sonoro di
un luogo come termometro della sua condizione di salute. Ciò che evidenzia Krause è che
l'aspetto incontaminato di un luogo non necessariamente si riflette in una condizione di salute
del luogo stesso, ma questa condizione può essere evidenziata da un'attenta analisi acustica.
Riporto di seguito a questo proposito gli spettrogrammi effettuati da Krause a distanza di un
anno nello stesso luogo, prima e dopo un intervento di deforestazione controllata che aveva
lasciato il luogo intatto all'apparenza della vista.
Krause ha registrato il paesaggio sonoro dell'ambiente prima e dopo l'intervento, nella stessa
stagione ed in condizioni climatiche simili. L'ascolto, e di conseguenza gli spettrogrammi che
vediamo di seguito, hanno evidenziato che l'habitat del luogo ha subito un importante disagio
nonostante apparentemente il paesaggio sia rimasto il medesimo. Ovviamente la ragione è che
in questo caso l'intervento di deforestazione è avvenuto in una zona poco accessibile e
lontana dagli occhi della gente.
Figura: Spettrogramma prima della deforestazione controllata.
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Figura: Spettrogramma dopo la deforestazione controllata.
Ricordiamo che uno spettrogramma è una rappresentazione grafica del suono che mostra
tempo e frequenza, dove il tempo è rappresentato sull'asse X e la frequenza sull'asse Y. Il
ruolo di uno spettrogramma è di rappresentare graficamente la distribuzione delle frequenze
di un suono nel tempo con le relative intensità. Le intensità sono rappresentate dai colori, in
particolare nei grafici qui rappresentati abbiamo la seguente legenda:
–
viola: nessun suono;
–
rosso: suono di media intensità;
–
giallo: suono di alta intensità.
Questi spettrogrammi si riferiscono ad un arco di tempo di circa 15 secondi. Possiamo
facilmente notare come nel primo grafico ci sia una forte attività sonora quasi costante tra i
2000 e gli 8000 Hz, mentre nel secondo grafico troviamo un intensità forte in una fascia di
frequenze più basse e solamente per un frammento di tempo, suono che si riferisce al battere
di un picchio contro un albero. E' evidente come l'habitat del luogo abbia subito un forte
impoverimento, ma soprattutto notiamo come questo impoverimento acustico non sia stato
preso in considerazione dagli obiettivi di conservazione del progetto.
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Capitolo 3: CORRENTI MUSICALI
Ci siamo finora occupati dei paesaggi sonori intesi come ambienti reali. Cerchiamo ora di
definire invece i paesaggi sonori composti, intesi come genere musicale e comunemente
chiamati Soundscape.
Inizieri citando le parole di Hildegard Westerkamp in un articolo del 2002 a proposito del
termine Soundscape: “Il termine Soundscape non esisteva quando ho iniziato a comporre
utilizzando registrazioni ambientali. […] Ora il termine Soundscape esiste, ma nessuno
sembra veramente conoscere il suo significato, me inclusa. […] Due sono le esperienze
recenti che mi hanno portato a questa riflessione.
La prima quando sono stata invitata ad essere in una giuria per un concorso di composizioni
Soundscape. La giuria si trovò di fronte una tale varietà di composizioni che evidenziarono la
profonda confusione circa il significato di Soundscape. […] I compositori partecipanti
sembravano avere l'impressione che fosse l'utilizzo di registrazioni ambientali a determinare
l'essere Soundscape della loro composizione. […]
La seconda esperienza si riferisce a quando un compositore mio collega mi disse con
convinzione che il Soundscape è un sottoinsieme della musica concreta. Questo mi allarmò
come mi allarmò la precedente esperienza. Una tale definizione infatti slega il termine dalla
questione fondamentale che lo ha portato a nascere: l'ascolto dell'ambiente e l'impegno attivo
nel suo miglioramento.”
Vediamo quindi che il termine Soundscape, stando a quanto detto da Westerkamp, non è un
vero e proprio genere musicale, ma per assurdo la stessa composizione potrebbe essere
considerata Soundscape o meno in base all'impegno attivo del compositore nel miglioramento
dell'ambiente acustico.
Aggiungo un'altra differenza fondamentale tra musica concreta e paesaggio sonoro, e per fare
ciò introduco il termine “schizofonia”, coniato sempre da Schafer, e che significa “la frattura
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esistente tra un suono originale e la sua trasmissione o riproduzione elettroacustica” (Schafer,
The New Soundscape, 1969). Con questo termine Schafer vuole quindi evidenziare che i
suoni originali sono strettamente legati al meccanismo che li produce (il suono è infatti
descrivibile come la sensazione data dalla vibrazione di un corpo in oscillazione); i suoni
elettroacustici sono invece delle copie che possono essere riprodotte in momenti e luoghi
diversi dal contesto originale, creando potenziali situazioni di alienazione sensoriale. Al
contrario, nella musica concreta la riproduzione di suoni al di fuori del loro contesto originale
è ciò che determina la percezione dell'oggetto sonoro come componente musicale.
Tirando le somme, quindi, ciò che per la musica concreta è la base concettuale, per l'ecologia
acustica è sintomo di alienazione sensoriale. Come conciliare quindi questa situazione con le
composizioni di Soundscape?
Schafer sostiene che per mantenere le registrazioni in connessione con il contesto originale
sono necessari una serie di descrizioni non sonore, come data, momento della giornata e luogo
della registrazione, fotografie, mappe sonore.
Truax un paio di decadi più tardi rimane sul vago dicendo che i criteri per una composizione
soundscape buona sono “eloquenza, stimolo all'ascolto attivo, piacere sonoro”. Escludendo
“eloquenza” e “piacere sonoro”, che hanno intrinsecamente dei caratteri di soggettività,
rimane lo “stimolo all'ascolto attivo” che costituisce quindi per Truax la caratteristica
fondamentale di una composizione Soudscape.
In questo senso, l'accanirsi di Schafer nei confronti dell'alienazione a cui porta l'ascolto di
suoni al di fuori del proprio contesto diventa forse eccessivo in ottica compositiva, nel senso
che forse è proprio l'assenza del contesto che è in grado di risvegliare l'attenzione
dell'ascoltatore nei confronti del paesaggio sonoro, come sostenuto da Pierre Schaffer.
Con il tempo all'interno di queste regole, pur vaghe che siano, si sono comunque affermati
alcuni approcci compositivi, che elenco e descrivo di seguito.
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3.1 Documentario
Il documentario è l'approccio purista, che consiste essenzialmente nel proporre la
registrazione pura ed incontaminata. Ovviamente sono consentiti interventi di equalizzazione
e pulizia del materiale sonoro, a condizione che la registrazione non venga snaturata. Questo
tipo di paesaggio sonoro promuove quindi i suoni del pianeta nella maniera in cui avvengono.
Nonostante ciò queste composizione non sono da considerarsi come banali fotografie sonore,
ma piuttosto come ricerca delle più intense immagini sonore fissate su supporto grazie ad
un'attento piazzamento dei microfoni. La combinazione delle registrazioni tramite cross-fade
riveste l'altro aspetto creativo di questo tipo di composizione. Ricapitolando, quindi, il ruolo
del compositore consiste in:
–
scelta dello spazio acustico da registrare
–
piazzamento dei microfoni
–
sequenza di assemblaggio delle registrazioni
Questo è l'approccio seguito da Bernie Krause, purista dei paesaggi sonori che cerca la
bellezza e l'equilibrio in natura per poi riproporlo tale quale.
3.2 Ricostruzione
In questa categoria troviamo i paesaggi sonori composti assemblando diverse registrazioni per
creare un paesaggio sonoro nuovo. In questo modo possiamo ritrovarci in due situazioni
tipiche:
–
Paesaggio sonoro verosimile: si tratta di combinare insieme materiale sonoro coerente
con quanto può avvenire nella realtà; ad esempio, combinando insieme il suono di
onde del mare e di bambini che giocano ottengo un paesaggio sonoro verosimile ma
che di fatto è costruito in fase di montaggio. In questo modo può risultare difficile
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distinguere questo tipo di composizioni da quelle in stile documentario
–
Paesaggio sonoro non realistico: in questo caso le registrazioni che vengono
combinate possono avere origini più disparate. Immaginiamo di combinare il suono
del vento tra le fronde di alberi ripreso in una foresta con una registrazione effettuata
all'interno di un centro commerciale; il risultato, ammesso pure che sia gradevole
all'ascolto, porterebbe a creare una situazione surreale.
Esempi:
–
John Cage – Roaratorio (1979): pur non essendo una composizione annoverata tra il
genere soundscape, Cage, crea di fatto un paesaggio sonoro (inverosimile) con
l'utilizzo di registrazioni ambientali di diversa origine montate insieme. Troviamo
anche una componente musicale importante nel brano, nonostante ciò preferisco
inserire il brano in questa categoria poiché l'intenzione della musica è puramente
ambientale.
–
Eric La Casa – S'ombre (1999): il brano ripropone varie registrazioni ambientali
sovrapposte in maniera da mantenere la percezione di un paesaggio sonoro verosimile.
3.3 Trasformazione
Il materiale sonoro registrato viene qui utilizzato come base per trasformazioni e
manipolazioni elettroniche. Tipicamente questo comprende:
–
rallentamenti o velocizzazioni dei campioni,
–
fiiltraggi o equalizzazioni che vanno a snaturare la registrazione originale.
–
Tecniche di looping;
–
sintesi granulare
–
passaggi repentini da un campione ad un altro (tipicamente utilizzato nella creazione
18
di paesaggi sonori urbani)
Esempi:
–
Hildegard Westerkamp – At the edge of Wilderness (2000): si tratta di un'installazione
dove la Westerkamp compone la colonna sonora facendo utilizzo esclusivo di
registrazioni che vengono montate e trattate con tecniche di time stretching e
filtraggio.
–
Islands di Barry Truax (2000), dove le registrazioni di ambienti sono trattate con
tecniche di sintesi granulare.
3.4 Integrazione
Alcuni compositori integrano le registrazioni di ambienti con quelle di strumenti musicali.
Possiamo suddividere questo tipo di composizione in due categorie:
–
Strumenti musicali suonati direttamente nel paesaggio sonoro di interesse
–
Strumenti musicali e paesaggi sonori registrati in maniera indipendente e montati in un
momento successivo
Diciamo che questo tipo di approccio è il più pericoloso, nel senso che l'utilizzo di uno
strumento musicale porta facilmente fuori dal terreno del soundscape.
Come esempio di composizione soundscape con strumenti musicale si possono citare:
–
Truax si ispira al commento e compone .Aerial (1979) di Barry Truax, per corno e
sintesi, che oltretutto non contiene nessun materiale sonoro registrato ma è di fatto
definibile come soundscape. Il corno, infatti, nella composizione non è inteso come
voce solista, ma piuttosto come parte dell'ambiente generato dai suoni di sintesi. Truax
ha composto il pezzo ispirato ad un'affermazione di Cage che dice ““In landscape
there are no inherent contraddictions”.
19
–
David Monacchi – Integrated ecosystems: in questa composizione Monacchi concilia
la Niche Hipotesys di Krause, proponendo delle registrazioni ambientali pure ed
effettuando degli interventi di sintesi mirati negli spazi di frequenza lasciati liberi dal
paesaggio sonoro.
20
Capitolo 4: ARTE E SCIENZA
Il WSP ha creato il concetto di Paesaggio Sonoro con l'intenzione di portare avanti un
progetto di ricerca con un forte impronta ambientalista: ha mischiato arte e scienza. Credo
quindi che sia innanzitutto necessaria una separazione tra il concetto ecologico di Paesaggio
Sonoro e la composizione di un Paesaggio Sonoro, poiché sono due cose profondamente
diverse:
–
Ecologia del paesaggio sonoro: scienza
–
Composizione di un paesaggio sonoro: arte
4.1 Ecologia del Paesaggio Sonoro
Il Paesaggio Sonoro in cui siamo immersi è l'oggetto di studio della disciplina chiamata
Ecologia Acustica; tale disciplina può educare a riconoscere gli elementi che compongono un
paesaggio sonoro. La definizione del termine Ecologia è però spesso utilizzata
impropriamente per definire un ambito che ha come obiettivo la conservazione della natura,
quando invece è una scienza che studia gli ecosistemi. L'ecologia deve quindi prescindere da
intenzioni ambientaliste. Un ambito scientifico ha così il dovere di allontanarsi da concetti
soggettivi come l'estetica (e qui si potrebbe iniziare un lungo discorso sul fatto se l'estetica sia
o meno un concetto oggettivo, ma non è questo il contesto).
Vorrei quindi, dal mio piccolo, muovere una critica al movimento del WSP, che ha trattato
l'argomento con una matrice fortemente ambientalista. Sottolineo che mi trovo d'accordo con
la matrice ambientalista, pur romantica ed utopica che sia, ma la trovo al contempo
applicabile al ramo dell'arte, non della scienza.
La soggettività delle dichiarazioni di Schafer è testimoniata dalle sue stesse parole, quando
21
nella parte introduttiva del libro “Il paesaggio sonoro” dice: “Per un certo periodo di tempo ho
ritenuto che l'ambiente acustico di una società potesse essere letto come un indicatore delle
condizioni sociali che l'avevano prodotto, e potesse quindi fornirci delle informazioni sulle
linee di sviluppo e di evoluzione di quella stessa società. Nel presente libro farò spesso
allusione a questo rapporto. Nonostante faccia forse parte del mio carattere sostenere queste
tesi con una certa enfasi e una certa irruenza, mi auguro che il lettore continui a ritenere utile
questo metodo di analisi, anche quando taluni parallelismi da me proposti potessero risultare
fastidiosi o discutibili. Ogni affermazione, del resto, è aperta a successive verifiche e ricerche,
che potranno contribuire a modificarla.”
Abbiamo ad esempio, 50 anni prima di Schafer, il futurista Luigi Russolo che dichiarara:
“il suono puro (inteso come quello della natura incontaminata), nella sua esiguità e nella sua
monotonia, non solleva più emozioni”, riferendosi all'invenzione delle macchine nel XIX
secolo con cui era nato il rumore. O ancora: “all'inizio l'arte della musica ricercava purezza,
limpidezza e dolcezza del suono. Successivamente i diversi suoni sono stati amalgamati,
assicurando che potevano, tuttavia, accarezzare l'orecchio con dolci armonie. Oggi la musica,
in quanto diventa sempre più complicata, si sforza nell'amalgamare i suoni più dissonanti,
strani e duri. In questo modo si arriva sempre di più al suono-rumore”.
Riporto ora le parole di Murray Schafer a proposito di quanto scritto da Luigi Russolo: “Gli
esperimenti di Russolo rappresentano un punto nodale nella storia della percezione acustica,
un capovolgimento dei ruoli tra figura e sfondo, con l'immondizia al posto della bellezza”.
Schafer ci fornisce un suo parere, una sua visione relativa all'evoluzione del mondo dei suoni
che con l'oggettività ha poco a che fare.
4.2 Composizione del Paesaggio Sonoro
L'arte è l'espressione estetica dell'interiorità umana, che rispecchia la visione dell'artista in
22
ambito sociale, morale, culturale e etico nel suo periodo storico. L'arte quindi riflette, nel bene
e nel male, il contesto sociale in cui nasce.
Nell'arte ognuno è libero e forse ha il dovere di offrire il suo punto di vista, utilizzando enfasi
e irruenza se lo ritiene necessario. Questo è ciò che ha fatto Schafer, proponendo la sua
visione estetica del mondo dal punto di vista sonoro.
A questo proposito nel libro “Gioco delle perle di vetro” Herman Hesse dice, rifacendosi ad
un'antica fonte cinese: “la musica di un'epoca ordinata è calma e serena e il governo è
equilibrato. La musica di un'epoca irrequieta è agitata e truce e il governo è stolto. La musica
di uno stato decadente è sentimentale e triste e il governo è in pericolo”.
Questo frammento è citato nel libro di Schafer, che dichiara come per un certo periodo di
tempo abbia ritenuto che l'ambiente acustico di una società potesse essere letto come un
indicatore delle condizioni sociali che l'avevano prodotto.
Io lo cito a mia volta mettendo in luce il fatto che al giorno d'oggi l'ambiente acustico può
essere registrato ed utilizzato per comporre musica, quindi di fatto diviene la materia prima
con cui l'artista compone. Sta all'artista scegliere il paesaggio sonoro da registrare, sta
all'artista la possibilità di mettere in evidenza “bellezza” in via di estinzione (come ha fatto
Murray Schafer) piuttosto che “bellezza” in evoluzione (come fece Luigi Russolo).
Tirando le somme, a prescindere dal gusto personale personalmente ritengo che una
composizione di un Paesaggio Sonoro debba avere una caratteristica essenziale, ovvero:
–
applicare il concetto di Niche Hypothesis definito da Krause: creare cioè una
composizione dove ogni suono sia udibile distintamente, e dove la sovrapposizione di
frequenze sia evitata a favore della loro alternanza.
Ovviamente questa tecnica può essere applicata anche a composizioni musicali strumentali;
penso ad esempio, per citarne uno, a “La mèr” di Debussy, famoso più per la sua atmosfera
che per le sue melodie. Eviterei di considerare però tali composizioni come Paesaggi Sonori, a
23
causa della loro forte componente tonale che, escludendo l'immaginario, li allontana dalla
somiglianza con un qualsiasi paesaggio sonoro reale. Per definire una composizione come
Paesaggio Sonoro introdurrei quindi un'altra caratteristica:
–
utilizzare suoni registrati dal mondo reale senza snaturarli al punto di renderli non più
riconoscibili, oppure utilizzare suoni sintetici ma che abbiano però un riferimento
esplicito a suoni reali (esempio: posso simulare il suono del vento utilizzando white
noise modulato da un filtro).
24
PARTE PRATICA: la composizione di un Paesaggio
Sonoro
In questa seconda parte dello scritto mi occupo di descrivere come ho messo in pratica il
concetto di Paesaggio Sonoro effettuando una composizione. Per descrivere la modalità di
lavoro ho suddiviso il mio flusso di lavoro in quattro parti secondo lo schema seguente:
Analisi
Registrazione
Spazializzazione
Elaborazione del suono
Montaggio
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Capitolo 5: RACCOLTA MATERIALE
Con “raccolta materiale” intendo tutte le attività comprese tra la scelta del Paesaggio Sonoro
da registrare e la registrazione dello stesso. Nel mio caso ho iniziato con una fase di
esplorazione dei luoghi, per trovare quello che andasse incontro alle mie esigenze. Nei
capitoli che seguono spigherò quindi che tipo di ambiente ho scelto e come ho deciso di
integrare questo ambiente sonoro con un suono estraneo, quello del sassofono, strumento che
non è stato inserito successivamente nella composizione ma che ha partecipato attivamente
nel paesaggio sonoro in cui è stato inserito e di conseguenza registrato.
5.1 Analisi del Paesaggio Sonoro
Un Paesaggio Sonoro è determinato dalle sorgenti sonore che lo compongono; con sorgenti
sonore intendo i diversi attori che partecipano al Paesaggio Sonoro. Ho preso quindi in esame
separatamente le componenti sonore che sono comparse nel mio Paesaggio Sonoro:
–
lo spazio: che comprende tutti i suoni dell'ambiente naturale in cui ho effettuato la
registrazione, cioè il Paesaggio Sonoro puro;
–
il sassofono: l'elemento estraneo che si è dovuto inserire ed integrare nello Spazio
5.1.1 Lo Spazio
Per scegliere lo spazio da suonare era per me importante trovare un luogo naturale con due
caratteristiche fondamentali:
–
Rumore di mezzi elettromeccanici assente o nullo;
–
Riverberazione dell'ambiente con un tempo di decadimento lungo
Queste due caratteristiche non sono ovviamente obbligatorie per registrare un Paesaggio
Sonoro, ma piuttosto vincoli che mi ero imposto per andare incontro al mio gusto. Sentiremo
poi come, ad esempio, i mezzi elettromeccanici abbiano invece contribuito in maniera
26
positiva alla creazione del paesaggio sonoro.
Considerato che per minimizzare i rumori elettromeccanici bisogna allontanarsi dalle città,
che per avere un riverbero presente servono pareti riflettenti e che abito a Lecco, il primo
pensiero sono ovviamente state le montagne. In particolare ho scelto di esplorare i canali della
Grigna, montagna famosa per le sue formazioni rocciose. La ricerca si è svolta in maniera
empirica esplorando luoghi, sia ascoltandoli nel silenzio che eccitandoli con dei battiti di mani
per valutarne la risposta acustica.
Durante l'esplorazione, è emersa inoltre la necessità di avere il luogo che fosse non troppo
lontano da raggiungere a piedi: il trasporto dell'attrezzatura, il coinvolgimento di persone non
pratiche di montagna e la possibilità di sfruttare nel migliore dei modi il tempo a disposizione
sono infatti aspetti da tenere presenti.
Tenuto conto di queste considerazioni, dopo un paio di giorni di sopraluoghi due sono stati i
luoghi scelti, indicati in rosso con 1 e 2 nella foto aerea che segue, che rappresenta una veduta
del monte in questione.
Figura: veduta aerea Grigna
–
CANALE (1): Questo dei due è stato il luogo più suggestivo. Il canale è infatti un
luogo esclusivamente roccioso, stretto, lungo e con le pareti molto alte. Una
27
conformazione di questo tipo favorisce una riverberazione molto presente con tempi di
decadimento lunghi; nello stesso tempo garantisce un buon livello di isolamento
acustico dall'ambiente esterno.
–
PRATO (2): Questo luogo rispetto al precedente è stato meno suggestivo e meno
“protetto” dai rumori esterni, ma di sicuro più accomodante; ci siamo infatti
posizionati in mezzo ad un prato di fronte ad alcune guglie rocciose e ad un piccolo
canale. Per quanto riguarda l'acustica era presente, al posto del riverbero come della
situazione precedente, un eco multiplo dovuto alla riflessione del suono sulle pareti
delle guglie rocciose.
5.1.2 Il Sassofono
Inizialmente l'idea compositiva era di utilizzare esclusivamente registrazioni di un paesaggio
sonoro naturale ed incontaminato. Le teorie di Krause mi avevano infatti motivato a cercare
paesaggi sonori ricchi – e quindi in salute – nel mio territorio. Ben presto però mi sono reso
conto che non è così facile, soprattutto in un ambito montuoso dove, per natura, spesso è il
silenzio ad accompagnare l'ascoltatore, se si escludono sporadici interventi di biofonia (uccelli
di solito) e geofonia (rocce che cadono, per fortuna meno frequenti).
Da qui è emersa la necessità di trovare una sorgente sonora estranea da inserire nel paesaggio
sonoro, che fosse in grado di integrarsi con discrezione ed allo stesso tempo capace di
enfatizzarne le caratteristiche acustiche. In sostanza mi sarebbe servito uno strumento con le
seguenti specifiche:
–
acustico: il luogo remoto implicava assenza di corrente elettrica;
–
facilmente trasportabile: per motivi pratici;
–
potente: per permettere all'ambiente di risuonare se opportunamente sollecitato;
28
Dopo averci pensato un po' e soprattutto dopo aver sondato le eventuali persone che sarebbero
state disponibili a partecipare al progetto, ho scelto come strumento il sassofono; o meglio, ho
scelto Frans come sassofonista.
Figura: Frans
Il sassofono è uno strumento relativamente recente, inventato dal belga Adolphe Sax nel 1840
(coincidenza, anche il sassofonista che ha collaborato è di origine Belga). E' uno strumento
acustico leggero da trasportare. Inoltre presenta un attacco molto ripido del suono,
caratteristica che ben si presta alla sollecitazione di un ambiente riverberante.
Frans è un sassofonista jazz diplomato al conservatorio di Bruxelles, che coltiva da diverso
tempo un approccio allo strumento “rumoristico”, inteso come una maniera di suonarlo
capace di metterne in risalto tutte le potenzialità sonore, comprese quelle meno musicali – nel
senso classico del termine.
29
E' importante sottolineare come il coinvolgimento di un musicista non abbia comportato la
scrittura di una nuova partitura o l'esecuzione di un pezzo precedentemente preparato. Il
sassofonista era quindi libero di improvvisare alternando ed integrando i suoi suoni con quelli
dell'ambiente. Di fatto poi, due sono le componenti con cui Frans si è dovuto relazionare
durante la sua performance:
–
La risposta dell'ambiente al suo suono: i due ambienti scelti erano caratterizzati uno da
un tempo di riverbero molto lungo, mentre l'altro da echi multipli. In questo modo il
sassofonista ha potuto instaurare un dialogo con le riflessioni sonore create da lui
stesso.
–
L'interazione con gli altri attori del paesaggio: nel silenzio dei luoghi in cui ha
suonato, Frans ha dovuto comunque relazionarsi con gli sporadici interventi di voci in
lontananza, campane di chiese, motori; a proposito di motori, uno in particolare si è
rivelato molto dominante quando presente: l'aereo. Come sentiremo la scelta del
sassofonista in sua presenza è stata quella di accondiscenderlo.
Come già detto nella parte teorica di questo scritto, l'utilizzo di uno strumento musicale porta
facilmente a percepire un lavoro non più come paesaggio sonoro ma piuttosto come brano per
strumento, pur registrato che sia in un contesto naturale. Per minimizzare questo rischio Frans
ha scelto di suonare lo strumento non in chiave melodica ma piuttosto “rumoristica”, con gli
ovvi limiti dovuti al fatto che il sassofono è uno strumento melodico.
Un'altro aspetto importante è stato quello di dare carta bianca allo strumentista. Sebbene possa
sembrare una scelta di comodo ciò comporta, in fase di post-produzione, l'avere a che fare con
materiale su cui non si ha avuto controllo, e ciò è di fatto una caratteristica della registrazione
di un paesaggio sonoro naturale, ovvero il voler avere poco o per nulla controllo sull'insieme
degli eventi acustici.
30
5.2 La registrazione
Una volta definiti gli attori ho dovuto pensare alle modalità di registrazione. Questo aspetto
nel mio caso è stato fortemente legato alla modalità di diffusione, come vedremo poi.
La scelta di come registrare lo spazio è forse la più critica in un contesto all'aperto. Se si vuole
infatti mantenere la fedeltà dell'acustica del luogo, è fondamentale che la registrazione sia di
per se in grado di rappresentarla. In particolare tre erano le componenti coinvolte che volevo
fossero almeno parzialmente controllabili in fase di post produzione:
–
strumento: suono dry;
–
strumento: suono wet (ovvero risposta dell'ambiente alla sollecitazione dello
strumento, cioè echi e riverbero);
–
paesaggio sonoro;
E' necessario a questo punto fare un'analisi dei suoni presenti in un paesaggio sonoro,
dividendoli in due categorie in base alla modalità con cui si diffondono:
–
sorgenti localizzate: pensiamo ad esempio ai versi di un animale, alla voce di una
persona, ad un passo in mezzo alle foglie secche; oppure ancora un aereo che passa.
Tutti questi suoni hanno un origine che potremmo assumere puntiforme, o comunque
localizzata in un punto dello spazio. Suoni di questo tipo possono essere posizionati a
piacere nello spazio sonoro che si vuole creare.
–
sorgenti diffuse: mi riferisco a suoni quali il vento, l'acqua di un ruscello. E in questa
categoria inserirei anche tutto ciò che è il suono dello spazio, ovvero riverberi ed echi
eventuali generati da sorgenti sonore anche puntiformi. Questo tipo di suoni non ha
una localizzazione esatta da cui si diffonde il suono, ma piuttosto un infinità di
sorgenti sonore quindi con densità tale da non poter essere considerate autonome.
Questo tipo di suoni per essere riprodotto fedelmente ha bisogno di molteplici
diffusori, idealmente di un numero infinito e dimensione infinitesima. Una coppia di
31
altoparlanti sono però di solito sufficienti a simularle, poiché il fronte sonoro che
viene percepito a parità di ampiezza in uscita dagli altoparlanti corrisponde a tutto lo
spazio compreso tra i due altoparlanti stessi.
Sebbene queste caratteristiche siano proprie di un suono in sé, in ottica compositiva diventano
caratteristiche della registrazione. Di norma, un suono su cui si vuole avere massima
possibilità di posizionamento nello spazio viene registrato con le seguenti accortezze:
–
microfono mono: un microfono mono, a differenza di uno stereo, non contiene
informazioni di movimento date dalle differenze di ampiezza tra le due capsule.
–
registrazione pura: con registrazione pura intendo che la traccia deve contenere
solamente l'informazione di interesse non inquinata da altri suoni. Questo comporta
spesso l'utilizzo di microfoni direzionali.
Viceversa, un suono diffuso è più efficace se registrato con un microfono stereo, che è in
grado di registrare fronti sonori con maggior efficacia. Il microfono stereo è infatti in grado di
catturare:
–
dinamiche di movimento,
–
prospettiva.
5.2.1 Scelta microfoni
Fatte le considerazioni precedenti, la scelta è stata quella di utilizzare un microfono
monofonico molto vicino allo strumento per il suono dry, più due coppie di microfoni posti a
diverse distanze dallo strumento in modo da prendere:
–
con quello più vicino una maggiore componente di strumento,
–
con quello più lontano una componente più presente di paesaggio sonoro.
In particolare ho utilizzato i seguenti microfoni:
–
Rode NT2000 (mono): è un microfono monofonico a diaframma largo, con pattern
32
polare variabile. In particolare io ho utilizzato il pattern polare cardioide, perché mi
interessava che il microfono registrasse il suono diretto del sassofono minimizzando i
suoni dell'ambiente.
–
Audio Technica BP4025 (stereo_1): è un microfono stereo a diaframma largo, con le
due capsule montate in configurazione X/Y (quindi coincidenti) con un'inclinazione di
120°. E' quindi in grado di riprendere, nonostante le capsule coincidenti, uno spazio
sonoro abbastanza ampio.
–
Rode NT4 (stereo_2): è un microfono stereo a diaframma piccolo, con le capsule
montate in configurazione X/Y con un inclinazione di 90°. L'immagine stereo offerta
da questo microfono è quindi meno ampia rispetto al BP4025.
5.2.2 Posizionamento microfoni
Di seguito una foto che raffigura il canale con indicato dove sono stati posizionati i microfoni:
Immagine: il canale
–
MONO: è il microfono dedicato a registrare il suono diretto del sassofono. Nonostante
ciò il musicista era libero di muoversi in un raggio di 3 metri circa intorno a questo
33
microfono, in modo da poter cercare risposte acustiche diverse. Questo fattore ha
ovviamente penalizzato in qualche modo la registrazione di questo microfono
(cardiode, quindi con un raggio di azione definito), ma a favore di un vincolo più lasco
a carico dello strumentista. Un'ottima alternativa sarebbe stata avere un microfono a
clip posizionato sullo strumento, ma purtroppo non è stato possibile per motivi tecnici.
–
STEREO_1: Il primo dei due microfoni stereo è stato posizionato poco sopra il
sassofono, dietro una roccia per schermare il suono diretto dello strumento e orientato
verso l'alto (quindi in direzione opposta rispetto alla sorgente sonora). L'obiettivo era
infatti quello di avere minimizzato il suono diretto dello strumento a favore delle
riflessioni dovute alle pareti rocciose.
–
STEREO_2: Il secondo microfono stereo è stato posizionato con gli stessi criteri del
microfono STEREO_2 (dietro una roccia e orientato verso l'alto) ma circa 20 metri più
in su. L'intenzione è stata quella di fargli registrare un riverbero più lontano, quindi
con meno prime riflessioni e più densità.
Di seguito una foto che raffigura il canale con indicato dove sono stati posizionati i microfoni:
Immagine: il prato
34
–
MONO: Il microfono dedicato al sassofono è stato piazzato in un punto comodo del
prato, in modo che lo strumentista potesse mettersi in posizione frontale rispetto alle
pareti rocciose; anche qui, come nel caso precedente, lo strumentista è stato lasciato
libero di muoversi di qualche metro rispetto alla posizione del microfono.
–
STEREO_1: il microfono è stato piazzato cinque metri sopra il microfono dedicato
allo strumento, dietro una roccia grande abbastanza da evitare che il suono diretto
dello strumento andasse ad impattarlo. Anche in questo caso, come nel precedente , il
microfono è stato piazzato rivolto in direzione opposta rispetto alla sorgente sonora in
modo da minimizzare ulteriormente il suono diretto dello strumento e per fare in modo
di ricevere direttamente le riflessioni delle guglie rocciose.
–
STEREO_2: questo microfono è stato posizionato 25 metri circa più a destra del
microfono STEREO_2. La motivazione è stata empirica, nel senso che la posizione è
stata scelta esplorando con l'ascolto diverse posizione per poi scegliere quella che
appariva più interessante dal punto di vista sonoro. Durante questa ricerca è stato
interessante notare come spostandosi solo di pochi metri si avesse una percezione
sonora spesso molto diversa delle riflessioni sonore.
35
Capitolo 7: LA COMPOSIZIONE
Descrivo ora le scelte che ho fatto dal punto di vista compositivo. Queste scelte riguardano gli
aspetti di processamento del segnale e di spazializzazione. In realtà già la modalità di
registrazione può essere considerata parte della composizione, poiché il tipo e la quantità di
tracce audio a disposizione influenza le possibilità successive, e soprattutto il posizionamento
dei microfoni in fase di registrazione determina i livelli relativi che avranno i singoli suoni
nella fase di riascolto visto che solitamente in un paesaggio sonoro abbiamo i suoni che
concorrono a comporlo tutti registrati su una stessa traccia.
7.1 Spazializzazione
Prima di descrivere la mia scelta di come spazializzare la composizione descrivo lo stato
dell'arte dei metodi di spazializzazione:
–
Riproduzione binaurale
–
Riproduzione multicanale
RIPRODUZIONE BINAURALE
Questo tipo di riproduzione fa uso delle tecniche di HRTF (Head Related Transfer Function),
ovvero introduzione di variazioni di ampiezza, ritardi e spettrali tra due soli canali per
“ingannare” l'ascoltatore simulando spazi sonori tridimensionali. Un eventuale segnale
monofonico può quindi essere trattato con questa tecnica e posizionato nello spazio a piacere.
Nell'ambito del field recording questa tecnica può essere utilizzata non in fase
di post-
produzione (perderebbe infatti di senso in un contesto dove ho più sorgenti sonore
indipendenti in un unico campionamento), bensì in fase di registrazione utilizzando coppie di
microfoni binaurali. La tecnica prevede l'utilizzo di due microfoni posti su un sostegno in
direzione reciprocamente divergente, a circa 18 cm di distanza l'uno dall'altro, in modo da
36
simulare con i due microfoni il ruolo svolto dall'apparato uditivo dell'essere umano. Questo
metodo, pur simulando la posizione nello spazio delle orecchie umane, non consente una
registrazione binaurale vera e propria, in quanto non tiene conto dell'effetto fisico che la testa
dell'ascoltatore ha sulla propagazione del suono. In alternativa è quindi possibile posizionare i
microfoni direttamente nelle proprie orecchie, con risultati ancora più realistici ma con più
rischio di avere la propria “presenza sonora” all'interno della registrazione (respiro,
movimenti, ecc..).
Questo sistema risulta però efficace per un ascolto in cuffia, mentre risulta meno efficace in
ascolti con coppie di diffusori; in questo caso infatti la qualità della percezione spaziale del
suono risulta penalizzata dal fatto che l'informazione fornita da un altoparlante, per esempio il
sinistro, viene percepita anche dell'orecchio destro e viceversa.
RIPRODUZIONE MULTICANALE
Un sistema multicanale prevede un numero di altoparlanti maggiore o uguale a due, e a sua
volta si può suddividere in due categorie che si distinguono per la modalità con cui il suono
viene distribuito nei diffusori:
–
Stereofonia: è un sistema di diffusione, dove l'ascoltatore fruisce il suono da un
numero di altoparlanti maggiore o uguale a due e in cui la dimensione spaziale viene
fornita all'ascoltatore utilizzando differenze di fase e di ampiezza tra i diversi
diffusori. Con due altoparlanti ci troviamo di fronte alla modalità di ascolto che
ritroviamo ormai in tutti gli impianti audio domestici e nelle cuffie stesse, quindi con
due canali a disposizione che idealmente simulano l'ascolto dalle due orecchie
dell'apparto uditivo umano.
Aumentando i diffusori a disposizione abbiamo i sistemi multicanale, oggi sempre più
diffusi grazie agli impianti home teather come il surround, sistemi che si avvalgono di
37
molteplici diffusori per dare la sensazione all'ascoltatore di un immersione più
realistica nello spazio acustico.
–
Wave Field Synthesis: è attualmente la più avanzata tecnica di diffusione del suono
3D e si basa, per distribuire il suono tra i diffusori, sul principio di Huygens – Fresnel,
che sostiene che un fronte sonoro può essere considerato come una somma di onde
sferiche. L'informazione sonora viene quindi distribuita nei vari diffusori solo dopo
essere stata elaborata e scomposta nelle sue componenti sferiche.
Questo sistema offre la possibilità di localizzare le fonti sonore nella loro reale
posizione di provenienza e di sonorizzare uno spazio tridimensionale, e soprattutto lo
spazio acustico che viene creato prescinde dalla posizione dell'ascoltatore. Nella
stereofonia, infatti, la combinazione dei vari diffusori crea un’illusione psicoacustica
che fa percepire il suono come proveniente da un punto situato dietro una linea
immaginaria che congiunge gli altoparlanti. L’illusione funziona in una zona molto
ristretta, chiamata “sweet spot”: basta spostarsi anche solo di un metro da questa zona
e l’immagine sonora ne risulta alterata. Questo non avviene invece con i sistemi WFS,
che sono in grado di creare uno spazio diffuso ed uniforme.
Purtroppo però questa tecnica è attualmente molto costosa sia in termini di materiale
(servono decine di altoparlanti per avere una buona resa) che in termini
computazionali (serve molta potenza di calcolo per elaborare l'informazione).
Leggendo sulla carta le tecniche di spazializzazione a disposizione e dovendo scegliere in
funzione dei risultati, indubbiamente le tecniche WFS finirebbero al primo posto. Ci sono
però due motivi principali per cui ho scartato questa scelta:
–
Attrezzatura: questo tecnica di spazializzazione necessità di una tecnologia dedicata e
costosa per essere implementata.
–
Fruibilità: impianti di diffusione di questo tipo sono molto rari. Una composizione di
38
questo tipo andrebbe quindi a ridurre notevolmente le possibilità di ascolto di un brano
musicale che appartiene già di suo ad una corrente di nicchia.
Per quanto riguarda le tecniche HRTF invece, pur non richiedendo mezzi particolari per
essere utilizzate hanno lo svantaggio che si dimostrano efficaci prettamente con un ascolto in
cuffia.
La scelta quindi è ricaduta sulla riproduzione stereofonica; il passo successivo è stato
decidere quanti altoparlanti utilizzare, e per farlo mi sono chiesto innanzitutto quale fosse il
numero minimo di altoparlanti necessario per ricreare un orizzonte sonoro avvolgente. La
risposta è immediata: considerato che dati due altoparlanti siamo in grado di posizionare un
suono in modo che sia percepito dall'ascoltatore in qualsiasi punto compreso tra gli
altoparlanti stessi, ne consegue che avendo a disposizione quattro altoparlanti disposti a
quadrato intorno all'ascoltatore possiamo idealmente collocare suoni in uno spazio piano di
360 gradi. Conoscendo la distanza tra questi quattro diffusori e la posizione dell'ascoltatore,
ed avendo a disposizione i suoni di un paesaggio sonoro in tracce separate, si potrebbe con
buona approssimazione posizionare un suono in qualsiasi posizione e fornire così la
sensazione acustica di essere realmente immersi in questo paesaggio. Ovviamente quattro è il
numero minimo, aumentando la quantità si possono ottenere situazioni più realistiche o
comunque con un controllo della posizione del suono più efficace.
Viste le finalità della composizione non è stato però di mio interesse avere la possibilità di
distribuire il suono tra più di quattro altoparlanti. E soprattutto la quadrifonia in questo caso si
è prestata al tipo di microfonaggio realizzato, che è stato scelto proprio in funzione della
modalità di diffusione. Per chiarire cosa intendo, di seguito un disegno mostra come ho
distribuito le tracce dei microfono sui quattro altoparlanti.
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STEREO_2
MONO
STEREO_1
Le tracce sono distribuite in questo modo per tutta la durata del brano. L'intento è quello di
non fornire informazioni spaziali ulteriori rispetto a quelle registrate direttamente nel
Paesaggio Sonoro originale. La scelta si può sintetizzare nel modo seguente:
–
la registrazione del microfono stereo_2 (cioè quello con la maggior componente di
paesaggio sonoro) in posizione frontale, insieme al microfono mono per rinforzare la
voce dello strumento;
–
nella coppia di altoparlanti posteriori ho invece inserito il suono del microfono
stereo_1, che già di suo contiene una componente di sassofono importante, ben
bilanciata con il Paesaggio Sonoro circostante.
In questo modo ho cercato di mantenere una distribuzione del suono del sassofono distribuita
in maniera equilibrata in ogni diffusore, con il paesaggio sonoro a fare da contorno.
7.2 Elaborazione del suono
Sebbene diverse tecniche vengano utilizzate abitualmente dai compositori di paesaggi sonori,
in questo caso era mio obiettivo ricreare il paesaggio sonoro nella maniera più fedele
40
possibile. Gli interventi con cui ho agito sulle registrazioni sono stati quindi effettuati con lo
scopo di:
–
togliere il rumore di fondo dalle registrazioni: in particolare nella registrazione
effettuata con il microfono stereo_2, cioè quello più lontano dal suono dello
strumento, era presente una forte componente di rumore di fondo. Questo è dovuto al
fatto che per registrare sorgenti sonore a bassa intensità è necessario utilizzare
un'amplificazione del segnale elevata, che porta con se rumore di fondo. Per
eliminarlo ho effettuato un campionamento del rumore di fondo del preamplificatore
per poi sottrarlo dalla registrazione originale;
–
equalizzare: sebbene interventi di equalizzazione possano portare a snaturare una
registrazione, è vero anche che già il microfono in fase di registrazione applica
un'equalizzazione propria al segnale che registra. Gli interventi di equalizzazione nel
mio caso sono stati quindi volti a rendere più naturale l'ascolto oppure ad enfatizzare
alcune componenti del paesaggio sonoro che ritenevo più importanti.
7.3 Montaggio
Sistemati questi aspetti prettamente tecnici mi sono occupato della fase finale di montaggio,
che consiste nella ricomposizione del materiale secondo le proprie esigenze compositive. In
fase di montaggio due sono gli estremi tra i quali ci si può muovere:
–
Ripresa unica: consiste nell'utilizzo di un'unica ripresa audio, che quindi di fatto non è
montata ma scelta e riproposta nella sua interezza. Questa modalità è propria dello
stile documentario, poiché permette all'ascoltatore di immergersi nel paesaggio sonoro
originale.
–
Granulazione del suono: in questo caso le tracce vengono suddivise in frammenti
estremamente brevi (da 1 a 50 millisecondi), che vengono poi montati sia per
41
successione che per sovrapposizione per ottenere delle nuvole sonore. Questo
approccio snatura il suono in maniera radicale.
Nel mio caso non mi interessava ottenere artefatti con tecniche di granulazione, mentre dal
lato opposto una ripresa unica non l'ho ritenuta appropriata perché il paesaggio sonoro in
questione non aveva una densità e varietà tale di eventi acustici da permettergli di essere
proposto tale quale (N.B.: questa resta comunque una mia opinione personale). Ho deciso
quindi di selezionare alcune parti che ho ritenuto più interessanti e di assemblarle utilizzando
l'idea del morphing.
Il morphing consiste nel passaggio fluido e graduale da un frammento sonoro ad un altro. La
tecnica è spesso usata (e forse abusata) quando si tratta di combinare due frammenti audio
diversi. Nel mio caso ho voluto però utilizzare la tecnica in maniera più radicale e meno
evidente, sovrapponendo eventi sonori improvvisi e con ampiezza e inviluppo simili
utilizzando tempi di cross-fade molto brevi. Per fare un esempio che chiarisca, immaginiamo
un battito di mani prodotto in due ambienti diversi, e di combinare l'attacco del battito nel
primo ambiente con il decadimento del battito nel secondo ambiente; in questo modo il battito
stesso viene percepito come evento sonoro unico che nasce e muore in un istante ma in due
ambienti diversi. L'ascoltatore è in tal modo virtualmente immerso nello spazio acustico
originale, solo spostato nello spazio e nel tempo in maniera rapida ed inconsapevole.
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Appendice A: analisi del brano e considerazioni compositive
In questo paragrafo mi occupo di analizzare la composizione dal punto di vista morfologico e
del significato. Per fare ciò presento innanzitutto il brano in veste grafica, utilizzandone la
forma d'onda e lo spettrogramma visibili di seguito.
Parte 2
Parte 1
Parte 3
Spettrogramma
Forma d'onda
Osservando la figura, possiamo notare a livello visivo una suddivisione del brano in tre parti
principali, riconoscibili anche dal punto di vista sonoro e con caratteristiche morfologiche e
significati differenti:
–
Parte 1: questa parte consiste in un'unica fascia sonora il cui colore dominante è
determinato dal suono di due aerei di passaggio; il sassofono in questa situazione cerca
di integrarsi imitando la matrice sonora degli apparecchi, ovvero producendo suoni
43
lunghi e continui; osservando lo spettrogramma, questa parte risulta quella con
maggior contenuto armonico, poiché il suono degli aerei copre un ampio spettro
sonoro e maschera totalmente il paesaggio sonoro naturale.
–
Parte 2: è la parte dove la forma d'onda risulta più frastagliata, le cui creste
rappresentano gli interventi del sassofono, che infatti si trova ad interagire con un
paesaggio sonoro debole e soprattutto in assenza di suoni continui. I suoni che produce
lo strumento sono brevi e caratterizzati da un attacco ripido; in questo modo si
vogliono mettere in risalto le caratteristiche sonore del luogo, che viene eccitato in
maniera improvvisa e subito abbandonato, in modo da permettere ad echi e risonanze
di emergere. I momenti di silenzio lasciano inoltre spazio a quei suoi del paesaggio
sonoro che sono lontani, deboli e per loro natura radi: esseri umani nei dintorni,
campane, animali. Questi suoni, per riprendere la classificazione di Krause,
corrispondono a Antropofonia (esseri umani, campane) e Biofonia (animali). In questa
situazione sono assenti i suoni di Geofonia, dato che non c'era vento e nemmeno corsi
d'acqua nelle vicinanze.
–
Parte 3: questa parte presenta due fasce sonore intervallate da suoni frastagliati. E' la
parte conclusiva in cui viene lasciato più spazio alla figura del sassofono, che è
presentato in maniera polifonica, ovvero sovrapponendo più parti in modo da creare
fasce sonore più dense. A ciò vengono alternati momenti di fusione tra il suono
impulsivo del sassofono e quello morfologicamente simile emesso da alcuni pastori di
passaggio che cercano di comunicare a distanza.
Idealmente questa è la parte di fusione tra la figura estranea al paesaggio – il sax – ed
il paesaggio sonoro stesso, che si risolve però con la presa di coscienza da parte
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dell'intruso del proprio ingombro in un ambiente senza mezze misure acustiche: il
silenzio è infatti caratteristica propria di questo luogo (in cui tra l'altro i cellulari non
prendono), e quindi utilizzato dagli esseri umani autoctoni per comunicare a distanza;
le loro voci però si quietano per lasciare spazio all'invadenza dei motori di passaggio,
veloci o invisibili e quindi sacri.
Questa composizione, a parte l'aspetto estetico, si è rivelata un percorso di esplorazione
sonora di un paesaggio da parte di uno straniero. Dalla timidezza iniziale, al tentativo di
protagonismo fino ad un principio di disagio. Il suono si conferma un elemento difficile da
circostanziare, la cui invadenza viene però accettata purché di origine remota.
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Appendice B: criticità incontrate nella composizione
In tutto il processo che ha portato alla composizione la parte più critica è stata senza dubbio
registrazione, principalmente per i seguenti motivi:
–
Gestione materiale: con tre microfoni indipendenti posizionati ad una certa distanza
l'uno dall'altro, il monitoraggio di tutti e tre contemporaneamente è impossibile. In un
contesto dove non si ha controllo sugli eventi acustici che potrebbero accadere ciò
comporta la presenza di un minimo di imprevedibilità e la mancanza di possibilità di
aggiustare i volumi di registrazione durante la performance. Questo ha portato, nel
mio caso, ad avere in alcune situazioni volumi troppo bassi dovuti ad un'eccessiva
cautela nell'impostare il volume di registrazione. D'altra parte questo è il minore dei
mali, nel senso che un errore in direzione opposta (volume di registrazione troppo
alto) porterebbe ad un audio distorto e quindi inutilizzabile, mentre un volume troppo
basso al massimo implica un rumore di fondo più elevato.
–
Imprevedibilità degli eventi: le aspettative che una persona si crea in una situazione
del genere possono creare frustrazione. Un paesaggio sonoro assolutamente
incontaminato (ovvero non inquinato da rumori di natura elettromeccanica) è infatti
praticamente impossibile da ascoltare in qualsiasi luogo che sia prossimo alla civiltà e
nonostante ciò io speravo di averlo a disposizione per alcuni minuti di seguito.
Invece durante le registrazioni eventi sonori di origine umana hanno di continuo
alternato la loro presenza, in particolare nelle seguenti forme:
–
aerei,
–
motoseghe,
–
motociclette,
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–
automobili,
–
passaggio di persone.
Benché non continui, questi suoni si sono alternati con una frequenza tale da impedire
di avere parti di registrazione di almeno qualche minuto senza la loro presenza.
Nonostante il mio momentaneo dispiacere, mi sono ben presto reso conto in fase di
riascolto delle registrazioni che questi interventi sonori che ritenevo intrusi in fin dei
conti sono parte del paesaggio sonoro attuale, e anzi mi hanno messo a disposizione
una paletta di timbri ed eventi sonori maggiore, che ho utilizzato in alcuni casi a mio
favore nella composizione.
Con questo non voglio prendere le parti del progresso e della sua invadenza sonora, e
tuttora proseguo nell'imprecare contro le moto di grossa cilindrata che mi sfrecciano a
fianco quando cammino in città, o contro un aereo che disturba la mia quiete in un
luogo remoto, ma in un certo senso il mio integralismo si è fatto un po' più piccolo.
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