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La commedia dell`innocenza
LA COMMEDIA DELL’INNOCENZA. Una congettura sulla dete... http://www.nimmagazine.it/?q=node/496 Home User login Username: * Password: * Log in Create new account Request new password Search Cerca nel sito: Search rubriche redazione università recensioni always on antroposfera archeomedia architettura e arti didattica e tecnologie letteratura media art media e conflitti media e politica 1 di 3 LA COMMEDIA DELL’INNOCENZA. Una congettura sulla detective story Autore: Guido Vitiello Editore: Luca Sossella Copyright: 2008 ISBN: 978-88-89829-39-4. Pagine: 159 Prezzo: € 15,00 Recensione di Emiliano Ilardi Alzi la mano chi non ha mai letto almeno un giallo di Agatha Christie o Ellery Queen magari “rubandolo” dalla libreria di qualche noiosissima zia a cui siete stati obbligati a far visita, oppure sul treno, aspettando la partenza di un volo, di nascosto sotto un ombrellone come unico possibile rimedio a un afoso pomeriggio estivo. E siate sinceri. Non dite che, se proprio dovete leggere un giallo, allora preferite le arzigogolate, inverosimili e spesso incomprensibili storie di Raymond Chandler (alla faccia del realismo tanto sbandierato dall’autore americano) quando magari invece Philip Marlowe l’avete conosciuto solo con la faccia di Humphrey Bogart. E soprattutto non dite che non vi siete divertiti a giocare al detective, a raccogliere indizi, a risolvere l’enigma, a seguire i ragionamenti di Hercule Poirot o Ellery Queen. A sentire i teorici della puzzle theory il piacere del giallo sta tutto qui: nella stimolazione delle facoltà razionali del lettore, nella sfida intellettuale che quest’ultimo riceve dall’autore. Secondo Guido Vitiello questa <<lettura ludico-illumistica>> non è sufficiente a spiegare lo straordinario successo geografico e temporale del giallo classico a enigma, soprattutto quello del periodo tra le due guerre, la cosiddetta golden age (Agatha Christie, Ellery Queen, S.S. Van Dine, John Dickson Carr). Intanto, se il giallo è semplicemente un gioco 17-06-2008 14:20 LA COMMEDIA DELL’INNOCENZA. Una congettura sulla dete... media phylosophy metrosyne mobile guerrilla musica publicità, marketing e impresa semiosfera social software videoperformance visioni 2 di 3 http://www.nimmagazine.it/?q=node/496 intellettuale, allora perché scorre tanto sangue? Che bisogno c’è dell’omicidio, spesso plurimo? Se il piacere del lettore è puramente razionale è sufficiente dargli in pasto un furto di gioielli, la misteriosa scomparsa di un’opera d’arte o una rapina in banca. <<La complessità del crimine e non la sua natura, dovrebbe soddisfare le esigenze dell’intelletto>>. Insomma, per ideare un enigma non è mica obbligatorio ammazzare qualcuno. E invece nella detective story l’omicidio sembra essere una necessità… antropologica. La tesi di Vitiello è secca (e si apprezzano quei saggi in cui una tesi è espressa così chiaramente e senza troppi distinguo tanto per coprirsi le spalle da eventuali critiche): il giallo è la rifunzionalizzazione in epoca moderna degli antichi riti basati sull’espulsione di un capro espiatorio dalla comunità per riportare la pace e il senso di innocenza tra i suoi membri. Il modello è semplice, ripetitivo ma tremendamente efficace: c’è uno spazio chiuso (una villa, una stazione, un appartamento, un treno), viene commesso un omicidio, l’assassino non può che essere uno dei membri della comunità, un investigatore venuto da fuori si trasforma in una specie di sacerdote, individua il colpevole, lo sacrifica davanti a tutta la comunità, le restituisce l’innocenza, riconsacra lo spazio e poi è costretto ad andarsene perché in qualche modo anche lui si è macchiato di sangue, è infetto. Il giallo dunque svolge una funzione simbolica fondamentale: riduce la complessità del mondo, il male non è frutto di anonime forze sociali, è sempre circoscrivibile, gli si può dare un nome e cognome, ed espellerlo attraverso semplice un rito. Semplice sì ma anche piuttosto brutale e che fa a cazzotti con i principi basilari dello stato moderno di diritto che per definizione deve detenere il monopolio della violenza e al rito sacrificale ha sostituito il processo penale. Ecco perché tale brutalità di fondo secondo Vitiello va nascosta dietro la maschera dell’indagine, di lunghi, raffinati e spesso macchinosi ragionamenti investigativi che convincano il lettore che almeno in quello specifico caso si può fare giustizia senza ricorrere alle lungaggini del tribunale. La confessione finale dell’assassino vinto dall’intelligenza dell’investigatore è un motivo narrativo obbligatorio in quanto scarica la comunità del dubbio di star sacrificando un innocente. L’investigazione trasforma un sacrificio umano in una commedia, La commedia dell’innocenza. La tesi del libro è sicuramente convincente ma è lo stesso autore ad ammettere che funziona solo per la detective story 17-06-2008 14:20 LA COMMEDIA DELL’INNOCENZA. Una congettura sulla dete... http://www.nimmagazine.it/?q=node/496 classica, il giallo all’inglese soprattutto del ventennio tra le due guerre; funziona solo fuori dalla metropoli in quanto unicamente in una comunità spazialmente e socialmente delimitata è possibile un rito di questo tipo; funziona soprattutto in ambito protestante e non è un caso che il tema dell’espulsione violenta del male dalla comunità è uno dei tratti tipici dell’immaginario puritano (e di buona parte dell’immaginario americano). Insomma se Vitiello vede nel giallo della golden age una funzione simbolica e sociale così importante perché questo modello è durato così poco e ha interessato un sottogenere (il giallo all’inglese) di un genere (il poliziesco)? Difficile pensare che un rito così efficace come l’espulsione di un capro espiatorio sia improvvisamente scomparso nel dopoguerra dalle dinamiche sociali. Evidentemente ha trovato nuove forme e nuovi linguaggi. O forse neanche tanto. A guardare la serie televisiva C.S.I. sembrerebbe di trovarsi ancora una volta di fronte al classico <<dramma rituale intorno a un cadavere>> (per di più trasportato nella metropoli). Solo che questa volta il grande sacerdote del rito non è più il detective con le sue facoltà razionali ma la tecnologia con i suoi software. Guido Vitiello è dottore di ricerca in Sociologia della Comunicazione. Collabora con le pagine culturali di Internazionale e del Riformista. Ha scritto "Dall'Lsd alla Realtà Virtuale. L'esperienza mistica nell'epoca della sua riproducibilità tecnica" (Lavieri 2007) e "Una stagione all'inferno. Hans-Jürgen Syberberg e la questione della colpa nel cinema tedesco" (Ipermedium libri 2007). Cura il sito UnPopperUno. recensioni 3 di 3 Commenta ShareThis 17-06-2008 14:20