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La democrazia, Saddam e il potere dittatoriale
DIARIO MARTEDÌ 7 NOVEMBRE 2006 LA REPUBBLICA 53 DI DI LA DEMOCRAZIA, SADDAM E IL POTERE DITTATORIALE Una figura che da sempre incute terrore ed è vissuta come l’arbitrio assoluto Ora che il Raìs è stato condannato ci si chiede qual è il rapporto tra vinti e vincitori (segue dalla prima pagina) nche chi non sappia a nessun costo immaginarsi come un tiranno furioso e sanguinario saprà immaginarsi dentro il colletto di una camicia bianca, e passarsi un dito sul collo. Nel suo ruolo di sovrano oltraggiato, Saddam aveva chiesto l’onore dovuto a un antico militare, di essere fucilato, e che gli venisse risparmiata l’onta dell’impiccagione. Ora, agita il Corano e trema un po’, come un vecchio intirizzito, mentre gli leggono la condanna alla corda, e ancora succede di mettersi nei suoi panni, noi che onoriamo la storia di un condannato a morte, proprio alla morte in croce che si riserva ai reati infamanti. Si può essere soggiogati dal tiranno, ma non avviene di immaginarsi nei suoi panni. Idolatrato o temuto, o le due cose insieme, il tiranno è distante, schiaccia la folla dal chiuso dei suoi palazzi o dall’alto dei suoi balconi, e anche quando le si mescola stringendo mani e carezzando teste di bambini resta lontano, seducente e ripugnante. Nella caduta però, può diventare torbidamente vicino. Era già successo quando l’avevano estratto, Saddam Hussein, o avevano simulato di estrarlo, dalla sua botola, barbone irsuto e attonito, e poi quando gli avevano ispezionato il cavo della bocca, e mostrato al mondo. Ripugnante sempre, ma ora minacciosamente vicino, com’è chiunque ci ricordi la paura e il freddo, l’umiliazione e il dolore. A riguardarlo ricomposto nelle sue comparse processuali, perfino con qualche tocco di cosmesi, nel ruolo ovvio dell’imputato che si fa accusatore, e insulta la corte e la misconosce e rivendica la propria maestà lesa, la distanza tornava ad allungarsi, e con essa il fastidio e il disprezzo per una tragedia volta in farsa. Però, nelle ultime immagini, di nuovo quell’uomo disgustoso, che bestemmia il suo Dio e ogni Dio gridandone la superiore grandezza – è solo grosso, il Dio di Saddam, grosso e madornale a immagine sua, delle sue statue e delle sue scimitarre – a un certo punto insinua nello spettatore una vicinanza vergognosa, un’involontaria compassione. Ecco rispiegata la condanna del tiranno, e il rifiuto della pena di morte. Non sappiamo identificarci con il tiranno, se non facendo appello al fondo più oscuro e disgustoso di noi. Sappiamo identificarci col condannato a morte, solo che tiriamo fuori la parte migliore di noi. Soltanto un facile equivoco può persuaderci che avversi di più il tiranno chi ne augura la condanna a morte e se ne compiace, e al contrario sia più prono o indulgente chi la rifiuti. È in causa la giustizia. La pena di morte è in bilico fra vendetta e giustizia: un tempo fu un passo verso la giustizia, fu la vendetta sottratta alla ritorsione privata e assegnata a un tribunale. Oggi è il residuo tenace della vendetta che resiste alla giustizia. È difficile dirlo per Saddam Hussein, perché la legge irachena contempla la pena capitale, così come, nella maggior parte, gli Stati di quell’America che è ricorsa alla guerra per rovesciare il tiranno, un tempo tollerato e a volte vezzeggiato. Dunque è più difficile aspettarsi da lì il passo indietro dalla pena di morte, che oltretut- A Ambrogio Lorenzetti, un particolare della “Allegoria del Cattivo Governo” TIRANNO Quandosimetteamorteildespota ADRIANO SOFRI to sarebbe sospetto di viltà o opportunismo. Eppure, non si tratta solo della vecchia e femminea Europa (che pure conosce provocazioni in tema di pena di morte come quella della Polonia dei Kaczynski). Nello stesso Iraq, il presidente Talabani è antico avversario della pena di morte, e ha annunciato di voler negare la propria controfirma all’esecuzione di Saddam, cioè, si badi, all’autore provato dello sterminio di decine di migliaia di connazionali di Talabani. All’Onu si è appena perduta un’altra sessione alla causa della moratoria universale della pena di morte – la moratoria è il nome che saggezza e compassione devono dare al sogno lucido dell’abolizione universale. Toccherà alla prossima sessione, con o senza l’impegno univoco e unanime dell’Unione Europea. Il Tribunale Penale Internazionale, che già si vuole sommergere nello scetticismo e nel cinismo quando ancora muove i primi passi, ha nel suo statuto il bando alla pena di morte. Perché in questo caso è così difficile assicurare il tiranno vivo a una cella per il resto dei suoi giorni? In verità, si direbbe che il tiranno, l’arte del tiranno, sia ancora troppo affascinante agli occhi di tanti suoi nemici. Assicurarlo a una prigione normale, senza privilegi e senza torture, una prigione mediocre – questo si addirebbe alla democrazia. La si vuole esaltare, invece, in una cerimonia stupefacente, un carnevale della ferocia detronizzata, un Saddam Hussein appeso prima per il collo poi per i piedi, per così dire, davanti agli stessi occhi che si abbassavano terrorizzati dal suo arbitrio. Lo si ammette, del resto: quando si dice (lo dicono perfino dei campioni della democrazia liberale e dell’antifascismo) che il patibolo di Saddam sarà una lezione per tutti gli aspiranti tiranni, un esorcismo liberatorio per tutti i sudditi calpestati e spaven- LEO STRAUSS “ LA TIRANNIDE è un male congenito della vita politica. L’analisi della tirannide, pertanto, è antica come la stessa scienza politica. Lo studio della tirannide compiuto dai primi filosofi politici, fu così chiaro, comprensivo e inalterabilmente formulato, da essere ricordato e tenuto a mente da generazioni cui mancò l’esperienza diretta e attuale della tirannide. D’altra parte, quando noi fummo sbattuti faccia a faccia con la tirannide - con una specie di tirannide che superò le più ardite immaginazioni dei più potenti pensatori del passato - la nostra scienza politica non seppe riconoscerla. Non occorrono molte osservazioni e riflessioni per intendere che corre un’essenziale differenza tra la tirannide presa in esame dai classici e quella dei nostri tempi. In contrapposizione alla tirannide classica, l’odierna tirannide ha a sua disposizione e la tecnologia e le ideologie; più in generale, essa presuppone l’esistenza della “scienza”, o per meglio dire di una speciale forma di scienza. TIRANNO INTERNAZIONALE D’ARTE CONTEMPORANEA A TORINO 10 –12 NOVEMBRE 2006 LINGOTTO FIERE / ORE 11.00 – 20.00 THIRTEEN: FEEL CONTEMPORARY tati, un battesimo del nuovo Iraq. Si evoca Norimberga: ma Norimberga non aveva ancora scoperto la debolezza della pena di morte, e soprattutto del suo uso simbolico. Si evoca Piazzale Loreto: ma un piazzale Loreto emulato dalla giustizia pubblica è doppiamente orrendo. In mano alla gente irachena Saddam sarebbe stato fatto a pezzi. In cambio, furono abbattute decapitate e trascinate sulle strade le sue statue: bastava. Si evoca soprattutto il tirannicidio: ma del tutto fuori luogo. Saddam Hussein è stato un tiranno? Senz’altro sì. Ha tenuto un potere fondato sull’arbitrio, e sulla devozione e il terrore del popolo per lui, e sul suo terrore del popolo e dei suoi stessi scherani. Oggi troppo spesso si gioca con le parole, si tratta come un anacronismo la tirannia di sempre, e si regala un titolo di tiranno a persone e gruppi capaci di plagiare morbidamente e consumisticamente le moltitudini. Saddam è stato un tiranno. Dunque la sua esecuzione è un tirannicidio? Assolutamente no. Il tirannicidio, qualunque cosa se ne pensi oggi, ha dalla sua un’antica tradizione. Grossi avvocati come Cicerone, uomini di chiesa, pensatori e poeti libertari l’hanno non solo giustificato, ma esaltato come doveroso e glorioso. E però il tirannicidio è il gesto di chi non ha altro modo di vendicare l’offesa estrema inferta all’onore e al sangue proprio e del proprio popolo, e Vittorio Alfieri, maestro di tirannicidio ai nostri scolari, raccomanda che il suo autore sia «solo all’impresa», e si sappia capace di una «totale omissione di se stesso». Colui, uomo solo e privato, che colpisce il tiranno, e si dispone al sacrificio di sé, non ha speranza di ottenere giustizia dalle leggi e da un tribunale. Anche se non si voglia tener conto dell’obiezione machiavelliana come la riassume Spinoza («...con quanta imprudenza molti cercano di levar di mezzo un tiranno senza essere in grado di eliminare le cause che fanno del principe un tiranno...») il tirannicidio non è affare di Stati e di tribunali e di democrazie, e nemmeno di cospirazioni politiche. Ho appena trovato questa suggestiva citazione da una lettera di Thomas Jefferson, 1787: «L’albero della libertà deve essere rinvigorito di tanto in tanto con il sangue dei patrioti e dei tiranni. Esso ne rappresenta il concime naturale». Be’, non dev’essere più così, e comunque non per via di sentenze. E tanto più ragionevoli (benché mediocrissimi, e per così dire piccoloborghesi) sono i progetti di offrire ai tiranni che vedano vacillare il proprio trono un salvacondotto e un conto in banca in qualche ospizio per farabutti riscattati preventivamente al bagno di sangue. La buona esportazione della democrazia si misurerà anche così: sul numero dei tiranni sanguinari e dei despoti sciovinisti e razzisti che moriranno di vecchiaia o di morte naturale (naturale è stata la morte di Milosevic all’Aja) avendo dovuto lasciare il potere. Si troverà stucchevole una simile premura in un Iraq dove la morte danza e miete all’ingrosso (voglio credere, spes contra spem, che la cifra di 650 mila morti calcolata da Lancet sia una pazzia), e tuttavia la vita risparmiata, benché punita, del peggiore fra gli uomini può essere il più contagioso esempio della cura per la vita dei buoni. www.artissima.it / [email protected] Repubblica Nazionale “ 54 LA REPUBBLICA LE TAPPE MARTEDÌ 7 NOVEMBRE 2006 DIARIO BENITO MUSSOLINI Il Duce viene giustiziato su ordine del Cln (Comitato di liberazione nazionale) il 28 aprile 1945, a Giulino di Mezzegra (Como). Il suo corpo viene appeso a Milano in piazzale Loreto ADOLF HITLER Il Führer si suicida il 30 aprile 1945 nel suo bunker di Berlino, mentre i sovietici entrano in città. I gerarchi nazisti sono processati a Norimberga (1945-46): dodici di loro sono condannati a morte AUGUSTO PINOCHET Sale al potere con un colpo di stato militare nel 1973: il Cile torna alla democrazia nel ’90. Viene arrestato in Gran Bretagna ed estradato nel 2000. È agli arresti domiciliari per motivi di salute COS’È LA TIRANNIDE: STORIA E TRASFORMAZIONE DI UN CONCETTO POLITICO LA FOLLE DERIVA DEL POTERE ASSOLUTO CARLO GALLI I LIBRI VOLTAIRE Dizionario Filosofico Garzanti 2006 GIORGIO AGAMBEN Homo sacer Einaudi 2005 ISAHIA BERLIN La libertà e i suoi traditori Adelphi 2005 PLATONE Politico BUR 2005 THOMAS HOBBES De cive Editori Riuniti 2005 SHELLEY KLEIN, MIRANDA TWISS I personaggi più malvagi della storia Newton Compton 2005 HANNAH ARENDT Le origini del totalitarismo Einaudi 2004 ALEXANDRE KOJÈVE Il silenzio della tirannide Adelphi 2004 ANTONIO GHIRELLI Tiranni Mondadori 2002 ROBERT CONQUEST Il secolo delle idee assassine Mondadori 2002 RICCARDO ORIZIO Parola del diavolo. Sulle tracce degli ex-dittatori Laterza 2002 ell’Atene classica il tiranno è il titolare personale di un dominio nuovo e grandioso, che prende il potere per mettere pace in una città in cui l’egemonia delle stirpi aristocratiche è venuta meno, e che è squassata dalla guerra civile. Ma che il tiranno sia in grado di stabilizzare i conflitti civili – operazione benefica nel breve periodo – non è sufficiente a conferirgli una qualificazione positiva: in realtà il suo potere personale superiore alle leggi è sentito come improprio tanto dagli aristocratici quanto dai democratici. Il tiranno è in realtà estraneo sia all’ideale nobiliare di polis fondata sul “rispetto” sia all’ideale democratico dell’uguaglianza davanti alla legge, della isonomia; e se per storici come Erodoto e Tucidide egli è esterno alla legge e alla ragione, al nomos e al logos, ai legami morali e discorsivi che sostanziano la cittadinanza degli ateniesi, il tiranno è per i grandi autori tragici – Eschilo, Sofocle, Euripide – anche estraneo alla religiosità, orgogliosamente empio, segnato dall’hybris di chi vuole sottrarsi alla comune umanità. E quando, a partire dal IV secolo a. C., la crisi della polis si manifesta e si inizia a considerare positivamente anche il governo di uno solo, la basileia, il tiranno resta una figura negativa, l’opposto non più solo dell’aristocrazia e della democrazia, ma anche della buona monarchia. Proprio nella sua negatività il tiranno è stato oggetto di interesse da parte dei filosofi, da Senofonte a Platone a Aristotele. Nel primo, che tanto ha colpito l’ingegno acuto di Leo Strauss, si manifesta la tentazione – non certo circoscritta solo alla Grecia – del sapiente di essere la controparte del tiranno, per “convertirlo” con la persuasione, la ragione e la virtù, trasformandolo in buon governante; insomma, il rapporto del filosofo e del tiranno è il rapporto fra due diverse grandezze. Nel secondo, la tradizionale condanna del tiranno – uomo autoescluso dalla comunità umana, tragicamente solo nel proprio mondo allucinato – lascia progressivamente il posto alla ipotesi del filosofo che si fa re, dell’unione (antitirannica ma ugualmente inquietante) del sommo potere col sommo sapere. Mentre è Aristotele a confermare che la tirannide resta la peggiore delle forme politiche, perché è la negazione “privata” di quella dimensione “pubblica” che alla politica inerisce necessariamente. L’immagine negativa del ti- N ‘‘ ,, FORMA DI GOVERNO È solo con l’età di mezzo che la tirannide è vista in tutta la sua negatività. San Tommaso si spinge a definirlo nemico di Dio ranno elaborata nella classicità – il “mostro” responsabile dell’asfissiante chiusura dello spazio della politica – è consegnata al pensiero politico, filosofico e giuridico dell’età di mezzo: per Giovanni di Salisbury, per Tommaso, per Bartolo di Sassoferrato la tirannide è una pessima – anche se frequentissima – forma di governo di uno solo che agisce per il proprio tornaconto, disprezzando le leggi e calpestando la Giustizia, ossia l’ordine positivo e regolare dell’essere e delle cose umane. Il tiranno è la figura del nemico dell’uomo e della politica, che a volte sfuma in quella del nemico di Dio, del- l’Anticristo; e non a caso Tommaso prevede anche la legittimità, in certe circostanze, del tirannicidio. Nemico nella Grecia classica della polis e nel medioevo della Giustizia, nella prima età moderna il tiranno è il nemico della libertà: di quella collettiva e repubblicana dei Comuni, in lotta contro i signori che cercano di spegnervi gli ordinamenti popolari, e di quella dei protestanti che vedono nelle monarchie cattoliche europee – soprattutto la Francia, all’epoca delle guerre civili di religione – altrettanti esempi di immoralità e di tirannide, da abbattere. E nonostante l’avversione di PLATONE Hobbes per il concetto stesso di tirannia – per lui, che ignora l’esistenza di una Giustizia naturale da rispettare, “tiranno” è solo il nome che i sudditi danno al re, quando questi agisce in un modo che a loro non piace – la figura del tiranno campeggia anche nella politica dell’età moderna, come quella del governante che viola le leggi, i diritti, le costituzioni: come quella del governo illiberale, straordinario, fondato sull’arbitrio e non sulla norma. Tiranno è Carlo I, giustiziato da Cromwell, tiranno è Giorgio III, ripudiato dai coloni americani, tiranno è (come tutti i re) Luigi XVI, ghigliottinato dalla rivoluzione. Ma la fase più sconcertante della lunga storia della tirannide viene quando questa cessa di essere l’immagine negativa del Nemico della buona politica, quando cioè le sue caratteristiche antiumane e illiberali appaiono non come il volto di un Avversario facilmente riconoscibile perché diverso da noi, ma come il volto della nostra civiltà, che nella tirannide si specchia e si riconosce. Iniziò Tocqueville, nella prima metà del XIX secolo, a parlare di “tirannide della maggioranza”, per segnalare che anche la moderna democrazia di massa sa porre in essere, verso i propri cittadini, coazioni potenti come quelle del solitario tiranno classico. E tutto il XX secolo si è incaricato di mostrare che la tirannide non si LA TIRANNIA Qui sopra, un’incisione con la statua di Nerone; a sinistra, “La morte di Giulio Cesare” di Vincenzo Camuccini (XVIII secolo) VOLTAIRE Quando un uomo solo ha potere e non agisce secondo le leggi né le consuetudini, non deve forse essere chiamato “tiranno”? Si chiama tiranno il sovrano che non conosce altre leggi che il suo capriccio e che si appropria degli averi dei suoi sudditi Politico IV secolo a. C. Dizionario filosofico. Tirannia 1769 HANNAH ARENDT ALEXANDRE KOJÈVE Il livellamento delle condizioni dei sudditi è sempre stato una delle principali preoccupazioni di despoti e tiranni Vi è tirannide là dove una frazione di cittadini impone a tutti gli altri le proprie idee e il proprio operato Le origini del totalitarismo 1951 Tirannide e saggezza 1950 caratterizza tanto per la sua soggettività – anche se si è ancora riproposta l’azione eccezionale e extralegale del leader carismatico che pretende di instaurare un ordine nuovo, e anche se puntualmente il grande tiranno ha suscitato nei filosofi e degli intellettuali a volte repulsione ma a volte anche una torbida fascinazione – quanto piuttosto, e ben più radicalmente, per la sua oggettività: nel Novecento abbiamo conosciuto la tirannide legale, delle cattive leggi che spesso non è facile distinguere da quelle “buone”, la tirannide delle ideologie e delle loro pretese, della tecnica e delle sue esigenze, della megamacchina economica e sociale dentro la quale viviamo, alle cui regole impersonali obbediamo. Oggi, nelle periferie del mondo abbondano ancora i tiranni, i sanguinari dittatori le cui nefandezze colpiscono la nostra immaginazione e sollevano il nostro sdegno. Ma nell’Occidente – che da sempre lo ha ben conosciuto – il tiranno, ben vivo, ha il volto velato; la sua empietà è anonima; il suo odio per il logos si manifesta non tanto nell’imposizione del silenzio quanto nella chiacchiera soffocante. E mentre il filosofo non ha più davanti a sé nemmeno un grande nemico da persuadere (e forse difficilmente troverebbe un nomos e una virtù da opporgli, se non nella forma di uno scontro ideologico che lo collocherebbe allo stesso livello del tiranno), la politica stessa, senza avere troppo bisogno dell’intervento del “mostro”, sta da tempo trasformandosi in una somma di privatezze che si sostituiscono allo spazio pubblico. E che tirannicamente lo soffocano. Repubblica Nazionale MARTEDÌ 7 NOVEMBRE 2006 LA REPUBBLICA 55 DIARIO POL POT Il sanguinario leader dei Khmer rossi muore nel 1998, prima di scontare la pena che gli viene inflitta da un processo popolare in Cambogia: la condanna all’ergastolo SLOBODAN MILOSEVIC Il presidente della ex Jugoslavia viene processato per crimini contro l’umanità al Tribunale Internazionale dell’Aja: l’11 marzo 2006 muore in cella prima del verdetto SADDAM HUSSEIN L’ex Rais è condannato all’impiccagione da un tribunale iracheno per crimini contro l’umanità per la strage di Dujail. La sentenza divide l’Occidente INTERVISTA ALLO STORICO LUCIANO CANFORA IL VOLTO ANTICO DEL DISPOTISMO SIMONETTA FIORI l tiranno è un’invenzione, una figura che appartiene all’immaginario più che alla storia», dice Luciano Canfora, studioso che vanta assiduità con il tema nelle sue frequenti peregrinazioni tra età classica e contemporanea. «Cominciamo col dire che in origine la parola tiranno non ha valore negativo. Vuol dire semplicemente un potere straordinario, spesso di carattere arbitrale. Egli viene invocato come moderatore nelle lotte politiche e sociali del suo tempo». I primi tiranni nascono nel mondo greco? «Sono i grandi mediatori che operarono intorno al VI secolo avanti Cristo in alcune isole greche. Una figura tipica di questa specie fu Policrate di Samo, che soltanto nella tradizione successiva sarà sfigurato in tremendo despota». Il primo vero tiranno nell’accezione classica fu Pisistrato. «Sì, guidò Atene con un’ampia base popolare, perpetuando il suo potere grazie a un’estesa rete di uomini, un autentico clan. Non vorrei già cominciare a complicare le cose, ma finché governò Pisistrato non fu certo percepito come un tiranno. Quando subentrarono al potere i suoi figli, l’epiteto fu loro attribuito dagli aristocratici avversari, che contrapposero un primo modello di democrazia». Lei sta dicendo che la tirannide di Pisistrato fu un’invenzione dei suoi nemici? «Guardi, questo paradosso vale per tutte le dittature che si succedono nel corso della storia: il tiranno è tale perché i suoi nemici lo raccontano come tale. È una categoria che appartiene alla lotta politica, più che alla ricostruzione storica. Nel caso dei figli di Pisistrato, gli oligarchi li dipinsero come oppressori, pur avendo la democrazia la medesima base sociale della tirannide, ossia il popolo. Pensi che sotto regime di Pisistrato ricoprì una magistratura Clistene, ritenuto il fondatore della democrazia. Perfino Tucidide dedicò a Pisistrato pagine di commovente elogio». Ad Atene era insomma labile il confine tra democrazia e tirannide. «Anche il grande Pericle, che è il simbolo più alto della democrazia ateniese, sulla scena fu liquidato come un tiranno: penso ai poeti comici». Secondo lei, dunque, è tutta una questione di interpretazione. «Mi faccia citare Thomas Hobbes, un filosofo inglese molto approfondito da Norberto Bobbio. Egli sostiene che tra il re e il tiranno c’è poca differenza. Usiamo il termine tiranno quando ci sentiamo danneggiati e il termine re quando ne siamo sostenitori. Tutto qui». Se però è tutta questione di interpretazione, dobbiamo rinunciare a trovare dei tiranni nella scena storica. «Un cattivo a tutto tondo, lei intende? Ora lo troviamo, ma è sempre frutto di una co- «I GLI AUTORI DIARI ONLINE Il Sillabario di Leo Straussè tratto da La Tirannide (Giuffrè). Carlo Galli insegna Dottrine politiche all’Università di Bologna. Luciano Canfora è docente di Filologia greca e latina all’Università di Bari. Tutti i numeri del “Diario” di Repubblica sono consultabili su Internet sul sito www.repubblica.it, menu supplementi. Qui i lettori possono trovare le pagine, comprensive delle illustrazioni. ‘‘ ,, IL PRIMO Nell’accezione classica Pisistrato inaugurò il modello della tirannide Egli perpetuò il suo potere ad Atene creando un autentico clan ‘‘ ,, EQUIVOCI Uomini di punta del tardo illuminismo caddero vittima del radicalismo giacobino. Fu così che la rivoluzione mangiò i suoi figli struzione cultural-politica. Si tratta sempre di approssimazioni maggiori o minori alla verità, che non corrispondono mai alla realtà, spesso ingabbiata in consolidati cliché». Dire che Hitler fu un tiranno non è un cliché, come non lo è per Stalin. «Poi dirò qualcosa sul Novecento, ma ora trasferiamoci nella Roma antica. Si ricorda Tarquinio il Superbo, settimo e ultimo re di Roma? Nei manuali di storia è raffigurato come un tiranno: Tito Livio scrisse di lui tutto il male possibile. Ma il paradosso è che a IL POTERE In alto, una caricatura del potere massonico (1900); qui sopra, l’autoritarismo del sindacalista (1911) Roma non vi fu mai piena democrazia, neppure quando la plebe progredì nelle conquiste, bensì un regime misto. Da tiranno fu trattato anche Giulio Cesare: i suoi assassini erano persuasi di aver abbattuto un dittatore». A Giulio Cesare lei ha dedicato un volume intitolato Il dittatore democratico. «Un ossimoro per dire che alcune istanze popolari riuscirono in parte a passare attraverso l’urto violento della dittatura». Un modello di tirannide folle ed efferata fu interpretato da Nerone. Su di lui non ci sono revisioni? «Mi dispiace deluderla, ma anche Nerone è stato nel tempo drammaticamente stravolto. Dopo la rottura con Seneca, è apparso come una bestia feroce. È probabile che non fosse immune da aspetti criminali, ma la tradizione di certo enfatizza. Altro caso eclatante è quello di Tiberio, esaltato da Velleio Patercolo e letteralmente fatto a pezzi da Tacito. Velleio era un cortigiano, Tacito un critico implacabile. La narrazione storica sulla tirannide ha sempre funzionato così. C’è un caso però che supera tutti gli altri». Quale? «Quello di Procopio di Cesarea, uno storico al servizio di Giustiniano. Dell’imperatore lasciò due ritratti. Uno pubblico, ufficiale: un’esaltazione in piena regola. Un altro segreto, che in sostanza rovescia l’elogio in invettiva. Ecco come uno stesso personaggio può essere raccontato in modi opposti dalla stessa persona». Il concetto di tiranno si coniuga spesso con quello di follia. «Anche questo è un cliché. Hitler esempio di pazzia? Niente di più esagerato. Anche nel finale nibelungico, perseguì ostinatamente un lucido disegno militare, quello delle armi segrete. Lo stesso si può dire degli altri dittatori del Novecento – Stalin, Mussolini, Franco – pur molto diversi tra loro». Saranno cliché, come lei dice, ma spesso i tiranni si assomigliano nel delirio di onnipotenza, negli eccessi, nella ferocia sanguinaria. «Sì, ma tutto ciò appartiene a una categoria morale, non storiografica. È bene non dimenticarlo». Da come lei la racconta, la storia della tirannide è una successione di paradossi. «Proprio così. Pensi alla lotta tra Comuni e Signorie, tra potere assembleare e potere dispotico delle grandi famiglie. Anche i Medici furono visti come tiranni ed esposti a violente congiure. Ma potrei indicare altri esempi». Un ultimo esempio? «Il dispotismo illuminato, il potere assoluto autolimitato dalle riforme illuministe. Ebbene: proprio uomini di punta del tardo illuminismo, che avevano fatto propri i principi di D’Alembert e Diderot, caddero vittima del radicalismo giacobino. Fu così che la rivoluzione si mangiò i suoi figli». I LIBRI ARISTOTELE Politica BUR 2002 NICCOLÒ MACHIAVELLI Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio Einaudi 2000 CARL SCHMITT Dialogo sul potere Il Nuovo Melangolo 1990 ELIE HALÉVY L’era delle tirannie Ideazione 1998 YVES TERNON Lo stato criminale Corbaccio 1997 VITTORIO ALFIERI Della tirannide BUR 1996 MASSIMO SALVADORI Potere e libertà nel mondo moderno Laterza 1996 SENOFONTE La tirannide Sellerio 1986 LUCIANO CANFORA Storie di oligarchi Sellerio 1983 LEO STRAUSS La tirannide Giuffrè 1968 Repubblica Nazionale