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La democrazia, Saddam e il potere dittatoriale

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La democrazia, Saddam e il potere dittatoriale
DIARIO
MARTEDÌ 7 NOVEMBRE 2006
LA REPUBBLICA 53
DI
DI
LA DEMOCRAZIA, SADDAM E IL POTERE DITTATORIALE
Una figura che
da sempre incute
terrore ed è
vissuta come
l’arbitrio assoluto
Ora che il Raìs è
stato condannato
ci si chiede
qual è il rapporto
tra vinti e vincitori
(segue dalla prima pagina)
nche chi non sappia a nessun costo immaginarsi come un tiranno furioso e
sanguinario saprà immaginarsi
dentro il colletto di una camicia
bianca, e passarsi un dito sul collo. Nel suo ruolo di sovrano oltraggiato, Saddam aveva chiesto
l’onore dovuto a un antico militare, di essere fucilato, e che gli venisse risparmiata l’onta dell’impiccagione. Ora, agita il Corano e
trema un po’, come un vecchio intirizzito, mentre gli leggono la
condanna alla corda, e ancora
succede di mettersi nei suoi panni, noi che onoriamo la storia di
un condannato a morte, proprio
alla morte in croce che si riserva ai
reati infamanti.
Si può essere soggiogati dal tiranno, ma non avviene di immaginarsi nei suoi panni. Idolatrato
o temuto, o le due cose insieme, il
tiranno è distante, schiaccia la
folla dal chiuso dei suoi palazzi o
dall’alto dei suoi balconi, e anche
quando le si mescola stringendo
mani e carezzando teste di bambini resta lontano, seducente e ripugnante. Nella caduta però, può
diventare torbidamente vicino.
Era già successo quando l’avevano estratto, Saddam Hussein, o
avevano simulato di estrarlo, dalla sua botola, barbone irsuto e attonito, e poi quando gli avevano
ispezionato il cavo della bocca, e
mostrato al mondo. Ripugnante
sempre, ma ora minacciosamente vicino, com’è chiunque ci ricordi la paura e il freddo, l’umiliazione e il dolore. A riguardarlo ricomposto nelle sue comparse
processuali, perfino con qualche
tocco di cosmesi, nel ruolo ovvio
dell’imputato che si fa accusatore, e insulta la corte e la misconosce e rivendica la propria maestà
lesa, la distanza tornava ad allungarsi, e con essa il fastidio e il disprezzo per una tragedia volta in
farsa. Però, nelle ultime immagini, di nuovo quell’uomo disgustoso, che bestemmia il suo Dio e
ogni Dio gridandone la superiore
grandezza – è solo grosso, il Dio di
Saddam, grosso e madornale a
immagine sua, delle sue statue e
delle sue scimitarre – a un certo
punto insinua nello spettatore
una vicinanza vergognosa, un’involontaria compassione. Ecco rispiegata la condanna del tiranno,
e il rifiuto della pena di morte.
Non sappiamo identificarci con il
tiranno, se non facendo appello al
fondo più oscuro e disgustoso di
noi. Sappiamo identificarci col
condannato a morte, solo che tiriamo fuori la parte migliore di
noi.
Soltanto un facile equivoco
può persuaderci che avversi di
più il tiranno chi ne augura la condanna a morte e se ne compiace, e
al contrario sia più prono o indulgente chi la rifiuti. È in causa la
giustizia. La pena di morte è in bilico fra vendetta e giustizia: un
tempo fu un passo verso la giustizia, fu la vendetta sottratta alla ritorsione privata e assegnata a un
tribunale. Oggi è il residuo tenace
della vendetta che resiste alla giustizia. È difficile dirlo per Saddam
Hussein, perché la legge irachena
contempla la pena capitale, così
come, nella maggior parte, gli Stati di quell’America che è ricorsa
alla guerra per rovesciare il tiranno, un tempo tollerato e a volte
vezzeggiato. Dunque è più difficile aspettarsi da lì il passo indietro
dalla pena di morte, che oltretut-
A
Ambrogio Lorenzetti, un particolare della “Allegoria del Cattivo Governo”
TIRANNO
Quandosimetteamorteildespota
ADRIANO SOFRI
to sarebbe sospetto di viltà o opportunismo. Eppure, non si tratta
solo della vecchia e femminea Europa (che pure conosce provocazioni in tema di pena di morte come quella della Polonia dei
Kaczynski). Nello stesso Iraq, il
presidente Talabani è antico avversario della pena di morte, e ha
annunciato di voler negare la propria controfirma all’esecuzione
di Saddam, cioè, si badi, all’autore provato dello sterminio di decine di migliaia di connazionali di
Talabani. All’Onu si è appena perduta un’altra sessione alla causa
della moratoria universale della
pena di morte – la moratoria è il
nome che saggezza e compassione devono dare al sogno lucido
dell’abolizione universale. Toccherà alla prossima sessione, con
o senza l’impegno univoco e unanime dell’Unione Europea. Il Tribunale Penale Internazionale,
che già si vuole sommergere nello
scetticismo e nel cinismo quando
ancora muove i primi passi, ha nel
suo statuto il bando alla pena di
morte.
Perché in questo caso è così difficile assicurare il tiranno vivo a
una cella per il resto dei suoi giorni? In verità, si direbbe che il tiranno, l’arte del tiranno, sia ancora troppo affascinante agli occhi
di tanti suoi nemici. Assicurarlo a
una prigione normale, senza privilegi e senza torture, una prigione mediocre – questo si addirebbe alla democrazia. La si vuole
esaltare, invece, in una cerimonia
stupefacente, un carnevale della
ferocia detronizzata, un Saddam
Hussein appeso prima per il collo
poi per i piedi, per così dire, davanti agli stessi occhi che si abbassavano terrorizzati dal suo arbitrio. Lo si ammette, del resto:
quando si dice (lo dicono perfino
dei campioni della democrazia liberale e dell’antifascismo) che il
patibolo di Saddam sarà una lezione per tutti gli aspiranti tiranni, un esorcismo liberatorio per
tutti i sudditi calpestati e spaven-
LEO STRAUSS
“
LA TIRANNIDE è un male
congenito della vita politica.
L’analisi della tirannide, pertanto, è antica come la stessa scienza politica. Lo
studio della tirannide compiuto dai primi filosofi politici, fu così chiaro, comprensivo e inalterabilmente
formulato, da essere ricordato e tenuto a mente da
generazioni cui mancò l’esperienza diretta e attuale
della tirannide. D’altra parte, quando noi fummo
sbattuti faccia a faccia con la tirannide - con una specie di tirannide che superò le più ardite immaginazioni dei più potenti pensatori del passato - la nostra
scienza politica non seppe riconoscerla.
Non occorrono molte osservazioni e riflessioni per
intendere che corre un’essenziale differenza tra la tirannide presa in esame dai classici e quella dei nostri tempi. In contrapposizione alla tirannide classica, l’odierna tirannide ha a sua disposizione e la
tecnologia e le ideologie; più in generale, essa
presuppone l’esistenza della “scienza”, o per
meglio dire di una speciale forma di scienza.
TIRANNO
INTERNAZIONALE
D’ARTE CONTEMPORANEA
A TORINO
10 –12 NOVEMBRE 2006
LINGOTTO FIERE / ORE 11.00 – 20.00
THIRTEEN:
FEEL CONTEMPORARY
tati, un battesimo del nuovo Iraq.
Si evoca Norimberga: ma Norimberga non aveva ancora scoperto
la debolezza della pena di morte,
e soprattutto del suo uso simbolico. Si evoca Piazzale Loreto: ma
un piazzale Loreto emulato dalla
giustizia pubblica è doppiamente
orrendo. In mano alla gente irachena Saddam sarebbe stato fatto a pezzi. In cambio, furono abbattute decapitate e trascinate
sulle strade le sue statue: bastava.
Si evoca soprattutto il tirannicidio: ma del tutto fuori luogo. Saddam Hussein è stato un tiranno?
Senz’altro sì. Ha tenuto un potere
fondato sull’arbitrio, e sulla devozione e il terrore del popolo per
lui, e sul suo terrore del popolo e
dei suoi stessi scherani. Oggi troppo spesso si gioca con le parole, si
tratta come un anacronismo la tirannia di sempre, e si regala un titolo di tiranno a persone e gruppi
capaci di plagiare morbidamente
e consumisticamente le moltitudini. Saddam è stato un tiranno.
Dunque la sua esecuzione è un tirannicidio? Assolutamente no. Il
tirannicidio, qualunque cosa se
ne pensi oggi, ha dalla sua un’antica tradizione. Grossi avvocati
come Cicerone, uomini di chiesa,
pensatori e poeti libertari l’hanno
non solo giustificato, ma esaltato
come doveroso e glorioso. E però
il tirannicidio è il gesto di chi non
ha altro modo di vendicare l’offesa estrema inferta all’onore e al
sangue proprio e del proprio popolo, e Vittorio Alfieri, maestro di
tirannicidio ai nostri scolari, raccomanda che il suo autore sia «solo all’impresa», e si sappia capace
di una «totale omissione di se
stesso». Colui, uomo solo e privato, che colpisce il tiranno, e si dispone al sacrificio di sé, non ha
speranza di ottenere giustizia dalle leggi e da un tribunale. Anche se
non si voglia tener conto dell’obiezione machiavelliana come la
riassume Spinoza («...con quanta
imprudenza molti cercano di levar di mezzo un tiranno senza essere in grado di eliminare le cause
che fanno del principe un tiranno...») il tirannicidio non è affare
di Stati e di tribunali e di democrazie, e nemmeno di cospirazioni politiche. Ho appena trovato
questa suggestiva citazione da
una lettera di Thomas Jefferson,
1787: «L’albero della libertà deve
essere rinvigorito di tanto in tanto con il sangue dei patrioti e dei
tiranni. Esso ne rappresenta il
concime naturale». Be’, non
dev’essere più così, e comunque
non per via di sentenze. E tanto
più ragionevoli (benché mediocrissimi, e per così dire piccoloborghesi) sono i progetti di offrire
ai tiranni che vedano vacillare il
proprio trono un salvacondotto e
un conto in banca in qualche
ospizio per farabutti riscattati
preventivamente al bagno di sangue. La buona esportazione della
democrazia si misurerà anche così: sul numero dei tiranni sanguinari e dei despoti sciovinisti e razzisti che moriranno di vecchiaia o
di morte naturale (naturale è stata la morte di Milosevic all’Aja)
avendo dovuto lasciare il potere.
Si troverà stucchevole una simile
premura in un Iraq dove la morte
danza e miete all’ingrosso (voglio
credere, spes contra spem, che la
cifra di 650 mila morti calcolata da
Lancet sia una pazzia), e tuttavia
la vita risparmiata, benché punita, del peggiore fra gli uomini può
essere il più contagioso esempio
della cura per la vita dei buoni.
www.artissima.it / [email protected]
Repubblica Nazionale
“
54 LA REPUBBLICA
LE TAPPE
MARTEDÌ 7 NOVEMBRE 2006
DIARIO
BENITO MUSSOLINI
Il Duce viene giustiziato su ordine del Cln
(Comitato di liberazione nazionale) il 28
aprile 1945, a Giulino di Mezzegra (Como).
Il suo corpo viene appeso a Milano in
piazzale Loreto
ADOLF HITLER
Il Führer si suicida il 30 aprile 1945 nel suo
bunker di Berlino, mentre i sovietici
entrano in città. I gerarchi nazisti sono
processati a Norimberga (1945-46): dodici
di loro sono condannati a morte
AUGUSTO PINOCHET
Sale al potere con un colpo di stato
militare nel 1973: il Cile torna alla
democrazia nel ’90. Viene arrestato in
Gran Bretagna ed estradato nel 2000. È
agli arresti domiciliari per motivi di salute
COS’È LA TIRANNIDE: STORIA E TRASFORMAZIONE DI UN CONCETTO POLITICO
LA FOLLE DERIVA
DEL POTERE ASSOLUTO
CARLO GALLI
I LIBRI
VOLTAIRE
Dizionario
Filosofico
Garzanti 2006
GIORGIO
AGAMBEN
Homo sacer
Einaudi 2005
ISAHIA
BERLIN
La libertà e i
suoi traditori
Adelphi 2005
PLATONE
Politico
BUR 2005
THOMAS
HOBBES
De cive
Editori Riuniti
2005
SHELLEY
KLEIN,
MIRANDA
TWISS
I personaggi
più malvagi
della storia
Newton
Compton
2005
HANNAH
ARENDT
Le origini del
totalitarismo
Einaudi 2004
ALEXANDRE
KOJÈVE
Il silenzio
della tirannide
Adelphi 2004
ANTONIO
GHIRELLI
Tiranni
Mondadori
2002
ROBERT
CONQUEST
Il secolo delle
idee
assassine
Mondadori
2002
RICCARDO
ORIZIO
Parola del
diavolo. Sulle
tracce degli
ex-dittatori
Laterza
2002
ell’Atene classica il tiranno è il titolare personale di un dominio nuovo e grandioso, che prende il
potere per mettere pace in una
città in cui l’egemonia delle
stirpi aristocratiche è venuta
meno, e che è squassata dalla
guerra civile. Ma che il tiranno
sia in grado di stabilizzare i conflitti civili – operazione benefica nel breve periodo – non è sufficiente
a
conferirgli
una qualificazione positiva: in realtà
il suo potere
personale superiore alle
leggi è sentito
come improprio tanto dagli aristocratici quanto
dai democratici. Il tiranno
è in realtà
estraneo sia
all’ideale nobiliare di polis
fondata sul
“rispetto” sia
all’ideale democratico
dell’uguaglianza davanti alla legge, della isonomia; e se
per storici come Erodoto e
Tucidide egli è esterno alla legge e alla ragione, al nomos e al
logos, ai legami morali e discorsivi che sostanziano la cittadinanza degli ateniesi, il tiranno è
per i grandi autori tragici –
Eschilo, Sofocle, Euripide – anche estraneo alla religiosità, orgogliosamente empio, segnato
dall’hybris di chi vuole sottrarsi
alla comune umanità. E quando, a partire dal IV secolo a. C.,
la crisi della polis si manifesta e
si inizia a considerare positivamente anche il governo di uno
solo, la basileia, il tiranno resta
una figura negativa, l’opposto
non più solo dell’aristocrazia e
della democrazia, ma anche
della buona monarchia.
Proprio nella sua negatività il
tiranno è stato oggetto di interesse da parte dei filosofi, da Senofonte a Platone a Aristotele.
Nel primo, che tanto ha colpito
l’ingegno acuto di Leo Strauss,
si manifesta la tentazione – non
certo circoscritta solo alla Grecia – del sapiente di essere la
controparte del tiranno, per
“convertirlo” con la persuasione, la ragione e la virtù, trasformandolo in buon governante;
insomma, il rapporto del filosofo e del tiranno è il rapporto
fra due diverse grandezze. Nel
secondo, la tradizionale condanna del tiranno – uomo autoescluso dalla comunità umana, tragicamente solo nel proprio mondo allucinato – lascia
progressivamente il posto alla
ipotesi del filosofo che si fa re,
dell’unione (antitirannica ma
ugualmente inquietante) del
sommo potere col sommo sapere. Mentre è Aristotele a confermare che la tirannide resta la
peggiore delle forme politiche,
perché è la negazione “privata”
di quella dimensione “pubblica” che alla politica inerisce necessariamente.
L’immagine negativa del ti-
N
‘‘
,,
FORMA DI GOVERNO
È solo con l’età di mezzo che
la tirannide è vista in tutta la sua
negatività. San Tommaso si spinge
a definirlo nemico di Dio
ranno elaborata nella classicità
– il “mostro” responsabile dell’asfissiante chiusura dello
spazio della politica – è consegnata al pensiero politico, filosofico e giuridico dell’età di
mezzo: per Giovanni di Salisbury, per Tommaso, per Bartolo di Sassoferrato la tirannide
è una pessima – anche se frequentissima – forma di governo di uno solo che agisce per il
proprio tornaconto, disprezzando le leggi e calpestando la
Giustizia, ossia l’ordine positivo e regolare dell’essere e delle
cose umane. Il tiranno è la figura del nemico dell’uomo e della
politica, che a volte sfuma in
quella del nemico di Dio, del-
l’Anticristo; e non a caso Tommaso prevede anche la legittimità, in certe circostanze, del
tirannicidio.
Nemico nella Grecia classica
della polis e nel medioevo della
Giustizia, nella prima età moderna il tiranno è il nemico della libertà: di quella collettiva e
repubblicana dei Comuni, in
lotta contro i signori che cercano di spegnervi gli ordinamenti popolari, e di quella dei protestanti che vedono nelle monarchie cattoliche europee –
soprattutto la Francia, all’epoca delle guerre civili di religione
– altrettanti esempi di immoralità e di tirannide, da abbattere.
E nonostante l’avversione di
PLATONE
Hobbes per il concetto stesso di
tirannia – per lui, che ignora l’esistenza di una Giustizia naturale da rispettare, “tiranno” è
solo il nome che i sudditi danno
al re, quando questi agisce in un
modo che a loro non piace – la
figura del tiranno campeggia
anche nella politica dell’età
moderna, come quella del governante che viola le leggi, i diritti, le costituzioni: come quella del governo
illiberale,
straordinario, fondato
sull’arbitrio e
non sulla norma.
Tiranno è
Carlo I, giustiziato
da
Cromwell, tiranno è Giorgio III, ripudiato dai coloni americani, tiranno è
(come tutti i
re) Luigi XVI,
ghigliottinato dalla rivoluzione.
Ma la fase
più sconcertante della
lunga storia
della tirannide
viene
quando questa cessa di
essere l’immagine negativa del Nemico
della buona politica, quando
cioè le sue caratteristiche antiumane e illiberali appaiono
non come il volto di un Avversario facilmente riconoscibile
perché diverso da noi, ma come
il volto della nostra civiltà, che
nella tirannide si specchia e si
riconosce. Iniziò Tocqueville,
nella prima metà del XIX secolo, a parlare di “tirannide della
maggioranza”, per segnalare
che anche la moderna democrazia di massa sa porre in essere, verso i propri cittadini, coazioni potenti come quelle del
solitario tiranno classico. E tutto il XX secolo si è incaricato di
mostrare che la tirannide non si
LA TIRANNIA
Qui sopra,
un’incisione
con la statua
di Nerone; a
sinistra, “La
morte di Giulio
Cesare” di
Vincenzo
Camuccini
(XVIII secolo)
VOLTAIRE
Quando un uomo solo
ha potere e non agisce
secondo le leggi né le
consuetudini, non deve forse
essere chiamato “tiranno”?
Si chiama tiranno il
sovrano che non conosce
altre leggi che il suo
capriccio e che si appropria
degli averi dei suoi sudditi
Politico
IV secolo a. C.
Dizionario filosofico. Tirannia
1769
HANNAH ARENDT
ALEXANDRE KOJÈVE
Il livellamento delle
condizioni dei sudditi è
sempre stato una delle
principali preoccupazioni
di despoti e tiranni
Vi è tirannide là dove
una frazione di cittadini
impone a tutti gli altri
le proprie idee
e il proprio operato
Le origini del totalitarismo
1951
Tirannide e saggezza
1950
caratterizza tanto per la sua
soggettività – anche se si è ancora riproposta l’azione eccezionale e extralegale del leader
carismatico che pretende di instaurare un ordine nuovo, e anche se puntualmente il grande
tiranno ha suscitato nei filosofi
e degli intellettuali a volte repulsione ma a volte anche una
torbida fascinazione – quanto
piuttosto, e ben più radicalmente, per la sua oggettività:
nel Novecento abbiamo conosciuto la tirannide legale, delle
cattive leggi che spesso non è
facile distinguere da quelle
“buone”, la tirannide delle
ideologie e delle loro pretese,
della tecnica e delle sue esigenze, della megamacchina economica e sociale dentro la quale viviamo, alle cui regole impersonali obbediamo.
Oggi, nelle periferie del mondo abbondano ancora i tiranni,
i sanguinari dittatori le cui nefandezze colpiscono la nostra
immaginazione e sollevano il
nostro sdegno. Ma nell’Occidente – che da sempre lo ha ben
conosciuto – il tiranno, ben vivo, ha il volto velato; la sua empietà è anonima; il suo odio per
il logos si manifesta non tanto
nell’imposizione del silenzio
quanto nella chiacchiera soffocante. E mentre il filosofo non
ha più davanti a sé nemmeno
un grande nemico da persuadere (e forse difficilmente troverebbe un nomos e una virtù
da opporgli, se non nella forma
di uno scontro ideologico che
lo collocherebbe allo stesso livello del tiranno), la politica
stessa, senza avere troppo bisogno dell’intervento del “mostro”, sta da tempo trasformandosi in una somma di privatezze che si sostituiscono allo spazio pubblico. E che tirannicamente lo soffocano.
Repubblica Nazionale
MARTEDÌ 7 NOVEMBRE 2006
LA REPUBBLICA 55
DIARIO
POL POT
Il sanguinario leader dei Khmer rossi
muore nel 1998, prima di scontare la
pena che gli viene inflitta da un
processo popolare in Cambogia: la
condanna all’ergastolo
SLOBODAN MILOSEVIC
Il presidente della ex Jugoslavia viene
processato per crimini contro
l’umanità al Tribunale Internazionale
dell’Aja: l’11 marzo 2006 muore in cella
prima del verdetto
SADDAM HUSSEIN
L’ex Rais è condannato
all’impiccagione da un tribunale
iracheno per crimini contro l’umanità
per la strage di Dujail. La sentenza
divide l’Occidente
INTERVISTA ALLO STORICO LUCIANO CANFORA
IL VOLTO ANTICO
DEL DISPOTISMO
SIMONETTA FIORI
l tiranno è un’invenzione, una figura che
appartiene all’immaginario più che alla storia», dice Luciano Canfora, studioso
che vanta assiduità con il tema nelle sue frequenti peregrinazioni tra età classica e
contemporanea. «Cominciamo col dire che in origine la
parola tiranno non ha valore
negativo. Vuol dire semplicemente un potere straordinario, spesso di carattere arbitrale. Egli viene invocato come moderatore nelle lotte politiche e sociali del suo tempo».
I primi tiranni nascono nel
mondo greco?
«Sono i grandi mediatori
che operarono intorno al VI
secolo avanti Cristo in alcune
isole greche. Una figura tipica
di questa specie fu Policrate
di Samo, che soltanto nella
tradizione successiva sarà sfigurato in tremendo despota».
Il primo vero tiranno nell’accezione classica fu Pisistrato.
«Sì, guidò Atene con
un’ampia base popolare, perpetuando il suo potere grazie
a un’estesa rete di uomini, un
autentico clan. Non vorrei già
cominciare a complicare le
cose, ma finché governò Pisistrato non fu certo percepito
come un tiranno. Quando subentrarono al potere i suoi figli, l’epiteto fu loro attribuito
dagli aristocratici avversari,
che contrapposero un primo
modello di democrazia».
Lei sta dicendo che la tirannide di Pisistrato fu un’invenzione dei suoi nemici?
«Guardi, questo paradosso
vale per tutte le dittature che
si succedono nel corso della
storia: il tiranno è tale perché
i suoi nemici lo raccontano
come tale. È una categoria
che appartiene alla lotta politica, più che alla ricostruzione storica. Nel caso dei figli di
Pisistrato, gli oligarchi li dipinsero come oppressori, pur
avendo la democrazia la medesima base sociale della tirannide, ossia il popolo. Pensi che sotto regime di Pisistrato ricoprì una magistratura
Clistene, ritenuto il fondatore
della democrazia. Perfino Tucidide dedicò a Pisistrato pagine di commovente elogio».
Ad Atene era insomma labile il confine tra democrazia
e tirannide.
«Anche il grande Pericle,
che è il simbolo più alto della
democrazia ateniese, sulla
scena fu liquidato come un tiranno: penso ai poeti comici».
Secondo lei, dunque, è tutta una questione di interpretazione.
«Mi faccia citare Thomas
Hobbes, un filosofo inglese
molto approfondito da Norberto Bobbio. Egli sostiene
che tra il re e il tiranno c’è poca differenza. Usiamo il termine tiranno quando ci sentiamo danneggiati e il termine re quando ne siamo sostenitori. Tutto qui».
Se però è tutta questione di
interpretazione, dobbiamo
rinunciare a trovare dei tiranni nella scena storica.
«Un cattivo a tutto tondo,
lei intende? Ora lo troviamo,
ma è sempre frutto di una co-
«I
GLI AUTORI
DIARI ONLINE
Il Sillabario di Leo
Straussè tratto da
La Tirannide
(Giuffrè). Carlo
Galli insegna
Dottrine politiche all’Università
di Bologna. Luciano Canfora è
docente di Filologia greca e latina
all’Università di
Bari.
Tutti i numeri del
“Diario” di Repubblica sono
consultabili su
Internet sul sito
www.repubblica.it, menu supplementi. Qui i
lettori possono
trovare le pagine,
comprensive
delle illustrazioni.
‘‘
,,
IL PRIMO
Nell’accezione classica Pisistrato
inaugurò il modello della tirannide
Egli perpetuò il suo potere
ad Atene creando un autentico clan
‘‘
,,
EQUIVOCI
Uomini di punta del tardo
illuminismo caddero vittima
del radicalismo giacobino. Fu così
che la rivoluzione mangiò i suoi figli
struzione cultural-politica. Si
tratta sempre di approssimazioni maggiori o minori alla
verità, che non corrispondono mai alla realtà, spesso ingabbiata in consolidati cliché».
Dire che Hitler fu un tiranno non è un cliché, come non
lo è per Stalin.
«Poi dirò qualcosa sul Novecento, ma ora trasferiamoci nella Roma antica. Si ricorda Tarquinio il Superbo, settimo e ultimo re di Roma? Nei
manuali di storia è raffigurato
come un tiranno: Tito Livio
scrisse di lui tutto il male possibile. Ma il paradosso è che a
IL POTERE
In alto, una
caricatura del
potere
massonico
(1900); qui
sopra,
l’autoritarismo
del
sindacalista
(1911)
Roma non vi fu mai piena democrazia, neppure quando la
plebe progredì nelle conquiste, bensì un regime misto. Da
tiranno fu trattato anche Giulio Cesare: i suoi assassini erano persuasi di aver abbattuto
un dittatore».
A Giulio Cesare lei ha dedicato un volume intitolato Il
dittatore democratico.
«Un ossimoro per dire che
alcune istanze popolari riuscirono in parte a passare attraverso l’urto violento della
dittatura».
Un modello di tirannide
folle ed efferata fu interpretato da Nerone. Su di lui non
ci sono revisioni?
«Mi dispiace deluderla, ma
anche Nerone è stato nel tempo drammaticamente stravolto. Dopo la rottura con Seneca, è apparso come una bestia feroce. È probabile che
non fosse immune da aspetti
criminali, ma la tradizione di
certo enfatizza. Altro caso
eclatante è quello di Tiberio,
esaltato da Velleio Patercolo e
letteralmente fatto a pezzi da
Tacito. Velleio era un cortigiano, Tacito un critico implacabile. La narrazione storica sulla tirannide ha sempre
funzionato così. C’è un caso
però che supera tutti gli altri».
Quale?
«Quello di Procopio di Cesarea, uno storico al servizio
di Giustiniano. Dell’imperatore lasciò due ritratti. Uno
pubblico, ufficiale: un’esaltazione in piena regola. Un altro
segreto, che in sostanza rovescia l’elogio in invettiva. Ecco
come uno stesso personaggio
può essere raccontato in modi opposti dalla stessa persona».
Il concetto di tiranno si coniuga spesso con quello di
follia.
«Anche questo è un cliché.
Hitler esempio di pazzia?
Niente di più esagerato. Anche nel finale nibelungico,
perseguì ostinatamente un
lucido disegno militare, quello delle armi segrete. Lo stesso si può dire degli altri dittatori del Novecento – Stalin,
Mussolini, Franco – pur molto diversi tra loro».
Saranno cliché, come lei
dice, ma spesso i tiranni si assomigliano nel delirio di onnipotenza, negli eccessi, nella ferocia sanguinaria.
«Sì, ma tutto ciò appartiene
a una categoria morale, non
storiografica. È bene non dimenticarlo».
Da come lei la racconta, la
storia della tirannide è una
successione di paradossi.
«Proprio così. Pensi alla lotta tra Comuni e Signorie, tra
potere assembleare e potere
dispotico delle grandi famiglie. Anche i Medici furono visti come tiranni ed esposti a
violente congiure. Ma potrei
indicare altri esempi».
Un ultimo esempio?
«Il dispotismo illuminato, il
potere assoluto autolimitato
dalle riforme illuministe. Ebbene: proprio uomini di punta del tardo illuminismo, che
avevano fatto propri i principi di D’Alembert e Diderot,
caddero vittima del radicalismo giacobino. Fu così che la
rivoluzione si mangiò i suoi figli».
I LIBRI
ARISTOTELE
Politica
BUR 2002
NICCOLÒ
MACHIAVELLI
Discorsi
sopra la
prima Deca
di Tito Livio
Einaudi
2000
CARL
SCHMITT
Dialogo sul
potere
Il Nuovo
Melangolo
1990
ELIE
HALÉVY
L’era delle
tirannie
Ideazione
1998
YVES
TERNON
Lo stato
criminale
Corbaccio
1997
VITTORIO
ALFIERI
Della
tirannide
BUR
1996
MASSIMO
SALVADORI
Potere e
libertà nel
mondo
moderno
Laterza
1996
SENOFONTE
La
tirannide
Sellerio
1986
LUCIANO
CANFORA
Storie di
oligarchi
Sellerio
1983
LEO
STRAUSS
La
tirannide
Giuffrè
1968
Repubblica Nazionale
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