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Il segno memoria dell`uomo: percorsi della scrittura

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Il segno memoria dell`uomo: percorsi della scrittura
L'origine della scrittura
Le scritture più antiche risalgono soltanto al terzo millennio a.C.
Perché sono occorsi tanti millenni?
Eppure molte società umane erano giunte assai vicino all'invenzione della scrittura, ma si sono poi
fermate a uno stadio precedente l'invenzione dell'alfabeto.
Già nei dipinti e graffiti delle società primitive si individuano così tanti elementi di un sistema di
scrittura da rendere difficoltosa la distinzione fra arte e scrittura.
Secondo gli studiosi a giustificare l'invenzione della scrittura non basterebbe la sola presenza delle
componenti cognitive (il bisogno di comunicare, l'abilità manuale, il pensiero simbolico, e soprattutto il linguaggio).
Fu necessario il contemporaneo verificarsi di condizioni socio-economiche e politiche favorevoli.
Ciò avvenne in Mesopotamia nel 3.200 a. C. e portò alla nascita della scrittura cuneiforme; in
un'epoca grosso modo contemporanea in Egitto si affermava invece un altro tipo di scrittura: la
geroglifica.
Il segno memoria dell’uomo: percorsi della scrittura
1
La scrittura in Mesopotamia
Furono i Sumeri, tra l'odierna zona di Baghdad e la foce del Tigri e dell'Eufrate, a dar vita, intorno al 3200 a.C., alla prima alta
cultura urbana e a inventare la scrittura cuneiforme.
La scrittura cuneiforme fu adottata anche dagli Accadi, popolazioni nomadi semitiche che a partire dal 2600 a.C. spinsero i Sumeri
sempre più a sud. Il processo di accadizzazione terminò intorno al 1900 a.C. circa.
Proprio l'ultimo periodo di grande splendore (il periodo Neosumerico intorno al 2140-2020 a.C.) ci ha lasciato un numero elevatissimo di tavolette cuneiformi in sumerico, raccolte in numerosi archivi di documenti economici, provenienti dalle grandi città
del regno, come ad esempio Ur.
La lingua sumerica e la scrittura cuneiforme sopravvissero anche agli stravolgimenti successivi e allo stanziamento prima degli
Amorriti, popolazioni nomadi che fondarono vari regni, tra cui quello di Babilonia, e poi degli Assiri sul medio Eufrate.
Evoluzione del cuneiforme
I più antichi documenti che contengono esempi di scrittura organizzata risalgono alla fine del IV millennio a.C. (c. 3200-3100
a.C.). Si tratta di tavolette di argilla contenenti documenti economici rinvenute presso l'antica città di Uruk (odierna Warka),
situata nel sud della Mesopotamia (oodierno Iraq), sulle quali sono incise sequenze di pittogrammi (ossia veri e propri disegni che
riproducono un oggetto) incolonnati e ripetuti.
I segni originali avevano già in questo periodo subìto un significativo cambiamento: erano stati ruotati verso sinistra di 90° (vedi
tavola: sub sumerico classico).
La scrittura 'protocuneiforme' delle tavolette di Uruk ebbe un'ulteriore trasformazione nella prima metà del III millennio a.C.,
quando, per evitare 'sbavature' nel tracciare linee curve e per velocizzare la realizzazione del segno, gli scribi preferirono imprimere, con uno stilo a punta, a sezione triangolare, tratti rettilinei a forma di cuneo.
Dal latino 'cuneus' (chiodo) deriva dunque il suo nome la scrittura cuneiforme.
Questo significativo cambiamento e l'adozione sempre più frequente di una scrittura fonetica avviò un lento processo di semplificazione dei segni originari (vedi tavola).
Nel corso di tre millenni essa si diffuse in tutto il Vicino Oriente e fu veicolo della cultura mesopotamica.
Evoluzione del Cuneiforme
Il segno memoria dell’uomo: percorsi della scrittura
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La collezione di
tavolette cuneiformi
L'Università Cattolica possiede un prezioso patrimonio di una settantina di tavolette sumeriche,
giunte tramite donazione da parte di Giustino Boson, professore dal 1935 di filologia semitica e
assiriologia presso questo Ateneo. Facevano parte di un lotto di un migliaio di tavolette reperite
a Parigi che il Boson cercò inutilmente di far acquistare dal governo italiano. Purtroppo ciò non
fu possibile. Boson decise allora di crearsi una piccola collezione privata, acquistando per sé 73
tavolette, che studiò e successivamente donò all'Università Cattolica. Attualmente la collezione
"G. Boson" è in corso di aggiornamento, rielaborazione e studio.
A questo proposito, per dare un esempio della moderna e diversa metodologia nello studio dei
documenti cuneiformi, si confronti con l'originale la trascrizione della tavoletta n° 1 di Boson (A)
e la recente nuova trascrizione (B).
Le tavolette sono databili al periodo della Terza dinastia di Ur (2112-2004 a.C.) e provengono
dagli archivi delle città di Umma (odierna Jokha) e Selluš-Dagan (odierna Drehem), importanti
centri amministrativi situati nell'Iraq meridionale, nei pressi della capitale Ur. I testi sono tutti di
natura economica e riguardano:
z prestito di orzo
z distribuzione di orzo e altre derrate alimentari come salari
z Liste di personale
z pagamento di imposte in natura
z consegne di diverse derrate alimentari a diverso titolo
(farina, latticini, sostanze grasse, birra e simili)
z spedizione di oggetti d'oro dal palazzo reale alla città santa di Nippur.
z provvigioni di viaggio per messaggeri
z comunicazioni di natura commerciale
Il segno memoria dell’uomo: percorsi della scrittura
Le scritture egee
Le scritture egee, ossia le scritture di quelle civiltà sviluppatesi nei territori che si affacciano
sul mare Egeo, coprono un arco di tempo che va dalla seconda metà del III millennio a.C. alla
fine del II millennio a.C.
La civiltà minoica (ossia la civiltà dell'antica Creta) sviluppò tre differenti sistemi di scrittura sillabica: il geroglifico cretese, la Lineare A, e la Lineare B.
Le iscrizioni si trovano su tavolette d'argilla (documenti d'archivio), sigilli, vasi, elementi
architettonici e altri supporti, e la loro stesura nacque dalle necessità concrete legate all'organizzazione del lavoro, alla registrazione di beni, alla contabilità.
Il geroglifico cretese (o minoico), attestato a Creta nel Medio Minoico I e II (20001700/1600 circa), è una scrittura di tipo ideografico, non ancora decifrata.
La Lineare A, scrittura sillabica frammista di ideogrammi, così chiamata per il tracciato lineare e più semplice rispetto al geroglifico cretese e per la sua disposizione orizzontale, è documentata tra il 1700 e il 1450 a.C. a Creta. Conta circa un centinaio di segni, alcuni ideogrammi e un sistema numerico decimale. Si tratta di una lingua non ancora decifrata.
La Lineare B, decifrata nel 1952 dagli inglesi Michael Ventris e John Chadwick, è una scrittura sillabica che semplifica la Lineare A e testimonia una lingua greca molto antica, precedente i tempi di Omero. Essa venne utilizzata tra il 1400 e il 1150 a. C. È testimoniata da
circa seimila tavolette scoperte sia nell'isola di Creta sia nella Grecia continentale, oltre ad
iscrizioni dipinte su vasi. I segni sillabici sono circa 90, ai quali si aggiungono numerosi ideogrammi e un sistema numerico di tipo decimale. All'interno del miceneo sono individuabili i
sillabogrammi o fonogrammi (cioè segni che rappresentano delle sillabe) e gli ideogrammi
(cioè segni che esprimono dei concetti).
Una attenzione particolare merita il disco di Festòs: un disco di argilla scoperto nel 1908 dall'archeologo italiano Luigi Pernier durante gli scavi all'estremità nord-est del palazzo di
Festòs. È scritto, con andamento spiraliforme, su entrambe le facce e per ottenere l'iscrizione
sono stati utilizzati 45 punzoni che corrispondono ai 45 segni differenti presenti sul disco.
I segni sono 242; la scrittura sembra di tipo sillabico e la sua origine è presumibilmente egea.
La natura del testo è incerta, e problematica si è rivelata anche la sua decifrazione.
Tra le scritture dell'area egea si ricorda anche il cipro-minoico, una scrittura sillabica utilizzata nell'isola di Cipro tra la fine del XVI secolo e il 1050 a.C. circa. Dal cipro-minoico è
derivato il sillabario cipriota classico adottato a Cipro tra l'VIII e il VII secolo a.C. e rimasto
in vigore fino al III secolo a.C. Tale sillabario conta 56 segni di cui 5 sono vocali.
Lineare A
Lineare B
Il segno memoria dell’uomo: percorsi della scrittura
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La scrittura in Egitto
In Egitto la scrittura nacque in un'epoca grosso modo contemporanea a quella in cui la scrittura cuneiforme si affermò in
Mesopotamia (circa 3200 a.C.).
La prima scrittura che troviamo in uso è quella geroglifica. Il termine 'geroglifici' , ossia, letteralmente in greco, 'llettere sacre inci se', fu attribuito a questi caratteri da Clemente di Alessandria (II secolo d.C.) il quale, avendoli visti soprattutto su monumenti
di carattere religioso, erroneamente ne enfatizzò questo aspetto: in realtà essi non avevano nulla di sacro e venivano impiegati per
scritti di ogni tipo. Essi furono dapprima pittografici o ideografici (cioè rappresentavano simbolicamente un oggetto o un'idea),
successivamente anche fonetici (cioè rappresentavano un suono della lingua parlata). Potevano essere letti da destra verso sinistra
o dall'alto verso il basso e viceversa, a seconda della direzione dello sguardo degli uomini o animali rappresentati.
Nel tempo la scrittura geroglifica subì delle modificazioni. Intorno al III millennio a.C., attraverso una semplificazione dei segni
originari al fine di una maggiore velocità nello scrivere, comparve la scrittura ieratica (letteralmente 'lingua sacerdotale'), uno sviluppo corsivo della precedente, impiegata per redigere i documenti che riguardavano la vita pubblica e religiosa. Agli inizi si sviluppava su colonne verticali, ma successivamente si passò a una stesura orizzontale, da destra verso sinistra.
La forma demotica (ossia 'scrittura popolare') ebbe origine da un'ulteriore semplificazione della ieratica. Invece di un solo segno
venivano però abbreviati interi gruppi di segni, col risultato quindi di renderla più difficile da leggere rispetto al geroglifico e allo
ieratico. Rimase in uso dal VII secolo a.C. fino alla fine del periodo romano (IV secolo d.C.). Fu la scrittura favorita dagli scribi
'ufficiali'.
Infine, in età romana (III secolo d.C.), si andò formando la scrittura copta. Fu elaborata dagli Egiziani di religione cristiana
(Copti). Essa altro non era che la trascrizione della lingua egiziana in caratteri greci. Al pari della scrittura greca, anche la copta
era una scrittura fonetica, in cui venivano utilizzate le lettere dell'alfabeto greco (comprese le vocali che nella lingua scritta egiziana non esistevano) con l'aggiunta di pochi altri segni derivati dal demotico. Lingua e scrittura copta nel IX secolo d.C. dovettero soccombere di fronte a lingua e scrittura araba. Sopravvivono oggi come espressione ufficiale della Chiesa Copta.
La lingua e la scrittura greca in Egitto
Almeno dal VII secolo a.C. in Egitto furono note anche la lingua e la scrittura greca. Furono introdotte dai soldati mercenari e dai
mercanti. Nel 332 a.C. Alessandro Magno conquistò l'Egitto. Dopo la sua morte il paese divenne un regno indipendente sotto
l'autorità di Tolemeo I e il greco ne divenne la lingua ufficiale, sebbene parlato sempre da una minoranza, ma con un rilevante peso
sociale e politico. Dal III secolo a.C. in poi i papiri testimoniano in Egitto la presenza diffusa della lingua e della scrittura greca
non solo in testi documentari, ma anche letterari.
Quando, a partire dal 30 a.C., l'Egitto divenne provincia romana, il greco rimase la lingua ufficiale così come per tutte le provincie orientali dell'Impero romano.
Nel VII secolo d.C. il paese venne conquistato dagli arabi: a partire dall'VIII secolo l'arabo sostituisce definitivamente il greco.
Esso scompare anche come lingua parlata né si trovano più codici scritti in greco.
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La collezione di Papiri
La collezione di papiri dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (identificati con la
sigla P.Med. = Papyri Mediolanenses) si è costituita, nel Novecento, in periodi diversi: negli anni
Venti, con le donazioni Jacovelli-Vita e Castelli, acquisite tramite Aristide Calderini, e successivamente, per acquisto, per opera di Orsolina Montevecchi.
Si tratta in tutto di circa un migliaio di pezzi, tutti di provenienza egiziana, per la maggior parte
scritti in greco, e in piccola parte in ieratico e copto. Tra i papiri greci se ne contano una quarantina fra biblici, liturgici, letterari e semiletterari, tutti gli altri sono documentari.
In buona parte i papiri sono già stati editi su "Aegyptus", rivista italiana di Egittologia e di
Papirologia fondata nel 1920 da Aristide Calderini. I papiri documentari sono stati ripubblicati
nei vari volumi del Sammelbuch Griechischer Urkunden aus Aegypten.
Alla collezione di papiri si aggiunge altro materiale antico, tutto in lingua greca proveniente
dall'Egitto, e precisamente:
z una piccola collezione di ostraca
z tre tabelle lignee scritte in greco, di cui una liturgica
z circa duecento bolli d'anfora
z sei iscrizioni greche (esposte nell'atrio della Cripta dell'Aula magna)
Il segno memoria dell’uomo: percorsi della scrittura
Le scritture consonantiche
della regione siro-palestinese
L'origine dei sistemi di scrittura consonantica, ossia di quelle scritture che non esprimono le vocali, resta tuttora insoluto.
Abbiamo invece maggiori informazioni su quando e dove avvenne.
Nel II millennio a.C. nella regione siro-palestinese ci furono diversi tentativi di creare sistemi di scrittura locali, solo in parte
influenzati da quelli più antichi mesopotamico e soprattutto egiziano.
Tra le scritture consonantiche semitiche si distinguono la nord-semitica (cui appartengono la scrittura ugaritica e la fenicia, con
quelle da essa derivate) e la sud-semitica (i sistemi grafici 'proto-arabo', nordarabico e sudarabico).
Fra le più antiche scritture nord-semitiche è la scrittura ugaritica: prende il nome dalla città di Ugarit (attuale Ras Šamra, in Siria),
dove fu elaborata intorno al XIV secolo a.C. Comprende una trentina di segni ed è di influenza mesopotamica.
La più nota tra le scritture consonantiche nord-semitiche è però la scrittura fenicia, attestata dal XIII sec. a.C.: comprende 22 segni.
L'ordine dei segni nord-semitico non corrisponde a nessuna logica né fonetica né grafica.
Ha probabilmente un'origine astronomica. Sarebbe cioè una specie di calendario che ricorda le fasi lunari e rappresenta la situazione degli astri attorno al 2000/1600 a.C.
Dalla scrittura fenicia sono derivate sia l'ebraica antica (paleoebraica) sia l'aramaica.
Dalla scrittura aramaica delle cancellerie persiane si sviluppano varie scritture nazionali tra cui la scrittura giudaica (detta 'ebraica
quadrata' per la forma dei segni) e la scrittura siriaca.
Il segno memoria dell’uomo: percorsi della scrittura
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Gli alfabeti greci
Sbarcati sulle coste della Grecia i mercanti Fenici scaricarono dalle loro imbarcazioni qualcosa di più prezioso e duraturo delle pur
pregevoli stoffe tinte di porpora. Secondo lo storico greco Erodoto i Fenici fecero dono ai Greci della mirabile invenzione delle
lettere, prima ignote ai Greci.
Quel che è certo è che gli alfabeti greci nascono da un adattamento della scrittura fenicia. La parentela risulta evidente dalla forma
dei segni, dalla loro successione, dai nomi delle lettere (al fenicio aleph, beth, gimel, delth… corrisponde in greco alpha, beta,
gamma, delta…), dalla direzione della scrittura che, nelle prime iscrizioni, scorreva da destra a sinistra. Merito dei Greci fu aver
introdotto le vocali non espresse nell''alfabeto' fenicio. Le lettere dell'alfabeto erano impiegate anche per esprimere i numeri e, con
modificazioni, anche per indicare le note musicali.
La direzione della scrittura passò da destra a sinistra (come nelle scritture semitiche) a
bustrofedica (ossia, in greco, "che gira come il bue" quando ara un campo: cioè da destra a
sinistra, da sinistra a destra e viceversa), stabilizzandosi infine nella direzione da sinistra a
destra.
È difficile determinare con esattezza dove e quando sia avvenuta l'invenzione dell'alfabeto
greco. Per la localizzazione si sono fatti i nomi di Rodi, Creta, Cipro, o comunque un luogo
di facile incontro tra Oriente e Occidente. Per la datazione è plausibile pensare agli inizi del
IX secolo a.C. quando furono particolarmente intensi i rapporti commerciali e culturali tra i
Greci e i popoli del Mediterraneo orientale. Le più antiche iscrizioni risalgono alla prima
metà dell'VIII secolo a.C.: la più antica iscrizione della Grecia continentale (un testo graffito su una piccola brocca, la 'coppa di Nestore') è databile al 730 a.C.
Con il passare del tempo si produssero degli adattamenti che portarono alla creazione di
diversi alfabeti locali in cui si verificò la tendenza a elaborare i segni originari. Prevalse poi l'alfabeto usato a
Mileto che prevedeva la distinzione tra suoni lunghi e
brevi. Questo alfabeto, detto milesio, venne adottato
ad Atene nel 403 a.C. e, a partire dal IV secolo a.C.,
divenne l'alfabeto d'uso comune in tutta la Grecia.
Con il periodo ellenistico-romano si affermò una
koiné linguistica basata sullo ionico-attico, a cui corrispose una koiné di scrittura epigrafica in cui le
forme delle lettere tesero ad omogeneizzarsi sempre
di più.
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La risoluzione delle scritture
misteriose: i 'decifratori'
I geroglifici egiziani, la scrittura cuneiforme e la lineare cretese non avrebbero mai rivelato i loro segreti senza l'accanita pazienza di alcuni appassionati
e geniali ricercatori. Decifratori di scritture fino a quel momento incomprensibili, questi autentici 'detective' della scrittura hanno permesso all'uomo di
entrare in contatto con civiltà scomparse da millenni. Conosciamo meglio alcuni di questi personaggi:
Champollion e i geroglifici
Jean François Champollion (1790-1832), studioso di lingue orientali, è il fondatore dell'eegittologia moderna. A lui si deve la decifrazione della scrittura geroglifica. Tutto partì dall'attenta osservazione a Parigi di una copia della cosiddetta 'Stele di Rosetta', ossia una spessa pietra in basalto di colore
nero rinvenuta durante la campagna napoleonica in Egitto del 1799, sulla quale è riportato un decreto (196 a.C.) del sovrano Tolemeo V scritto in tre
differenti lingue: geroglifico, demotico e greco.
Dapprima si accorse che i due nomi che comparivano nei cartigli, quelli dei sovrani Tolomeo e Cleopatra, erano presenti anche nel testo greco. Cadeva
quindi l'ipotesi che i geroglifici fossero ideogrammi, cioè esprimessero un concetto. Poi, mettendo a confronto il testo greco con quello geroglifico,
Champollion contò il numero di parole contenute nel testo greco e il numero di geroglifici e notò che questi ultimi quantitativamente superavano i termini greci. Ne nacque l'intuizione che ciascun geroglifico dovesse avere in realtà un valore fonetico, ossia che ogni geroglifico non fosse in realtà la rappresentazione di una immagine, ma quella di un suono alfabetico o sillabico (corrispondente cioè a una singola lettera o a una sillaba).
Fu soltanto il punto di partenza. Con un paziente lavoro di osservazione e di confronto egli giunse ad abbinare ogni lettera o sillaba a un geroglifico.
La decifrazione del cuneiforme
I primi caratteri cuneiformi raggiunsero l'Europa nel 1621. Pietro della Valle si era imbattuto nei pressi di Persepoli in una misteriosa scrittura diffusa
un po' ovunque su monumenti e mattoni e ne fece copia. Iniziava la lunga e tortuosa sfida alla decifrazione della scrittura cuneiforme, la prima scrittura inventata dall'uomo, cui hanno contribuito diversi illustri ricercatori.
Un primo prezioso contributo venne da C. Niebuhr: egli riconobbe, nelle iscrizioni da lui copiate in Persia, tre diversi tipi di scrittura cuneiforme che
corrispondevano a tre diverse lingue: l'aantico persiano, nel quale individuò 42 caratteri "alfabetici", l'eelamita e, il più difficile, composto da un elevato
numero di segni, quello che sarà definito in seguito il babilonese. Successivamente, F. Münter scoprì che il cuneo obliquo nelle iscrizioni persiane aveva
la funzione di separare le parole.
Il tedesco G. F. Grotefend, all'inizio dell'Ottocento giunse a una prima parziale decifrazione del cuneiforme. Riuscì a isolare 15 caratteri alfabetici, di
cui 11 si rivelarono in seguito esatti.
Il 1835 è un anno decisivo per la decifrazione dell'antico persiano: la scoperta a Behistun di un'iscrizione trilingue che conteneva numerosi nomi di persona e un certo numero di toponimi, già in parte noti, consentiva a H.C. Rawlinson di isolare tutti i 42 segni di cui si compone l'aantico persiano e di
completare la decifrazione della prima lingua. Con la decifrazione della prima scrittura, gli studiosi furono in grado di affrontare le altre due iscrizioni.
La seconda scrittura, che verrà definita elamita dal nome della regione in cui era in uso (Elam, a ovest del corso inferiore del Tigri), fu decifrata dall'inglese E. Norris che individuò una scrittura sillabica formata da 111 segni.
La terza colonna dell'iscrizione trilingue annovera circa cinquecento caratteri. Fu E. Hinks a intuire la struttura complessa di questa scrittura. A causa
dell'alto numero di segni non poteva trattarsi di una scrittura alfabetica né tantomeno puramente sillabica, ma nessuno avrebbe mai potuto immaginare che in essa potessero coesistere sistemi diversi, perfettamente integrati in una scrittura che mescola sillabe semplici o complesse (ssillabogrammi) a
logogrammi.
Così, ad esempio, un segno può avere valore fonetico, cioè esprimere un suono, o logografico, cioè esprimere un concetto. Inoltre uno stesso segno può
avere valori fonetici diversi (polifonia) ed è anche possibile che segni diversi abbiano lo stesso suono (omofonia). A complicare ulteriormente le cose,
esiste un'altra categoria di segni, detti determinativi, che, anteposti o posposti a una parola, ne indicano la categoria di appartenenza (sesso, divinità,
toponimi, piante, materiale).
Ventris e la sfida della lineare B
Anche a Creta le scritture, in particolare la cosiddetta Lineare B lanciarono la loro sfida ai decifratori.
La sfida fu raccolta da Michael Ventris e da John Chadwick che, dopo molti anni di ricerca, nel 1952 decifrarono la scrittura come una
forma arcaica di greco.
La decifrazione fu particolarmente difficile e di grande valore scientifico perché ottenuta senza l'aiuto di testi paralleli, come accaduto nel caso dei geroglifici con la stele di Rosetta. La tecnica adottata da Ventris fu il calcolo statistico delle percentuali dei segni. Dopo aver individuato il segno più ricorrente nelle tavolette, lo associò alla lettera più frequente in inglese (ma anche in italiano), la e; passò quindi al segno successivo, e così via. Venne così il
momento di iniziare a leggere alcune parole nelle iscrizioni in Lineare B, a cominciare dai toponimi, primo fra tutti Ko-no-so, ossia Cnosso, la residenza
del mitico re Minosse, e poi altri termini a seguire. Il mistero era ormai svelato.
Il segno memoria dell’uomo: percorsi della scrittura
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I supporti scrittori
dell'antichità
Il papiro
Assai impiegato in Egitto, il papiro veniva preparato tagliando sottili strisce dal midollo fibroso di una canna che cresceva lungo il Nilo: due strati
di strisce, l'uno sovrapposto all'altro ad angolo retto, venivano compressi insieme per formare i fogli, che potevano poi essere incollati insieme in
una lunga fila a formare un rotolo. Chi leggeva lo doveva svolgere gradualmente, usando una mano per tenere la parte che aveva già visto, arrotolandola durante la lettura. Al termine della visione la spirale risultava capovolta e chi avesse voluto leggere nuovamente il testo avrebbe dovuto srotolare di nuovo l'intero volume.
Gli ostraca
Gli ostraca sono cocci di vasi di terracotta raccolti tra i rifiuti e scritti nella parte convessa. Era quindi un materiale scrittorio accessibile a tutti e
perciò molto usato nel mondo antico. Si adoperavano per scritture di ogni genere, ma è particolarmente noto l'uso che se ne faceva in Atene: su di
essi venivano scritti i nomi dei cittadini condannati all'esilio decennale (istituzione chiamata appunto 'ostracismo').
Le tavolette cerate
Vennero impiegate inizialmente in ambito greco, successivamente anche nel mondo romano, per scrivere testi correnti. Ogni tavoletta lignea presentava una faccia perfettamente liscia e l'altra delimitata da una cornice; lo spazio rettangolare compreso all'interno di questa era ricoperto di cera
molto dura sulla quale si scriveva incidendo i segni con uno stilo di metallo appuntito a una estremità. L'altra estremità, piatta, serviva per cancellare eventuali errori.
Le etichette lignee
Servivano a contrassegnare le mummie. Esse recavano il nome, la paternità, la maternità, il luogo di provenienza del defunto, il suo mestiere. Talora
presentavano testi più lunghi. Si trattava per lo più di un surrogato economico dell'iscrizione funebre.
Le monete
Non si tratta propriamente di materiale scrittorio, anche le monete presentano però una parte epigrafica, alla quale è affidato innanzitutto il compito di dichiarare l'aautorità emittente.
Le monete greche la enunciano al genitivo plurale (per es. 'degli Ateniesi'), sottintendendo dunque una parola come 'moneta'. L'uso del genitivo singolare persiste anche sulle monete dei sovrani ellenistici, sulle quali, dopo la morte di Alessandro Magno, l'autorità emittente viene espressa anche
grazie al ritratto.
La monetazione romana repubblicana, oltre all'indicazione 'ROMA', specifica anche il nome dei magistrati addetti all'emissione delle monete. In età
imperiale il Diritto riporta il nome e le cariche ricoperte dall'imperatore, mentre il Rovescio commenta il soggetto raffigurato.
Sulle monete medievali la parte epigrafica può sovrabbondare quella figurata, limitata talora ad una croce. Le scritte possono anche indicare il valore delle monete. L'indicazione dell'anno di emissione è sporadica nel mondo antico. La consuetudine di datare le monete in base al calendario dell'era cristiana si diffonde in Europa solo dal XVI secolo.
I bolli
Firme, sigle, frasi, contrassegni, numeri si trovano frequentemente incisi o graffiti su molti oggetti di uso comune.
Alcune scritte sono relative alla funzione dell'oggetto stesso (pesi, stadere, tessere alimentari, teatrali, sigilli, anelli, anfore ecc.), altre recano il nome
del possessore o frasi (augurali, scherzose, ingiuriose), altre ancora contengono il nome del fabbricante. Ci troviamo in questo caso di fronte ad
un vero e proprio marchio di fabbrica. Il nome del proprietario della cava (figlina) o della fabbrica (officina), garantiva la qualità del prodotto oltre
alla sua provenienza, e consente oggi agli studiosi di comprendere il sistema organizzativo.
Le epigrafi
Le epigrafi sono iscrizioni (iincise, graffite o dipinte) di varia lunghezza e contenuto realizzate su supporti duri (pietra, marmo, bronzo, piombo,
terracotta ecc.), differenti a seconda dell'uso al quale i testi erano destinati e a seconda della durata che si voleva essi avessero nel tempo.
L'uso delle iscrizioni era ampiamente diffuso in molti settori della vita pubblica e privata del mondo antico. In base al loro contenuto si distinguono in funerarie, sacre ed ex-voto (per onorare le divinità o ringraziarle per benefici ricevuti), onorarie (elogi di generali e uomini di stato e iscrizioni imperiali romane), militari (indicazioni sui movimenti delle legioni, la provenienza dei militari).
Le leggi scritte, incise su pietra o bronzo, ed esposte pubblicamente garantivano una oggettività nella loro applicazione. Ai testi epigrafici si faceva
ricorso anche per ragioni propagandistiche e politiche (molti esempi se ne trovano a Pompei) o di comunicazione individuale (ancora a Pompei).
Il segno memoria dell’uomo: percorsi della scrittura
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Le scritture della Scrittura
La Bibbia ebraica è stata tramandata in due lingue: la maggior parte in ebraico e alcune sezioni in
aramaico. Nella Bibbia cristiana, ovvero Primo o Antico Testamento, ci sono libri e aggiunte che
non fanno parte delle scritture ebraiche, ma provengono dal giudaismo di lingua greca, e sono inclusi nella Bibbia detta dei Settanta (dal numero leggendario e simbolico dei traduttori). Alcuni di
questi libri sono stati composti direttamente in greco, altri ci sono pervenuti in greco, ma il testo
originale era in lingua semitica (eebraico o aramaico). Il Siracide (o Ecclesiastico), di cui ci è giunta
interamente solo la versione greca, fu scritto in ebraico: buona parte di tale testo è stata rinvenuta
in una sinagoga del Cairo nel 1896 e nel 1931; altri frammenti sono stati trovati poi a Qumrân
(nel 1955) e a Masada (nel 1964), nel deserto di Giuda.
Fra i teestimoni del testo biblico ebraico/aramaico che ci sono pervenuti, distinguiamo i diretti, cioè
i manoscritti in lingua originale che riproducono parti estese di testo, e gli indiretti, cioè le antiche
versioni (soprattutto in greco, latino, aramaico, siriaco, copto, armeno, georgiano, etiopico, arabo), che ci
danno il testo intero tradotto e le citazioni (ovvero
parti brevi di testo in lingua originale).
I manoscritti della Bibbia ebraica sono per la maggior
parte di epoca medievale (dal IX secolo d.C.). Le
grotte di Qumrân ci hanno restituito manoscritti
biblici databili sin dal II secolo a.C. e il I d.C.
Il segno memoria dell’uomo: percorsi della scrittura
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La scrittura araba
Le prime attestazioni scritte della lingua araba sono iscrizioni in caratteri nabateni e sudarabici risalenti al III secolo
d.C.: il più antico vero e proprio documento è l'eepigrafe funeraria del leggendario re-poeta Imru' l-Qays (3
328 d.C.).
Dopo l'aavvento dell'Islam, nel VII secolo d.C., la lingua araba ha conosciuto un'enorme diffusione e il suo alfabeto si
è imposto anche presso popolazioni che parlavano lingue di ceppo diverso, come il persiano e il turco ottomano, di
modo che i caratteri arabi sono quelli più utilizzati al mondo, subito dopo quelli latini.
Le forme di base di tali caratteri erano in origine solo 18; l'introduzione dei punti diacritici ha generato 28 segni alfa betici differenti, ciascuno dei quali può assumere fino a 4 forme diverse a seconda della posizione che occupa rispetto ad altri caratteri (iniziale, mediana o finale all'interno di una parola, oppure isolata). La scrittura procede da destra
a sinistra e nei testi comuni solitamente non riporta le vocali che non sono lettere, ma segni esterni al corpo della
parola. Ciò rende difficile la lettura a chi non conosca il lessico e la grammatica, tant'è vero che un celebre detto arabo
afferma: "Bisogna che tu capisca per leggere e che tu
legga per capire".
Il divieto di raffigurare esseri animati ha indotto l'arte musulmana a sviluppare motivi ornamentali geo metrici o floreali, ma la scrittura stessa è spesso utilizzata al medesimo scopo dando vita a una mirabile
varietà di stili calligrafici.
Consonanti
Vocali
Il segno memoria dell’uomo: percorsi della scrittura
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Il mistero etrusco
Gli Etruschi furono le prime genti italiche ad adottare l'alfabeto greco. La più antica attestazione,
l'alfabetario di Marsiliana, risale al 700 a.C. Si tratta di una tavoletta d'avorio che reca inciso, sul
contorno, un alfabeto completo: uno strumento scolastico o forse un oggetto votivo.
Gli Etruschi conservarono la serie alfabetica greca completa solo negli alfabetari. Nell'uso adattarono l'alfabeto greco alle caratteristiche della loro lingua, abbandonando alcuni segni considerati
inutili per la fonetica dell'etrusco, quali ad esempio i segni per indicare le consonanti sonore B - D
- G e quello per la vocale O.
A partire dal VI secolo l'alfabeto etrusco si diffuse in tutta l'Etruria propriamente detta, poi a nord
e sud di essa, nell'Etruria campana. L'insegnamento della scrittura era praticato soprattutto presso
i santuari, come Pyrgi o Veii. Ci hanno lasciato oltre 10.000 iscrizioni, per lo più tombali, tracciate con vari alfabeti derivati da quelli greci. Nonostante ciò la loro lingua rimane ancora per molti
versi un mistero.
Il segno memoria dell’uomo: percorsi della scrittura
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Scritture e lingue
dell'Italia antica
Le lingue dell'Italia antica presentano sistemi di scrittura derivanti dall'etrusco, dal greco e, in seguito all'espansionismo romano,
dal latino.
Procedendo da Nord a Sud, tra il Piemonte orientale, la Lombardia, il Canton Ticino meridionale e la Liguria era parlato il lepon zio, attestato da alcune iscrizioni rinvenute nel Verbano Cusio Ossola e nel Comasco. La scrittura è di derivazione etrusca. Il gal lico era parlato in Piemonte, Lombardia ed Emilia.
Nel Tirolo settentrionale, nelle valli delle Dolomiti, a Verona, Padova e Sondrio è documentato, con un alfabeto di derivazione
etrusca, il retico. A parte sono considerate le iscrizioni della Val Camonica, in prevalenza graffiti rupestri, che costituiscono il
camuno. Ben documentato è il venetico con documenti da Padova a Belluno che testimoniano un alfabeto di tipo etrusco con singolare interpunzione sillabica. Tra il VII secolo a.C. e il II a.C. è documentato il falisco con iscrizioni da Civita Castellana e da
Falerii Novi.
Con circa 300 testi, scritti da destra a sinistra, databili tra la fine del VI secolo a.C. e il I secolo a.C., è testimoniato il messapico,
diffuso nella penisola salentina (Lecce, Brindisi, Taranto). L'alfabeto, nei suoi tratti principali, è derivato da quello greco. Il piceno, con alfabeto di derivazione etrusca, è conosciuto nella sua variante settentrionale con un'iscrizione scoperta a Novilara e con
frammenti da Pesaro e Fano e nella sua variante meridionale con testi compresi in una zona tra le antiche regioni del Piceno e del
Sannio.
L'uumbro, realizzato in alfabeto epicorico derivato dall'etrusco e dal latino, è documentato da sette tavole di bronzo trovate nel
1444 a Gubbio, scritte su entrambi i lati e databili intorno alla seconda metà del II secolo a.C. L'oosco è redatto in tre alfabeti
(greco, latino, epicorico derivato dall'etrusco) e copre un vasto territorio che va dall'Abruzzo fino a Messina. In Sicilia sono attestati, con scrittura di tipo greco occidentale, il siculo e l'eelimo
TAVOLA DEGLI ALFABETI (I)
TAVOLA DEGLI ALFABETI (II)
Il segno memoria dell’uomo: percorsi della scrittura
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La scrittura
nel mondo germanico
La scrittura runica
La prima scrittura utilizzata nel mondo germanico è la scrittura runica, di tipo alfabetico e
di uso epigrafico, attestata dalla fine del II o inizio del III secolo d.C. L'alfabeto runico germanico è detto fuþark dalle prime sei lettere che lo compongono; i segni sono 24 e la loro
successione è diversa da quella di tutti gli altri alfabeti.
Quasi certamente questi misteriosi caratteri, le rune, derivano da alfabeti norditalici prelati ni di origine etrusca, passati al mondo germanico nel I secolo a.C. attraverso il Norico (corrispondente all'attuale Austria e parte della Baviera e Boemia), crocevia culturale e commerciale tra Veneti e Germani. La scrittura runica si diffuse poi verso Nord a tutto il mondo germanico seguendo la grande via commerciale dell'ambra, che collegava l'Adriatico con l'attuale
Danimarca.
La somiglianza con l'alfabeto greco arcaico si spiega con il fatto che l'alfabeto greco è stato
il modello per l'alfabeto etrusco; l'identità di alcune lettere con quelle latine è conseguenza
della conquista del Norico da parte di Roma nel 15 a.C.
Nelle iscrizioni runiche si individuano spesso alcuni simboli pre-runici magico-rituali, antichissimi e diffusi in tutto il mondo indoeuropeo. I più frequenti sono la ruota, il cerchio, la
svastica, e rappresentano tutti la potenza irradiante del Sole.
La scrittura gotica
Nel IV secolo nasce presso i Goti l'esigenza di creare un nuovo sistema grafico che
si presti alla stesura di un testo di notevole lunghezza e di facile diffusione.
L'iniziativa è del vescovo Wulfila (311-382), "piccolo lupo", che per consolidare la
fede ariana tra il suo popolo, convertito nel IV secolo, ritenne fondamentale tradurre la Bibbia nella lingua gotica. L'impresa è tanto più ardua in quanto non esisteva
un alfabeto adatto allo scopo. La scrittura runica era troppo legata al culto magicopagano. Gli alfabeti greco e latino rischiavano di eliminare la specificità del gotico e
di portare all'assorbimento della cultura germanica da parte di quella classica.
Wulfila, che conosceva oltre al gotico anche il greco e il latino, non inventò alcun
segno, bensì armonizzò la scrittura onciale greca al sistema fonetico gotico, ricorrendo in sei casi al fuþark e in due all'alfabeto latino. L'alfabeto gotico è costituito
da 25 segni alfabetici più due esclusivamente numerici, disposti quasi nella stessa
sequenza dell'alfabeto greco.
L'alfabeto gotico rimase in uso fino al VI secolo e poi scomparve, non essendo stato
adottato da altre popolazioni germaniche.
A parte il bellissimo Codex Argenteus, un codice in pergamena imbibita di porpora
scritto in inchiostro d'argento, realizzato forse nella Ravenna di Teodorico e contenente la versione gotica dei Vangeli, i codici scritti con l'alfabeto gotico sono quasi
sempre palinsesti del V-VI secolo, redatti in Italia e quindi ostrogotici. Quasi tutti i
manoscritti riportano parti della Bibbia tradotta nella seconda parte del IV secolo da
Wulfila, del quale non è sopravvissuto alcun testo originale ma solo copie di quasi
due secoli più tarde.
Alfabeto gotico
Alfabeto runico
Il segno memoria dell’uomo: percorsi della scrittura
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La scrittura ogamica
In Irlanda, Scozia, Galles e nell'isola di Man è attestata, con circa 350 iscrizioni comprese tra il V
e l'VIII secolo d.C., la scrittura ogamica che deriva il suo nome dal dio Ogme. La scrittura, di tipo
alfabetico, è caratterizzata da incisioni in prevalenza rettilinee che, in molteplici combinazioni, si
dispongono ai lati di una linea centrale.
Il nome di ogni lettera corrisponde a un nome di un vegetale, la scrittura riprende quella latina, i
segni sono 20 di cui cinque vocali e tre gruppi per un totale di quindici consonanti che si distinguono per le combinazioni fra il numero degli intagli (da uno a cinque) e per le quattro possibili
posizioni rispetto allo spigolo della stele che rappresenta il rigo ideale.
Alfabeto ogamico
Il segno memoria dell’uomo: percorsi della scrittura
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La scrittura armena
La fissazione per iscritto della lingua armena ha coinciso con l'evangelizzazione. Secondo la tradizione l'alfabeto armeno fu inventato dal dotto missionario Mesrop, morto nel 441, conoscitore
delle lingue e letterature greca, siriaca e persiana.
Prima dell'alfabeto inventato da Mesrop, la tradizione parla di un precedente, cioè di un ridotto
alfabeto costruito fuori dall'Armenia da un religioso di nome Daniele, all'inizio del secolo V. Da
questo alfabeto sarebbe partito Mesrop, modificandolo notevolmente e aggiungendo altri segni,
fino ad ottenere il sistema che conosciamo. Infatti l'alfabeto armeno mostra in modo evidente un
intervento razionale e pianificato che ha sfruttato al massimo le varianti dei tratti per ottenere 36
segni diversi.
Modellato sull'alfabeto greco, l'alfabeto armeno è rigorosamente fonetico, tendendo alla corrispondenza tra segno e suono. A questi 36 segni ne sono stati aggiunti due in epoca medievale per rendere F ed O aperta.
Alfabeto armeno
Il segno memoria dell’uomo: percorsi della scrittura
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La scrittura glagolitica
e la scrittura cirillica
Alfabeto glagolitico
Alfabeto cirillico
La scrittura glagolitica (in
slavo glagolica, da glagol =
parola, o glagola = disse) si
compone di 40 lettere.
L'alfabeto glagolitico è
molto complicato e singolare: essenzialmente basato
Alfabeto glagolitico
sulla scrittura greca minuscola del secolo IX, sono però
in esso riscontrabili anche elementi copti ed ebraici.
Creatori della scrittura glagolitica sono unanimemente ritenuti i santi Cirillo e Metodio, inviati nell'anno 863 dall'imperatore bizantino Michele III a evangelizzare la Grande
Moravia, il potente Stato slavo governato dal principe
Rostislav. Per questa missione essi portarono con sé il
Vangelo tradotto in slavo-macedone e scritto in glagolitico.
Il glagolitico continuò ad essere utilizzato prevalentemente
per i testi liturgici. Ma poiché secondo un principio stabilito in un concilio del secolo VIII, solo l'ebraico, il greco e il
latino potevano essere usati (in quanto lingue sacre) per fini
liturgici, l'uso liturgico del glagolitico fu permesso solo
nell'880 per autorità papale.
La scrittura glagolitica presto si diffuse in altri paesi slavi,
come la Serbia, la Croazia, la Bulgaria. Il glagolitico venne col
tempo sostituito, presso questi popoli slavi che lo avevano
adottato, dall'alfabeto cirillico, sorto anch'esso nella seconda
metà del secolo IX. Continuò a essere usato nella sola
Croazia e lungo le sponde adriatiche fino a tempi relativamente recenti. In questa regione soprattutto durante i secolo XV-XVI, esso fu utilizzato non solo per i testi di carattere liturgico, ma anche per le opere di contenuto letterario e
religioso.
Nonostante la sua denominazione (kirilica), questo
alfabeto non fu creato da s.
Cirillo, bensì da s. Clemente
di Ochrida, allievo dei santi
Cirillo e Metodio.
Evidente è la sua derivazione
Alfabeto cirillico
dall'alfabeto greco, e più precisamente dalla scrittura maiuscola onciale del secolo IX.
Rispetto all'alfabeto glagolitico presenta una grafia molto
semplice, benché inizialmente si componesse di 43 lettere,
ridotte poi a 30.
A partire dal secolo X la scrittura cirillica cominciò a sosti tuire il glagolitico presso i popoli slavi da cui era stato adottato. In un primo tempo l'alfabeto cirillico s'impose come
scrittura ufficiale della Chiesa slava (sia ortodossa che grecocattolica), diventando poi la scrittura nazionale degli Slavi
ortodossi (Bulgari, Serbi, Russi e Bielorussi) e degli Slavi di
rito greco-cattolico (Ucraini o Ruteni).
I popoli slavi facenti parte della Chiesa cattolica romana
(Polacchi, Cechi, Slovacchi, Sloveni e Croati) adottarono
invece l'alfabeto latino come scrittura nazionale.
L'alfabeto cirillico si diversificò, sulla base delle differenze
fonetiche delle varie lingue. Furono creati segni specifici atti
ad esprimere alcuni suoni propri di una data lingua. Si crearono così diverse scritture (russa, bulgara, serba ed ucraina) che
hanno come base comune il cirillico e che si differenziano per
alcuni (pochissimi) segni o lettere particolari.
Ave Maria, testo in caratteri glagolitici, cirillici e latini
Il segno memoria dell’uomo: percorsi della scrittura
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Le scritture
dell'India e dell'Indocina
La prima forma di scrittura del subcontinente indiano è attestata in qualche migliaio di iscrizioni su sigilli dell'antichissima civiltà
vallinda fiorita nel bacino del fiume Indo nel III e II millennio a.C. Si tratta di una scrittura probabilmente logo-fonetica, che ha
finora resistito ai numerosi tentativi di decifrazione.
Dopo un intervallo di più di un millennio compaiono nel III secolo a.C. le prime attestazioni della scrittura che diverrà la capo stipite di tutte le scritture antiche e moderne dell'India e dell'Indocina: la brahmi. Si tratta di una scrittura alfabetico-sillabica in
cui ogni segno rappresenta una consonante accompagnata dalla vocale implicita 'a'. Tutte le scritture indiane moderne si basano
sullo stesso principio.
La lingua delle prime iscrizioni brahmi è una varietà di pracrito, un dialetto medio-indiano del ceppo indoario della famiglia
indoeuropea il cui esponente più illustre è il sanscrito, la grande lingua classica dell'India antica.
L'origine della brahmi è tuttora controversa: l'ipotesi più diffusa la riconduce a scritture del gruppo semitico settentrionale (feni cio o aramaico) penetrate in India nel V secolo a.C., ma non mancano tentativi di riconnetterla a sviluppi autoctoni della scrittura vallinda. Anche nell'ipotesi di un'origine dal gruppo semitico, si è comunque evoluta in maniera originale, adattando l'originario alfabeto semitico sprovvisto di vocali alle esigenze della rappresentazione delle radici indoeuropee e producendo un alfabeto di
circa cinquanta segni principali, organizzato secondo uno schema rigorosamente fonetico, capace di rappresentare i fonemi del sanscrito in maniera perfettamente adeguata e priva di ambiguità.
Nel corso della sua evoluzione, la brahmi ha dato successivamente origine a due rami
principali. Dal ramo settentrionale derivano tutte le scritture utilizzate per le lin gue antiche e moderne di ceppo indoario dell'India settentrionale: in particolare, la
scrittura devanaga r¹ ("la scrittura cittadina degli dei") utilizzata generalmente per il
sanscrito oltre che per la hindi, la lingua ufficiale dell'Unione Indiana. Dal ramo
meridionale derivano tutte le scritture utilizzate per le lingue antiche e moderne
di ceppo dravidico (non indoeuropeo) dell'India meridionale e per la lingua indoaria di Sri Lanka: in particolare, la scrittura grantha, utilizzata (ormai raramente) per
il sanscrito e soprattutto (in una sua variante) per il tamil, la lingua classica
dell'India dravidica.
Da una variante di devanaga r¹ si è originata anche la scrittura tibetana (introdotta
intorno al VII secolo d.C. per influsso del buddhismo indiano).
Da una variante di grantha deriva invece la scrittura khmer della Cambogia (VI-VII
secolo d.C.), che ha dato origine a sua volta alla scrittura burmese (XII secolo), thai
(XIII secolo) e lao (XIV secolo).
Per effetto della dominazione islamica, un piccolo numero di lingue del subcontinente indiano, tra cui la lingua urdu parlata in Pakistan, fa inoltre uso dell'alfabeto arabo-persiano opportunamente adattato.
Scrittura devanaga r¹
Il segno memoria dell’uomo: percorsi della scrittura
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La scrittura in Cina
Il segno memoria dell’uomo: percorsi della scrittura
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Le scritture
del continente africano
In Africa la maggior parte del sapere (genealogie, cronache, diritto, regole di comportamento,
istruzioni scientifiche e linguistiche) è stato a lungo affidato prevalentemente alla trasmissione
orale. Lo spazio lasciato alla scrittura è rimasto molto esiguo. Si è ricorsi a sistemi grafici con
un'accentuata componente simbolica e pittografica, dai segni divinatori di molte popolazioni, ai
simboli grafici e ai colori usati per decorare corpi e oggetti d'uso.
Accanto a questi antichi sistemi ve ne sono altri, nati in tempi relativamente recenti e come reazione a influssi esterni, quasi tutti sillabici, anche se la loro origine prima è a volte palesemente
pittografica.
Il più noto è quello vai (oltre 200 sillabogrammi) ideato nel 1833 da Momolu Duwalu Bukele.
Scritture alfabetiche sono state invece elaborate per il bassa della Liberia (1920 c.), il somalo (1920
c.), il malinke (1950), il wolof (1961) ecc. Nel Camerun è notevole la scrittura bamum creata dal
sultano Njoya di Fumban nel 1895; questa scrittura prevedeva inizialmente più di 1000 segni pittografici, ridotti poi a 70 attraverso semplificazioni successive.
Quasi tutte queste lingue sono nate con l'obiettivo di costituire una scrittura nazionale, non debi trice a scritture esterne (araba e latina).
Le scritture libica e berbera del Nord Africa e quella etiopica dell'Africa orientale si ricollegano
invece alla famiglia delle scritture consonantiche semitiche; le prime attestazioni risalgono ai primi
secoli della nostra era. Carattere di originalità ha l'alfabeto tifinag dei nomadi Tuaregh, in tempi
passati forse comune ad altri gruppi dell'area libico-algerina.
Il segno memoria dell’uomo: percorsi della scrittura
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La scrittura etiopica
,
(Ge ez)
Il Ge'ez, originariamente la più antica forma di etiopico (lingua semitica dell'Africa orientale) parlata nella zona settentrionale, è divenuta poi la lingua classica dell'Etiopia o Abissinia.
La scrittura usata per il Ge'ez fu consonantica fino alla metà del IV sec., quando fu introdotta l'attuale scrittura sillabica. Ciò avvenne al tempo di Ezana, re di Aksum (il più importante dei regni
etiopici, durato dal I al X sec. d.C.) quando si verificò anche la cristianizzazione del regno. La
direzione, diversamente dalle altre scritture semitiche, è da destra a sinistra.
Il segno memoria dell’uomo: percorsi della scrittura
Le scritture
del continente americano
Le scritture dell'America meridionale
Dalle cronache in lingua spagnola del Cinquecento apprendiamo che le popolazioni sudamericane non possedevano una scrittura vera e propria.
I cronisti riferiscono piuttosto di sistemi mnemotecnici in uso nell'impero incaico (secolo XV-XVI). Tali
sistemi si basavano sull'associazione di un testo imparato a memoria con piccole pietre e semi vegetali di
vario colore.
Il sistema più complesso consisteva nel modellare in argilla, in piccole dimensioni, i pittogrammi di un testo
e applicarli ad un supporto rigido. Ne risulta dunque un testo tridimensionale.
Le scritture dell'America centrale
Diversa era la situazione nell'America centrale. I simboli nelle raffigurazioni murali mostrano chiaramente che
la scrittura era nota in Mesoamerica già fin dal I secolo d.C.
I manoscritti mesoamericani erano eseguiti su vari materiali: carta di fibra vegetale, pelle, tessuto di cotone.
La maggior parte di questi codici mesoamericani andò perduta o fu distrutta durante la Conquista spagnola.
I Maya
Anche i Maya conoscevano la scrittura. Essa era elaborata in due versioni: una monumentale e una nei
manoscritti.
La scrittura monumentale era attuata in glifi incisi ma più spesso scolpiti in rilievo. Ciascun glifo è composto in modo da iscriversi in un rettangolo ad angoli arrotondati; il disegno è molto complesso ed elaborato.
La scrittura maya combinava i vari principi noti della pittografia con quelli della logografia.
Gran parte dei testi Maya sopravvissuti riguarda studi astronomici. A metà Cinquecento il cronista spagnolo
Diego de Landa nella sua Historia de las cosas de Yucatan dà notizia del calendario maya, con i nomi dei mesi e dei
giorni e riporta un 'alfabeto' di almeno 27 segni.
Scritture degli Indiani del Nordamerica
L'unica forma di scrittura conosciuta degli Indiani del Nordamerica prima del contatto con i missionari
Europei nell'Ottocento è quella pittografica. La attestano poche decine di winter counts datati tra il XVIII e
il XX secolo.
I winter counts, ossia racconti d'inverno, sono le cronache pittografiche composte da un membro della tribù,
che ogni nuovo anno sceglieva l'immagine che meglio sintetizzava l'anno appena trascorso, e insieme formulava una breve frase che si riferiva a quell'avvenimento. Le pittografie dei winter counts erano scritte in genere con una disposizione a spirale dall'esterno verso l'interno su pelli di grandi animali (alci o bisonti). Il pittogramma veniva iscritto sul winter count, prolungando di un altro elemento la spirale, mentre la frase veniva memorizzata.
Il segno memoria dell’uomo: percorsi della scrittura
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L'alfabeto latino
e la scrittura in epoca romana
La cultura latina è profondamente debitrice nei confronti di quella etrusca. Probabilmente persino l'alfabeto latino è derivazione diretta da quello etrusco, piuttosto che da quello greco. Il sistema alfabetico latino era composto di 23 fonemi, misti fra vocali e consonanti.
L'espansione dell'impero romano esportò l'alfabeto latino quasi in tutto l'orbe allora conosciuto e
rese la scrittura una pratica corrente.
Alcune iscrizioni romane che risalgono al III-II secolo a.C. permettono di comprendere i caratteri generali della scrittura latina.
La capostipite di tutte le scritture latine è la capitale arcaica che veniva impiegata per iscrizioni di
tipo monumentale. A seconda dello stile impiegato e delle finalità si distinguono:
la capitale quadrata, o epigrafica, così denominata per la regolarità delle proporzioni tra l'altezza
e la larghezza delle lettere. È una scrittura elegante di grandi dimensioni, che di norma veniva eseguita su pietra con scalpello per iscrizioni funebri, onorarie o dedicatorie
la capitale attuaria, meno regolare, veniva usata per iscrizioni di tipo documentario
la capitale corsiva, ancora meno regolare e proporzionata, veniva utilizzata per graffiti e realizzata con strumenti scrittori diversi (pennelli, gesso o carbone, con uno stilo su materia molle, calamo o fusto di canna tagliata) e su supporti più duttili e meno nobili del marmo e della pietra (tessuti, scorza d'albero, legno, terracotta, cera, piombo).
Venne usata in seguito anche su papiro e impiegata come scrittura libraria dal IV secolo d.C.
Il segno memoria dell’uomo: percorsi della scrittura
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La scuola e gli strumenti per
la scrittura nell'antica Roma
Lo scolaro romano, fino al II secolo d.C., doveva apprendere sia il greco sia il latino.
Gli alunni tenevano sulle ginocchia delle tavolette di legno ricoperte di cera sulle quali venivano
tracciate le lettere con lo stilo, un bastoncino appuntito da un capo per incidere le lettere e appiattito dall'altro per cancellare.
Il maestro sedeva in cathedra e insegnava agli studenti gli elementi formanti la lettera, l'ordine e
il senso con cui dovevano essere tracciati i tratti che la compongono (ossia il ductus) e come accostare le lettere l'una all'altra.
Per rendere più rapido il processo della scrittura si insegnava anche la tecnica della stenografia,
ossia la tecnica delle abbreviazioni. Il più famoso sistema stenografico fu ideato da Tirone, un
liberto di Cicerone: le note tironiane.
Per le scritture sui muri gli strumenti impiegati erano il pennello o pezzetti di gesso o carbone.
Il calamo, il fusto di canna tagliato o le penne di volatili (per lo più d'oca) erano invece gli strumenti per scrivere su papiro e pergamena
Il segno memoria dell’uomo: percorsi della scrittura
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La 'rivoluzione': il passaggio
dal rotolo al codice
Fino al III secolo d. C. il libro, nella forma cui siamo abituati, rimase una rarità. Il veicolo comune di trasmissione dei testi era il rotolo, nonostante tutti i suoi svantaggi.
La nuova forma a codice, con i fogli piegati e cuciti assieme a formare quell'oggetto molto simile
al libro moderno, sbaragliò lentamente la concorrenza della vecchia forma a rotolo grazie agli
innumerevoli vantaggi che portava: più pratico, più capace, più facile da consultare anche grazie
alla possibilità di numerare le pagine.
Furono questi vantaggi a orientare verso la forma a codice quei testi che necessitavano di continue letture e facili consultazioni: i testi di Legge e le Sacre Scritture. In generale poi in un solo
libro-codice si poteva copiare il contenuto di diversi rotoli: significava ad esempio che una raccolta di scritti di un autore poteva essere messa sotto una copertina ed essere fruibile e trasportabile in una forma molto più maneggevole.
Dal papiro alla pergamena
Il papiro, che cresceva solo in alcune regioni, fu sostituito da un altro materiale scrittorio: la per gamena, così detta dal regno di Pergamo cui viene tradizionalmente attribuita l'invenzione. Si tratta di pelli d'animale (specialmente montone, pecora e capra) appositamente trattate allo scopo di
produrre una superficie adatta alla scrittura.
Per fabbricare la pergamena il procedimento più usato era questo:
si raschiavano le pelli e le si ripuliva da peli e residui di carne, poi
si immergevano in un bagno di calce. Prima di metterle a seccare su
delle grate le si cospargeva di gesso che assorbiva le tracce di grasso, e infine venivano nuovamente raschiate con una spatola.
Il primo lavoro del copista era quello di lisciare i fogli della pergamena con la lama di un coltello o con una pietra pomice per rimuovere macchie e asperità e ottenere una superficie levigata e leggermente granulosa che assorbisse bene l'inchiostro.
Dai primi secoli dell'era cristiana la pergamena diventò il materiale di uso comune per i libri: fra il II e il IV secolo d. C. il rotolo di
papiro sparì gradualmente per far posto al codice di pergamena,
cioè si adottò un libro essenzialmente simile a quello in uso anche
oggi.
Monasteri e città nell’Europa medioevale
Il segno memoria dell’uomo: percorsi della scrittura
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Le scritture medievali
Per tutto il Medioevo l'arte dello scrivere fu patrimonio quasi esclusivo della Chiesa e venne coltivata nelle scuole annesse alle cattedrali o ai monasteri (sscriptoria).
Nei manoscritti medievali troviamo grande varietà di tipi di scrittura. Sulla base comune della
minuscola corsiva latina si svilupparono le cosiddette scritture nazionali (dal VII all'VIII secolo).
Tutte le scritture minuscole pre-caroline sono state identificate dalla localizzazione geografica o
per l'appartenenza ad un determinato scriptorium.
Le più importanti furono la merovingica in Francia (così detta dalla dinastia dei re Merovingi), la
visigotica in Spagna (dalla popolazione dei Visigoti), la precarolina della Germania, la precaroli na svizzera, ecc.
Nell'Italia centro-settentrionale importanti scriptoria furono quelli annessi alle scuole capitolari di
Ivrea, Novara, Vercelli, Verona e Lucca, e ai monasteri di Bobbio, Novalesa e Nonantola.
Nell'Italia meridionale il centro scrittorio più celebre fu quello di Montecassino, da cui si sviluppò
la scrittura beneventana, così chiamata perché la sua area di diffusione coincise con il territorio
dell'antico ducato di Benevento.
Diversa è la storia delle scritture insulari (irlandese e anglosassone), connessa all'evangelizzazio ne di queste terre.
L'importazione in Inghilterra di codici in scrittura latina si deve alla missione nel VI secolo di qua ranta monaci diretti dal monaco Agostino, poi arcivescovo di Canterbury.
L'Irlanda si convertì al cristianesimo per opera di s. Patrizio, che portò con sé anche testi sacri.
Si distinguono due tipi di scrittura: la maiuscola insulare (o insulare rotonda usata per titoli e per
codici interi, specie di carattere liturgico, che presenta spesso nei titoli un alfabeto simile a quello delle antiche scritture runiche) e la minuscola insulare (o insulare acuta, di uso più comune, di
forme più acute e di tratto corsiveggiante).
Il segno memoria dell’uomo: percorsi della scrittura
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La scrittura carolina
Il risveglio culturale e artistico che accompagnò la formazione del Sacro Romano Impero da parte
di Carlo Magno e che va sotto il nome di 'rinascita carolingia' ebbe grande influenza anche sul versante della scrittura. Il ritorno allo studio degli autori classici ebbe come conseguenza l'imitazione delle antiche forme di scrittura dei codici antichi.
L'incontro tra le maiuscole librarie dei codici antichi e le nuove minuscole corsive nazionali generò
uno stile di scrittura nuovo, particolarmente elegante, chiaro e più facilmente leggibile che cominciò a imporsi negli ultimi decenni del secolo VIII e a partire dal secolo IX si diffuse dalla Francia
alla Germania, alla Spagna, all'Italia e all'Inghilterra.
La nuova scrittura carolina sostituì tutte le minuscole nazionali in uso nei vari paesi europei.
Nata come scrittura libraria, entrò poi anche nell'uso documentario e cancelleresco. Nell'XI secolo fu adottata anche dalla Curia romana.
Tra i principali centri scrittori della carolina si segnalano il monastero di S. Martino di Tours in
Francia, le scuole di Aquisgrana (sede imperiale), Treviri, Colonia e Magonza; i monasteri di Fulda
e Lorsch in Germania, di S. Gallo in Svizzera, le scuole cattedrali di Verona e Vercelli, i monasteri di Bobbio e Nonantola in Italia.
Il segno memoria dell’uomo: percorsi della scrittura
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Il libro e la
nascita delle Università
In un clima di fervido rinnovamento nel XII secolo la cultura si diffonde fuori dagli scriptoria
monastici ed ecclesiastici. L'Europa è un pullulare di Università che trasformano le città in centri
di produzione della cultura ai quali affluiscono studenti di ogni condizione, ecclesiastici e laici.
Nel 1158 ebbe riconoscimento imperiale lo Studio di Bologna; del 1215 sono i primi statuti
dell'Università di Parigi, e poco dopo sorge quella di Oxford.
Si creò il bisogno di moltiplicare i manoscritti per provvedere i testi necessari all'insegnamento e
si allestirono grandi officine librarie dove gli amanuensi copiavano a pagamento. Nei centri universitari i librarii, cioè gli incaricati alla produzione e alla vendita dei libri, si organizzavano in vere
e proprie corporazioni, sotto la sorveglianza delle autorità accademiche e coinvolgendo anche gli
studenti.
Si adottò un nuovo sistema nella produzione del libro universitario manoscritto: quello della
pecia. Esso consisteva nella copia simultanea di fascicoli sciolti (normalmente di 3 o 6 fogli) di
un testo universitario; il risultato era la massima rapidità di trascrizione e una notevole moltipli cazione dell'esemplare copiato.
La pagina scritta
All'interno della pagina del manoscritto per mezzo di una serie di righe tracciate con procedimenti
diversi (a piombo, a matita, a secco o a inchiostro) veniva delimitato un rettangolo, denominato
specchio di scrittura, nel quale era copiato il testo.
Esternamente allo specchio di scrittura restavano i margini più o meno ampi, dove il lettore poteva scrivere le proprie annotazioni (le postille) in maniera non molto diversa da come accade ancora oggi.
Inizialmente l'impaginazione era molto compatta, con parole e lettere molto vicine o addirittura
non divise l'una dall'altra: la cosiddetta scriptio continua. Soltanto in seguito si cominciò a divi dere le parole e introdurre i segni di punteggiatura.
Il testo poteva essere disposto a piena pagina o su due colonne. Potevano essere lasciati spazi vuoti
per le grandi lettere iniziali di capitoli o paragrafi da decorare o miniare in un secondo momento.
Il segno memoria dell’uomo: percorsi della scrittura
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Dalla scrittura gotica
alla scrittura umanistica
L'evoluzione della scrittura carolina portò a una scrittura dai tratti spezzati, dura, angolosa, spesso poco chiara e molto ricca di abbreviazioni. A questo tipo di scrittura fu dato impropriamente
il nome di scrittura gotica, vale a dire, dai tratti barbari.
Fra le scritture genericamente designate col nome di gotica si distinguono:
la Textura: una scrittura calligrafica usata soprattutto nei manoscritti liturgici, dalle lettere grandi e regolari
la Littera bononiensis (propria dei manoscritti universitari bolognesi ma diffusa anche in molti altri
centri italiani): di forma rotonda, regolare ed elegante
la Littera parisiensis (tipica dei manoscritti universitari parigini): di ridotte dimensioni e di esecuzione meno calligrafica e con tratti spezzati
la Littera oxoniensis (dei manoscritti universitari inglesi): simile alla parisiensis ma più serrata e con
tratti meno spezzati
Nel Due-Trecento la minuscola gotica corsiva fu la scrittura di uso comune per i documenti, la
corrispondenza privata, i libri di conti e i registri, ma fu anche impiegata nei codici come scrittuminuscola cancelleresca). Una variante della
ra libraria. Se ne fece grande uso nelle cancellerie (m
cancelleresca fu la minuscola mercantile o mercantesca, cosiddetta dall'impiego fattone dalla nuova
categoria dei mercanti che sapevano leggere e scrivere almeno in volgare.
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L'Umanesimo e la
rivoluzione del canone grafico
Nel Quattrocento la riscoperta dei classici nelle biblioteche dei monasteri e delle cattedrali ad
opera degli umanisti ripropose come canone grafico la scrittura carolina con la quale tali codici
erano stati esemplati tra il IX e il XII secolo. Già Petrarca aveva biasimato i tratti spigolosi, serrati e di difficile comprensione della gotica e ne aveva adottato una forma più rotonda e chiara.
Gli umanisti si applicarono ad imitare le forme della carolina (denominata littera antiqua in contrapposizione alla littera moderna, rappresentata dalla gotica) introducendo e diffondendo una
nuova scrittura, l'uumanistica.
Si individuano nei codici del Quattrocento una umanistica libraria, più calligrafica e dai tratti
regolari, e una umanistica corsiva, di più rapida esecuzione e con alcune legature fra una lettera e
l'altra.
La rivoluzione umanistica nella scrittura continua nella scrittura che usiamo ancora oggi.
La minuscola umanistica libraria è infatti all'origine del carattere tondo impiegato dai primi tipo grafi italiani con l'invenzione della stampa.
L'umanistica corsiva, usata soprattutto per documenti (anche nei brevi pontifici) e carteggi, entrò
anch'essa nell'uso tipografico più tardi, per opera di Aldo Manuzio e diede origine al carattere che
anche oggi chiamiamo corsivo (in francese: italique).
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L'invenzione della stampa
Il passaggio dal manoscritto al libro a stampa rappresenta una svolta di enorme importanza per la trasmissione delle opere scritte. Gli autori non ricorrono più al copista, ma allo
stampatore, che è in grado di fornire rapidamente molteplici copie della stessa opera e a
prezzi decisamente inferiori, favorendo così la diffusione dei testi.
L'invenzione della stampa a caratteri mobili spetta a un orafo tedesco, Giovanni Gutenberg
(1400-1468), che intuì la possibilità di fondere le lettere dell'alfabeto in altrettanti caratteri mobili, da combinare alla rovescia su un piano per ottenere una pagina stampata; in
sostanza, l'idea era di trasformare in un carattere di metallo ciascuna delle lettere di un
manoscritto, superando in tal modo in efficienza, velocità ed economicità (ii caratteri potevano essere combinati e riutilizzati dopo la stampa di ciascuna pagina) anche la stampa a
caratteri fissi. Questo tipo di stampa (silografia o stampa tabellare) venne praticato in
Europa nei secoli XIII e XIV ottenendo però stampe a un solo foglio che riproducevano
immagini sacre, calendari e carte da gioco.
Dopo oltre dieci anni di esperimenti, Gutenberg e i soci Giovanni Fust e Pietro Schoeffer
produssero tra il 1452 e il 1455 le matrici per il primo libro: una Bibbia latina (detta
Bibbia di 42 linee) in caratteri gotici, che si ispiravano alla solenne textura dei manoscritti
medioevali. La Bibbia di Gutenberg, di cui sopravvivono 48 esemplari, venne stampata in
190 copie a Magonza, con l'aiuto di una pressa di legno azionata a mano ottenuta adattando un torchio per vino.
I libri stampati nel Quattrocento vengono chiamati incunabuli, un termine convenzionale
usato per la prima volta nel 1688, dal latino 'iin cuna', cioè libro neonato. Inizialmente gli
incunabuli imitavano i manoscritti non solo nelle scritture adoperate, ma anche nella decorazione, tanto che nella stampa si era soliti lasciare lo spazio per le iniziali che successivamente venivano miniate. Venivano illustrati anche con incisioni in legno (ssilografie). Verso
la fine del Quattrocento apparvero le marche tipografiche, impiegate dagli stampatori
come simbolo della loro azienda e per garantire autenticità e garantirsi da contraffazioni.
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La stampa in Italia:
da Subiaco a Venezia
Negli anni Sessanta del Quattrocento due tipografi tedeschi, Sweynheym e Pannartz, già allievi di
Pietro Schoeffer, il socio di Gutenberg, lasciano Magonza in cerca di fortuna. Portano con sé un
tesoro di inestimabile valore: la conoscenza della tecnica della stampa a caratteri mobili.
Attraversano le Alpi, entrano in Italia e giungono fino a Subiaco, non lontano da Roma. Qui si
fermano e impiantano la prima tipografia di cui si abbia notizia in Italia. È il 1464. Lavorano in
contatto con il monastero benedettino di Santa Scolastica, dalla cui ricca biblioteca possono attingere preziosi manoscritti da stampare.
A Subiaco venne creato un nuovo carattere, il tipo romano, dalle forme più rotonde e regolari
rispetto al carattere gotico impiegato a Magonza per la Bibbia di Gutenberg. Il carattere romano
nasce come imitazione della scrittura umanistica libraria impiegata dagli Umanisti nei codici di
argomento classico.
La prima opera datata impressa dalla tipografia di Subiaco è il De divinis institutionibus di Lattanzio,
stampata nel 1465.
Da Subiaco l'arte della stampa si diffuse rapidamente: dapprima a Roma e successivamente in tutta
Italia. Venezia, dove venne introdotta nel 1469 da un altro tipografo tedesco, Giovanni da Spira,
divenne rapidamente la capitale del libro a stampa in Italia. Qui operò tra la fine del Quattrocento
e i primi anni del Cinquecento il più grande tipografo-editore italiano, Aldo Manuzio il Vecchio
(1449-1515), che si dedicò alla diffusione dei testi greci e dei classici, per i quali ideò un nuovo
e rivoluzionario formato, più piccolo e maneggevole, l'enchiridion, l'antenato dell'odierno libro
tascabile. Per questo nuovo formato ebbe bisogno di un nuovo carattere, il carattere corsivo (aldino, o italique) ideato per lui da Francesco Griffi di Bologna, che si era ispirato alla scrittura umanistica corsiva.
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La stampa a mano in
Europa fino al XIX secolo
A partire dal Cinquecento con la diffusione della stampa la cerchia dei lettori si allarga notevolmente: il mercato del libro si apre anche alla gente comune, oltre che agli studiosi, donne e bambini compresi. Il desiderio di una informazione rapida e regolare porta alla nascita della stampa
periodica.
La stampa si adegua al mutare degli indirizzi culturali e dei movimenti religiosi, Riforma,
Controriforma, Illuminismo, assumendo a seconda del tipo di pubblicazione carattere di solennità
o di grande semplicità e maneggevolezza. Il libro va formalmente definendosi sempre meglio nei
suoi elementi (frontespizio, marca tipografica, paginazione, tabelle, etc.). Nei secoli XVII e XVIII
la figura del tipografo-editore tende a scomparire, e si va affermando la divisione delle diverse
competenze (disegnatore, fonditore, stampatore, editore, libraio). Non si ha alcun sostanziale
progresso nelle tecniche di composizione e di stampa, i nuovi caratteri non nascono da originali
concezioni stilistiche, ma si limitano a imitare e raffinare le creazioni dei secoli precedenti.
Sotto il regno di Francesco I in Francia nasce una vera dinastia di creatori di caratteri: gli Estienne,
che, rifugiatisi a Ginevra, fecero di questa città un importante centro della editoria europea.
Durante tutto il Seicento si va affermando la produzione editoriale dei Paesi Bassi, che offrono
asilo ai tipografi perseguitati dalla Controriforma e dall'Inquisizione: qui si sviluppano le grandi
case Plantin-Moretus e Elzevir che adottano i tondi e i corsivi diffusi dai punzonisti francesi.
In Italia Giambattista Bodoni (1740-1813), incisore e disegnatore di caratteri, impiantò a Parma
una propria tipografia, producendo stampe di gusto neoclassico di grande regolarità, severità e
accuratezza, avendo a sua disposizione un vastissimo assortimento di caratteri (da lui prende il
nome il carattere bodoni).
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I materiali della stampa:
i caratter i mobili e il torchio
I caratteri mobili
Per superare l'antieconomica incisione o fusione di intere pagine, a metà del secolo XV si realizzarono i caratteri mobili (cioè separati l'uno dall'altro e quindi riutilizzabili più e più volte).
Era necessario partire dai punzoni: parallelepipedi di acciaio temprato lunghi circa 45 mm che recavano intagliate in positivo lettere e segni ortografici precedentemente disegnati dal tipografo.
Questi venivano pressati su di una matrice di rame (più tenera) dove la lettera risultava impressa
in incavo. A sua volta la matrice veniva inserita in una forma dove si faceva colare a caldo una lega
di piombo, stagno e antimonio. Il metallo raffreddato (ccarattere) veniva poi staccato dalla forma
dal fonditore.
Con questo procedimento, usando un'unica matrice, si potevano ottenere numerosi caratteri.
Quando la matrice si logorava a causa delle numerose fusioni si poteva velocemente ottenerne un'altra riutilizzando lo stesso punzone.
Nel secolo XV e all'inizio del Cinquecento il tipografo preferisce prepararsi da solo le matrici; solo
più tardi la fusione dei caratteri diventa un vero e proprio mestiere a sé stante e il tipografo tende
ad acquistarli come prodotto finito.
Il torchio
Il torchio era già uno strumento familiare all'epoca di Gutenberg, utilizzato per lo più per usi
domestici o artigianali. Venne adattato all'uso tipografico e utilizzato per secoli senza variazioni
strutturali importanti, ma costantemente migliorato nei suoi elementi.
Nei secoli XV e XVI era costituito da una struttura lignea sostenuta da montanti alti circa due
metri composta da un carrello mobile (che trasportava carta e forma, cioè le pagine composte e
chiuse in un telaio, fino a posizionarli sotto la pressa, in modo da consentire l'inchiostrazione e la
sostituzione di volta in volta del foglio stampato) e dalla pressa vera e propria - detta platina (azionata da una vite a sua volta collegata a una leva) che premeva il foglio di carta inumidito
appoggiato sulla forma inchiostrata.
Azionare il torchio richiedeva un grande sforzo fisico e il lavoro combinato di due validi artigiani.
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FONTeS
I caratteri moderni davvero una novità?
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I materiali della stampa:
l'inchiostro e la carta
L'inchiostro
L'inchiostro 'al carbone' (dal latino encaustum) era già conosciuto in Egitto fin dal IV millennio
avanti Cristo.
Molto diverso dovette però essere l'inchiostro tipografico usato da Gutenberg. Infatti le soluzioni acquose a base di nerofumo fino ad allora usate non potevano essere applicate in modo uniforme sulle superfici metalliche dei caratteri. Si dovette ricorrere ad un inchiostro oleoso, mutuato
probabilmente dal mondo della pittura.
Le notizie storiche intorno all'inchiostro tipografico sono molto scarse, in quanto i tipografi
erano reticenti a diffondere le loro ricette. Possiamo supporre che fosse composto essenzialmente di olio di lino, trementina, e di nerofumo o marcassite.
Per spalmare in modo uniforme l'inchiostro sui caratteri veniva usato un tampone di lana o pelo
di circa 7 centimetri rivestito di pergamena appositamente trattata.
La carta e la sua produzione
L'invenzione della carta, da ritagli di seta ridotti in pasta, fibre di gelso e di bambù, lino o cotone, spetta ai Cinesi nel I secolo d. C. Furono però gli Arabi a diffonderla in Europa nell'XI seco lo attraverso la Penisola Iberica. In Italia il nuovo materiale scrittorio fece la sua comparsa tra il
XII e XIII secolo. Nel XIII secolo a Fabriano erano in funzione già otto cartiere.
La produzione della carta era il risultato di un lungo processo:
punto di partenza furono prevalentemente gli stracci di origine vegetale, che venivano lavati, pressati nei tini e lasciati a fermentare per ottenere l'isolamento della cellulosa; in seguito venivano tri tati e battuti da mulini a vento o ad acqua fino ad ottenere una pasta in cui veniva immersa la
forma (ttelaio di legno su cui erano applicati fili metallici orizzontali e verticali, detti filoni e vergelle). Sulla forma la pasta si depositava in modo uniforme e veniva poi lasciata asciugare. Il foglio
di carta ottenuto veniva in seguito pressato per eliminare l'acqua residua e collato con gelatina
animale o amido.
Per distinguere la propria produzione i cartai utilizzarono la filigrana, un marchio di fabbrica
costituito da un filo metallico piegato secondo disegni particolari e applicato alla forma: la pasta
di carta, colando, risultava meno spessa in corrispondenza del disegno, che risultava così visibile
in controluce.
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La calligrafia
La calligrafia è l'arte che insegna a tracciare la scrittura, cioè a vergare e collegare, in modo regolare ed elegante, le lettere dell'alfabeto. La forma delle lettere dipende dallo strumento con cui vengono tracciate (scalpello, pennello, penna, etc.) e dal materiale usato (pietra, legno, terracotta, papiro, pergamena, carta).
La tecnica scrittoria era molto considerata nel mondo antico, tanto che nelle civiltà orientali era
addirittura riservata soltanto ai sacerdoti. A Roma un editto di Diocleziano fissava il compenso
dovuto ai copisti a seconda che scrivessero in 'scriptura optima' o 'communis'. In seguito al crollo
dell'impero romano fu la Chiesa, fino alla nascita delle università nel XII secolo, a tenere in gran
conto la scrittura per la tradizione dei testi sacri, e fu nelle scuole annesse alle cattedrali e nei monasteri che venne coltivata l'arte dello scrivere.
Durante il XV secolo gli umanisti italiani svilupparono un grande interesse per l'epigrafia romana
che influenzò anche l'estetica della scrittura, attraverso il fiorire di studi di architettura grafica.
A partire dal Cinquecento vennero poi stampati in Italia numerosi trattati di calligrafia che diffusero i dettami dei calligrafi italiani (soprattutto romani) in tutta l'Europa. Unica eccezione i paesi
di lingua tedesca, dove si sviluppò una scuola indipendente che imponeva scritture di tipo gotico.
All'opera dei calligrafi si ispirarono i tipografi del Quattro-Cinquecento per fondere i loro caratteri (A
Aldo Manuzio ad esempio utilizzò i disegni dell'orafo e incisore Francesco Griffo per il suo
corsivo).
La calligrafia ha costituito materia di insegnamento nelle scuole ancora in pieno Novecento: ora il
diffondersi di nuovi strumenti tecnologici ne ha evidentemente ridotto l'importanza, fino quasi a
estinguerla.
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La notazione numerale
Agli inizi della civiltà per rappresentare i numeri ci si serviva di oggetti, corrispondenti alle unità
da numerare: tacche in pezzi di legno, file o mucchietti di pietruzze, nodi in cordicelle, ma soprattutto la mano stessa dell'uomo o le due mani riunite. Quasi ogni società aveva un proprio sistema di numerazione.
L'introduzione dei numeri arabi (o più correttamente indiani, perché furono ideati in India)
nell'Europa occidentale, pur essendo una delle più importanti innovazioni che dobbiamo al
Medioevo, avvenne a prezzo di forti resistenze e opposizioni.
Fu papa Silvestro II (999-1003), che aveva studiato matematica e astronomia in Spagna, a fare da
tramite fra gli Arabi e l'Occidente e a far conoscere il nuovo modo di contare.
Diffidenti si mostrarono al principio soprattutto i mercanti e banchieri, perché a loro dire i nuovi
numeri si prestavano agli inganni e alle falsificazioni. Ci vollero quindi ben due secoli prima che
i numeri arabi venissero adottati. Ciò fu possibile anche grazie agli scritti teorici di alcuni studiosi, fra i quali l'italiano Fibonacci (sec. XII-XIII), autore
del Libro dell'abaco (ossia l'antico pallottoliere, lo strumento
per far di conto), un'opera che insegnò a generazioni di
ragazzi e futuri mercanti e banchieri nozioni rudimentali di
geometria e aritmetica.
La lunga evoluzione della notazione numerale ha fornito gli
elementi base per la nascita dell'informatica.
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La scrittura informatica
applicata alle scienze umanistiche
I protagonisti di questa storia sono due 'pionieri': un gesuita vicentino, padre Roberto Busa, e il
fondatore dell'IBM, Thomas Watson. L'incontro avvenne nel 1949 a New York.
Padre Busa era alle prese con il monumentale lavoro di lemmatizzazione di tutti gli scritti di san
Tommaso: un totale di oltre 10 milioni di parole, che nel 1980 si sarebbe concluso con la pubblicazione dei 56 volumi che compongono l' Index Thomisticus: oltre 20 milioni di righe, quattro
volte quelle dell'Enciclopedia Treccani.
Il matrimonio dell'analisi linguistica con l'informatica ha portato impensabili vantaggi: invece dei
previsti 12 milioni di schede perforate su cui annotare i lemmi si passò a 1800 nastri magnetici
e poi, seguendo l'evoluzione della tecnologia informatica, a soli 20 nastri e infine, nel 1992, alla
prima versione su CD-Rom dell'Opera omnia di san Tommaso, interamente codificata e lemmatizzata.
Padre Roberto Busa
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La scrittura
informatica e digitale
Le origini della scrittura digitale
Soltanto con l'invenzione della stampa a metà Quattrocento comincia la differenziazione tra il
processo della scrittura e quello della riproduzione del testo. Soltanto nell'Ottocento anche chi
scrive comincia a far uso di una macchina. Tuttavia sia la penna sia la macchina da scrivere hanno
una caratteristica comune: agiscono immediatamente sulla carta.
La metamorfosi che conduce alla videoscrittura nasce invece nel momento in cui si dissocia il fun zionamento degli strumenti per scrivere dall'azione immediata sulla carta.
L'altro mutamento avviene quando alla macchina per scrivere elettrica si assegna un porzione di
memoria interna per conservare temporaneamente quantità più o meno ampie di testo: ciò rende
più agevole fare correzioni. Infine alla memoria interna si aggiunge una memoria esterna su sup porto magnetico, una cassetta prima, poi un dischetto.
La svolta definitiva si ha quando si comincia a usare uno schermo per visualizzare la scrittura: la
scrittura diventa allora immateriale e si affida all'onda invisibile degli impulsi elettrici.
Lo schermo sostituisce la carta
La scrittura elettronica permette di avere sotto gli occhi i diversi stati del discorso così come la
mente li crea e di concepire il testo come un oggetto in continua lavorazione, su cui è possibile
intervenire a più riprese e con diversi obiettivi.
Anziché 'frenare' la scrittura, il computer, anzi, la favorisce: chi scrive con carta e penna deve infatti organizzare nella propria mente le frasi, 'risparmiando' sulla scrittura, proprio perché tende a
limitare le correzioni e quindi a inibirsi, a scrivere mentalmente il suo testo, anziché sulla carta. È
dunque sottoposto a un lavorio di astrazione mentale che non sempre consente di affrontare al
meglio i molteplici vincoli che la scrittura in ogni caso pone.
Il testo elettronico non obbliga invece a risparmiare sulla scrittura, consente di oggettivare il
discorso mentale e per questo di svilupparlo meglio, tenendo conto di tutte le esigenze comunicative.
Non c'è allora da stupirsi se per Umberto Eco il computer è addirittura una macchina molto spi rituale, perché permette di scrivere quasi alla velocità del pensiero.
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La scrittura
informatica e digitale
1833
Macchina analitica di Babbage
1939
Entra in funzione il primo calcolatore funzionante con codice binario. L'inventore fu il matematico George Robert
Stibitz, che aveva a disposizione solo lampadine e relè telefonici. Proprio perché il relè, per sua natura, può essere acceso
o spento, il codice che ne derivò fu necessariamente quello
dello "0" e "1
1944
Entra in funzione il calcolatore elettromeccanico "Mark 1".
Costruito nei laboratori della Industrial Business Machines
(I.B.M.), funziona con dei programmi registrati su nastro
perforato. Pesa quasi 5 tonnellate, e le sue 78 sezioni di calcolo sono comandate con più di 3000 relè.
1979
Barnaby scrive l'editore di testo Wordstar
1984
APPLE Commercializza Macintosh che integra interfaccia
grafica e mouse
1985
ALDUS realizza il primo programma di editoria da tavolo,
Page maker permettendo il layout di pagina e la definizione
dei caratteri tipografici sul desktop
1946
il matematico americano John von Neumann teorizzò il funzionamento di un calcolatore tramite programmi immessi
nella memoria centrale, insieme a dati da elaborare. Fino ad
allora, infatti, ogni calcolatore eseguiva solo le istruzioni per
le quali era stato costruito.
1986
Viene distribuito sul mercato "Guide", il primo programma
per la realizzazione di ipertesti studiato per i personal computers. Ideato inizialmente da Peter Brown come progetto di
ricerca presso l'Università del Kent per l'utilizzo su grandi
workstation , venne in seguito commercializzato dalla
"Office Workstations Limited" (OWL).
1956
Appare il primo hard-disk della storia. E' composto da un
pila alta un metro e mezzo contenente una cinquantina di
dischi metallici larghi quasi 62 cm.: questa straordinaria
superficie magnetica (quasi 14 metri quadrati) ha una capacità di ben 5 megabytes, un vero record per quell'epoca.
1994
Viene lanciato sul mercato dall'IBM un software che permette a qualsiasi PC 486 di scrivere sotto dettatura in
tempo reale. Il Personal Dictation System (IPDS) ha però
una precisione del 98%, pari a uno-due errori ogni 106 parole. Sa scrivere in inglese, americano, francese, spagnolo, tedesco e italiano
1963
Un gruppo di ricercatori americani progetta e realizza un
rivoluzionario sistema di posizionamento rapido del cursore sullo schermo: per la sua forma particolare viene chiamato inizialmente "mouse", nome che lo accompagnerà per il
resto della sua esistenza. Tuttavia, non fu introdotto nel
mercato: solamente nel 1981 fece la sua comparsa insieme
ad un computer della Xerox
Vengono sviluppati alcuni dei software più importanti mai
immessi nel mercato. A giugno la IBM mette a punto il
primo "word processor" della storia, mentre un gruppo di
ricercatori americani getta le basi del sistema OCR (riconoscimento automatico dei testi). Fu anche presentata la prima
"tavoletta grafica" capace di inviare al computer i disegni
tracciati sulla sua superficie da una stilo
1998
Nascono i primi dispositivi appositamente concepiti per
fungere da lettori di e-book
2000
Viene presentato da Microsoft il prototipo del Tablet PC.
PC utilizzabile come una vera e propria lavagnetta
2001
Electronic Ink e Philips annunciano l'inchiostro elettronico
2001
Media lab MIT (Massachusset Institute of Technology) e
Xerox Corporation presentano il progetto Gyricon, la carta
elettronica
1964
1972
1974
Viene annunciata la nascita del primo "floppy" disk. Il primo
disco magnetico "flessibile" disponibile sul mercato ha un
diametro di 8 pollici (più di 20 cm!) e può immagazzinare
fino a 120 Kb di dati.
La rivista americana Popular Electronics annuncia il primo
microcomputer venduto in kit: l'ALTAIR 8800
Il segno memoria dell’uomo: percorsi della scrittura
37bis
Scrittura e arte
Dal cubismo e dal futurismo, agli inizi del Novecento, nel clima delle Avanguardie storiche, viene
profondamente messa in discussione la separatezza tra parola e immagine, che s'era imposta con
la vittoria sui pittogrammi e gli ideogrammi conquistata dagli alfabeti. Che ancorano il loro codice non più a un qualche rapporto visivo di "somiglianza" col referente, ma a quello con gli elementi fonici, fondando così un sistema simbolico costitutivamente alieno da valenze iconiche. Di
qui la inevitabile millenaria non coincidenza tra comunicazione scritta e rappresentazione visiva,
tra letteratura e arti figurative, tra poesia e pittura.
Quando si cerca una visualizzazione del significato in rappresentazioni grafiche figurali, nella poesia alessandrina e tardolatina o negli acrostici altomedievali, ciò avviene sempre di fatto all'interno del cosmo verbo-letterario. Come poi in certa poesia barocca e, tra Ottocento e Novecento, in
ambito letterario simbolista, e in molte delle stesse 'parolibere' e 'parole in libertà' futuriste, tuttavia, qui, scavalcate in direzione di vere 'paroleimmagini', di parole che innovativamente si fanno
immagini, come in certe "tavole" di Marinetti, ove lettere e parole trovano la loro "libertà" secondo norme interne all'opera, autonome nei confronti di dipendenze semantiche obbligate e della
medesima simbolicità alfabetica.
In quelle tavole, come nei Calligrammes di Apollinaire, in contatto con cubisti e futuristi, si verifica un radicale rimescolamento di codici: non solo la parola diviene immagine, ma dell'immagine
assume le valenze rappresentative. Si realizzano 'contaminazioni', analogamente praticate in pittura, nell'area cubista, ancora, e futurista, attraverso associazioni e interferenze di parole e immagini, anche col ricorso al collage: in Carrà o Balla come in Picasso e Braque, e poi negli sviluppi dell'arte russa e quindi sovietica degli anni dieci e venti, dagli artisti cubo-futuristi fino a
Majakovskij. Analoghi gli sviluppi, nella diversità, in altre emergenze dell'avanguardia della prima
metà del secolo scorso, in particolare nel Dadaismo e nel Surrealismo, dove Magritte compone nel
1929 una sorta di manifesto teorico-programmatico, intitolato a Les mots set les images, le parole e
le immagini.
È il retroterra delle ricerche, vivacissime, diramate e numerose, che si affollano, anche in Italia, dal
secondo dopoguerra lungo gli anni cinquanta, sessanta e settanta. Con episodi di grande rilevanza, quali la Poesia concreta, la Poesia tecnologia, la Nuova scrittura, e in genere la cosiddetta Poesia visiva,
termine che dovrebbe comprendere tutte le ricerche in questo campo, ma che ha assunto anche un
significato più specifico in rapporto a particolari autori e vicende svoltesi dalla seconda metà degli
anni Sessanta, anche con intenzionalità ideologiche. Poi superate, negli anni settanta, dall'accentuarsi di istanze concettuali, che hanno riportato l'accento sullo spessore analitico, di indagine sul
linguaggio - verbale, vivivo, verboviso - , del resto sempre presente, seppur con peso diverso, in
queste esperienze.
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Scrivere la musica
La scrittura musicale: il tentativo millenario di trasmettere la voce dello Spirito
Ogni forma di scrittura rappresenta una tappa nel cammino della consapevolezza storica da parte dell'uomo e un
tentativo di fissare il ricordo e la memoria di avvenimenti ed episodi.
La musica nata nel contesto delle prime liturgie cristiane, è un'esemplare testimonianza di questo cammino, costellato di momenti significativi anche per l'intera storia della musica.
Gli inni delle prime liturgie, che trovano una formalizzazione nei secoli III e IV, sono la testimonianza di fede delle
prime comunità cristiane, composti da autori che hanno segnato la storia del pensiero ecclesiale e teologico, quali
s. Agostino e s. Ambrogio. La Bibbia è il libro a cui si fa riferimento nella stesura dei testi e le melodie, da cui
nascerà il canto gregoriano, sono semplici, senza accompagnamento strumentale, austere per sottolineare la loro
esclusiva destinazione: l'atto sacro. La trasmissione orale delle melodie non fa perdere l'originalità dei movimenti
musicali degli anonimi compositori: ciò è dovuto anche al fatto che quelle che diverranno le melodie del canto gregoriano si ispirano ad alcuni schemi che vengono ripetuti. L'applicazione di tali schemi ai testi crea dei modelli
musicali, poi definiti come gli "otto toni" gregoriani: una sorta di codificazione modale ante litteram.
E' attorno ai secolii VIII-XI che si inizia a fissare le melodie con neumi in campo aperto: sopra i testi dei canti sacri
per la liturgia vengono posti dei segni per indicare l'andamento dei suoni da eseguirsi e il movimento melismatico. Tali notazioni (oggi identificate come codici di Laon, San gallo, Einsiedeln, Beneventano, ecc.) non servivano
però a definire l'altezza dei suoni: l'assenza di un riferimento lasciava alla libertà dell'esecutore l'applicazione di
quella che con linguaggio moderno chiamiamo "tonalità". Questa prima scrittura musicale è la testimonianza della
diffusione del canto sacro in tutta Europa: l'avvento dell'unità politica e culturale rappresentata dal Sacro Romano
Impero permette la circolazione del canto in tutti i monasteri e nelle principali chiese.
E' importante creare dei riferimenti scritti perché tale diffusione non perda le tracce originali delle melodie.
In un secondo tempo vennero applicate ai neumi delle righe di riferimento per delimitare l'altezza dei suoni: la riga
gialla per il Do e quella rossa per il Fa. Questo episodio diede l'idea al monaco Guido d'Arezzo (c. 990-1050) per
l'aggiunta di altre due righe: si giunse così a creare il tetragramma, prima vera codificazione musicale universale,
sul quale si potevano fissare i suoni, le altezze, le lunghezze in modo uguale per tutti. Nascono le sette note che
oggi conosciamo e l'evoluzione del tetragramma porta alla nascita, in epoca rinascimentale, del pentagramma. Le
note ricalcano ancora i segni del canto gregoriano nello stile e nelle figure (virga, punctus, ecc.), ma il distacco dall'antico cantus planus è ormai senza ritorno.
Nel XVIII e XIX secolo la scrittura musicale diviene non più solo una libera traccia per l'ispirazione dell'esecutore (tale era il principio dell'improvvisazione barocca) ma un riferimento quasi assoluto: alle note sul pentagramma si aggiungono i segni dinamici ed espressivi. Questa evoluzione, per altro inevitabile data la diversità dei molteplici stili musicali, segna una sorta di tentativo di intrappolare nella scrittura tutto il linguaggio musicale, con lo
scopo di dare all'esecutore ogni informazione possibile in merito al contenuto della partitura.
Solo nel XX secolo si tornerà ad una scrittura musicale più libera, meno vincolante, capace di tradurre sulla carta
anche i nuovi suoni, le forme della dodecafonia, i ritmi e i contenuti culturali di un secolo tormentato.
Le partiture di grandi compositori contemporanei non hanno più nulla della partitura classica, quella dei secoli
XVIII e XIX, ma la ricerca di nuovi segni rappresenta un tentativo interessante che ci riporta all'origine del canto
sacro, quando, cioè, la voce dello Spirito era libera da codificazioni e affidata unicamente alla trasmissione della
fede nella liturgia.
Il segno memoria dell’uomo: percorsi della scrittura
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La scrittura Braille
Il primo tentativo volto a consentire l'accesso alla lettura in modo serio ed organizzato ai non
vedenti si deve al filantropo francese Valentin Haüy (1745-1822). Egli ideò la lettura per ciechi
a segni orizzontali: dopo aver fabbricato delle lettere di legno, Haüy aveva in seguito fissato su
del cartone dei caratteri stampati in rilievo che formavano delle sporgenze rilevabili al tatto. Si
rivelarono però difficili da distinguere per mezzo dei polpastrelli, molto ingombranti e la loro
composizione richiedeva inoltre parecchio tempo. L'invenzione apriva comunque la via alla lettura mediante il tatto.
Nella seconda metà dell'Ottocento, Luigi Ballù inventò un ingegnoso sistema di scrittura in rilievo a punti che, se pure a costo di molta fatica, consentiva ai non vedenti una primordiale comunicazione scritta.
Il metodo di lettura di Valentin Haüy ed il successivo sistema di punteggio di Ballù non avevano
però risolto definitivamente il problema dell'educazione dei non vedenti: il cieco poteva infatti
solo leggere, i libri erano pochi e la velocità di lettura era inoltre bassissima.
Rivoluzionario fu il sistema di scrittura in rilievo inventato intorno al 1829 da Louis Braille
(1809-1852) per la sua perfetta aderenza alle esigenze del tatto.
Il sistema Braille è il perfezionamento di una scrittura tattile inventata da un ufficiale dell'esercito napoleonico, Charles Barbier, che l'aveva inventata per redigere messaggi nell'oscurità decifrabili fra ufficiali impegnati nelle campagne militari.
La sua caratteristica fondamentale è quella di essere a punti in rilievo che si incidono procedendo
da destra verso sinistra in modo che, girando il foglio, si possa leggere normalmente da sinistra a
destra. Per scrivere in Braille occorrono un'apposita tavoletta munita di un regolo mobile e un
punteruolo. Il regolo consta di due righe di 24 rettangoli ciascuna, in ognuno dei quali si possono incidere sei punti. I singoli segni vengono rappresentati mediante un differente numero di
punti da uno a sei, e in totale si possono ottenere 63 segni che coprono tutte le esigenze di ogni
forma di linguaggio scritto e di tutte le segnografie matematiche e musicali.
La scrittura Braille, pur rappresentando una scoperta eccezionale, non fu subito accettata negli
istituti. Solo intorno al 1850 il sistema di Louis Braille fu pienamente accettato a Parigi. Nel
1865 gli allievi milanesi lo accettarono con entusiasmo mentre il Inghilterra il metodo Braille fece
la sua comparsa verso il 1868.
Oggi il Braille è l'unico sistema di scrittura e lettura per ciechi diffuso in tutto il mondo. Il
Congresso Internazionale di Parigi del 1878 lo aveva infatti dichiarato ufficiale per tutti gli stati,
e l'U.N.E.S.C.O. ha un comitato apposito con il compito di adattarlo a tutte le lingue. Anche in
Cina è stato adottato facendo corrispondere i segni Braille non agli ideogrammi, ma ai suoni da
essi rappresentati.
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