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L`aviazione navale nella Grande Guerra

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L`aviazione navale nella Grande Guerra
Aviazione navale
L’aviazione navale
nella Grande Guerra
Ciro Paoletti - Saggista
L
a Marina aveva cominciato a tener d’occhio gli aeroplani prima dell’Esercito, fin dal 1906, quando il futuro ammiraglio Gambardella aveva scritto un breve articolo, apparso poi sulla Rivista Marittima del gennaio 1907 insieme all’altro intitolato Marina da diporto: par. 1 – gli idroplani, che fu
la prima segnalazione degli idrovolanti come oggetto d’interesse navale apparsa sulla rivista ufficiale della Marina. Nove mesi dopo, nel settembre del 1907, Ettore Cianetti si era occupato
in maniera più specifica dell’argomento aeronautico, pubblicando, sempre sulla Rivista Marittima, un articolo su L’aeronautica al servizio della R. Marina.
Negli anni seguenti il Servizio Aeronautico per gli aspetti tecnici, amministrativi e d’impiego venne messo alle dipendenze del
Ministero della Guerra, che però si era rivolto a quello della
Marina per averne gli ufficiali necessari al comando dei dirigibili ed all’istruzione degli ufficiali dell’Esercito destinati a servire su di essi. Del resto la navigazione aerea aveva molte analogie con quella marittima, dai calcoli di rotta al rilevamento
della posizione, e quindi in breve tempo i dirigibili, i cantieri aeronautici e il servizio aeronautico di guerra si trovarono riempiti e spesso comandati da ufficiali di Marina, alcuni dei quali
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– primo fra tutti, nel 1910, il tenente di Vascello Mario Calderara – avevano già il brevetto di pilota o venivano dalla Forza Armata inviati a conseguirlo, abilitandosi sugli apparecchi terrestri o sugli idrovolanti.
I primi corsi per piloti militari organizzati dalle Forze Armate
erano stati tenuti nell’appositamente costituita Scuola di Centocelle, vicino a Roma, ammettendovi 15 allievi, tutti ufficiali
dell’Esercito e della Marina.
Subito dopo la fine delle ostilità italo-turche, la Marina, notata
la rilevanza tattica e, in prospettiva, strategica dei mezzi aerei,
aveva deciso di muoversi. Il suo Stato Maggiore aveva rilevato
che, a differenza dei dirigibili terrestri e di frontiera, gravemente esposti al fuoco delle armi nemiche, in uso o in via d’adozione, quelli marittimi sarebbero restati “invulnerabili” all’offesa
delle navi avversarie, perché, per sottrarsi al tiro nemico,
avrebbero sempre fatto in tempo ad alzarsi a una quota di crociera nemmeno tanto elevata, rimanendo sempre in grado di
mantenere una stretta, efficace e continua vigilanza. In più, date le dimensioni delle loro cabine, sicuramente avrebbero potuto ospitare apparati di comunicazione o armamenti pesanti,
divenendo più efficaci e temibili.
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Una veduta della Stazione Miraglia di Venezia, il maggior idroscalo d’Europa
durante la Grande Guerra con una capacità di circa 100 velivoli
(Fototeca USMM)
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13 settembre 1916, Gabriele D’Annunzio in procinto di decollare,
in qualità di osservatore, a bordo di un idro Macchi L.1 dell’aviazione
pilotato dal tenente di vascello Paolo Bologna per bombardare
le aviorimesse dell’idroscalo di Parenzo (in Istria, attuale Croazia)
(Fototeca USMM)
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Un idrovolante biplano Curtiss di progetto statunitense
costruito in Italia, nel 1914-1915 e dalle modeste caratteristiche
(Fototeca USMM)
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Questa fotografia, presa sullo scalo della stazione idrovolanti
di Sant’Andrea a Venezia, nel 1918, avanti all’hangar N. 2
della 260^ Squadriglia, mostra, in primo piano, un idrovolante da caccia
austro-ungarico del tipo Hansa Brandenburg A caduto in mani italiane
(Collezione ANMI, fondo Scuz)
L’esperienza libica aveva visto impiegare i dirigibili oltre che nell’ordinaria attività di ricognizione e bombardamento, in levate fotografiche e topografiche, nella raccolta di dati meteorologici ed
aerologici, nell’esplorazione sottomarina, nel controllo dell’effetto delle esplosioni delle bombe e dei bombardamenti, nelle segnalazioni ed evoluzioni. In più era stato provato con successo il
loro rifornimento in mare. Ce ne si aspettava per il futuro l’impiego in duelli aerei – per il momento previsti solo a fucilate, poi forse con le mitragliatrici – e nel “giuoco tattico tra due mezzi aerei”, nonché nel tiro di fucileria aria-terra. Ce n’era abbastanza
per rendere il mezzo anche più interessate e indurre la Marina
ad organizzare un servizio aeronautico autonomo, assegnandogli apposito personale e materiali specifici e che nel 1912 aveva1
otto ufficiali di vario grado abilitati al comando di dirigibili ed
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Un dirigibile della Regia Marina del tipo “M” (ovvero Medio)
fotografato nel corso di un decollo notturno
(Fototeca USMM)
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altrettanti col brevetto di pilota d’aereo, mentre altri stavano effettuando il necessario tirocinio. Per questo furono messi in bilancio dal Ministero della Marina 11 milioni e 400.000 lire per i
materiali, divisi fra 9 milioni e 200.000 lire nell’esercizio finanziario 1913-1914, e 2 milioni e 200.000 al seguente esercizio 19141915, per creare una “flotta aerea marina” di idrovolanti, idroaeroplani e dirigibili.
A queste andavano sommate le cifre per le indennità al personale e la manutenzione e sostituzione dei materiali, con una
previsione di spesa di altri 4.200.000 lire nell’esercizio 1913-
L’idrocaccia Macchi M. 5 del comandante Luigi Bologna.
Operativo dal luglio 1917 l’M. 5 si dimostrò un aereo dalle caratteristiche
eccezionali in grado di imporsi e affrontare il combattimento
manovrato anche contro i caccia biplani terrestri austro-ungarici
(Fototeca USMM)
6 Una celebre foto del dirigibile M.9 e un MAS ripresi
nel Golfo di Venezia significativa dell’efficace collaborazione
tra i mezzi navali e quelli aerei della Regia Marina
(Fototeca USMM)
1914, incrementati a 6.300.000 lire per il seguente esercizio finanziario 1914-1915, stabilizzati a 6.000.000 annui a partire dall’esercizio 1915-1916.
Si contava di impiegare quei fondi per costruire tre cantieri aeronautici per dirigibili sulle sponde dell’Adriatico e uno sulla costa tirrenica e poi eventualmente altri tre, ormeggiandovi dei dirigibili M, il tipo “Medio” italiano, da 12.000 metri cubi, destinati
all’esplorazione e ad azioni marittime relativamente lontane. Sarebbero stati affiancati da dieci squadriglie di idrovolanti e cinque di idroaeroplani basate in altrettante stazioni e destinate alla difesa costiera, o da impiegarsi, vista la minore autonomia rispetto ai dirigibili, in esplorazioni ed azioni marittime ravvicinate.
Si cominciò subito, predisponendo la cessione dal Ministero
della Guerra a quello della Marina del dirigibile M. 1, già pronto, e del primo dei tre cantieri adriatici in allestimento.
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Contemporaneamente a Venezia, quindi presso il Comando del
3° Dipartimento Marittimo, era stata istituita la “Sezione di Venezia” di idrovolanti, amministrata dal Genio Militare presso la Marina, anziché dal Battaglione Aviatori del Regio Esercito. I mezzi
restavano quindi dipendenti dal Genio e dall’Esercito, ma passavano alla Marina quanto all’impiego. Era comunque una soluzione
provvisoria, perché era previsto che, all’approvazione del disegno di legge in quel momento in itinere, il 1° luglio 1913 la Marina avrebbe assunto direttamente l’amministrazione del Servizio
Aeronautico, istituendo a Venezia una sua Direzione dei servizi
aeronautici.
All’entrata in guerra, nel maggio del ’15, il programma era in atto. Erano stati realizzati due dei tre aeroscali in allestimento,
ognuno dei quali aveva un solo dirigibile, e se ne stavano costruendo altri due. Gli aerei erano ancora solo 25 idrovolanti,
divisi in cinque squadriglie basate in altrettante stazioni idrovolanti. Sul mare c’era l’Elba, nave appoggio idrovolanti dalla limitatissima capacità, che ne portava altri tre. I piloti erano solo 30
e costituivano tutto il personale della forza aerea della Marina.
Gli Austriaci avevano molti più idrovolanti e nessun dirigibile,
ma per loro non fece alcuna differenza, anzi. Infatti lo scoppio
della guerra vide l’impiego immediato dei dirigibili italiani contro la sponda austroungarica e il loro quasi immediato insuccesso. Infatti in pochissimo tempo la perdita del Città di Ferrara e del Città di Jesi e la cattura dei loro equipaggi indusse la
Marina e l’Esercito a puntare sugli aerei per le incursioni anche oltremare e a impiegare i dirigibili sul fronte terrestre.
Gli aerei e i piloti
Il materiale conobbe una marcata evoluzione. La guerra era
iniziata sugli idrovolanti francesi FBA e li si cominciò a costruire su licenza in Italia. Contemporaneamente la Macchi di Varese, grazie a un idro austriaco tipo Lohner preso dalla Marina, lo copiò come L 1, proponendo poi gli idro L 2 ed L 3, poi divenuto M 3, dotandone l’aviazione navale e in seguito creò e
propose l’ M 5 e l’M 7 da caccia e mitragliamento. Nel 1917
presentò l’M 4, derivazione del precedente M 3, e lo migliorò
con un motore Isotta Fraschini da 190 hp come M 8, prima; poi
con un Fiat da 300 hp denominandolo M 9. Entrambi erano per
la ricognizione.
La SIAI di Sesto Calende invece modificò l’FBA e ne nacque l’S
8, antisom, da cui derivarono l’S 9 e l’S 13. L’Ansaldo produsse l’ISVA, cioè lo SVA terrestre in versione idro biplano a due galleggianti, ma apparve nel 1918 e non entrò in linea nelle squadriglie.
Si era pensato pure a un idro trimotore, ma il progettista, l’ingegner Bresciani, morì in un incidente durante le prove di volo nel
1916 e il progetto fu messo da parte.
Con questi aerei, man mano che venivano acquisiti, nel primo
semestre di guerra, da luglio a dicembre del 1915, l’aviazione
navale fronteggiò quella della Marina austriaca e, in quel primo semestre di guerra, ai suoi 122 bombardamenti aerei rispose con soli 28, proprio a causa della scarsità di mezzi.
Nel 1916 i bombardamenti austriaci salirono a 562, ai quali gli
Italiani risposero con 154.
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Nel 1917 finalmente la situazione cominciò a invertirsi: agli 823
bombardamenti dell’aviazione navale austroungarica si ribatté
con 836 missioni, mentre nel 1918 i 523 bombardamenti nemici
furono doppiati da 1244 missioni italiane fino all’armistizio. In totale, nei 41 mesi di conflitto, l’aviazione navale italiana compì
2362 missioni contro le 2049 di quella austroungarica e, a fronte
di 38 aerei e 2 dirigibili persi in tutto l’arco del conflitto, con la
morte di 119 fra piloti e osservatori, l’aviazione della Regia Marina abbatté 130 apparecchi nemici: 8 nei sette mesi del 1915, 29
nel 1916, 47 nel 1917 e 46 nei dieci mesi di guerra del 1918.
Oltre ai bombardamenti, l’aviazione navale provvide alla ricognizione semplice e fotografica, all’intercettazione degli aerei
nemici e, dopo la ritirata di Caporetto, al trasporto di agenti
informatori nel e dal territorio occupato dal nemico.
In quest’ultima attività di distinse il ventiseienne tenente di vascello Eugenio Casagrande, che, per le sue 16 rischiose azioni,
oltre a una Medaglia d’Argento e una di Bronzo al Valor Militare, fu decorato anche della Medaglia d’Oro ed investito dal Re
del titolo di conte di Villaviera, dal nome della località dove ammarava più spesso nelle sue missioni.
Come cacciatore fra i marinai il migliore fu il poco più che trentenne tenente di vascello Orazio Pierozzi, che, con sette abbattimenti, si meritò due Medaglie d’Argento al Valor Militare e,
dopo la morte precipitando in mare nel 1919, quella d’Oro al Valore di Marina alla memoria.
L’aviazione navale fu poi una fucina in cui si forgiarono alcune
delle figure maggiori dell’Aeronautica Militare: il guardiamarina
Alberto Briganti, che fu pilota da bombardamento, meritò due
Medaglie di Bronzo al Valor
Militare e divenne prima
sottocapo di Stato Maggiore
dell’Aeronautica e, poi, nel
1952, Presidente del Consiglio
Supremo di Difesa;
il tenente di vascello
Francesco De Pinedo,
veterano della Libia,
trasvolatore famoso e sottocapo
di Stato Maggiore della Regia Aeronautica nel 1928-29; il guardiamarina Umberto Maddalena, pilota da ricognizione e da bombardamento, che meritò ben tre Medaglie d’Argento e una di Bonzo
al Valor Militare e due Croci di Guerra, e in seguito si fece una meritata fama come trasvolatore; il colonnello del Genio Navale
Alessandro Guidoni, brevettato pilota d’aereo e di idrovolante,
che, oltre ad aver avuto un ruolo fondamentale nell’allestimento
della nave portaidrovolanti Europa, passato in Aeronautica, sarebbe in seguito divenuto Ispettore del Genio Aeronautico.
La Scuola di Taranto
Come si formavano i piloti? All’inizio della guerra il Regio Decreto 657 aveva autorizzato la Forza Armata ad arruolare aviatori volontari.2 Poco tempo dopo era apparso chiaro non solo
che la guerra sarebbe durata molto a lungo, ma che il numero
di piloti formati alla scuola di Sesto Calende non sarebbe bastato, perciò la Marina al principio dell’estate del 1916 istituì a
Taranto la Scuola di Aviazione e diramò a tutti i comandi, incluse le scuole e l’Accademia, l’ordine di invitare il personale a fare domanda d’ammissione.
Il primo corso iniziò nell’estate del 1916, il secondo a metà dicembre, ma entrambi con una limitazione, perché l’ammiraglio
Casanova, ispettore dei sommergibili e dell’aviazione, aveva stabilito che i piloti andassero forniti solo dall’Esercito e la Marina
potesse creare solo osservatori, corso del quale fu messo a capo il tenente di vascello Calderara, allievo di Wilbur Wright a
Centocelle e titolare del famoso brevetto di volo numero 1.
La scuola dipendeva dal Comandante dell’Aeronautica per il Basso Adriatico, capitano di fregata Denti Amari di Pirajno, noto dirigibilista, ed era comandata dal tenente di vascello Ugo de Rossi
del Lion Nero, pilota veterano della Libia e futuro diplomatico. Gli
istruttori erano tanto civili che militari, sia ufficiali che sottufficiali, e l’attività di volo si faceva in Mar Piccolo, a Punta Pizzone.
Le materie erano: segnalazioni con bandiere, segnalazioni con
lampada Donath, radiotelegrafia, rotta e orientamento, motori,
lancio bombe, tiro con mitragliatrice contro palloncini, voli esplorazione; i voti, come al solito, erano in ventesimi.
Chi non passava, veniva rispedito al reparto o alla nave di provenienza. Alcuni, spaventati dagli incidenti, rinunciarono in fretta.
8 La nave appoggio idrovolanti italiana
Europa (ex mercantile Quarto),
fotografata a Valona nel 1918
(Fototeca USMM)
Le infrastrutture erano minime, tant’è vero che i 16 ufficiali frequentatori vennero alloggiati sulla Regia Nave Sicilia, il cui secondo, capitano di corvetta Tornielli di Crestvolant, profittò subito della presenza di tanti ufficiali a bordo per inserirli nei servizi d’ispezione, che fossero previsti o no.
La sostituzione del Duca degli Abruzzi coll’ammiraglio Thaon
de Revel nel gennaio del 1917 portò a un drastico cambio e la
Marina poté cominciare a formare i suoi piloti, ragion per cui
metà dei frequentatori della Scuola fu passata d’ufficio al pilotaggio. L’attività di volo coi doppi comandi iniziò il 1° maggio del
1917. Il brevetto venne concesso agli allievi dopo quattro voli
da soli, con un quinto volo, sempre da soli ai comandi.
Il terzo corso, iniziato ai primi di luglio del 1917, fu quindi il primo ad avere dei piloti formati come tali fin dal principio e da
esso sarebbero usciti De Pinedo, Casagrande e Filippo Zappi,
l’ufficiale di rotta di Nobile sull’Italia. La Scuola fu potenziata,
per preparare 120 piloti contemporaneamente, costruendo due
hangar per il ricovero di 20 aerei, depositi, magazzini, aule e gli
alloggi per 50 ufficiali, altrettanti sottufficiali e 300 sottocapi e
comuni. La costruzione non fu velocissima e, quando il corso
cominciò, i 30 ufficiali e i 50 sottufficiali vennero alloggiati insieme a 300 marinai sull’Etruria, su cui furono sistemati pure il
comando, gli uffici, la stazione radio e l’infermeria. La Regia
Nave inoltre serviva pure da pompa antincendio e semaforo.
L’attività di volo era adesso di sette ore giornaliere, un turno la
mattina e uno il pomeriggio, con dei voli notturni nei periodi di
luna. La prima fase di circa venti lezioni prevedeva decolli e
ammaraggi, mentre le dieci della seconda fase si concentravano sul volo curvo e sulle salite e discese in spirali larghe e
strette, adoperando l’idrovolante L 1, che sostanzialmente era
il Lohner austriaco riprodotto dalla Macchi.
Al termine, chi aveva superato le prime due fasi – vigeva sempre la regola della dismissione e restituzione al reparto o nave
d’origine dei non sufficienti – passava sull’F.B.A. soprannominato dagli allievi “Fate Bene Attenzione”, per una serie di voli senza istruttore della durata complessiva di cinque ore, culminanti
in una missione di oltre un’ora, al compimento della quale si ottenevano il brevetto di “allievo pilota” e l’invio ai reparti di volo.
L’evoluzione organica
Le Circolari Ministeriali della Guerra n. 12 e 769 del 1916 fissarono3 a Torino la sede della Direzione tecnica dell’Aviazione militare, creandole delle Sezioni distaccate preposte alla vigilanza, costruzione e collaudo dei lavori a Milano, Genova, Napoli
e dove fosse poi risultato utile. Poco dopo, le parti studi, esperienze, costruzioni, allestimento, impianto di aeroscali, stazioni
e istruzione del personale dei servizi aeronautici della Guerra e
della Marina furono riunite alle dipendenze del Ministero della
Guerra4 per quanto riguardava:
a) studi ed esperienze relative alla navigazione aerea su terra
e su acqua;
b) costruzione ed allestimento di tutti i velivoli ed aeronavi;
c) impianto mantenimento e rifornimento di tutti gli aeroscali,
stazioni di aerostati o di velivoli, fatta eccezione per la costruzione ed armamento di speciali navi e galleggianti da
adibirsi esclusivamente a servizi aerei;
d) preparazione ed istruzione del personale occorrente per tutti i bisogni della navigazione aerea, solo restando alla regia
marina l’obbligo di provvedere ufficiali osservatori per le aeronavi e per i velivoli assegnati ai servizi della marina.5
I fondi del bilancio della Guerra sarebbero stati impiegati alle
spese di funzionamento del servizio, quelli della Marina solo per
gli ufficiali osservatori della Marina e per l’eventuale costruzioni di navi per i servizi aerei, anche se, come sappiamo, dal maggio del 1915 il Ministro della Marina era stato autorizzato a reclutare aviatori volontari.6 Il Ministero della Marina avrebbe
stabilito le caratteristiche e il numero di aeronavi, aerostati, aerei e stazioni aeronautiche occorrenti alla Marina; e il Ministero della Guerra avrebbe provveduto nei tempi previsti, salvo il
caso di insufficienza degli stanziamenti, o d’inadempienza contrattuale o incapacità produttiva da parte delle ditte. In quel caso i due ministeri si sarebbero accordati per una riduzione,
eventualmente coll’intervento del Presidente del Consiglio.
“I mezzi aerei destinati all’esercito non possono essere impiegati
per la marina, né viceversa quelli della marina per l’esercito, salvo casi eccezionali e previo consenso del ministero interessato.
Di regola il personale adibito ai servizi aeronautici della marina
vi resta assegnato in modo permanente e non viene cambiato
se non per gli inevitabili movimenti conseguenti a promozioni
od a sopravvenuta inabilità a disimpegnare le relative specifiche attribuzioni.
Le stazioni aeronautiche destinate al servizio esclusivo della
regia marina dipendono disciplinarmente e per tutto ciò che riguarda esercitazioni ed impiego guerresco dalle autorità navali nella cui giurisdizione sono dislocate.”7
Con queste regole generali, la Marina attraversò il conflitto, alla fine del quale la sua Forza Aerea risultava divisa in otto comandi aeronautici, dipendeva dal Capo di Stato Maggiore della Marina e allineava 5.538 uomini di ogni grado, fra piloti e personale di governo, 675 aerei basati in 40 “stazioni di velivoli” e
17 dirigibili operanti da 14 aeroscali.
nnn
NOTE
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Cfr. Atti del Parlamento Italiano, Camera dei
Deputati, Sessione 1907-913, Documento n. 1234 –
A, Roma, Tipografia della Camera dei Deputati,
1914, pag. 35.
Regio Decreto Legge 13 maggio 1915, n. 657, Col
quale il Ministero della Marina ha facoltà di
autorizzare uno speciale arruolamento volontario di
aviatori, pubblicato sulla “Gazzetta ufficiale del
regno” n. 125, del 21 maggio 1915
3
4
Pubblicate sul “Giornale Militare” del 1916,
rispettivamente a pag. 18 e a pag. 2006.
Decreto Luogotenenziale 7 settembre 1916, n. 1213,
Riunione dei servizi aeronautici
del Regio Esercito e della Regia Marina
sotto l’azione e la dipendenza
del Ministero della Guerra,
sulla “Gazzetta ufficiale del regno” n. 229
del 29 settembre 1916
5
D. Lgt. 1213/1916, cit., art. 2.
6
Regio Decreto Legge 13 maggio 1915, n. 657,
Col quale il Ministero della Marina
ha facoltà di autorizzare uno speciale
arruolamento volontario di aviatori,
pubblicato sulla “Gazzetta ufficiale del regno” n. 125,
del 21 maggio 1915.
7
Idem, art. 3.
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