Il nuovo reato di “Corruzione tra privati” e gli impatti applicativi sul D
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Il nuovo reato di “Corruzione tra privati” e gli impatti applicativi sul D
Bozza soggetta a condivisione estesa ___________________________________________________________________________________________ Il nuovo reato di “Corruzione tra privati” e gli impatti applicativi sul D.Lgs. n. 231/2001 ___________________________________________________________________________________________ EDIZIONE OTTOBRE 2013 INDICE 1. L’iter storico ............................................................................................................................................... 7 2. Gli elementi della fattispecie prevista dall’art. 2635 c.c. ........................................................................... 14 A) I soggetti .................................................................................................................................................. 14 B) Il problema delle qualifiche soggettive ..................................................................................................... 19 C) La condotta .............................................................................................................................................. 26 D) Il nocumento............................................................................................................................................ 29 E) Gli interessi tutelati dalla fattispecie ........................................................................................................ 34 F) Il tentativo ................................................................................................................................................... 44 G) La corruzione tra privati nei gruppi di imprese ......................................................................................... 51 3. L’art. 25-ter, comma 1, lett. s-bis, D.Lgs. n. 231/2001 ................................................................................... 57 4. I processi aziendali a rischio e i relativi controlli ........................................................................................... 61 4.1 Processi a rischio ex D.Lgs. 231/2001 diretto e strumentale ................................................................. 62 4.1.1 Definizione di processo a rischio diretto di commissione del reato di corruzione tra privati .............. 62 4.1.2 Definizione di processo a rischio strumentale al reato di corruzione tra privati ................................. 63 4.2 Possibili processi a rischio diretti e relativi presidi di controllo .............................................................. 63 4.2.1 Vendita di beni e servizi .................................................................................................................... 63 4.2.2 Realizzazione e consegna di beni ed erogazione di servizi ................................................................. 65 4.2.3 Partnership....................................................................................................................................... 67 4.2.4 Acquisti di beni, servizi e consulenze ................................................................................................ 68 4.2.5 Contenzioso ..................................................................................................................................... 71 4.2.6 Gestione delle informazioni riservate/privilegiate............................................................................. 72 4.2.7 Rapporti con la società di revisione .................................................................................................. 73 4.2.8 Rapporti con banche e assicurazioni ................................................................................................. 74 4.2.9 Rapporti infragruppo e con altre parti correlate ............................................................................... 75 4.2.10 Bilancio e tenuta della contabilità ..................................................................................................... 77 4.3 Processi a rischio strumentali e relativi presidi di controllo ................................................................... 79 4.3.1 Acquisti di beni, servizi e consulenze ................................................................................................ 79 4.3.2 Selezione ed assunzione del personale ............................................................................................. 79 2 4.3.3 Bilancio e tenuta della contabilità ..................................................................................................... 81 4.3.4 Flussi finanziari ................................................................................................................................. 81 4.3.5 Omaggi ............................................................................................................................................. 83 4.3.6 Organizzazione di eventi e fiere ........................................................................................................ 84 4.3.7 Sistema di gestione, incentivazione e sviluppo del personale ............................................................ 85 4.3.8 Spese di rappresentanza e di ospitalità ............................................................................................. 87 4.3.9 Sponsorizzazioni e pubblicità ............................................................................................................ 88 4.3.10 Procacciatori di affari, agenti, intermediari e rappresentanti commerciali (in breve intermediari) .... 89 4.3.11 Rapporti infragruppo e con altre parti correlate ............................................................................... 90 5. Indeducibilità del costo correlato alla “tangente privata” ......................................................................... 92 CASE STUDIES .................................................................................................................................................. 95 A) Le politiche commerciali........................................................................................................................... 95 B) Il processo degli acquisti ........................................................................................................................ 103 C) Assunzioni .............................................................................................................................................. 106 D) Il ruolo del sistema informativo .............................................................................................................. 110 3 Premessa Egregi Soci ANDAF, il presente Quaderno si pone l’obiettivo di riepilogare i principali elementi che caratterizzano la fattispecie di “corruzione tra privati” prevista dall’art. 2635 c.c. nella nuova formulazione frutto delle modifiche apportate dalla L. 190/2012. Il motivo che ci ha spinto ad avviare un progetto come quello che ha condotto alla predisposizione di questo documento, nasce dall’esigenza avvertita a livello aziendale di comprendere la rilevanza della novità e l’impatto sull’operatività derivante dall’introduzione nel nostro ordinamento di questa fattispecie assolutamente nuova. Esigenza avvertita in modo più rilevante anche per il richiamo al sistema dei controlli previsto dal D.Lgs. n. 231/2001 in materia di responsabilità amministrativa degli enti in dipendenza della commissione di reati. Il presente documento, quindi, si pone l’obiettivo di fornire al lettore un punto di riferimento rispetto allo scenario dei contributi e commenti apparsi sino ad oggi sul tema, anche in ragione dell’assoluta assenza di indicazioni giurisprudenziali ancora troppo precoci rispetto alla novità normativa che è di novembre 2012. Per raggiungere l’obiettivo prefissato, abbiamo costituito un Gruppo di Lavoro (i cui componenti sono di seguito elencati) composto da diverse professionalità. Da un lato, abbiamo ritenuto necessario il coinvolgimento di professionalità appartenenti al mondo accademico, così da poter fornire al lettore un inquadramento della fattispecie dal punto di vista della dottrina penalistica, dall’altro, abbiamo ritenuto opportuno anche il coinvolgimento di professionalità appartenenti al mondo aziendale al fine di fornire al lettore anche suggerimenti di ordine pratico in merito all’analisi del rischio connesso al configurarsi di questa nuova fattispecie nei diversi processi aziendali ed ai relativi elementi di controllo. Dall’analisi condotta sono emersi molteplici aspetti controversi o forieri di dubbi applicativi, che potranno trovare una concreta risposta soltanto a seguito dell’applicazione pratica che nel tempo si avrà sia da parte del mondo aziendale sia soprattutto da parte dell’Autorità giudiziaria o inquirente. Per tale ragione, questo lavoro è stato sin dall’inizio inteso come un “working progress” costante. Ed è il motivo per il quale il Gruppo di Lavoro si è dato appuntamento a gennaio 2015 al fine di aggiornare il presente Quaderno con eventuali pronunce giurisprudenziali che dovessero intercorrere, come anche di recepire ben accetti suggerimenti di miglioramento che dovessero provenire dal mondo aziendale e da chiunque di voi intenda fornire il proprio contributo anche in ragione dell’esperienza derivante dall’applicazione di questi temi nella propria realtà. A tal fine, chiunque voglia contribuire al miglioramento del presente lavoro può inviare i propri suggerimenti ai seguenti indirizzi di posta elettronica: [email protected] [email protected] In attesa di ricevere numerosi spunti, auguro a tutti una buona lettura. Avv. Michele Pansarella (Socio ordinario di KStudioAssociato) Dott. Antonio La Mattina (Managing Partner di Cogitek) 4 Gruppo di Lavoro Coordinatori: Dott. Antonio La Mattina Managing Partner di Cogitek Socio ordinario di KStudioAssociato Avv. Michele Pansarella Redattori appartenenti al mondo accademico: Prof. Vittorio Manes Professore associato di Diritto penale presso l’Università del Salento Prof.ssa Alessandra Rossi Professore straordinario di Diritto penale presso l’Università degli studi di Torino Prof. Daniele Santosuosso Professore Ordinario di Diritto commerciale e Diritto commerciale internazionale presso l’Università Sapienza di Roma Avv. Andrea Francesco Tripodi Docente di Diritto Penale presso la Scuola di Specializzazione nelle Professioni Legali Università LUISS G. Carli – Roma Redattori appartenenti al mondo dei professionisti Avv. Mario Casellato Studio Casellato Avvocati Penalisti Avv. Gian Luca Grossi Pirola Pennuto Zei & Associati – Milano Dott. Antonio La Mattina Managing Partner di Cogitek Avv. Fabio Foglia Manzillo Studio Legale Foglia Manzillo – Prof. Di Diritto penale presso l’Università telematica Pegaso Avv. Massimiliano Lei Studio Legale Prof. Assumma e Noikos Nike Istituto di ricerche S.r.l. Avv. Michele Pansarella Socio ordinario di KStudioAssociato Avv. Faustino Petrillo Legal Consultant KStudio Associato – Network KPMG Avv. Marco Sargenti Legal Consultant KStudio Associato – Network KPMG Redattori appartenenti al mondo delle aziende Ing. Carlo Camerata Partner presso Opentech S.r.l. Dott.ssa Daniela Graziani Manager for "Ethics Governance Function" within Internal Auditing Department at Poste Italiane Dott. Fabio Massimo Remoli Direzione Compliance – SOX 404 Telecom Italia S.p.A. Dott. Stefano Tezzon Responsabile servizio organizzazione e sistemi informativi ICS (Istituto per il Credito Sportivo) Comitato Tecnico "Corporate Governance & Compliance" ANDAF: Marco Allegrini, Andrea Angelino, Paolo Bertoli, Alberto Carreri, Massimo Pasquale Coluzzi, Claudio Coratella, Roberto Di Mario, Fabio Franci, Fabio Ginelli, Graziano Graziaplena, Claudio Lesca, Alessandro Moro, Antonio Mansi, Alberto Tron, Alessandro Zurzolo. 5 1. L’iter storico EXECUTIVE SUMMARY Decisione Quadro 2003/568/GAI D.Lgs. n. 61/2002 L. n. 190/2012 Convenzione di Merida 2003 Ddl S.19 15 marzo 2013 ABSTRACT Il presente capitolo traccia un excursus storico dell’art. 2635 c.c. – previsto dal D.Lgs. n. 61/2002 e rubricato “Infedeltà a seguito della dazione o promessa di utilità” – fino alla recente riforma introdotta dalla L. 6 novembre 2012, n. 190 (“Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”), che ha riformulato la suddetta disposizione codicistica ed aggiornato il catalogo dei reati-presupposto previsti dal D.Lgs. n. 231/2001 con l’inserimento della lettera s-bis nell’art. 25-ter. E’ poi dedicato ampio spazio alla disamina sia degli obblighi internazionali e comunitari (i.e. Convenzione di Merida, Convenzione di Strasburgo, Decisione Quadro 2003/568/GAI) sia delle osservazioni critiche mosse dai rapporti GRECO (“Group of States against Corruption”) alla normativa italiana. Tale passaggio è utile anche per valutare le scelte del legislatore italiano rispetto al disegno di tutela penale posto a fondamento delle istanze sovranazionali. Infine, de iure condendo, si segnala la presentazione al Senato della Repubblica di un ddl rubricato “Disposizioni in materia di corruzione, voto di scambio, falso in bilancio e riciclaggio”, che propone la riscrittura della fattispecie incriminatrice di corruzione tra privati. 6 1. L’iter storico 1.1 Il D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61 e la ratio della norma La fattispecie di “infedeltà a seguito della dazione o promessa di utilità” è stata introdotta nel nostro ordinamento dall’art. 1 del D.Lgs. n. 61/2002 – disciplina che ha riformato il diritto penale societario – con la previsione dell’art. 2635 c.c., che recitava: “1. Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci, i liquidatori e i responsabili della revisione, i quali, a seguito della dazione o della promessa di utilità, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione sino a tre anni. 2. La stessa pena si applica a chi dà o promette utilità. 3. La pena è raddoppiata se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’art. 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. 4. Si procede a querela della persona offesa.” La suddetta disposizione rappresentava il frutto di impegni sovranazionali, quali la Convenzione sulla lotta alla corruzione, firmata a Bruxelles il 26 maggio 1997, la Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione, stipulata a Parigi il 17 dicembre 1997 (entrata in vigore il 15 febbraio 1999) e l’Azione comune europea del dicembre 1998, aventi l’obiettivo di indurre gli Stati membri ad introdurre nei loro sistemi giuridici fattispecie penalmente rilevanti di corruzione anche nel settore privato, con particolare riferimento all’ambito del diritto penale societario. Occorre sottolineare in via preliminare che il disegno di protezione posto a fondamento delle istanze sovranazionali si presentasse in termini più ampi, prevedendo una fattispecie commettibile da chiunque svolgesse funzioni direttive o lavorative per conto di una persona fisica o giuridica operante nel settore privato (ad esempio, anche enti no profit) e diretta a reprimere condotte anche solo idonee a “comportare distorsioni di concorrenza come minimo nell’ambito del mercato comune” e a “produrre danni economici a terzi attraverso una non corretta aggiudicazione o una non corretta esecuzione del contratto” (art. 2, Azione comune europea). La ratio sottesa all’introduzione dell’art. 2635 c.c. era quella di estendere, sia pure con le dovute differenziazioni, la tutela del modello pubblicistico di corruzione anche alla sfera privatistica, in modo da assicurare una rigida separazione degli interessi patrimoniali dell’ente da quelli dell’amministratore e creare uno statuto penale dell’impresa autosufficiente e svincolato dall’applicazione delle fattispecie in tema di pubblica amministrazione. Nella relazione di accompagnamento al D.Lgs. n. 61 del 2002 si individuava l’esigenza di “repressione dei fatti di infedeltà commessi dai soggetti qualificati a seguito della dazione o promessa di utilità, nella quale tuttavia, conformemente alla legge delega, si orienta la tutela in chiave di protezione del patrimonio sociale, piuttosto che di salvaguardia del solo dovere di fedeltà degli amministratori, 7 trasformando la fattispecie da reato di pericolo a reato di danno e subordinando la procedibilità alla presentazione della querela”. La norma, così come strutturata, è stata oggetto sin da subito di critiche da parte della dottrina più autorevole. In primo luogo, veniva stigmatizzata l’eccessiva restrizione dei soggetti attivi, auspicandosi l’inclusione anche di coloro che sono sottoposti alla direzione o vigilanza altrui, come ad esempio i dipendenti dell’ente. In secondo luogo, la previsione di un evento di nocumento per la società corrotta, cui veniva ricollegato il regime di procedibilità a querela della persona offesa, limitava la concreta applicazione della norma in esame. Invero, la società “preferiva” esperire rimedi extragiudiziali, ricorrendo alle c.d. “dimissioni concordate” dell’intraneo corrotto, evitando a quest’ultimo il coinvolgimento in un procedimento penale e scongiurando allo stesso tempo un danno all’immagine della compagine societaria derivante dallo strepitus fori. Un’ulteriore critica mossa al legislatore del 2002 era quella di aver introdotto una norma che, pur avendo il chiaro e dichiarato obiettivo di dar vita ad una figura di corruzione nel settore privato, non conteneva alcuna menzione ad essa, essendo stato eliminato ogni riferimento al termine “corruzione” nella sua veste finale.1 1.2 Gli obblighi internazionali e comunitari: le Convenzioni di Strasburgo 2 e di Merida3 e la Decisione Quadro 2003/568/GAI La legge 6 novembre 2012 n. 190 ha l’esplicito fine di adempiere agli obblighi derivanti dalla Convenzione ONU contro la corruzione del 31 ottobre 2003 (c.d. Convenzione di Merida) e della Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio d’Europa del 27 gennaio 1999 (Convenzione di Strasburgo). In particolare, la fattispecie descritta nell’art. 21 della Convenzione di Merida e negli artt. 7 e 8 della Convenzione di Strasburgo prevede l’incriminazione di tutti i fatti commessi da chiunque svolga funzioni direttive o lavorative per conto di una persona giuridica o fisica operante nel settore privato. 1 Anche i rapporti GRECO del 2 luglio 2009 e del 23 marzo 2012 in merito all’adeguamento del legislatore italiano alla lotta contro la corruzione evidenziavano le seguenti criticità dell’originario articolo 2635 c.c.: il riferimento esclusivo ad un numero limitato di persone (posizioni manageriali, ma non ogni altro lavoratore o impiegato della società) tra i soggetti attivi del reato; la limitazione a quei casi di corruzione che causano danno alla società; la non conformità della norma, concepita nel nostro ordinamento come una forma di violazione della fiducia, rispetto agli standard internazionali; la mancata menzione, per quanto riguarda i beneficiari della tangente, delle terze parti; il mancato esplicito riferimento alla commissione indiretta del reato, ad esempio tramite intermediari; - la non punibilità ex officio, essendo necessaria la querela della società di appartenenza dell’intraneo corrotto. 2 La Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio d’Europa, firmata a Strasburgo il 27 gennaio 1999, è stata ratificata dall’Italia con la Legge 28 giugno 2012, n. 110. 3 La Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, firmata a Merida il 31 ottobre 2003, è stata ratificata dall’Italia con la Legge 3 agosto 2009, n. 116. 8 Le suddette disposizioni invitano gli Stati membri ad adottare le necessarie misure per assicurare che le seguenti condotte intenzionali costituiscano un illecito penale allorché siano compiute nell’ambito di attività economiche, finanziarie o commerciali: “promettere, offrire o concedere, direttamente o tramite un intermediario, un indebito vantaggio di qualsiasi natura ad una persona, per essa stessa o per un terzo, che svolge funzioni direttive o lavorative di qualsiasi tipo per conto di un'entità del settore privato, affinché essa compia o ometta un atto in violazione di un dovere; sollecitare o ricevere, direttamente o tramite un intermediario, un indebito vantaggio di qualsiasi natura, oppure accettare la promessa di tale vantaggio, per sé o per un terzo, nello svolgimento di funzioni direttive o lavorative di qualsiasi tipo per conto di un'entità del settore privato, per compiere o per omettere un atto, in violazione di un dovere.” Un’ulteriore fonte di diritto comunitario in materia di corruzione tra privati è rappresentata dall’art. 2 della Decisione Quadro 2003/568/GAI4, che – analogamente alle Convenzioni menzionate in precedenza – recita: “1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che le seguenti condotte intenzionali costituiscano un illecito penale allorché sono compiute nell'ambito di attività professionali: a) promettere, offrire o concedere, direttamente o tramite un intermediario, un indebito vantaggio di qualsiasi natura ad una persona, per essa stessa o per un terzo, che svolge funzioni direttive o lavorative di qualsiasi tipo per conto di un'entità del settore privato, affinché essa compia o ometta un atto in violazione di un dovere; b) sollecitare o ricevere, direttamente o tramite un intermediario, un indebito vantaggio di qualsiasi natura, oppure accettare la promessa di tale vantaggio, per sé o per un terzo, nello svolgimento di funzioni direttive o lavorative di qualsiasi tipo per conto di un'entità del settore privato, per compiere o per omettere un atto, in violazione di un dovere. 4 L’art. 29, comma 1, della Legge 25 febbraio 2008 n. 34 (Legge comunitaria 2007) prevedeva la delega al Governo per dare attuazione alla decisione quadro in esame: “1. Il Governo adotta il decreto legislativo recante le norme occorrenti per dare attuazione alla decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato, (…) sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi, realizzando il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti: a) introdurre nel libro II, Titolo VIII, capo II, del codice penale una fattispecie criminosa la quale punisca con la reclusione da uno a cinque anni la condotta di chi, nell’ambito di attività professionali, intenzionalmente sollecita o riceve, per sé o per un terzo, direttamente o tramite un intermediario, un indebito vantaggio di qualsiasi natura, oppure accetta la promessa di tale vantaggio, nello svolgimento di funzioni direttive o lavorative non meramente esecutive per conto di una entità del settore privato, per compiere o omettere un atto, in violazione di un dovere, sempreché tale condotta comporti o possa comportare distorsioni di concorrenza riguardo all’acquisizione di beni o servizi commerciali; b) prevedere la punibilità con la stessa pena anche di colui che, intenzionalmente, nell’ambito di attività professionali, direttamente o tramite intermediario, dà, offre o promette il vantaggio di cui alla lettera a); c) introdurre fra i reati di cui alla sezione III del capo I del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, le fattispecie criminose di cui alle lettere a) e b), con la previsione di adeguate sanzioni pecuniarie e interdittive nei confronti delle entità nel cui interesse o vantaggio sia stato posto in essere il reato”. Come è noto, il termine per l’esercizio della delega è scaduto inutilmente, decorso un anno dall’entrata in vigore della legge comunitaria 2007. 9 2. Il paragrafo 1 si applica alle attività professionali svolte nell'ambito di entità a scopo di lucro e senza scopo di lucro. 3. Uno Stato membro può dichiarare di volere limitare l'ambito di applicazione del paragrafo 1 alle condotte che comportano, o potrebbero comportare, distorsioni di concorrenza riguardo all'acquisizione di beni o servizi commerciali. 4. Le dichiarazioni di cui al paragrafo 3 sono comunicate al Consiglio all'atto dell'adozione della presente decisione quadro e sono valide per cinque anni a decorrere dal 22 luglio 2005. 5. Il Consiglio riesamina questo articolo in tempo utile anteriormente al 22 luglio 2010 onde valutare se sia possibile prorogare le dichiarazioni di cui al paragrafo 3.” Dall’analisi delle suddette disposizioni, si evince che nell’ambito del diritto comunitario e del diritto internazionale pattizio è stata effettuata una scelta ben precisa, cioè tutelare la concorrenza tra imprese mediante la penalizzazione della corruzione tra privati. Invero, la distorsione della concorrenza, dovuta a pratiche corruttive costituite dall’accordo tra un soggetto, che opera all’interno di un’impresa o è legato ad essa da obblighi contrattuali, ed un terzo, affinché il primo venga meno ai suoi doveri, è ritenuta meritevole di repressione penale. Soltanto in via mediata può essere riconosciuta tutela al rapporto contrattuale e di fedeltà, che lega il corrotto al suo principale, mentre nessun riferimento può essere rinvenuto, e quindi, nessun riflesso di tutela accordato, alla tutela del patrimonio dell’impresa. Lo scopo di tali misure di prevenzione è quello di controllare l’attività delle imprese e delle società in modo che esse operino in maniera trasparente e non pregiudizievole per gli interessi economici degli altri operatori concorrenti. 1.3 L’art. 1, comma 76, L. 6 novembre 2012 n.190 Con la Legge n. 190/20125, rubricata “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione” ed entrata in vigore dal 28 novembre 2012, previa 5 Occorre segnalare anche una diversa proposta di legge presentata nel corso della XVI legislatura, che prevedeva – oltre all’abrogazione dell’art. 2635 c.c. – l’inserimento, dopo l’articolo 513-bis del codice penale, del seguente art. 513-ter c.p., rubricato “Corruzione nel settore privato”, che recitava: “E’ punito con la reclusione da uno a cinque anni chiunque, nell’esercizio di un’attività professionale ovvero di direzione di un ente di diritto privato, di lavoro alle dipendenze dello stesso o comunque di prestazione della sua opera in favore del medesimo, indebitamente induce, sollecita o riceve, per sé o per un terzo, direttamente o tramite un intermediario, denaro o altra utilità, ovvero ne accetta la promessa, per compiere od omettere un atto, in violazione di un dovere, qualora dal fatto derivino o possano derivare distorsioni alla concorrenza nel mercato ovvero danni economici all’ente o a terzi, anche attraverso la scorretta aggiudicazione o la scorretta esecuzione di un contratto. Per violazione di un dovere ai sensi del primo comma si intende qualsiasi comportamento sleale che costituisca una violazione di un obbligo legale, di normative professionali o di istruzioni professionali ricevute o applicabili nell’ambito dell’attività dell’ente. La pena di cui al primo comma si applica anche a chi, nell’esercizio di un’attività professionale o di direzione di un ente di diritto privato, di lavoro alle dipendenze dello stesso o comunque di prestazione della sua opera in favore del medesimo, dà, offre o promette denaro o altra utilità. Per i delitti di cui al presente articolo, nei confronti dell’imputato che si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di 10 pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 265 del 13 novembre 2012, l’articolo 2635 c.c., ora rubricato “Corruzione tra privati”, risulta così riformulato: “1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni.6 2. Si applica la pena della reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma. 3. Chi dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma è punito con le pene ivi previste. 4. Le pene stabilite nei commi precedenti sono raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’art. 116 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 e successive modificazioni. 5. Si procede a querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi.” Infine, l’art. 1, comma 77, lett. b), L. 6 novembre 2012 n. 190, modifica l’art. 25-ter, comma 1, del D.Lgs. n. 231/2001, aggiungendo la lettera s-bis), che prevede “per il delitto di corruzione tra privati, nei casi previsti dal terzo comma dell’articolo 2635 del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote”. 1.4 Il disegno di legge d’iniziativa del senatore Grasso ed altri firmatari In data 15 marzo 2013 è stato presentato dal senatore Grasso ed altri firmatari un ddl rubricato “Disposizioni in materia di corruzione, voto di scambio, falso in bilancio e riciclaggio”7, che propone, elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o delle altre utilità trasferite, la pena è diminuita fino alla metà. La condanna alla reclusione per una pena superiore a tre anni comporta l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Nel caso di condanna è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale prezzo”. Inoltre, all’articolo 25-bis.1 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, venivano apportate le seguenti modificazioni: “- al comma 1, lettera b), dopo la parola “513-bis” è inserita la seguente “513-ter”; - dopo il comma 2 è aggiunto il seguente: 2-bis. In relazione al delitto di cui all’articolo 513-ter del codice penale, la sanzione di cui al comma 1, lettera b), è diminuita fino alla metà qualora talune delle persone di cui all’articolo 5, comma 1, forniscano all’autorità investigativa o giudiziaria indicazioni determinanti per la ricostruzione dei fatti ovvero ai fini del sequestro delle somme o delle altre utilità trasferite”. 6 Il testo originario del primo comma dell’art. 2635 c.c. è stato oggetto di due modifiche legislative succedutesi nel tempo. La prima riguarda l’espunzione tra i soggetti attivi dei responsabili della revisione, ad opera del D.Lgs. n. 39/2010, che ad oggi prevede un’ipotesi speciale di corruzione tra privati (art. 28), procedibile d’ufficio. La seconda novella è stata introdotta dalla L. n. 262/2005, che ha incluso tra i soggetti attivi del reato i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari ex art. 154-bis T.U.F. 7 Il ddl S.19 è stato assegnato in data 8 maggio 2013 alla II Commissione permanente Giustizia in sede referente. 11 nell’ambito di un articolato intervento di riforma, anche la riscrittura della fattispecie incriminatrice di corruzione tra privati come reato di pericolo e non di danno, con la conseguente eliminazione della punibilità a querela. Invero, secondo i firmatari della suddetta proposta, “l’attuale previsione determina un’eccessiva limitazione della punibilità di condotte pur idonee a generare gravi alterazioni del mercato e della libera concorrenza. Inoltre, con il presente provvedimento, si propone di punire con la medesima sanzione prevista per i dirigenti il fatto corruttivo commesso dai dipendenti.”8 Pertanto, l’art. 2 del ddl S.19 vorrebbe apportare all’art. 2635 c.c. le seguenti modificazioni: “a) il primo comma è sostituito dal seguente: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori nonché coloro che sono sottoposti alla direzione o vigilanza di uno dei predetti soggetti, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione dei loro doveri, sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni.»; b) il secondo ed il quinto comma sono abrogati.” Verrebbe meno, quindi, il requisito del “nocumento” alla società che oggi deve derivare dalla condotta corruttiva ed il reato in esame avrebbe come unico bene giuridico tutelato quello della concorrenza. Avv. Faustino Petrillo Legal Consultant KStudio Associato – Network KPMG 8 Cfr. Relazione di accompagnamento alla proposta di legge in oggetto, consultabile al seguente link: http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLPRES/699371/index.html. 12 2. Gli elementi della fattispecie prevista dall’art. 2635 c.c. A) I soggetti EXECUTIVE SUMMARY I soggetti attivi della corruzione privata passiva (i c.d. “soggetti corruttibili”): Art. 2635, comma 1, c.c. Amministratori; Direttori generali; Dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari; Sindaci; Liquidatori Art. 2635, comma 2, c.c. Coloro che sono sottoposti alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma (i.e. i lavoratori subordinati, parasubordinati o i collaboratori esterni) I soggetti attivi della corruzione privata attiva (i c.d. “soggetti corruttori”): Art. 2635, comma 3, c.c. Chi dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma (i.e. l’agente di una società concorrente, il fornitore) ABSTRACT Il presente paragrafo individua la platea dei possibili autori della fattispecie di corruzione tra privati, con particolare riguardo anche alla figura del dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari (in seguito “DP”), la cui nomina è prevista dall’art. 154-bis del T.U.F. Nello specifico, assume particolare rilevanza la tipologia di società in cui il DP viene nominato per legge: dovrebbe risultare soggetto attivo del reato solo il dirigente preposto nominato in emittenti quotate aventi l’Italia come Stato membro d’origine. Non dovrebbe invece portare a valutazioni estensive della responsabilità penale la sussistenza di una nomina volontaria di un soggetto analogo al DP in società ove la doverosità della figura è priva di uno specifico riscontro normativo. L’autore si sofferma poi sull’elencazione dei soggetti attivi “di vertice” e sull’esegesi del significato delle formule “coloro che sono sottoposti alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma” e “chi da o promette denaro o altra utilità” utilizzate dal legislatore. 13 2. Gli elementi della fattispecie prevista dall’art. 2635 c.c. A) I soggetti Il tema relativo ai soggetti attivi appare ‘coinvolto’ nella sistematica del diritto punitivo societario a tutto campo, occupando da sempre uno spazio preminente sia, in un quadro di esecuzione monosoggettiva, per l’individuazione degli stessi negli illeciti propri, a soggettività ristretta, sia, in un quadro di esecuzione plurisoggettiva, per la fissazione dei principi finalizzati al corretto coinvolgimento dei medesimi. La platea degli autori della fattispecie di corruzione tra privati presenta interessanti novità, includendo la norma tra i soggetti attivi della corruzione privata passiva (i cosiddetti ‘soggetti corruttibili’), accanto ad amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci e liquidatori (di cui al primo comma), altresì (nel secondo comma, con diminuita rilevanza sanzionatoria) coloro che sono sottoposti alla direzione o alla vigilanza di questi. Si tratta di una configurazione del reato come proprio, a soggettività ristretta preindividuata normativamente. Al terzo comma, poi, la figura del corruttore viene rapportata ed identificata in qualsivoglia soggetto, attraverso l’assunzione della formula “chi dà o promette denaro o altra utilità”, venendosi così a qualificare la norma in parte qua come reato comune, a soggettività allargata. In realtà, due risulteranno le figure soggettive corruttrici di maggior interesse: il corruttore (inserito in o agente per conto di una società) concorrente ed il corruttore fornitore. E si può al riguardo ipotizzare come la corruzione operata dal primo tenderà a radicarsi, circa i soggetti corrotti, nei vertici societari, comporterà un esercizio disfunzionale del potere da parte dell’agente corrotto e, di regola, provenendo da una società concorrente, sarà destinata a produrre pregiudizi di vario genere a detrimento dell’ente in cui si realizzerà il patto corruttivo. La corruzione operata dal fornitore, invece, pur essendo sempre finalizzata ad un esercizio disfunzionale del potere da parte dell’agente corrotto, tenderà comunque a collocarsi a livelli soggettivi medio – bassi nell’organigramma della società ‘bersaglio’. Si evidenzia la classica struttura a concorso necessario di persone nel reato, struttura che da sempre connota, nel sistema penale italiano, le fattispecie di corruzione, con punibilità ‘parallela' del corrotto e del corruttore. E va ricordato, quale sottoscrivibile opzione normativa di non lieve momento, che, stante la formula “per sé o per altri”, la dazione o la promessa di denaro o altra utilità potranno essere dirette non soltanto al corrotto, ma altresì a terzi soggetti estranei al patto corruttivo. E’ ipotizzabile che non poche difficoltà sorgeranno per la concretizzazione delle modalità comportamentali: la tipologia del soggetto attivo verrà ad essere il dato condizionante la rilevanza penale dei comportamenti tenuti, stanti le variabili circa gli obblighi dell'ufficio ricoperto (con la 14 relativa specificazione derivante dalla disciplina normativa o regolamentare, da vincoli contrattuali, da doveri istituzionali imposti dallo statuto o da deliberazioni dell’assemblea, da patti parasociali, da convenzioni endo ed extra organismo) e le conseguenti violazioni e le variabili degli obblighi di fedeltà (comprensivi degli obblighi di lealtà e correttezza, che potrebbero anche non trovare sede in una fonte scritta) e le conseguenti violazioni, ove la qualifica e la caratterizzazione soggettive, affatto diverse nell’individuazione dei soggetti attivi, verranno ad enucleare e a specificare il disvalore della condotta, introducendo una peculiare modalità di lesione. a) Il legislatore del 2012 ha preferito seguire la linea più ‘classica’ in punto di elencazione dei soggetti attivi ‘di vertice’, demandando all’operatività dell’art. 2639 c.c. le estensioni soggettive: circa i soggetti di cui al prima comma, vanno pertanto ricordate le possibili estensioni soggettive (di cui appunto all’appena ricordato art. 2639 c.c.), con la conseguente operatività del disposto sia in relazione ai componenti degli organi gestori e degli organi di controllo nelle forme di governo societario duale e monistico, sia in relazione ai componenti degli organi gestori, ai direttori generali ed ai liquidatori ‘di fatto’, i quali continuativamente e significativamente abbiano svolto funzionalmente l’attività di riferimento, sia ancora (ferma restando la clausola di riserva della prevalente applicabilità delle norme riguardanti i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, per l’operatività della quale comunque sarà necessario l’accertamento della qualifica pubblicistica) a coloro che sono legalmente incaricati dall’autorità giudiziaria o dall’autorità pubblica di vigilanza di amministrare la società o i beni dalla stessa posseduti o gestiti per conto terzi. In riferimento ai dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, a parere di chi scrive, assume particolare rilevanza la tipologia di società in cui essi debbono essere per legge nominati: sulla base di quanto indicato normativamente, dovrebbero risultare destinatari del reato soltanto i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari nominati in emittenti quotati aventi l'Italia come Stato membro d'origine (rinviandosi, per la ‘concretizzazione’ del concetto di riferimento, alla corrispondente definizione dallo stesso decreto legislativo introdotta nell'art. 1, comma 1, lett. w quater, del D.Lgs. n. 58/98 e succ. mod.). Per l’ascrizione di questo (come peraltro degli altri illeciti penali societari che annoverano tra i possibili soggetti attivi i dirigenti in parola), ne dovrebbe quindi essere accertata l’operatività in una società rientrante in quelle indicate, così trattandosi di figura soggettiva obbligatoriamente prevista in punto ‘esistenza’ e ‘nomina’. Di tale che non dovrebbe portare a valutazioni estensive la sussistenza di una nomina volontaria di un soggetto analogo al dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari in società, ove la doverosità della figura è priva di specifico e mirato riscontro normativo, essendo proprio l’obbligatorietà della nomina che, se per un verso ‘attira’ la valenza operativa delle disposizioni (civili o penali, precettive o sanzionatorie) riguardanti la figura soggettiva all’esame, ovunque esse siano collocate, per altro verso ne circoscrive l’applicazione. Va però posta all’attenzione una impostazione ‘agli antipodi’ rispetto a quella limitativa qui prospettata e sottoscritta, sostenuta da Confindustria nelle ‘Linee Guida per lo svolgimento delle attività del dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari ai sensi dell’art. 154 bis 15 t.u.f.’ del 13.12.2007, ove si asserisce – forse in un quadro contestuale ad impronta ‘cautelativa’ - che la scelta operata da parte di una società non quotata di nominare attraverso espressa previsione statutaria il dirigente preposto, secondo le modalità dettate dall'art. 154 bis t.u.f., renderebbe questa figura a tutti gli effetti assimilabile al medesimo soggetto di una società quotata. Peraltro, alcune disposizioni di cui al D. Lgs. n. 58 del 1998 e succ. mod. ‘tendono’ ad applicare regole normative previste in prima battuta per le società quotate di cui all’art. 119 D. Lgs. n. 58 del 1998 e succ. mod. alle società emittenti strumenti finanziari che, seppur non quotati in mercati regolamentati italiani, siano diffusi tra il pubblico in maniera rilevante (art. 116) e proprio nel contesto dell’art. 2635 c.c. il legislatore, al quarto comma, statuisce, per l’aggravamento della risposta sanzionatoria, che “Le pene stabilite nei commi precedenti sono raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’Unione Europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’art. 116 d. lg. 58 del 1998 e succ. mod.”: va di conseguenza dato atto che si potrebbe presentare il problema della possibile estensione della considerazione penale al dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari in esse nominati. b) Particolare attenzione va focalizzata sull'indicazione relativa a “chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza” dei predetti soggetti. Si tratta di una presa di posizione del legislatore della riforma sufficientemente chiara nella sua direzione estensiva a chi effettivamente potrebbe porre in essere le modalità comportamentali, mantenendosi tuttavia l'ipotesi a soggettività ristretta ‘endosocietaria'. Il riferimento riprende quanto indicato nell'art. 5, lett. b), D.Lgs. n. 231 del 2001 circa i soggetti (appunto ‘sottoposti') che potrebbero realizzare, nell’interesse o vantaggio della persona giuridica, i reati-presupposto per la diretta responsabilità amministrativa da reato dell’ente. Per l'individuazione di tale categoria di soggetti (quali soggetti corruttibili), è pacifico che vi rientrino innanzitutto i lavoratori subordinati. Infatti, nella dottrina e nella giurisprudenza giuslavoristiche il requisito della ‘direzione e vigilanza' corrisponde biunivocamente al carattere della subordinazione, affermandosi uniformemente che il requisito fondamentale del rapporto di lavoro subordinato, ai fini della sua distinzione da rapporto di lavoro autonomo, è il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall'emanazione di ordini specifici, oltre che dall'esercizio di un’assidua attività di vigilanza e controllo dell'esecuzione delle prestazioni lavorative. Paiono riconducibili alla categoria anche i lavoratori parasubordinati, nel quadro dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa senza vincolo di subordinazione, di cui all'art. 409, n. 3, c.p.c. Maggiori perplessità ‘tecniche' possono sorgere in riferimento ai collaboratori esterni, che si trovino in qualche modo a dismettere parte della loro autonomia a favore dell'ente, come agenti, concessionari di vendita, franchisees, ovvero fornitori o altri soggetti — ad esempio, consulenti esterni — aventi rapporti contrattuali con la società. Infatti, prendendo ad esempio gli agenti, non sembra potersi affermare che essi siano sottoposti alla direzione o vigilanza del preponente, in quanto, se hanno l'obbligo di osservare le istruzioni che questi gli ha impartito ex art. 1746 c.c., proprio tali istruzioni devono tenere conto dell'autonomia operativa 16 dell'agente ed il controllo è quello dell'adempimento, caratteristico di ogni rapporto contrattuale. Tuttavia, con una lettura sostanzialistica ed autonoma dei termini nel sistema penale, considerato che detti soggetti ben potrebbero in concreto “a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri” compiere od omettere “atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società” potrebbe essere opportuno non escludere una possibile loro considerazione penale. Va dato atto che al riguardo già dai primi commenti si evidenziano due tendenze esegetiche; da una parte, vi è chi lamenta un’estrema possibile dilatazione del novero dei soggetti sottoposti – lavoratori subordinati o parasubordinati - diretti collaboratori degli apicali, a fronte dell’esclusione dell’applicabilità in relazione a ‘professionisti’ esterni, ai quali le fonti sovranazionali fanno, invece, espresso riferimento; dall’altra, una diversa impostazione reputa non necessario un rapporto di formale dipendenza nei sottoposti alla direzione o alla vigilanza, essendo sufficiente che essi operino a qualunque titolo e sussista comunque un legame di fedeltà verso la società, la cui violazione costituisca oggetto della illecita pattuizione. c) L’art. 2635 c.c. è stato aggiunto, con riferimento al terzo comma, dalla L. n. 190 del 2012, nell’art. 25 ter (lett. s-bis), quale nuovo reato presupposto. L’ente, di conseguenza, verrà a rispondere dell’illecito di corruzione tra privati allorquando, nel suo interesse o vantaggio, i soggetti ‘corruttori’ in esso inseriti quali soggetti rapportabili alle indicazioni di cui all’art. 5 lett. a) e lett. b) ed alle indicazioni di cui all’incipit dell’art. 25 ter D.Lgs. n. 231 del 2001, in combinato disposto, diano o promettano denaro o altra utilità ad amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci, liquidatori e/o a soggetti sottoposti alla direzione o alla vigilanza di taluno di essi. Prof.ssa Alessandra Rossi Professore straordinario di Diritto penale presso l’Università degli studi di Torino 17 B) Il problema delle qualifiche soggettive EXECUTIVE SUMMARY Caratterizzazione della corruzione tra privati per l’assenza nei soggetti corruttibili della qualifica di pubblici funzionari: - art. 357 “Nozione di pubblico ufficiale” c.p.: esercizio di poteri autoritativi, certificativi o emanazione di atti che formano e manifestano la volontà della p.a.; - art. 358 “Nozione della persona incaricata di un pubblico servizio” c.p.: esercizio di un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, con l’esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale Il fenomeno delle privatizzazioni ed il conseguente impatto sull’ambito di operatività dei reati dei pubblici agenti L’identificazione delle attività riconducibili al concetto penalistico di “pubblica funzione” e di “pubblico servizio” La disciplina penalistica tra corruzione pubblicistica e corruzione tra privati ABSTRACT Il presente paragrafo analizza il fenomeno delle privatizzazioni (i.e. il servizio postale) e la conseguente risposta della giurisprudenza alle radicali modificazioni dei moduli di intervento nell’economia da parte dello Stato, caratterizzata da una dilatazione della portata applicativa degli artt. 357 (“Nozione del pubblico ufficiale”) e 358 (“Nozione della persona incaricata di un pubblico servizio”) c.p. L’Autore critica il suddetto orientamento in quanto le profonde modifiche registratesi sul fronte del diritto pubblico dell’economia avrebbero dovuto avere come ricaduta consequenziale una diversa distribuzione dei controlli penali, in taluni casi non più pertinenti rispetto ad un’attività esercitata secondo forme privatistiche e, soprattutto, secondo un regime concorrenziale. A seguire tale impostazione ermeneutica, potrebbe essere rivista la tradizionale iscrizione al novero dei pubblici servizi “agli effetti penali” almeno di quelle attività ormai esercitate in regime di concorrenza e di libero mercato, da un soggetto (pubblico o privato che sia) posto in posizione di parità con gli altri competitors e gravato dal medesimo rischio d’impresa: ne deriverebbe, quindi, un sostanziale ampliamento nell’applicazione dello statuto penale delle società commerciali. 18 B) Il problema delle qualifiche soggettive Come è noto, a partire dalla svolta degli anni ’90, e con intensità crescente, sospinta da un rinnovato fulgore dell’ideologia liberista, “la privatizzazione diviene manifesto di governo, simbolo rinnovatore, slogan popolare”,9 dispiegandosi prima in privatizzazioni formali (o privatizzazioni "fredde"), poi in privatizzazioni sostanziali, quando lo Stato ha preso non solo ad affidare alla forma privatistica talune grandi aziende statali, ma altresì a dismettere le azioni cedendole ai privati. Parallelamente, ed ancora sulla scorta di impegni sovranazionali, si è cominciato ad aprire alla concorrenza ed al mercato taluni plessi fondamentali dell'attività economica prima sottoposti a un fortissimo condizionamento pubblicistico, spesso garantiti da regimi di monopolio e/o di riserva pubblica: con una transizione, a mio avviso, ancora più importante per ciò che concerne l’ambito di operatività dei reati dei pubblici agenti. Nell’ambito degli stessi “servizi pubblici”, persino i settori – o le filiere – tradizionalmente più riottosi rispetto alle dinamiche concorrenziali (si pensi ai grandi servizi pubblici a rete, dall’energia elettrica, alla telefonia, sino al trasporto ferroviario, etc.) si sono lentamente aperti alla concorrenza e al mercato. Nè tale fenomeno si è arrestato a livello nazionale: questi processi si sono infatti vascolarizzati anche in sede locale, posto che la concorrenza – pur con diversa intensità e con cadenze ancora frammentarie e non prive di incoerenze – ha progressivamente contaminato con la sua “distruzione creativa” anche e sempre di più i cc.dd. “servizi pubblici locali”, secondo percorsi non privi di intermittenze e contraddizioni, e purtuttavia tuttora in itinere. Questa profonda transizione - di cui è qui possibile accennare solo in estrema sintesi - ha avuto come conseguenza principale, dal punto di vista del diritto penale, una notevole difficoltà d’inquadramento, essendo il sostrato amministrativistico profondamente mutato, e mutato lo stesso contesto economico che il diritto penale con i reati contro la pubblica amministrazione doveva abbracciare. Anche qui tuttavia – come si accennava - la risposta giudiziale si è declinata, sostanzialmente, in chiave di supplenza, motivata soprattutto dall’insipienza dello statuto penale societario: in sintesi, la giurisprudenza ha reagito alle radicali modificazioni dei moduli di intervento nell'economia da parte dello Stato – agli incalzanti processi di privatizzazione e liberalizzazione – tenendole in non cale, continuando a ritenere configurabili le qualifiche soggettive pubblicistiche (artt. 357 e 358 c.p.), ed anzi dilatandone a dismisura la portata, anche in ragione dell’ambiguo “criterio (normoteoretico) di delimitazione esterna” – le “norme di diritto pubblico” ed “atti autoritativi” –, pur eletto a testata d’angolo dalla riforma del 1990 per fissare il confine tra ambito pubblico ed ambito privato; criterio che – in assenza dei “poteri tipici” (autoritativi, certificativi) che pur contribuiscono a conferire una qualche tipicità alla figura del pubblico ufficiale - finisce per rappresentare l’unico parametro identificativo, in particolare, della qualifica minore, ossia la nozione di “pubblico servizio”, divenuta nella prassi giurisprudenziale davvero un “legal black hole” capace di inglobare gli ambiti e le attività 9 Rinvio, per tutti, allo straordinario affresco di N. Irti, Dall’ente pubblico economico alle società per azioni (profilo storicogiuridico), in Id., L’ordine giuridico del mercato, II ed., Bari, 2003, 159 ss., 167 s. 19 più disparate. Così, quella che da altre prospettive (del diritto privato, commerciale, amministrativo, e più in generale del diritto pubblico dell’economia) è stata registrata come una autentica “sovversione di sistema” ha trovato sul piano del diritto penale una risposta anelastica, scontrandosi con una sorta di immobilismo, tradotta in tracciati giurisprudenziali in sostanziale e sorprendente continuità con un passato che tuttavia, inquadrato da differenti angolature, appariva sempre più remoto. Negli orientamenti della Cassazione (e dei giudici di merito) si è continuato a contestare “pacificamente” la qualifica di pubblico agente (e soprattutto - lo si ripete – la qualifica “minore” di “incaricato di pubblico servizio”) anche in quei settori dove i processi evolutivi avevano fatto scolorire l’originario condizionamento pubblicistico: e questa curiosa persistenza è stata garantita talvolta facendo leva su vaghi criteri ontologici o teleologici, talaltra facendo affidamento su obsoleti criteri soggettivistico-formali, 10 criteri tutti eccentrici – in ogni caso – rispetto alle scelte definitorie degli artt. 357 e 358 c.p., come riformulati dalla L. n. 86 del 1990. Siamo al punto centrale, ed all’interrogativo sul quale la giurisprudenza penale (anche di legittimità) ha fatto sempre epoché: se non c'è un regime di monopolio o una riserva pubblica sull’attività, se il gestore di quel servizio non opera come sostituto della p.a. né gode di finanziamenti pubblicistici, può dirsi davvero che quell’attività sia (ancora) riconducibile al concetto di “pubblico servizio” agli effetti penali? A mio sommesso avviso la risposta – pur dovendo attentamente considerare le peculiarità dei singoli settori, e forse anche dei singoli segmenti e filiere - dovrebbe essere quanto meno problematica, e la giurisprudenza avrebbe dovuto trovare il coraggio di ammettere che se l’attività o il “servizio” sono ormai esercitati in regime di concorrenza e di libero mercato, da un soggetto (pubblico o privato che sia) posto in posizione di parità con gli altri competitors, e gravato dal medesimo rischio d’impresa (non sterilizzato da una assunzione pubblicistica delle perdite), gli stessi non dovrebbero più essere considerati “pubblici”, almeno agli effetti della legge penale, se non – come recitava il titolo di un fortunato saggio di Tullio Ascarelli - per “concettualismo giuridico o per magia delle parole”. 11 Ma su questo punto – lo si è accennato - la giurisprudenza ha fatto molta fatica a convincersi, spinta anche dalla paura di dover sostituire uno strumentario punitivo (almeno astrattamente) penetrante – quale quello offerto dai delitti del Capo I, Titolo II, Libro II del codice penale - con controlli assai più blandi ed ex ante ineffettivi, ossia quelli offerti da uno statuto penale delle società commerciali miniaturizzato e depotenziato dalla riforma del d.lgs. n. 61 del 2002, ed ormai ridotto – per molti aspetti – a telum imbelle sine ictu. 10 Rinvio ancora, per riferimenti giurisprudenziali, a V. Manes, Servizi pubblici e diritto penale. L’impatto delle liberalizzazioni sullo statuto penale della pubblica amministrazione, Torino, 2010, 91 ss., 94 ss., 111 ss. 11 Si è cercato di argomentare questa conclusione – che qui può solo riassumersi con cruda sintesi - anche alla luce di una analisi della dottrina amministrativistica e di un confronto comparatistico con l’esperienza tedesca, nel già citato studio Servizi pubblici e diritto penale, cit., in ptc. 150 ss., 178 ss., 194 ss., 199 ss.; tale tesi è stata discussa ed appronfondita nel lucido approfondimento di A. Vallini, La nozione di “incaricato di pubblico servizio” e l’odierna realtà dei servizi di interesse generale, in Cass. pen., 2012, 4293 ss., che ne ha arricchito la portata anche con penetranti osservazioni critiche. Amplius, Id., Le qualifiche soggettive, in F. Palazzo (a cura di), Delitti contro la pubblica amministrazione, Trattato di diritto penale, parte speciale, II, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2011, 729 ss. 20 Insomma: si sarebbe dovuto riconoscere, in realtà, che le profonde modifiche registratesi sul fronte del diritto pubblico dell’economia hanno come ricaduta consequenziale anche una mise en question ed una diversa distribuzione dei controlli penali, in taluni casi non più pertinenti rispetto ad una attività esercitata secondo forme privatistiche e, soprattutto, secondo un regime concorrenziale (ancorché da una società a partecipazione pubblica, o da una società mista pubblico-privata). 12 Il che peraltro non significa automatica e totale dismissione, per il servizio volta a volta considerato, dei più severi presidi posti a contrasto della “corruzione amministrativa”: da un lato perché si registrano – ed è ciò che normalmente accade – processi di apertura al mercato che convivono comunque con l’apposizione di “obblighi di servizio universale”, dall’altro perché – comunque – la liberalizzazione di un certo servizio può essere solo parziale e frammentaria, e non comprendere taluni segmenti o ambiti dell’attività. Basti l’esempio del servizio postale: come è stato recentemente segnalato, 13 lo “stadio” della liberalizzazione in quest’ambito – scandito da diverse direttive europee oggetto di progressiva trasposizione14 - registra un assetto attuale nel quale, accanto a Poste italiane s.p.a anche altri operatori possono fornire servizi postali, sia nell’ambito del c.d. servizio “universale” (mediante licenze individuali – cioè per singole e specifiche prestazioni – rilasciate dal Ministero dello Sviluppo economico, mentre a Poste italiane s.p.a è affidata la fornitura su tutto il territorio nazionale fino al 30 aprile 2025), sia nell’ambito dei servizi cd. “a valore aggiunto” (tramite autorizzazione generale sempre rilasciata dal Ministero dello Sviluppo Economico); tuttavia, restano comunque affidati a Poste italiane in via esclusiva, per esigenze di ordine pubblico, le notificazioni a mezzo posta degli atti giudiziari e degli atti relativi al Codice della strada. A seguire l’impostazione da noi proposta e precedentemente sintetizzata, ciò significa che in questo contesto – ed è solo un esempio - potrebbe essere rivista la tradizionale ascrizione al novero dei pubblici servizi “agli effetti penali” almeno di quelle attività ormai “aperte alla concorrenza” – quanto meno l’ambito dei cc.dd. servizi a valore aggiunto –, mentre altri segmenti della filiera – come appunto le notificazioni di atti giudiziari e di atti del Codice della strada – resterebbero ancora “riservati”, e, dunque, attratti nell’orbita pubblicistica, 15 rimanendo peraltro aperto il problema di inquadramento dei cc.dd. “servizi postali universali” (in particolare consistenti nella raccolta, smistamento e distribuzione di invii postali fino a 2 kg e di pacchi postali fino a 20 kg, nonché nei servizi relativi agli invii raccomandati e agli invii assicurati).16 12 Ma sul “nodo” delle società a partecipazione pubblica si rinvia ancora a V. Manes, Servizi pubblici, cit., 219 ss. Si rinvia, in particolare, alla ricca nota di B. Gardella, La qualifica soggettiva del dipendente di poste italiane s.p.a. addetto allo “smistamento” della corrispondenza [nota a Cass. pen., sez. IV, 20 novembre 2012 (dep. 27 novembre 2012), n. 46245, Pre. Agrò, est. Aprile], in www.penalecontemporaneo.it. 14 In particolare le direttive 97/67/CE, 2002/39/CE e 2008/6/CE, quest’ultima attuata con il d. lgs. n. 58/2001. 15 Così, ancora, B. Gardella, La qualifica soggettiva del dipendente di poste italiane s.p.a. addetto allo “smistamento” della corrispondenza, cit., p. 6 . 16 Sotto questo profilo – uno dei punti cruciali del problema - la posizione da noi sostenuta, non ritiene necessariamente dirimente la sussistenza di “obblighi di servizio universale”, sino a quando tali obblighi non emancipino effettivamente il servizio stesso dalle logiche di mercato, sottoponendolo al regime amministrativo e imputandone i relativi bilanci allo Stato o agli enti pubblici (laddove cioè lo Stato si faccia carico dell’organizzazione e degli oneri dell’erogazione resa 13 21 Testato in vivo, insomma, il problema dell’identificazione delle attività riconducibili al concetto penalistico di (“pubblica funzione” e di) “pubblico servizio” si dimostra sempre più ricco di sfumature cromatiche, ed evidenzia l’opportunità di un approccio al problema che rifugga soluzioni onnicomprensive ed “olistiche”. Ed anche qualora si convenisse nel riconoscere che - di fronte alle trasformazioni intervenute - il “vecchio” pubblico servizio è ormai dominato da logiche (di mercato) incompatibili con quel condizionamento pubblicistico che la definizione codicistica appare richiedere come nota peculiare (pur con l’ambiguità del riferimento a “norme di diritto pubblico ed atti autoritativi”), anche in questo caso – preme ancora sottolineare – una tale conclusione non significa per ciò solo necessaria e totale elisione dei più severi controlli penalistici offerti dallo statuto penale dei pubblici agenti: infatti, così come possono darsi contesti pubblicistici dove aggallano “ambiti” o “fasi” privatistiche,17 possono darsi contesti privatistici (“agli effetti penali”) dove però possono riemergere profili pubblicistici, come quando una società impegnata in attività indubbiamente private, sulla base dei criteri imposti dal Codice degli appalti, è tenuta a svolgere procedure di evidenza pubblica (ossia a “fare gara”), con il che il soggetto preposto – vertendosi in un chiaro esempio di conferimento di potestà pubblicistiche ad un privato - si riveste della qualifica non già solo di incaricato di pubblico servizio, bensì di pubblico ufficiale (con tutte le conseguenze che da tale qualifica “maggiore” possono derivare, ad esempio in tema di misure cautelari). 18 Insomma: anche nella prospettiva penalistica, “pubblico” e “privato” – secondo una antica lezione – non si con-fondono tra loro inscindibilmente, ma si mescolano come acqua ed olio, lasciando spesso la possibilità di riconoscere i rispettivi ambiti, anche nelle modulazioni quoad disciplinam. Anche sul crinale problematico al centro di queste brevi riflessioni – ossia quello dell’ambito di applicabilità dei reati contro la p.a. - la riforma, pur non intervenendo direttamente sulle qualifiche accessibile a dispetto del suo costo, corrispondendo compensazioni pubbliche al gestore del servizio che superino gli oneri economici: sul punto, V. Manes, Servizi pubblici e diritto penale, cit., 206 ss.): del resto, diverse attività tradizionalmente considerate – anche dalla giurisprudenza penale – annoverabili tra le attività private (come il trasporto taxi) sono soggette a prestazioni vincolate assimilabili ad “obblighi universali”. Diversamente, tuttavia, l’immanenza sull’attività di “obblighi di servizio universale” è stata considerata decisiva da A. Vallini (La nozione di incaricato di pubblico servizio e l’odierna realtà dei servizi di interesse generale, cit.), ritenendo che in questi casi l’intervento pubblico in chiave compensativa delle distorsioni del libero mercato – “al di là dell’allocazione di costi e profitti” – denoti l’intento della p.a. di perseguire quei principi di imparzialità e di buon andamento (art. 97 Cost.) che sono indice del regime pubblicistico cui il servizio è soggetto. 17 E’ una distinzione ormai tralatizia – nonostante, anche su questo versante, perduranti incertezze giurisprudenziali coltivata alla luce dell’impostazione oggettivo-funzionale delle qualifiche: per tutti, cfr. già P. Severino, voce Pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio, in Digesto/pen., vol. X, Torino, 1995, 508 ss., 513 ss., e in relazione alla qualifica di i.p.s. (e all’ipotesi della concessione), 521 ss.; più di recente, M. Romano, I delitti contro la pubblica amministrazione. I delitti dei privati, Le qualifiche soggettive pubblicistiche – Commentario sistematico, III ed., Milano, 2008, 272 ss., 302 ss., ed in ptc. 305 ss. (ove l’illustre A. sottolinea la necessità di analizzare “la mansione presa singolarmente”, e puntualizza anche la distinzione tra attività e singolo atto”). 18 E di ciò sembra, del resto, prendere atto anche la giurisprudenza più recente: per la configurabilità della qualifica di “pubblici ufficiali” in capo ai commissari di una gara per l’appalto di lavori pubblici, indetta da una s.p.a. (riconducibile al novero degli “organismi di diritto pubblico”), si veda, in particolare, Trib. Padova, ufficio G.i.p., 5 ottobre 2011, n. 778/11, in Dir. proc. pen., 2012, 1089, con ricca nota di A. Vallini, Quando e perché i commissari di una gara indetta da una s.p.a. possono ritenersi pubblici ufficiali. 22 soggettive di cui agli artt. 357 e 358 c.p., avrebbe potuto dare qualche impulso verso una più coerente redistribuzione dell’area di illiceità penale, e verso un riequilibrio del riparto tra corruzione amministrativa e corruzione tra privati: ne offriva il destro, in particolare, l’intervento sulla principale fattispecie deputata a contrastare le dazioni illecite in contesti privati (ossia l’art. 2635 c.c., “Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità”), sollecitato soprattutto dalla necessità di ridurre le asimmetrie con gli obblighi emergenti sul piano sovranazionale. 19 Il restyling, tuttavia, è stato solo frammentario, e non sembra in grado di migliorare davvero il coefficiente di efficacia ed efficienza della norma. A fronte di un debolissimo innalzamento del minimo edittale, certo è apprezzabile l’ampliamento della sfera dei soggetti attivi, come pure la corresponsabilizzazione dell’ente, 20 e – pur a fronte di una per vero poco comprensibile scelta di confermare la procedibilità a querela per l’ipotesi “base”21 - sembra opportuna anche la rinuncia alla procedibilità privilegiata quando “dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi”, perché apre – quanto meno - uno spiraglio verso una prospettiva più congeniale alla ghiera degli interessi tutelati:22 ma la connessione eziologica che – secondo alcuni commenti “a prima lettura” - sembra legare tale esito al “fatto” di reato – dunque la non agevole prova del nesso causale (fuori dalle circostanze di cui all’art. 41 cpv., c.p.) - e la non facile verificabilità empirica dello stesso “evento” sono tutti connotati che profilano ambiguità potenzialmente in grado di compromettere la stessa procedibilità d’ufficio, sterilizzando in concreto la più importante modifica della fattispecie, e con essa buona parte della portata (e dell’effettività) del presidio punitivo. 23 19 Per una prima, diffusa analisi della nuova formulazione del reato di cui all’art. 2635 c.c., si rinvia a S. Seminara, Il reato di corruzione tra privati, in Le Società, n. 1/2013, 61 ss. 20 Sul punto, si rinvia anche a A. Rossi, L’analisi di recenti casi di corruzione nel panorama privato. Soggetti coinvolti, reati contestati e responsabilità dell’ente ex d. lgs. n. 231/01, relazione presentata al seminario di studi organizzato da Synergia Formazione, Milano, 6-7 febbraio 2013. 21 Sottolinea con vigore la perdurante “rozzezza di questa subordinazione dell’interesse pubblico a quello privato”, sottesa al mantenimento della procedibilità a querela per l’ipotesi “base”, ancora a S. Seminara, Il reato di corruzione tra privati, 66. 22 Prospettiva peraltro suggerita – rectius: imposta – dagli obblighi sovranazionali, in linea con una prospettiva di tutela che non sembra riducibile ad interessi squisitamente patrimoniali ed endosocietari. 23 Nei primi commenti, tra le molte voci critiche sui troppo blandi correttivi apportati alla fattispecie di cui all’art. 2635 c.c., si staglia proprio l’attacco indirizzato alla tecnica di struttura del requisito che fonda la procedibilità d’ufficio (se “dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nell’acquisizione di beni o servizi”). Si è rilevato, in particolare, che “La novella (…) sembra aver configurato – peraltro all’esclusivo fine di definire il regime di procedibilità – un vero e proprio ulteriore evento del reato, dal problematico (a dir poco) accertamento e ambiguamente posto in rapporto di derivazione causale non già con la condotta illecita, bensì con il “fatto” oggetto di incriminazione nel suo insieme, talché si potrebbe giungere a sostenere che la distorsione della concorrenza debba dipendere dal nocumento patrimoniale subito dalla società persona offesa, la cui produzione comunque resta imprescindibile anche qualora il reato diventi perseguibile d’ufficio” (così, in particolare, la Relazione sulla l. n. 190 del 2012 a cura dell’Ufficio del massimario della Corte di Cassazione – a cura di G. Andreazza-L. Pistorelli, in www.penalecontemporaneo.it, pp. 18 s.). Una chiarificazione, sul punto, è stata comunque offerta – quasi in chiave di interpretazione autentica – proprio dal Ministro: “Riguardo il citato elemento della distorsione della concorrenza, se è vero che si tratta di estremo la cui ricorrenza dovrà essere accertata dal giudice, al pari del nocumento della società, non mi pare tuttavia che, nell’economia della disposizione, vada posto sullo stesso piano del nocumento in questione. Mi pare, piuttosto, che la collocazione nell’ultimo comma dell’art. 2635 c.c. faccia sì che la distorsione della concorrenza vada letta come elemento interferente con la procedibilità. In questa prospettiva, non mi sembra che la norma implichi che la distorsione della concorrenza debba derivare causalmente dall’evento di nocumento alla società, pur dovendosi accertare che il fatto nel suo complesso abbia portato con sé una distorsione della 23 Le perplessità, inoltre e soprattutto, si ispessiscono al cospetto del mantenimento del requisito del nocumento per la società, che comunque conferma “il precedente impianto privatistico, rendendo addirittura incongruo il rilievo attribuito alla lesione della concorrenza come possibile conseguenza mediata del pregiudizio societario”, poiché “se è pacifico che l’assenza di danno per l’ente esclude la punibilità del fatto, a prescindere dalla distorsione della concorrenza, allo stesso modo dovrebbe apparire chiaro che l’obiettivo di reprimere la corruzione, alla luce dei suoi effetti negativi sul piano della concorrenza, priva di fondamento l’esigenza di un danno per la società”.24 Sembra difficile, in ogni caso, negare che si sia persa l’occasione per una restaurazione complessiva di un più serio statuto punitivo dell’impresa commerciale societaria, viatico essenziale per cauterizzare anche quelle istanze di intervento giudiziale suppletivo sino ad ora tradottesi in una indebita estensione delle qualifiche pubblicistiche anche in ambiti ormai eccentrici rispetto al loro dominio tipico. Dovrà, dunque, attendersi ancora: nelle more, una giurisprudenza che voglia rivedere gli automatismi interpretativi che perpetuano le qualifiche soggettive pubblicistiche fermando il tempo ad una stagione in gran parte superata, avrà comunque il merito non solo di una più corretta esegesi sistematica delle disposizioni di cui agli artt. 357 e 358 c.p., ma anche di aver messo di fronte alle proprie responsabilità un legislatore che continua a punire la falsificazione dei bilanci sociali più o meno come l’imbrattamento di un muro. 25 Prof. Vittorio Manes Professore associato di Diritto penale presso l’Università del Salento concorrenza” (P. Severino, La nuova Legge anticorruzione, in Dir. pen. proc., 2013, 7 ss., 12). Per una impostazione ancora diversa, volta comunque a negare che l’offesa alla concorrenza “debba intendersi come ulteriore evento del reato, contestuale o successivo al danno per la società e oggetto di accertamento sul piano condizionalistico”, cfr. ancora S. Seminara, Il reato di corruzione tra privati, 67, secondo il quale “il concetto di distorsione si risolve in quello di alterazione delle regole di funzionamento del mercato, condividendone così la proiezione sulla dimensione del pericolo astratto e legando la propria sussistenza all’oggetto della corruzione, costituito dall’acquisizione di beni o servizi”. 24 Così ancora, autorevolmente, S. Seminara, Il reato di corruzione tra privati, 68, secondo il quale “non possono dunque sussistere dubbi che anche la nuova formulazione dell’art. 2635 c.c. risulta incompatibile con gli obiettivi perseguiti in sede comunitaria e internazionale sotto almeno tre essenziali profili: anzitutto, l’art. 2635 c.c., nonostante il mutamento della rubrica, si mantiene legato al contesto societario, laddove l’incriminazione avrebbe dovuto riferirsi a qualsiasi situazione corruttiva posta in essere “nell’ambito di un’attività commerciale” (artt. 7 e 8 Convezione del Consiglio di Europa) o di “attività professionali svolte nell’ambito di entità a scopo di lucro o senza scopo di lucro” (art. 2.2 Decisione quadro n. 2003/568/GAI) o di “attività economiche, finanziarie o commerciali” (art. 21 Convenzione delle Nazioni Unite); inoltre, la struttura dell’art. 2635 c.c. appare incentrata su un reato bilaterale a concorso necessario, mentre gli strumenti comunitari e internazionali tipizzano come illeciti autonomi la promessa, l’offerta e la dazione, nonché la sollecitazione e la ricezione, finalizzate alla violazione dei doveri funzionali; infine, l’art. 2635 c.c. tutela l’interesse della società, mentre sul piano comunitario domina il modello di un reato presuntivamente legato al pericolo per la concorrenza e procedibile d’ufficio”. 25 Ed anche meno, nel caso in cui il writer sia recidivo: art. 639, terzo comma, c.p.. 24 C) La condotta EXECUTIVE SUMMARY Fattispecie delittuosa plurisoggettiva a concorso necessario: Art. 2635, commi 1 e 2, c.c. l’intraneus, soggetto dotato di particolari qualifiche di natura extra-penale, compie od omette di compiere atti in violazione degli obblighi inerenti al suo ufficio o degli obblighi di fedeltà; Art. 2635, comma 3, c.c. l’extraneus (Chiunque), dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma La struttura del reato impedisce di considerare punibile la condotta dell’extraneus quando l’atto è già stato posto in essere dal soggetto qualificato oppure nei casi in cui l’atto, pur realizzato dopo la proposta corruttiva, non sia comunque contrario ai doveri dell’ufficio dell’intraneus. Pertanto, sono penalmente rilevanti esclusivamente i casi di corruzione propria antecedente. ABSTRACT Il presente paragrafo analizza la struttura della fattispecie incriminatrice della corruzione tra privati, soffermandosi sulle condotte punibili poste in essere dai soggetti c.d. “corruttibili” e “corruttori”. L’Autore poi si occupa di esemplificare il concetto di “altra utilità”, operando anche un parallelo con il reato di corruzione pubblica. Infine, viene affrontato il problema interpretativo relativo alla formula “violazione degli obblighi di fedeltà” prevista dalla L. n. 190/2012. 25 C) La condotta L’art. 2635 c.c. prevede una fattispecie delittuosa plurisoggettiva a concorso necessario, connotata da due diverse condotte: l’intraneus - soggetto dotato di particolari qualifiche di natura extra-penale compie od omette di compiere atti in violazione degli obblighi del suo ufficio o degli obblighi di fedeltà a seguito della dazione o della promessa di danaro o altra utilità da parte di un soggetto terzo. La struttura del reato impedisce di considerare punibile la condotta dell’extraneus quando l’atto è già stato posto in essere dal soggetto qualificato ovvero nei casi in cui l’atto, pur realizzato dopo la proposta corruttiva, non sia comunque contrario ai doveri dell’ufficio dall’intraneus26. In dottrina, si ritiene che rilevi qualsiasi manifestazione della funzione ricoperta dal soggetto qualificato, compresi i comportamenti materiali27 purché, ovviamente, tali condotte siano state determinate dalla promessa o dalla dazione di una utilità da parte del soggetto corruttore. Sicché, è necessario che l’attività dell’extraneus abbia effettivamente influito sul processo motivazionale del soggetto interno alla società28 con la conseguenza che deve escludersi il reato in presenza di una semplice prossimità cronologica fra dazione o promessa del terzo e condotta infedele dell’intraneus.29 Inoltre, deve sussistere un rapporto di proporzione fra la prestazione dell’extraneus e l’atto del soggetto qualificato30. Occorre evidenziare che non è prevista una fattispecie analoga a quella di cui all’articolo 322 c.p. che punisce, come noto, l’istigazione alla corruzione; quest’ultima previsione normativa infatti individua nella condotta del singolo il momento consumativo del reato; ciò è escluso dalla formulazione dell’art. 2635 c.c. che coerentemente punisce entrambe la parti. Sul concetto di utilità si registra in dottrina una contrapposizione tra chi sostiene che per utilità deve intendersi un vantaggio meramente patrimoniale, e chi tende a ricomprendervi invece ogni vantaggio anche non patrimoniale di cui possano beneficiare i soggetti indicati dall’articolo 2635 c.c. In effetti, ricondurre il concetto di utilità al solo guadagno patrimoniale potrebbe apparire estremamente restrittivo; si è prospettato, in tal senso, il caso di chi conferisce o promette un incarico non retribuito, ma di rilevante prestigio al responsabile della revisione che per questo motivo avalla un artifizio contabile in danno alla società31. In altri termini, si è evidenziato, che ove il comportamento illegittimo del soggetto qualificato fosse foriero di un nocumento per la società, non sembrerebbe esservi alcuna ragione per operare una 26 GIUNTA, Lineamenti di dritto penale dell’economia, Giappichelli, 2004, pag. 297; MACCARI, ART 2635 cc, in AA.VV. I nuovi illeciti penali ed amministrativi riguardanti le società commerciali. Commentario del d.lgs. 11 aprile 2002, 61 a cura di Giunta, torino, 2002, pag. 174. 27 ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dell’economia, Milano, 2008, pag. 289. 28 ALDROVANDI, Art. 2635, in AA.VV., I reati societari, a cura di Lanzi e Cadoppi, Padova, 2007, pag. 218; Zannotti, Il nuovo diritto penale dell’economia, Milano, 2008, pag. 290. 29 MASULLO, art 2635 cc, in Le fonti del diritto italiano. Leggi penali d’udienza, 3° ed., pag. 1317. 30 CERQUEA,Il nuovo reato, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2000, pag. 241. 31 ARENA M., La corruzione tra privati Le responsabilità di persone fisiche e società, in FiloDiritto, 18 nov. 2012. 26 delimitazione nell’ambito delle possibili utilità costituenti la controprestazione del comportamento infedele. Naturalmente, come già chiarito, occorrerà che l’utilità abbia effettivamente determinato la condotta dell’intraneus, ovverosia che sussista un collegamento eziologico con la successiva condotta del soggetto qualificato. Ne segue che quelle utilità inidonee ad incidere sul processo decisionale dell’intraneus, non acquisiscono rilevanza32. Vale a dire, operando - mutatis mutandis - un parallelo con il reato di corruzione, che la dazione deve consistere in una vera e propria controprestazione, nel senso che non pare penalmente rilevante la condotta del soggetto qualificato effettuata per motivi di amicizia, parentela o altro, e non a seguito della dazione o promessa di un vantaggio specifico; detta utilità deve essere altresì determinata o determinabile, a nulla rilevando promesse generiche. La condotta sanzionata ex art. 2635 c.c. consiste oltre che nel compimento o nell’omissione di un atto in violazione degli obblighi di ufficio, anche nella violazione di un più generico obbligo di fedeltà; ciò ampia come è evidente il novero delle condotte sussumibili nell’art. 2635 c.c. Quest’ ultima circostanza conferma come la ratio della norma deve ravvisarsi nell’esigenza di punire quelle forme di cattiva gestione che hanno una ricaduta sul buon andamento societario, come dimostra il fatto che il reato in questione (a differenza della corruzione nel settore pubblico) rimane un reato d’evento, configurabile solo qualora venga cagionato un “nocumento” alla società 33. Ciò posto deve, però, osservarsi che la portata applicativa della fattispecie incriminatrice in esame è fortemente limitata proprio dal fatto che alla condotta realizzata dal soggetto corrotto deve seguire un nocumento per la società a cui il medesimo soggetto appartiene;34 in ciò si coglie una sostanziale differenza tra la fattispecie ex art. 2635 c.c. e lo schema della corruzione prevista nel nostro codice penale agli artt. 318 e seguenti. Avv. Massimiliano Lei Studio Legale Prof. Assumma e Noikos Nike Istituto di ricerche S.r.l. 32 LANZI, CADOPPI, I nuovi reati societari, CEDAM, 2002; MUSCO, I nuovi reati societari, Milano, 2002. CRISTINI, La legge anticorruzione, exeo edizioni, 2013. 34 CONTE, GIACOMINI, La recente riforma dei reati di corruzione con particolare riferimento all’introduzione del “reato di corruzione tra privati”, 2013. 33 27 D) Il nocumento EXECUTIVE SUMMARY La corruzione tra privati, per come è costruita, si consuma solo allorché la società, in seguito alla dazione illecita e alla conseguente violazione dei doveri d’ufficio o di fedeltà da parte dell’intraneo, abbia subito un effettivo nocumento al suo patrimonio Non si punisce l’atto corruttivo in sé, ma l’atto corruttivo che abbia cagionato un nocumento all’ente Le differenze intercorrenti tra il concetto di nocumento, ai sensi dell’art. 2635 c.c., e quello di patrimonio, ex art. 2634 c.c. rubricato “Infedeltà patrimoniale”; Dalla previsione del nocumento quale elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice. Perseguibilità a querela della persona offesa, “salvo che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni e servizi” ABSTRACT Il presente paragrafo verte in primo luogo sull’inquadramento della corruzione tra privati quale reato di evento per poi analizzare il concetto di “nocumento”, elemento essenziale della fattispecie incriminatrice. Tale interpretazione permette di evidenziare le differenze con il concetto di “patrimonio”, previsto invece dall’art. 2634 c.c. rubricato “Infedeltà patrimoniale”, ed è finalizzata ad individuare l’esatto ambito applicativo dell’art. 2635 c.c. (elemento soggettivo, momento consumativo e tentativo). Infine, per l’Autore è auspicabile una sostanziale riformulazione della norma in esame, qualificando la corruzione tra privati non più come reato di danno bensì come reato di pericolo e, dunque, perseguibile non più a querela di parte ma d’ufficio. 28 D) Il nocumento 1. L'art. 2635 c.c. quale reato presupposto della responsabilità amministrativa dell'ente ex art. 25 ter. D.Lgs. 231/2001 - Il nocumento quale elemento essenziale della fattispecie La Legge n. 190 cit. ha aggiunto all’art. 25 ter del D.lgs. 231/2001, nel novero dei reati societari, la lett. s bis), che rinvia al reato di corruzione tra privati, ex art. 2635 c.c. In particolare, il menzionato art. 25 ter, comma 1, lett. s bis) del D.lgs. 231/2001 precisa che il reato di corruzione tra privati sia fonte di responsabilità amministrativa, con esclusivo riferimento al soggetto corruttore, ovvero alla società, il cui soggetto apicale o sottoposto dà o promette denaro o altra utilità agli amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci, liquidatori, persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di questi, della società corrotta. Tale precisazione è necessaria; difatti, solo la società corruttrice persegue un interesse o un vantaggio mediante la commissione dell’atto corruttivo; diversamente, la società corrotta subisce un nocumento35. Ne discende che l’evento del reato sia individuato nel nocumento subito dalla società36. In altri termini, senza il nocumento per la società non è configurabile il delitto di corruzione tra privati, ex art. 2635 c.c. L’interpretazione del concetto di nocumento è stata ampiamente dibattuta in dottrina; difatti, prima della riforma, s’intendeva una lesione di natura patrimoniale37; secondo altri, invece, si riferiva ai possibili pregiudizi, anche di carattere non patrimoniale, conseguenti alla lesione di un bene societario38. A tal proposito, la tesi prevalente riteneva che “l’interpretazione lata del nocumento sia più consona ad una fattispecie volta a tutelare l’interesse sociale alla correttezza e fedeltà degli organi gestionali e di controllo39”. La novella legislativa ha introdotto una nozione di nocumento più estensiva rispetto al danno patrimoniale40, ex art. 2634 c.c., potendo ricomprendere sia il danno emergente sia il lucro cessante41. 35 In argomento Arena, La corruzione tra privati. Le responsabilità di persone fisiche e società, in www.filodiritto.it; cfr. Ippolito, Corruzione tra privati: aggiornamento dei Modelli organizzativi, tra attività sensibili e protocolli di controllo specifici, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2012. 36 Cfr. Bartolini, La nuova disciplina di contrasto alla corruzione, La Tribuna, 2013. L’Autore ritiene che “senza il nocumento per la società non sussiste il delitto di corruzione tra privati”. 37 Giunta, Lineamenti di diritto penale dell’economia, vol. I, Delitti contro l’economia pubblica e reati societari, Torino, 2004, p. 299. 38 Cerqua, Il nuovo reato di corruzione privata, in AA. VV., La riforma dei diritti societari, a cura di Piergallini, Giuffrè, 2004, p.131. 39 Testualmente Casartelli, Le misure anticorruzione. Legge 6 novembre 2013, Giappichelli, 2013,p. 162. 40 Cerqua, Il nuovo reato di corruzione privata,cit. ; Zannotti, Il nuovo diritto penale dell’economia, Giuffrè, 2008. 41 Un orientamento della dottrina ritiene che il concetto di nocumento sia eccessivamente generico; si rinvia a Martini, Art. 2635 cc. – Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità, in Leg. Pen., 2003, p. 519; contra Masullo, La “corruzione” societaria nell’orbita dell’infedeltà, i rapporti con l'art. 2634 c.c., in AA.VV., in Korupcja w sektorze prywatnym, Warszawa, 2004, p. 143, secondo la quale al “nocumento della società” dell’art. 2635 cc. vanno attribuiti gli stessi contenuti del danno patrimoniale di cui all’art. 2634 cc. 29 Difatti, un orientamento dottrinario ritiene che il concetto di nocumento sia funzionale ad “estendere l’accertamento del pregiudizio oltre il danno emergente, fino a comprendere ipotesi di lucro cessante e anche – ove se ne possa offrire un’adeguata dimostrazione – di danni reputazionali”42. In altri termini, una parte della dottrina definisce il nocumento come “[…] un pregiudizio, un danno in senso lato, non limitato ad una diminuzione patrimoniale o a una perdita economica, ma in qualunque modo lesivo dell’integrità della società nei suoi complessi aspetti43”. Ad esempio, può essere considerato un nocumento la perdita di un socio finanziatore importante, anche non produttiva di un’immediata ripercussione finanziaria, ma con ricadute d’immagine sul mercato. E’ opportuno precisare che tra il nocumento subito dalla società e l’atto compiuto o omesso deve sussistere un nesso di causalità. Questa tutela, secondo un noto orientamento, presenta una mera rilevanza interna, escludendo, pertanto, “rilievo a danni esterni alla società stessa, concernenti i soci, i creditori, i terzi o società collegate44”. In sostanza, il nocumento rilevante è unicamente quello sofferto dalla società e non dai terzi, “il quale”, secondo una parte della dottrina, “è recuperato – per così dire – in extremis soltanto nell’ambito della prevista procedibilità d’ufficio nel caso di distorsione della concorrenza 45”. Passando ad un’analisi più approfondita dell’art. 2635 cc., può subito evincersi come il reato di corruzione tra privati sia a concorso necessario, la cui integrazione deriva dalla convergenza di una condotta di dazione o promessa e, un’altra, di ricezione o accettazione46. Sotto questo profilo e in un’ottica comparatistica, un orientamento dottrinale consolidato ritiene che “[…] risalta la differenza rispetto al modello adottato dagli atti internazionali e comunitari, ove corruzione attiva e passiva sono elevate a oggetto di autonoma incriminazione”47. Peraltro, il delitto di corruzione tra privati si configura come reato di evento. In particolare, si tratta di un reato istantaneo che si consuma nel momento in cui si verifica il nocumento per la società a cui è riconducibile il soggetto corrotto. In altre parole, non si punisce l’atto corruttivo in sé, ma l’atto corruttivo che abbia cagionato un nocumento all’ente. Quanto al tentativo del delitto di corruzione tra privati, è necessario precisare che la relativa configurabilità sia subordinata alla sussistenza di atti idonei e univoci finalizzati, in esecuzione dell’accordo corruttivo, al compimento o all’omissione dell’atto d’ufficio48. 42 Per una disamina più approfondita del concetto di nocumento, si rinvia a quanto esposto da Seminara, Il reato di corruzione tra privati, in Diritto penale commerciale, 2012. 43 Testualmente, Bartolini, La nuova disciplina di contrasto alla corruzione, La Tribuna, 2013. 44 Seminara, Il reato di corruzione tra privati, cit. 45 Sul punto, Foffani, Art. 2635, in Commentario breve alle leggi penali complementari, a cura di Palazzo – Paliero, Padova, 2007, p. 2535. 46 In argomento, Gennaro – Calzone, La corruzione tra privati, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti , 2013, n. 1, p. 44. 47 Testualmente, Seminara, cit. L’Autore precisa che: ”Secondo la Convenzione (del Consiglio d’Europa del 27 gennaio 1999), i reati in materia di corruzione sono considerati compiuti non appena l’atto unilaterale viene realizzato, indipendentemente dall’azione che ha luogo subito dopo (es. se l’offerta o la promessa viene accettata o meno dal pubblico ufficiale). E’difficile comprendere perché il legislatore abbia optato per la soluzione di ridurre la pena per il corruttore se l’offerta o la promessa non viene accettata dal pubblico ufficiale.” 30 L’elemento psicologico richiesto ai fini della configurazione del delitto di corruzione tra privati è il dolo generico, che consiste nella coscienza e volontà di realizzare la condotta tipica e di arrecare un nocumento alla società49; pertanto, non è necessario che i protagonisti del pactum sceleris siano animati da un fine specifico. Il reato è punibile anche nella forma del dolo eventuale, essendo sufficiente che il soggetto, pur non agendo per il fine di procurare il nocumento, accetti il rischio di verificazione dell’evento in conseguenza della propria condotta delittuosa. A proposito dell’elemento soggettivo, una parte della dottrina ritiene che “devono essere, inoltre, oggetto di rappresentazione e volizione la dazione o la promessa, nonché la violazione degli obblighi dell’ufficio o di fedeltà sottesi all’atto oggetto di mercimonio 50”. 2. Inquadramento della fattispecie nell’ambito dei reati societari L’originaria formulazione dell’art. 2635, introdotto dal D. Lgs. 11 aprile 2002, n. 61 e modificato dal D. Lgs. 27 gennaio 2010, n. 39, non sembrava presentare significative analogie con la normativa europea in materia di corruzione privata e, comunque, non poteva essere assimilato a fattispecie di corruzione privata presenti in altri ordinamenti o la cui introduzione era prescritta da importanti strumenti internazionali, come ad esempio l'Azione comune sulla corruzione nel settore privato, adottata dal Consiglio dell'Unione Europea il 22 dicembre 1998, la Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio d'Europa, adottata a Strasburgo il 27 gennaio 1999 e la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (c.d. convenzione di Merida), adottata dalla Assemblea generale il 31 ottobre 2003. Al fine di fornire una disamina approfondita, si riporta di seguito il testo della disposizione normativa previgente: "Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità - Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, a seguito della dazione o della promessa di utilità compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio, cagionando nocumento alla società sono puniti con la reclusione sino a tre anni. La stessa pena si applica a chi dà o promette l'utilità. 48 Per la configurabilità del tentativo, Bartolini, La nuova disciplina di contrasto alla corruzione, cit. L’Autore ritiene che la natura del reato di evento rende possibili fatti di tentativo penalmente rilevanti; in argomento Aldrovandi, Sub. Art. 2635, in Lanzi – Cadoppi, I reati societari, Padova, 2007, p. 154; contra, per riferire il tentativo all’inizio delle trattative ovvero al loro perfezionamento non seguito dalla condotta del soggetto qualificato Amati, Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità, in Reati societari, a cura di Rossi, Torino, 2005, p. 445; Bellacosa, Obblighi di fedeltà dell’amministratore di società e sanzioni penali, Milano, 2006, p. 272; in favore della sussistenza del tentativo già con l’istigazione rivolta al soggetto qualificato, Lunghini, Sub. Art. 2635, in Codice penale commentato, a cura di Dolcini – Marinucci, Milano, 2011, III, p. 530. 49 Spena, Punire la corruzione privata? Un inventario di perplessità politico – criminali, in Riv. Trim. Dir. Pen. Eco., 2007, p. 808. Alcuni Autori, a tal proposito, hanno segnalato come l’accertamento sulla sussistenza dell’elemento psicologico del nocumento, quale evento del reato, non possa essere dedotto in via presuntiva dalla prova del patto corruttivo, poiché in tal caso si trasformerebbe la fattispecie dolosa in colposa, cfr. Zambusi, Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità (art. 2635 c.c.): alcuni aspetti problematici, in Ind. Pen., 2005, p. 1061. 50 Mazzotta, I reati di infedeltà nelle società commerciali, Giuffrè, p. 280. 31 La pena è raddoppiata se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Si procede a querela della persona offesa”. Concentrando l’attenzione sull’art. 2635 c.c., emerge che l'inadeguatezza di tale fattispecie, con le indicazioni provenienti dall'Unione europea e dal Consiglio d'Europa, sia in riferimento alla gamma dei possibili autori; difatti, la disposizione normativa si limita a contemplare gli amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci e liquidatori (…) 51. In secondo luogo, non è fatta menzione delle terze parti, quali soggetti beneficiari del “denaro sporco”. In terzo luogo, nell’ambito delle condotte punibili, non sono previste l’offerta e la richiesta di una tangente. In quarto luogo, non vi è un esplicito riferimento alla commissione indiretta del reato, ad esempio tramite intermediari. Infine, il reato non è perseguibile ex officio, ma è necessaria la denuncia da parte della vittima. Alla luce di tali censure, è stato introdotto il novellato art. 2635 c.c., secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 76, L. 6 novembre 2012, n. 190, già analizzato nei contributi precedenti. In conclusione, l’introduzione del reato di corruzione tra privati rappresenta la risposta dell’ordinamento giuridico italiano alle istanze internazionali. Eppure, a parere di chi scrive, l’attuale previsione normativa, seppur riformata, necessiterebbe di un ulteriore intervento normativo; difatti, il DDL S. 19 Grasso, attualmente in discussione presso la II Commissione permanente Giustizia, ha proprio la finalità di apportare alcune modifiche alla Legge n. 190/2012. A tal proposito, sarebbe opportuno configurare il reato di corruzione tra privati non più come un reato di danno, ma come un reato di pericolo e, dunque, perseguibile non più a querela di parte, ma d’ufficio. In questo modo, la perseguibilità d’ufficio non sarebbe limitata alle sole condotte che ledano la concorrenza leale e lo sviluppo economico. Risulta, invece, condivisibile la scelta legislativa volta a coinvolgere l’Ente avvantaggiato dalla condotta illecita dei suoi rappresentanti, al fine di colpire i veri soggetti beneficiari dell’illecito. Purtroppo, è da osservare che in materia di responsabilità amministrativa degli enti, il legislatore muove i propri passi in modo non sempre uniforme; infatti, le riforme legislative, dettate da esigenze cogenti, si realizzano in maniera episodica e per singole fattispecie delittuose. Pertanto, la conseguenza è che tali riforme, spesso, aumentano dubbi e criticità tra gli operatori del diritto in un sistema di per sé già ibrido. Avv. Fabio Foglia Manzillo Studio Legale Foglia Manzillo – Prof. Di Diritto penale presso l’Università telematica Pegaso 51 Tale ricostruzione è di Seminara, Il reato di corruzione tra privati, cit. Si rinvia per completezza. 32 E) Gli interessi tutelati dalla fattispecie EXECUTIVE SUMMARY In relazione alla punibilità della condotta di violazione degli obblighi d’ufficio o di fedeltà, è necessario che il fatto abbia cagionato un danno alla società, cui appartiene il soggetto corrotto Si tratta dunque di un reato di evento, che si consuma nel momento del verificarsi di tale nocumento al patrimonio sociale. La nozione di “nocumento” assume carattere più estensivo rispetto al concetto di “danno patrimoniale”, potendo ricomprendere sia il danno emergente che il lucro cessante (si pensi, a titolo meramente esemplificativo, al danno all’immagine della compagine societaria, alla credibilità dei suoi organi, etc.) Al suddetto evento si ricollega la procedibilità a querela della persona offesa, ex art. 2635, comma 5, c.c. L’ultimo comma della disposizione in esame prevede, altresì, la procedibilità d’ufficio qualora “dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi” N.B.: La distorsione alla concorrenza deve derivare dal “fatto di reato”, vale a dire dalla condotta corruttiva da cui sia derivato anche il nocumento alla società. Sul punto si intende chiarire che la distorsione della concorrenza non deve essere posta in relazione causale con il danno alla società del soggetto corrotto. In tal senso il riferimento all’intero fatto di reato (condotta, evento e nesso di causalità) contenuto nella fattispecie non è tecnicamente corretto, dovendosi, invece, riferire alla sola condotta corruttiva. ABSTRACT Il presente paragrafo analizza i rapporti tra la corruzione tra privati e la concorrenza sulla base di una riflessione circa la dimensione offensiva riconoscibile alla figura incriminatrice prima e dopo la riforma. 33 E) Gli interessi tutelati dalla fattispecie 1. La tutela penale della concorrenza nell’ordinamento giuridico italiano La disciplina giuridica della concorrenza risulta imperniata sull’adozione di una duplice prospettiva di tutela: quella antimonopolistica, che rinvia a una visione macroeconomica del fenomeno, dove cioè la concorrenza è concepita come un preciso assetto di mercato, e quella afferente la cd. “lealtà” della concorrenza, che, riflettendosi nei modelli relazionali dei soggetti economici (in competizione), rinvia invece a una visione microeconomica del fenomeno. Con riferimento a quest’ultima, negli ordinamenti dei principali Paesi europei, compreso quello italiano52, si ravvisa – sia pure saltuariamente e spesso in assenza di un corpo omogeneo di norme – l’utilizzazione della sanzione penale; è, invece, riguardo alla prima che si registra la quasi totale estraneità dello strumento penalistico53. Occorre, peraltro, aggiungere come attualmente il discrimen tra le prospettive di tutela cui poc’anzi ci si è riferiti tenda a sfumare; quasi che, in una dimensione di carattere assiologico, il tradizionale “valore” della lealtà nella concorrenza possa essere dilatato fino a ricomprendere in sé il più recente “valore” della concorrenza in senso antimonopolistico. Invero, da un’analisi attenta al substrato empirico-criminologico del fenomeno continua ad emergere l’autonomia delle corrispondenti figure di illecito: oltre al dato – che non è posto in dubbio – per cui non sussiste un rapporto di implicazione necessaria tra condotta sleale nella concorrenza e lesione dell’interesse concorrenziale in senso antimonopolistico, valore decisivo assume l’osservazione in base alla quale non ogni comportamento restrittivo della concorrenza può considerarsi per ciò stesso sleale. Si pensi al caso in cui tutte le imprese di un determinato mercato, assunto come rilevante, stipulino un’intesa di non concorrenza: il comportamento è sicuramente restrittivo della concorrenza ma non può definirsi sleale ai sensi dell’art. 2598, 3°comma c.c., poiché nessuna delle imprese esistenti in quel mercato è esclusa dall’accordo. 52 Nel nostro ordinamento, sul piano penalistico, la repressione degli atti di concorrenza sleale è riconducibile direttamente o indirettamente nella sfera operativa di un insieme disarmonico di norme: si pensi, in prima analisi e a titolo meramente esemplificativo, agli artt. 473-474 c.p., all’art.517 c.p., all’art.514 c.p., agli artt.171-171bis e seguenti della Legge sul diritto di autore (l. 22-4-1941 n.633), all’art.7 comma 9 del dlgs.25-1-1992 n.74 in materia di pubblicità ingannevole, all’art. 513 c.p., in modo assai problematico all’art.513 bis c.p. e, infine, agli artt. 515 comma 1 e 640 c.p., quest’ultimo, in particolare, nell’ipotesi di truffa contrattuale. In ogni caso, è assente una fattispecie incriminatrice di concorrenza sleale con portata “omnicomprensiva”. La scelta del legislatore, infatti, è stata quella di collocare la tutela dagli atti di concorrenza sleale esclusivamente in ambito privatistico (art.2598 e ss. c. c.); ciò che, del resto, spiega come, nella pratica, taluni atti di concorrenza sleale benché civilmente illeciti, possano risultare penalmente irrilevanti. 53 L’eccezione è rintracciabile in particolare nella legislazione francese e in quella inglese. Nel nostro Paese l’area di intervento penale nella disciplina antitrust sembra derivabile dai margini operativi di una norma penale contenuta nel Libro V Titolo XI del codice civile, ossia l’art. 2638 c.c. (<<Ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza>>). 34 I c.d. fenomeni di “corruzione privata” possono interessare entrambe le prospettive di tutela: il relativo inquadramento dipende infatti dalla formalizzazione normativa prescelta. Oggi la rilevanza penale di tali pratiche dovrebbe trovare riconoscimento nella fattispecie di cui all’art. 2635 c.c. per come riformulata nel 2012. 2. Corruzione tra privati e (lealtà della) concorrenza: fenomenica Varie sono le forme di manifestazione del fenomeno che si suole indicare con l’espressione “corruzione privata”. Per citare alcuni esempi, si può fare riferimento al caso del responsabile dell’area acquisti di una società che stipuli un contratto con una determinata società fornitrice di beni solo perché l’amministratore di quest’ultima gli ha (promesso o) dato un vantaggio patrimoniale privato; a quello del top manager di una banca che riceve un compenso in denaro ( o se lo fa promettere) per dare il proprio parere positivo ad una fusione; all’ipotesi dell’amministratore che, dopo aver ricevuto una somma di denaro (o la relativa promessa) da un esponente di una società concorrente, ometta di presentare la dichiarazione dei redditi della società amministrata; a quella della ristrutturazione di un reparto con la quale si trasferisce il personale ad un altro ramo dell’azienda che non ne richiede la specifica professionalità operata dall’amministratore dietro compenso (o promessa di compenso) di una società concorrente. Il fenomeno poi può annidarsi all’interno di una stessa società (cd. corruzione endosocietaria): quando ad esempio l’amministratore, per coprire una propria responsabilità nella gestione sociale, corrisponda (o prometta di farlo) una somma di denaro ai componenti il collegio sindacale ovvero al revisore. I richiami esemplificativi al contesto societario sono motivati, oltre che dalla spinta dovuta alle privatizzazioni delle grandi società pubbliche, dalla significativa crescita in esso del rischio di corruzione dovuto alla pratica del decentramento organizzativo aziendale (si pensi al cd. outsourcing) ed alla riferibilità della disposizione di cui all’art. 2635 c.c. solo a tale contesto, ma non v’è dubbio che il fenomeno in esame, significativo in generale della richiesta di un “vantaggio ulteriore” per compiere un determinato atto, possa riguardare qualsiasi settore dell’ambito privatistico: si pensi al proprietario di un immobile che subordini la stipula di un contratto di locazione con un soggetto al pagamento di una somma di denaro aggiuntiva quale prezzo per ottenere la preferenza. L’analisi del rapporto tra corruzione privata e concorrenza necessita di una premessa chiarificatrice circa il contenuto della dimensione offensiva che si suole riconoscere alla prima nei confronti della seconda. Il rischio è infatti, da un lato, che si assuma a polo di riferimento della supposta fenomenologia offensiva un’accezione prettamente “formale” della lealtà della concorrenza, riducendo in tal modo il precetto che pone il divieto a una regola di stampo eticizzante, dall’altro, che nelle scelte politicocriminali si converta la suddetta fenomenologia in un effetto riflesso della lesione di un altro bene, vero e proprio polo di tutela della norma. Pertanto pare opportuna un’opera di concretizzazione 35 dell’interesse de quo, in modo da ricondurvi innanzitutto un effettivo contenuto offensivo, che possieda inoltre un carattere del tutto autonomo. In questa prospettiva l’area di intersezione tra corruzione tra privati e lesione dell’interesse concorrenziale è del tutto evidente nell’ipotesi dell’accordo per la fornitura, dove risultano ingiustamente pregiudicati i concorrenti del fornitore-corruttore, “tagliati fuori” a seguito del pactum sceleris; analoga conclusione vale per l’esempio della fusione bancaria, dove siffatto pregiudizio potrebbe riguardare le altre società in ipotesi interessate alla fusione con la banca. Discorso a parte richiedono i casi dell’omessa presentazione della dichiarazione fiscale e della scorretta ristrutturazione aziendale, dove il pregiudizio in esame, che concerne la stessa società volutamente mal amministrata, è solo l’eventuale riflesso del danno prodotto a quest’ultima attraverso la mala gestio e viene per tal via “assorbito” dalla conseguente lesione patrimoniale. A ben vedere, poi, anche nei rimanenti esempi è possibile rinvenire una sia pur peculiare manifestazione del pregiudizio all’interesse concorrenziale significativa di un allargamento delle maglie concettuali della figura (al di fuori della relazione tra imprese): nell’esempio dell’amministratore che corrompe l’organo di controllo lo si potrebbe riscontrare, volendo, in capo agli altri soggetti aspiranti a ricoprire la carica e in quello del locatore che dà un prezzo alla propria preferenza negoziale dovrebbe riguardare gli altri aspiranti locatari. D’altra parte è opportuno evidenziare, ove ve ne fosse bisogno, come al fenomeno della corruzione privata non necessariamente si accompagni un effetto anticoncorrenziale. A parte i casi in cui in concreto non si abbiano concorrenti, il caso della corruzione endosocietaria, ove la società non subisca un danno che si riverberi sul piano concorrenziale, le ipotesi in cui dal danno patrimoniale non si produca alcun effetto sul piano concorrenziale per la società danneggiata e quelle significative dell’ampliamento del significato (giuridico) della figura, ove si ritenga inammissibile l’estensione concettuale, esistono altre situazioni in cui tale effetto sembra da escludersi in nuce: si pensi a Tizio debitore di una società che gli ha fornito un servizio, il quale corrompe l’amministratore di questa in modo da ritardare il pagamento (circostanza, quest’ultima, che non dovrebbe recare alcun pregiudizio alla società). Nella legislazione italiana non mancano peraltro esempi di incriminazione di specifiche ipotesi di corruzione in ambito privato in cui si rendono visibili gli effetti anticoncorrenziali del fatto punito: si pensi al reato di “comparaggio” (artt. 170 e 171 r.d. 27.7.1934 n.1265) che punisce medici, veterinari e farmacisti che, in cambio di denaro o altra utilità, agevolano attraverso prescrizioni la diffusione di medicinali; al sistema delineato dagli artt. 353 e 354 c.p. in materia di turbata libertà degli incanti; al cd. mercato di voto punito dall’art. 233 della legge fallimentare; alle ipotesi di corruzione in materia di revisione contabile (d.lgs. n. 39 del 27.1.2010). 3. Lo spettro di tutela del previgente art. 2635 c.c. Frutto della riforma del diritto penale societario del 2002 (D.Lgs. n. 61/2002), la “Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità”, a ben vedere, si inseriva pienamente nel disegno di privatizzazione/patrimonializzazione degli interessi tutelati che, “cifra” dell’intervento riformatore, è 36 segnalato dall’utilizzo della querela di parte quale condizione di procedibilità rimessa alla disponibilità dei privati (e in grado di ridurre le potenzialità operative della norma 54) e dal rilievo centrale assegnato al danno patrimoniale quale evento di fattispecie55. E così, se da un lato la disposizione, descrivendo una specifica dinamica corruttiva, risultava modulata sul tipo pubblicistico della corruzione propria antecedente, dall’altro la richiesta verificazione dell’evento-<<nocumento>> alla società56, quale conseguenza dell’atto contrario ai doveri sociali oggetto di mercimonio, polarizzava la dimensione offensiva della fattispecie privatizzandone lo spettro di tutela. Il termine <<nocumento>>, peraltro, potrebbe risultare evocativo di danni non necessariamente di natura patrimoniale, tuttavia la sua afferenza a società commerciali implica una riferibilità, sia pure indiretta, alla dimensione economica. In ogni caso, sia che lo si interpreti esclusivamente nel senso di danno patrimoniale sia che vi si attribuisca un significato più esteso, rimane ferma la “direzione” della fenomenologia offensiva della fattispecie, che interessa appunto la società quale soggetto privato pregiudicato dall’atto infedele La scelta del legislatore del 2002 era dunque ispirata all’esigenza di reprimere quelle forme di mala gestio societaria determinanti un danno alla società (id est, la contrarietà dell’atto ai doveri sociali non rilevava per se stessa, ma solo ove avesse comportato un <<nocumento>> alla società) e trovava formalizzazione normativa in una fattispecie di reato plurisoggettivo con duplice evento e, correlativamente, nesso causale (tra l’atto del corrotto e la promessa o la dazione del corruttore, tra il nocumento patito dalla società e l’atto antidoveroso). Il modello di incriminazione prescelto è stato quello del reato a concorso necessario con applicazione circoscritta al settore societario (vengono dunque puniti sia il corrotto, soggetto attivo che riveste una qualifica societaria, sia il corruttore, per il quale non è richiesta alcuna qualifica soggettiva57) ed orientato alla protezione di un bene interno alla società. In questo quadro non trovava spazio la tutela della concorrenza o, più precisamente, se proprio vogliamo, vi poteva trovare un sia pur minimo spazio “dietro le quinte”, vale a dire quale effetto riflesso della tutela patrimoniale: in ragione del pregiudizio patrimoniale subìto, la società, ricorrendone i presupposti, può essere considerata “svantaggiata” rispetto ai suoi concorrenti58. 54 Come dimostra il quadro giudiziario: nessuna decisione ha avuto ad oggetto direttamente il tema dell’infedeltà ex art.2635 cc. (si segnala solo, in sede cautelare, Trib Milano, sez. riesame, 26.1.2006), ciò che lascia concludere nel senso della preferenza da parte degli “attori” della realtà economica per una risoluzione “interna” (ovvero stragiudiziale) della questione, così da non compromettere la reputazione della società. 55 Al trend della riforma fa eccezione proprio l’art. 2638 c.c., posto a tutela, anche nell’ipotesi incentrata sulla verificazione di un evento (l’ “ostacolo”), della funzione di controllo della autorità pubbliche di vigilanza. 56 Tale requisito non è previsto nelle fonti internazionali (Azione comune europea sulla lotta alla corruzione del 1998) cui l’art.2635 c.c. intendeva dare attuazione. 57 Costui, peraltro, può essere anche un intraneus come nell’esempio prima citato di corruzione endosocietaria. 58 Muovendo dal significato più “esteso” attribuibile al termine <<nocumento>>, e ammesso che tale termine sia così elastico da poterlo “estendere” oltre i confini della valutazione economica, si potrebbe sostenere che il pregiudizio concorrenziale integri come tale (a prescindere cioè dalla sua traduzione in chiave patrimoniale) siffatto evento. Tuttavia, atteso il contesto normativo di riferimento, pare più plausibile escludere che il legislatore abbia inteso riferirsi nella formulazione normativa allo svantaggio concorrenziale. In ogni caso, anche ove si ammetta una tale lettura della disposizione, resta ferma la (supposta) rilevanza di questa tipologia di svantaggio solo in quanto interessi la società del soggetto corrotto. 37 Detto altrimenti, la minaccia della pena non riguardava la corruzione in sé ma la produzione del nocumento alla società (si rimprovera al soggetto, titolare di obblighi nei confronti della società, di non aver perseguito l’interesse societario affidato alle sue “cure” e di avere cagionato un danno “contrattando” un atto in violazione dei suoi doveri), mentre l’ “offesa” alla concorrenza, nella sua già lumeggiata prospettazione “autonoma”, si lega al perfezionamento dell’accordo corruttivo e attiene alle posizioni di soggetti terzi rispetto ai protagonisti di tale accordo. Tale offesa, cioè, prescinde dall’evento pregiudizievole che interessa la società del soggetto corrotto, evento che può infatti non verificarsi senza che ciò intacchi l’effetto anticoncorrenziale già prodotto. In conclusione, le istanze di tutela della concorrenza appaiono estranee alla ratio della disposizione di cui all’art. 2635 c.c. nella sua formulazione originaria. 4. Il nuovo art. 2635 c.c.: che cosa è cambiato Si deve premettere che con la vigente formulazione dell’art. 2635 c.c., rubricato “Corruzione tra privati”, si sarebbe dovuto porre rimedio alla situazione di “disallineamento” rispetto ai vincoli internazionali, i cui strumenti (Convenzione ONU di Merida del 2003, Convenzione di Strasburgo del Consiglio d’Europa del 1999, Decisione quadro UE 1003/568/GAI del 2003) configuravano una fattispecie, sempre ritagliata sul modello della corruzione propria antecedente, ma non circoscritta al settore societario e non incentrata sulla verificazione di un evento dannoso, con un raggio di tutela dunque comprendente (anche) la lealtà/libertà di concorrenza. Su questo versante la novità maggiormente significativa della disposizione di nuovo conio attiene alla costruzione del regime di procedibilità, dove si prevede quella d’ufficio quando “dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nell’acquisizione di beni o servizi”. Ma prima di soffermarci su tale essenziale profilo, valutiamo rapidamente le altre novità, invero meno significative nella nostra prospettiva d’analisi, le quali vanno comunque a innestarsi su un fatto tipico che riproduce la struttura della disposizione previgente, essendo richiesto tuttora ai fini del perfezionamento della figura la verificazione del nocumento alla società, procurato dal compimento di un atto antidoveroso a seguito della dazione o promessa di utilità. Tralasciando l’apparente estensione dell’oggetto della dazione (l’ampiezza semantica del termine “utilità” era già in grado di ricomprendere il “denaro”), merita una sottolineatura l’effettiva estensione degli obblighi la cui violazione qualifica l’atto “comprato”: attraverso il riferimento a un più generico dovere di “fedeltà” pare attribuirsi rilevanza non solo alla violazione degli specifici doveri ricavabili dalle norme giuridiche o contrattuali che disciplinano la posizione del soggetto attivo, come prima invece avveniva stante la formula, tuttora presente, “in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio”. Sul punto pare tuttavia doveroso osservare come la determinazione degli effettivi contenuti di siffatti “obblighi di fedeltà” si riveli incerta. Peraltro, e a fortiori alla luce del dettato normativo vigente, non v’è dubbio che ai fini della qualificazione dell’atto antidoveroso rilevino le regole contenute nel modello di organizzazione e gestione ex D.Lgs. 231/2001: e così, tornando a un precedente esempio, porrà in essere la condotta 38 tipica il soggetto appartenente alla società che, dietro compenso di un pretendente fornitore, scelga costui, violando le procedure attinenti la selezione dei fornitori contenute nel citato modello. Altra modifica in senso estensivo, certamente rilevante, è quella concernente i soggetti attivi (corrotti), il cui elenco comprende oggi, al comma 2 della disposizione, coloro che sono “sottoposti alla direzione o alla vigilanza” di uno dei soggetti qualificati già contemplati nel previgente art. 2635 c.c., formula che sembrerebbe riferirsi non solo ai soggetti subordinati, ma anche a chi svolga per conto della società un’attività comunque sottoposta per legge o per contratto alla direzione o vigilanza dei suoi vertici. Rispetto alla previgente elencazione acquisisce dunque (e assai opportunamente) rilevanza la condotta del direttore finanziario o amministrativo o del personale ovvero di ogni altro dipendente o collaboratore della società; per contro, dovrebbe persistere (diversamente dalle previsioni internazionali) l’irrilevanza delle condotte poste in essere dai professionisti esterni alla società, attesa l’impossibilità di rinvenire nel loro rapporto con quest’ultima il profilo della direzione o vigilanza Ulteriori innovazioni apportate dalla riforma sono l’introduzione di una clausola di riserva, con la quale si esclude l’operatività dell’art. 2635 c.c. quando il fatto integri un reato più grave, l’innalzamento del minimo edittale della reclusione prevista per la fattispecie del comma 1 e la previsione della responsabilità degli enti ex D.Lgs. 231/2001 limitatamente all’ente del quale è vertice apicale o dipendente il corruttore (atteso che la società del soggetto corrotto risulta danneggiata). In tema di responsabilità dell’ente da reato, si precisa che, essendo questa prevista per il delitto di corruzione tra privati, ne consegue che, ai fini dell’integrazione dell’illecito complesso contemplato nel D.Lgs. 231/2001, sarà necessario il perfezionamento della fattispecie “composta” di cui all’art. 2635 c.c. (la condotta del corruttore contribuisce a integrare la struttura del fatto tipico e non costituisce un’autonoma fattispecie di reato) e dunque anche la verificazione del nocumento alla società non coinvolta da siffatta tipologia di responsabilità, salva la rilevanza del tentativo. 4.1 (segue) il rilievo riconosciuto alla concorrenza Come anticipato il rilievo riconosciuto alla concorrenza discende dalla previsione del regime di procedibilità. Questo, allo stesso modo della previgente normativa, è di regola a querela della persona offesa (id est, la società), tuttavia oggi diviene d’ufficio ove “dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi”. La formula rappresenta l’esito di un compromesso politico tra chi voleva in ogni caso prescindere dalla querela e chi voleva mantenere l’originario regime. L’espressione utilizzata per richiamare l’offesa alla concorrenza, la quale riecheggia le scelte operate in altri ordinamenti europei, pare indicare il discostamento rispetto a un percorso concorrenziale “normale”, e cioè leale, libero, ovvero l’impedimento del prodursi del libero e leale gioco della concorrenza. Si noti inoltre come la rilevanza dell’offesa alla concorrenza rimanga circoscritta al mercato dell’acquisizione di beni o servizi, esulando dallo spettro operativo della norma ogni diverso settore. 39 La novella dunque sembra aver configurato un’autonoma ipotesi criminosa caratterizzata dalla verificazione di un ulteriore evento (“distorsione alla concorrenza”) posto in rapporto di derivazione causale con il fatto oggetto dell’incriminazione originaria, con la quale condivide tutta la disciplina normativa fuorché il regime di procedibilità. In altri termini, la nuova figura incentrata sull’effetto lesivo alla concorrenza non risulta calibrata sul compimento della condotta tipica dell’incriminazione, per così dire, “base” e dunque sulla dinamica corruttiva in sé, ma rimane pur sempre vincolata alla verificazione del “fatto” nel suo insieme in questa previsto e dunque anche alla verificazione del nocumento alla società, secondo un modello implicante l’accertamento di un triplice nesso causale. In questa prospettiva, stando cioè al dato testuale dove si utilizza il termine “fatto” per indicare la fonte della distorsione della concorrenza, si potrebbe arrivare a richiedere, ai fini del perfezionamento della nuova figura procedibile d’ufficio, la dimostrazione di una diretta correlazione causale tra il nocumento alla società, quale ultimo segmento del fatto tipico incriminato nell’ipotesi “base”, e la distorsione della concorrenza, con l’effetto dunque – si direbbe - di conferire rilevanza ai soli casi lesivi dell’interesse concorrenziale della società danneggiata, atteso che la lesione dell’interesse concorrenziale riferibile a soggetti terzi (rispetto al pactum sceleris) è eziologicamente riconducibile all’accordo corruttivo in sé e non alla produzione del nocumento per la società di appartenenza del soggetto corrotto. L’unico profilo differenziale rispetto al passato sarebbe allora rappresentato dall’acquisito rilievo pubblicistico della vicenda, che anziché “risolversi” all’interno della compagine (come consentito dal regime di procedibilità a querela) diverrebbe per l’appunto perseguibile d’ufficio. Posto ciò, è evidente come una tale lettura non consenta di soddisfare in alcun modo le istanze di tutela della concorrenza sottese agli obblighi comunitari e internazionali, di modo che risulta preferibile leggere il termine “fatto” nel suo complesso, ammettendo che l’evento “distorsione della concorrenza” rilevante ai sensi della disposizione possa derivare anche dall’accordo corruttivo quale segmento del fatto tipico antecedente rispetto all’evento “nocumento”, ferma restando la necessità che quest’ultimo si verifichi. Per tal via si recupera la prospettiva della tutela dei concorrenti terzi rispetto all’accordo corruttivo, il cui pregiudizio dunque rende il fatto procedibile d’ufficio, ma comunque non svincola il perfezionamento della fattispecie dalla verificazione del danno in capo alla società del soggetto corrotto. Ma v’è di più. L’espresso riferimento all’ <<acquisizione di beni o servizi>>, che circoscrive l’ambito di rilevanza della distorsione della concorrenza, sembra ritagliato proprio sull’ipotesi che pone un’esigenza di tutela dei concorrenti terzi rispetto alla corruzione (in atti aventi appunto ad oggetto l’acquisizione di beni o servizi), rivelandosi invero difficilmente compatibile con quella, sopra richiamata, derivabile dalla richiesta di un legame eziologico tra nocumento ed effetto anticoncorrenziale, dove quest’ultimo concerne la stessa società danneggiata59. 59 Per sostenere una siffatta, problematica compatibilità, si dovrebbe pensare, con fervida immaginazione, che il legislatore abbia inteso riferirsi alla seguente tipologia di dinamica: verificazione di un nocumento che, impedendo alla società danneggiata di partecipare all’aggiudicazione della fornitura di un servizio, le determini uno svantaggio ( e dunque una distorsione) concorrenziale “nell’acquisizione di beni o servizi”. 40 Si potrebbe poi avanzare l’idea che nella disposizione in esame il riferimento alla distorsione della concorrenza rappresenti null’altro che l’esplicitazione – si potrebbe dire - dell’evento in senso giuridico, vale a dire dell’offesa al bene giuridico, pertinente all’accordo corruttivo: detto altrimenti, l’espressione normativa non farebbe altro che descrivere l’essenza lesiva della corruzione quando questa ha ad oggetto “l’acquisizione di beni o servizi”. Tale tesi muove dalla prospettazione della “concorrenza” non come interesse riferibile ai singoli imprenditori in competizione (secondo dunque una visione microeconomica del fenomeno), e in quanto tale suscettibile di riscontro empirico, ma come “nota” qualitativa del mercato medesimo, che ne qualifica il corretto andamento; un bene pubblicistico, di natura sistemica, che viene “offeso” dal perfezionamento dell’accordo corruttivo, attraverso il quale sono infrante per ciò stesso le corrette “regole del gioco” (concorrenziale). Il rischio insito in una tale lettura, che evidentemente muove dalla visione macroeconomica del fenomeno, è quello di formalizzazione della fattispecie, che potrebbe dunque ritenersi perfezionata con la sola conclusione del pactum sceleris, senza cioè l’ulteriore dimostrazione di un pregiudizio (concorrenziale) riferibile a un qualche soggetto economico. In questo modo, e diversamente da quanto sembra evincersi dal dettato normativo (che introduce l’evento ulteriore attraverso un periodo dal significato ipotetico: <<salvo che dal fatto derivi …>>), al perfezionamento della fattispecie che abbiamo definito “base” conseguirebbe sempre e comunque quello della nuova figura, atteso che l’accordo corruttivo è elemento di tipicità comune a entrambe. In altri ed equivalenti termini, il legislatore avrebbe previsto il regime di procedibilità d’ufficio in tutti i casi di corruzione tra privati commessa con riferimento all’acquisizione di beni o servizi60. Del resto, per svincolare il profilo lesivo della concorrenza da un piano strettamente patrimoniale non ci pare necessario procedere a una sua prospettazione in termini di alterazione del “corretto” funzionamento del mercato, dal momento che la “personalizzazione” della dimensione offensiva attraverso il riferimento a un soggetto economico non dovrebbe scontare la collocazione del fenomeno sul suddetto piano: nell’esempio della fornitura il pregiudizio all’interesse concorrenziale si risolve nell’essere stato escluso a seguito di una corruzione e non implica una quantificazione in termini patrimoniali di tale evento. In ogni caso, da qualunque lettura (distorsione della concorrenza come evento o come connotato offensivo dell’accordo) cioè si muova, la riforma non ha prodotto una generalizzata criminalizzazione della corruzione privata. Si rimane infatti nel contesto delle società commerciali e la corruzione acquista rilevanza solo nella misura in cui determini una lesione del patrimonio della società e pertenga all’ <<acquisizione di beni o servizi>>. Anche oggi il messaggio normativo non è “non farti corrompere” tout court, bensì “non cagionare un danno alla società quale conseguenza di un atto infedele venduto” ovvero “non farti distogliere dal 60 Una tale voluntas legislatoris invero avrebbe potuto trovare una diversa e meno elaborata traduzione normativa: sarebbe bastato prevedere la procedibilità d’ufficio nei casi di corruzione commessa nell’ambito dell’acquisizione di beni o servizi, dando in tal modo per acquisita in queste ipotesi la distorsione della concorrenza. 41 perseguimento dell’interesse societario attraverso comportamenti corruttivi, perché se da questi consegue un danno andrai incontro a responsabilità penale” e “sappi che se dal fatto deriva una distorsione alla concorrenza si procederà d’ufficio”. Insomma non v’è dubbio che l’espresso riferimento alla concorrenza consenta di estirpare alle società il potere di decidere se i comportamenti corruttivi debbano o meno essere puniti e proietti la fattispecie in una ulteriore dimensione, riconoscendo alla fenomenica in essa contemplata la potenzialità lesiva di un diverso bene, esterno alla società del soggetto corrotto e che, volendo, potrebbe anche colorarsi di venature pubblicistiche. Tuttavia la sua rilevanza non è autosufficiente, dipendendo pur sempre dall’eventuale verificazione della deminutio patrimoni in capo alla società del soggetto corrotto, secondo dunque una configurazione che presenta tracce di ibridismo, tentando invano di ricomporre in un’unica struttura diversi modelli di incriminazione della corruzione privata, invero incapaci di essere canalizzati in una reductio ad unum. Infine, la limitazione della rilevanza dell’effetto anticoncorrenziale all’<<acquisizione di beni o servizi>> impone di rimeditare l’elencazione esemplificativa proposta nel corso del presente lavoro. Mantiene rilievo l’esempio del direttore “infedele” che abbia scelto un fornitore dietro compenso, dove la distorsione alla concorrenza rileverà nella misura in cui si accerti la sussistenza di un danno patrimoniale in capo alla società del soggetto corrotto, ciò che appare requisito eventuale e per niente scontato. Allo stesso modo dovrebbe mantenere rilievo l’esempio del top manager corrotto che abbia dato parere favorevole alla fusione della banca, dal momento che si è in presenza di una (peculiare) forma di “acquisizione di beni” (id est, per “successione soggettiva” ex art. 2504 bis comma 1 c.c. e non per fattispecie traslativa). Per le ragioni anzidette non dovrebbe acquisire rilievo il caso dell’amministratore “infedele” che sempre dietro compenso abbia omesso di presentare la dichiarazione fiscale della società amministrata o abbia ristrutturato malamente un reparto aziendale, ipotesi in cui l’eventuale danno patrimoniale interno giustifica (e giustificava) di per sé l’intervento penale (contro la mala gestio tradottasi in nocumento): peraltro, un riferimento normativo alla distorsione della concorrenza non circoscritto all’acquisizione di beni o servizi, lungi dall’ “anteporre” in chiave autonoma il “bene” della concorrenza a quello di stampo patrimoniale, avrebbe comunque consentito, in presenza di un effettivo svantaggio concorrenziale, la fuoriuscita dei “panni sporchi”da casa, impedendo l’oscuramento della vicenda attraverso strategie interne volte a frenare la presentazione della querela. Avv. Andrea Francesco Tripodi Docente di Diritto Penale presso la Scuola di Specializzazione nelle Professioni Legali Università LUISS G. Carli – Roma 42 F) Il tentativo EXECUTIVE SUMMARY I reati di corruzione pubblica costituiscono fattispecie plurisoggettive bilaterali, rendendo punibili le condotte a titolo di tentativo (ex art. 56 c.p.) solo laddove entrambi i soggetti (corruttore e corrotto) abbiano compiuto atti idonei ed univoci diretti alla conclusione dell’accordo criminoso. Per punire il “tentativo unilaterale” dei singoli soggetti, è stata necessaria l’introduzione, da parte del legislatore, dell’art. 322 c.p. Nella corruzione tra privati, a seconda della natura giuridica che si intende assegnare al reato dipende l’applicabilità dell’art. 56 c.p. Interpretando il reato come fattispecie a concorso necessario, gravitando l’art. 2635 c.c. non sull’accordo corruttivo ma sul nocumento conseguente all’atto, i requisiti dell’idoneità e univocità, richiesti dall’art. 56 c.p. per configurare il delitto tentato, vanno proiettati sulla condotta finalizzata, in esecuzione dell’accordo, al compimento o all’omissione dell’atto di ufficio. Interpretando i primi due commi ed il terzo comma dell’art. 2635 c.c. come fattispecie autonome, sarebbe punibile, sotto forma di delitto tentato, il semplice tentativo di dare o offrire, a prescindere dall’accettazione del destinatario, assicurando così una maggiore tutela al fenomeno corruttivo. ABSTRACT Nel presente contributo, l’autore analizza inizialmente il regime del tentativo nelle fattispecie di corruzione pubblica. Successivamente viene offerto un esame comparato tra quanto previsto nella corruzione pubblica e quanto scaturito dall’introduzione dell’art. 2635 c.c. Infine, si esaminano due possibili opzioni interpretative del reato di corruzione tra privati, ognuna delle quali conduce alla punibilità o meno rispetto all’ ipotesi di dare o promettere denaro o altra utilità, a prescindere dalla violazione degli obblighi di ufficio e dal verificarsi del nocumento. 43 F) Il tentativo 1. Premessa L’introduzione del nuovo concetto di corruzione tra privati ha costituito per il legislatore un banco di prova: rimodellare il tradizionale schema della corruzione, sorto per disciplinare esclusivamente i rapporti che intercorrono tra il privato ed il pubblico ufficiale, alle esigenze di una nuova forma di corruzione, rappresentate in primis dalla volontà di qualificare come corruzione anche gli accordi illeciti tra privati, con una significativa presa di posizione sulla offensività dei comportamenti corruttivi, a prescindere dal terreno, pubblico o privato, nel quale essi si verificano. A tale problema si aggiungeva l’altro, strettamente connesso, della difficoltà di calibrare l’intervento repressivo, volto alla tutela degli scambi commerciali da una parte e del rispetto degli obblighi d’ufficio o di fedeltà dall’altra. Ciò che ne è scaturito, è una norma61 la cui struttura ricalca quella di una corruzione propria (caratterizzata dall’accordo corruttivo in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà), del tipo antecedente (nella quale la promessa o dazione precede la violazione degli obblighi). Il reato è costruito come una fattispecie di evento (il nocumento quale conseguenza della violazione degli obblighi a seguito di dazione o promessa) a fronte di un delitto, quello di corruzione, che nelle tradizionali fattispecie di reato contro la Pubblica Amministrazione era costruito in modo tale che la lesione del bene giuridico conseguisse già alla sola condotta, lesiva in quanto di per sé pericolosa. È questa una delle questioni che lascia maggiormente perplessi sul lavoro compiuto dal legislatore, frutto della scelta di non trasporre, con i necessari adattamenti, il modello pubblicistico della corruzione, ma di presentare una figura con marcate caratteristiche autonome, frutto dell’ibridazione tra lo schema della corruzione propria antecedente e quello dell’infedeltà patrimoniale ex art. 2634 c.c. 61 Il testo del nuovo art. 2635 c.c. recita: [I]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni. [II]. Si applica la pena della reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma. [III]. Chi dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma è punito con le pene ivi previste. [IV]. Le pene stabilite nei commi precedenti sono raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni. [V]. Si procede a querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi. 44 In questo senso assume particolare importanza la disciplina del tentativo ex. art. 56 c.p.62, dal momento che la sua eventuale applicazione consente quell’anticipazione di tutela che la ricostruzione appena esposta della fattispecie non permette di configurare nel caso di reato consumato. 2. Disciplina pubblicistica della corruzione (artt. 318 e ss. c.p.) Per comprendere le conseguenze di una applicazione in concreto dell’art. 56 c.p., con riguardo alla corruzione tra privati, appare utile valutare le circostanze in cui il tentativo si potrebbe configurare nei tradizionali delitti di corruzione pubblica, ipotesi strettamente legate alla natura giuridica che si intende assegnare al reato. Secondo un primo orientamento minoritario, le condotte del funzionario e del privato, delineate dagli artt. 318, 319 c.p., darebbero luogo a distinte ed autonome fattispecie di reato stante la loro intrinseca diversità, poiché il pubblico agente riceve il denaro o l’utilità o ne accetta la promessa. Al contrario, il privato, il denaro o l’utilità dà o promette. Invero, ciò è stato contestato sulla base del fatto che, se così fosse, ognuno dei due soggetti sarebbe chiamato a rispondere di due reati: quello di cui egli è autore tipico e di concorso nel delitto commesso dall’altro soggetto. A tale ricostruzione è stato, infatti, obiettato che la doppia imputazione viene ad essere superata attraverso l’applicazione dei principi sul concorso apparente di norme. Inoltre, se così fosse, non si spiegherebbe l’art. 322 c.p.63 che considera a sé stanti ed autonome le condotte dei due soggetti, privato e pubblico, quando non si siano unite a quelle della controparte. L’orientamento dominante in dottrina, dunque, suffragato dalla giurisprudenza più consolidata, ritiene la corruzione reato a concorso necessario. La scelta di aderire a tale assunto, comporta effetti immediati in tema di tentativo, poiché la configurabilità del tentativo di un reato bilaterale è subordinata alla sussistenza di atti idonei e univoci posti in essere da entrambi i soggetti del rapporto: così, rispetto ai reati di corruzione previsti dal codice penale, si richiede che l’intraneo e l’estraneo siano pervenuti allo stadio almeno delle trattative aventi ad oggetto l’atto dell’ufficio, mentre il tentativo unilaterale trova la sua sanzione nell’art. 322 c.p. 62 L’art. 56 c.p., comma I, sotto la rubrica “Delitto tentato” così dispone: “Chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l’azione non si compie o l’evento non si verifica”. 63 L’art. 322 c.p. recita: [I]. Chiunque offre o promette denaro od altrà utilità non dovuti ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio che riveste la qualità di pubblico impiegato, per indurlo a compiere un atto del suo ufficio, soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nel primo comma dell’articolo 318, ridotta di un terzo. [II]. Se l’offerta o la promessa è fatta per indurre un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio ad omettere o a ritardare un atto del suo ufficio, ovvero a fare un atto contrario ai suoi doveri, il colpevole soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nell’articolo 319, ridotta di un terzo. [III]. La pena di cui al primo comma si applica al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio che riveste la qualità di pubblico impiegato che sollecita una promessa o dazione di denaro od altra utilità da parte di un privato per le finalità indicate dall’articolo 318. [IV]. La pena di cui al secondo comma si applica al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro od altra utilità da parte di un privato per le finalità indicate dall’articolo 319. 45 Infatti, per la punibilità del tentativo in un reato plurisoggettivo bilaterale occorre che entrambi i soggetti compiano atti di tentativo, non bastando l’agire di uno solo, perché il fatto difetterebbe di idoneità e univocità. Nel caso della corruzione, per aversi tentativo non basta che uno dei due soggetti offra o solleciti, ma occorre, altresì, che colui il quale riceve la proposta se ne dimostri, a sua volta, interessato e le parti intraprendano, senza concluderla, una trattativa. Perciò, se la corruzione attiva e passiva fossero reati distinti, l’intero art. 322 c.p. sarebbe superfluo, perché le condotte in esso previste sarebbero punibili in base all’art. 56 c.p. come tentativo di corruzione attiva o, rispettivamente, come tentativo di corruzione passiva. L’art. 322 c.p. è, invece, necessario perché le condotte in esso previsto costituiscono tentativi unilaterali e non tentativo di un reato plurisoggettivo bilaterale, com’è appunto la corruzione e, quindi, in sua assenza non sarebbero punibili. È soltanto con questa natura della corruzione che si spiega la presenza dell’art. 322 c.p., il quale rende punibili, in deroga all’art. 56 c.p., condotte che, altrimenti, non lo sarebbero. 3. Disciplina privatistica della corruzione (art. 2635 c.c.) La possibilità di configurare il tentativo di corruzione appare strettamente legata alla natura giuridica assegnata anche rispetto al reato ex art. 2635 c.c Com’è stato autorevolmente affermato, all’alba della riforma introdotta dalla L. 190/2012 “sotto il profilo strutturale nella nuova figura di reato (2635 c.c.) echeggiano i geni del modello pubblicistico della corruzione propria antecedente, atteso che la dazione o la promessa della “tangente” deve precedere la commissione dell’atto illecito. Ma di tale modello non replica l’anticipazione della soglia di penale rilevanza all’accettazione dell’offerta corruttiva, attendendo invece per la sua consumazione l’effettivo compimento dell’atto antidoveroso e la realizzazione dell’evento (nocumento della società) e finisce così – esattamente com’era stato evidenziato dalla dottrina con riguardo all’infedeltà a seguito di dazione – per punire non la corruzione, bensì il comportamento infedele tenuto verso la persona giuridica nel quale si materializza quel conflitto di interessi di cui la corruzione è mero sintomo e che costituisce una sorta di requisito ombra della fattispecie di nuovo conio, allo stesso modo in cui lo era di quella precedentemente contemplata dall’art. 2635 c.c.” 64. Configurando il reato di corruzione tra privati come un reato a concorso necessario, alla stregua, abbiamo visto, di tutti i reati a matrice corruttiva, “le due differenti tipologie di condotta previste dal primo e dal terzo comma, ovverosia l’adozione o l’omissione di atti in violazione degli obblighi inerenti al proprio ufficio o agli obblighi di fedeltà e la dazione o la promessa di una somma di denaro o di altra utilità, non costituirebbero autonome fattispecie di reato, ma al contrario risulterebbero entrambe imprescindibili ai fini dell’integrazione del fatto tipico alla base del delitto in esame”65. In questo caso, gravitando l’art. 2635 c.c. non sull’accordo corruttivo ma sul nocumento conseguente all’atto, questo slittamento strutturale implica che – ferma restando, in mancanza di una disposizione 64 65 Relazione Cassazione n. III/11/2012, pag. 19. V. GENNARO, C. CALZONE, La corruzione tra privati, in Rivista 231, 1/2013, pag. 45. 46 di legge che svolga la funzione assolta nella “corruzione pubblica” dall’art. 322 c.p., l’irrilevanza del tentativo unilaterale – i requisiti dell’idoneità e univocità, richiesti dall’art. 56 c.p. per configurare il delitto tentato, vanno proiettati sulla condotta finalizzata, in esecuzione dell’accordo, al compimento o all’omissione dell’atto di ufficio.66 Dunque, differentemente da quanto accade per le tradizionali fattispecie di corruzione, la soglia di punibilità, anche nella forma del delitto tentato, sembra essere significativamente spostata in un momento cronologicamente successivo, posteriore alla finalizzazione dell’accordo corruttivo, quando le azioni del dare o promettere il denaro o l’altra utilità, da una parte, e l’accettare la dazione o la promessa, dall’altra, si sono esaurite. La scelta del legislatore è stata quella, dunque, di lasciare impuniti gli atti preliminari, preparatori dell’atto corruttivo, benché, nel comparto della corruzione pubblica, siano stati ritenuti socialmente pericolosi: come si è visto in precedenza, per punire queste ultime forme di condotta, a prescindere dall’accettazione dell’offerta o della promessa, è stato necessario introdurre una disposizione ad hoc (art. 322 c.p.). Essendo qui, però, di fronte ad un reato di evento, il tentativo è configurabile solo in un momento immediatamente precedente al realizzarsi dello stesso, e, più precisamente, negli atti idonei e non equivoci diretti alla violazione degli obblighi di ufficio ovvero di fedeltà, rendendo quantomeno un’operazione azzardata, retrocedere ulteriormente nella progressione criminosa delineata dall’art. 2635, fino a giungere all’atto corruttivo in sé ovvero agli atti idonei a commettere l’atto corruttivo stesso. Invero, qualcuno potrebbe obiettare che anche questi ultimi presentano un disvalore sociale e perciò degni di essere presi in considerazione, ma, seguendo l’orientamento dottrinale maggioritario già formatosi in materia, corroborato dall’addentellato normativo offerto dall’art. 115 c.p. 67, sembrerebbe un’operazione priva di fondamento giuridico. Quest’ultima disposizione, infatti, costituisce un limite espresso alla norma generale del tentativo. D’altra parte, la stessa giurisprudenza non ha mancato di evidenziare come il diritto penale è dominato dal principio fondamentale secondo cui il reato, come fatto umano punibile, non può giammai consistere nella mera intenzione, mai punita dalla legge penale68: in tal senso, è ben diversa l’ipotesi del tentativo di un accordo criminoso (disciplinato dall’art. 115), dalla ipotesi di un accordo criminoso che si sia tradotto in atti di tentativo (punibile ex art. 56).69 Il discorso potrebbe cambiare solo interpretando i primi due commi ed il terzo comma dell’art. 2635 c.c. come fattispecie autonome, superando così i problemi legati alla natura bilaterale del reato ed 66 In questo senso S. SEMINARA, Il reato di corruzione tra privati in Le Società, 1/2013, pag. 65; Conf. Aldrovandi, Cerqua,. Nel senso invece di riferire il tentativo all’inizio delle trattative ovvero al loro perfezionamento non seguito dalla condotta del soggetto qualificato Amati, Bellacosa, Foffani, Rossi; in favore della sussistenza del tentativo gia` con l’istigazione rivolta al soggetto qualificato Lunghini, Martini. 67 L’art. 115 c.p., comma I, recita: “Salvo che la legge disponga altrimenti, qualora due o più persone si accordino allo scopo di commettere un reato, e questo non sia commesso, nessuna di esse è punibile per il solo fatto dell’accordo”. 68 Cass., sez. I, 24.9.2008 69 Cass., sez. II, 6.12.1972 47 alla conseguente inammissibilità del tentativo unilaterale. In questo modo, l’atto corruttivo cesserebbe di prospettarsi come un antefatto quasi totalmente privo di rilevanza penale e verrebbero valorizzati i due momenti, cronologicamente separati, della dazione o promessa di denaro e la sua accettazione e il compimento degli atti contrari ai doveri d’ufficio, rispettando l’asimmetria connaturata alle due condotte del corrotto e del corruttore.70 Un’interpretazione testuale di questo tipo consentirebbe di ravvisare l’assenza di un riferimento al “danno – evento” nel terzo comma, punendo la corruzione dal lato attivo a prescindere dal verificarsi del danno (immaginando ad esempio che vi sia però una distorsione della concorrenza). 71 In tal caso, se è vero che l’ipotesi di corruzione privata passiva delineata dai commi I e II del 2635 c.c. non subirebbe stravolgimenti (contenendo nel fatto tipico comunque l’evento del nocumento alla società), il terzo comma, autonomamente considerato, si realizzerebbe, nella forma del reato consumato, con la dazione o offerta di denaro o altra utilità ad uno dei soggetti di cui ai commi 1 e 2, e, sotto forma di delitto tentato in virtù del regime di cui all’art. 56 c.p., con il semplice tentativo di dare o offrire, a prescindere dall’accettazione del destinatario, assicurando così una maggiore tutela al fenomeno corruttivo. Solo immaginando il terzo comma dell’art. 2635 c.c. come fattispecie autonoma di reato, da un punto di vista strettamente giuridico, sarebbe ammissibile il tentativo unilaterale in capo alla condotta del corruttore. Certamente, tale impostazione, avrebbe il vantaggio di assicurare una maggior tutela incriminando un novero di comportamenti più ampio, ripercorrendo il solco tracciato dal legislatore per la “corruzione pubblica” quando, a suo tempo, decise di disciplinare condotte costituenti tentativi unilaterali, introducendo l’art. 322 c.p. per punire comportamenti che, altrimenti, non sarebbero stati perseguibili, frenati dal rispetto del tradizionale schema del concorso necessario applicato ai reati di corruzione.72 Da ultimo, è utile segnalare come la volontà di uniformare la disciplina della corruzione, con riferimento anche all’art. 2635, abbia trovato posto all’interno del nuovo DDL Grasso, laddove, all’art. 2, viene effettuata una riscrittura della corruzione tra privati come reato di pericolo e non di danno, 70 Ipotesi interpretativa prospettata da M. PANSARELLA, Corruzione tra privati: reato a concorso necessario, oppure fattispecie autonoma di reato?, in Rivista 231, n. 2/2013. 71 In questo senso G. M. ARMONE, La corruzione nel settore privato, in Aa.Vv., Diritto penale europeo e ordinamento italiano, Milano, 2006,, pag. 282, quando individua nell’art. 2635 c.c. (nella precedente versione) la fattispecie idonea a recepire quanto previsto dalla decisione quadro, evidenziando di conseguenza quali siano gli elementi che andrebbero però modificati tra cui in primis il nocumento: “una soluzione intermedia poteva essere almeno quella di svincolare dal riferimento al nocumento alla società l’incriminazione del corruttore, di un soggetto che trae vantaggio dall’attività di corruzione – in danno dei concorrenti – anche se la società del corrotto non subisce danni. E’ tuttavia probabile che l’incriminazione della sola corruzione attiva avrebbe rotto la simmetria del pactum sceleris, che è alla base dell’attuale ricostruzione del reato di corruzione nel nostro sistema”. 72 Come già sottolineato da M. PANSARELLA, op.cit., pag. 25, “Poiché l’istigazione alla corruzione di cui all’art. 322 c.p. rappresenta un esempio di fattispecie autonoma di reato, la giurisprudenza che si è maturata con riferimento a questa fattispecie potrà essere utilizzata come esempio anche per la fattispecie di corruzione tra privati: «il delitto di istigazione alla corruzione è un reato di mera condotta che si perfeziona con la semplice offerta o promessa di denaro o altra utilità, purché seria e potenzialmente idonea ad indurre il destinatario a compiere un atto contrario a doveri d’ufficio», Cass. pen., 30 novembre 1995, n. 2714; Cass. pen., 1996, 2184, con nota di Ciani. 48 con la conseguente eliminazione della punibilità a querela. Come si legge nella relazione di accompagnamento, infatti, “l’attuale previsione determina un’eccessiva limitazione della punibilità di condotte pur idonee a generare gravi alterazioni del mercato e della libera concorrenza”. 73 Avv. Marco Sargenti Legal Consultant KStudio Associato – Network KPMG 73 Disegno di legge d’iniziativa del senatore Grasso e altri firmatari, Disposizioni in materia di corruzione, voto di scambio, falso in bilancio e riciclaggio, Roma, 15 marzo 2013, pag. 4. 49 G) La corruzione tra privati nei gruppi di imprese EXECUTIVE SUMMARY Il tema dell’estensione della responsabilità amministrativa dell’ente ad altre società del gruppo ha trovato un approdo giurisprudenziale nella sentenza n. 24583/2011 della Corte di Cassazione, la quale ha statuito che il coinvolgimento in responsabilità di altre società del gruppo non possa essere automatico ma debba invece passare per la verifica della concreta articolazione del gruppo e, soprattutto, della sussistenza dei presupposti di applicabilità del D.Lgs. n. 231/2001. Con riguardo alla commissione del reato di cui all’art. 2635 c.c., lo strumento più opportuno per fronteggiarlo e prevenire la ricaduta in termini di responsabilità ex 231/01 al gruppo è costituito dall’adozione di politiche organizzative di gruppo che favoriscano il rafforzamento dei flussi informativi, soprattutto tra gli organi di vigilanza e controllo delle diverse società, anche attraverso regolamenti di gruppo o veri e propri contratti di servizio tra società. ABSTRACT Dopo aver esaminato il problema dell’applicabilità del D.Lgs. 231/01 ai gruppi di imprese, che trova il suo punto fermo nella recente sentenza n. 24583/2011 della Corte di Cassazione, l’autore passa alla trattazione delle possibili ricadute con riguardo al reato di corruzione tra privati. In particolare, ricercando i possibili strumenti di prevenzione per arginare il rischio di ricaduta del reato ex art. 2635 c.c. nei gruppi di imprese, l’autore reputa fondamentale la predisposizione di efficaci politiche organizzative e, quindi, il potenziamento dei flussi informativi, i quali potrebbero peraltro contribuire all’efficientamento e alla (potenziale) valutazione di idoneità dei modelli di organizzazione e gestione dell’ente, che rappresenta la principale scriminante in favore della società (tanto singolarmente considerata quanto nel contesto di gruppo, es. la holding). 50 G) La corruzione tra privati nei gruppi di imprese 1. Premessa Le modifiche apportate di recente al testo dell’art. 2635 c.c. (oggi denominato “Corruzione tra privati”74) e, correlativamente, al D.Lgs. n. 231/2001 [spec. con l’introduzione della lett. s-bis) al co. 3 dell’art. 25-ter75], in uno con l’evoluzione giurisprudenziale sul tema, forniscono l’occasione per formulare alcune brevi considerazioni a proposito della responsabilità amministrativa degli enti (ex D.Lgs. n. 231/2001) nel contesto dei gruppi di società. 2. Innovazioni normative ed evoluzione giurisprudenziale. Applicabilità del D.Lgs. n. 231/2001 ai gruppi di imprese Invero, sotto il profilo normativo il nuovo secondo comma dell’art. 2635 c.c., nel contemplare espressamente l’ipotesi di illecito commesso da coloro che siano sottoposti alla “direzione o vigilanza” dei soggetti di cui al primo comma (i.e. amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, etc.), utilizzando un linguaggio conforme a quello del D.Lgs. n. 231/200176, pare sottendere la consapevolezza del legislatore in ordine alla superiore complessità delle attuali realtà societarie e, di risulta, la necessità di costruire la fattispecie dell’illecito 74 Il cui nuovo testo recita: [I]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni. [II]. Si applica la pena della reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma. [III]. Chi dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma è punito con le pene ivi previste. [IV]. Le pene stabilite nei commi precedenti sono raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni. [V]. Si procede a querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi (corsivo aggiunto per evidenziare le novità introdotte dall'art. 1, comma 76, l. 6 novembre 2012, n. 190). 75 Che prescrive: “s-bis) per il delitto di corruzione tra privati, nei casi previsti dal terzo comma dell'articolo 2635 del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote”. 76 Cfr. l’art. 5 del D. Lgs. n. 231/2001, che recita: “1. L'ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio: a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a). 2. L'ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi”. 51 (e quindi l’area soggettiva della punibilità) tenendo conto di una struttura gerarchica maggiormente articolata: è evidente che di tale superiore “organizzazione” (la quale può esser caratterizzata da legami interorganici fra società, spesso cristallizzati nella identità dei soggetti che ne sono a capo) il gruppo di imprese costituisca il paradigma77. Secondo i più recenti orientamenti giurisprudenziali78, la holding può essere chiamata a rispondere ai sensi e nel rispetto delle previsioni di cui al D.Lgs. n. 231/2001 - del fatto illecito commesso nel suo interesse (o a suo vantaggio) da un “esponente”79 della controllata, in concorso con un “esponente” della holding medesima: tale circostanza deve essere tenuta in considerazione nell’analisi che ci occupa in quanto l’introduzione della lett. s-bis) al co. 3 dell’art. 25-ter, D. Lgs. n. 231/2001, rende il decreto de quo applicabile anche alla “nuova” fattispecie della “corruzione tra privati” (configurabile, conseguentemente, anche nel contesto di gruppo). 3. Gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali sul tema dell’estensione della responsabilità amministrativa dell’ente ad altre società del gruppo Come noto, il D.Lgs. n. 231/2001 non ha previsto espressamente l’estensione della responsabilità amministrativa dell’ente ad altre società del gruppo80. Sul punto si sono quindi avvicendati orientamenti interpretativi di segno differente: ad una prima tesi diretta a preservare il “gruppo” dalla propagazione delle responsabilità da società in società ne è seguita un’altra favorevole all’effetto estensivo81. Tale interpretazione favorevole (che peraltro prende le mosse proprio da una fattispecie concreta di “corruzione”) si è fondata, in prima battuta, sulla configurazione di un “interesse di gruppo” 82 - 77 Sul punto sia consentito rinviare, per più ampi riferimenti argomentativi e bibliografici, a SANTOSUOSSO, Gruppi di società, in ABRIANI (a cura di), Diritto Commerciale, Dizionari del Diritto Privato promossi da Natalino Irti, 2011, 459 ss. Una conferma di tale interpretazione proviene dalla sentenza del Tribunale di Milano del 20 settembre 2004 (di cui si dirà infra) che ravvede proprio nel richiamato art. 5 del D. Lgs. n. 231/2001 (e quindi nell’articolazione piramidale della struttura organizzativa, tipica del gruppo) il dato normativo utile a giustificare l’estensione della responsabilità dell’ente ad altre società del gruppo. Contra, ALESSANDRI, La «vocazione penalistica dell’ODV» e il suo rapporto con il modello organizzativo, in BIANCHINI-DI NOIA (a cura di), Il reticolo dei controlli societari: lo stato dell’arte, Roma, 2010. 78 V., in particolare e da ultimo, Cass. pen., 29 gennaio 2013, n. 4924 e Cass. pen., 20 giugno 2011, n. 24583. 79 Cioè a dire un “soggetto in posizione apicale” o un suo sottoposto, ai sensi del richiamato art. 5 del D. Lgs. n. 231/2001. 80 L’opzione legislativa è così spiegata da PETTITI, I modelli organizzativi 231: spunti per un nuovo decalogo delle funzioni gestorie, in Riv. dir. comm., 2012, n. 4, 297: “Non certo, deve ritenersi, perché il legislatore abbia ritenuto non rilevante la questione, quanto piuttosto per la difficoltà di enumerare indicazioni analitiche, valevoli per ogni fattispecie e rapporto infragruppo e in quanto, deve pure ritenersi, i criteri individuati nella disciplina siano stati ritenuti astratti al punto da poter essere applicati anche al raggruppamento societario”. L’A. precisa infatti (p. 301) che “non vi è dubbio che la formulazione generica dell’art. 5 del decreto in commento consenta, in via di principio, l’estensione della responsabilità ad altre società del gruppo a cui appartiene l’organizzazione interessata direttamente alla commissione del reato”. Sul tema v., più in generale, ASSUMMA, La responsabilità amministrativa degli enti nei gruppi di imprese, problemi e prospettive delle società e degli enti, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2011, n. 3. 81 In tema v. TOMBARI, Diritto dei gruppi di imprese, Milano, 2010. 82 Il riferimento è all’orientamento espresso dal Tribunale di Milano nelle sentenze del 20 settembre 2004, in Foro it., 2005, 10, II, 528, e del 14 dicembre 2004, in Foro it., 2005, 10, II, 527. 52 perseguito nella commissione dell’illecito - “che si manifesterebbe nella direzione e coordinamento esercitati dalla capogruppo e nella qualità di amministratore “di fatto” della controllante” 83. Altresì, la responsabilità della controllante è stata ritenuta sussistente in forza “di un generico obbligo di vigilanza sull’operato della controllata che renderebbe la capogruppo responsabile, anche ai sensi dell’art. 40 cod. penale”84. Deve tuttavia ragionevolmente ritenersi, anche alla luce dell’orientamento espresso di recente dalla Suprema Corte di Cassazione, con la nota sentenza n. 24583 del 20 giugno 201185, che il coinvolgimento in responsabilità di altre società del gruppo non possa essere automatico ma debba invece passare per la verifica della concreta articolazione del gruppo86 e, soprattutto, della sussistenza dei presupposti di applicabilità del D.Lgs. n. 231/2001. 4. La pronuncia della Corte di Cassazione con sentenza n. 24583 del 20 giugno 2011 Invero, nella menzionata sentenza (avente ad oggetto un caso di corruzione perpetrata da alcuni apicali della controllata per ottenere l’aggiudicazione di appalti nel mercato della sanità) la Suprema Corte ha ritenuto che la capogruppo possa essere assoggettata alle prescrizioni sanzionatorie previste dal D.Lgs. n. 231/2001 (solo) qualora ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni: (i) il reato sia stato realizzato da un soggetto che riveste una posizione apicale (o da un suo sottoposto) all’interno della società controllata; (ii) l’autore del reato abbia concorso alla sua realizzazione assieme a un soggetto che a sua volta riveste una posizione apicale (o a un suo sottoposto) all’interno della capogruppo; In particolare, nella massima della prima pronuncia citata (in www.dejure.giuffre.it) si precisa: “Nell'ambito di un gruppo di società, l'attività corruttiva posta in essere dall'amministratore della controllante, al fine di ottenere l'aggiudicazione o il rinnovo di un appalto di servizi in favore di una controllata, implica la responsabilità amministrativa della controllante ex art. 5 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, in quanto preordinata al soddisfacimento dell'interesse di gruppo”. Altresì, nella massima della seconda pronuncia citata (in www.dejure.giuffre.it) si osserva: “L’illecito amministrativo da reato può essere addebitato a un ente che rivesta il ruolo di controllante in seno a un gruppo di società, se commesso nell'interesse comune del gruppo, indipendentemente dal fatto che esso ne abbia tratto diretto vantaggio”. 83 Così PETTITI (supra, n. 7), 301. Sul tema v. atresì, a vario titolo, A. DI AMATO, I gruppi di società e la responsabilità amministrativa da reato degli enti, in D’AVIRRO - DI AMATO (a cura di), Trattato di diritto penale dell’impresa, Padova, 2009; FRIGNANI-GROSSO-ROSSI, I modelli di organizzazione previsti dal d. lgs. n. 231/01 sulla responsabilità degli enti, in Le società, 2002, 154; MONTALENTI, Organismo di vigilanza 231 e gruppi di società, in AGE, 2009; PISTORELLI, Brevi osservazioni sull’interesse di gruppo quale criterio oggettivo di imputazione della responsabilità da reato, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2006, n. 1, 15; SGUBBI, Gruppo societario e responsabilità delle persone giuridiche ai sensi del d. lgs. 231/01, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2006, n. 1, 8. 84 Così PETTITI (supra, n. 7), 301-302. 85 In senso conforme, v. altresì Cass. pen., 29 gennaio 2013, n. 4924 che, sia pur incidentalmente, conferma la configurabilità di una responsabilità della capogruppo per il reato commesso nel suo interesse dalla controllata ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001. Prima della pronuncia citata v. Cass. pen., 18 gennaio 2011, n. 24583 che ha escluso che l’estensione della responsabilità possa rinvenire il proprio presupposto fondante in un generico (ed astratto) interesse di gruppo, dovendo rinvenirsi i requisiti poi meglio precisati con la successiva sentenza n. 24583 del 20 giugno 2011. 86 Sul punto v. il parere del Consiglio di Stato dell’11 gennaio 2005 e PETTITI (supra, n. 7), 303 che esclude, in linea di principio, la possibilità di estendere la responsabilità alla holding c.d. pura, mancando tendenzialmente in tal caso la partecipazione attiva della stessa (tramite i suoi “esponenti”) alla commissione del reato. 53 (iii) il reato sia stato commesso nell’interesse o a vantaggio della capogruppo, nel senso che la capogruppo deve aver ricevuto una concreta ed effettiva utilità (ancorché non necessariamente patrimoniale) derivante dalla commissione del reato87. Viene in tal modo superato l’orientamento, sostenuto dalla giurisprudenza di merito prima richiamata88, che ravvedeva nella sussistenza (e quindi nel perseguimento) di un superiore (ma astratto) interesse di gruppo il fondamento dell’estensione (sostanzialmente automatica) della responsabilità dell’ente alle altre società parti del medesimo gruppo89. 5. Prime riflessioni a margine della nuova fattispecie di “corruzione tra privati” ex art. 2635 c.c. nel contesto di gruppo e possibile prevenzione In questo contesto della nuova disciplina di cui all’art. 2635 c.c. 90, disegnata, come precisato, tenendo conto di una struttura gerarchica più articolata, tipica del gruppo di imprese, che quindi incide nella costruzione dell’area soggettiva di punibilità; e (ii) dell’evoluzione giurisprudenziale, di cui si è dato conto, attraverso la quale è stata espressamente riconosciuta la possibilità di coinvolgere in responsabilità altre società del gruppo ex D.Lgs. n. 231/2001 (alle condizioni precedentemente elencate) si inserisce l’espressa menzione della fattispecie della corruzione tra privati (in particolare del terzo comma dell’art. 2635 c.c.91) nel D.Lgs. n. 231/200192 (in precedenza non applicabile nell’ambito di tale fattispecie93). Può concludersi quindi che la “nuova” fattispecie della corruzione tra privati renda applicabile la disciplina ex D.Lgs. n. 231/2001 al fenomeno di gruppo (superandosi le “resistenze” storicamente connaturate all’autonomia giuridica soggettiva degli enti che ne fanno parte, ma pur sempre nel rispetto delle condizioni delineate dalla S.C.). Conseguentemente, al fine di fronteggiare e prevenire la commissione degli illeciti (inter alia) di cui all’art. 2635 c.c. e le conseguenti ricadute in termini di responsabilità ex D.Lgs. n. 231/2001, lo strumento più opportuno può essere ravvisato nell’adozione di politiche organizzative di gruppo (implementate dagli stessi soggetti apicali, fra i quali, per quanto qui di interesse, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari94) che favoriscano il rafforzamento dei flussi 87 Si pensi ad esempio all’ipotesi in cui, al fine di provocare un sensibile aumento del valore degli strumenti finanziari della capogruppo quotata, sia stato posto in essere nell’ambito di una sua società controllata il reato di “false comunicazioni sociali” di cui agli artt. 2621 e 2622 c.c. che si concretizza nella rappresentazione di fatti materiali non rispondenti al vero nel bilancio, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge. 88 Trib. Milano, 20 settembre 2004, in Foro it., 2005, 10, II, 528, e 14 dicembre 2004, in Foro it., 2005, 10, II, 527. 89 In tal senso già la citata Cass. pen., 18 gennaio 2011, n. 24583. 90 In particolare il nuovo secondo comma su cui v. le argomentazione spese supra, par. 1.1. e nt. 4. 91 In tal senso dovendosi presupporre, coerentemente con i presupposti applicativi del D. Lgs. n. 231/2001, che la “corruzione” intervenga nell’interesse/vantaggio (e quindi con la “partecipazione”) dell’ente. 92 Grazie all’introduzione della lett. s-bis) al co. 3 dell’art. 25-ter, D. Lgs. n. 231/2001, su cui v. supra, nt. 2. 93 V. sul punto G.G. SANDRELLI, sub 2636, in Commentario Abriani-Stella Richter, Torino, 2010, 3008, che rinvia a FOFFANI, Le infedeltà, in ALESSANDRI (a cura di), Il nuovo diritto penale delle società, Milano, 2002. 94 Per un inquadramento della cui figura sia consentito rinviare a SANTOSUOSSO, Brevi note sul dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, in RDS, 2008, n. 2, 448 ss. 54 informativi (intra ed inter organici), specie nell’ambito degli organi di vigilanza e di controllo, anche attraverso (a titolo esemplificativo) regolamenti di gruppo o veri e propri contratti di servizio 95 tra società). La predisposizione di efficaci politiche organizzative e, quindi, il potenziamento dei flussi informativi, potrebbe peraltro contribuire all’efficientamento e, quindi, alla (potenziale) valutazione di idoneità dei modelli di organizzazione e gestione dell’ente96, che, come noto, rappresenta la principale scriminante in favore della società97 (tanto singolarmente considerata quanto nel contesto di gruppo, es. la holding). Prof. Daniele Santosuosso Professore Ordinario di Diritto commerciale e Diritto commerciale internazionale presso l’Università Sapienza di Roma 95 In tal senso PETTITI (supra, n. 7), 306. Sul tema v., di recente, Trib. Milano, 3 novembre 2010, RDS, 2011, con nota di A. POSTIGLIONE. 97 Ai sensi dell’art. 6 del D. Lgs. n. 231/2001 (Soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell’ente) che recita: “1. Se il reato è stato commesso dalle persone indicate nell'articolo 5, comma 1, lettera a), l'ente non risponde se prova che: a) l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; b) il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo; c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione; d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di cui alla lettera b). 2. In relazione all'estensione dei poteri delegati e al rischio di commissione dei reati, i modelli di cui alla lettera a), del comma 1, devono rispondere alle seguenti esigenze: a) individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati; b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazione ai reati da prevenire; c) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati; d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli; e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello. 3. I modelli di organizzazione e di gestione possono essere adottati, garantendo le esigenze di cui al comma 2, sulla base di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti, comunicati al Ministero della giustizia che, di concerto con i Ministeri competenti, può formulare, entro trenta giorni, osservazioni sulla idoneità dei modelli a prevenire i reati. 4. Negli enti di piccole dimensioni i compiti indicati nella lettera b), del comma 1, possono essere svolti direttamente dall'organo dirigente. 4-bis. Nelle societa' di capitali il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza e il comitato per il controllo della gestione possono svolgere le funzioni dell'organismo di vigilanza di cui al comma 1, lettera b). 5. È comunque disposta la confisca del profitto che l'ente ha tratto dal reato, anche nella forma per equivalente”. 96 55 3. L’art. 25-ter, comma 1, lett. s-bis, D.Lgs. n. 231/2001 EXECUTIVE SUMMARY Ai fini della disciplina della responsabilità degli enti ex D.Lgs. 231/2001 rileva esclusivamente la condotta attiva prevista dal terzo comma, in base al quale “chi dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma è punito con le pene ivi previste”. La sanzione amministrativa prevista è solo pecuniaria (da duecento a quattrocento quote ovvero da un minimo di 51.600 euro ad un massimo di 619.600 euro), non essendo prevista alcuna sanzione interdittiva. Perché si possa procedere nei confronti della società cui appartiene il corruttore è necessaria la presentazione della querela da parte della società cui appartiene il soggetto corrotto. Con riguardo al Modello di Organizzazione, particolare attenzione dovrà essere prestata alla funzione commerciale e alla funzione approvvigionamenti, nonché a tutte le aree che sono coinvolte nella gestione dei flussi finanziari, al fine di evitare la formazione della provvista necessaria all’esecuzione della condotta corruttiva. ABSTRACT L’elaborato tiene conto delle conseguenze derivanti dalla collocazione dell’art. 2635 c.c. nell’art. 25ter del catalogo dei reati-presupposto ex D.Lgs. 231/01. Sono spiegate, in particolare, le ragioni della non imputabilità della società del soggetto corrotto, le questioni attinenti alla cornice sanzionatoria, al regime di procedibilità e ai presidi da adottare all’interno del Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo. 56 3. L’art. 25-ter, comma 1, lett. s-bis, D.Lgs. n. 231/2001 La Legge 190/2012 “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione” ha introdotto nel catalogo dei reati presupposto, rilevanti ai fini del D.Lgs. 231/200198, la corruzione tra privati. L’estensione della responsabilità degli enti al reato di corruzione attiva nel settore privato è il frutto delle diverse sollecitazioni da parte delle Istituzioni Internazionali, intervenute nel corso degli anni. Già il Secondo Protocollo della Convenzione sulla Protezione degli interessi finanziari (Convenzione PIF) del 1997 aveva richiesto che fosse prevista la responsabilità per le persone giuridiche per il reato di corruzione privata; l’improcrastinabilità di un intervento normativo nel senso indicato era stata evidenziata dalla raccomandazione XIX del rapporto del GRECO (il Gruppo Stati contro la Corruzione del Consiglio d’Europa) sull’Italia dell’ottobre 2009, organismo che nel maggio 2011, in sede di verifica delle misure adottate dall’Italia per adeguarsi ai contenuti del predetto rapporto, aveva considerato “un’importante falla nel sistema” la mancata previsione della responsabilità dell’ente nei casi di corruzione attiva nel settore privato. Si raccomandava pertanto l’estensione della responsabilità degli enti “fino a comprendere i reati di corruzione attiva nel settore privato” (racc. n. XIX), realizzata oggi con l’emanazione della Legge 190/2012. La Legge ha infatti esteso l’applicabilità del D.Lgs. 231/2001 al reato di corruzione tra privati, previsto dall’art 2635 c.c.99 - che trova collocazione normativa all’interno del titolo XI “Disposizioni penali in materia di società e consorzi” del libro V del codice civile – attraverso l’inserimento della lettera sbis) nel comma 1 dell’art. 25 ter Reati societari, che dispone: “per il delitto di corruzione tra privati, nei casi previsti dal terzo comma dell’art. 2635 del codice civile, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da duecento a quattrocento quote”. 98 Il decreto legislativo 231/2001 “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300” ha introdotto nel nostro ordinamento la responsabilità amministrativa degli enti per determinati reati commessi nel loro interesse o vantaggio da soggetti che rivestono una posizione apicale nella struttura dell’ente ovvero da soggetti sottoposti all’altrui vigilanza. Le disposizioni della disciplina in esame si applicano agli enti forniti di personalità giuridica, alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica. 99 Art 2635 c.c.: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni. Si applica la pena della reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma. Chi dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma è punito con le pene ivi previste. Le pene stabilite nei commi precedenti sono raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’articolo 116 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni. Si procede a querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi”. 57 Ai fini della disciplina della responsabilità degli enti ex D.Lgs. 231/2001 rileva esclusivamente la condotta attiva prevista dal terzo comma, in base al quale “chi dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma è punito con le pene ivi previste”. Viene pertanto punita la dazione o promessa di denaro o altra utilità posta in essere da un soggetto facente capo ad un ente privato nei confronti di amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci e i liquidatori o di chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza dei predetti, riconducibili ad altro ente privato. La responsabilità amministrativa è limitata all’ente cui sia riconducibile il soggetto apicale o dipendente che ha posto in essere la condotta di corruzione e non riguarda invece la società cui appartiene il soggetto corrotto. Tale costruzione della fattispecie è coerente con i criteri di imputazione della responsabilità ex. D.Lgs. 231/2001 secondo cui l’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio100. La corruzione tra privati, al contrario, prevede per definizione normativa che la società in cui opera il soggetto corrotto subisca un “nocumento” derivante dagli atti compiuti od omessi in violazione degli obblighi inerenti il proprio ufficio o di fedeltà. Si rammenta che l’“interesse” o il “vantaggio” di cui all’art. 5 del D.Lgs. 231/2001 rappresentano due concetti distinti: il primo ha natura soggettiva, riguarda pertanto la sfera volitiva del soggetto persona fisica che agisce e deve essere valutato attraverso una verifica ex ante; il vantaggio, che si identifica con qualsiasi utilità che sia derivata in capo alla società a seguito della commissione di un illecito penale, ha natura prettamente oggettiva ed opera ex post. Come sopra indicato, con riferimento all’aspetto sanzionatorio, nel caso di commissione del reato di corruzione tra privati, all’ente potrà essere applicata la sanzione amministrativa pecuniaria da duecento a quattrocento quote101. L’importo di una quota, ai sensi dell’art. 10 del D.Lgs. 231/2001 va da un minimo di 258 ad un massimo di 1.549 euro, pertanto la cornice edittale a carico della società per il reato in esame risulta oscillare da un minimo di 51.600 euro ad un massimo di 619.600 euro. Cosi come per gli altri reati societari previsti dall’art. 25-ter, non è prevista l’applicazione di sanzioni interdittive. 100 L’art 25-ter (reati societari) stabilisce che: “In relazione ai reati in materia societaria previsti dal codice civile, se commessi nell’interesse della società, da amministratori, direttori generali o liquidatori o da persone sottoposte alla loro vigilanza, qualora il fatto non si fosse realizzato se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi inerenti la loro carica, si applicano le seguenti sanzioni pecuniarie…” 101 Ai sensi degli art. 10 e 11 del D.Lgs. 231/2001, per l’illecito amministrativo dipendente da reato si applicano sempre le sanzioni pecuniarie attraverso un sistema di quote in un numero non inferiore a 100 né superiore a 1000. L’importo di una quota va da un minimo di 258 euro ad un massimo di 1.549 euro e non è ammesso il pagamento in misura ridotta. Nella commisurazione della sanzione pecuniaria il giudice determina il numero delle quote tenendo conto: - della gravità del fatto; - del grado di responsabilità dell’ente; - dell’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del reato e per prevenire la commissione di ulteriori illecitiL’importo della quota è fissato sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente allo scopo di assicurare l’efficacia della sanzione. 58 Ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 2635 c.c., il reato in esame è procedibile a querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi. Ai sensi dell’art. 37 del D.Lgs. 231/2001 “Non si procede all’accertamento dell’illecito amministrativo dell’ente quando l’azione penale non può essere iniziata o proseguita nei confronti dell’autore del reato per la mancanza di una condizione di procedibilità”. Pertanto perché si possa procedere nei confronti della società cui appartiene il corruttore è necessaria la presentazione della querela da parte della società cui appartiene il soggetto corrotto. Si rammenta che la disciplina di cui al D.Lgs. 231/2001 prevede, nel caso di reato commesso da soggetti “apicali”102, che l’ente possa essere esonerato dalla responsabilità amministrativa laddove dimostri di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, un Modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello eventualmente verificatosi, a condizione che il Modello medesimo venga sottoposto a periodica verifica da parte di un Organismo dell’ente (c.d. Organismo di Vigilanza) dotato di autonomi poteri e specificamente preposto a tale attività e che l’autore materiale del reato abbia agito eludendo fraudolentemente il Modello. Nel caso invece di reato commesso da persone sottoposte all’altrui direzione o vigilanza l’ente è responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza (artt. 5-7 D.Lgs. 231/2001). Il D.Lgs. 231/01 prevede che, ai fini della concessione dell’esimente in favore dell’azienda, il Modello, una volta attuato dalla società, debba essere costantemente verificato nella sua efficacia, modificato laddove le circostanze lo richiedano ed aggiornato sulla scorta degli interventi normativi e/o giurisprudenziali che si succederanno nella materia. Di conseguenza, appare evidente come la fattispecie in esame sia destinata ad avere un impatto rilevante sui Modelli di Organizzazione, Gestione e Controllo delle imprese di qualsiasi settore, le quali dovranno intraprendere gli adempimenti necessari a conformare il proprio Modello alla nuova normativa in materia di prevenzione e repressione della corruzione. In particolare, oltre all’inserimento nel catalogo dei reati contenuto nel Modello Parte Generale della specifica disposizione prevista dall’art. 2635 c.c. e al recepimento dei relativi principi comportamentali nel codice etico, l’ente dovrà procedere alla valutazione dei rischi di commissione del reato de quo attraverso l’esame delle specifiche attività poste in essere, dei documenti societari, delle procedure, dei controlli e delle prassi esistenti e attraverso il coinvolgimento delle funzioni aziendali in grado di fornire elementi utili alla analisi dei rischi. Alla luce dell’attività sopra indicata, si provvederà all’adozione o all’integrazione degli specifici protocolli gestionali con la previsione di sistemi di controllo che tengano conto degli esiti della valutazione dei rischi effettuata. 102 Ai sensi dell’art. 5 lett. a) del D.Lgs. 231/2001 sono considerati soggetti apicali le persone che rivestono funzione di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso. 59 Particolare attenzione dovrà essere prestata alla funzione commerciale e alla funzione approvvigionamenti, nonché a tutte le aree che sono coinvolte nella gestione dei flussi finanziari, al fine di evitare la formazione della provvista necessaria all’esecuzione della condotta corruttiva. Ai controlli implementati e alla tracciabilità delle attività seguirà poi un adeguato flusso di comunicazione all’Organismo di Vigilanza in modo tale che lo stesso possa compiutamente svolgere la propria funzione di controllo sull’osservanza e il funzionamento del Modello. Avv. Mario Casellato Studio Casellato Avvocati Penalisti 60 4. I processi aziendali a rischio e i relativi controlli Premessa Il reato di corruzione tra privati si configura come un reato “a concorso necessario” e quindi realizzabile con la partecipazione di più soggetti, potendosi infatti individuare la compresenza della condotta attiva del soggetto che effettua la dazione di denaro o altra utilità (altrimenti non dovuta) e della condotta passiva del soggetto corrotto. La consumazione di tale reato presuppone la simultanea presenza di una volontà del soggetto corruttore di conseguire gli obiettivi di business in contrasto con i valori dell’etica e della legalità d’impresa e del soggetto corrotto, che agendo nel perseguimento di un proprio interesse ed in violazione degli obblighi inerenti il suo ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagiona un nocumento alla società di appartenenza. A livello sistemico, quindi, assai elevato è il disvalore generato da una simile azione corruttiva che altera i meccanismi di lecita competizione tra le imprese, rispetto all’auspicabile corretto e virtuoso funzionamento del mercato, e notevoli possono essere i rischi di “contaminazione” del fenomeno del crimine d’impresa, qualora le spinte del business non si inquadrino in una cornice culturale fortemente orientata alla valorizzazione dell’etica negli affari, tale da permeare l’intera organizzazione. E’ di tutta evidenza che ciò che preoccupa maggiormente le imprese è la possibilità di poter incorrere nella responsabilità “231” che, come è stato illustrato in precedenza, per la fattispecie di reato in esame investe esclusivamente l’ente nel cui interesse o vantaggio sia stata posta in essere la condotta attiva di corruzione del proprio esponente aziendale (non sarà responsabile ai fini 231, per contro, la società nell’ambito della quale abbia operato il soggetto corrotto il quale risponderà personalmente del reato commesso). Ad ogni modo, risultano ugualmente indesiderate per le aziende possibili “condotte infedeli” dei propri esponenti aziendali, in ragione del nocumento patrimoniale (esteso sia al concetto di “danno emergente” che di “lucro cessante”) che può scaturire dalle stesse, nonché dei correlati impatti negativi in termini reputazionali e di immagine che, in tali evenienze, si possono riverberare sull’organizzazione. Pertanto, la strutturazione e l’efficace implementazione di un adeguato sistema di controllo interno, di cui la valorizzazione dei principi dell’etica di impresa costituisce un imprescindibile punto cardine sul quale improntare le strategie di business, assume indubbio rilievo ai fini della ragionevole prevenzione - tenuto conto che il concetto di rischio di per sé è ineliminabile103 - delle possibili 103 Il rischio, per definizione, non può mai essere azzerato. In linea generale, le politiche di gestione del rischio - in linea con i principali framework internazionali, tra cui si ricorda l’Enterprice Risk Management (ERM) diffuso nel 2004 dal Committee of Sponsoring Organizations (CoSO) - prevedono approcci diversificati che non comportano solo la mera minimizzazione del rischio, ma considerano anche le seguenti strategie: evitare, condividere, accettare il rischio. In particolare: la strategia di “evitare il rischio” implica la scelta di non effettuare alcune tipologie di attività; quella di 61 condotte corruttive, sia attive che passive, nell’ottica di prevenire i fattori di pregiudizio al corretto funzionamento del sistema economico nel suo insieme. 4.1 Processi a rischio ex D.Lgs. 231/2001 diretto e strumentale Così come indicato dalle best practices di riferimento maggiormente diffuse, i processi aziendali a rischio di commissione di reato ex D.Lgs. 231/01 possono essere distinti in due macro categorie: a) i cosiddetti processi a rischio diretto, che presentano diretti rischi di rilevanza penale ex d.lgs.n.231/01; b) i cosiddetti processi strumentali, che presentano rischi di rilevanza penale solo quando, nell’ambito della commissione dei reati, ne supportano la realizzazione costituendone, quindi, una delle possibili modalità di attuazione. Nel seguito di questo paragrafo sono riportati degli approfondimenti circa la distinzione tra processo a rischio diretto e strumentale, utili a meglio interpretare la fattispecie. 4.1.1 Definizione di processo a rischio diretto di commissione del reato di corruzione tra privati Per processo a rischio diretto di commissione del reato di corruzione tra privati si intende quello rispetto al quale è ritenuto astrattamente sussistente il rischio di commissione del reato in analisi. I processi a rischio “reato diretto” sono pertanto quelli che, per effetto di contatti diretti con altri soggetti privati, comportino il rischio di commissione del reato di corruzione tra privati ovvero quell’insieme di attività al cui svolgimento è connesso il rischio di commissione dei reati, considerando il fatto che sussistono rapporti diretti con soggetti privati nell’ambito dei quali la Società può ottenere un vantaggio, arrecando contestualmente un danno alla controparte attraverso le condotte corruttive dei propri esponenti. Pertanto, in una prima esemplificazione non esaustiva, possono essere considerati tra tali soggetti: il Responsabile Commerciale di un fornitore; il Responsabile Acquisti di un cliente; il Responsabile di una filiale di banca; un agente o rappresentante di commercio o intermediario di affari; un giornalista; “condividere il rischio” consiste nel trasferirlo in parte a terzi attraverso assicurazioni, coperture, sistemi di outsourcing, ecc.; “accettare il rischio” comporta il riconoscimento che i benefici di un certo progetto superano i costi di trasferimento o di mitigazione. 62 l’Amministratore Delegato di una Società controllata; un dipendente di una società competitor che dispone di Know How o altre informazioni riservate di interesse. 4.1.2 Definizione di processo a rischio strumentale al reato di corruzione tra privati Per processo a rischio strumentale alla commissione del reato di corruzione tra privati deve intendersi quello nel cui ambito potrebbero crearsi strumenti ovvero configurarsi condizioni o mezzi per la commissione del reato in analisi. Ossia quei processi che, gestendo strumenti di tipo finanziario e/o mezzi sostitutivi, possono supportare ovvero permettere la commissione del reato. I suddetti processi sono di norma individuati tenendo conto della casistica giurisprudenziale sulla creazione di “provviste” nel reato di corruzione e del concetto di “altra utilità” da attribuire al soggetto che si intende corrompere. Pertanto, possono essere considerati “processi strumentali” alla realizzazione del reato in esame, quei processi nel cui ambito si possono “rinvenire” il denaro o “l’altra utilità” da offrire o promettere al soggetto privato. Sono da ritenersi tali, a titolo di esempio, i seguenti processi: Gli acquisti di beni, servizi, appalti e consulenze; Le assunzioni; La predisposizione del bilancio e della tenuta della contabilità; I flussi finanziari; gli omaggi; l’organizzazione di eventi e fiere; il sistema di gestione, incentivazione e sviluppo del personale; le spese di rappresentanza e di ospitalità; le sponsorizzazioni e la pubblicità; la gestione dei procacciatori d’affari/agenti; i rapporti con le parti correlate. 4.2 Possibili processi a rischio diretti e relativi presidi di controllo 4.2.1 Vendita di beni e servizi Lo svolgimento delle attività (o processo) di vendita espone le Aziende alla commissione del reato di corruzione tra privati. Infatti, una tale attività corruttiva si potrebbe verificare per ottenere dei favori 63 nell'ambito dello svolgimento delle attività di vendita a privati, provocando tali favori un nocumento all’azienda per cui svolge l’attività lavorativa il soggetto corrotto. Pertanto, a titolo esemplificativo, un’azienda può corrompere l’Amministratore Delegato/il Direttore Acquisti o altro soggetto di una Società privata al fine di: concludere la vendita a prezzi fuori mercato o, più in generale, ottenere condizioni di vendita di maggior favore; non essere assoggettata ad una gara/confronto concorrenziale con altri fornitori; ottenere l’acquisto di determinati beni/servizi non necessari in tutto o in parte all’acquirente; ottenere integrazioni e/o varianti economicamente più favorevoli rispetto al primo accordo commerciale di vendita; rinnovi taciti o revisione/aggiornamento prezzi alla scadenza dei contratti. 4.2.1.1 Attività a rischio nell’ambito del processo Premesso che il processo di vendita è molto peculiare e legato alla diversa tipologia di business, le principali attività a rischio rientranti in tale processo sono: scouting e monitoraggio del mercato per individuare le opportunità di vendita; analisi delle richieste di offerta ricevute/valutazione delle opportunità commerciali individuate; elaborazione dell'offerta; negoziazione con il Cliente degli aspetti tecnico-economici dell'offerta; conclusione del contratto con il Cliente/accettazione dell'offerta da parte del Cliente/sottoscrizione dell’ordine ricevuto dal Cliente; contrattualizzazione delle nuove richieste da parte del Cliente emerse durante la realizzazione delle attività connesse con la vendita (cosiddette varianti d’ordine). 4.2.1.2 Possibili presidi di controllo Per presidiare le attività sopra evidenziate, la Società potrebbe: inserire nel Codice Etico che i rapporti commerciali devono essere orientati alla trasparenza, correttezza ed integrità e che la Società non tollera comportamenti corruttivi; ottenere la sottoscrizione per adesione ai principi del Codice Etico da parte di tutti i dipendenti; dotarsi di un tool che tracci l’attività commerciale, ad esempio rilevando l’attività relativa ad incontri e principali contatti con clienti e/o target, definendo le regole di popolamento di tale tool e le modalità di archiviazione della documentazione commerciale; predisporre una procedura che regolamenti le diverse fasi del processo commerciale di: o scouting per individuare l’opportunità commerciale (anche relativamente a varianti su ordini/contratti già acquisiti); 64 o emissione e negoziazione dell’offerta; o conclusione del contratto/adesione del Cliente all’offerta. Aspetti che la Società dovrebbe normare nella procedura sono: o i ruoli e le responsabilità nonché le modalità attraverso cui viene garantita la segregazione delle mansioni nelle diverse fasi del processo; o le modalità di archiviazione della documentazione prodotta; prevedere dei meccanismi che assicurino, anche a livello di sistemi informatici impiegati per gestire le diverse fasi del processo, una continua analisi volta a garantire la segregazione delle funzioni tra chi: o individua l’opportunità commerciale; o predispone l’offerta; o sottoscrive il contratto; o inserisce il contratto a sistema; o emette la fattura attiva; o registra la fattura attiva; o registra gli incassi; definire dei chiari poteri di firma (sia a livello di delega interna che di procura verso l’esterno) che stabiliscano, tra l’altro: o i diversi limiti di approvazione delle proposte commerciali; o la possibilità di eccedere i limiti di affidamento del credito del cliente; o i limiti relativi alla scontistica. 4.2.2 Realizzazione e consegna di beni ed erogazione di servizi L’attività di realizzazione e consegna dei beni ovvero di erogazione dei servizi nonché quella di gestione di situazioni sopravvenute (ad esempio varianti contrattuali, claim da clienti, ritardi/anticipi di consegna, penali, certificazioni, attività in garanzia) nell’ambito di contratti con privati espone la Società al rischio di commissione del reato di corruzione tra privati. Pertanto, a titolo esemplificativo, un’azienda potrebbe corrompere il dipendente di un proprio Cliente privato, arrecando allo stesso nocumento, al fine di ottenere: l’attestazione che il bene/servizio è conforme (in termini di qualità/quantità) a quanto ordinato anche se così non è; l’accettazione di varianti/integrazioni all’Ordine in assenza di effettive necessità; la non applicazione di penali connesse con ritardi nella consegna dei beni o con la qualità dei beni consegnati/servizi erogati; la non attivazione della garanzia, ottenendo il pagamento dell’intervento come extragaranzia; 65 la restituzione anticipata delle garanzie/fidejussioni rilasciate a favore del Cliente; il benestare alla fatturazione in assenza di regolari presupporti (consegna, collaudi, ecc.). 4.2.2.1 Attività a rischio nell’ambito del processo Anche il processo di produzione di beni e di erogazione dei servizi è molto peculiare e legato alle diverse tipologia di business. Volendo provare ad illustrare alcune attività a rischio generalmente rientranti in tale processo si possono evidenziare quelle relative a: gestione del rapporto con il Cliente per tutto ciò che concerne l'avanzamento dei lavori/attività connessi con la produzione dei beni/erogazione dei servizi; gestione della formalizzazione tecnico/economica delle eventuali riserve iscritte da appaltatori e correlate possibili varianti riconosciute; gestione dei controlli, verifiche e collaudi per l’accettazione dei beni/lavori; gestione di eventuali reclami, contestazioni o eccezioni di non conformità del Cliente; gestione delle conciliazioni delle controversie ovvero delle procedure di "accordo bonario" tra le parti; ottenimento del benestare alla fatturazione; gestione delle attività di manutenzione; recupero delle eventuali garanzie fornite al Cliente in sede di conclusione del contratto. 4.2.2.2 Possibili presidi di controllo Per presidiare le attività sopra evidenziate, la Società potrebbe: inserire nel Codice Etico che i rapporti con i Clienti devono essere orientati alla trasparenza, correttezza ed integrità e che la Società non tollera comportamenti corruttivi; ottenere la sottoscrizione per adesione ai principi del Codice Etico da parte di tutti i dipendenti; predisporre una procedura che regolamenti le diverse fasi del processo di erogazione dei servizi/produzione dei beni. Aspetti che la Società dovrebbe normare nella procedura sono: o i ruoli e le responsabilità dei diversi esponenti aziendali coinvolti nel processo; o l’articolazione del flusso delle attività attraverso cui viene garantita la segregazione delle mansioni nelle diverse fasi del processo; o le modalità per assicurare la tracciabilità delle attività svolte e dei processi decisionali adottati; o le regole di archiviazione della documentazione prodotta; prevedere dei meccanismi che garantiscano, anche a livello di sistemi informatici in uso per gestire le diverse fasi del processo, una continua analisi volta ad assicurare la segregazione delle funzioni tra chi: o eroga il servizio/produce il bene; 66 o consegna il bene; o emette la fattura; o registra gli incassi. definire dei chiari poteri di firma (sia a livello di delega interna che di procura verso l’esterno). 4.2.3 Partnership Lo svolgimento delle attività relative alla di gestione delle partnership espone la Società al rischio di commissione del reato di corruzione tra privati. Tale attività corruttiva si potrebbe configurare nel caso in cui la Società corrompa un rappresentante del potenziale partner (Amministratore Delegato/Responsabile Commerciale) al fine di concludere accordi tecnici/commerciali d’interesse per l’Azienda che in condizioni normali non sarebbero stati conclusi ovvero a condizioni più favorevoli per la Azienda che corrompe. 4.2.3.1 Attività a rischio nell’ambito del processo Le principali attività a rischio rientranti in tale processo sono: individuazione delle opportunità di partnership commerciali/tecnologiche; definizione degli accordi con i Partner. 4.2.3.2 Possibili presidi di controllo Per presidiare le attività sopra evidenziate, la Società potrebbe: inserire nel Codice Etico che i rapporti con i partner devono essere orientati alla trasparenza, correttezza e integrità e che la Società non tollera comportamenti corruttivi; ottenere la sottoscrizione per adesione ai principi del Codice Etico da parte di tutti i dipendenti nonché da parte dei partner; predisporre una procedura che regolamenti le diverse fasi del processo di gestione delle partnership. Aspetti che la Società dovrebbe normare nella procedura sono: o le modalità di svolgimento delle attività di selezione e conclusione della partnership; o la definizione dei requisiti “minimi” di “onorabilità” del soggetto con il quale si intende definire la partnership come ad esempio l’assenza di condanne, la sede sociale in paesi non rientranti nelle liste dei c.d. “paradisi fiscali”, ecc.; o l’iter che deve essere seguito per la qualifica dei potenziali partner; o le verifiche che devono essere svolte per accertare l’affidabilità dei partner; o la tracciabilità della motivazione formale per cui si è arrivati alla scelta del partner; 67 o la definizione per iscritto degli accordi con i partner con l’evidenziazione di tutte le condizioni dell’accordo stesso, in particolare per quanto concerne le condizioni economiche concordate; definire un chiaro sistema di poteri e deleghe, riservando in particolare al Vertice Aziendale il potere di stipulare tali accordi. 4.2.4 Acquisti di beni, servizi e consulenze Tale processo presenta sia un profilo di rischio diretto sia un profilo di rischio strumentale al reato di corruzione tra privati. In questo paragrafo è evidenziato il profilo di rischio diretto mentre nel paragrafo 4.3.1 quello strumentale. Per quel che riguarda il profilo di rischio diretto, tale attività corruttiva si potrebbe verificare per ottenere dei favori nell'ambito dello svolgimento delle attività di acquisto di beni/servizi da privati, provocando tali favori un nocumento all’azienda per cui svolge l’attività lavorativa il soggetto corrotto. Pertanto, a mero titolo esemplificativo, un’azienda potrebbe corrompere l’Amministratore Delegato/il Direttore Vendite di una Società privata al fine di: concludere l’acquisto a prezzi fuori mercato o, più in generale, ottenere condizioni di acquisto di maggior favore; ottenere dei privilegi nel rapporto contrattuale quali ad esempio i tempi di consegna dei beni/servizi, i livelli di qualità, i tempi/modalità e le dilazioni di pagamento, ecc.; ottenere la mancata applicazione di costi aggiuntivi ovvero oneri accessori per trasporto, assicurazioni, o variazioni dell’Ordine. 4.2.4.1 Attività a rischio nell’ambito del processo Le principali attività potenzialmente a rischio sono: creazione dell’albo fornitori; attivazione del processo di approvvigionamento e definizione delle specifiche di fornitura (quantità, ripartizione in lotti, tempi, qualità, ecc.); creazione, autorizzazione e rilascio della Richiesta di Acquisto; scouting sul mercato circa i potenziali fornitori (nazionali ed internazionali) e valutazione dei requisiti richiesti al fine di qualificare i fornitori ritenuti più idonei; ricezione delle richieste di offerte e valutazione; gestione delle trattative economiche con i fornitori; procedure di selezione ed individuazione del fornitore; 68 formalizzazione del rapporto di fornitura (ordine di acquisto, contratto, convenzioni, contratto quadro, ecc.); gestione delle attività di monitoraggio della fornitura o delle prestazioni e di controllo dei fornitori; controllo ed approvazione delle forniture e valutazione della prestazione del fornitore (tipologia, quantità, tempi, ecc.); ricezione/emissione di eventuali claim dei/nei confronti dei fornitori e negoziazione di possibili soluzioni; gestione degli acquisti con pagamento tramite cassa; ricezione delle fatture passive e verifica della loro conformità al contratto ed alle prestazioni rese dal fornitore; verifica e tracciabilità dell'effettiva erogazione di servizi professionali; autorizzazione al pagamento di fornitori. 4.2.4.2 Possibili presidi di controllo Per presidiare le attività sopra evidenziate, la Società potrebbe: prevedere le seguenti regole di comportamento generale: o il fornitore/consulente dovrà prendere visione del Codice Etico della Società ed accettare di uniformarsi alle prescrizioni in esso contenute; inoltre i contratti/ordini di acquisto con fornitori/consulenti dovranno contenere le sanzioni disciplinari/contrattuali previste in caso di mancato rispetto delle indicazioni del Modello Organizzativo; o il fornitore/consulente dovrà sottoscrivere una dichiarazione di assenza di conflitti di interesse e di accettazione del Codice Etico; o l’attività prestata dal fornitore/consulente dovrà essere debitamente documentata e l’Ente che si è avvalso della loro opera deve, prima della liquidazione dei relativi onorari, attestare l’effettività della prestazione; adottare e diffondere un Codice Etico nel quale sia stabilito, tra l’altro, che: o i rapporti con i fornitori/consulenti debbano essere orientati alla trasparenza, correttezza e integrità e che la Società non tollera comportamenti corruttivi, ottenendo la sottoscrizione per adesione ai principi del Codice Etico da parte di tutti i dipendenti, nonché da parte di fornitori/consulenti; o la selezione dei fornitori/consulenti debba avvenire sulla base di criteri di valutazione oggettivi, trasparenti e documentabili quali l’effettività, la qualità, la convenienza, il prezzo, la professionalità, la competenza, l’efficienza ed in presenza di adeguate garanzie in ordine alla correttezza del fornitore/consulente stesso. predisporre una procedura che regolamenti le diverse fasi del processo di acquisto con particolare riferimento a: 69 o attivazione del processo di approvvigionamento; o scouting dei fornitori/consulenti e valutazione degli stessi al fine della loro qualifica; o negoziazione e formalizzazione degli accordi di fornitura con sottoscrizione dei relativi documenti (ordine di acquisto, lettera di incarico, contratto, attivazione di contratti quadro ovvero ordini aperti e/o convenzioni, ecc.) ; o gestione del monitoraggio della fornitura; o valutazione delle prestazioni del fornitore; o gestione degli acquisti con pagamento per cassa. Aspetti che la Società dovrebbe normare nella procedura sono: o i ruoli e le responsabilità dei diversi esponenti aziendali coinvolti nel processo; o l’articolazione del flusso delle attività attraverso cui viene garantita la segregazione delle mansioni nelle diverse fasi del processo; o le modalità per assicurare la tracciabilità delle attività svolte e dei processi decisionali adottati; o le regole di archiviazione della documentazione prodotta; o le modalità di autorizzazione del costo di acquisto (previsione nel budget, ovvero autorizzazioni extra-budget); o la tracciabilità e la documentabilità dell’attività prestata dal fornitore/consulente e l’attestazione dell’effettività della prestazione da parte dell’Ente che si è avvalso della loro opera; o divieto di emettere ordini di acquisto in assenza di una richiesta di acquisto che ne definisca il fabbisogno; prevedere dei meccanismi che assicurino, anche a livello di sistemi informatici impiegati per gestire le varie fasi del processo, una continua analisi volta a garantire la segregazione delle funzioni tra chi: o emette la Richiesta di Acquisto; o effettua la scelta del fornitore; o emette l’ordine; o gestisce operativamente il processo di acquisto; o effettua la verifica della fornitura; o registra le fatture passive; o rilascia il benestare per il pagamento delle fatture; o effettua il pagamento delle fatture; definire chiari poteri di firma (sia a livello di delega interna che di procura verso l’esterno) che stabiliscano i diversi limiti di approvazione delle richieste di acquisto e delle offerte dei fornitori/consulenti. 70 4.2.5 Contenzioso Lo svolgimento delle attività inerenti alla gestione del contenzioso (di qualsiasi natura esso sia, ovvero civile, penale, giuslavoristico, fiscale, ecc.) espone la Società al rischio sia diretto sia strumentale al reato di corruzione tra privati. In questo paragrafo è evidenziato il profilo di rischio diretto mentre nel paragrafo 4.3.1 quello strumentale connesso alla selezione del legale/Consulente Tecnico di Parte (CTP) di commissione del reato di corruzione tra privati. Per quel che riguarda il profilo di rischio diretto, a titolo esemplificativo, un referente della Società potrebbe corrompere il legale ovvero il CTP della controparte, appartenenti ad uno Studio professionale, arrecando allo stesso Studio un nocumento al fine di: ottenere che il legale della controparte faccia decadere i termini connessi con un contenzioso; ottenere che il CTP della controparte trascuri elementi che potrebbero andare a sfavore della società che corrompe il CTP stesso. 4.2.5.1 Attività a rischio nell’ambito del processo Le principali attività a rischio rientranti in tale processo sono: gestione delle pratiche di contenzioso; esame e approvazione di transazioni volte alla conclusione del contenzioso. 4.2.5.2 Possibili presidi di controllo Per presidiare le attività sopra evidenziate, la Società potrebbe: inserire nel Codice Etico le seguenti regole di comportamento generale: o la scelta di legali e consulenti dovrà avvenire sulla base di criteri di serietà e competenza del professionista; o il divieto di interferire con il legale esterno/CTP della controparte; o il legale ed il consulente dovranno prendere visione del Codice Etico della Società ed aderire alle regole in esso previste; o l’attività prestata dai consulenti e dai legali deve essere debitamente documentata e l’Ente che si è avvalso della loro opera deve, prima della liquidazione dei relativi onorari, attestare l’effettività della prestazione; o la corresponsione dei compensi ai consulenti ed ai legali esterni deve avvenire sulla base di una descrizione delle attività svolte, che permetta di valutare la conformità dell’onorario al valore della prestazione resa; predisporre una procedura che regolamenti le diverse fasi del processo di gestione del contenzioso, con particolare riferimento a: 71 o o o o o o o opportunità di aprire il contenzioso; apertura del contenzioso; selezione del legale; definizione della strategia da adottare nel contenzioso; gestione del contenzioso; transazioni; flussi informativi. Aspetti che la Società dovrebbe normare nella procedura sono: o i ruoli e le responsabilità nonché le modalità attraverso cui viene garantita la segregazione delle mansioni nelle diverse fasi del processo; o le modalità di conservazione della documentazione; definire chiari poteri di firma (sia a livello di delega interna che di procura verso l’esterno); prevedere, nell’ambito dei flussi informativi all’Organismo di Vigilanza, ove esista, l’invio di report periodici indicanti i contenziosi in essere. 4.2.6 Gestione delle informazioni riservate/privilegiate La gestione delle informazioni riservate/privilegiate espone la Società al rischio di commissione del reato di corruzione tra privati. A titolo esemplificativo, tale reato potrebbe configurarsi, nel caso in cui un dipendente della Società corrompa: un dipendente/amministratore di un’azienda concorrente per ottenere informazioni riservate e/o privilegiate (es. prezzo di quotazione di un’offerta, informazioni su un brevetto, iniziative volte all’acquisizioni di altre aziende, progetti di ampliamento dei settori di business in cui opera la Società, ecc.), arrecando nocumento all’azienda del corrotto; un giornalista affinché pubblichi notizie non fondate, arrecando nocumento al giornale per cui lavora. 4.2.6.1 Attività a rischio nell’ambito del processo Le principali attività a rischio rientranti in tale processo sono: gestione delle informazioni riservate e price sensitive; gestione dei rapporti con i media. 4.2.6.2 Possibili presidi di controllo Per presidiare le attività sopra evidenziate, la Società potrebbe, a titolo di esempio: 72 Inserire nel Codice Etico che: o si evidenzi che la comunicazione verso l’esterno debba seguire i principi guida della verità, correttezza, trasparenza, congruità e debba essere volta a favorire la conoscenza delle politiche aziendali e dei programmi e progetti della Società; o si disponga il divieto di effettuare ogni forma di investimento, diretto o per interposta persona, che trovi la sua fonte in notizie riservate o privilegiate, ossia non di dominio pubblico ed idonee, se diffuse, ad influenzare il prezzo di strumenti finanziari; o si vieti qualsiasi rapporto con terzi volti ad ottenere informazioni su attività svolte da competitor ovvero da Aziende che possano disporre di informazioni d’interesse per la Società; predisporre un’apposita procedura nella quale siano definiti ruoli e responsabilità della gestione del delle informazioni privilegiate e di quelle riservate. 4.2.7 Rapporti con la società di revisione Le attività relative ai rapporti con la Società di Revisione potrebbero astrattamente esporre la Società al rischio di commissione del reato di corruzione tra privati. In particolare, tale reato potrebbe configurarsi nell’ipotesi in cui l’Azienda corrompa un rappresentante della Società di Revisione, ad esempio per non fare emettere un giudizio negativo sui suoi Bilanci, arrecando in questo modo nocumento alla Società di Revisione. Tuttavia appare opportuno sottolineare come il testo originario del primo comma dell’art. 2635 c.c. è stato oggetto di una modifica legislativa, ad opera del D.Lgs. n. 39/2010, che ha comportato l’espunzione tra i soggetti attivi dei responsabili della revisione e l’introduzione di un’ipotesi settoriale di corruzione tra privati (art. 28)104, procedibile d’ufficio. Dunque, si configurerebbe un concorso apparente di norme tra l’art. 2635 c.c. e l’art. 28 D.Lgs. n. 39/2010, con l’applicazione esclusiva della seconda fattispecie incriminatrice, in ossequio al principio di specialità ex art. 15 c.p. 104 La disposizione in esame, rubricata “Corruzione dei revisori” recita: “ 1. I responsabili della revisione legale, i quali, a seguito della dazione o della promessa di utilità, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione sino a tre anni. La stessa pena si applica a chi dà o promette l'utilità. 2. Il responsabile della revisione legale e i componenti dell'organo di amministrazione, i soci, e i dipendenti della società di revisione legale, i quali, nell'esercizio della revisione legale dei conti degli enti di interesse pubblico o delle società da queste controllate, fuori dei casi previsti dall'articolo 30, per denaro o altra utilità data o promessa, compiono od omettono atti in violazione degli obblighi inerenti all'ufficio, sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni. La stessa pena si applica a chi dà o promette l'utilità. 3. Si procede d'ufficio.” 73 4.2.7.1 Attività a rischio nell’ambito del processo Sono da considerarsi a rischio tutte le attività attinenti la gestione dei rapporti con la Società di Revisione. 4.2.7.2 Possibili presidi di controllo Per presidiare le attività sopra evidenziate, la Società potrebbe: inserire nel Codice Etico delle norme che stabiliscano che i rapporti con i revisori devono essere ispirati a principi di verità, correttezza, trasparenza e deve essere vietato qualsiasi tentativo di influenzare il giudizio del revisore; predisporre un’apposita procedura che regolamenti le diverse attività attinenti la gestione dei rapporti con la società di revisione. In particolare gli aspetti che la Società dovrebbe normare nella procedura dovrebbero essere: o gli owner coinvolti e le diverse responsabilità loro attribuite, in merito alla gestione dei rapporti con la Società di Revisione; o le regole precise per addivenire alla scelta della Società di Revisione; o il processo autorizzativo previsto per l’attribuzione, in via del tutto eccezionale e solo per specifici servizi, di incarichi di consulenza alla Società di Revisione o ad una società appartenente al suo network; o la formalizzazione delle riunioni di chiusura delle attività di revisione. prevedere degli incontri periodici tra gli Organi di Controllo, da tenersi ad esempio su convocazione del Collegio Sindacale, e che a tali riunioni possa essere invitato a presenziare l’Organismo di Vigilanza, ove esista. 4.2.8 Rapporti con banche e assicurazioni La gestione dei rapporti con banche ed assicurazioni espone la società al rischio di commissione del reato di corruzione tra privati. A scopo esemplificativo, un referente della Società potrebbe corrompere: il broker assicurativo per ottenere condizioni migliori e/o il rilascio di una garanzia che non sarebbe stata concessa; il rappresentante di una banca/istituto finanziario (es. Direttore Filiale/agenzia) per ottenere condizioni migliori o affidamenti altrimenti non concessi, oppure per non subire la revoca di un finanziamento nel caso in cui siano stati raggiunti i covenant concordati, etc.. Si precisa comunque che nello svolgimento di alcune attività (quali ad esempio la gestione dei crediti agevolati) gli istituti di credito sono stati equiparati spesso alla pubblica amministrazione: in questo 74 caso non sussisterebbe il reato di corruzione tra privati, ma i reati di corruzione previsti nell’ambito dei delitti verso la Pubblica Amministrazione. 4.2.8.1 Attività a rischio nell’ambito del processo Le principali attività a rischio rientranti in tale processo sono: scelta delle controparti con cui stipulare le fideiussioni/lettere di credito e cura dell'attività di ottenimento delle stesse; gestione dei rapporti con le banche per l’ottenimento di fidi; stipula dei contratti di finanziamento in genere. 4.2.8.2 Possibili presidi di controllo Per presidiare le attività sopra evidenziate, la Società potrebbe: adottare e diffondere un Codice Etico nel quale sia stabilito: o il divieto di promettere o versare somme di denaro, beni in natura o altri benefici a rappresentati di istituti di credito, delle compagnie assicurative o brokers, con la finalità di promuovere o favorire interessi della Società; o ricorrere ad altre forme di aiuti o contribuzioni (sponsorizzazioni, assunzioni, consulenze, etc.) che abbiano le stesse finalità vietate al punto precedente; comunicare ad istituti di credito, assicurazioni e broker il proprio Codice Etico; predisporre una procedura nella quale sia normata la gestione dei rapporti con gli istituti di credito e le assicurazioni ed in particolare siano definiti: o ruoli e responsabilità dei soggetti coinvolti; o la formalizzazione di tali rapporti; o le modalità di formalizzazione circa le valutazioni che hanno determinato l’opportunità di istaurare un rapporto con le compagnie assicurative o i brokers e la congruità delle condizioni stabilite in considerazione di quelle generalmente praticate sul mercato, a parità di condizioni; definire chiari poteri di firma (sia a livello di delega interna che di procura verso l’esterno). 4.2.9 Rapporti infragruppo e con altre parti correlate I rapporti infragruppo (controllante, controllate, collegate) e con altre parti correlate (i.e. rapporti di natura commerciale e finanziaria con gli azionisti e/o le loro controllate) espone la Società al rischio sia diretto sia strumentale al reato di corruzione tra privati. 75 In questo paragrafo è evidenziato il profilo di rischio diretto mentre nel paragrafo 4.3.11 quello strumentale. Per quel che riguarda il profilo di rischio diretto, a titolo esemplificativo, un referente della Società potrebbe corrompere l’Amministratore Delegato o altro soggetto di una Società controllata, partecipata, collegata per: ottenere l’acquisto di beni/servizi a condizioni di favore; acquisire risorse umane di cui la controparte non ha necessità per sgravare di costi la Società; vendere dei beni/servizi non a condizioni di mercato ovvero non necessari per l’acquirente. Tali transazioni intercompany assumono particolare rilevanza anche a livello internazionale con la conseguente applicazione della normativa in materia di transfer pricing. 4.2.9.1 Attività a rischio nell’ambito del processo Le principali attività a rischio rientranti in tale processo sono relative alla regolamentazione contrattuale degli accordi infragruppo (di acquisto, di vendita, di distacco di personale, ecc.). 4.2.9.2 Possibili presidi di controllo Per presidiare le attività sopra evidenziate, la Società potrebbe: prevedere nel Modello Organizzativo che i rapporti con le parti correlate debbano essere improntati a correttezza e trasparenza, nel rispetto del principio di autonomia delle società controllate e dei principi di corretta gestione, trasparenza contabile, separatezza patrimoniale, in modo da garantire la tutela degli azionisti e degli stakeholders di tutte le società correlate; adottare e diffondere un Codice Etico nel quale sia previsto che gli eventuali rapporti negoziali in essere tra le società del Gruppo debbano essere debitamente formalizzati e svolgersi nel rispetto dei principi di correttezza, effettività e trasparenza a tutela dei rispettivi interessi, ponendo particolare attenzione agli aspetti relativi alla circolazione delle risorse economiche; predisporre una procedura che regolamenti le diverse attività attinenti la gestione dei rapporti con parti correlate (a tal proposito, per le società quotate è prevista l’applicazione obbligatoria del “Regolamento recante disposizioni in materia di operazioni con parti correlate” approvato dalla Consob in data 12 marzo 2010 con delibera 17221. Tale fonte regolamentare potrebbe costituire un punto di riferimento anche per le società non quotate al fine di predisporre un idoneo modello di organizzazione, gestione e controllo ex D.Lgs. n. 231/2001). Aspetti che la Società dovrebbe normare nella procedura sono: o ruoli e responsabilità dei soggetti coinvolti; o iter procedurale descrittivo del processo di gestione delle attività infragruppo; o la necessità di formalizzare in contratti/ordini tutte le attività intercompany; 76 o le modalità di formalizzazione delle valutazioni che hanno determinato l’opportunità di istaurare un rapporto con parti correlate e la congruità dei prezzi stabiliti in considerazione del “valore di mercato”; o esplicitazione del sistema di controllo associato alle attività in analisi. definire chiari poteri di firma (sia a livello di delega interna che di procura verso l’esterno). 4.2.10 Bilancio e tenuta della contabilità La tenuta della contabilità e la predisposizione del Bilancio possono esporre la Società al rischio sia diretto sia strumentale al reato di corruzione tra privati. In questo paragrafo è evidenziato il profilo di rischio diretto mentre nel paragrafo 4.3.2 quello strumentale. Per quel che riguarda il profilo di rischio diretto, a titolo esemplificativo, la commissione del reato di corruzione tra privati si potrebbe configurare nel caso in cui la Società corrompa un terzo al fine di ricevere dei documenti falsi e/o alterati che permettano di esporre in contabilità dei dati non veritieri, arrecando nocumento alla Società di appartenenza del terzo stesso. Il rischio-reato in esame assume una particolare rilevanza soprattutto per quanto riguarda le poste di carattere valutativo di bilancio che presuppongono una stima discrezionale di una terza parte (i.e. perizie/consulenze). 4.2.10.1 Attività a rischio nell’ambito del processo Le attività a rischio rientranti in tale processo sono quelle relative a: predisposizione della contabilità generale e delle scritture di chiusura (infrannuali ed annuali); redazione del progetto di Bilancio e delle situazioni infrannuali; gestione ed aggiornamento dei libri contabili e fiscali; emissione e registrazione delle fatture attive; ricezione delle fatture passive e verifica della corrispondenza con le condizioni previste nell'ordine. 4.2.10.2 Possibili presidi di controllo Per presidiare le attività sopra evidenziate, la Società potrebbe: stabilire nel Codice Etico che: o le singole operazioni relative al processo di tenuta della contabilità e di formazione del Bilancio debbano essere svolte nelle varie fasi da soggetti diversi, le cui competenze siano chiaramente definite e conosciute all’interno dell’organizzazione, in modo da evitare che possano essere attribuiti poteri eccessivi a singoli soggetti; o debba essere garantita la tracciabilità di ogni processo attinente l’attività aziendale, in modo da poter sempre ricostruire ex post le motivazioni poste alla base delle scelte 77 operate, i soggetti responsabili ed ogni eventuale dato rilevante ai fini della valutazione della correttezza delle scelte operative; o nello svolgimento delle operazioni e transazioni, debbano potersi rilevare (attraverso i seguenti elementi di controllo peraltro non esaustivi: quadrature, firme, documentazione contabile di supporto, approfondimenti su attività di agenti commerciali, consulenti, fornitori, ecc), la legittimità, l’autorizzazione, la coerenza, la congruità, la corretta registrazione e verificabilità, anche sotto il profilo dell’utilizzo delle risorse finanziarie. Inoltre ogni operazione deve essere supportata da adeguata, chiara e completa documentazione da conservare agli atti, in modo da consentire in ogni momento il controllo sulle motivazioni, le caratteristiche dell’operazione e la precisa individuazione di chi, nelle diverse fasi, l’ha autorizzata, effettuata, registrata e verificata. predisporre una procedura che definisca il modello contabile adottato e regolamenti le diverse fasi del processo, con particolare riferimento a: o gestione delle registrazioni contabili; o pianificazione delle attività di predisposizione dell’informativa finanziaria; o registrazione di chiusura e poste valutative; o predisposizione dell’informativa infrannuale e della bozza di progetto di Bilancio; o alimentazione del sistema informativo ed aggregazione dei dati delle società controllate, nel caso di predisposizione del bilancio di consolidato; o predisposizione dell’informativa interna; o approvazione del bilancio d’esercizio e delle situazioni contabili infrannuali. Aspetti che la società dovrebbe normare nella procedura sono: o i ruoli e le responsabilità dei diversi esponenti aziendali coinvolti nel processo; o l’articolazione del flusso delle attività attraverso cui viene garantita la segregazione delle mansioni nelle diverse fasi del processo; o le modalità per assicurare la tracciabilità delle attività svolte e dei processi decisionali adottati; o le regole di archiviazione della documentazione prodotta; dotarsi di un sistema informativo che garantisca un’adeguata tracciabilità delle operazioni svolte; prevedere il rilascio, da parte dei soggetti che partecipano alla predisposizione del bilancio, di un’apposita dichiarazione attestante: o la veridicità, correttezza, precisione e completezza dei dati e delle informazioni contenute nel bilancio e nei documenti connessi, nonché degli elementi informativi messi a disposizione dalla società stessa; o l’assenza di situazioni tali da configurare un conflitto di interessi; porre in essere verifiche e controlli tesi a fornire una ragionevole certezza sui dati di bilancio. 78 4.3 Processi a rischio strumentali e relativi presidi di controllo 4.3.1 Acquisti di beni, servizi e consulenze L’attività di acquisto di beni, servizi e consulenze può essere strumentale alla commissione del reato di corruzione tra privati in quanto la fattispecie incriminatrice in esame potrebbe essere commessa attraverso la gestione poco trasparente del processo di selezione del fornitore. Più in particolare la Società potrebbe utilizzare l’emissione di ordini di acquisto: per costituire indebite provviste finanziarie da utilizzare per la corruzione di soggetti privati, ad esempio, con la creazione di fondi, in Italia e/o all’estero, a seguito di servizi contrattualizzati a prezzi superiori a quelli di mercato; quale forma di retribuzione di prestazioni indebite erogate da soggetti privati (si pensi, a titolo esemplificativo, alla stipulazione di un contratto a favore di un familiare di un pubblico funzionario o di un soggetto privato, quale corrispettivo di prestazioni illegittime ovvero benefici non spettanti alla società). 4.3.1.1 Attività a rischio nell’ambito del processo Le principali attività individuabili come a potenziale rischio nell’ambito di tale processo sono evidenziate nel paragrafo 4.2.4.1 4.3.1.2 Possibili presidi di controllo I possibili presidi di controllo sono evidenziati nel paragrafo 4.2.4.2 Per tutti i consulenti/fornitori e nel paragrafo 4.2.5.2 per in relazione agli incarichi conferiti a legali o CTP nell’ambito dei contenziosi. 4.3.2 Selezione ed assunzione del personale Il processo di selezione ed assunzione del personale costituisce una delle modalità strumentali attraverso cui potrebbe essere commesso il reato di corruzione tra privati. Infatti per ottenere favori nell'ambito dello svolgimento delle attività aziendali da parte di un privato creando nocumento alla Società per cui lavora il privato che si corrompe (es.: acquisizione ordini/contratti, ottenimento di un finanziamento altrimenti non ottenibile, ovvero a condizione di favore, ecc.) si procede con l’assunzione di persona “vicina” o “gradita” al soggetto privato. 79 4.3.2.1 Attività a rischio nell’ambito del processo Il processo connesso con l’assunzione di personale presenta di norma delle attività comuni indipendentemente dal segmento di business in cui opera l’Azienda. Pertanto le attività a rischio comuni rientranti in tale processo sono quelle relative a: screening dei curricula sulla base delle esperienze e delle competenze maturate; effettuazione dei colloqui di selezione; predisposizione di una valutazione conclusiva; negoziazione con il candidato e formalizzazione della lettera di assunzione; assunzione della risorsa individuata ed archiviazione della documentazione di selezione e della lettera di assunzione; selezione dei contrattisti a progetto. 4.3.2.2 Possibili presidi di controllo Per presidiare le attività sopra evidenziate, la Società potrebbe: inserire nel Codice Etico una normativa che stabilisca che: o la politica aziendale è volta a selezionare ciascun dipendente e collaboratore a vario titolo offrendo pari opportunità di lavoro e garantendo un trattamento equo sulla base delle competenze e delle capacità individuali; o la selezione del personale è condotta nel rispetto delle pari opportunità e senza discriminazione alcuna sulla sfera privata e sulle opinioni dei candidati; o la Società opera affinché le risorse acquisite corrispondano ai profili effettivamente necessari alle esigenze aziendali, evitando favoritismi e agevolazioni di ogni sorta ed ispirando la propria scelta esclusivamente a criteri di professionalità e competenza; dotarsi di un tool che tracci l’attività di selezione del personale; predisporre una procedura che regolamenti le diverse fasi del processo connesso con l’assunzione di personale: o definizione del budget di personale ovvero della necessità di acquisire risorse dall’esterno; o scouting per individuare i cv da sottoporre a selezione; o selezione del candidato; o emissione e negoziazione dell’offerta di lavoro; o sottoscrizione del contratto. Aspetti che la Società dovrebbe normare nella procedura sono: o i ruoli e le responsabilità nonché le modalità attraverso cui viene garantita la segregazione delle mansioni nelle diverse fasi del processo. In particolare dovrebbe essere previsto il coinvolgimento di almeno due differenti funzioni nell’effettuazione dei colloqui; 80 o le modalità attraverso le quali viene lasciata traccia che il candidato ha le caratteristiche in linea con quelle richieste; o le modalità attraverso cui viene garantito un adeguato inquadramento contrattuale e salariale della persona che si intende assumere; o i meccanismi che garantiscano, anche a livello di sistemi informatici impiegati per gestire le diverse fasi del processo, una continua analisi volta a garantire un’adeguata segregazione delle funzioni; definire dei chiari poteri di firma (sia a livello di delega interna che di procura verso l’esterno) che stabiliscano, tra l’altro, i diversi limiti di approvazione delle proposte di assunzione. 4.3.3 Bilancio e tenuta della contabilità L’attività connessa alla tenuta della contabilità ed alla predisposizione del bilancio costituisce una delle modalità strumentali attraverso cui potrebbe essere commesso il reato di corruzione tra privati. Infatti attraverso la contabilizzazione di poste fittizie (es. fatture false), ovvero l’omessa contabilizzazione di poste (di natura nazionale o transazionale) si potrebbero costituire dei fondi utilizzabili per fini corruttivi. 4.3.3.1 Attività a rischio nell’ambito del processo Le principali attività individuabili come a potenziale rischio nell’ambito di tale processo sono evidenziate nel paragrafo 4.2.10.1. 4.3.3.2 Possibili presidi di controllo I possibili presidi di controllo sono evidenziati nel paragrafo 4.2.10.2. 4.3.4 Flussi finanziari La gestione delle attività in questione potrebbe risultare, in via teorica, strumentale alla commissione del reato di corruzione tra privati, in quanto una gestione poco trasparente e scorretta dei flussi monetari e finanziari, potrebbe portare alla costituzione di “disponibilità” funzionali alla realizzazione di condotte illecite tra cui, tipicamente, quelle corruttive ad esempio attraverso: l’utilizzo dei conti correnti societari al fine di rendere disponibili somme di denaro; l’effettuazione dei pagamenti di fatture fittizie al fine di creare delle “disponibilità”; 81 il riconoscimento di rimborsi spese o anticipi fittizi in tutto o in parte; l’utilizzo delle somme delle casse di sede al fine di ottenere “disponibilità”; la costituzione di fondi a fronte di fatture false, in tutto o in parte. 4.3.4.1 Attività a rischio nell’ambito del processo Il processo connesso con la gestione dei flussi finanziari presenta di norma delle attività comuni indipendentemente dal segmento di business in cui opera l’Azienda. Pertanto, a titolo di esempio, le attività a rischio rientranti in tale processo sono quelle relative a: gestione della tesoreria; rendicontazione e riconciliazione delle operazioni di finanza/tesoreria; strutturazione di prodotti finanziari di copertura per mitigare il rischio di cambio; elaborazione e controllo delle paghe/oneri/contributi e delle relative trattenute e produzione di tutta la documentazione obbligatoria per legge (sia verso terzi che verso i dipendenti); preparazione delle lettere di bonifico stipendi, versamento oneri, contributi e trattenute fiscali e consegna delle stesse alla tesoreria; predisposizione ed autorizzazione dei bonifici; gestione delle casse cantiere e di sede; gestione delle carte di credito con addebito sul conto corrente aziendale; gestione dei rimborsi per le spese di trasferta. 4.3.4.2 Possibili presidi di controllo Per presidiare le attività sopra evidenziate, la Società potrebbe: prevedere specifiche regole di comportamento con riferimento a incassi dai clienti e pagamenti dei fornitori. In particolare: o prevedere modalità di incasso che permettano di individuare sempre il soggetto che ha disposto l’operazione verso l’istituto di credito; o prevedere l’obbligo di effettuare i pagamenti esclusivamente a mezzo bonifico bancario su conti correnti intestati al medesimo soggetto cui è conferito l’ordine/incarico (aperto presso istituti di credito del paese di residenza/sede legale del soggetto cui è conferito l’incarico); o prevedere il divieto di effettuare pagamenti indirizzati a conti cifrati o a conti per i quali non si è in grado di individuare con precisione le generalità dell’intestatario”; predisporre una procedura nella quale siano disciplinati i macro-processi relativi alla gestione di budget/reporting finanziario, tesoreria, garanzie e supporto finanziario alle attività commerciali. In tale procedura devono essere chiaramente definiti i ruoli e le responsabilità in modo tale da garantire la relativa segregazione nello svolgimento delle diverse attività attinenti la gestione dei flussi finanziari, con particolare riferimento a: 82 o pagamenti dei fornitori/consulenti (contabilizzazione della fattura del fornitore, rilascio del benestare al pagamento, verifica della presenza del benestare al pagamento, autorizzazione dei pagamenti); o movimentazioni relative alla piccola cassa; o richieste di rimborso o anticipo in caso di trasferte; o costi del personale (predisposizione dei calcoli, verifica dei calcoli, pagamento); o incasso delle fatture attive; predisporre una procedura nella quali siano disciplinate le modalità di gestione di documenti passivi (con particolare riferimento alle fatture), con attenzione alle fasi della ricezione del documento, verifica dello stesso, contabilizzazione, autorizzazione al pagamento e archiviazione; predisporre una procedura nella quale siano disciplinati gli aspetti amministrativi relativi al ciclo attivo, con particolare riferimento ad emissione della fattura attiva ed alla registrazione degli incassi; predisporre una procedura che definisca le modalità di gestione della cassa. In particolare nella procedura dovrebbero essere definiti ruoli e responsabilità dei soggetti autorizzati ad intervenire nel processo, e le modalità di archiviazione della documentazione prodotta; prevedere dei meccanismi che garantiscono, anche a livello di sistemi informatici impiegati per gestire le diverse fasi del processo, una continua analisi volta a garantire la segregazione delle funzioni nonché la tracciabilità delle operazioni svolte; definire un chiaro sistema di poteri e deleghe (sia a livello di delega interna che di procura verso l’esterno). 4.3.5 Omaggi Le attività relative alla concessione degli omaggi potrebbe risultare, in via teorica strumentale alla commissione del reato di corruzione tra privati. La gestione anomala di tali attività potrebbe costituire, infatti, un potenziale supporto alla commissione dei reati di corruzione per ottenerne favori nell'ambito dello svolgimento delle attività aziendali ad esempio attraverso: la concessione di omaggi; la concessione di beni/servizi aziendali a titolo gratuito. 4.3.5.1 Attività a rischio nell’ambito del processo L’attività a rischio comune rientrante in tale processo è quella relativa alla gestione dell'omaggistica aziendale. 83 4.3.5.2 Possibili presidi di controllo Per presidiare le attività sopra evidenziate, la Società potrebbe: stabilire nel Codice Etico, tra l’altro, che nei rapporti di affari sono vietate dazioni, benefici (sia diretti che indiretti), omaggi, atti di cortesia e di ospitalità, salvo che siano di natura e valore tali da non compromettere l’immagine dell’Azienda e da non poter essere interpretati come finalizzati ad ottenere un trattamento di favore; predisporre una procedura nella quale sia regolamentato il processo di gestione dell’omaggistica aziendale e dell’utilizzo dei beni aziendali da parte di terzi. In particolare nella procedura dovrebbero essere normati i seguenti aspetti: o i ruoli e le responsabilità dei diversi esponenti aziendali coinvolti nel processo; o l’articolazione del flusso delle attività attraverso cui viene garantita la segregazione delle mansioni nelle diverse fasi del processo; o le modalità per assicurare la tracciabilità delle attività svolte e dei processi decisionali adottati; o le regole di archiviazione della documentazione prodotta; o le modalità di invio della richiesta di acquisto dell’omaggistica; meccanismi che permettano di tracciare il destinatario dell’omaggio; definire dei chiari poteri di firma (sia a livello di delega interna che di procura verso l’esterno) che definiscano diversi limiti di approvazione delle richieste di acquisto dell’omaggistica. 4.3.6 Organizzazione di eventi e fiere Lo svolgimento delle attività relative all’organizzazione di eventi e fiere potrebbe risultare, in via teorica, strumentale alla commissione del reato di corruzione tra privati. La gestione anomala di tali attività potrebbe costituire, infatti, un potenziale supporto alla commissione dei reati di corruzione per ottenerne favori nell'ambito dello svolgimento delle attività aziendali ad esempio attraverso la partecipazione a eventi e fiere gradite a soggetti privati, a fronte del pagamento di un corrispettivo fuori mercato. In tale contesto assume particolare rilevanza, al fine di influenzare la controparte contrattuale al compimento di un atto contrario ai propri doveri d’ufficio o di fedeltà, l’invito rivolto ai clienti a partecipare ad eventi/fiere in località aventi esclusiva vocazione turistica in determinati periodi dell’anno. 4.3.6.1 Attività a rischio nell’ambito del processo L’attività a rischio comune rientrante in tale processo è quella relativa a organizzazione e partecipazione a convegni, mostre e fiere. 84 4.3.6.2 Possibili presidi di controllo Per presidiare le attività sopra evidenziate, la Società potrebbe: stabilire nel Codice Etico che la partecipazione a convegni, mostre e fiere deve essere strettamente connessa con motivazioni aziendali; predisporre una procedura nella quale sia regolamentato il processo di gestione dell’organizzazione/partecipazione a convegni, eventi e fiere. In particolare la procedura dovrebbe prevedere la formalizzazione ed approvazione delle motivazioni che hanno portato alla decisione di partecipare ad un determinato convegno/evento/mostra; definire dei chiari poteri di firma (sia a livello di delega interna che di procura verso l’esterno) ed un sistema di tracciamento delle attività relative alla partecipazione. 4.3.7 Sistema di gestione, incentivazione e sviluppo del personale Il processo di incentivazione e sviluppo del personale costituisce una delle modalità strumentali attraverso cui, in linea di principio, potrebbe essere commesso il reato di corruzione tra privati. In particolare: la fase di definizione delle politiche di incentivazione potrebbe costituire un potenziale supporto alla commissione del reato di corruzione tra privati attraverso il riconoscimento di MBO “falsati/gonfiati” al fine di rendere disponibili somme di denaro utilizzabili per fini corruttivi; la fase di sviluppo del personale potrebbe costituire un potenziale supporto alla commissione del reato di corruzione tra privati attraverso il riconoscimento di promozioni /avanzamenti di carriera/aumenti di stipendio/fringe benefit a personale “vicino” o “gradito” a soggetti privati, non informati a criteri strettamente meritocratici. Pertanto il processo di valutazione ed incentivazione del personale e, più in generale, la gestione del personale può presentare profili di rischio nell’ipotesi, ad esempio, in cui siano: riconosciuti ad un congiunto (o persona gradita) di un soggetto privato, privilegi o vantaggi professionali indebiti o non dovuti e collegati all’interessamento del soggetto privato medesimo in una pratica d’interesse della Società; assegnati a dipendenti bonus/incentivi sproporzionati rispetto alla parte fissa del loro compenso (o legati ad uno specifico obiettivo, esempio ottenimento di un determinato contratto), potendo ciò spingere il lavoratore dipendente a compiere atti di corruzione per raggiungere i propri obiettivi; riconosciuti bonus/incentivi “ingiustificati” al fine di rendere disponibili somme di denaro utilizzabili per fini corruttivi sia direttamente attraverso l’accreditamento da parte del 85 lavoratore dipendente di somma, o parte di essa, su un conto intestato ad una Società estera facente capo al soggetto privato, sia indirettamente attraverso la creazione di fondi occulti a disposizione della Società. 4.3.7.1 Attività a rischio nell’ambito del processo Le attività a rischio comuni rientranti in tale processo sono quelle relative a: definizione dei piani di carriera per il personale e gestione dei passaggi di livello; definizione dei sistemi incentivanti; effettuazione delle valutazioni delle risorse aziendali; pagamento di stipendi/salari e bonus/una tantum ai dipendenti. 4.3.7.2 Possibili presidi di controllo Per presidiare le attività sopra evidenziate, la Società potrebbe: stabilire nel Codice Etico, tra l’altro, che: o la determinazione degli obiettivi aziendali ed i relativi programmi di incentivazione è condotta nel rispetto delle procedure aziendali ed in conformità ai principi di correttezza ed equilibrio, non individuando obiettivi eccessivamente ambiziosi e/o difficilmente realizzabili attraverso l’ordinaria operatività e che possano indurre a comportamenti illeciti; o la Società si impegna a creare e mantenere le condizioni necessarie affinché le capacità e le conoscenze di ciascuno possano ulteriormente ampliarsi nel rispetto di tali valori, seguendo una politica basata sul riconoscimento dei meriti e delle pari opportunità, e prevedendo specifici programmi volti all’aggiornamento professionale ed all’acquisizione di maggiori competenze; predisporre una procedura che regolamenti le diverse fasi del processo di incentivazione e sviluppo del personale, definendo, tra l’altro, i seguenti aspetti: o la formulazione delle proposte di aumento retributivo e/o variazione del livello contrattuale; o la valutazione delle proposte e successiva approvazione; o la definizione dei piani di incentivazione annuali e pluriennali, con particolare attenzione all’individuazione di criteri quantitativi per l’attribuzione degli interventi di incentivazione; o i parametri e l’iter di valutazione delle prestazioni dei dipendenti. Aspetti che la Società dovrebbe normare nella procedura sono: o i ruoli e le responsabilità dei diversi esponenti aziendali coinvolti nel processo di valutazione; 86 o l’articolazione del flusso delle attività attraverso cui viene garantita la segregazione delle mansioni nelle diverse fasi del processo; o le modalità per assicurare la tracciabilità delle attività svolte e dei processi decisionali adottati; o le regole di archiviazione della documentazione prodotta; dotarsi di un tool che consenta di tracciare le varie fasi del processo; definire dei chiari poteri di firma (sia a livello di delega interna che di procura verso l’esterno) che stabiliscano, tra l’altro, diversi limiti di approvazione delle proposte di modifica dei livelli contrattuali e delle retribuzioni, dei licenziamenti e dei piani di incentivazione. 4.3.8 Spese di rappresentanza e di ospitalità La gestione delle spese di rappresentanza e di ospitalità costituisce una delle modalità strumentali attraverso cui, in linea di principio, potrebbe essere commesso il reato di corruzione tra privati. La gestione anomala di tali attività potrebbe costituire, infatti, un potenziale supporto attraverso il quale disporre di risorse finanziarie da dedicare alla corruzione. In tale contesto assumono particolare rilevanza gli inviti rivolti ai clienti a spese della società ospitante – a titolo meramente esemplificativo, si pensi all’offerta di un soggiorno in una beauty farm o in una località turistica in determinati periodi dell’anno – capaci di influire sui risultati delle transazioni di business e che non possono considerarsi ragionevoli ed in buona fede. 4.3.8.1 Attività a rischio nell’ambito del processo L’attività a rischio comune rientrante in tale processo è quella relativa alla gestione delle spese di rappresentanza e di ospitalità. 4.3.8.2 Possibili presidi di controllo Per presidiare le attività sopra evidenziate, la Società potrebbe: stabilire nel Codice Etico che nei rapporti di affari sono vietate dazioni, benefici (sia diretti che indiretti), omaggi, atti di cortesia e di ospitalità, salvo che siano di natura e valore tali da non compromettere l’immagine dell’Azienda e da non poter essere interpretati come finalizzati ad ottenere un trattamento di favore. predisporre una procedura nella quale sia regolamentato il processo di gestione delle spese di rappresentanza e ospitalità. In particolare nella procedura dovrebbero essere normati i seguenti aspetti: o i ruoli e le responsabilità dei diversi esponenti aziendali coinvolti nel processo; 87 o l’articolazione del flusso delle attività attraverso cui viene garantita la segregazione delle mansioni nelle diverse fasi del processo; o le modalità di autorizzazione e successiva rendicontazione delle spese; o le modalità per assicurare la tracciabilità delle attività svolte e dei processi decisionali adottati; o le regole di archiviazione della documentazione prodotta; o la previsione sia di soglie quantitative da rispettare durante l’anno solare di riferimento sia di criteri per la definizione delle spese di rappresentanza e di ospitalità in linea con il business della Società; definire dei chiari poteri di firma (sia a livello di delega interna che di procura verso l’esterno) che definiscano diversi limiti di approvazione delle spese. 4.3.9 Sponsorizzazioni e pubblicità La gestione delle sponsorizzazioni e pubblicità costituisce una delle modalità strumentali attraverso cui, in linea di principio, potrebbe essere commesso il reato di corruzione tra privati. La gestione anomala di tali attività potrebbe costituire, infatti, un potenziale supporto attraverso il quale disporre di risorse finanziarie da dedicare alla corruzione ad esempio tramite: la sponsorizzazione di eventi/ovvero l’effettuazione di pubblicità su media graditi al soggetto corrotto; il riconoscimento di compensi ad agenzie per attività di promozione e di pubblicità al fine di costituire fondi da utilizzare a fini corruttivi. 4.3.9.1 Attività a rischio nell’ambito del processo L’attività a rischio comuni rientranti in tale processo è quella relativa alla gestione della pubblicità e delle sponsorizzazioni aziendali. 4.3.9.2 Possibili presidi di controllo Per presidiare le attività sopra evidenziate, la Società potrebbe: predisporre una procedura nella quale sia regolamentate tutte le fasi del processo di gestione delle attività di sponsorizzazione e pubblicità, tra cui quelle relative a: o ricezione delle richieste di sponsorizzazione; o valutazione delle richieste di sponsorizzazione pervenute; o autorizzazione delle sponsorizzazioni; o scelta dell’agenzia pubblicitaria; o approvazione del piano media; 88 o approvazione delle spese connesse con la pubblicità. In particolare nella procedura dovrebbero essere normati i seguenti aspetti: o i ruoli e le responsabilità, nonché le modalità attraverso cui viene garantita la segregazione dei ruoli nelle diverse fasi del processo; o le modalità di archiviazione della documentazione prodotta. definire dei chiari poteri di firma (sia a livello di delega interna che di procura verso l’esterno) che definiscano diversi limiti di approvazione delle spese. 4.3.10 Procacciatori di affari, agenti, intermediari e rappresentanti commerciali (in breve intermediari) Il processo di attivazione dei contratti a terzi di agenzia, di mandati per procacciamento d’affari o comunque, di intermediazione e/o rappresentanza commerciale, anche per singoli affari, espone la Società al rischio di commissione del reato di corruzione tra privati, ad esempio attraverso il riconoscimento di compensi ad agenzie e/o intermediari per la costituzione di fondi da utilizzare a fini corruttivi o la costituzione di fondi a fronte di operazioni fittizie, in tutto o in parte. 4.3.10.1 Attività a rischio nell’ambito del processo Le attività a rischio comune rientranti in tale processo sono quelle relative a: proposta di attivazione di contratti con intermediari; scelta degli intermediari da attivare, definizione e sottoscrizione del contratto; monitoraggio delle attività degli intermediari e gestione della rendicontazione dei compensi degli stessi. 4.3.10.2 Possibili presidi di controllo Per presidiare le attività sopra evidenziate, la Società potrebbe: prevedere nel Codice Etico le seguenti regole di comportamento generale: o l’intermediario deve prendere visione del Codice Etico della Società ed accettare di uniformarsi alle prescrizioni in esso contenute; inoltre i contratti/ordini di acquisto con gli stessi dovranno contenere le sanzioni disciplinari/contrattuali previste in caso di mancato rispetto delle indicazioni del Modello Organizzativo; o l’intermediario deve sottoscrivere una dichiarazione di assenza di conflitti di interesse e di accettazione del Codice Etico; 89 o l’attività prestata dall’intermediario deve essere debitamente documentata e l’Ente che si è avvalso della loro opera deve, prima della liquidazione dei relativi onorari, attestare l’effettività della prestazione; o i rapporti con l’intermediario devono essere orientati alla trasparenza, correttezza e che la Società non tollera comportamenti corruttivi, ottenendo la sottoscrizione per adesione ai principi del Codice Etico da parte di tutti i dipendenti, nonché da parte dei procacciatori d’affari; predisporre una procedura che regolamenti le diverse fasi del processo di attivazione e gestione dei contratti. Aspetti che la Società dovrebbe normare nella procedura sono: o i ruoli e le responsabilità dei diversi esponenti aziendali coinvolti nel processo, dall’attivazione dei contratti a terzi di mandati per procacciamento d’affari al monitoraggio delle attività svolte dal fornitore e pagamento dei compensi; o l’iter da seguire per addivenire alla scelta dell’intermediario; o le modalità di monitoraggio e reporting sull’operato degli intermediari; o l’iter per il pagamento dei compensi degli intermediari, prevedendo l’approvazione del benestare della fattura del fornitore da parte di diversi referenti aziendali; o l’articolazione del flusso delle attività attraverso cui viene garantita la segregazione delle mansioni nelle diverse fasi del processo; o le modalità per assicurare la tracciabilità delle attività svolte e dei processi decisionali adottati; o le regole di archiviazione della documentazione prodotta; definire chiari poteri di firma (sia a livello di delega interna che di procura verso l’esterno). 4.3.11 Rapporti infragruppo e con altre parti correlate La gestione dei rapporti infragruppo e con altre parti correlate può essere strumentale alla commissione del reato di corruzione tra privati in quanto i rapporti intercompany potrebbero favorire la costituzione di fondi utilizzabili per fini corruttivi attraverso: operazioni fittizie, in tutto o in parte (si pensi a titolo esemplificativo alla fatturazione per prestazioni inesistenti, alla sopravvalutazione di beni della Società, alla creazione di debiti fittizi nei confronti delle controllate); la contabilizzazione di poste fittizie e/o errate in tutto o in parte; l’omessa contabilizzazione di poste. 4.3.11.1 Attività a rischio nell’ambito del processo Le principali attività individuabili come a potenziale rischio nell’ambito di tale processo sono state evidenziate nel paragrafo 4.2.9.1. 90 4.3.11.2 Possibili presidi di controllo I possibili presidi di controllo sono stati evidenziati nel paragrafo 4.2.9.2. Dott. Antonio La Mattina Managing Partner di Cogitek 91 5. Indeducibilità del costo correlato alla “tangente privata” L’area dei processi aziendali nell’ambito dei quali possono annidarsi condotte suscettibili di integrare la fattispecie di cui all’art. 2635 c.c., come analizzato sopra, è estremamente vasta. L’elemento soggettivo tipico (dolo) della corruzione tra privati è infatti in grado di sorreggere comportamenti di facile individuazione quali, ad esempio, la tangente pagata attraverso l’emissione di fatture per operazioni inesistenti così come condotte sfumate quali l’ospitalità in occasione di eventi conviviali, sportivi, feste e così via. Ogni qual volta il reato sia commesso attraverso risorse extracontabili, siano esse finanziarie o di altro genere, non si pone un problema di carattere fiscale. Il fatto che l’imprenditore faccia uso di liquidità o ricchezza propria al fine di effettuare una dazione a clienti o fornitori per attribuire un qualche vantaggio alla propria azienda, rileva semmai ai fini penali ma non a fini fiscali. Il sindacato sulla deducibilità è possibile dunque soltanto allorquando il costo divenga una componente negativa che concorre a formare il reddito dell’esercizio dell’ente (società) nell’interesse del quale il costo stesso è stato sostenuto, cosa che naturalmente non accade nei casi in cui manchi una registrazione contabile. Il tema della indeducibilità si pone perciò solamente quando il reato sia commesso con modalità di apparente trasparenza contabile ovverosia quando il costo che ha formato oggetto della dazione penalmente rilevante (es: fattura passiva riferita all’operazione inesistente, sponsorizzazione, spesa di rappresentanza e/o per omaggi etc.), sia stato regolarmente registrato, confluendo nel bilancio d’esercizio e, successivamente, nella dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto. Ancora, merita osservare che talune condotte esauriscono il proprio impatto contabile attraverso una singola registrazione. Si pensi alla già menzionata ipotesi della registrazione della fattura passiva riferita ad operazioni inesistenti. Viceversa, altre condotte sono suscettibili di protrarre i propri effetti nel tempo anche oltre il momento consumativo del reato. Si pensi all’ipotesi di una corruzione tra privati realizzata mediante l’assunzione con contratto di lavoro a tempo determinato o indeterminato oppure mediante la conclusione di un contratto di durata che preveda una pluralità di cessioni di beni o di prestazioni di servizi distribuite in un lasso temporale successivo al momento in cui viene suggellato il patto corruttivo. In tale ultimo caso, gli effetti economici e finanziari della dazione illecita (e quindi anche gli effetti fiscali), finiscono per protrarsi oltre il momento della consumazione del reato. Trattandosi di un principio giuridico (art. 2635 c.c.) sostanzialmente nuovo al nostro ordinamento, non è ancora possibile conoscere il pensiero della giurisprudenza tributaria, con particolare riferimento al profilo dell’indeducibilità dei costi riferiti alle “tangenti private”. Nulla esclude tuttavia che ci si possa preparare ad affrontare l’interpretazione delle future pronunce, sulla scorta di orientamenti formatisi in passato sulla più generale tematica relativa alla indeducibilità dei costi correlati a condotte penalmente rilevanti. 92 Originariamente non esisteva una specifica disposizione di legge in tema di indeducibilità dei costi sostenuti ai fini della commissione di illeciti penali, disposizione che invece attualmente esiste (art.14, comma 4 bis L. 24 dicembre 1993, n. 537, come modificato, prima, dall’art. 2, comma 8 L. 27 dicembre 2002, n. 289 e poi dall’art. 8, comma 1, del D.L. 16 del 2 marzo 2013, convertito con modifiche dalla L. 26/04/2012 n. 16). La giurisprudenza, fatte salve alcune rare eccezioni, era sostanzialmente concorde nel non riconoscere la deducibilità di componenti negative di reddito riferite a condotte criminose per diversi ordini di ragioni. Si è sostenuto che non potesse essere ritenuto ammissibile conseguire vantaggi dall'esercizio di un'attività illecita o che la deduzione di costo riferito ad un comportamento disapprovato (per giunta penalmente) dall’ordinamento, rappresentasse di fatto un ribaltamento delle conseguenze sanzionatorie dello stesso fatto illecito sulla collettività, sulla quale graverebbe in definitiva il minore gettito fiscale correlato alla deduzione del costo “illecito”. L’orientamento della giurisprudenza è stato recepito dal legislatore dapprima con l’art. 2, comma 8 L. 27 dicembre 2002, n. 289 che ha introdotto una prima versione del comma 4 bis all’art.14, della L. 24 dicembre 1993, n. 537105 e, successivamente, dall’art. 8, comma 1106, del D.L. 16 del 2 marzo 2013, convertito con modifiche dalla L. 26/04/2012 n. 16, che ha modificato l’originaria formulazione del citato comma 4 bis mitigandone la portata. La prima versione del citato comma 4 bis era stata abbondantemente criticata, anche attraverso svariate ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale da parte dei giudici tributari, per l’eccessiva ampiezza dei casi in cui avrebbe avuto applicazione e in ragione del fatto che, sulla base di valutazioni essenzialmente di natura etica, si finiva per disconoscere la necessaria simmetria logica fra la tassazione di un ricavo e la deducibilità del costo che lo ha generato. Inoltre, la prima formulazione del citato comma 4 bis, consentiva sostanzialmente al giudice tributario di valutare la sussistenza del reato in via incidentale, non imponendosi pertanto un pregiudiziale (garantistico) accertamento sul fatto di reato. Infine, era stato eccepito che l’indeducibilità del costo 105 105 Art. 2, comma 8 L. 27 dicembre 2002, n. 289. Introduce il comma 4 bis all’art.14, ella L. 24 dicembre 1993, n. 537 : "4bis. Nella determinazione dei redditi di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi o le spese riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato, fatto salvo l'esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti". 106 Art. 8, comma 1, del D.L. 16 del 2 marzo 2013, convertito con modifiche dalla L. 26/04/2012 n. 16. Modifica la precedente formulazione del citato comma 4 bis: "4-bis. Nella determinazione dei redditi di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell'articolo 424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall'articolo 157 del codice penale. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell'articolo 530 del codice di procedura penale ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell'articolo 529 del codice di procedura penale, compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi". 93 comportasse di fatto una duplicazione della sanzione che tuttavia si realizzava su di un soggetto - la società - diverso da quello che ha materialmente commesso il reato, non potendone essere l’esecutore materiale. Con la seconda versione è stato ridotto il campo d’applicazione della disposizione ai costi e alle spese dei beni o delle prestazioni di servizi “…direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell'articolo 424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall'articolo 157 del codice penale”. A mente della vigente disposizione, sebbene per un verso l’ipotesi della corruzione fra privati appaia rientrare perfettamente nell’ambito di applicazione del più volte citato comma 4 bis, per altro verso appare sensibilmente ridotto il numero delle ipotesi in cui la dazione illecita ai sensi dell’art. 2635 c.c. possa effettivamente essere colpita dalla “sanzione” (impropria) dell’indeducibilità del costo (se non altro per ragioni procedurali), che continua, a quanto pare, ad aggiungersi alla vera e propria sanzione penale comminata all’esecutore materiale. Ancora, tale seconda formulazione non esclude che possa esservi un’ulteriore duplicazione ascrivibile alla sanzione amministrativa comminabile in capo all’ente. Infatti, allo stato attuale - con riserva di rivedere ogni posizione alla luce dei futuri sviluppi giurisprudenziali - nei casi di cui al terzo comma dell’art. 2635 c.c., l’ente appare destinato a subire, oltre alla “sanzione” fiscale consistente nell’indeducibilità del costo (insieme alle sanzioni tributarie normalmente collegate a tale fattispecie), anche la sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote prevista dall’art. 25 ter comma 1, let. s-bis, del D.Lgs 231/2001. Avv. Gian Luca Grossi Pirola Pennuto Zei & Associati - Milano 94 CASE STUDIES A) Le politiche commerciali In relazione al reato di corruzione tra privati, si ritiene che gli ambiti di operatività aziendale sensibili “per eccellenza” siano riconducibili ai processi di ciclo attivo, correlati alle attività di vendita di beni e di prestazione di servizi o, comunque, alle iniziative tese all’esercizio di una politica commerciale societaria tradizionalmente impostata, in modo coordinato, al raggiungimento degli obiettivi economici e finanziari d’impresa (es. partnership commerciali, forme aggregative tra imprese per lo sviluppo di nuovi business o la partecipazione a specifici progetti, scontistica, accordi transattivi, etc., di cui si dirà meglio in seguito). In tale contesto, assumono particolare rilevanza i processi di vendita rivolti alla clientela cd. business (indirizzati, pertanto, al segmento di mercato delle imprese), ossia le tipologie di vendita di natura non episodica e normalmente connotate da valore unitario significativo, ovvero gli accordi “quadro” (contratti di lungo periodo, pluriennali, idonei ad accorpare vendite di beni e servizi tipicamente ripetitivi ed omogenei), nonché, in generale, la partecipazione a procedure di gara indette da società private, così come le negoziazioni dirette di entità non trascurabile. Per chiarire meglio quanto precede ed enucleare taluni aspetti di particolare attenzione, può essere utile il ricorso ad alcuni esempi preliminari riguardanti ipotetiche modalità realizzative del reato di corruzione tra privati nell’ambito del processo delle vendite (con valenza anche sotto il profilo del D.Lgs. 231/01, limitatamente alle azienda di appartenenza del soggetto attivo della corruzione), ferma restando l’ampiezza delle possibili architetture illecite di interesse da individuare - difficilmente in via esaustiva - sulla base delle specificità operative di ciascuna organizzazione. Esempio 1 Nell’ambito di una trattativa diretta, un esponente della Società A potrebbe corrompere, con denaro od altra utilità, un soggetto di un’altra società B, al fine di indurre quest’ultimo a concludere un accordo commerciale particolarmente favorevole per la Società A (a condizioni economiche superiori i valori medi di mercato, talvolta apparentemente giustificate da prestazioni accessorie fittizie o personalizzazioni artificiose), tale da rendere ampiamente sostenibile da parte della stessa Società A il costo sostenuto per la corruzione, determinando nel contempo un danno alla Società B di appartenenza del soggetto corrotto in relazione all’operazione di acquisto a prezzi maggiorati e fuori mercato. Esempio 2 Un esponente della Società A potrebbe corrompere, con denaro od altra utilità, un soggetto della Società B che ha indetto una gara per l’acquisizione di un bene/servizio, al fine di aggiudicarsi la ''competizione'' nonostante le condizioni economiche superiori a quelle proposte dai competitors (aggiudicazione che, laddove non incentrata esclusivamente sul prezzo, potrebbe essere motivata grazie all’intervento del soggetto compiacente - valorizzando artificiosamente aspetti intangibili quali, ad es., elementi qualitativi, plus di servizi, etc.), cagionando un danno alla Società B che non ottiene il bene/servizio richiesto al prezzo più vantaggioso o alla miglior qualità. Esempio 3 Un esponente della Società A potrebbe corrompere, con denaro od altra utilità, un soggetto della Società B che ha indetto una gara per l’acquisto di un bene/servizio, acquisendo informazioni riservate 95 sui concorrenti che gli consentono di calibrare la propria offerta al fine di aggiudicarsi la ''competizione'' - a discapito delle altre imprese partecipanti e con un’evidente distorsione delle dinamiche competitive - recuperando il costo sostenuto per la concretizzazione del disegno illecito (eventuale abbassamento dei prezzi nell’ambito dell’offerta presentata e dazione di denaro o altra utilità al soggetto corrotto) nel corso del rapporto contrattuale (soprattutto se trattasi di un contratto quadro), attraverso un accrescimento dei complessivi volumi di vendita nel tempo (talvolta vincolando il cliente a prestazioni di lungo periodo erogabili solo dalla Società A - es. servizi di manutenzione a fronte della fornitura di impianti particolari) ovvero un abbattimento dei livelli qualitativi attesi, con un conseguente danno per la Società B correlato ai maggiori costi sostenuti negli anni o alla perdita di qualità nelle forniture ricevute. Analoghe considerazioni trovano applicazione nell’ambito di una negoziazione diretta, basata sull’acquisizione di offerte alternative. Relativamente al nocumento prodotto alla società di appartenenza del soggetto corrotto, vale la pena osservare che in tutte le ipotesi sopra delineate, oltre ai danni patrimoniali accennati, è altresì configurabile un danno di immagine derivante dall’eventuale diffusione mediatica del coinvolgimento della medesima azienda nella fattispecie criminosa. Traendo spunto anche dalle esemplificazioni sopra riportate, tra le aree di ciclo attivo a maggiore esposizione al rischio di illecito si evidenziano le prestazione di servizi di carattere immateriale - con particolare riguardo alle consulenze, ma anche alle attività di manutenzione o ai servizi accessori correlati alle forniture di beni, etc. - nonché le offerte commerciali “non standard” che richiedono forti customizzazioni atteso che, in tali casi, i margini di discrezionalità (sia del soggetto “corruttore” che di quello “corrotto”) per occultare un’ingiustificata maggiorazione dei prezzi, tipicamente effettuata dalla società venditrice per rientrare del costo dell’azione corruttiva, sono indubbiamente più ampi; ne derivano maggiori difficoltà, per le società coinvolte, a presidiare in chiave preventiva detti ambiti e ad intercettare segnali di anomalia sintomatici della presenza di un accordo corruttivo. Tali considerazioni suggeriscono, tra gli aspetti di presidio che rivestono interesse anche in ottica di tutela ai sensi della responsabilità di cui al D.Lgs. 231/01, la disponibilità - ad esempio - di elementi di “benchmark” con realtà comparabili e di analisi di marginalità volte a consentire un raffronto con i valori economici mediamente offerti sul mercato in relazione alle prestazioni di interesse, nonché lo svolgimento di opportuni controlli sia in fase di partecipazione alle gare o alle procedure di negoziazione che di esecuzione dei contratti. Relativamente alle condotte attive del reato, un punto di particolare significatività, nell’ambito delle politiche commerciali delle imprese, è costituito dal processo di definizione del budget di vendita, cui, sovente, è associato anche il sistema premiante del personale dipendente. Le più evolute dottrine aziendaliste concordano sulla centralità del budget quale strumento per indirizzare efficientemente le attività delle “macchine organizzative” verso il conseguimento degli obiettivi d’impresa. Cionondimeno, le stesse dottrine hanno posto all’attenzione come l’attribuzione di budget al personale (manager e dipendenti) eccessivamente sfidanti, se non addirittura inarrivabili, possa costituire un impulso, per questi ultimi, al compimento di condotte illecite, anche in grado di impegnare la responsabilità amministrativa degli enti, in presenza di atti corruttivi. L’introduzione del reato-presupposto 231 della “corruzione tra privati”, oggettivamente, estende di molto il perimetro dei potenziali rischi per le aziende di incorrere nella responsabilità amministrativa e, pertanto, la fase dell’identificazione ed assegnazione degli obiettivi di budget aziendali va attualmente valutata con rinnovata oculatezza e deve comunque collocarsi all’interno di una 96 “cornice” culturale aziendale volta ad enfatizzare, costantemente, i valori dell’etica e della legalità d’impresa nel conseguimento dei risultati commerciali. Nell’ambito del processo delle vendite, da ricondursi anche alla partecipazione a procedure di gara, si ritiene che particolare attenzione vada rivolta alla realizzazione di forme di associazione con altri partner, quali joint venture, Associazioni Temporanee d’Imprese (ATI), Raggruppamenti Temporanei di Imprese (RTI), consorzi per collaborazioni commerciali, nonché alle attività di intermediazione finalizzate alla vendita di prodotti e servizi nei confronti della clientela privata. Va infatti attentamente considerata la possibilità dell’estensione della responsabilità amministrativa a tutte le società del raggruppamento, a fronte di un illecito di corruzione nei confronti della Società cliente (o dell’azienda che ha indetto una gara) posto in essere da un esponente di uno dei soggetti del raggruppamento medesimo, tenuto conto dell’obiettivo comune perseguito e dei correlati vantaggi che ne derivano. Analogo rischio di “risalita o propagazione di responsabilità” può scaturire dall’utilizzo di soggetti intermediari, laddove questi commettano un atto corruttivo, nell’ottica di conseguire i risultati di business attesi da parte della Società che ha conferito l’incarico di intermediazione. E’ appena il caso di osservare che le attività di intermediazione presentano elementi di rischiosità, per le ipotesi di corruzione privata, ben al di fuori delle casistiche aggregative in esame, laddove il ricorso a soggetti esterni da parte di una Società (formalizzato nelle diverse modalità, es. contratti di agenzia, accordi di partnership commerciale, ...) per incrementare i risultati commerciali - ampliando, ad esempio, il portafoglio della clientela “imprese” - si traduca in pratiche corruttive attuate attraverso il terzo soggetto (al quale potrebbe essere corrisposto un compenso parzialmente devoluto al “corrotto”), sempreché in presenza di nocumento per le organizzazioni coinvolte (rif. vendite a prezzi maggiorati rispetto a quelli applicati da altri concorrenti, ripercussioni negative sui livelli qualitativi, etc.). Dette politiche, peraltro ampiamente diffuse nelle pratiche aziendali e che rappresentano normalmente, sulla base di sane logiche di diversificazione dei canali, opportunità di amplificare i contatti con potenziali clienti, necessitano – in ottica di presidio per la prevenzione degli illeciti di interesse – un’attenta regolamentazione in ambito aziendale e il rafforzamento dei normali principi posti alla base dei sistemi di controllo e di prevenzione dei reati (stratificazione dei poteri autorizzativi, segregazione dei ruoli, sistemi di check and balance107, cautele contrattuali con gli intermediari, tracciatura flussi finanziari, etc.). In merito alle citate forme di associazione, è fondamentale la definizione di apposite cautele per la società che prende parte all’aggregazione (o la promuove) quali, ad esempio, la previsione di un omogeneo approccio e di una condivisa sensibilità da parte dei componenti l’ATI/RTI o dei consorziati (o intermediari) sui temi afferenti la corretta applicazione del Decreto 231, nell’ambito di specifiche clausole all’interno degli accordi sottoscritti con questi ultimi; in tali accordi, ad esempio, può essere fatto un richiamo a principi di osservanza delle disposizioni del Decreto 231, anche in relazione all’adozione di un proprio Modello 231 da parte di ciascun partecipante alla forma associativa, nonché all’impegno, esteso a tutti i soggetti coinvolti, di adottare un proprio Codice Etico. Nella fase di esecuzione delle prestazioni può essere prevista per la Società la possibilità di acquisire dai partner informazioni sul sistema dei presidi dagli stessi implementato, nonché appositi flussi di informazione tesi ad alimentare un monitoraggio gestionale, ovvero attestazioni periodiche sugli 107 Attribuzione di obiettivi volutamente antagonistici a determinate funzioni aziendali per bilanciare i ruoli e favorire il corretto svolgimento dei processi in ottica trasversale. 97 ambiti di rilevanza 231 di interesse108; in taluni casi, possono essere definite contrattualmente specifiche clausole di audit (da svolgere sia con idonee strutture presenti all’interno dell’aggregazione tra imprese che con l’eventuale ricorso a soggetti esterni), da attivarsi a fronte di eventuali segnali di anomalia (indicatori di “rischio”) rilevati. Si tratta di elementi da attivare (o meno) e calibrare opportunamente, a seconda dei casi, in funzione della tipologia giuridica aggregativa e dei rischi valutati. Un ulteriore presidio di particolare significatività può essere costituito dall’adozione, accanto al Codice Etico aziendale rispetto al quale si pone in rapporto sinergico, di uno specifico Codice di Comportamento rivolto ai Fornitori e Partner che contenga le regole etico-sociali destinate a disciplinare i rapporti dei suddetti soggetti con l’impresa, assicurando, tra l’altro, il rispetto dei principi di trasparenza, di correttezza professionale e di legalità. Ai fini di una maggiore efficacia applicativa, è auspicabile prevedere che tutte le controparti che affiancano la Società nelle diverse opportunità di business nell’ambito di joint venture, ATI, RTI, consorzi, etc. aderiscano formalmente a tale Codice di Comportamento, prevedendo altresì uno specifico apparato sanzionatorio, in presenza di una sua eventuale violazione, da modularsi in relazione alla gravità delle singole casistiche. Come delineato in premessa, il processo delle vendite può assumere rilievo per le aziende, rispetto al reato di corruzione tra privati, anche in relazione a ipotetiche condotte passive dei propri esponenti, sebbene, come già precisato, tali fattispecie non sono idonee ad integrare la responsabilità amministrativa dell’ente di appartenenza del soggetto corrotto, ponendosi in antitesi rispetto al meccanismo di imputazione del Decreto 231 in ragione del nocumento causato alla medesima Società. Un’ipotetica manifestazione di condotta passiva nel reato di corruzione tra privati, nell’ambito del processo delle vendite, vista sotto la visuale del soggetto corrotto, potrebbe essere la seguente. Esempio Un esponente della Società A potrebbe ricevere (o farsi promettere) denaro od altra utilità da parte del soggetto di un’altra società B (il soggetto corruttore), al fine di concludere un accordo commerciale favorevole per la Società B (a condizioni particolarmente inferiori ai valori medi di mercato, ad esempio applicando una forte scontistica, estranea alle politiche commerciali della Società A), determinando quindi un danno alla Società A di appartenenza del soggetto corrotto. In questo caso, chiaramente, la responsabilità amministrativa troverebbe applicazione nei confronti della Società B, rispetto alla quale il processo “sensibile” nel cui ambito si verificherebbe l’occasione di illecito (corruzione tra privati) è, come evidente, quello degli approvvigionamenti. Nell’ottica di strutturare e/o rafforzare, a livello aziendale, un efficace sistema di controllo nel processo delle vendite a prevenzione di possibili condotte attive e passive del reato di corruzione tra privati va opportunamente prevista - richiamando o integrando taluni aspetti già precedentemente tratteggiati - l’implementazione di idonei presidi, sia di carattere generale che di tipo specifico, anche procedurali. In linea generale, la prevenzione dei reati corruttivi (ampiamente intesi) non può prescindere da un’attenta segregazione di ruoli (“segregation of duties”) nell’ambito dell’organizzazione, con distinti 108 Es. attestazioni annuali in cui ciascun partner dichiari di non essere a conoscenza di informazioni o situazioni che possano, direttamente o indirettamente, configurare le ipotesi di reato previste dal Decreto 231. 98 livelli di responsabilità decisionale in relazione alle diverse fasi delle attività109, dalla stratificazione dei poteri di firma, dalla tracciabilità delle attività poste in essere, nonché da un puntuale sistema di gestione e controllo delle risorse finanziarie. Tra i presidi specifici, assume significatività la chiara definizione di condizioni economiche da applicarsi nei rapporti con i soggetti privati (clientela business) supportate da idonee analisi di marginalità, nonché l’adozione di criteri trasparenti eventualmente anche nella determinazione di un prezzo massimo di offerta (sempre comparabile con parametri di mercato) per singolo prodotto o servizio, di modo tale da rendere individuabile, pur nella naturale e legittima tendenza delle società alla massimizzazione del profitto, eventuali anomalie nelle fasi di conclusione degli accordi. Rispetto alla partecipazione a gare indette da aziende private per la vendita di beni/servizi può essere d’ausilio, a titolo meramente esemplificativo, la previsione - nell’ambito di una procedura interna che disciplini il processo di formazione dell’offerta - della formalizzazione delle analisi preliminari di fattibilità sviluppate per la verifica del possesso, da parte della Società, dei requisiti richiesti, nonché di un monitoraggio strutturato (con relativo reporting interno aziendale che evidenzi eventuali elementi di attenzione quali, ad es., possibili ricorsi presentati da concorrenti) delle fasi evolutive del procedimento. Vanno altresì strutturate e codificate le politiche commerciali aziendali, con particolare riguardo alle forme di agevolazione e di scontistica rivolte alla clientela, nonché accuratamente definite le previsioni contrattuali volte a disciplinare le condizioni ed i tempi di pagamento. Si ritiene altresì che il corretto funzionamento del controllo di gestione possa contribuire proficuamente al rafforzamento del sistema di presidio e monitoraggio aziendale. Inoltre, richiamando i principi cardine riconducibili all’adozione ed effettiva implementazione di un “Modello 231”, merita altresì di essere menzionata l’attività di formazione e di sensibilizzazione del personale rispetto ai valori dell’etica e sulle norme comportamentali da osservarsi nelle attività a rischio gestite, nonché dell’attuazione di un adeguato sistema sanzionatorio a fronte di comportamenti in violazione con le regole di condotta sancite a livello aziendale. In ogni caso, è verosimile ritenere che se una Società è già dotata di un consolidato sistema di controlli preventivi diretti a mitigare il rischio della commissione del reato di corruzione nei confronti della Pubblica Amministrazione, ragionevolmente dispone già di idonei strumenti di presidio eventualmente da rafforzare o estendere ad altri ambiti - per contrastare il pericolo della realizzazione del reato di corruzione tra privati. Ai fini di una compiuta trattazione dell’argomento, appare doveroso richiamare taluni processi aziendali che, pur non rientrando strettamente nell’alveo delle politiche commerciali delle imprese, supportano il processo di vendita e si presentano funzionali a eventuali azioni preparatorie alla realizzazione di fattispecie corruttive (per una disamina dei processi strumentali si rinvia allo specifico paragrafo del documento). In tale contesto, merita particolare attenzione l’area della gestione delle posizioni creditorie e delle connesse iniziative di recupero, specie laddove queste ultime siano ricondotte (sulla base di specifiche scelte aziendali) alla funzione preposta alle vendite in ottica commerciale, in relazione a ipotesi di stralci di credito (parziali o totali, a fronte ad esempio di disservizi fittizi) funzionali alla creazione di 109 Chiara separazione delle responsabilità nella gestione del rapporto negoziale con il cliente e nella stipula dell’accordo, nella definizione del prezzo di offerta e delle condizioni/tempi di pagamento, nel riconoscimento di trattamenti favorevoli, nella gestione delle posizioni creditorie, nell’accertamento dei disservizi e applicazione delle penali, nella definizione di possibili accordi transattivi per contestazioni, etc. 99 “provvista” da impiegarsi per successive attività corruttive o al riconoscimento di un’utilità al soggetto corrotto. Alcuni esempi possono aiutare a chiarire meglio i concetti che precedono. Esempio (stralcio di credito per creazione di provvista) Un esponente aziendale, nell’ambito di un contratto in essere con il cliente, in accordo con quest’ultimo potrebbe operare uno stralcio di un credito vantato (ed esigibile) verso lo stesso, giustificando artatamente l’operazione sulla base di inadempienze fittizie nella fornitura di beni/servizi ed ottenendo dal cliente compiacente la retrocessione di una parte del valore economico dello stesso, finalizzata ad alimentare una disponibilità finanziaria al di fuori della contabilità aziendale. Tale operazione determinerebbe inizialmente un danno economico per la società che ha contabilizzato lo stralcio del credito, ma porrebbe nel contempo le basi, nell’ambito di un “disegno criminoso” unitario, per il conseguimento di un beneficio futuro (di entità superiore rispetto al minor credito incassato) correlato all’effettivo impiego - ad esempio al fine di ampliare illecitamente il business aziendale - della disponibilità finanziaria generata per finalità corruttive (pubbliche o private); in tale momento, pertanto, l’evento illecito acquisirebbe piena rilevanza ai fini 231. Inoltre, laddove l’ente (cliente) in cui ha operato il soggetto “accondiscendente” (eventualmente motivato dal conseguimento di obiettivi incentivanti, ovvero destinatario di una quota della medesima “provvista”) si configuri tra i soggetti cui è applicabile la fattispecie di corruzione tra privati, si potrebbe altresì ipotizzare detto reato anche rispetto al solo esempio che precede (sia in termini di condotta attiva, con i relativi risvolti 231, che di condotta passiva), alla luce del nocumento provocato alla Società cliente, sotto il profilo dell’immagine e reputazionale, qualora il caso divenisse di dominio pubblico (è ragionevole presumere che il danno subito al riguardo dall’azienda cliente superi il vantaggio economico conseguito originariamente a seguito dello stralcio del credito). Esempio (stralcio di un credito per riconoscimento di un’utilità al soggetto corrotto) Un esponente aziendale, nell’ambito di un contratto in essere con una Società cliente, potrebbe utilizzare impropriamente le leve sul credito - es.: omettendo o dilazionando volutamente i solleciti al pagamento; evitando di passare la pratica al legale per il recupero; pervenendo ad accordi transattivi di favore sulla specifica posizione espositoria; etc.), per consentire all’esponente della società cliente il conseguimento di propri obiettivi aziendali (ad es. legati alla gestione finanziaria, al contenimento dei costi, etc.) ai fini dell’ottenimento di bonus, richiedendo in cambio favori sotto il profilo commerciale (rinnovo di contratti quadro in scadenza a condizioni più vantaggiose di quelle dei concorrenti; sottoscrizione di contratti aggiuntivi per prestazioni accessorie appositamente “confezionate” e di scarso valore per il cliente; etc.). E’ appena il caso di precisare che, nell’esempio sopra riportato, l’ipotesi corruttiva in ambito privato presuppone che il danno cagionato alla società cliente (es. per i nuovi impegni assunti a condizioni più onerose di quelle di mercato) superi l’iniziale beneficio di cui la stessa ha usufruito in relazione alla distorta gestione dei crediti vantati nei suoi confronti dalla società fornitrice. Tenuto presente quanto sopra, nell’ottica di un efficace presidio dei rischi in esame si ribadisce la centralità dell’attenta segregazione dei ruoli, privilegiando soluzioni tese ad evitare che la gestione delle posizioni creditorie rientri nelle “leve” delle funzioni commerciali, ovvero adottando - qualora quest’ultima sia una scelta strategica aziendale - opportune iniziative di bilanciamento (es. divieto di gestire accordi transattivi in autonomia da parte della funzione vendite; livelli autorizzativi 100 differenziati per la conclusione di nuovi contratti a fronte di determinate soglie di crediti scaduti esistenti verso il medesimo cliente; etc.). Le considerazioni espresse in relazione alla gestione del credito, sotto il profilo delle possibili modalità di realizzazione del reato di corruzione tra privati, possono essere sostanzialmente estese anche alle ulteriori fasi di supporto, successive al processo di vendita e riconducibili alla gestione contrattuale, quali i casi di applicazione di penali e di transazioni remissive, in relazione a contestazioni del cliente. Difatti, un esponente aziendale potrebbe porre in essere atti corruttivi nei confronti del responsabile di riferimento dell’azienda cliente per fargli accettare - a fronte, ad esempio, di inadempienze effettive rispetto agli accordi contrattuali, ovvero di reali disservizi causati dalla propria Società (opportunamente occultati dal soggetto corrotto) - accordi transattivi particolarmente vantaggiosi (minor danno) per la Società stessa (ovvero evitare l’applicazione di onerose penali), a discapito dell’azienda in cui opera il soggetto corrotto. In analogia a quanto già osservato in tema di crediti, l’ambito della gestione delle penali e delle transazioni remissive, per i suoi profili di maggiore discrezionalità, può costituire, in via strumentale, un “terreno fertile” per la costituzione di una provvista da impiegarsi in successive attività corruttive, sempre mediante il meccanismo della retrocessione “in nero” di una parte del pagamento effettuato al cliente stesso a titolo di penale o transazione. Al riguardo, si evidenzia che l’implementazione in ambito aziendale di un valido sistema di monitoraggio sulla qualità e sulla corretta esecuzione delle prestazioni rese ai clienti costituisce un presidio di base per poter intercettare e, soprattutto, prevenire (nella prospettiva più auspicabile), eventuali anomalie e/o illeciti in materia, fermo restando il principio di una netta separazione dei ruoli tra funzione commerciale e struttura deputata e riscontrare detti aspetti. Tali misure cautelative devono essere associate, in un contesto organizzativo complessivamente orientato alla prevenzione di ogni possibile modalità corruttiva, ad un attento e puntuale sistema di tracciabilità dei flussi finanziari - tramite una disciplina interna da compendiarsi in una procedura o linee guida di riferimento - allo scopo di contenere i rischi derivanti sia da indebiti utilizzi di disponibilità finanziarie aziendali (contabilizzate), sia dalla creazione di provviste extra-contabili. Nel delineato contesto, si può osservare come il processo di adeguamento delle aziende a quanto previsto dalla legge n. 262/05 - da valutarsi quale “sotto-sistema” pienamente organico agli obiettivi di presidio richiesti dal Decreto 231 - se ben progettato ed implementato, rappresenta un elemento in grado di contribuire ad un innalzamento dei livelli di “difesa” e di controllo aziendale sui processi amministrativo-contabili e finanziari. Merita, infine, particolare attenzione un ulteriore ambito di operatività aziendale – quello degli strumenti finanziari derivati – che, in epoca più recente, è stato frequentemente preso in considerazione dalla magistratura e dalla dottrina di riferimento, per la sua potenziale rilevanza ai fini del Decreto 231, non solamente ai fini delle “False Comunicazioni Sociali”, come prevalentemente avveniva in passato, ma anche rispetto al suo possibile utilizzo ai fini corruttivi, considerata la grandezza dei valori economici spesso “in gioco”. La tematica degli strumenti finanziari derivati va inquadrata sotto una duplice visuale (che ai fini di una visione organica, viene trattata globalmente in questa sezione): da un lato va infatti considerata l’attività di vendita di tali strumenti che riguarda un ristretto ambito di “enti”, essendo propriamente riconducibile alle strategie commerciali di Banche d’Affari ed Istituti di Credito, dall’altra l’attività di acquisto di derivati che può invece interessare, indistintamente, tutte le aziende che devono 101 effettuare operazioni di copertura (in questa sede, non consideriamo quindi i derivati acquisiti con finalità di “trading”) rispetto a rischi finanziari connessi al proprio business (rischio tasso, cambio, controparte, ecc). Sotto il profilo dell’attività di vendita, a livello teorico, un esponente di una Banca di Affari, nell’ambito del perseguimento di obiettivi di budget, al fine di indurre una Società cliente alla sottoscrizione di un contratto derivato, ovvero di una pluralità di contratti derivati - estranei alle esigenze di copertura della Società cliente (ossia speculativi) ovvero di ammontare superiore alle effettive esigenze di copertura di questa - potrebbe “riconoscere” denaro o altra utilità all’esponente aziendale munito di poteri su tale ambito gestionale. Tale ipotetica condotta risulta rilevante ai fini “231” per la Banca, in quanto idonea a generare un vantaggio economico (vantaggio individuabile nell’incremento del volume dei contratti sottoscritti, nonché nella possibile presenza in tali contratti, a livello esplicito o implicito, di commissioni favorevoli alla Banca medesima) ed un corrispondente danno per la società cliente. Logica conseguenza di quanto sopra osservato è che il processo di acquisto di strumenti derivati costituisce un punto di attenzione per tutte le aziende (abitualmente classificato tra i “rischi operativi”) in relazione al reato di corruzione tra privati – seppur non nell’ottica strettamente “231” – in relazione a possibili condotte passiva dei propri esponenti aziendali. Va tuttavia osservato che l’acquisto di strumenti derivati espone oggettivamente le aziende anche a rischi in ambito 231, in ragione del loro possibile utilizzo, a livello strumentale, per la creazione di “fondi neri”. Questa possibilità può manifestarsi, ad esempio, nei casi in cui tali contratti prevedano, al momento della loro sottoscrizione, anticipi di cassa (liquidità) a favore della Società cliente da parte della Banca. Tale liquidità – in assenza di un puntuale sistema di monitoraggio e controllo aziendale - potrebbe infatti essere registrata in contabilità solo parzialmente da parte dalla Società cliente e la parte non contabilizzata essere quindi utilizzata per alimentare “fondi neri” da utilizzarsi per successive attività corruttive (detta condotta potrebbe essere agevolata laddove i contratti siano negoziati fuori dai mercati borsistici regolamentati). Un’ulteriore modalità di acquisto di derivati ai fini della creazione di una provvista strumentale per future attività corruttive ricalca il meccanismo già delineato relativamente alla tematica dei crediti, ossia mediante la retrocessione da parte della Banca di una quota del valore dell’utilità generata per quest’ultima dalla sottoscrizione dei contratti. Al fine di mitigare i rischi connessi alla possibile commissione delle condotte sopra descritte nella gestione contrattuale degli strumenti finanziari derivati, va opportunamente raccomandata per le imprese, oltre all’adozione di un Codice Etico aziendale e di un Codice di comportamento Fornitori e Partner, la strutturazione di specifici presidi organizzativi quali la più volte citata segregazione dei ruoli, la stratificazione dei poteri di firma in relazione alla tipologia delle operazioni gestite, nonché la predisposizione di chiare Linee Guida per la Gestione della Finanza Aziendale; elementi, questi, orientati nel loro complesso a costruire un solido reticolo per gli scopi di prevenzione rispetto agli illeciti considerati. Dott.ssa Daniela Graziani Manager for "Ethics Governance Function" within Internal Auditing Department at Poste Italiane 102 B) Il processo degli acquisti Il Processo degli Acquisti generalmente è articolato nelle seguenti fasi: Pianificazione fabbisogni e definizione del Programma d’Acquisto; Pianificazione del budget; Emissione della Richiesta di Acquisto; Scelta della fonte d’acquisto e contrattualizzazione; Gestione operativa del contratto/ordine (esecuzione prestazioni/consegna beni); Rilascio benestare, contabilizzazione e pagamento fatture. Questo processo può costituire una delle modalità strumentali attraverso la quale potrebbe essere commesso il reato di corruzione ovvero il concorso in reato di induzione indebita a promettere o dare utilità110. Il rischio di commettere tale reato aumenta con una gestione non corretta e non trasparente del processo di acquisizione di beni/prodotti. Lo svolgimento di tutte le attività riguardanti il Processo degli Acquisti devono essere svolte con la massima correttezza nelle relazioni commerciali con i fornitori, nelle fasi di gestione interna ed in conformità con il Codice Etico e con il Modello Organizzativo 231. Tale Processo deve essere sottoposto a costante monitoraggio attraverso procedure, anche informatizzate, che, di fatto, minimizzano, quando non eliminano, il rischio di corruzione. I rapporti con i fornitori dovranno essere disciplinati sempre da criteri oggettivi e nelle relazioni, che le risorse intratterranno con i fornitori, dovranno essere promossi sempre i principi di legalità, trasparenza, correttezza e lealtà. Naturalmente, nelle relazioni con i fornitori, devono essere separati tutti gli interessi personali da quelli della società, questo anche in aggiunta a quanto espressamente previsto da un eventuale Policy sul “Conflitto di interessi”. Deve essere posto particolare divieto a: - richiedere, accettare, offrire o garantire, direttamente o indirettamente, un vantaggio personale connesso con la negoziazione, aggiudicazione e esecuzione di un contratto di fornitura; - accettare dai fornitori atti di cortesia commerciale, quali omaggi nelle occasioni natalizie o forme di ospitalità, se non di modesto valore; 110 L’art. 319-quater c.p., rubricato “Induzione indebita a dare o promettere utilità” recita: “1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da tre a otto anni. 2. Nei casi previsti dal primo comma, chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni.” (Articolo aggiunto dall’art. 1, comma 75, lett. i), L. 6 novembre 2012, n. 190) 103 - violare la riservatezza delle informazioni in proprio possesso ottenute dai fornitori, utilizzando le informazioni riservate ottenute dai fornitori per scopi non connessi con l'esercizio della propria attività; - utilizzare eventuali informazioni confidenziali dei fornitori allo scopo di acquisire vantaggi competitivi ed a farne utilizzo in chiave opportunistica allo scopo di massimizzare l’esito delle trattative a proprio favore o a favore di un concorrente; - fornire agli altri offerenti le informazioni riguardanti l’identità di un offerente o il contenuto della sua offerta. Gli elementi su cui un Sistema di Controllo interno dovrebbe basarsi sono essenzialmente tre: a) Separazione formalizzata dei ruoli degli attori coinvolti L’adeguata separazione dei compiti è un aspetto importante da considerare nel determinare se le attività di controllo di un’azienda sono efficaci nel conseguire gli obiettivi del controllo interno. Il concetto alla base delle separazioni dei compiti è che nessun dipendente o gruppo di dipendenti dovrebbe essere in una posizione tale da poter commettere e, contemporaneamente, nascondere errori o frodi nel normale svolgimento dei propri compiti. b) Tracciabilità degli atti Deve essere garantita la tracciabilità degli atti e delle singole fasi del processo, con specifico riferimento all’annullamento di documenti che abbiano già originato un pagamento. Per quanto riguarda gli incassi devono essere applicati i seguenti presidi: modalità di incasso accentrato principalmente a mezzo banca; riscontri periodici tra i dati contabili e le risultanze dei clienti e dei terzi. E’ responsabilità dell’area Amministrazione Finanza e Controllo, in collaborazione con altre funzioni aziendali, curare l’efficacia e la sicurezza dei sistemi informatici aziendali nei termini sopra descritti. In ogni caso, devono essere rispettati i principi di trasparenza e tracciabilità dell’operazione, la quale può essere oggetto di uno specifico controllo da parte dell’Organismo di Vigilanza. c) Valutazione complessiva delle forniture La selezione del Fornitore è un punto cruciale del Processo degli Acquisti, in questa fase si dovrà svolgere una valutazione complessiva dei fornitori per le tipologie di acquisto individuate. Per verificare la congruenza delle fonti di rifornimento rispetto agli obiettivi dell’impresa è perciò necessario disporre di sistemi informativi che permettano di selezionare e monitorare con sistematicità e oggettività il parco fornitori. Un sistema di “Vendor Rating111”, oltre a contenere la valutazione e il monitoraggio delle performance relative alle prestazioni degli appaltatori nonché della affidabilità dei prodotti acquistati, dovrà essere integrato con altre informazioni riguardanti l’integrità del fornitore verso atti corruttivi. Qualora il 111 Con il sistema di Vendor Rating si esegue, nei confronti delle imprese, una rilevazione obiettiva e sistematica di informazioni relative sia ai comportamenti tenuti durante l'espletamento dell'iter di approvvigionamento, sia agli aspetti di qualità e puntualità delle prestazioni eseguite. A ciascun fornitore, che opera in un gruppo merce sottoposto a Vendor Rating, sono assegnati un Indice di Vendor Rating complessivo e diversi indici parziali relativi alle categorie fondamentali (Puntualità, Qualità, Sicurezza e Correttezza durante l'espletamento dell'iter di approvvigionamento). 104 fornitore non sia stato classificato come affidabile dovranno essere valutate delle alternative di acquisto attraverso il confronto competitivo di offerte tecnico/economiche di altri fornitori qualificati. Per maggiore garanzia i fornitori dovranno stipulare contratti scritti prima di svolgere qualunque attività a favore o per conto della società e dovranno essere pagati solo in conformità con le condizioni contrattuali. Saranno incluse, in tali contratti scritti con i fornitori, delle disposizioni che richiedano, tra le altre cose, di rispettare le leggi anticorruzione e di porre in essere e mantenere per tutta la durata del contratto propri strumenti normativi per assicurare la compliance con le leggi anticorruzione (i contratti già in essere dovranno essere completati, con un’apposita lettera di integrazione, firmata dal fornitore, con tali disposizioni). Inoltre dovrà essere eseguito un esame approfondito dei contratti in essere in sede di acquisizione, al fine di verificare che non siano stati ottenuti tramite il pagamento di tangenti. In ultimo occorrerebbe mettere in atto dei meccanismi di verifica e di riscontro nei confronti del fornitore per aspetti di anticorruzione tramite “due diligence112” mirate, utilizzando Data Room Virtuali e/o Fisiche. Nello svolgimento della “due diligence” si ricorre solitamente all’applicazione di check list, nelle quali vengono segmentate le aree di indagine, le ispezioni da compiere, i documenti che saranno esaminati, le ricerche presso i pubblici uffici e le perizie di esperti esterni che saranno richieste. Un’impresa dovrebbe considerare l’attività di due diligence una priorità: è molto importante, quindi, istituire le procedure atte a garantire il rispetto delle politiche anticorruzione da parte di terzi, gestire i costi di due diligence e utilizzare i risultati ottenuti per acquisire un vantaggio competitivo. L’esame delle parti terze varia da servizi di screening di base fino alle più complesse due diligence investigative. Per le aziende è fondamentale, quindi, tutelarsi da ogni possibile rischio effettuando due diligence reputazionali, al fine di valutare l’integrità, l’affidabilità professionale e il giudizio attuale e passato di manager e professionisti, intermediari, agenti e terze parti correlate. Dott. Fabio Massimo Remoli Direzione Compliance – SOX 404 Telecom Italia S.p.A. 112 La “due diligence” è un procedimento diretto ad accertare e valutare lo stato di “salute” di una controparte, non solo con riferimento alla solidità economica, finanziaria e patrimoniale ma anche in relazione all’avvenuta osservanza e rispetto delle leggi vigenti anche con riferimento agli amministratori della stessa. 105 C) Assunzioni Per qualsiasi tipo di azienda e indipendentemente dal settore merceologico di appartenenza, le risorse umane costituiscono un asset fondamentale, a prescindere anche dal livello di automazione dei cicli produttivi. La gestione delle risorse umane è quindi una variabile strategica attorno alla quale ruotano molti fattori di successo per l’impresa e per questo il management è chiamato ad un costante impegno per garantire la migliore gestione possibile del personale. Tale processo presenta tendenzialmente un ciclo di vita di medio lungo periodo, al contrario di altri che si esauriscono in periodi stringenti e all’interno di un esercizio (si pensi alla gestione dell’omaggistica piuttosto che al processo delle vendite ecc.). Di fatti il rapporto che lega una risorsa ad un’organizzazione può durare anche un’intera vita professionale. Ne consegue che pur essendo diverse le fasi del processo di gestione delle risorse umane che presentano aspetti delicati, la fase di selezione delle risorse costituisce un momento tanto strategico quanto sensibile rispetto ai rischi connessi per il fatto che la scelta di una risorsa impegna un’azienda per un periodo che può essere estremamente lungo. È evidente che tra le varie tipologie di rischio che possono insistere nella fase di selezione del personale, occorre certamente prestare attenzione a quello associato ad un fenomeno di corruzione tra privati. Si pensi banalmente alle pressioni che possono essere avanzate verso il responsabile delle risorse umane, o verso altro soggetto che all’interno di un’organizzazione sia referente per la selezione del personale, per “caldeggiare” determinati profili. Oltre al coinvolgimento dei singoli nella commisione del reato, tale fattispecie facilmente si può prestare a costituire interesse e vantaggio per gli enti di rispettiva appartenenza sia dal punto di vista del corrotto che del corruttore. Non volendo essere questa la sede per enucleare le potenziali modalità di commisione del reato, qui basta solamente segnalare che nel processo di gestione delle risorse umane e, in particolare nella fase di selezione ed assunzione, il fenomeno della corruzione tra privati potrebbe agevolmente trovare ragion d’essere. Possiamo affermare che tendenzialmente i sistemi di controllo delle aziende riservano grande attenzione al processo di gestione delle risorse umane e soprattutto alle fasi di selezione ed assunzione del personale. Questo non è solo l’effetto prodotto dall’introduzione di modelli organizzativi rispondenti alle finalità di cui al D.Lgs 231/01. Di certo anche al di là della prevenzione di fenomeni corruttivi o altre tipologie di rischio legati a comportamenti fraudolenti, le caratteristische di strategicità legate al valore delle risorse umane, impongono al mangement di prestare la massima cura e dedizione nel selezionare le risorse che si andranno ad integrare all’interno nell’organico, anche indipendentemente dal tipo di rapporto di lavoro che legherà il dipendente all’azienda (tempo determinato, indeterminato ecc.). 106 Come detto l’intero processo presenta diverse fasi potenzialmente esposte a rischi di varia natura il cui impatto non è trascurabile e che per questo necessitano di opportuni presidi. Ne consegue che il sistema di controllo interno che insiste sul processo di gestione delle risorse umane dovrebbe presentarsi, almeno a livello di disegno, sufficientemente strutturato. Questo a tutela di diverse tipologie di rischio, tra cui anche quella connessa a fenomeni corruttivi. Tale sistema di controllo interno, che come sappiamo si compone di diversi elementi, vede a nostro avviso nell’elemento “ambiente interno”, il primo fondamentale pilastro di mitigazione del rischio in un processo ad alto valore strategico come quello in esame113. Per questo su tale tipologia di processo l’elemento “ambiente interno” è quello sul quale investire maggiormente. Questo significa che le aziende devono introdurre e rispettare politiche aziendali volte a selezionare ed assumere il personale maggiormente qualificato e capace, in maniera equa e trasparente. I principi di selezione (previsti comunemente all’interno dei Codice Etici) dovrebbero essere definiti al fine di garantire una valutazione basata prevalentemente su elementi oggettivi. In particolare la ricerca delle candidature e la valutazione e selezione del personale dovrebbero effettuarsi in base alle effettive esigenze della struttura definite a seguito di un trasparente processo di pianificazione, alla corrispondenza con le figure professionali ricercate e alle specifiche competenze richieste nel rispetto delle pari opportunità per tutti i candidati. Tutti i soggetti/funzioni in qualche misura coinvolti nel processo di selezione del personale, nei limiti delle informazioni disponibili e nel rispetto delle disposizioni della contrattazione collettiva, dovrebbero adottare misure idonee al fine di evitare favoritismi, nepotismi o forme di clientelarismo. Tutte le informazioni richieste in sede di selezione dovrebbero essere strettamente collegate alla verifica del profilo professionale ricercato nel più completo rispetto della sfera privata del candidato e delle sue opinioni personali. Nell’iter di selezione dovrebbero trovare spazio, a garanzia del principio di separazione dei ruoli, diversi livelli di colloquio a seconda del profilo da ricoprire. Sulla base delle politiche appena enucleate, vediamo in estrema sintesi e, necessariamente a livello macro, il processo di gestione delle risorse umane e i principali set di controlli che dovrebbero trovare spazio all’interno di tale processo. Ovviamente la mappatura di processo che qui segue non può che rappresentare una linea guida. Ogni azienda deve settare il proprio processo e il relativo sistema di controlli interno in funzione delle proprie variabili strategiche (modello di business, dimensione aziendale, settore di appartenenza, budget disponibili ecc.). input obiettivi strategici: - Piano industriale Processo di gestione delle risorse umane Valutazione richiesta risorse e individuazione profilo Selezione ed assunzione delle risorse Gestione risorse valutazione Sviluppo carriera - fabbisogno quali/quantitativo risorse 113 L’ERM – enterprise risk management – emesso dal CoSo (Committe of Sponsoring Organizations of the Treadway Commission) individua nell’ambiente di controllo le fondamenta di tutti gli altri componenti dell’ERM perchè fornisce disciplina e struttura. Esso esercita un’influenza profonda sul modo in cui le strategie e gli obiettivi sono stabiliti, le attività sono strutturate e i rischi sono identificati, valutati e gestiti. I fattori che influenzano l’ambiente interno sono: la filosofia della gestione del rischio, il livello di rischio accettabile, la supervisione del consiglio di amministrazione, l’integrità, i valori etici e la competenza del personale e i modi in cui il management delega i poteri e le responsabilità e forma le risorse umane. 107 Partendo da obiettivi strategici definiti (piano industriale, valutazione di fabbisogni quali/quantitativi, dimensionamento operativo ecc.) si passa ad una fase di individuazione dei profili da inserire all’ìnterno del’organizzazione (con una eventuale preventiva richiesta da parte delle strutture interessate al completamento dell’organico). La fase successiva prevede la selezione e l’assunzione della risorsa. Seguono poi le fasi di gestione delle risorse sia dal punto di vista amministrativo che dal punto di vista dei profili di carriera (job rotation, formazione, avanzamenti, incentivi, ecc.). Tralasciando ora queste fasi successive, che riguardano la gestione di una risorsa già inserita all’interno dell’azienda, e per le quali possono comunque immaginarsi fenomeni corruttivi, concentriamoci ora sulle fasi che sono antecedenti all’inserimento della risorsa all’interno dell’organico. Relativamente alla fase di valutazione della richiesta della risorsa da parte delle aree aziendali competenti e all’ individuazione del profilo questo è il set di controlli che è utile prevedere Processo per la gestione delle risorse umane Valutazione richiesta risorse e individuazione profilo Selezione ed assunzione delle risorse Gestione risorse valutazione Sviluppo carriera formalizzazione della richiesta di assunzione motivata da parte della funzione richiedente; individuazione dei criteri di valutazione della richiesta (come ad esempio la verifica della coerenza della richiesta con il piano assunzioni annuale, oppure l’analisi del fabbisogno di risorse della struttura richiedente); modalità di gestione della mobilità interna; ipotesi di assunzioni al di fuori dei piani strategici (con la previsione di specifici flussi informativi all’alta direzione e agli organi di controllo – vedi ODV) al fine di garantirne il carattere di eccezionalità/urgenza; definizione ex ante del profilo richiesto e dei criteri di valutazione dei candidati. definizione ex ante dei criteri per l’individuazione dei candidati esterni (Commissione interna, Società di Head Hunting, Agenzia di Lavoro interinale ecc.); Relativamente alla fase di selezione e assunzione del personale: Processo per la gestione delle risorse umane Valutazione richiesta risorse e individuazione profilo Selezione ed assunzione delle risorse Gestione risorse valutazione Sviluppo carriera la fissazione dei criteri e delle modalità di ricezione/registrazione dei currucula e della documentazione attestante le esperienze curriculari del candidato; 108 la costituzione di una commissione valutatrice (interna, esterna, mista), competente a seconda del tipo di profilo da esaminare; l’analisi delle candidature sulla base del profilo e dei criteri di valutazione definiti ex ante (valutazione competenze/motivazione); il coinvolgimento della funzione richiedente in merito alla definizione del profilo da selezionare nonché in merito al proprio gradimento circa la rosa dei candidati selezionati; fissazione delle modalità di scelta della risorsa da parte degli organi competenti per le posizioni di vertice; formalizzazione del contratto di assunzione previa verifica di congruità del profilo con l'inquadramento ed il Budget prefissato; verifica dell’esistenza di eventuali conflitti d'interesse interni o esterni all’Istituto; verifica dell’esistenza di rapporti pregressi del candidato con la PA ovvero di rapporti di parentela del candidato con dipendenti PA con cui l’ente si relaziona; verifica della completezza e della correttezza della documentazione; formalizzazione criteri di raccolta ed archiviazione dei documenti. Dott. Stefano Tezzon Responsabile servizio organizzazione e sistemi informativi ICS (Istituto per il Credito Sportivo) 109 D) Il ruolo del sistema informativo Il ruolo dell’IT è duplice: il sistema informativo supporta sia i Processi di Business sia i processi di Controllo. In questa ottica, può essere utile seguire il seguente metodo: 1. Identificare i processi “critici” dell’IT, ovvero tutti quelli correlati ai processi IT a supporto delle attività sensibili sopra individuate; 2. Identificare i layer IT critici correlati alle applicazioni rilevanti; 3. Identificare i controlli a presidio dei rischi sottesi ai controlli (contromisure e presidi); 4. Identificare i controlli chiave da sottoporre a testing in funzione della combinazione dei punti precedentemente citati. Metodologie Standard Per il processo metodologico sopra indicato le aziende fanno riferimento a diversi standards e framework che sempre più stanno evolvendo e convergendo. I framework COSO114 per la governance dei rischi e COBIT115 per la governance IT, descritti in Appendice 1, sono i riferimenti riconosciuti ed utilizzati a livello mondiale per il controllo dei processi negli obiettivi di business di una organizzazione. Questi framework, inoltre, sono pienamente conformi al nuovo standard ISO 15504, riconosciuto anche dalla Comunità Europea, che consente di dimostrare quanto un processo è fatto bene e, quindi, quale è a priori la sua probabilità di successo (capability). Il COSO ed il COBIT coprono tutti i processi aziendali per l’IT, in maniera più o meno dettagliata. Dal modello generale si passa ai processi da esaminare, estraendo quanto di interesse. Nel COBIT le pratiche sono dettagliate in attività, che documentano come si fa, quando, chi ne è responsabile, gli input e gli output, etc. In tal modo il COBIT consente agli specialisti di progettare, testare, monitorare e dimostrare preventivamente l’efficacia delle attività, cosa fondamentale in generale e particolarmente in ambito 231/01, soprattutto per quanto riguarda il consolidamento del modello organizzativo. Un approccio che integra COBIT® e COSO risulta particolarmente interessante; al riguardo l’ITGI (IT Governance Institute) ha predisposto una mappatura dettagliata tra i processi IT del COBIT e le componenti COSO a partire dagli Entity Level Controls e dagli Application Level Controls. Fermo restando il principio che non è possibile identificare un approccio “valido” in ogni circostanza e per ogni azienda, ed essendo necessario che ognuno realizzi un proprio modello di obiettivi di 114 Il Committee Sponsoring Organizations of the Treadway Commission (COSO) ha pubblicato l’Enterprise Risk Management (ERM) – Integrated Framework con l’obiettivo di fornire un supporto alle aziende, che contiene alcune sezioni dell’Internal Control-Integrated Framework e lo incorpora integralmente come riferimento. 115 Il Control Objectives for Information and related Technology (COBIT) è un modello (framework) per la gestione della Information and Communication Technology (ICT) creato nel 1992 dall'associazione americana degli auditor dei sistemi informativi (Information Systems Audit and Control Association - ISACA), e dal IT Governance Institute (ITGI). 110 controllo che tenga conto delle proprie specifiche caratteristiche, l’ITGI suggerisce dei punti di analisi adottabili a livello di azienda (Entity Level Controls) che si focalizzano sui seguenti ambiti: Piani strategici IT: relativamente ai meccanismi di predisposizione, comunicazione e monitoraggio; Processi IT, Organizzazioni e relazioni: a livello di corretta assegnazione e segregazione di ruoli e responsabilità; Gestione delle risorse umane IT, con riferimento alla cultura aziendale e al codice etico; Formazione e training degli utenti; Comunicazione chiara e tempestiva delle direttive dell’Alta Direzione da impartire al management, in modo da assicurare il perseguimento degli obiettivi aziendali; Valutazione attraverso un adeguato risk assessment e gestione dei rischi IT; Gestione della qualità; Monitoraggio e valutazione delle performance; Monitoraggio e valutazione del controllo interno. Assessment dei Rischi IT per il reato corruzione tra privati A partire dall’analisi dei processi critici correlati al reato, si deve anzitutto identificare l’ambiente tecnologico e le applicazioni che supportano quei processi esposti al reato di corruzione e gestiscono i dati di business collegati. Per le applicazioni IT è sempre utile definire la mappatura applicativa di riferimento (c.d. Application Matrix) che andrà a contenere perlomeno le informazioni di: Processo di business di riferimento; Sotto-processo di business di riferimento; Nome dell’applicazione; Operating & Network systems; Piattaforma IT di riferimento (OS, DB, Linguaggio di programmazione, etc.); Referente applicativo IT; Modalità di implementazione (acquistato, personalizzato, sviluppato in house, ecc …). Possono concorrere a ridurre o ad ampliare il perimetro di valutazione dei controlli generali IT altri aspetti, quali: Volume delle attività, complessità, ed omogeneità delle transazioni; Peculiarità e specificità del processo di business supportato dall’applicazione; Presenza di interfacce applicative; Ulteriori fattori di rischio individuati attraverso altri processi o funzioni aziendali (ad es. Enterprise Risk Management, Internal Audit, External Audit, ecc…); Storia degli errori; Presenza di terze parti; 111 Cambiamenti significativi occorsi (ad es. acquisizioni, cambi di sistema, migrazioni ecc.). In sintesi, il metodo che può essere utile seguire per l’assessment dei rischi IT a fini del reato di corruzione 231/01 è il seguente: 1. Identificare i processi “critici che espongono al reato, ovvero tutti quelli correlati ad obiettivi di controllo rilevanti ed estrarne le applicazioni IT rilevanti; 2. Identificare i layer IT critici correlati alle applicazioni IT rilevanti; 3. Estrarre da COBIT i controlli/attività IT da applicare ai layer e applicazioni identificate; 4. Selezionare i controlli/attività chiave da sottoporre a testing in funzione della combinazione dei punti precedentemente citati. La determinazione di quali controlli/attività generali sono importanti in riferimento all’impatto sui processi critici è una fase altamente variabile a seconda del contesto di riferimento. Verosimilmente i controlli generali IT rilevanti a tal fine saranno, ad esempio, quelli relativi alla: Limitazione dell’accesso a programmi e dati, ovvero quei controlli a livello applicativo e DB che salvaguardano e regolano l’accesso dei diversi utenti a dati e programmi sensibili; Verifica che le modifiche applicative siano autorizzate, correttamente definite, testate e adeguatamente implementate al fine di assicurare l’appropriatezza e la coerenza di funzionamento dei controlli applicativi (automatici e manuali basati su report); Operatività dei Sistemi Applicativi, enfatizzando quei controlli che impattano in maniera significativa sui processi critici. L’assessment del rischio inerente delle applicazioni e delle relative infrastrutture IT (database, sistemi operativi, network ed ambienti fisici) è necessario per determinare la natura e l’estensione dei controlli/attività necessari per mitigare i rischi. È anche necessario comprendere il rischio inerente delle applicazioni e dei relativi sottosistemi per pianificare in modo appropriato il test dell’efficacia operativa di tali controlli. Determinati i processi critici secondo i criteri identificati con la fase 1 (es. manutenzione applicativa, accesso ai programmi e ai dati, operatività dei sistemi) e individuati i layer rilevanti in base a quanto dichiarato all’interno della fase 2 (es. Database, Parametrizzazione e codice sorgente dell’applicazione), occorre assegnare un grado di rischio alla combinazione processo/layer, valutando la probabilità che il rischio si verifichi e l’impatto potenziale ad esso associato. Queste tipologie di attività devono essere separate a livello di struttura organizzativa e devono essere adottati alcuni meccanismi di controllo dedicati. Ad esempio: Autorizzazione delle transazioni: la responsabilità è attribuita agli utenti e devono essere eseguiti controlli periodici per individuare eventuali transazioni non autorizzate; Custodia dei beni: deve essere individuato il proprietario dei dati con responsabilità di stabilire i livelli di autorizzazione per l’accesso ai dati; Accesso ai dati: i controlli sono costituiti da una combinazione di sicurezza fisica ed informatica. In quest’ultimo ambito devono essere applicati gli standard in materia di separazione dei compiti e privilegi minimi; 112 Moduli di autorizzazione per fornire evidenza dell’approvazione dei privilegi di accesso ai dati, che dovrebbero essere riesaminati periodicamente; Tracce di audit: dovrebbero consentire di ricostruire il flusso effettivo di una transazione. Sono considerate un buon controllo compensativo in caso di non completa separazione dei ruoli; Revisioni: può essere utile che alcuni riscontri vengano eseguiti da un gruppo di controllo a conferma della corretta esecuzione di transazioni / funzionalità critiche. Riesame indipendente (audit interno o anche esterno). I Controlli sopra indicati a mitigazione del Reato di Corruzione tra privati sono Controlli comuni a molti rischi e reati; sono Controlli spesso ripetuti e generali, che richiedono un grande supporto dalla Information Technology (IT). Il sistema informativo aziendale con i suoi controlli applicativi consente di automatizzare molti controlli e di facilitare i controlli manuali, eliminando o riducendo le attività manuali, le quali costituiscono in primis una fonte di errori e di vulnerabilità per frodi e reati. Tuttavia, l’esperienza ha dimostrato che un sistema di controllo che deleghi e si affidi esclusivamente all’utilizzo di strumenti informatici, può portare ad un eccessivo e pericoloso senso di sicurezza, e, spesso, risultare eccessivamente ed inutilmente oneroso. A tal fine, i framework COSO e COBIT, precedentemente citati, propongono approcci più articolati e strutturati che prendono in considerazione tutti gli aspetti del problema e propongono soluzioni: Con una corretta distribuzione e bilanciamento dei ruoli e responsabilità; Autorevoli ed ampiamente riconosciute ed adottate da importanti istituzioni internazionali pubbliche e private e governi; Ottimali da un punto di vista di efficacia ed efficienza. Il modello integrato COSO e COBIT In sintesi, la adozione ed applicazione dei framework COSO e COBIT, per l’anticorruzione, può essere esemplificata nel seguente schema: 1 - Impostazione della Governance Definizione principi (linee guida - Indirizzi) per garantire che, a livello Aziendale in modo trasparente e formale, il Risk Appetite e il Risk Tolerance nei confronti dei fenomeni di corruzione siano compresi, articolati e comunicati e che i rischi collegati all'utilizzo dell'IT siano identificati e gestiti. 2 - Pianificazione e Organizzazione Identificazione dei processi critici che espongono l’azienda al rischio anticorruzione Definizione framework di gestione IT: Struttura, ruoli e responsabilità, obiettivi ed indirizzi, ownership dei dati, rispetto regole e procedure 113 Gestione delle Risorse Umane: Identificazione dei ruoli IT critici (per la corruzione) Gestione del rischio (di corruzione) 3 - Analisi ed impostazione delle applicazioni IT Inventario aggiornato applicazioni (in senso lato degli utilizzi degli strumenti informatici) Verifica della copertura della automazione applicativa ai processi critici Analisi preventiva della criticità di ogni applicazione / utilizzo (requisiti di controllo conseguenti) Change management (verifica e controllo dei cambiamenti) Test e accettazione Controllo configurazioni Gestione del ciclo di vita delle informazioni (acquisizione, utilizzo e distruzione) 4 - Esecuzione del Controllo anticorruzione Sicurezza (Access control, Audit trail, etc.) Business Process Control (Segregation of duties, etc.) 5 - Monitoring Controllo e Auditing Ogni punto del precedente schema è associato ad un Processo di Controllo (COBIT 5), che definisce: 1. Obiettivi e risultati attesi (e misurabili) del Processo; 2. Chi è coinvolto nel Processo; 3. Ciclo di vita del Processo; 4. Buone pratiche da adottare, con attività, inputs ed outputs; 5. Ruoli secondo lo schema RACI; 6. Relazione / dipendenza da altri processi; 7. Misura ed attestazione della effettiva capacità del processo di produrre i risultati attesi secondo lo standard ISO 15504. e che costituisce quindi un valido strumento per la realizzazione , il monitoraggio e l’attestazione anche delle misure anticorruzione. In Appendice 1 sono ricordate le caratteristiche del framework COSO e del framework COBIT. In Appendice 2 sono riportate, secondo la terminologia e i tecnicismi propri del framework COBIT 5, le principali aree di intervento per la corruzione tra privati in merito alla responsabilità amministrativa degli enti. 114 Appendice 1 – I framework COSO e COBIT 1. COSO Il framework COSO è lo standard per la gestione dei rischi. Al fine di ottenere un controllo interno efficace, COSO ritiene necessaria la presenza di controlli IT affidabili per le sue cinque componenti: Ambiente di controllo; Risk Assessment; Attività di controllo; Informazione e Comunicazione; Monitoraggio. Queste componenti, ad eccezione della componente “Attività di controllo”, che risulta specificamente orientata ai Controlli Generali e ai Controlli Applicativi, risultano rilevanti a livello di entità. Ambiente di controllo L’ambiente di controllo è il punto di partenza e la base per stabilire un controllo interno efficace e le tematiche affrontate in questa componente si applicano trasversalmente a tutta l’azienda. L’ambiente di controllo è una problematica di tipo aziendale, cioè di tipo entity-level; ormai l’IT ha assunto caratteristiche che richiedono l’attenzione del management sull’allineamento dei sistemi agli obiettivi di business, sui ruoli e sulle responsabilità, sulle politiche, sulle procedure e sulle competenze tecniche. Attività di Controllo La componente Attività di Controllo del Framework COSO sottolinea la rilevanza dei controlli sui Sistemi Informativi della società al fine del raggiungimento degli obiettivi aziendali di business e di conformità a leggi e regolamenti. Definisce due tipologie di controlli ICT, Generali ed Applicativi. La successiva componente del COSO “Informazione e Comunicazione” sottolinea i principi di riservatezza, integrità e disponibilità delle informazioni conservate e prodotte dai Sistemi Informativi. Risk Assessment Il Risk Assessment consiste nell’identificazione da parte del management dei rischi che possono compromettere il raggiungimento degli obiettivi aziendali; insieme ai rischi il management deve identificare anche le relative attività di controllo. È probabile che i rischi in ambito di controllo interno siano diffusi nelle funzioni IT più che nelle altre aree. Il risk assessment può essere effettuato, oltre che a livello di attività (activity-level, per uno specifico processo o business unit), a livello di entità (entity-level, per tutta l’organizzazione nel suo complesso), in modo da cogliere gli aspetti di trasversalità dei rischi rispetto a funzioni e processi (ad es. IT management, Information Security). 115 Informazione e comunicazione COSO recita che le informazioni sono necessarie a tutti i livelli dell’organizzazione per permettere il raggiungimento degli obiettivi di business e garantire il perseguimento degli obiettivi di controllo generali a livello di azienda (entità). Lo sviluppo di Corporate Policy, nonché l’identificazione, la gestione e la comunicazione delle informazioni più rilevanti sono le caratteristiche distintive di questa componente. Monitoraggio Il monitoraggio comprende: a) la supervisione dei controlli interni da parte del management attraverso un processo di assessment periodico; b) l’audit interno. Entity Level Controls Gli Entity Level Control prendono in considerazione la comprensione e la valutazione dell’intero sistema di controllo interno di un’azienda, rispecchiando direttamente l’atteggiamento, la consapevolezza e le azioni del management relativamente alla creazione ed all’esecuzione dei controlli applicati sui processi aziendali. La valutazione di tali controlli si basa sull’analisi di fattori tangibili (quali, policy e procedure) e fattori intangibili (come la cultura e la filosofia aziendale e il modus operandi del management). Oltre ad essere applicabili quindi alle differenti attività di business di un’azienda, questi controlli, agiscono anche sui processi in ambito IT, andando a creare i presupposti dell’operatività di quei controlli più “atomici” quali: · gli IT General Controls, che agiscono al livello di “attività”, · gli Application Controls, specifici degli applicativi di business. I controlli entity-level, dunque, si riflettono nello stile operativo dell’organizzazione e comprendono politiche, procedure e altre prassi di alto livello che definiscono l’ambiente operativo generale in azienda. La presenza di forti controlli IT entity-level, quali politiche ben definite e comunicate, può indicare che ci si trova di fronte ad un ambiente operativo IT affidabile. Analogamente, aziende con controlli IT entity-level deboli sono spesso in difficoltà nello sviluppare un programma di controlli coerente. In sintesi la debolezza o robustezza dei controlli entity-level gioca un ruolo rilevante sulla natura, l’estensione e il timing delle attività di test. 116 2. COBIT 5 Il framework COBIT 5 è uno standard internazionale per la Governance IT. Quindi, nell’ottica del presente documento, ha l’obiettivo di garantire che l’IT svolga il suo ruolo erogando le funzioni di sua competenza (controlli anticorruzione) in modo sicuro, affidabile ed evitando l’introduzione di ulteriori rischi. Il ruolo dell’IT COBIT 5 è allineato e compatibile con il GRC Capability Model (riportato in figura) di OCEG 116 che, per quanto riguarda la lotta alle frodi e corruzione individua i seguenti elementi: IT.13: Fraud & Corruption Detection, Prevention & Management systems assist in the identification, response to, control, and reduction of incidents involving investigation, misuse, theft or misapplication of an organization’s resources and assets by employees and/or third parties. Technology includes tools for data collection, monitoring, mining, and analysis as well as emerging technologies, such as social network analysis, social media sourcing, third party due diligence and statistical modelling. This category of solutions includes software that addresses such issues as anti-corruption/bribery compliance, fraud, and Anti-Money Laundering (AML). GRC Role/Process/Function: Risk Management, Audit, Finance & Treasury, Fraud & Investigations 116 ISACA, che ha sviluppato e mantiene COBIT, è stata key partner dell’iniziativa OCEG ed è parte del OCEG Technology Council. 117 GRC Capability Model Elements: A1 (Identification), P1 (Proactive Actions & Controls), D1 (Detective Actions & Controls), R1 (Responsive Actions & Controls) L’IT può quindi essere responsabile di attività di analisi dei Rischi (Identification) e di erogazione di azioni e controlli (Proactive, Detective e Responsive). Nei quali è possibile il coinvolgimento dell’IT e per i quali quindi l’IT deve quindi garantire l’erogazione secondo le modalità richieste. I Domini della Governance e del Management IT Allo scopo di fornire una visione globale (olistica: come richiesto da OCEG) il COBIT 5 definisce un modello che individua 5 aree (Domini) nei quali collocare i processi di controllo individuati. EDM – Evaluate , Direct and Monitor Recepire e comunicare formalmente la posizione e l’impegno dell’Azienda relativi a questa fattispecie di reati APO – Align, Plan and Organize Pianificare le attività ed assegnare le responsabilità ottimizzando il MEA - Monitor, processo di gestione Evaluate and BAI – Build, Acquire and Assess Implement Garantire che “Costruire” o “acquisire” gli l’insieme dei strumenti di contrasto alla controlli corruzione tra privati anticorruzione DSS – Deliver, Support and Service implementati raggiunga gli I controlli definiti nella fase obiettivi definiti precedente vengono attivati, dalla Direzione garantendo che ciò avvenga secondo i requisiti di sicurezza e affidabilità richiesti 118 Governance Management Questa visione di un’architettura di processi (Framework) costituisce anche una risposta al requisito OCEG, sintetizzato di seguito. Business and IT professionals are inherent contributors to the process of achieving Principled Performance®. The technology functions in every organization support organizational objectives through their alignment with GRC roles and processes (the ‘GRC system’). Technology professionals support the GRC system through the establishment of an information architecture supported by the selection and integration of technology to enable efficient GRC processes across the organization. This is done by developing and implementing: Consistent policies that specify the organization’s GRC requirements and the role of technology in their fulfilment Cohesive information architecture that supports collaboration and sharing of information Integration of GRC technologies to support the information architecture and corresponding GRC processes Accountable decision-making regarding the fulfilment of risk and compliance obligations Clear management objectives for technology support of GRC requirements Measured expectations for GRC-related performance among technology staff Available, accurate and timely risk and compliance information Individual and team responsibility for achieving defined GRC objectives Lo standard COBIT, nella sua recente versione COBIT 5, opera un altro passaggio cruciale, focalizzandosi non sui singoli controlli, ma sui processi di controllo e sulle loro connessioni. Come la nuova versione del framework COSO117, anche la nuova versione del COBIT considera il controllo non più con la logica del SI o NO, ma indica la capability dell’intero processo di controllo, secondo una scala predefinita (definita nello standard ISO 15504) per misurare come le funzionalità di controllo sono state disegnate e vengono eseguite. Tale scala è quindi utilizzabile per verificare o dimostrare l’adeguatezza dei processi di controllo in atto. 117 Il Committee Sponsoring Organizations of the Treadway Commission (COSO) ha pubblicato l’Enterprise Risk Management (ERM) – Integrated Framework con l’obiettivo di fornire un supporto alle aziende, che contiene alcune sezioni dell’Internal Control-Integrated Framework e lo incorpora integralmente come riferimento. 119 Dettaglio dei Processi di Controllo COBIT applicabili nel contrasto alla corruzione tra privati Di seguito sono indicate le principali Aree di intervento (Domini nella terminologia COBIT 5), i relativi Processi e Attività di controllo, con i Rischi connessi. Si è anche ipotizzato l’impegno mediamente richiesto. Le attività indicate non sono esaustive e andranno adattate ed eventualmente integrate, anche in base alle caratteristiche e dimensioni dell’azienda. Le realtà medio / piccole potranno, in generale, concentrarsi principalmente sulle attività relative all’erogazione del controllo e registrazione delle attività, sostituendo le attività di pianificazione e disegno con l’adozione di opportune soluzioni pacchettizzate. Area: Valutazione, Indirizzo e Controllo Dominio COBIT 5 Obiettivo Responsabili Processi Attività Rischi Impegno EDM – Evaluate , Direct and Monitor Recepire e comunicare formalmente la posizione e l’impegno dell’Azienda relativi a questa fattispecie di reati Alta Direzione Aziendale / 1. Valutare la possibilità che l’evento di corruzione si verifichi stimandone impatti e conseguenze sul piano legale, reputazionale ed economico. 2. Definire il livello dei rischi accettabili connessi 3. Fornire precise direttive, tramite la definizione di chiari Principi Aziendali, che: Indichino con chiarezza la posizione dell’Azienda nei confronti di tali reati Diano chiara e trasparente indicazione, all’interno ed all’esterno dell’azienda, relativa all’adozione di misure organizzative e tecniche atte a prevenire ed a reprimere tali reati Indichino che tali misure saranno oggetto di monitoraggio e reporting L’assenza di una strategia, chiara e con una forte dichiarazione di impegno, riduce l’efficacia delle successive misure ed investimenti Contenuto, se si tratta di aggiungere questa fattispecie di reati ad una esistente gestione della conformità al D.lgs. n. 231/01. Altrimenti, l’impegno va stimato caso per caso. 120 Area: Allineamento alle indicazioni della Direzione e conseguente Pianificazione ed Organizzazione Dominio COBIT 5 Obiettivo Responsabili Processi Attività APO – Align, Plan and Organize Pianificare le attività ed assegnare le responsabilità ottimizzando il processo di gestione Responsabili della gestione delle risorse / 1. Tradurre in Policy attuative i Principi definiti dalla Direzione 2. Definire le regole generali (architetture) da adottare per le misure rivolte alla prevenzione e repressione dei reati al fine di garantirne un’applicazione omogenea ed uniforme a tutta la struttura. 3. Individuare ed assegnare le responsabilità specifiche 4. Indentificare i ruoli (Business ed IT, interni ed esterni) critici per la corruzione 5. Definire precise regole per il personale esterno in grado di accedere al sistema applicativo o all’infrastruttura IT 6. Nel caso di outsourcing definire precise condizioni contrattuali relative alla sicurezza ed ai Livelli di Servizio attesi 7. Definire un piano di sensibilizzazione e formazione del personale Rischi La carente pianificazione ed assegnazione delle responsabilità comporta scarsa “qualità” dell’approccio complessivo con rischio di scoperture, duplicazioni di attività, scarso coordinamento e costi eccessivi. Proporzionale alle dimensioni e complessità dell’azienda. Nelle aziende medio piccole l’esigenza di coordinamento potrebbe essere abbastanza contenuta. Impegno Area: Definizione ed Implementazione delle misure anticorruzione Dominio COBIT 5 Obiettivo Responsabili Processi Attività BAI – Build, Acquire and Implement In questa fase vengono “costruiti” od “acquisiti” gli strumenti di contrasto alla corruzione tra privati. Responsabili del business e dei sistemi applicativi e gestionali. / 1. Produrre e mantenere aggiornato, in collaborazione con i responsabili di business, un inventario delle applicazioni esposte al rischio corruzione 2. Identificare, in collaborazione con i responsabili IT, le attività 121 sistemistiche che consentano accessi e/o modifiche improprie ad applicativi o dati. 3. Definire le misure da adottare in termini di: Separazione dei compiti Gestione dei previlegi (personale interno ed esterno) Tracciatura delle attività (Audit trail) sia applicative che degli Amministratori di Sistema 4. Definire le regole atte a garantire che durante le attività di messa in produzione, aggiornamento e modifiche (anche in emergenza) l’integrità del sistema di controllo definito ai punti precedenti venga mantenuta 5. Definire il piano di monitoraggio e reporting periodico Rischi L’attività è “centrale” nel contrasto alla corruzione tra privati; pertanto qualsiasi carenza si riflette direttamente sulla qualità dell’intero processo. Proporzionale alle dimensioni e complessità dell’azienda. In ogni caso questa è l’area nella quale concentrare gli investimenti in qualità e quantità. Impegno Area: Attivazione ed erogazione dei controlli Dominio COBIT 5 Obiettivo Responsabili Processi Attività Rischi DSS – Deliver, Support and Service I controlli definiti nella fase precedente vengono attivati, garantendo che ciò avvenga secondo i requisiti di sicurezza e affidabilità richiesti Responsabili dell’erogazione dei Servizi e Sicurezza IT / 1. Erogazione dei Controlli applicativi avvenga secondo quanto pianificato 2. Erogazione delle funzioni di sicurezza associate relative a: Controllo identità e accessi Gestione ed aggiornamento profili utenza Registrazioni delle attività 3. Segnalazione, registrazione e gestione di eventuali anomalie È evidente che una carente erogazione dei controlli ne riduce inevitabilmente l’efficacia. Va comunque notato che se ciò avviene per i controlli anti corruzione, è molto probabile avvenga anche per tutti gli altri controlli applicativi e che quindi si tratti di un problema più generale 122 e che in tal senso vada affrontato. I controlli applicativi anticorruzione si basano su funzioni di sicurezza (Controllo identità, profilature, registrazione eventi, ecc.) che dovrebbero già essere disponibili, pertanto si dovrebbe trattare soltanto di una loro personalizzazione senza alcuna necessità di introdurre funzioni aggiuntive. Impegno Area: Monitoraggio e Controllo Dominio COBIT 5 Obiettivo Responsabili Processi Attività Rischi Impegno MEA - Monitor, Evaluate and Assess Garantire che l’insieme dei controlli anticorruzione implementati raggiunga gli obiettivi definiti dalla Direzione Responsabili delle funzioni di Controllo e di Audit / 1. Garantire che i Processi di controllo definiti ai punti precedenti vengano erogati con le modalità previste 2. Fornire segnalazione di eventuali scostamenti riscontrati 3. Fornire opportuno Reporting alla Direzione generale Tutti quelli legati ad una mancata verifica e all’impossibilità di provare l’impegno dell’Azienda nel contrasto a questa fattispecie di reato. Parte della normale attività di audit Ing. Carlo Camerata Partner presso Opentech S.r.l. 123