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Introd a Visioni 21_08

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Introd a Visioni 21_08
Cavallo alato Visioning e drago Spread∗
Esempi di visioni elaborate da intere comunità
Introduzione di Marianella Sclavi a Abitare Visioni di Emilio Vergani
Di mestiere cosa fai? La rilevatrice di disagio.
Oh, dev’essere triste! Al contrario, è solo
trasformando il disagio in fonte di conoscenza
e leva di cambiamento che si riesce ad operare
con autentica creatività e in allegra compagnia.
In assenza di visione si sta male. Personalmente sono stata malissimo. Quando in una fase della
mia vita mi sono trovata con la precedente visione a pezzi e nella impossibilità di elaborarne una
nuova, mi sono sentita come un animale in gabbia, in una condizione insopportabile e ho reagito
cambiando paese, lingua, modo di pensare, riallacciando i fili con me stessa a partire
dall’essenziale, dalla constatazione che “avevamo fallito per mancanza di umorismo”. Erano i
primi anni ’80 ed io ero “una della generazione del ‘68”.
Condivido la diagnosi con la quale prende il via questo scritto di Emilio Vergani: viviamo in un
sistema politico e sociale che scoraggia il tipo di pensiero e di dialogo che potrebbe portare a
visioni costruttive. E’ un sistema che induce a sfogare le proprie frustrazioni rinfocolando le
dispute invece di gestirle in modo creativo, che tiene separate persone che potrebbero guadagnare
dall’ascoltarsi e lavorare assieme, che favorisce unicamente azioni di breve periodo basate su
compromessi fra ristretti gruppi di interessi. Ci sono ovviamente dei piccoli gruppi ed entourage
che hanno tutto l’interesse a che le cose rimangano così, ma per quanto riguarda la stragrande
maggioranza della gente la domanda alla Heinrich Böll (Opinioni di un clown) che mi si affaccia
ogni volta alla mente è: “Ma come fanno a resistere?” Come fanno a non dire: “Basta!”, “Fermi
tutti!”, “Cerchiamo di capire cosa ci dice questo disagio e come dovrebbe essere a giudizio
insindacabile di ognuno di noi, una scuola, un luogo di lavoro, un quartiere, un mondo,
accogliente, piacevole, desiderabile.”
Questo libro illustra in modo preciso e conciso alcuni dei principali motivi che portano a negare
questa sofferenza, a impedire un tale scatto di indignazione e a considerare ingenue e comunque
marginali e non ripetibili le esperienze capaci di espandere e valorizzare la dimensione della
intelligenza collettiva. E aiuta a riflettere su cosa invece facciamo in quei momenti della nostra
vita (per esempio quando ci mettiamo in sintonia con i bambini) in cui riusciamo ad uscire da
1
queste cornici. Ogni capitolo è un invito a praticare in modo più sistematico forme di pensiero e
di auto-consapevolezza emozionale più gratificanti ed efficaci e a ripensare la leadership,
l’autorità e il potere alla luce del rapporto assenza di visione –stupidità: le riflessioni del giovane
pastore luterano oppositore del nazismo Dietrich Bonhoeffer, nel capitolo tre, sulla stupidità come
problema sociologico piuttosto che psicologico, sono il perno dell’intero libro e un’iniezione di
irrinunciabile saggezza.
In questa introduzione attingo alla mia attuale professione, di esperta in gestione creativa dei
conflitti e facilitatrice di processi partecipativi, per portare un paio di esempi su come la capacità
di elaborare visioni di futuri desiderabili da parte di tutti i cittadini interessati a una determinata
situazione o problema, è la premessa e l’humus di una democrazia che funziona bene in ambienti
complessi e turbolenti, una democrazia adatta al XXI secolo, di solito chiamata partecipata,
ecologica, deliberativa, o anche da alcuni visionari (per es. Aldo Capitini e Simone Weil)
democrazia “per davvero”.
Lo farò principalmente raccontando un caso classico, entrato a far parte dei manuali. Riguarda la
città di Chattanooga1, i cui abitanti (150-160 mila) in un periodo di crisi economica e sociale
gravissima sono riusciti a co-progettare collettivamente un futuro desiderabile e poi (aspetto non
trascurabile) anche a realizzarlo. Questa di Chattanooga viene considerata la prima esperienza di
visioning a livello di una ampia comunità, di una intera città. Anche grazie a questa esperienza il
movimento del Neourbanesimo2 ha messo a punto una prassi, un metodo al quale una comunità
può ricorrere quando desidera impegnarsi in un percorso di co-progettazione creativa su un
determinato problema che non si limiti a definire delle linee guida generali, ma arrivi a discutere
il progetto nei particolari con l’aiuto di professionisti in grado di visualizzarne i possibili sviluppi
con disegni, con dei plastici e oggigiorno anche con la computer grafica 3D. E’ un approccio,
chiamato “charrette3”, sul quale tornerò più avanti.
Chattanooga, questa città dal dolce nome indiano, collocata fra gli Appalachi e due laghi formati
dal fiume Tennessee, alla fine degli anni ’70 era sprofondata in una drammatica recessione, con
livelli di disoccupazione che ricordavano quelli degli anni ’30, crescenti episodi di violenza
urbana e di razzismo e la nomea (dovuta alla forte concentrazione industriale) di “città più
1
La città del Tennessee alla quale fra l’altro è dedicata la famosa composizione Chattanooga Choo Choo di Glenn
Miller e in cui si tiene ogni anno un famoso festival del Jazz.
2
Il New Urbanism, nato negli Usa negli anni ’80, è un movimento di urbanistica inclusiva delle esperienze e saperi
degli abitanti, fortemente connotato in termini di ambientalismo, sostenibilità e bioarchitettura.
3
Il termine francese “charrette” ha le sue origini nelle Ecoles des Beaux Arts del 19mo secolo, dove ad ogni scadenza
d’esame si potevano vedere gli studenti insonni intenti al lavoro fino all’ultimo minuto, mentre fra loro passava, come
la falce della morte, una carretta (“une charrette”, appunto) che doveva portare i loro disegni alla commissione
esaminatrice.. Oggigiorno viene impiegato per indicare degli workshop di design molto intensivi e con scadenza
improcrastinabile.
2
inquinata della nazione4”. In questo contesto un gruppo di leader locali, funzionari della PA,
imprenditori, insegnanti e dirigenti di associazioni impegnate nel sociale, riuniti attorno alla
Fondazione Lyndhurst (creata nel 1938 da una famiglia di imprenditori locali operanti nel campo
dell’imbottigliamento della Coca Cola) decisero che l’unico modo per non ripetere gli errori del
passato e girare pagina era chiedere a tutti i cittadini di prendersi in mano il loro futuro, facendo
emergere contemporaneamente una nuova visione della città e una nuova leadership su tutti i
piani: economico, politico, sociale, culturale. Infatti, se l’intera classe politica si era dimostrata
incapace di visione, non era pensabile affidare il rinnovamento a una semplice tornata elettorale;
era necessario un cambiamento sistemico, tale da coinvolgere potenzialmente tutti i gangli della
vita urbana e della società civile. La credibilità di un tale sommovimento venne affidata a due
strumenti.
Primo, la costituzione di un’apposita organizzazione non-profit, la “Venture capital
Chattanooga” avente come obiettivo generale di “mettere Chattanooga sul binario giusto per
affrontare il passaggio del secolo” chiedendo agli abitanti di ideare e contribuire a mettere in
cantiere una miriade di interventi di ri-vitalizzazione del centro storico e del lungo fiume.
Secondo, l’assegnazione della gestione del processo partecipativo a uno studio di consulenza al
di sopra di ogni sospetto, nel caso specifico quello fondato dall’architetto e urbanista Kevin
Lynch a Cambridge5, Massachussetts. Kevin Lynch, in un suo rivoluzionario libro del 1960
intitolato L’immagine della città, aveva sostenuto che le sensazioni di agio e di disagio degli
abitanti e le loro percezioni degli spazi e tempi della città, vissuti come accoglienti o scostanti,
sono le coordinate di base di una nuova urbanistica ecologica e partecipata. Lo studio Carr –
Lynch, dopo una serie di colloqui, ha finito con l’avallare l’affidamento della direzione
dell’intero processo a un giovane architetto italiano, di nome Gianni Longo, nato nel sud Italia,
laureato a Venezia e approdato negli Usa nel 1971 dove era divenuto noto per aver coniato6 lo
slogan “more streets for people” e aver organizzato mostre itineranti sui vantaggi della
pedonalizzazione delle aree urbane, sulla scia di Jane Jocobs7 e dello stesso Lynch. L’incarico
4
In Italia di questi tempi viene in mente il caso dell’Ilva di Taranto.
Precisamente lo studio di consulenza Carr-Lynch.
6
In partnership con un altro architetto italiano, Roberto Brambilla, laureato al Politecnico di Milano e specializzatosi
in urban design ad Harvard, organizzatore, fra l’altro, di una mostra al Metropolitan Meseum intitolata: “Art and
Landscape of Italy: too late to be saved ?”
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7
Jane Jacobs in The Death and Life of Great American Cities (Ed originale 1960, ultima trad. it. Vita e Morte delle
grandi città, Einaudi 2009) ha sostenuto contrariamente al senso comune dell’epoca, che le strade sono tanto più sicure
quanto più sono frequentate e quanto più numerose sono le persone che “le tengono d’occhio” dai loro locali pubblici o
3
affidato a Gianni Longo era praticamente una carta in bianco: doveva “aiutare la città a reinventarsi.” La Venture Capital Chattanooga da parte sua si poneva come garante della
implementazione dei progetti che gli abitanti avrebbero ideato e contribuito a realizzare, nonché
del reperimento dei finanziamenti necessari.
Il modello di base erano i town-meeting dei villaggi della East Coast, simbolo storico della
democrazia americana, ma qui si trattava di una città di dimensioni ben superiori e con una
leadership anch’essa tutta da re-inventare. Venne costituito un organismo ad hoc col compito di
promuovere centinaia di piccole riunioni disseminate in tutti i quartieri, riunioni dirette da 150
facilitatori appositamente formati col compito di far discutere i convenuti nel corso di varie
sessioni e raccogliere tutte le opinioni, idee e proposte sui seguenti temi: a. come si è arrivati a
questa crisi e quali sono i problemi prioritari, b. quali sono le risorse non sfruttate della città, c.
come vi immaginate una Chattanooga risorta dalle ceneri, città attraente e accogliente, d. chi,
come e quando è disposto ad appoggiare e/o a mettere in atto quali idee e progetti.
Nel corso di questa prima esperienza (a Chattanooga il community visioning ha continuato anche
in seguito ad essere usato per la definizione delle politiche pubbliche su temi come la difesa
dell’ambiente e le energie alternative), un paio di migliaia di abitanti di tutti i ceti, colori,
mestieri e lingue madri (ovvero tutti coloro che erano disposti a investire tempo ed energie in
una impresa che in quei giorni facilmente poteva apparire utopistica, velleitaria, sospetta di
essere manipolatoria, ecc. ecc.), hanno elaborato 253 progetti puntuali, dalla costruzione di sedi
per la prevenzione della violenza in famiglia e nella società e l’allestimento di rifugi per donne
che hanno subito violenze, al Museo sulla Creatività dei bambini, a un programma di
costruzione di abitazioni a prezzi decenti, alla definizione degli spazi di intrattenimento nel
futuro Parco lungo le rive del fiume e così via8. Dieci anni più tardi una conferenza dell'Onu
sulla vivibilità urbana nel mondo, ha proclamato Chattanooga "la città più vivibile" degli Stati
Uniti, una città divenuta meta turistica molto popolare col suo vasto labirinto di negozietti al
dettaglio, l’intero sistema di trasporti pubblici ad elettricità, l’acquario, il Festival della Musica e
del Jazz nel Parco del fiume Tennessee. Se saltiamo altri dieci-quindici anni, arrivando al 2005 e
dalle loro finestre e balconi. E che una città è una realtà auto-organizzativa, una situazione in cui una miriade di fattori
si combinano spontaneamente in strutture ordinate e in cui la diversità e la pluralità sono risorse e non problemi. In un
tale contesto gli interventi pianificatori dominanti (che rispondono a una logica lineare e semplicistica) invece che
portare ordine , lo impediscono.
8
In Italia due storici percorsi di edilizia e urbanistica partecipata che hanno fatto leva su una componente di
community visioning sono quelli diretti da Giancarlo De Carlo a Terni all’inizio degli anni ’70, nel quartiere Matteotti,
abitato dagli operai delle Acciaierie e il laboratorio di risanamento del centro di Otranto , guidato da Renzo Piano e
dalla impresa di costruzione Fratelli Dioguardi, alla fine degli anni ‘70.
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seguenti, scopriamo che Chattanooga è divenuta una delle prime “smart cities” degli Usa, con la
copertura Internet gratuita diffusa per fibra ottica sull’intera città, finanziata e gestita dalla
Impresa di Energia Pubblica che si occupa anche dei trasporti e del riscaldamento, che è la sede
scelta dalla Volkswagen per insediarvi il suo primo stabilimento negli Usa, e che nel bel mezzo
della crisi finanziaria e senza incentivi da parte di Obama, Amazon ha deciso di collocarvi il suo
secondo palazzo di uffici negli Usa (il primo è a Cleveland). In breve: una storia di enorme, per
molti versi incredibile successo in cui la capacità di visione è divenuta il tratto distintivo di uno
stile di leadership che attira le persone e imprese creative, e in particolare coloro che desiderano
gestire aziende capaci di nuotare negli oceani tempestosi di un mondo sempre più interconnesso
e cangiante9. La capacità di visione, illustrata in questo libro, è dunque capitale sociale allo stato
puro, una risorsa che una volta conquistata può essere utilizzata in tutti i campi e settori, pubblici
e privati.
C’è stata una interessante discussione su quanto vi sia stato di improvvisato e approssimativo,
quanto di sistematico e direttivo e quanto di pura serendipity, in questa prima fortunata
esperienza di visioning a Chattanooga. Gli studiosi alla fine hanno convenuto che lo stile di
gestione adottato può essere fedelmente descritto ricorrendo a una espressione coniata da Jane
Jacobs, “managing the drift”10, ovvero saper cogliere e valorizzare l’inatteso, lasciare che le cose
maturino senza cedere alla urgenza classificatoria e giudicante11. Se così è, lo stile sperimentato
in questa occasione – probabilmente in modo non totalmente consapevole - è quello
raccomandato nei manuali sulla gestione dei sistemi complessi e connessa teoria del caos.
Quando il contesto è come un caleidoscopio in continuo mutamento, ogni proposta che emerge
cambia sia il contesto che il senso delle altre proposte e quindi è inutile star lì a fissarne il
significato una volta per tutte e a giudicarne i meriti avanti tempo. L’abilità consiste nel fare in
modo che i partecipanti si rendano conto dei vantaggi di questo modo di procedere e si adeguino
a una dinamica di continui aggiustamenti successivi. C’è poi un momento in cui tutte le proposte
si compongono in un disegno complessivo originale, giudicato “giusto” da tutti i partecipanti,
che vi riconoscono i segni del proprio contributo.
9
Una delle esperienze che in Italia oggi mutatis mutandi ricordano Chattanooga, è in corso a Ravenna, dove a partire
dalla riqualificazione partecipata della darsena, il visioning sta diventando la marca di un nuovo stile di gestione della
cosa pubblica che interessa la gestione dei conflitti nelle case popolari, l’abbellimento di angoli di strade e spazi
abbandonati e così via. Vedi: www.ladarsenachevorrei.comune.ra.it
10
Jane Jacobs: Cities and the wealth of nations: principles of economic life, NY, Vintage, 1985
11
Tutte le principali informazioni qui riportate su Chattanooga sono tratte dal saggio di Carl M Moore, Gianni Longo
e Patsy Palmer: “Visioning” in Lawrence Susskind, Sarah McKearnan, Jennifer Thomas-Larmer (a cura di) The
Consensus Building Handbook, Sage, 1999 pp 557-590
5
Quello di Chattanooga è stato dunque un intelligente esercizio di gestione dei sistemi complessi
e il metodo charrette, al quale adesso dedicherò alcune righe, è un tentativo, al tempo stesso
utile e pericoloso, di rendere un tale incanto sistematico.
Messo a punto e adottato dal movimento del Neourbanesimo, un laboratorio charrette ha inizio
con un incontro nel quale gli abitanti, che in precedenza hanno elaborato autonomamente una
visione di un futuro desiderabile relativa a un certo problema o spazio pubblico, la illustrano a un
gruppo di architetti e designer i quali dopo aver preso appunti e rivolto domande, si mettono
subito al lavoro in uno spazio appositamente attrezzato di solito per una intera giornata (a volte di
più) scandita da un certo numero di appuntamenti per dei feedback e momenti di dibattito, fino ad
arrivare a una visione anche grafica condivisa, giudicata dalla stragrande maggioranza
corrispondente ai desiderata. E’ un metodo di lavoro collettivo che scompiglia le segrete corsie
preferenziali fra professionisti e “centri del potere”, rimettendo in mano ai cittadini il processo
decisionale anche su aspetti urbanistici considerati “troppo tecnici”. E’ un interessante “congegno
anti-casta”, in quanto porta all’aria aperta il meccanismo di formazione delle consorterie
decisionali. In questo preciso momento vi sto dedicando molti pensieri perché (su mandato della
Giunta Comunale12) sto per proporre questo approccio agli abitanti del quartiere Isola di Milano
per decidere dove e come costruire un Centro Civico e come trasformare un sovrappasso che
collega l’Isola stessa al quartiere Garibaldi dall’altra parte della ferrovia.
Il pericolo principale è che il lavoro di visioning degli abitanti venga in parte soffocato dall’
expertise dei professionisti, i quali invece di accompagnare gli abitanti nel processo ideativo (per
il quale questo libro costituisce uno strumento prezioso), hanno la forte tendenza a mettersi nella
cabina di regia e far stare gli abitanti fuori col naso schiacciato sul vetro. Ma è compito del
gruppo di facilitatori sorvegliare che questi pericoli vengano scansati e i vantaggi ottimizzati. Dal
lato dei vantaggi, la charrette permette di impostare un percorso partecipativo centrandolo fin
dall’inizio su un’alleanza fra abitanti e creativi: designer, architetti, artigiani, musicisti, attori
teatrali. Quando funziona bene13, gli abitanti si accorgono di essere più creativi di quel che
pensavano e gli artisti più abitanti di quanto credevano. Una buona garanzia per un prodotto di
qualità.
Vergani definisce la visione come “ il risultato creativo del senso del possibile messo al lavoro”, e
anche “lo sviluppo di una linea d’orizzonte entro cui si possono comporre infiniti sguardi.” E’ un
linguaggio preciso, ma forse un po’ criptico. L’esperienza del community visioning aiuta a
12
Precisamente l’assessorato all’Area metropolitana, Decentramento e Municipalità, guidato da Daniela Benelli.
Sul metodo Charrette, oltre al già citato saggio di Carl M Moore, Gianni Longo e Patsy Palmer, vedi: Donald
Watson, Environmental Design Charrette Workbook, Washington DC: AIA Publications, 1996 e dello stesso autore e
Chad Floyd: ”Community Design charrettes” (reperibile e scaricabile on line)
13
6
chiarire che una visione è sempre frutto di un precedente processo di reciproca accoglienza fra
sguardi, posizioni, motivazioni, preoccupazioni, valori, conflittuali, dissonanti. Se manca a monte
la diversità vissuta come risorsa, non si può produrre una “visione.” Quindi, ed è questa la prima
idea sulla quale si apre questo libro e l’ultima che intendo qui sottolineare, elaborare una visione
è diverso dal mettere a punto una idea o un punto di vista o dal descrivere un contesto in base a
un ragionamento logico. Il fatto che nel linguaggio comune e sui giornali o in tv, il termine
“visione” venga usato come sinonimo di “schema interpretativo”, di “le ragioni e valori che
giustificano una certa posizione politica”, è di per se stesso un impedimento a capire cosa si
dovrebbe fare invece, cosa manca che rende l’attuale presente privo di orizzonti.
Prendiamo per fare un esempio la discussione sull’attuale crisi. Nel luglio 2012 un gruppo di
studiosi ed esperti di sociologia ed economia italiani ha inviato ai principali quotidiani un appello
intitolato “Furto di informazione”14 nel quale si denuncia che sui principali mezzi di informazione
la visione neo-liberista della crisi abbracciata dai principali centri di potere a livello nazionale ed
europeo, viene presentata come ovvia, come l’unica diagnosi e prognosi possibile. Al tempo
stesso gli stessi quotidiani pubblicano di quando in quando articoli di prestigiosi studiosi ed
esperti che propongono una interpretazione del tutto opposta, di stampo neoKeynesiano. In altre
parole, una interpretazione viene presentata come “la vera visione”, solida, radicata, affidabile,
l’altra come una sommatoria di opinioni e punti di vista.
Non è questa la sede per entrare nel merito, ma credo di poter dire che questo libro, questo
“saggio contro il presente”, è un invito a non aver fretta di schierarsi, a non sentirsi appagati nel
mettersi dalla parte dei “buoni” contro “i cattivi” e invece fermarsi a notare che entrambi questi
schemi interpretativi si sviluppano su un piano argomentativo e disciplinare “altro” rispetto alla
preoccupazione di trasformare la crisi in una occasione (e necessità) per trovare la forza e il
coraggio nonché le capacità di elaborare delle visioni che permettano di costruire un senso di
comunità e di mobilitazione solidale verso un futuro desiderabile. Quelli che si contrappongono
sui giornali e in TV sono ragionamenti che discendono da premesse che non vengono in alcun
modo messe in discussione: bisogna ridurre lo Spread e la spesa pubblica da un lato, bisogna
regolamentare il capitale finanziario e aumentare la spesa pubblica dall’altro. Si tratta di
partigiani di diversi punti di vista che non si sognano neppure di ascoltarsi fra loro e ancor meno
di creare occasioni perché i cittadini implicati in questi provvedimenti possano assumersi la
responsabilità di elaborare delle visioni di un futuro che considerano desiderabile. Mancano in
entrambi i ragionamenti due requisiti di una visione così come descritta in questo libro: il
requisito della “incompletezza” e la creazione di spazi dialogici a disposizione di tutti coloro che
14
Pubblicato il 24 luglio dal solo quotidiano il Manifesto e solo successivamente ripreso da altri giornali
7
sono interessati: “ogni vera visione è sempre una con-divisione che mi fa uscire dal mio ambito
angusto per proiettarmi fuori di me.” A questo proposito c’è una bellissima citazione di Michail
Bachtin, con la quale desidero concludere: “E’ solo agli occhi di un’altra cultura che la nostra propria
cultura si rivela più completamente e più profondamente, ma mai esaustivamente, perché ci saranno sempre
15
altre culture che sapranno vedere e comprendere ancora meglio” . E’ una prospettiva questa che gli
economisti e sociologi fanno fatica ad accogliere. C’est dommage, stante l’importanza che queste
discipline, accanto agli studi giuridici, hanno avuto e continuano ad avere nella formazione delle
classi dirigenti. Chattanooga (con i suoi riferimenti al mondo della azione ricerca e del neourbanesimo) sembra lontana, ma il mondo è piccolo e qualcosa anche da noi si sta muovendo.
Speriamo che anche questo libro contribuisca ad aumentare il numero di chi, per combattere il
drago Spread, decide di salire sul cavallo alato.
Parigi, 15 agosto 2012
15
E’ questa la citazione, tratta da “L’estetica della creazione verbale” che non a caso ho posto in apertura del mio libro
A una spanna da terra, che illustra esattamente come l’incrociarsi di più prospettive incompatibili, porta ad una
comprensione più profonda di una certa realtà, in questo caso alla descrizione umoristica di “Una giornata di scuola in
Italia e in Usa ” (Feltrinelli 1989, Bruno Mondadori 2006)
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