Comments
Transcript
Denis Saurat: L`Atlantide e il regno dei giganti
INDICE Presentazione dell’editore italiano 3 I - La Luna e la civiltà 4 II - La storia del sistema solare 14 III - Tiahuanaco 27 IV - Le decadenze. La Nuova Guinea 38 V - Testimonianze. I Toltechi 46 VI - La Bibbia 50 VII - I Greci 73 VIII - L’Egitto, l’Abissinia e la Cina 84 IX - I Teosofi 91 X - I poeti, i sogni, la psicanalisi 97 XI - L’ipotesi spiritica integrale 111 XII - Il lato spirituale. Conclusioni 117 - Appendice 123 PRESENTAZIONE DELL’EDITORE ITALIANO Questo libro vede la luce quasi contemporaneamente alle edizioni inglese, tedesca e spagnola. Denis Saurat, laureato in letteratura francese e inglese, insegnò in Università di Gran Bretagna e Stati Uniti, oltre che in Francia; compì missioni in Africa e altri Paesi. Saggista della miglior scuola, nel suo primo libro, 1920, si occupò di Milton, " Il pensiero di Milton". Altri seguirono su "Il pensiero moderno" , su Blake, su la religione di Victor Hugo, oltre una " Storia delle religioni". È permeato, Saurat, come tutta la cultura francese di logica cartesiana; ma in certe pagine che seguono può sembrare, talvolta, cessare di esserlo e similitudini apparire non sufficientemente appropriate. Senza fantasia non solo nel mondo cesserebbe la poesia ma, anche, il progresso della scienza subirebbe grave e forse mortale colpo. Nelle ricerche condotte con il più rigoroso spirito d’indagine scientifica, si presentano talvolta difficoltà che solo la fantasia di uno scienziato dal cervello versatile riesce a risolvere. Un altro, parimente colto ma mancante di fantasia, di spirito avventuroso, si arena. "...Non importa tanto che una idea sia vera o falsa, che abbia un senso chiaramente indicabile oppure no, quanto che essa spinga a un fecondo lavoro". "...e ciò non si può fare che per mezzo di associazioni di idee che non nascono dall’attività intellettiva, ma dalla fantasia dello scienziato, sia che si vogliano definire con il nome di fede o con la più prudente espressione di ipotesi di lavoro. L’essenziale è che il contenuto superi in qualche modo i dati dell’esperienza." Qui è Max Planc che citiamo (1). I giganti sono veramente esistiti? Con le scoperte archeologiche recenti questo interrogativo cessa di essere una ipotesi, prende consistenza, le prove si accumulano a mano a mano. I miti cessano di essere tali e diventano realtà trasmesseci da genti che le narravano attraverso i tempi e nel corso dell’evoluzione ogni ricordo era andato perduto ed erano ora meravigliose storie, ora terrificanti. Leggendo questo libro, il lettore lasci la mente libera all’immaginazione. Realizzerà, alla fine, che ne valeva la pena. Nuove idee, nuovi orizzonti gli si schiuderanno percepirà un significato insieme logico e affascinante nella storia e nel destino degli abitanti del piccolo pianeta Terra. LE NUOVE EDIZIONI D'ITALIA MILANO (1) Max Planck, La conoscenza del mondo fisico. Trad. E. Persico Ed. Einaudi. CAPITOLO I LA LUNA E LA CIVILTÀ La scienza sta creando oggigiorno una nuova mitologia. L’universo astronomico è misurato in miliardi di anni luce. Il numero di galassie calcolato nel cielo raggiunge il miliardo. Nell’infinitamente piccolo l’atomo è divenuto un mondo incomprensibile, quasi totalmente vuoto e, ciò nonostante, carico di inconcepibili forze esplosive che possono essere scatenate. Nel regno dell’uomo, per noi inevitabilmente posto tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, la cronologia ha spinto indietro le date delle origini. L’uomo esisteva sulla terra cinquecentomila anni or sono e, forse, anche un milione di anni. La residenza dell’uomo, il pianeta Terra, è ai nostri occhi più misteriosa di quanto non fosse in passato. Noi non sappiamo quasi più nulla di come sia nell’interno. L’antico fuoco centrale, terrore della nostra infanzia, che somigliava stranamente all’inferno, è sparito e oggi si dice che probabilmente il centro della Terra non sia più caldo di un confortevole fuoco di legna. Le teorie dell’evoluzione della superficie terrestre, della deriva dei continenti, degli sprofondamenti sensazionali, passano al livello dei miti, senza tuttavia cessare di presentare aspetti possibili. Non si sa più nulla con certezza: tutto torna ad essere possibile. Allora l’immaginazione umana — che un secolo o due di scienza razionale avevano resa un poco ottusa riprende forza e comincia a utilizzare taluni elementi della nuova scienza. Ma l’immaginazione sembra essere una costante: essa è disposta, non tanto a creare nuove immagini, quanto a dare nuovo valore ad antichissime tradizioni alle quali l’uomo è legato da quando ha cominciato a conoscere se stesso. Così, una delle più antiche leggende della nostra civiltà, la storia dell’Atlantide raccontata da Platone, ai giorni nostri, ha cambiato aspetto ed è tornata ad essere credibile. Prima di tutto, una nuova teoria cosmogonica soggetta, è vero, a violente controversie, dà una spiegazione accettabile, non solo di ciò che narra Platone, ma, cosa più importante, di certi passi della Genesi finora considerati pure fantasie. Inoltre, l’etnografia più recente contribuisce a dare teoria e alla Bibbia conferme del tutto inaspettate. a questa Infine, la psicologia attuale e forse la stessa biologia vegetale, animale e umana rivelano elementi che sono stranamente in armonia con quanto disse Platone e con le narrazioni della Genesi. L’insieme di questi vari elementi dà un quadro avvincente e nuovo e, tuttavia, così intimamente concordante con le più antiche leggende che sembra preferibile cominciare con il presentare sinteticamente questo quadro per passare successivamente alle conferme e ai riscontri. Eviteremo, così, all’inizio di falsare la prospettiva e di mettere troppo in evidenza aspetti che dovrebbero essere solidamente appurati, e che, per la natura stessa delle testimonianze accessibili, non possono restare che ipotesi. Ed ecco la sorprendente storia che si presenterà, per grandi linee, quando l’immaginazione avrà colmato le lacune della conoscenza. In seguito, vedremo i numerosissimi frammenti delle prove che permettono il legittimo lavoro dell’immaginazione. Per primo notiamo che le megalomanie che affliggono tanto gli astronomi quanto i fisici dell’atomo non possono essere nemmeno vietate ai nuovi storici. Se le galassie raggiungono il miliardo, se l’atomo può produrre o distruggere tutto un mondo, anche l’uomo può concedere alla sua storia qualche centinaio di migliaia di anni in più o in meno. Perché l’uomo dovrebbe essere più modesto dell’universo di cui fa parte? Circa trentamila anni or sono, una civiltà molto sviluppata e diversa dalla nostra era stabilita nelle Ande, a una altezza di 3.000 o 4.000 metri al di sopra dell’attuale Oceano Pacifico. L’oceano di allora raggiungeva questa altitudine sulle montagne, e la civiltà di Tiahuanaco viveva in riva al mare. Ciò vuol dire che in quelle regioni l’aria, allora, era respirabile senza difficoltà. Per quali ragioni l’acqua e l’aria si trovavano accumulate a simile altezza? Perché il satellite della Terra di allora, simile alla nostra Luna attuale, distava solo da 5 a 6 raggi terrestri da noi. Invece di una marea simile a quella di oggi, che sale e scende con la Luna a 60 raggi terrestri da noi, la marea di allora, attirata da una gravitazione lunare molto più forte, non aveva il tempo di ridiscendere: quella Luna, d’azione potente, girava troppo veloce attorno alla Terra. Così, tutte le acque del globo erano ammassate in una marea permanente che formava una fascia intorno al nostro pianeta. Questa fascia raggiungeva nelle Ande più di 3.000 metri di altezza. Fatto, questo, confermato da uno strato continuo di depositi marini che si può seguire, a quella altitudine, per 800 chilometri. Di questa civiltà di Tiahuanaco, della regione del lago Titicaca in generale ci restano gigantesche rovine. I più antichi cronisti dell’America del Sud ci tramandano che quando gli Incas si spinsero fino a quei paesi, vi trovarono rovine presso a poco nello stato in cui sono oggi, e risalivano, già allora, ad una incommensurabile antichità. Gli Incas, superstiziosi, decisero di andare a stabilirsi più oltre. Invero, le pietre tagliate presentano aspetti che fino ad ora non si riscontravano in nessun altro luogo. Prima cosa: le dimensioni. Una statua, ricavata da un solo masso, ha più di sette metri di altezza e pesa dieci tonnellate. Vi sono dozzine di statue monolitiche simili, tutte trasportate da lontano. Anche il modo di lavorare la pietra ci rivela qualcosa di eccezionale. Parecchi porticati, o muri con porte e finestre, sono fatti con un unico blocco di pietra. Invece di sistemare le pietre in modo da lasciare l’orifizio libero, come oggi noi facciamo, quelle genti prendevano enormi pietre, di parecchi metri di altezza e di lunghezza, spesse in proporzione, ed erigevano i muri: poi intagliavano le aperture volute. Tiahuanaco: „La puerta del Sol (monolitica; veduta posteriore) \ Tiahuanaco. Sopra: particolare del calendario. Sotto: veduta anteriore de „La puerta del Sol“ con il calendario. Ci troviamo di fronte a prove di mezzi di lavoro che l’umanità non ha più conosciuto in seguito. Forse soltanto ai nostri giorni, con i nostri più moderni strumenti, potremmo di nuovo seguire questo procedimento; ma, evidentemente, non lo faremmo per molte ed ovvie ragioni. Esisteva, allora, una civiltà i cui principi erano diversi dai nostri. Di questa civiltà, anche dal punto di vista intellettuale, noi possediamo oggi elementi che ci illuminano. Le sculture di uno di questi portici monolitici sono state decifrate nel 1937. Cosa rappresentano? Un calendario concepito molto meglio del nostro: quel calendario comincia da un solstizio ed è diviso in solstizi ed equinozi. I suoi dodici mesi e le sue settimane corrispondono alle fasi cicliche del satellite in cielo. Le figurazioni rappresentano non solo il movimento apparente, ma anche il movimento reale del satellite. Mentre il nostro calendario non ha, astronomicamente parlando, un preciso inizio; i nostri mesi e le nostre settimane non corrispondono alle fasi della Luna e, generalmente, non sappiamo che la Luna ha un movimento reale diverso dal suo movimento apparente. Dobbiamo pensare che gli uomini di Tiahuanaco fossero intellettualmente più sviluppati di noi. Artisticamente, la levigatezza delle loro statue, l’armonia delle proporzioni, l’espressività che lo scultore ha saputo dare al volto dei suoi personaggi sono superiori a quanto noi sappiamo fare oggi. Sono al livello di Michelangelo e delle più impressionanti sculture d'Egitto(1). Questo fatto intellettuale, nostro. (1) ci ma spinge a anche uno supporre sviluppo non solo spirituale uno sviluppo superiore al Ci si accorge ormai — ha scritto Roberto Papini a proposito della Mostra dell’arte preistorica a Palazzo Strozzi, giugno 1957, — che in nessun tempo della storia dello spirito umano l’intuizione è stata più limpida, comunicativa e pura di allora... Vogliamo retrodatare di 30 mila anni l’impressionismo, la monumentalità, il senso statuario, il bilanciarsi della composizione, l’astrazione della figura umana? Tutto è possibile dopo l’apparizione del mondo preistorico. (N. d. T.) A vero dire, oggigiorno, orgogliosi come siamo delle nostre conquiste intellettuali, non pretendiamo di avere un alto sviluppo spirituale: siamo portati a negare lo spirito opponendogli l’intelletto. Ma la cosmografia dell’austriaco Hoerbiger, il creatore di queste nuove concezioni sul sistema solare, ci prospetta un’idea ancora più sbalorditiva. La Luna non è il primo satellite della Terra. Vi sono state molte lune: ad ogni periodo geologico un satellite ha girato intorno alla Terra. Perché, infatti, vi sono periodi geologici così bruscamente distinti gli uni dagli altri? Ciò è dovuto al fatto che alla fine di ognuno dei periodi — ed è questo che ne determinava la fine — un satellite è venuto a cadere sulla Terra. La Luna non descrive intorno alla Terra una ellisse chiusa, ma una spirale che va via via restringendosi e finirà per cadere sulla Terra. Vi è stata una Luna dell'era Primaria che è caduta sulla Terra, poi una dell'era Secondaria e una di quella Terziaria. Prima di cadere, quando la sua spirale era troppo vicina alla Terra, ciascuna di queste lune si dissolveva, i solidi, i liquidi, i gas si separavano in ragione della loro differente resistenza alla forza di gravitazione; così il satellite, girando troppo velocemente, „acchiappava quelle parti che si erano staccate e si muovevano più lentamente, il tutto si trasformava in un anello, simile a quelli che vediamo intorno a Saturno, i quali sono in questo stato attualmente. Infine, restringendosi la spirale, l’anello toccava la Terra e il satellite si schiacciava, più o meno attorno al nostro pianeta. Tutto ciò che rimaneva preso sotto, piante o animali, era sotterrato e si fossilizzava, per la mancanza d’aria e per la pressione. Infatti si trovano fossili solo in questi periodi. L’organismo sotterrato nei nostri tempi non si fossilizza, imputridisce. Così abbiamo per mezzo dei fossili testimonianze frammentarie sulla storia della vita. Molto prima di questo urto, durante periodi di centinaia di migliaia di anni, la Luna girava intorno alla Terra a una distanza da 4 a 6 raggi terrestri abbastanza regolarmente, perché il mese lunare era allora uguale al giorno terrestre. I due astri giravano insieme fin quando la caduta della Luna si accelerava e la Luna cominciava, allora, a girare più velocemente della Terra. Durante questo periodo fisso in cui il satellite era ravvicinato, il peso di tutti gli oggetti e di tutti gli esseri terrestri era diminuito, poiché la forza di gravitazione lunare li attirava verso l’alto e compensava gran parte della gravitazione terrestre. Ora, è la gravitazione che determina la nostra statura: noi cresciamo fino all’altezza e al peso del corpo che possiamo portare. Quindi, in questi periodi di forza di gravità alleggerita, gli organismi crescevano di più. Così si sono formati i giganti. Quali prove? Alla fine dell'era Primaria, noi troviamo i vegetali giganti che, sepolti per la caduta del satellite, daranno il carbon fossile. Alla fine dell'era Secondaria, noi troviamo animali di trenta metri di lunghezza, diplodochi e altri, divenuti fossili, essendo stati sepolti durante la caduta del satellite dell'era secondaria. Allo stesso modo possono essere esistiti i mammiferi giganti e i primi uomini giganti. Poiché, in quei periodi, gli esseri viventi alleggeriti del loro peso hanno potuto rizzarsi sulle gambe e sui piedi, e la loro scatola cranica allargatasi ha permesso l’espansione del cervello. Altre bestie hanno cominciato a volare: gli insetti giganti del Primario, gli uccelli del Secondario. Poi, nei periodi senza Luna, sopravvissero soltanto esemplari di queste brusche mutazioni: ha avuto modo di sopravvivere chi poté adattarsi alla nuova gravitazione; indubbiamente con conseguente diminuzione delle proporzioni troppo grandi. Gli uomini normali sono stati formati durante l'era Terziaria prima dell’avvicinarsi della nuova Luna, uomini più piccoli, più pesanti, meno intelligenti: i nostri antenati. Ma alcune razze giganti e intelligenti dell'era Secondaria, forse quindici milioni di anni fa, hanno continuato a esistere, e sono questi giganti che hanno civilizzato gli uomini (1). Tutte le antiche mitologie, dall’Egitto e dalla Grecia alla Scandinavia, dalla Polinesia al Messico, riferiscono unanimi che gli uomini sono stati civilizzati dai giganti e dagli Dei. (1) La presenza dell'homo sapiens è accertata fra 500.000 e un milione di anni. L’ipotesi può spingere l’esistenza dell’uomo gigante alla fine del Secondario, dieci o quindici milioni di anni or sono. È il Titano Prometeo che ha tratto gli uomini dal loro stato selvaggio. La Bibbia ci dà testimonianza di giganti, re dei popoli combattuti dai primi Ebrei. Così, le rovine gigantesche, e tuttavia sovente fatte per esseri di proporzioni umane, di Tiahuanaco si spiegano: maestri giganti hanno aiutato e diretto i loro sudditi umani in questi lavori. I grandi circhi del Titicaca non sono coperti, ma solo circondati di mura. I Re giganti potevano sedere lì al cospetto degli uomini sudditi. Il carattere pacifico e benevolo di questo primo regno dei giganti sugli uomini trova conferma ovunque. D’altronde, è sufficiente leggere sul viso dei giganti di pietra di Tiahuanaco l’espressione di suprema bontà e di saggezza, che è sorprendente. È l’età d’oro degli Antichi. E le statue gigantesche sono le statue dei giganti Re, perché gli uomini si sarebbero affaticati a trasportarle e a scolpirle? Per solo uomini, sarebbero bastate proporzioni umane. Furono gli stessi giganti che scolpirono le loro immagini. Più tardi, in Egitto e un po’ ovunque, quando i giganti erano già scomparsi, gli uomini tentarono di evocare e far rivivere il tempo e le immagini degli Dei. Noi troviamo ai nostri giorni, nelle isole vicine alla Nuova Guinea, poveri selvaggi che erigono ancora dolmen e menir senza sapere il perché, proprio come i nostri antenati fecero un tempo in Bretagna, in Inghilterra e altrove. L’età d’oro dei giganti bonaccioni e civilizzatori non durò che una sola volta. La Luna terziaria, che i giganti e gli uomini di Tiahuanaco conobbero, finì anch’essa per venire a schiacciarsi sulla Terra. Allora, la gravitazione lunare cessò. Le acque degli oceani si abbassarono poiché nulla più tratteneva la fascia marina dei tropici. I mari rifluirono senza dubbio fino ai poli, lasciando scoperti solo i più alti massicci montagnosi. La enorme massa d’acqua in movimento distrusse uomini e civiltà un po’ ovunque sulla Terra e, infine, il livello dei mari si stabili presso a poco a quello attuale. Chi sopravvisse? Coloro che si erano rifugiati, o già vivevano isolati, sulle alte montagne, come Platone stesso dice. Nelle Ande l’aria era divenuta irrespirabile: poiché, adesso, si era a 4.000 metri sul livello del mare. Una civiltà quasi completamente marittima ormai non era più possibile: il mare era scomparso. I sopravvissuti non poterono fare altro che scendere verso le paludi che il mare, ritirandosi, aveva create: la loro civiltà era perduta e, con essa, la loro terra, le loro navi, i loro arnesi, la maggior parte dei loro sapienti certamente: i sopravvissuti dovettero essere ben pochi. I grandi spostamenti del mare avevano repentinamente distrutto le città: intorno al Titicaca si trovano cantieri che rivelano essere stati abbandonati d’improvviso. Si doveva ricominciare quasi dal nulla. Le antiche mitologie acquistano or,a un significato e ci aiutano a capire. Alcune razze di giganti degenerarono ,a tal punto che divennero cannibali e si nutrirono di carne umana. I giganti-orchi si trovano in tutte le tradizioni. Altri giganti rimasero più civili e lottarono contro le barbarie della decadenza. Tutti i popoli ricordano orrende lotte tra giganti e Dei: gli uomini considerarono Dei coloro che li proteggevano. Ercole è uno degli Dei più antichi, sia in Grecia che in Egitto: è il gigante buono che distrugge i giganti cattivi. Giove stesso non può vincere i Titani senza l’aiuto di Ercole. Poi, naturalmente, i giganti s’indebolirono: fisiologicamente, nei periodi di Luna lontana, non potevano più sopportare il loro peso e anche il loro cervello degenerò. E, allora, gli uomini sterminarono i mostri. Davide uccise Golia. L’arma da getto, la fionda, dei piccoli uomini fece scomparire i giganti divenuti più o meno ebeti. Anche Victor Hugo, nei racconti delle fate, si meraviglia: Di vedere orribili, instupiditi giganti Vinti da nani intelligenti e coraggiosi. Così giungiamo all’alba della nostra Storia, quella che comincia circa sei o settemila anni fa. I giganti sono sterminati. Restano narrazioni alle quali a stento si può credere: come Urano e Giove divorarono i loro figli; come gli Ebrei, entrando nella terra promessa, trovarono il letto di ferro di un re gigante alto quattro o cinque metri; come antiche civiltà erano scomparse a causa di cataclismi; e la storia dell’Atlantide non è che un episodio di queste distruzioni. E restano inspiegabili testimonianze. Le statue gigantesche, l’isola di Pasqua, Karnak e Stonehenge, gli ultimi selvaggi del Pacifico. Più inspiegabili, infine, di tutte le narrazioni tramandate e di tutte le testimonianze, sono i sogni incoercibili. Tutte le generazioni degli uomini che conosciamo hanno sognato — e sognano ancora — la grande civiltà scomparsa, origine di tutte le civiltà successive dell’Atlantide e dei buoni giganti; e in tutte le generazioni continuano anche gli incubi di catastrofi, di sfaceli e di decadenze. E la psicanalisi e l’analisi psicologica più recenti si sono progressivamente ridotte all’ultima ipotesi, così difficile d’accettare, ma divenuta sempre più inevitabile: che dietro tutto questo ci sia qualcosa di irrimediabilmente vero. Il mondo e la sua storia sono pieni di catastrofi e meraviglie molto più di quanto fino ad ora abbiamo creduto. Se noi cerchiamo un Atlantide che sia la fonte di tutte le civiltà e sintetizzi tutte le tradizioni, possiamo credere che questa società delle Ande, trentamila anni fa, sia stata l’Atlantide. Invece di scomparire sotto il mare, essa è stata abbandonata dal mare ed è comunque perita. Quando le acque si furono calmate, gli uomini decaduti, che vivevano in Europa e si ricordavano dell’antica madre dei popoli dalla quale erano stati colonizzati e civilizzati, dovettero avventurarsi verso l’Ovest per ritrovarla. Ma fino a Cristoforo Colombo, nessuno aveva più ritrovato quella terra: i navigli erano troppo piccoli, gli equipaggiamenti troppo scarsi, la capacità di navigare insufficiente. E così la tradizione stabili che quel continente si era inabissato: poiché per quanto lontano si andasse verso l’Occidente non si trovava più nulla. L’oceano era vuoto. I Greci finirono per dire che da quella parte si giungeva ad isole felicissime, alle quali approdavano solo i morti. Ma è una tradizione più breve e succinta che Platone narra. Egli pone la catastrofe solo circa diecimila anni fa, provocata da una inondazione. La teoria di Hoerbiger ci permette anche di collocare, in quel tempo e in quello spazio del Nord Atlantico, un’altra Atlantide più modesta, che tuttavia ci colpisce in modo particolare. La catastrofe delle Ande può essersi verificata duecentomila anni fa. Dopo questa data la Terra si è trovata senza satellite fino all’avvento della nostra Luna attuale. Questa Luna era un piccolo pianeta che, come tutti i pianeti, girava intorno al Sole in una spirale che si restringeva. I piccoli pianeti ruotano in spirale più rapidamente di quelli grandi perché la loro forza d’inerzia è minore: essi portano in sé una carica minore della primitiva potenza esplosiva che li ha lanciati lontano dal Sole. Dunque, nella loro spirale che si avvolge più rapidamente, i piccoli pianeti raggiungono quelli grandi. Accade fatalmente che un piccolo pianeta passi troppo vicino a uno grande e allora la gravitazione del grande pianeta, a questa distanza, è più forte della gravitazione del Sole. Il piccolo pianeta si mette a ruotare attorno all’altro: diventa un satellite. Così la nostra Luna fu captata dalla Terra, forse dodicimila anni fa. E nuova catastrofe sulla Terra a quell’epoca: il globo terrestre prese la sua forma rigonfia ai tropici, l’aria, le acque e il suolo stesso attratti dalla gravitazione lunare, come ancora oggigiorno. I mari del Nord e del Sud rifluirono verso la parte mediana della terra. Concepiamo che una civiltà si era stabilita in un’epoca compresa fra trentamila e dodicimila anni or sono su altopiani fra il 40° e il 60° grado di latitudine Nord; ed ecco questa civiltà di nuovo di¬strutta, questa volta per sommersione: le acque del Nord, come racconta Platone, la ricoprono in una sola notte, e più a Nord hanno di nuovo inizio le ere glaciali su terre prive di aria e di acqua per l’attrazione della nuova Luna. Così si presentano a noi due Atlantide: ambedue possibili; l’una di gran lunga posteriore all’altra e derivata da essa. D’altronde, ambedue ci saranno necessarie se vorremo integrare tutte le tradizioni delle quali ancora possediamo, fin da tempo antichissimo, frammenti disseminati in ogni parte della Terra. CAPITOLO II LA STORIA DEL SISTEMA SOLARE Raymond Furon scrisse: "Al tempo delle relazioni che furono fatte alla Società di Biogeografia nel 1948, sulla paleoclimatologia, sullo spostamento dei poli e dei continenti, i fisici, i geofisici e gli astronomi presenti furono d’accordo che allo stato attuale della Natura, niente permetteva di stabilire uno spostamento dei poli o dei continenti"(1). Fred Hoyle sostiene che i continenti hanno sempre avuto presso a poco la loro forma attuale (2). La scienza contemporanea rende quindi talvolta assai difficile il riconoscimento dell’esistenza dell’Atlantide, la certezza della comparsa di uno o più continenti. Aristotele, uno dei primi rappresentanti della scienza che si conoscano, sosteneva di già che l’Atlantide di Platone non era che un mito. A questo punto interviene in favore della tesi sulla Atlantide una parte, almeno, delle teorie dell’Hoerbiger. Se la scomparsa dell’Atlantide è dovuta non a sprofondamento del suolo, ma a un subitaneo cambiamento del livello dei mari, se l’Atlantide è scomparsa non perché il Continente atlantico è sprofondato ma perché l’oceano è salito, la narrazione di Platone può essere ancora accettata nelle sue grandi linee; e anche la distruzione delle città sulle Ande avvenuta duecentocinquantamila anni fa, può, inversamente, essere spiegata dall’abbassamento delle acque. I due fenomeni sono connessi. Vediamo sommariamente, e tuttavia un po’ più da vicino, le idee di Hoerbiger sulle catastrofi terrestri. Hoerbiger, un cosmografo austriaco morto nel 1931, è l’autore di una teoria della formazione dell’Universo solare conosciuta sotto il nome di Glazialkosmogonie. Questa teoria non è stata accettata nel suo insieme dagli uomini di scienza contemporanei. Ma essa si è rivelata in certi campi di una rara forza esplicativa, particolarmente nell’analisi e la classificazione dei miti tramandatici dalla più remota antichità, o raccolti presso i selvaggi d’oggi. (1) Manual de Préhistorie générale, p.51, Payot 1951. (2) The nature of the Universe, p.8, Blackwell, Oxford. 1950. Queste idee si sono modificate dopo il 1950. Le idee recenti, espresse da Furon in Francia e da Hoyle in Inghilterra, tutti e due specialisti ufficialmente qualificati, vanno contro le idee generali dell’Hoerbiger, ma sembrano potersi benissimo accordare con qualcuna delle idee sull’evoluzione delle civiltà sviluppate dai discepoli dello scienziato viennese. Accade spesso nel campo scientifico che teorie di massima opposte raggiungano conclusioni parallele su certi punti. Ad esempio, per Hoyle e coloro che lo sostengono, la Luna sta allontanandosi dalla Terra, mentre due o tre miliardi di anni fa le era vicinissima o anche in contatto. È difficile comprendere quale forza avrebbe lanciato la Luna verso l’esterno, ma anche se è stato così, questa Luna ascendente di Hoyle, si è forzatamente trovata, a una certa epoca, alla distanza di cinque o sei raggi terrestri dal pianeta e, allora, il fenomeno del sollevamento delle acque, come una cintura tutto intorno alla Terra, si è dovuto produrre proprio come sotto la Luna discendente di Hoerbiger. Perché, allora, gli stessi fenomeni non si sarebbero presentati sulle Ande o sulle pianure atlantiche? Non è necessario optare tra le due contraddizioni. Ma visto che soltanto i sostenitori di Hoerbiger ci offrono una veduta d’insieme, seguiamoli in quello che si riferisce al nostro problema. Le diverse scuole sono d’accordo nell’ammettere che il nostro mondo ha preso origine da una esplosione, tre o quattro miliardi di anni fa, data sostituita recentemente ad altre infinitamente più lontane. Diversi tipi di esplosione sono stati proposti nel corso di questi ultimi trent’anni. Forse il nostro Sole è esploso parzialmente perché un corpo astrale gli è passato troppo vicino e ha attratto una parte della sostanza solare alla distanza dei pianeti, scomparendo poi. Forse, tre quattro miliardi di anni fa è esistito un altro Sole gemello del nostro, e questo sarebbe esploso, non si sa perché producendo con i frammenti i pianeti. Forse, tre o quattro miliardi di anni fa tutta la materia del cosmo intero, e non soltanto del nostro sistema solare, era concentrata in un unico atomo, punto zero dell’Universo, e questo atomo è esploso: ciò sembrerebbe naturale se vi erano racchiuse (in quell’atomo particolare) tutte le forze poi sviluppatesi(1). Paul Couderc dice che questo non significa però l’inizio assoluto dell’Universo (2). (1) Cosmogonie indiane, vecchie di millenni, hanno per base questo concetto dell’esplosione della materia in un punto originale: è la Creazione. (N. d. T.) (2) Paul Couderc: L’Expansion Univer- sitaires, 1950. de l’Univers, p. 192, Presses Hoerbiger, cinquant’anni or sono, ha immaginato l’incontro nello spazio di un enorme corpo ad altissima temperatura entrato in collisione con una massa oscura di ghiaccio "cosmico", l’uno penetrando profondamente nell’altra (o viceversa) sviluppò una quantità di vapori e gas che finirono per esplodere. Ad ogni modo vi fu una esplosione all’inizio (1). I frammenti proiettati lontano si disposero essi stessi in tre sezioni: gli uni finirono talmente lontano che si perdettero nello spazio; gli altri andarono così vicini che ricaddero sulla massa centrale da dove era partita la esplosione. Ma nella zona intermedia si produsse una diversa classificazione: il frammento più importante attirò con la sua forza di gravità tutti i pezzi di materia meno pesanti che gli stavano vicini. Questi elementi minori erano sottomessi a due forze: la forza primaria dell’esplosione che li aveva lanciati verso l’esterno e la forza di gravità che li attirava verso la massa più forte situata nelle loro vicinanze. La risultante è una forza che rappresentiamo come la diagonale di un parallelogramma, il frammento meno pesante cessa di allontanarsi, ma non cade direttamente sulla massa che lo attira. Esso si mette a girare intorno a questa massa. Il corpo centrale è il Sole, i corpi più vicini che girano intorno sono i pianeti. Ma i frammenti piccoli hanno tratto meno forza iniziale dalla esplosione dei frammenti grandi, poiché questa forza deve essere proporzionale alla massa. Quindi, i frammenti piccoli che si trovano all’esterno del sistema cedono più rapidamente degli altri alla forza d’attrazione del Sole, hanno meno resistenza degli altri. Così, vediamo che Marte, più piccolo della Terra, gira intorno al Sole a una velocità più grande. Così, qualunque pianeta più piccolo della Terra, girando in spirale più presto della Terra, finirà per raggiungere la spirale terrestre stessa. Ciò è già evidentemente accaduto in passato, poiché i pianeti non sono disposti secondo l’ordine di grandezza. Quando un pianeta piccolo, seguendo la sua traiettoria in spirale verso il Sole a velocità maggiore di un vicino grande pianeta, arriva troppo vicino a quest’ultimo la forza di gravità, a questa breve distanza, risulta maggiore di quella del Sole. Allora, il pianeta piccolo si mette a girare in spirale intorno al grande e ne diventa satellite. (1) In accordo con la scienza moderna: teoria dell'espansione dell’Universo, enunciata dall’astronomo americano E. P. Hubble nel 1930, e già prima intravista dal belga abate Giorgio Lemaitre, e l’altro americano Harlow Shapley. La spettrografia ha rilevato che certe nebulose si allontanerebbero a velocità superiori a quella della luce. (N. d. T.) In questo modo la Terra ha già Luna: il satellite primario, il terziario. Ognuna di queste tre sulla Terra, con gli effetti ai quali ritorneremo in seguito. captato tre satelliti prima della satellite secondario, il satellite lune è venuta poi a schiacciarsi quali abbiamo già accennato e sui La Luna attuale è relativamente recente, è stata captata circa dodici tredicimila anni or sono, ed è ancora alla distanza di 60 raggi terrestri. A sua volta, essa si avvicinerà alla Terra, radunerà le acque dei mari in una marea permanente sotto l’ellisse del suo corso, sommergerà i tropici eccetto le più alte montagne, alleggerirà del loro peso tutti gli esseri e, senza dubbio, creerà una nuova razza di animali, di piante e di uomini giganteschi. Avvicinandosi ancor più, scoppierà a sua volta e formerà intorno alla Terra un immenso anello di rocce, di ghiaccio, d’acqua, d’aria e di altri gas. Infine questo anello, restringendosi, verrà a schiacciarsi sulla Terra. Questa sarà probabilmente la fine dell’uomo. I calcoli di Hoerbiger dimostrano che la nostra Luna è in effetti più grande delle Lune precedenti e che la catastrofe sarà quindi ancora più violenta delle precedenti già avvenute. I discepoli di Hoerbiger sostengono che nella nostra Apocalisse vi sono certi ricordi assai precisi di ciò che è avvenuto nel mondo quando cadde la Luna terziaria. La prossima volta sarà peggio. Ma se l’uomo sopravviverà, uno spettacolo finale gli sarà riservato. Marte, più piccolo della Terra, sta girando al di fuori dell’orbita della Terra, e la sua spirale si restringe quindi più presto della nostra, a causa della minore inerzia marziana. Marte ci raggiungerà. Che cosa accadrà allora quando arriverà vicinissimo alla Terra? La matematica, fin qui nostra amica, ci diventa adesso fatale. La massa è troppo grande perché Marte possa essere catturato e divenga un satellite. Marte passerà vicinissimo alla Terra ma le sfuggirà, attratto dal Sole ad una velocità superiore a quella del nostro pianeta e restando separato da noi da una forza d’inerzia troppo forte. La nostra atmosfera attratta dalla gravitazione di Marte ci lascerà per perdersi negli spazi. Le acque dei mari turbineranno intorno alla Terra, e questa volta in tutti i sensi, la Terra sarà lavata da tutto quello che potrà essere rimosso e la crosta terrestre esploderà. Sulla Terra sarà la fine della vita. Dopo questo, dice il profeta matematico, la Terra continuando la sua spirale sarà raggiunta da numerosi planetoidi, attualmente al di là di Marte e composti soprattutto di ghiaccio, la Terra diventerà un grande globo di ghiaccio che andrà a cadere nel Sole. Pietra di un focolare (Tiahuanaco). A sinistra: grande roccia scolpita rintracciata a Marcahuasi (Perù) dal prof. Daniele Ruzo, di Lima. – A destra: la statua della Diosa Thueris, al museo del Cairo. La rassomiglianza è evidente. Una espressione adesso corrente, "l’espansione dell’Universo", potrebbe darci qualche speranza di non fare questa fine. Se l’Universo si dilata, forse, si dice, saremo trascinati in tempo da questa dilatazione che va accelerandosi, e sottratti ai restringimenti delle spirali descritti da Hoerbiger? Ma non è che una illusione. Paul Couderc spiega che l’espansione dell’Universo avviene nelle distanze intergalassiche. La nostra Via Lattea non si dilata né, quindi, il nostro sistema solare. La sorte prevista per la nostra Terra, secondo Hoerbiger, è inevitabile, se i calcoli di Hoerbiger sono esatti(1). (1) P. Couderc: L’expansion de l’Univers, p. 178, op. cit LA STORIA DELLA TERRA La teoria di Hoerbiger ci fornisce per la storia della Terra, all’interno della storia del sistema solare, spiegazioni plausibili intorno a un certo numero di punti che nessun’altra teoria riesce a darci. Vi sono veramente stati i giganti? Vi è stata una civiltà madre delle altre civiltà? Com’è perita questa civiltà? Chi sono i selvaggi d’oggi, dei primitivi o dei degenerati? Chi siamo noi, nella nostra fase di civiltà, dei principianti o dei declinanti? Qual è il ruolo dello spirito nell’evoluzione della civiltà e perché le civiltà muoiono? Vediamo prima di tutto, per sommi capi, quale è stata la marcia dell’intelligenza e dell’umanità nella visione d’insieme della storia che Hoerbiger ci permette. È il gigantismo che darà le immaginazione possa lavorare. prime indicazioni sulle quali la Che alla fine del Primario, nel tempo in cui la prima Luna di Hoerbiger girava vicinissima alla Terra, si siano avuti alberi giganti e insetti giganti, la geologia è d’accordo. Gli alberi giganti seppelliti, più tardi, hanno dato il carbon fossile. Le tracce degli insetti giganti si ritrovano nei fossili. Ma c’è di più (1). Come può essere che un insetto, in definitiva senza cervello — e quindi senza intelligenza(?) — possa pungere, come Fabre ha dimostrato per primo, esattamente sette centri nervosi di un bruco, in modo da intorpidirlo e non ucciderlo, e far si che le future larve abbiano, mesi più tardi, un nutrimento fresco? Come spiegare l’istinto degli insetti? Come Fabre ha fatto notare nella sua controversia con Darwin, la teoria dell’evoluzione non può spiegare questo. L’insetto deve mettere a segno le sue sette punture di primo colpo, altrimenti la posterità dell’insetto non vivrà. Allora il geologo immagina che in quei tempi primari, quando il Sole era più grande di oggi e quando la Terra girava diritta sulla ellittica, una estate perpetua assicurava agli insetti una lunga vita. Certuni di questi insetti, sotto l’effetto del gigantismo che aveva permesso al loro sistema nervoso di svilupparsi, erano intelligenti. Intelligenti al punto di sapere come pungere le loro vittime nei punti adatti. 1) V. E. Perrier: La Terre avant l’histoire, p. 255-256 e 302304, Coll. H. Berr, La Renaissance du Livre. Non dimentichiamo la caratteristica della longevità abbinata al gigantismo degli insetti. La ritroveremo anche negli uomini. Poi, durante millenni, questa scienza diventata automatica si è trasmessa ai discendenti. Quando in seguito gli inverni sopraggiunsero, quando gli insetti cominciarono a morire tutti gli anni, quando le loro uova e le loro larve dovettero sormontare le stagioni fredde al riparo, soltanto quelli che avevano acquisito gli automatismi inculcati durante i periodi d’intelligenza, sopravvissero. Così, gli insetti d’oggigiorno sarebbero la discendenza degenerata di esseri un tempo razionali, sebbene forse non razionali in modo umano, dotati di altri sensi e di altri sentimenti. Forse anche — e ne riparleremo — i selvaggi nostri contemporanei sono residui degeneri di imperi di un tempo e ripetono, senza comprenderli, gesti una volta insegnati da cervelli razionali. Le teorie di Hoerbiger ci permettono per la prima volta comprendere e ammettere queste strane e ragionevoli idee. di In questi periodi di gigantismo, durante i quali la Luna vicina alleggerisce il peso di tutte le cose e di tutti gli esseri, intervengono anche potenze di recente scoperta, che somigliano sempre più agli Dei creatori delle vecchie religioni: i raggi cosmici. I raggi cosmici attuali, dice Paul Couderc, le cui energie oltrepassano tutto ciò che noi conosciamo, non sono tuttavia che i sopravvissuti, i discendenti debilitati di gloriosi raggi cosmici iniziali, dai quali sarebbe nato il mondo. L’azione dei raggi cosmici, congiunta con quella delle gravitazioni sui geni, i cromosomi e, certamente, altre particelle ancora da scoprire del meccanismo riproduttore, produce sorprendenti, bruschi mutamenti che fanno nascere nuovi esseri completamente diversi dai loro antenati immediati, dai loro parenti. E da qui quegli insetti giganteschi alla fine del Primario. E da qui quegli uomini giganti e intelligenti alla fine del Secondario, e sui quali troviamo testimonianze nella Bibbia. Hoerbiger spiega anche la caduta dopo le ascese. L’apogeo delle razze si colloca quando la Luna è così vicina alla Terra da alleggerire la gravitazione e dare ai raggi cosmici il campo d’azione necessario. Ma quando, in seguito, la Luna viene a schiacciarsi sulla Terra, la forza di gravitazione riprende i suoi diritti, i raggi cosmici si attenuano, si velano. Tutto ridiscende. La vecchia idea della caduta è riabilitata. Sopravvivono solo razze minorate che hanno però conservato qualcosa delle qualità della grande epoca. Queste razze ricominciano faticosamente a costruirsi una esistenza, sotto un cielo senza Luna, risalendo a mano a mano. Poi, una nuova luna è captata, le maree ricominciano, l’essere diventa più leggero e tutto sale verso una nuova epoca. Durante i periodi senza Luna compaiono le razze piccole, gli animali senza altezza e senza prestigio, topi e puzzole, le razze nane umane. Durante i periodi delle Lune che si avvicinano compaiono le razze medie, come la nostra razza attuale, e gli animali della nostra statura, dal cane al cavallo. Ma la luna non agisce direttamente che sulla zona terrestre che si trova al di sotto del suo corso. A Nord e a Sud di questa cintura, si presentano condizioni diverse. Così, dopo parecchi cicli, la Terra offre uno spettacolo assai vario: vi è un miscuglio di sopravvivenze, razze in ascesa, giganti, nani, esseri intermedi: resti delle epoche dei giganti, apprendisti di epoche prosperose in formazione. Soltanto Hoerbiger ci permette di comprendere questo strano quadro così vario, poiché egli solo ci spiega una successione delle epoche propizie allo sviluppo della vita, le improvvise catastrofi, i periodi sfavorevoli. Una nuova epoca di gigantismo si riproduce alla fine del Secondario, e la logica e l’immaginazione congiunte ci portano a collocarvi la creazione dell’uomo. Stupenda storia: dopo due secoli di discredito, il racconto della Bibbia ritrova valore sotto la spinta delle teorie di Hoerbiger e, tuttavia, la Bibbia non costituisce in alcun modo uno dei punti di partenza di Hoerbiger. Più avanti, esamineremo in particolare le affermazioni bibliche mentre, per il momento, guarderemo soltanto il quadro nel suo insieme. L’uomo è sopraggiunto per una brusca mutazione causata dall’azione dei raggi cosmici sui geni di un animale probabilmente scomparso, il quale mise al mondo una coppia di gemelli umani, maschio e femmina. In modo alquanto inatteso, ma assai confortante, si potrebbe lasciare parlare qui l’enciclica Humani Generis del 12 agosto 1950: La Chiesa non proibisce che la dottrina dell’evoluzione (sia l’oggetto di ricerche) pertanto che essa ricerchi se il corpo umano fu tratto da materia già esistente e vivente, poiché la fede cattolica ci obbliga a sostenere l’immediata concezione delle anime come opera di Dio. E al paragrafo seguente, l’enciclica insiste sul carattere unico di un Adamo, padre di tutto il genere umano. L’ipotesi di Hoerbiger accorda più di quanto non chieda Pio XII. È più facile, infatti, concepire che il brusco mutamento dall’animale all’uomo si sia prodotto una sola volta, la coincidenza favorevole essendo infinitamente rara. L’immediata creazione delle anime è anche in armonia con l’improvvisa apparizione di una intelligenza ben più sviluppata di quella degli animali. L’alleggerimento della gravitazione terrestre permette all’uomo nuovo-nato di tenersi dritto sulle gambe e di aumentare il volume del cranio che tende a svilupparsi verso l’alto, verso il cielo. Ed è evidente che questi perfezionamenti fisici non avrebbero avuto nessun valore se, allora, non fosse sbocciato quel principio che permise all’uomo di usufruirne: il principio spirituale, l’anima. Ecco, quindi, all’improvviso, l’apparizione di un uomo, proprio come nella Genesi. Ed Eva, dove è? Qui bisogna pensare - e ciò non ha più nulla d’irragionevole — che la Bibbia ci riferisca gli ultimi frammenti di una tradizione che era stata altamente scientifica e che solo da pochi anni ci è possibile comprendere. Eva tratta da una costola di Adamo, Eva fisicamente la metà di Adamo, carne della sua carne? Forse una scienza assai remota sapeva come si formano i gemelli - e che dalla scissione di una cellula iniziale possono nascere due gemelli, uno maschio l’altro femmina forse questa cognizione, degenerata fino a una epoca nella quale non si avevano più sul concepimento dei bambini che notizie assai vaghe, è stata tradotta in racconto grossolano, ma sostanzialmente vero, nella Genesi. Gli uomini del IX secolo prima della nostra era in Palestina, non conoscendo né geni né cellule, non avevano potuto interpretare la vecchissima notizia sulla prima coppia umana uscita da una stessa cellula, (il gemello femmina non è che la metà separata del gemello maschio), che trasferendo questa idea sull’Adamo di proporzioni umane, diviso in due dal Creatore. Così, dietro questo quadro, si può discernere una realtà altre volte scientificamente conosciuta. Che questa realtà scientifica fosse conosciuta in tempi così lontani, non desterà meraviglia quando vedremo quello che erano arrivate ad essere le conoscenze degli uomini di Tiahuanaco, circa trentamila anni or sono. Ma la Bibbia ci fornisce ancora una testimonianza in favore dei sostenitori di Hoerbiger, più oltre citeremo anche i testi. La Genesi riferisce che i primi uomini dopo Adamo vivevano normalmente cinquecento, seicento anni, e anche novecento anni. È questa una delle affermazioni che hanno gettato il maggior discredito sugli antichi racconti. Inoltre, questa affermazione del tutto gratuita, non è in nessun modo necessaria alla ortodossia religiosa. Non più degli altri testi che riferiscono la esistenza dei giganti, testi che esamineremo più avanti. La Sacra Scrittura non stabilisce una relazione tra i due fatti e omette di dirci che Adamo era un gigante. (Vero, però, che le tradizioni ebraiche e musulmane colmano più che abbondantemente questa omissione). Ma i due fatti sono collegati. Nello stesso modo che l’alleggerimento della gravitazione terrestre permette il gigantismo, questo alleggerimento permette la longevità perché l’usura fisiologica, causa normale della brevità della vita, è in relazione con il peso del corpo e, quindi, un corpo più leggero per lo stesso volume deve vivere più a lungo. E così sono rese nuove e riabilitate antiche concezioni dell’ortodossia: la creazione immediata di Adamo ed , la longevità dei primi uomini, la realtà dei giganti; non abbiamo che una prima coppia umana, ma gigantesca e dalla vita lunghissima. Aggiungiamo qui un punto curioso. L’uomo nasce troppo presto. Arriva al mondo molto meno competente del piccolo animale che sa subito fare tante cose che il piccolo dell’uomo non sa fare: nuotare, correre, mordere, adattarsi. E ciò perché il gigante primitivo ha dovuto essere espulso troppo presto dal seno materno non gigantesco: altrimenti avrebbe ucciso la madre, la cui difesa naturale è stata di sbarazzarsene(1). Così il neonato ha dovuto poi imparare tutto quello che l’animale sa fin dalla nascita. Inoltre, l’uomo doveva imparare altre cose oltre quelle che poteva apprendere nel seno materno dell’animale: tenersi dritto sulle proprie gambe, pensare meglio, parlare, tutte cose che sua madre non sapeva fare. L’uomo nascendo abbandona una eredità animale per crearsi un dominio umano: ciò che non potrebbe fare se non avesse un’anima che lo spingesse su questa via. Il racconto della Genesi, che omette qualsiasi menzione all’animale dal quale trasse origine il corpo umano, è frutto della nobile tradizione: ripudiare il più possibile l’infimo essere primitivo, iniziare con l’apparizione dell’anima. È, infatti, una nuova creazione. Ancora su un altro punto la Bibbia ci aiuta indirettamente e ci permette di collocare questa creazione alla fine del Secondario. Infatti, nella nostra teoria non c’è posto all’inizio che per giganti di lunga vita, figli e discendenti di quelli che noi chiamiamo (perché no?) Adamo ed Eva. Ora, Tiahuanaco, alla fine del Terziario, ci mostra dei giganti in mezzo ad uomini ordinari, poiché dei megaliti giganteschi sono adattati agli usi degli uomini. 1) Ci sia permesso di annotare qui l’eco di altre idee fisiologiche che hanno qualche relazione con il soggetto. Questa necessità d’espulsione prematura dal seno materno condiziona anche l’amore materno: questo forte istinto è una compensazione al torto fatto al bambino per una nascita affrettata. Il dolore del parto completa l’insieme: la madre, per amore, custodisce il bambino un po’ più a lungo anche se è un danno per lei; egli diventa un po’ troppo grosso nel seno materno: donde dolore e sofferenza dei parti. Si è creduto rilevare una connessione tra dolore nello sgravarsi e amore materno: solo le razze che soffrono partorendo danno prova d’amore per i piccoli. La ragione sarebbe questa: l’amore per il piccolo fa si che la madre porti il piccolo troppo a lungo e perciò ella soffra al momento del parto; ma questo amore dura dopo il dolore. La ragione fondamentale di tali fenomeni fisio-psicologici è nella spinta verso il gigantismo: il rampollo tende a essere più grande di quanto le dimensioni materne non permettano. La fecondazione delle donne delle razze più piccole per accoppiamento a maschi molto più grandi, spiegherebbe tutto questo, in certi casi; in altri casi, sarebbe la tendenza al gigantismo quando la Luna si avvicina alla Terra. Come la Bibbia riferisce, c’è stata una diminuzione della vita umana e della statura umana nel corso di millenni e, tuttavia, razze giganti sono restate in mezzo al pullulare di piccoli uomini: i Sansoni e i Golia sono durati molto a lungo. Hoerbiger ci spiega la ragione di questo aspetto della caduta: durante il periodo asatellico Pleistocenico, certe razze collocate in circostanze sfavorevoli — cacciate dal Paradiso Terrestre dei tropici — si sono adattate a condizioni più dure, probabilmente nelle terre settentrionali. Così facendo, hanno acquisito, d’altra parte, qualità e difetti che più tardi permetteranno alle razze medie di sterminare gli ultimi giganti. Su questo aspetto fisico della caduta, avremo occasione di ritornare. Fin d’ora sottolineiamo che la Bibbia, come Platone, insiste fin dall’inizio su il lato morale della degenerazione umana, e dimenticare questo sarebbe perdere di vista lo scopo stesso di questo studio. Infatti, tutto sommato, che cosa ci importano i giganti e l’Atlantide? Questi pittoreschi racconti ci seducono e commuovono per la semplice ragione che rappresentano nella materia fisica del mondo avvenimenti spirituali e morali dell’avventura umana. Anche se non vi fossero mai stati dei giganti, anche se nessuna Atlantide fosse mai esistita, gli sconvolgimenti rappresentati in queste immagini tradizionali sono sentiti nel substrato, nei più intimi sentimenti, nelle nostre anime. Portiamo in noi un Paradiso perduto, una separata da ogni Adamo, un uomo perduto per ogni donna, un universo inghiottito. I più antichi racconti ci commuovono profondamente, perchè sentiamo in essi i medesimi desideri, le medesime nostalgie nelle anime dei nostri predecessori sulla Terra. Che cos’è la verità se non ciò cui l’uomo crede sempre? C’è sempre in queste antiche mitologie una quantità di forza e di sogno che non troviamo nelle invenzioni stesse della scienza e che eccitano un amore più profondo nelle nostre anime. E chi oserà dire che l’oggetto dell’amore non esista? La verità ha questa terribile caratteristica di essere totalmente incredibile. E di esigere quindi un atto di fede. CAPITOLO III TIAHUANACO Presso il lago Titicaca, nelle Ande, a circa quattromila metri d'altitudine, si trovano le rovine di diverse città ammucchiate l'una sopra l'altra. Fino al giorno d'oggi, l'esistenza di queste rovine è rimasta inesplicabile. I discepoli di Hoerbiger enunciano una tesi generale che permette di concepire come queste enormi pietre si trovino a quell'altezza, in una regione che dove la vita normale dell'uomo, è pressoché impossibile. Ma una esplorazione scientifica resta ancora da farsi. Alcuni caratteri rivelati rivelati fino a oggi costituiscono, presi nel loro insieme, una schiacciante conferma delle teorie di Hoerbiger, tanto più che la teoria generale dello scienziato viennese non deve niente, per la sua origine, a questa archeologia. Si è trovato che i calcoli di Hoerbiger sulla luna terziaria, sulla marea permanente e sulla caduta del satellite sono confermanti da una esperienza preistorica. Se le tesi di Hoerbiger di dimostrassero false, bisognerebbe inventarne altre, molto simili, per spiegare Tiahuanaco(1). Il primo fatto schiacciante è d’ordine geologico. Si è potuta studiare una linea di sedimenti marini che si stende ininterrottamente per quasi settecento chilometri. Questa linea comincia presso il lago Umayo, nel Perù, a circa cento metri d’altezza al disopra del livello del lago Titicaca, e passa a Sud di questo lago, a 30 metri al di sopra dell’acqua, e termina inclinandosi sempre più in basso, verso meridione, al di là dal lago Coipusa, 250 metri più in basso della sua estremità settentrionale. Inoltre, questa declinazione non è una retta, ma una curva. Per un quarto della distanza, la linea dei sedimenti discende di 30 centimetri per chilometro, e nell’ultimo quarto di circa 60 centimetri. Lungo questa linea vi fu quindi un mare. Quel mare non era orizzontale per rapporto al nostro orizzonte. La superficie di quel mare era curva, e molto più di quanto sia la superficie dei nostri oceani e della Terra in generale. I geologi hanno avanzato l’ipotesi di un innalzamento del continente sud-americano al di sopra del mare attuale. Tesi poco soddisfacente perché non si vede bene da dove sarebbe venuta la tremenda forza necessaria. 1) Tutto questo capitolo è un sunto del bel libro di H. S. Bellamy:Built before the flood-The problem of Tiahuanaco. Faber, London, 1947. Mentre le date sono tratte da libri più recenti:The calendar of Tiahuanaco by Bellamy and Allan, 1956. The Great Idol of Tiahuanaco pure di Bellamy and Allan, 1957. Inoltre, com’è possibile che questo sollevamento di un paese di montagna così accidentato abbia lasciato regolare una linea di sedimenti tanto lunga? Quella linea sarebbe stata spezzata in migliaia di frammenti non identificabili da un simile sollevamento. Infine, perché la linea di sedimenti presenterebbe una curva definita in modo così preciso? I cataclismi, regolari. anche lenti, non seguono affatto le geometrie La spiegazione di Hoerbiger è migliore. La marea permanente causata dalla vicina Luna Terziaria aveva accumulato l’acqua fino a quella altezza e l’anello che l’acqua formava era per legge naturale regolare e convesso, ed è durato un tempo sufficiente per depositare i suoi sedimenti sulle montagne già esistenti. Così, i presupposti del 1948 dei geofisici sono rispettati(1) Ora, questo antico lido passa davanti le rovine di Tiahuanaco, che era dunque, alla fine del Terziario, un porto sul mare. Le pietre stesse di queste rovine presentano caratteristiche che non si riscontrano in nessuna altra parte del mondo. La civiltà primaria delle Ande non rassomiglia a nessun’altra posteriore e le sue singolarità si comprendono soltanto se riferite a una data infinitamente antica. Ecco qui, per prima cosa, una pietra di circa 9 tonnellate, scavata sulle sue sei facce da incastri inspiegabili. Architetti d’ingegno e sapienti archeologi hanno trascorso inutilmente settimane a osservare questi incastri, gli scopi di questi fori geometrici. Questo monolito è alto tre metri e aveva una funzione ormai dimenticata da tutti i costruttori della storia susseguente. Si trovano portali di tre metri d’altezza, quattro metri di larghezza e mezzo metro di spessore, intagliati in un unico masso di pietra con porta e false finestre intagliate e sculture del fregio scolpite nel vivo: il peso supera 10 tonnellate. 1) Nel Settembre del 1956, P.M.S. Blackett, presidente della British Association, ha riferito al congresso annuale (Sheffield) che scoperte poste-riori al 1950 sul magnetismo delle rocce provavano, viceversa, che immensi cambiamenti erano avvenuti nella posizione e la forma dei Continenti. La geofisica entrerebbe così in un nuovo periodo, e nessuna delle date o delle teorie accettate prima del ’50 sarebbe valevole. Comunque, tutto questo non muta nulla per la nostra tesi principale sui giganti. Nel 1956, il dott. Pei, dell'Accademia delle Scienze di Pechino, ha scoperto oltre una cinquantina di resti di giganteschi ominidi (sia di uomini che di scimmie di 400.000 anni fa) nella Cina del Sud. La cifra da 300.000 a 500.000 testa accettabile per le razze gigantesche. Si trovano parti di muro che pesano 60 tonnellate. E si trovano per sostenere altri muri composti di pietre più piccole, massi di arenaria dal peso di oltre 100 tonnellate interrati sotto l’edificio. E, finalmente, ecco le statue gigantesche. Una statua scolpita in una sola pietra è stata trasportata al museo all’aperto di La Paz. Ha 8 metri d’altezza, un metro di spessore e pesa 20 tonnellate. Vi sono decine di statue di questo tipo e ricerche sistematiche non sono ancora state fatte. Ciò nonostante, in scavi appena abbozzati sono state trovate ossa umane in stratificazioni principali, in prossimità di ossa di „toxodonti“, animali scomparsi alla fine del Terziario. Ciò basterebbe a dare una data a questa civiltà, ma l’esame del calendario decifrato nel 1937 porta prove più precise, sebbene non più decisive. Le teste stilizzate di „toxodonti“, sono anche utilizzate nella decorazione dei portali e nella formazione del calendario. L’esistenza simultanea dei costruttori e degli animali terziari non sembra quindi possa essere messa in dubbio. Problema curioso: i monoliti scoperti sembrano essere stati messi in opera da giganti. Mentre le aperture, le porte e le finestre scalpellate, sono di proporzioni umane. E perché gli uomini si sarebbero messi spontaneamente a fare statue alte otto metri, intagliate in un solo masso di pietra? Il lavoro necessario è immane e sarebbe difficilissimo anche oggigiorno, con i mezzi a nostra disposizione. Non è più semplice pensare che queste pietre siano state lavorate dai giganti stessi, sebbene per l’uso e il buon esempio di uomini di proporzioni ordinarie? Vedremo come, per tradizione universale, le arti sono state insegnate agli uomini da "Dei-re-giganti". I circhi senza tetto potevano servire da sale d’assemblea dove il gigante parlava ai suoi sudditi. Più oltre esamineremo le gesta e le azioni dei selvaggi degenerati del Pacifico occidentale, che continuano a erigere monoliti qualche volta scolpiti in onore di antenati divini, i quali, un tempo lontano, erano stati i loro Re giganteschi. Anche la Bibbia, lo vedremo, ci parla di tribù della Palestina che avevano per Re dei giganti. Perché vi sarebbe stato un gigantismo delle statue se non vi fosse mai stato un gigantismo degli uomini? Ancora ai giorni nostri, i selvaggi di Malekula cercano di sottrarsi al compito di erigere monoliti e li sostituiscono con statue o anche semplici pali di legno, più leggeri da trasportare, più facili da scolpire. Valide e potenti ragioni hanno dovuto motivare la erezione dei giganti di pietra dell’isola di Pasqua. Lo stato di civiltà perfetta di Tiahuanaco, riflesso nel volto stesso dei colossi, ci spinge a immaginare che esse rappresentano uno dei punti di partenza dell'umanità. I colossi scolpiti sono stati eretti in comunità civilizzate, dove il lavoro si faceva in comune e in armonia, tra giganteschi e benevoli maestri e folle umane riconoscenti, così come sono state costruite le nostre cattedrali. Ma in queste comunità del Titicaca, le caste regali erano giganti e sembra che abbiano voluto anch’essi aiutare a fare il lavoro. Possiamo pensare che gli stessi Egiziani, allorché costruirono i loro colossi per i loro Dei-Re, si ricordarono dei tempi felici quando il gigante Osiride aveva loro insegnato la scultura, e pensarono che era necessario offrire al dio morto una statua delle sue dimensioni, in modo che egli potesse tornare senza trovarvisi impacciato. Ma prima di passare alle caratteristiche intellettuali e spirituali, insistiamo su un altro punto della strana civiltà dell’altipiano delle Ande. Tiahuanaco era un porto di mare, un porto d’acqua salata. Il lago Titicaca è salato e l’esplorazione geologica dei terreni circostanti non rivela sale che possa essersi accumulato nel lago. Il lago è salato perché è l’ultimo resto di un oceano scomparso, l’ultima pozza lasciata a seccare dal mare che scendeva. Le banchine del porto di Tiahuanaco esistono ancora e non sono a livello del lago, ma sulla linea di sedimenti che segnava la marea permanente del Terziario. Hoerbiger ha calcolato che la fascia che formava il sollevamento dell’acqua aveva sommerso cinque grandi isole: si tratta quindi di valutare i volumi di acqua, le altezze delle montagne e la forza di attrazione della Luna d’allora. Restavano al di sopra dell’oceano: le Ande del Titicaca, l’Alto Messico, la sommità della Nuova Guinea e il Tibet. Troveremo conferme quasi scientifiche nelle tradizioni dell’Antico Messico, con periodi suddivisi in un ordine pressoché geologico. Troveremo testimonianze tra i selvaggi della regione della Nuova Guinea. Avremo il diritto di pensare che i giganti mediterranei erano scesi dalle montagne dell’Abissinia, quinta isola. Possiamo legittimamente immaginare che gli uomini di Tiahuanaco, porto di mare, avessero navi che facevano il giro del mondo sul loro mare curvo. Una cultura che si stendeva a tutta la terra abitabile era unificata dai traffici marittimi. Come spiegare altrimenti le sorprendenti rassomiglianze? I cromlechs (1) del Morbihan e quelli di Malekula? I giganti dell’isola di Pasqua? Le leggende della Grecia e quelle del Messico? Frammenti degenerati di una alta civiltà probabilmente mondiale e che si può collocare circa trentamila anni or sono. Sul valore intellettuale di questa civiltà, abbiamo una preziosa testimonianza che sembra irrefutabile: un calendario scolpito sulla pietra. Mezzo conficcato nella melma disseccata, spezzato in due da una fessura in alto, ma tenuto insieme dal suo peso di dieci tonnellate, è stato trovato un portale scolpito, monolitico, alto e largo più di tre metri. Posnansky, il veterano degli studi archeologici boliviani, ha scoperto per primo che si trattava di un calendario e ha potuto determinare i segni dei solstizi e degli equinozi. Il tedesco Kiss, dopo studi sul posto nel 1928 e 1929 ha proposto nel 1937 il deciframento generale dei mesi e delle settimane. Infine, l’inglese Ashton nel 1949 ha interpretato e catalogato tutti i particolari del simbolismo che permettono la conoscenza precisa del funzionamento di questa „macchina scientifica“. Nel 1927, Hoerbiger, servendosi degli elementi che costituiscono le basi delle nostre conoscenze sulla rotazione della Terra, è arrivato alla conclusione che alla fine del Terziario la Terra girava intorno al Sole in 298 giorni, e ogni giorno aveva un po’ più di 29 ore nostre(2). Hoerbiger mori nel 1931 e i suoi calcoli sono negli archivi dell’Istituto Hoerbiger, a Vienna. Solamente nel 1937 Kiss è stato in grado di dichiarare che il calendario di pietra di Tiahuanaco contava 290 giorni. Siccome Tiahuanaco precede di forse cinquantamila o centomila anni la fine del Terziario, la differenza, in teoria, è .accettabile e diventa una prova di più. Fino ad oggi, nessun’altra interpretazione del calendario è stata prospettata, e l’analisi di Ashton, nel 1949, ha confermato interamente le scoperte di Posnansky e di Kiss. Si deve quindi ammettere, fino ,a nuove conclusioni, che i calcoli di Hoerbiger (fatti prima di qualunque interpretazione o anche prima della conoscenza approfondita del calendario), si sono dimostrati confermati dalle osservazioni fatte e registrate alla fine del Terziario. E, reciprocamente, i calcoli provano che è alla fine del Terziario che gli astronomi di Tiahuanaco hanno fatto le loro osservazioni. Ora, questo calendario è migliore del nostro. 1) Enormi pietre, monumenti megalitici, disposte in cerchio, talvolta attorno ad una più grande, che si trovano in Bretagna. I dolmens sono formati da tre massi, i cromlechs da uno.(N. d. T.) 2) Bellamy: op. cit., p. 105. Non è migliore di quello che i nostri astronomi potrebbero fare se li si pregasse di farne uno. Ma è migliore di quello quotidianamente in uso. Non possiamo certo dire che gli astronomi di Tiahuanaco fossero superiori ai nostri: non ne sappiamo nulla. Ma possiamo dire che il pubblico, per il quale questo calendario era stato fatto, era intellettualmente superiore al nostro pubblico e possedeva una migliore cultura scientifica. Il solo dato "scientifico" — in corrispondenza con l’osservazione — che il nostro calendario fornisce, è il numero dei giorni dell’anno. Ma i nostri "mesi" sono pura convenzione, non corrispondono a nulla. Essi non concordano in nessun modo con il corso della Luna. Perché abbiamo dodici mesi? Enigma. Inoltre, le nostre settimane sono sfalsate e non spiegano niente. I solstizi e gli equinozi, momenti decisivi del volgere dell’anno, non sono indicati dal nostro calendario, sono sovrapposti alla loro data, apparentemente per caso, il 20, 21 oppure il 22 di un mese. Infine, il nostro anno non comincia con nessuna coincidenza astrale e potremmo spostare questo inizio a nostro beneplacito senza inconvenienti: cosa che abbiamo d’altronde già fatta. Le nostre feste mobili, Pasqua e le altre, navigano in una amabile indecisione. Il calendario di Tiahuanaco comincia logicamente dall’equinozio d’autunno dell’emisfero sud. È diviso in quattro parti separate dai solstizi e dagli equinozi, i quali segnano così le stagioni astronomiche dell’anno. Ognuna delle quattro stagioni è divisa in tre sezioni, da qui le 12 divisioni, e da qui forse sono venuti fuori i nostri 12 mesi. Ma le suddivisioni dell’anno di Tiahuanaco erano di 24 giorni, e il satellite terziario girava esattamente 37 volte intorno alla Terra in 24 giorni. In tal modo, lo schema fatto una volta in un mese deimovimenti della Luna d’allora era valevole per tutti gli altri mesi. E si sapeva, guardando il calendario, dov’era la Luna in qualunque ora del giorno. Se oggi noi avessimo un calendario razionale, dovremmo ritrovare anche la medesima fase della Luna il medesimo giorno di qualunque mese. Ma qualcosa di ben più complicato si presenta a questo punto(1). Il satellite Terziario girava 37 volte il "mese" intorno alla Terra. Poiché anche la Terra gira, agli osservatori d’allora, sembrava che la Luna si alzasse e calasse solamente 13 volte. I due moti, quello apparente e quello reale, sono tutti e due indicati sul calendario di Tiahuanaco. A questo punto siamo obbligati a sentirci in stato di inferiorità. Da sempre o quasi, i nostri astronomi sanno bene che il movimento apparente della nostra Luna non è il suo movimento reale, poiché il nostro posto d’osservazione, la Terra, gira su se stesso. Ma la nostra civiltà si accontenta di stabilire il movimento apparente e di riportarlo, alla rinfusa, sui nostri calendari. Non siamo ancora arrivati a rendere le nostre masse sufficientemente colte per trasportare nel dominio di tutti questa distinzione tra il moto apparente e quello reale. Possiamo dedurre qualcosa di più sul valore morale e spirituale di questa civiltà? Il suo valore intellettuale non lascia dubbi, dopo l’analisi del calendario. Il valore artistico è ugualmente evidente. Non possiamo affermare che questi uomini, giganti od ordinari, fossero più sapienti di noi - (forse lo erano?) - ma, ad ogni modo essi ne sapevano di più di tutti gli uomini che ci hanno preceduti. Per quel che sappiamo, né gli Egiziani né i Greci né gli Indiani avrebbero potuto costruire questo calendario. L’orgoglio per le nostre scoperte del XIX e XX Secolo ci porta a crederci superiori agli uomini delle Ande del Terziario in fatto di conoscenze scientifiche. 1) Bellamy, op, cit., p.135 Ciò nonostante, non possiamo esserne certi. Come valore artistico, noi li giudichiamo superiori, così come giudichiamo superiori gli Egiziani. Credo che in nessun momento della civiltà europea, neppure al tempo del Rinascimento italiano, avremmo potuto produrre un capolavoro di scultura paragonabile al volto umano del colosso battezzato El jraite dagli Spagnoli e riprodotto in questo libro. Le linee del volto suscitano ai nostri occhi e al nostro cuore, un senso di sovrana bontà e di sovrana saggezza. Una armonia di tutto l’essere scaturisce dall’insieme del colosso, le cui mani e il corpo altamente stilizzati sono fissati in un equilibrio che è qualità morale. Riposo e pace emanano dal meraviglioso monolito. Se questo fu il ritratto di uno dei re-giganti che governarono quel popolo, si potrebbe pensare all’inizio della frase di Pascal: "Se dio ci desse dei governanti fatti di sua mano...". E se pensiamo che l’arte non deve imitare la natura, troviamo questo volto composto di linee geometriche dove nulla della forma umana resta in ogni organo: gli occhi sono dei cerchi, il naso una piramide, la bocca un ovale, la fronte un rettangolo, e il profilo è un perfetto pezzo di ellisse con una linea dritta per nuca. Tuttavia, una espressione di straordinaria forza emana dall’insieme, ed è difficile trovare volto cubista o rappresentazione posteriore agli impressionisti di cosi grande sensibilità artistica. Sia sotto l’aspetto figurativo realista sia di arte astratta, quella gente aveva artisti superiori ai nostri. Bellamy scrive: "Le teste scolpite mostrano fronti alte, visi aperti, arditi profili. C’è una testa, in particolare - forse la testa di un dignitario perché porta un copricapo ufficiale - che è indimenticabile. Sembra uscire dalla pietra dalla quale è stata tratta, impaziente dello scalpello dello scultore e ben sapendo che non perirà mai". Osserviamo qui una volta per sempre la differenza che c’è tra questi colossi e quelli che si trovano altrove, per esempio, nell’isola di Pasqua. A Tiahuanaco, l’intelletto europeo è superato. La stilizzazione è tale, l’elaborazione è cosi viva che non la comprendiamo perché il nostro spirito è abituato a un livello più basso. Questo si vede non soltanto nella maschera astratta che qui riproduciamo, ma, per esempio, nelle dita della statua. Invece, nei colossi pur cosi potenti dell’isola di Pasqua, il nostro spirito è abituato a un livello più alto: l’intelletto di questi scultori è inferiore al nostro, anche se sentiamo la loro anima più potente della nostra: il loro sentimento è più forte, il loro cervello più debole. Per contro, a Tiahuanaco siamo noi che risultiamo inferiori e per sentimento e per intelletto, ancora più che davanti alle statue dei primi Faraoni. Ma sul valore definitivo di questi esseri, di tutti quelli j della loro categoria, c’è un’altra testimonianza, ed è universale. In tutte le razze umane sono rimasti ricordi dell’età d’oro, durante la quale gli Dei potentissimi venivano a intrattenersi con gli uomini, insegnare loro l’agricoltura, la metallurgia, le scienze. E questa età d’oro è durata molto a lungo, e probabilmente gli uomini erano felici sotto la benevole dominazione dei super-uomini. I Greci ricordavano una età di Saturno che aveva preceduto le feroci guerre tra i giganti e gli Dei, e il nome di Ercole non era associato che a sentimenti di gratitudine, come quello del Titano Prometeo. Gli Egiziani e gli abitanti della Mesopotamia raccontavano anch’essi storie dei re-Dei che li avevano civilizzati. I selvaggi del Pacifico si attribuiscono per antenati i giganti buoni dell’inizio del mondo. Appare evidente in questa tradizione generale dell’età d’oro e degli Dei che regnavano, una confusa nozione residuo dei tempi felici delle origini. Le rovine di Tiahuanaco ci permettono anche di intravvedere la fine di questa età d’oro e di immaginare quello che avvenne in seguito, forse tra duecentocinquantamila anni e dieci o dodicimila anni prima della nostra epoca. Man mano che la Luna terziaria si riavvicinava troppo pericolosamente alla Terra, i mari erano sottoposti a una agitazione sempre più disordinata. Intorno a Titicaca si ritrovano tracce evidenti di tre diverse catastrofi: strati di cenere vulcanica, depositi di precedenti inondazioni e, infine, le prove della scomparsa definitiva del mare. C’è un luogo particolarmente impressionante(1) dove pietre semilavorate in grande quantità sono state abbandonate in disordine, utensili sono sparpagliati nella melma disseccata. Sembrerebbe che gli operai si siano dati precipitosamente alla fuga o siano stati sorpresi e annegassero mentre stavano lavorando. Poi il satellite girando intorno fini per sprofondarsi su tutto il contorno della Terra, distruggendo evidentemente tutto quello sul quale cadeva. Terminato questo bombardamento, il mare si ritirò press’a poco all’attuale livello, dato che l’attrazione del satellite era cessata. Anche l’aria si ritirò e andò a distribuirsi al di sopra di tutta la Terra. I sopravvissuti di Titicaca sentirono l’aria loro mancare, il calore abituale sparire: si trovavano adesso a più di 4000 metri al di sopra del livello del mare; non possedevano più mezzi di trasporto: le loro navi distrutte, spazzate via o diventate completamente inutili. Non avevano più di che nutrirsi: non arrivava più niente e non cresceva più niente. Certamente scesero dalle montagne, e si trovarono in pianure non ancora prosciugate nel continente immenso, appena liberato dalle acque. 1) Bellamy, op, cit., p.70 Prima che una terra adatta potesse trovarsi o crearsi e una vegetazione utile formarsi dovettero trascorrere secoli e millenni. Non soltanto tutta l’organizzazione sociale spari gradualmente, ma gli utensili non esistevano più, le macchine non potevano più essere costruite, gli scienziati stessi erano senza dubbio sperduti o scomparsi e le scienze dimenticate. Come narra Platone:"Essi e i loro discendenti si trovarono per molte generazioni privati delle più elementari necessità di vita e dovettero consacrare tutta la loro intelligenza all’unico scopo di procurarsi quello che soddisfava i loro materiali bisogni immediati". Adesso, possiamo generalizzare un po’. Logicamente questi avvenimenti accaddero intorno ai cinque centri civilizzati.¨ E dall’Abissinia, dalla Nuova Guinea, dal Messico, dal Tibet come dalle Ande, discesero uomini diventati quasi selvaggi e giganti, in procinto di perdere la loro civiltà(1). Abbiamo già visto (e più innanzi diremo con maggiori particolari) le spaventose lotte tra giganti e uomini, e quelle dei giganti tra di loro, e quelle degli uomini tra di loro, con tutte le alleanze, sante o diaboliche, inevitabilmente sopravvenute. Tutte le mitologie conosciute sono piene di ricordi delle epoche terribili che fecero seguito all’età d’oro. Alla caduta fisica, alla degradazione materiale, corrispondeva la caduta morale. Gli uomini, pronti ad accusarsi, finirono per trovare nella caduta morale la causa delle catastrofi fisiche. Platone, alla fine del frammento che ci resta del suo racconto, dice che gli Dei, scandalizzati dai crimini degli uomini, decisero di punirli. Ma com’è possibile che la perversità umana abbia potuto causare la caduta della Luna terziaria, predisposta e inevitabile già da miliardi di anni? 1) Nel 1956, furono scoperte da Rogers Grosjean (della Recherche Scientifique, Parigi) nel Sud Ovest della Corsica numerose statue gigantesche la cui bellezza e importanza hanno portato la Corsica al livello dei principali centri d’arte preistorica. Il prof. Daniele Ruzo, di Lima, ci ha scritto: "Dopo trentanni di studi e ricerche ho acquisito la certezza che il Perù è pieno di enormi sculture ed altre opere intagliate nelle rocce fatte da preistorici uomini giganti". V. pure: La Cultura Masma, Lima, 1954. Questa idea è assurda e, tuttavia, ha provocato, moralmente e intellettualmente più bene dell’idea inversa. L’uomo ha fatto paura a se stesso con questa concezione che gli Dei lo avrebbero punito per i suoi crimini. E chi può dire quanto questo lo abbia aiutato a uscire dallo stato di selvatichezza del Quaternario? Filosoficamente, bisogna andare oltre il problema. Non è la catastrofe che ha provocato la degradazione: si può concepire che se gli uomini fossero stati adeguatamente evoluti, sarebbero discesi dalle loro montagne dietro ai loro giganti-re e avrebbero preso possesso metodicamente della nuova terra. È in questo modo che Milton rappresenta Adamo ed scacciati dal Paradiso: guardano con coraggio, e anche con fiducia in Dio, il mondo diventato più vasto e magnifico, consegnato per la loro impresa. È che l’uomo non era ancora all’altezza di questo compito. Tuttavia, in molti campi, è riuscito a spuntarla. Nulla ci vieta di pensare che anche civiltà organizzate siano esistite attraverso il Quaternario, da trecentomila a dodicimila anni or sono. Sembrerebbe anzi assai probabile che sia stato così, altrimenti sarebbe difficilissimo concepire che puri selvaggi abbiano potuto conservare durante più di duecentomila anni ricordi di cui parleremo più avanti. Si può molto meglio immaginare dei paleolitici viventi in un modo molto semplice, ma ancora bene organizzati, infatti i loro disegni e le loro sculture nelle caverne dànno di essi un elevato concetto. E in altri luoghi, città hanno potuto essere riedificate e aver conservato a lungo l’antica scienza. E altrove ancora, in favorevoli circostanze per clima e suolo, comunità hanno potuto durare lungamente, sotto la tenda per così dire, nutrirsi di datteri e succhi, conservando e anche intensificando una vita spirituale e intellettuale che ben s’addiceva alla semplicità della vita materiale. CAPITOLO IV LE DECADENZE. LA NUOVA GUINEA Da qualche tempo è di moda fare discendere intellettualmente le diverse civiltà dai selvaggi, così come una volta si faceva discendere l’uomo dalla scimmia. In tal modo si spiegava - non citiamo nessuno - che le meravigliose spiritualità dell’Egitto delle prime dinastie provenissero dai totemismi dei primitivi, i quali avrebbero abitato la valle del Nilo circa diecimila anni or sono. Questa moda sta scomparendo e il tentativo assurdo di far uscire il più dal meno deve essere logicamente abbandonato. Tutto ci porta a credere che l’uomo, creato molto rapidamente, sia stato subito un essere superiore, sia per intelligenza che per spiritualità; e che catastrofi, interiori ed esteriori, l’abbiano fatto degenerare su certe parti della Terra, in date circostanze che intravediamo abbastanza bene. Probabilmente, vi sono sempre stati uomini molto civilizzati da che l’umanità esiste. I selvaggi, lungi dall’essere all’origine delle civiltà, sono residui delle sconfitte, evidentemente numerose, che l’umanità ha subito nella sua lunga carriera. Senza dubbio sono coesistite contemporaneamente comunità raffinate, artistiche, intellettuali, in una parola, "umane". Quando Malinovski (1) ci descrive un singolare traffico tra le isole del Pacifico che coprono una superficie uguale alla Francia, quello che dice si spiega molto meglio supponendo che un tempo vi fosse stato in quei luoghi un impero ormai scomparso. Infatti, quei selvaggi ancor oggi organizzano spedizioni, qualche volta rischiosissime, attraverso mari molto incerti, per trasportare da un’isola all’altra oggetti senza valore intrinseco, come: bastoni, vasi, anelli, utensili e impiegano parecchi anni per fare il giro dell’arcipelago e ritornare infine all’isola dalla quale erano partiti. La spiegazione più semplice di queste futili azioni sembra quella che, in altri tempi, questi uomini di buona fede dovevano radunare in qualche posto designato gli oggetti o le derrate che rappresentavano il loro tributo alle finanze di uno Stato centrale, probabilmente qualche occupante civilizzato. 1) Argonauts of the Western Pacific. Poi questo occupante è scomparso, lo Stato è crollato e i selvaggi hanno continuato a trasportare d’isola in isola oggetti il cui trasferimento non era più necessario. Indubbiamente, anche i selvaggi hanno dato sempre meno valore agli oggetti trasportati. Il rito assurdo è ciò che resta di una antica legge ragionevole. Sarebbe inutile attendersi che una legge ragionevole uscisse dal rito assurdo. Gli Egiziani avevano una concezione contraria alla nostra (e con ciò intendiamo la tesi citata della selvatichezza madre della civiltà). Essi dicevamo, come tutti gli antichi, che non i selvaggi ma gli Dei avevano insegnato agli uomini le arti e l’industria. Ed erano gli Egiziani del tempo di Erodoto e di Platone che lo dicevano, cioè uomini civilizzati da tre o quattromila anni, uomini civilizzati come noi, scettici come noi, decadenti come noi. Se noi ci siamo sbarazzati della nostra religione in cento o duecento anni, cosa hanno potuto essi fare in 3000 anni? Non abbiamo nessuna ragione di crederci più intelligenti di loro. Uno degli etnografi e psicologhi più rinomati del nostro tempo, John Layard (1) ha osservato a lungo e molto da vicino, i selvaggi di un gruppo di isole a Sud-Est della Nuova Guinea. Le montagne della Nuova Guinea, secondo la teoria di Hoerbiger, sono state uno dei rifugi della grande cultura umana durante l’alta marea permanente del Terziario. E poiché abbiamo tracce dell’attività marittima degli uomini di Tiahuanaco, le Ande e la Nuova Guinea sono state certamente in comunicazione tra di loro per decine di migliaia d’anni. Sotto l’impulso di capi giganti, doveva esserci una civiltà mondiale. Sarà la conferma di questa avventurosa ipotesi che cercheremo nelle scoperte di John Layard. 1) Gli indigeni del gruppo di Malekula continuano a innalzare megaliti e, fino a poco tempo fa, davano a queste monotone pietre sembianze umane. Le comunità villerecce partecipano tutte insieme a questi faticosi lavori, i quali - con lunghi intervalli di riposo - durano anni e dei quali si sta perdendo la tecnica. Layard ha assistito quasi all’ultimo stadio di questa attività. Stonomen of Maledilla. Cliatto-Windus, London, 1942. Né Malinovski né Layard sono responsabili delle idee generali qui espresse; essi si sono occupati di raccogliere fatti e racconti dei selvaggi. (E ci serviamo di nuovo della parola "selvaggio" sostituita sovente dalla parola "primitivo". Crediamo che quest’ultima contenga una idea totalmente falsa, poiché consideriamo il selvaggio come un decaduto di antiche civiltà. Il vero "primitivo" era un essere estremamente "civilizzato", come l’Adamo della Bibbia o l’Osiride egiziano) La troviamo e, pare, irrefutabile. Evidentemente, l’arrivo degli uomini bianchi porrà fine, qui come altrove, a tutto quello che resta di originale in vecchie tradizioni come queste. I megaliti sono pezzi durante le due volte con un magia femminile, luoghi prescelti. enormi. Uno, alto dieci metri, si ruppe in tre operazioni, e l’intero villaggio dovette tentare lungo intervallo di riposo e con l’appoggio della prima di riuscire a sistemare le tre pietre nei È ancora recente il tempo in cui questi monoliti erano scolpiti per rappresentare gli antenati. Le grandi pietre sono infatti le dimore degli spiriti dei morti ed è importante che uno spirito sappia riconoscere la propria figurazione. Questi "antenati" erano dunque, in origine, dei giganti. Ma l’arte di scolpire la pietra sta perdendosi. scomparsa in molte isole. Molto spesso, infatti, il viene più scolpito e si pianta davanti al blocco di un tronco d’albero scolpito in modo che rappresenti essere umano. Il pezzo di pietra e quello di legno insieme l’antenato. Ma il legno marcisce. Anzi, è già monolito non pietra grezza vagamente un rappresentano Allora, dopo poco, non restano che pietre erette che si trovano nelle pianure allineate a centinaia. Non vengono più rimosse, e gli spiriti, ormai abituati a una dimora fissa, (il pezzo di legno ha loro insegnato quale è quella eretta a loro intenzione) continuano a venire nella loro pietra, anche dopo che il legno è scomparso da anni. Altrove, la degenerazione è a uno stadio più avanzato. Gli indigeni pigri non erigono più le grandi pietre e si accontentano di un palo scolpito che, spesso, finisce per essere solo un rozzo bastone. Viceversa, in certe isole il legno ha assunto maggiore importanza. Il palo di legno è diventato un "gong" verticale che può avere quattro o cinque metri di altezza, naturalmente vuoto internamente e spaccato davanti fino quasi alla sommità, che è, quest’ultima, a forma di volto. Vere orchestre sono formate da questi gong e nelle grandi foreste, tutti insieme, il rumore è meraviglioso: le voci degli "antenati" possono così farsi sentire da tutti. Ma le statue, di monoliti o di legno, sono solo un elemento di una figurazione caratteristica. Normalmente, davanti alla grande immagine di pietra dell’antenato, è collocato un dolmen di un metro o un metro e mezzo, fatto generalmente di tre pietre, ma spesso più composito. Su questo dolmen, che è la tavola del gigante, si sacrificano maiali allevati in modo particolare. E Layard non ha fatto fatica a scoprire che non molto tempo fa erano uomini che venivano offerti per nutrire il gigante. Poiché il menhir è il gigante e il dolmen è la tavola sulla quale egli mangia. Il dio vi ucciderà se non gli offrirete il sacrificio. I maiali sono sacrificati affinché "l’antenato" non venga a prendere gli uomini. Ma l’idea che un merito molto più grande venga acquisito quando un uomo è offerto è radicata nello spirito degli isolani. La presenza dei bianchi e delle loro navi da guerra sono il solo ostacolo alla continuazione di questo "cannibalismo sacro". Diagramma di un insieme: menhir, dolmen, statua di legno. Si può anche vedere nell’arrivo dei bianchi la causa primordiale della degenerazione dei riti. Anche senza l’intervento delle forze armate dell’Europa, il negro, a contatto dei bianchi, perde quella sorta di potere psichico che prima possedeva, perde interesse per le sue vecchie pratiche e, in brevissimo tempo, degenera. Certamente, la legge dei bianchi che proibisce il cannibalismo e vieta i sacrifici umani con severi castighi, ha un effetto importante, ma l’influenza psichica è più sottile : i bianchi fanno la figura di nuovi "Dei" e gli antichi Dei spariscono davanti a loro. I Romani, con la forza delle loro legioni e quella scetticismo, soppressero i sacrifici umani - che si facevano anche davanti a colossi di legno, di pietra o di metallo. statura è il simbolo del dio - il "dio" non era che la degenerata dei giganti d’altri tempi. dello spesso L’alta forma Così si spiega il fatto che riti, che erano sopravvissuti per decine di migliaia d’anni, scompaiono rapidamente davanti a noi, davanti alla nostra mentalità più ancora che alle nostre armi. Noi togliamo al selvaggio ciò che gli permetteva di vivere spiritualmente - senza dubbio abbiamo diritto e ragione per farlo ma poiché la morte fisica segue la morte morale, è facile prevedere prossima la scomparsa totale del selvaggio. La nostra immaginazione ha appena bisogno di mettersi in movimento per interpretare i fatti riportati da Layard. Le spiegazioni ci sono fornite dagli stessi indigeni i quali narrano che in una antichità assai remota, vi furono dei giganti benevoli i quali civilizzarono gli uomini, insegnarono loro le arti, utili o estetiche, la scultura in primo luogo: l’erezione delle statue dei re. Poi, vennero i giganti cattivi e cannibali e fu necessario mettere tavoli, di pietra davanti alle loro statue e offrire uomini in pasto. Tagaro, che era buono, era venuto dal cielo. Suque, che era cattivo, lottò contro Tagaro e fu precipitato nell’abisso: come in Grecia i giganti cattivi furono fatti precipitare dagli Dei buoni. Poi tutti i giganti scomparvero, ma gli uomini terrorizzati continuarono a diffidare di loro erigendo statue e offrendo sempre le vittime. E adesso i bianchi arrivano, e tutto questo cessa. La testimonianza dei negri di Malekula è scritta nei megaliti, le teorie di Hoerbiger ricevono una evidente conferma. Conferma orale anche, forse ancora più sorprendente, con la trasmissione dei miti attraverso gli abissi del tempo: e questo ci conduce a pensare che non è passato molto da quando degli Dei civilizzati insegnavano la loro religione a quei selvaggi. Infatti, Layard ha raccolto certe leggende curiosamente hoerbigeriane. All’inizio, il mondo e gli esseri viventi furono creati dalla Luna. Gli uomini caddero dalla Luna (1). Ancora adesso, le anime degli uomini sono formate nella Luna donde discendono nel seno della loro madre. Anticipazione della teoria dei raggi cosmici e delle mutazioni repentine, oppure residuo sfigurato di un antico insegnamento? La Luna, in tutti i casi, occupa il primo posto in questa antropologia. E, d’altra cadere(2). parte, vi è la cognizione che la Luna può anche Infine, strabiliante cosa presso quei popoli marinari essi raccontano che all’origine non c’era il mare - tutto era terra - e un giorno, all’improvviso, sopraggiunse il mare e si stabili al posto che occupa adesso. Riepilogo della teoria di Hoerbiger sull’invasione delle pianure del Pacifico emerse quando le acque erano rigonfie verso settentrione e sommerse tutto di un colpo quando, caduta la Luna, le acque si stesero su tutte le pianure. Layard trovò ugualmente reminiscenze di scienze sperimentali diverse dalle nostre. Ed essendo quei negri assolutamente incapaci d’inventare alcuna scienza, osservazioni e pratiche sono verosimilmente conseguenza di tradizioni molto più antiche di uomini civilizzati non nel nostro stesso modo. Arriviamo così a una indicazione senza dubbio vaga ma abbastanza valida di ciò che era la scienza del periodo terziario. E questa indicazione sarà confermata al Messico, e in seguito da tutte le altre tradizioni. Dopo sir James Frazer in Inghilterra e Durkheim in Francia, era di moda considerare le pratiche di magia dei negri come puramente futili e basate su associazioni di idee puerili e senza fondamento. 1) Layard cita il padre Godefroy: Una tribù caduta dalla Luna, Les Missions Catholiques, Lyon, 1933. 2) Layard, op. Cit., p. 273 e p. 572. Ma, dopo più attente e precise osservazioni si è scoperto che le pratiche magiche hanno qualche volta effetti precisi e controllabili, non sono dovute unicamente all’immaginazione dei selvaggi. Le cose si presentano piuttosto come se i negri fossero in possesso di certi frammenti di scienza un tempo bene organizzata e come se questi frammenti, utilizzati da cervelli poco adatti, fossero deformati e intaccati da errori, ma capaci di essere qualche volta ancora efficaci. John Layard scrive (1): "In certe circostanze, l’efficacia della magia che deve produrre il bel tempo o la pioggia, può non essere così illusoria come generalmente si crede. In Europa, è di moda da parecchi secoli non riconoscere la potenza della psiche umana sui fenomeni della natura. Le ricerche moderne hanno adesso in parte provato la realtà dei fenomeni d’ esteriorizzazione dell’energia psichica, benché vi siano pochissimi uomini che sappiano produrre questi fenomeni. Inoltre, è accertato che certi primitivi, dei quali Yego è meno differenziato di quello dell’uomo moderno, sono in contatto con forze collettive che l’uomo moderno non conosce qua si più e che certi maghi, particolarmente dotati, hanno una tecnica ben definita per utilizzare tali poteri. Maghi che sappiano produrre o disperdere temporali, esistono in tutte le parti del mondo, è noto che essi si preparano con lunghi periodi di digiuno ed esercizi psichici. Non è probabile che tanta energia possa essere stata spiegata da tanti indigeni particolarmente sviluppati, in tanti luoghi e per tanti secoli se non si fosse mai ottenuto nessun risultato. Di conseguenza, io propongo di accettare questa idea, non perché tutti i fenomeni atmosferici sono soggetti a potenza umana, ma perché, in certe circostanze favorevoli, il collegamento tra lo spirito primitivo e le forze della natura può essere tale che un contatto può essere stabilito tra le parti inferiori della coscienza e, in un certo grado, la volontà umana può avere un effetto sul tempo che fa (2). 1) Op. Cit. 2) John Layard è dottore in medicina di Cambridge e ha ottenuto In Imirca honoris causa di Oxford dopo la pubblicazione di questo libro, f uni) degli psichiatri più famosi d’Inghilterra e, inoltre, cristiano convinto. (JiirMn, perché si possa apprezzare tutto il valore della sua testimonianza, iimvulidutn, anche, da Deacon, altro eminente scienziato, in Malekula, 1.1 union, 1934. – Vedi anche: Paramhansa Yoganada, Autobiography of a Yogi. The Philosophical Library, New York. (N.d.T.) E Layard dedica tutto un capitolo a un esame delle tecniche della magia del Pacifico dell’Ovest (XXIX, p. 628-648), come contributo agli studi delle forze psichiche ancora utilizzate da certi popoli primitivi". Ciò nonostante, risulta dall’osservazione che questi procedimenti magici sono lontani dall’essere sempre efficaci. I risultati possono essere appurati, ma assai di rado, e soprattutto l’esame degli stregoni, anche i più esperti, rivela che non conoscono le ragioni né dei loro successi né dei loro insuccessi. Sono tutti apprendisti stregoni simili a quei negri, ai quali abbiamo insegnato a guidare l’automobile e in caso d’incidente sanno talvolta riparare i guasti più semplici, ma non comprendono veramente come la macchina possa funzionare né perché non funzioni. La limitata efficacia e la mancanza di teoria, messe in rilievo da Layard e da Deacon, mostrano che questi stregoni sono soltanto cattivi allievi di una scienza che li supera di molto, e che l’eredità raccolta dai maestri di un tempo si limita a qualche procedimento pratico. Qualche volta noi chiamiamo scienze psichiche elementi ancora incerti ottenuti da cercatori temerari. Scienziati di chiara fama se ne sono talvolta occupati. Moderni analisti della psicologia guardano questo lato con interesse. Ma in Europa e in America il vocabolo „scienza“ non può ancora applicarsi a simili osservazioni. Se le indicazioni date qui, e nei capitoli successivi, sono in qualche modo fondate, possiamo pensare che vi fu in altri tempi una civiltà nella quale esistevano veramente le "scienze" psichiche. La testimonianza di tutta l’antichità classica si unisce a quella dei selvaggi d’oggi per affermare la realtà dei fenomeni psichici. Forse, le antiche civiltà erano diverse dalla nostra perché la loro scienza era soprattutto „psichica“, mentre la nostra è soprattutto "fisica". Verrà forse il giorno in cui saremo costretti ad ammettere la realtà, e anche la necessità, dei due generi di scienza. Forse i selvaggi sono vissuti fino ai nostri giorni per portarci la loro testimonianza prima di scomparire, e per consegnare alle nostre intelligenze la cura di riprendere e di rilevare i frammenti delle più antiche conoscenze umane, quelle che le tradizioni attribuiscono ad Adamo prima della caduta. Lo scatenarsi, che diventa terrificante, della nostra scienza fisica, necessita certamente influenze di ordine del tutto diverso. Come certe leggende narrano, gli uomini dell’Atlantide perirono per la troppa scienza psichica e noi, forse, siamo in pericolo di perire per la troppa scienza fisica. È necessario trovare un equilibrio, sotto una più alta autorità. CAPITOLO V TESTIMONIANZE. I TOLTECHI I Toltechi abitavano il Messico, quindi il territorio di una delle cinque grandi isole dell’anello che formavano le acque del mare alla fine del Terziario. Erano agli antipodi di Malekula. Sappiamo di loro solo ciò che alcuni cronisti del tempo della conquista hanno riferito. Adesso lasciamo parlare Vaillant, la più recente delle autorità americane (1). La storia orientale (dei Toltechi) scritta da Ixtlilxochitl, comincia, come s’addice, dalla creazione del mondo e cita le quattro o cinque epoche, chiamate "Soli" per le quali il mondo è passato. La prima epoca – il Sole dell’Acqua - si sviluppò quando il Dio supremo, Tloque Nahuaqua, creò il mondo; dopo 1716 anni, inondazioni e fulmini lo distrussero. La seconda epoca - il "Sole della Terra" - vide il mondo popolato di giganti, i Quinametzini, che scomparvero quasi interamente perché i terremoti distrussero la Terra. Il - "Sole del Vento" fu la terza epoca e gli Olmechi e gli Xicalancas, razze umane, vivevano sulla Terra. Uccisero i giganti che erano sopravvissuti, fondarono Cholula e s’inoltrarono fino a Tabasco. Un personaggio miracoloso chiamato Quetzalcoatl o, anche, Huemac apparve in quel tempo e insegnò agli uomini la civiltà e la morale. Quando vide che il popolo non voleva accettare i suoi insegnamenti, predisse che tempeste avrebbero distrutto il mondo, gli uomini sarebbero stati cambiati e, lui, se ne tornò verso l’Est. Tutto questo si avverò. La quarta epoca è la nostra e si chiama il "Sole di Fuoco" e avrà termine con una grande fiammata generale. Ecco qui un quadro quasi scientifico, alla maniera di Hoerbiger. Ritroviamo anche la classificazione geologica: il Primario prima dell’uomo; il Secondario con la creazione dei giganti; il Terziario con gli uomini ordinari che vivono insieme con i giganti; 1) G. C. Vaillant: The Aztecs of Mexico, Pelican, London, 1950, p. 67-68. il Quaternario che è la nostra epoca, senza giganti; i giganti buoni rappresentati da Quetzalcoatl; e la degenerazione degli uomini trasformati in scimmie (quando il re-dio se ne andò); il motivo morale dell’ultima catastrofe; le tre catastrofi precedenti e l’ultima, la catastrofe quaternaria, ancora da venire. In conclusione: un riassunto di tutto quello che noi abbiamo detto fin qui. Qualche frammento di narrazione su questi grandi avvenimenti fu conservato al Messico: "Durante il grande cataclisma che si concluse con un diluvio, Xelhua, della razza dei giganti, e i suoi sei fratelli si salvarono rifugiandosi su una alta montagna che essi consacrarono al dio dell’acqua, Tlaloc. Per commemorare questo avvenimento e mostrare la loro gratitudine al dio, ed anche per avere un rifugio in caso di nuovo bisogno se un nuovo diluvio si fosse prodotto, Xelhua costruì un zacauli, un’altissima torre che doveva salire fino al cielo. Ma gli Dei si offesero per questo orgoglio e lanciarono dal cielo fuoco sulla terra e un gran numero di operai perirono. Questo è il motivo per cui la piramide di Cholula non fu terminata (1)". Ritroveremo spesso questa associazione tra i giganti e le montagne; fino nel folclore e i racconti più vicini a noi, i giganti continueranno a scendere dalle montagne o a rifugiarvisi, secondo necessità. Oltre questa sorprendente tradizione, non sappiamo quasi nulla dei Toltechi; ma la conferma che essi portano, intellettualmente, alle teorie di Hoerbiger, è schiacciante. E la concordanza della loro testimonianza con quella di Malekula, non fa che renderla più convincente. Abbiamo pietre e riti che ci aiutano a ricostruire il passato e uno schema intellettuale trasmesso di secolo in secolo, senza alcun motivo se in esso non fosse racchiusa una parte di verità. Qualcosa della civiltà terziaria è sopravvissuta sugli altipiani del Messico, uomini che sapevano che questa civiltà era terminata, e che narravano la distruzione fatta da Quetzalcoatl e la degenerazione degli uomini in scimmie o selvaggi. Vi fu un seguito, poi, con alti e bassi, probabilmente fino all'arrivo degli Spagnoli. E si affaccia un problema che gli storici non hanno mai ben posto né ben risolto. Come è mai possibile che alcune centinaia di Spagnoli abbiano potuto vincere centinaia di migliaia di soldati messicani? Gli Aztechi e i loro alleati erano coraggiosi, allenati e bene armati. 1) Bellamy: In the beginning, Faber, London, 1947, p. 172. Indubbiamente non così bene armati come gli Spagnoli, ma tuttavia molto bene: e di Spagnoli ne uccisero in quantità. D’altra parte, nell’ultima grande battaglia, gli Spagnoli non avevano quasi più cavalli né polvere da sparo ed i guerrieri aztechi avevano già conoscenza del modo di combattere degli Spagnoli, delle loro armature, delle armi da fuoco. Montezuma e la predizione. Prescott, il grande storico della conquista, ammette che l’esercito di Tezcuco si comportò molto bene e sarebbe arrivato a sterminare gli ultimi Spagnoli, se non ci fosse stata "l’influenza della fortuna". E allora? La spiegazione è su un altro piano. Gli Aztechi perirono a causa della loro scienza psichica, esattamente come noi siamo esposti a perire per la nostra troppa scienza fisica. Tutti i testi, ed anche le illustrazioni del Codice fiorentino, confermano che l’imperatore Montezuma aveva consultato gli Dei, aveva previsto l’avvenire, sapeva che sarebbe stato ucciso, che il suo impero sarebbe stato distrutto e che gli Spagnoli avrebbero trionfato. Ed era vero. La scienza psichica facendogli conoscere la verità lo aveva annichilito prima ancora di combattere, lui e tutti i suoi soldati. Tutti sapevano in anticipo che i loro sforzi erano vani: era una lotta inutile la cui conclusione era già stata predisposta dagli Dei: erano comparse che non potevano evitare la disfatta e la morte. I racconti dell’ultimo assedio della città di Messico sono patetici. Gli Aztechi sanno che morranno, ma continuano a recitare la loro parte, a morire, a subire la totale distruzione. In nessun momento essi credettero di dover vincere quella guerra. E avevano ragione. Erano come chiusi in un cerchio: sapevano che erano condannati ed è perché lo sapevano che erano condannati. Viceversa, avrebbero avuto tutte le probabilità di trionfare se non avessero saputo che dovevano essere vinti. Sarebbe stato molto meglio per loro se non fossero stati in condizione di prevedere l’avvenire, così, forse, sarebbe molto meglio per noi se non sapessimo costruire bombe atomiche. La Scienza può essere nefasta. Montezuma e i suoi perirono a causa della loro scienza psichica, e noi siamo forse in procinto di perire a causa della nostra scienza fisica. Questa preconoscenza del disastro si riflette nell’Arte e l’atteggiamento stesso degli Aztechi, una forza di fatalismo irrimediabile che ci impressiona quando guardiamo le loro meravigliose sculture o leggiamo i racconti delle loro azioni, che altro non sono che " Passione di Cristo". Fino adesso abbiamo accennato a Malekula, una delle ultime e più lontane frange di questa scienza che noi cerchiamo di collocare nel Terziario; al Messico, all’altra estremità, noi abbiamo toccato qualcosa che è dello stesso tessuto. Come Layard sostiene che qualche volta si può influenzare l’atmosfera, noi sosteniamo - dopo l’esperimento di Montezuma - che qualche volta si può conoscere l’avvenire, sebbene sia preferibile non conoscerlo. Siamo molto vicini all’idea che la scienza è talvolta "vietata". E un altro elemento della Genesi balza ben vivo alla nostra mente: l’Albero della conoscenza. CAPITOLO VI LA BIBBIA I passaggi della Bibbia nei quali i giganti sono menzionati presentano caratteri di autenticità sui quali non si è sufficientemente insistito. Nel mondo intero si trovano leggende che narrano di giganti. In particolare, i Greci ci hanno lasciato la loro testimonianza con credenze molto più antiche della letteratura. Ma quasi ovunque - salvo presso alcune tribù pochissimo sviluppate - quello che è detto sui giganti è confuso con mitologie inaccettabili dal punto di vista storico. I giganti dei Greci, Atlante, Prometeo, i Ciclopi e gli altri sono troppo confusi con gli Dei. Noi non possiamo credere a Urano, a Saturno che divora i suoi figli, né a tutta quella antichissima epopea che, tuttavia, è proprio l’ambiente dei giganti greci. Abbiamo bisogno che questa mitologia sia spiegata. E quando questa spiegazione è fatta - con l’aiuto di idee venute da altrove - essa non diventa che un elemento di secondaria importanza. Nella Bibbia, al contrario, i testi relativi ai giganti non dipendono da altri. Vi si rintracciano informazioni concrete: come quel letto di ferro di un gigante di cinque metri di lunghezza che si poteva vedere ancora a Rabbath "presso i figli di Ammone" (Deuteronomio, III, 3-11). Non v’è mitologia nella Bibbia: sono fatti narrati. Ci si può rifiutare di accettarli, considerarli incredibili, ma le narrazioni non sono falsate per il bisogno di sostenere una tesi. I giganti citati dalla Bibbia non provano nulla. Quei giganti non sono necessari a Jehovah, come i giganti greci sono necessari alla saga di Saturno e di Giove. Nessuna necessità mitologica o religiosa è in quei riferimenti. Si possono sopprimere senza nuocere la teologia, anzi intralciano l’esposto e non hanno creato che difficoltà per i teologi. Le citazioni sui giganti sono distribuite nelle varie parti, spesso senza connessione logica, fuori luogo - la Genesi VI; i Numeri XIII; Il Deuteronomio III; Giosuè XII e XIII, XV, XVII; Samuele 2, XXI; le Cronache 1, XX; il Libro di Giacobbe XXVI; l’Apocalisse XX - e in condizioni che molto spesso permettono di considerare che parecchi di questi riferimenti nel testo sono indi- pendenti gli uni dagli altri. I passi relativi ai giganti presentano tutte le caratteristiche di citazioni di episodi storici autentici. Essi, infatti: sono precisi e concreti; non sono necessari alla tesi storica o mitologica; non provano nulla; si presentano come fatti; sono inseriti in capitoli con i quali non hanno quasi nessun riferimento e se venissero soppressi, nulla sarebbe perso nella narrazione; sono brevissimi, gettati a casaccio, senza importanza particolare; provengono da redattori diversissimi nel tempo e nello spazio, e spesso senza relazione tra loro. È importante sottolineare che questa integrità biblica dipende da una predominanza spirituale. Non si è abbastanza insistito sulla predominanza dello spirituale nel dominio intellettuale. I redattori ebraici hanno riportato esattamente quello che sapevano, perché erano sicuri dell’esistenza di un Dio unico e convinti della non esistenza degli "Dei". La Bibbia mette i giganti al loro posto di giganti. I Greci, invece, li confondono necessariamente con gli Dei e i giganti s’imparentano con gli abitanti dell’Olimpo passando dalla storia nel mito. Ugual cosa ritroviamo presso i Siriani e gli Ittiti. Ma i giganti della Bibbia sono puramente e semplicemente giganti. La distinzione è semplice: il gigante può essere ucciso, il dio non può esserlo. Da quando a Ras Shamra si trovarono le tavolette che narrano che Baal fu ucciso dagli invasori, si è in diritto di concludere che Baal non era originariamente un dio, ma un semplice gigante come quelli degli Ebrei. Nello stato medio evoluto che noi conosciamo, presso le tribù selvagge di Malekula, Layard trovò dei megaliti eretti a giganti antenati. L’idea di Dio non era ancora apparsa. I giganti furono promossi al rango di Dei in tarde epoche, e questa ascesa non ha potuto compiersi nello spirito degli Ebrei perché la loro intelligenza era retta da una idea spiritualmente superiore: l’idea del Dio unico. Ed ecco perché gli Ebrei ci hanno trasmesso nelle loro narrazioni i fatti dalla tradizione con meno deformazioni degli altri popoli civili: Greci, Egiziani, Siriani, Ittiti. Perché, dunque, questa testimonianza biblica non è accettata? Per due ragioni: in primo luogo, la possibilità della esistenza dei giganti non è scientificamente ammessa e, secondo: mancano adeguate conferme provenienti da altri popoli, dato che i riferimenti provenienti dal folclore mondiale restano, tutto sommato, soggetti a dubbi e acquistano valore sufficientemente provato. soltanto quando il fatto base è Ora, la ricerca scientifica moderna ha tolto di mezzo queste obiezioni e troviamo la conferma della veracità dei racconti biblici sui giganti. Il cardinale Newman ha fatto osservare che spesso non sono le obiezioni dell’intelligenza che ci impediscono di accettare un’idea, ma più semplicemente l’insufficienza d’immaginazione. Davanti ai giganti, siamo paralizzati per difetto d’immaginazione, non dalle proteste dell’intelligenza. Il gigantismo è un fatto scientificamente accertato nei diversi periodi geologici. Alla fine dell’Era Primaria, vi fu un gigantismo vegetale che produsse quelle piante che poi dettero il carbon fossile. Alla fine del Secondario, vi furono i gigantismi sauriani, diplodocus e altri. Alla fine del Terziario, vi furono mammiferi giganteschi come i mammut ed è possibilissimo che l’uomo scimmiesco, alto quattro metri, i cui resti sono stati trovati da von Koenigswald nel 1946, facesse parte di questa promozione dei mammiferi alla statura di giganti. Fino ad oggi, sono stati trovati tre di questi resti di mascelle umane gigantesche: uno nel Sud Africa, uno a Giava, uno nella Cina del sud. Bellamy sostiene che i giganti inciviliti erano troppo intelligenti per lasciarsi prendere nelle zone allora pericolose dove adesso sono stati ritrovati i fossili. La teoria di Hoerbiger non è generalmente accettata, sebbene un sempre maggior numero di scienziati sìa disposto a prenderla sul serio in qualche suo aspetto, specialmente quelli che si occupano di folclore e di mitologia che hanno trovato in essa spiegazioni che fino ad oggi mancavano. Non è, d’altronde, necessario accettare questa teoria nella sua totalità per giustificare l’esistenza dei giganti. Da un punto di vista del tutto diverso, un celebre psicochimico americano, H. C. Urey, ha pubblicato nel 1952 un libro sulla origine dei pianeti, nel quale pone le basi di una teoria meno estesa ma che è sufficiente per la tesi che qui presentiamo. La Luna, data la sua composizione chimica, non sarebbe un frammento staccatosi dalla Terra o dal Sole, ma un corpo formatosi per l’accumulo di materiale interplanetario. Così, i pianeti avrebbero origine indipendente e un piccolo pianeta, entrando nel campo di gravitazione di un pianeta più grande, sarebbe captato e diventerebbe satellite, ossia come nella teoria di Hoerbiger. Questa teoria dell’evoluzione planetaria non negherebbe la produzione dei giganti, poiché i fenomeni posteriori alla attrazione e cattura dei pianeti piccoli nell’orbita dei grandi sarebbero gli stessi enunciati da Hoerbiger. Un’altra testimonianza ci viene, del resto, da Erodoto, e ciò non può che confermare la recente tendenza presso gli studiosi della Preistoria di avere sempre maggior fede in quello che è narrato negli antichi testi. Erodoto dice infatti (II, 142) di aver saputo dagli Egiziani che essi conservavano nei loro archivi le relazioni storiche di un antico evento astronomico, ossia: per due volte, in due diversi periodi della più remota antichità, il Sole era sorto a Ponente e tramontato a Levante. Questa narrazione, fino ad oggi incomprensibile, diventa estremamente significativa se si considera, con Hoerbiger, che quando il satellite si è avvicinato a circa quattro raggi terrestri, la rapidità di rotazione della Luna supera la rapidità di rotazione della Terra e il movimento apparente della Luna intorno alla Terra è sostituito dal movimento reale che, come si sa, è infatti da Ponente a Levante. Questa Luna, allora luminosa come il Sole e con un diametro apparente tre volte più grande di quello del Sole, sembra essere il Sole e fa passare quello vero al secondo rango. Erodoto riferisce che gli Egiziani erano a conoscenza di ciò che era avvenuto alla fine del Secondario e alla fine del Terziario, quando il Sole - cioè la Luna brillantissima e più grande del Sole - si è infatti levato a Ponente per scendere a Levante. È durante questi periodi che i .giganti sono stati prodotti. La prima ragione che impediva di credere ai giganti, ossia la ragione scientifica, è adesso scossa. Erodoto, unito a Hoerbiger o ad Urey, apre una nuova visione su uno dei punti più curiosamente controversi: l’arresto del Sole nel cielo nei racconti di Giosuè. E forse anche sul passaggio degli Ebrei nel mar Rosso prima della distruzione dell’armata egiziana nello stesso luogo. Siamo nel regno dell’immaginazione. Si deve ammettere che i narratori biblici conoscevano antichissime tradizioni che hanno poi applicato ad eventi più recenti. Tra il periodo in cui la Luna più brillante del Sole (e chiamata quindi "sole ") sorge a Ponente e quello in cui sorge a Levante, vi è secondo Hoerbiger, un "periodo di fissazione", durante il quale la Luna gira alla stessa velocità della Terra e, quindi, resta in permanenza allo Zenit (se l’osservatore è in Abissinia) o, comunque, in un punto fisso del cielo. Questo periodo di fissazione del satellite è potuto durare decine di migliaia d’anni, fra trecentomila e duecentomila anni fa. Il ricordo, sminuito dai posteri increduli, è potuto pervenire ai redattori biblici che l’avrebbero adattato alla vittoria di Giosuè. Per ciò che riguarda il ritiro delle acque del mar Rosso, bisognerebbe collocarlo al tempo della cattura della Luna attuale da parte della Terra. Allora, la Luna ha provocato il risucchio dei mari scoprendo fondali tra i quali, certamente, l’ansa nord del mar Rosso, vero fondo di sacco. Ma questo fenomeno durò pochissimo e le acque rifluirono. Così gli Ebrei poterono attraversare all’asciutto il fondo del mare mentre l’indomani gli Egiziani annegarono. Questo evento sarebbe accaduto undicimila anni circa prima della nostra era, contemporaneamente alla ipotetica sommersione dell’Atlantide di Platone (1). I TESTI BIBLICI Vediamo adesso un po’ più da vicino quello che dicono la storia e la preistoria nelle loro più recenti scoperte. In primo luogo, i testi della Bibbia: Giacobbe, XXVI, 5 (Dio distrugge i giganti): I Refaims, gli esseri morti, sono sotto l’acqua e abitanti della Terra. gli antichi Apocalisse, XX, 10 (Gog e Magog: Il fuoco scese dal cielo di Dio e lo divorò (Si possono ritrovare qui i cataclismi della fine del Terziario). Genesi, VI, 1-4: E avvenne che gli uomini cominciarono a moltiplicarsi nacquero loro delle figlie. - e che Che i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e presero per moglie quelle che loro scelsero. E il Signore disse: "Essi vivranno fino a centoventi anni". E in quel tempo sulla Terra vi erano dei giganti e in seguito, quando i figli di Dio si unirono con le figlie degli uomini ed ebbero dei figli, questi figli divennero uomini potenti e furono celebri eroi nell’antichità. Numeri, XIII, 33: E li, noi vedemmo i giganti, i figli di Anak che discendono dai giganti, e ai nostri occhi, noi eravamo davanti a loro come delle cavallette - e ai loro occhi, noi eravamo come delle cavallette. Gli uomini distruggono i giganti: Deutoronomio, III, 3-11: Il Signore consegnò nelle nostre mani anche Og, il re di Basham e 1) I particolari, molto tecnici, si trovano nel libro di Bellamy: A Life history of our earth, Faber, London, 1951. tutto il suo popolo... E noi prendemmo tutte le loro città..., poiché Og era l’ultimo dei figli dei giganti e, vedete, il suo letto era un letto di ferro, ed era a Rabbath, presso i figli di Ammone, ed era di nove braccia di lunghezza e quattro di larghezza, delle braccia d’uomo (4 a 5 metri). Altri riferimenti: Giosuè, XII, 4; XIII, 12. Giosuè, XV, 8 (quando i figli di Giuseppe si lamentarono della parte loro assegnata della Palestina, Giosuè disse loro) (XVII, 15):Se voi siete un grande popolo, andatevene nel paese delle foreste e fondate un regno nelle terre dei giganti, poiché il monte Efraim è troppo piccolo per voi. E la tribù di Manassè (XVII, Giosuè) si stabili fino ai limiti del territorio dei giganti. Cronache. - Vi sono ancora dei resti di giganti in Samuele (IshbiBench), 2, XXI, 16 e nelle Cronache, I, XX, 4, 5, con i loro nomi: Sippai, Lahmi, la cui lancia è come una trave di tessitore ed è inutile citare Golia, la cui morte rese celebre Davide. Aggiungiamo inoltre le già note affermazioni sulla longevità dei primi uomini anteriori al Diluvio. La longevità è evidentemente in relazione con il gigantismo. Per la minore forza di gravità, tutte le cellule del corpo umano erano più leggere, l’usura del funzionamento dell’organismo era minore e, quindi, l’uomo poteva vivere molto più a lungo. Una nuova possibilità è così data ai racconti biblici sull’età raggiunta dai primissimi uomini. L’immortalità, caratteristica degli Dei, ha un riferimento. Per uomini venuti più tardi, vivere novecento anni ed essere immortale doveva sembrare la stessa cosa. Così gli Dei diventarono più probabili poiché erano immortali, per natura, ma potevano essere uccisi in combattimento, come quello siriano Baal. Gli scavi di Ras-Shamra, che hanno reso celebre Claudio Schaeffer, ci danno una documentazione che viene, per così dire, dall’altra parte della trincea. Gli Ebrei, invasori della Palestina, hanno davanti a loro uomini che hanno lasciato a Ras-Shamra comunicati ufficiali in caratteri cuneiformi, nei quali troviamo la conferma dei racconti biblici. In questi comunicati, Claudio Schaeffer ha trovato il nome di Terach, padre di Abramo, così ufficialmente identificato dall’avversario quale capo degli invasori e, inoltre, ciò che è assai raro nei comunicati ufficiali, soprattutto nell’antichità, i Siriani ammettevano che il nemico comandato da Terach aveva trionfato. È anche nel libro di Claudio Schaeffer (The Cuneiform Texts of Ras-Shamra-Ugarit, p. 65) che si trova il racconto della morte di Baal di cui si è già ripetutamente detto. Renato Dussaud nei suoi capitoli Sulla religione degli Ittiti e degli Uri, dei Fenici e dei Siriani, (nel volume II, Collezione Manu) scrive a pag. 386: "Nei testi di Ras-Shamra, i Refaim sono gli accoliti del dio Baal". Ora, conosciamo i Refaims della Bibbia che appartengono a una razza di giganti distrutta. Claudio Schaeffer alla tavola 22 del suo libro sui testi di RasShamra riproduce la stele che mostra il dio Baal che agita la sua mazza e regge nella mano destra una lancia, la quale rappresenta il fuoco del cielo (ricordiamoci che presso i Greci, Prometeo si era anche impossessato del fuoco del cielo ed era stato incatenato sul Caucaso, dall’altra parte del paese degli Ittiti). Questo Baal, gigante ucciso combattendo contro gli invasori, è evidentemente uno di quei re-giganti alla testa di tribù di statura ordinaria che gli Ebrei sono così fieri di avere sconfitto. È il letto di ferro di uno di questi Refaim, compagni di Baal, che è custodito a Rabbath presso i figli di Ammone, dall’altra parte del Giordano. Se si considera che centinaia o forse migliaia di anni dovettero trascorrere tra gli avvenimenti il cui ricordo restò eternato dalle due parti, la concordanza è schiacciante. Inoltre, dal Nord del paese centrale degli Ittiti, dall’Anatolia, giungono altre conferme (vedi O. R. Gurney: The Hittites, 1952, p. 181-194). Il poema di Ulli Kummi narra di un gigante così grande che il mare non arrivava nemmeno alla sua cintola. Evidentemente dipendeva in quale punto del mare il gigante si trovasse, comunque, ciò che è certo è l’impressione prodotta sullo spettatore. Questo gigante era, come i giganti greci, in rivolta contro gli Dei. Nei rilievi sulla rupe di Gravur Kalesi (tavola 18 del Gurney), si trovano due di questi giganti che hanno, infatti, come dice la Bibbia, dai quattro ai cinque metri di altezza. E presso gli Ittiti si trova un particolare più curioso ancora di una leggenda e che finisce per essere la storia di Sansone e Dalila. È il racconto trasmesso dalle più remote antichità sull’impiego delle donne per distruggere i giganti. La Bibbia ci aveva già avvertiti, dall’inizio, che le figlie degli uomini erano belle. È questa un’arma che gli uomini non mancarono d’impiegare! Essi hanno finito per sbarazzarsi dei giganti con le armi da getto, le frecce d’Ercole e la fionda di Davide, ma impiegarono anche mezzi ancora meno leali. I Greci ci raccontano nei testi che noi abbiamo preso l’abitudine d’inserire tra quelli di Esiodo, pur non essendo di Esiodo, quale ruolo importantissimo, Venere e Giunone abbiano avuto nella disfatta dei giganti. Giove non riusciva a battere i suoi avversari, domandò consiglio a Gea, l’antenata primordiale, la quale gli rivelò che soltanto gli uomini erano capaci dell’ultimo massacro. Giove fece quindi appello a Ercole. Questi, armato del suo arco e delle sue frecce era troppo piccolo, malgrado fosse Ercole, per misurarsi con i veri giganti. Allora si cacciò nella caverna e Venere e Giunone (quale onta!) furono incaricate d’impiegare il loro fascino e attirare i giganti fino alla portata delle frecce di Ercole. Ed è così che i giganti perirono, almeno in certi casi. A questo punto ecco un racconto ittito molto più morale. La storia comincia allo stesso modo. Gli Dei si rivolgono ad un eroe umano per lo stesso scopo. Ma gli Ittiti erano evidentemente molto più civili e moralmente molto più evoluti dei preellenici, dei quali i Greci ci hanno trasmesso i racconti, d’altronde con orrore. L’eroe prestito, lui, invece di consegnare la dea alle voglie dei giganti, domandò di sposarla prima di entrare in guerra. Ciò che gli fu concesso e, pulitamente, sterminò i giganti come si conveniva. È una lontana eco di queste lotte e di questi stratagemmi che ci perviene trasformata nella storia di Sansone e Dalila. La bella forestiera, il cui fascino indebolisce il gigante e lo consegna ai suoi nemici, è evidentemente un tema che risale alla più remota antichità. Abbiamo così conferma che racconti della Bibbia si possono qualificare storici o, per lo meno, preistorici. Ma, ovunque, e non solo nella Bibbia, presso i Greci, i Siriani, gli Ittiti, abbiamo testimonianze, evidentemente deformate perché integrate in una mitologia posteriore. Religioni si sono impossessate degli antichi racconti e li hanno utilizzati trasportandoli nel mondo di Giove e di Baal. Lungi dallo spiegare la Bibbia, questi racconti sono spiegati dalla Bibbia, nel senso che la Bibbia permette di trovare in essi un significato accettabile dietro le trasformazioni mitologiche. Ma, per un effetto di reazione uguale all’azione, questi racconti costituiscono la conferma della tesi centrale diventata ragionevole. Come in una buona inchiesta giudiziaria, le variazioni del da parte di testimoni lontani dalla scena, costituiscono più probanti, poiché le variazioni provano che non vi collusione e che il medesimo fatto è stato osservato sotto vista diversi anche se, in parte, errati. racconto le prove è stata punti di Riassumiamo il quadro biblico che poi ritroveremo nelle leggende degli altri popoli. La Bibbia ci dà la più chiara, la più semplice, la più ragionevole narrazione, a condizione di ammettere l’esistenza dei giganti. In una epoca che i calcoli di Hoerbiger permettono di fissare fra diecimila e tredicimila anni prima della nostra era, vi sono stati dei giganti i quali discendevano da altre razze infinitamente più antiche, risalenti alla fine del Terziario, circa trecentomila anni or sono. Al tempo dell’origine dei racconti mediterranei, le razze gigantesche erano già degenerate e quasi estinte. Nelle regioni Nord Orientali, queste razze avevano stabilito dinastie regali (più tardi dette divine) delle quali gli Egiziani hanno conservato il ricordo per la loro regione. Gli Ebrei, invasori della Palestina, si sono trovati di fronte ad eserciti di uomini della loro statura, ma comandati dai re-giganti. I caratteri soprannaturali che il folclore universale attribuisce un po’ ovunque alla regalità primitiva, sono, in tal modo, facilmente spiegabili. La razza gigante aveva certamente le conoscenze delle caste ereditarie che le davano una superiorità intellettuale, pari alla sua superiorità fisica. I Greci, gli Egiziani, i Mesopotami hanno tutti dichiarato che all’origine erano stati civilizzati da Dei-giganti. Forse armi ancora sconosciute, come la lancia - il fulmine del Baal siriano - erano a loro disposizione. E vengono in tal modo anche spiegate le frequenti citazioni nei testi ritrovati e nei quali una battaglia che stava volgendo al peggio veniva vinta grazie alla apparizione del re davanti al quale i nemici terrorizzati si davano alla fuga o cadevano per terra. Non c'è nessuna ragione perché l’intervento di un re di statura normale - il quale in definitiva non era che un uomo in più nella massa - potesse mutare le sorti di una battaglia. È invece comprensibilissimo che un gigante, inesplicabilmente armato, apparendo all’improvviso nel combattimento, suscitasse terrore alla parte avversaria. Le origini magiche della regalità, secondo il concetto di Bloch, sarebbero in tal modo semplicemente origini gigantesche. Più tardi, per una comprensibile finzione ufficiale, si continuerà ad attribuire al re, uomo ordinario, le caratteristiche delle razze giganti che erano degli "Dei". La Bibbia ci ha dato la più accettabile testimonianza di questo stato sociale che ha potuto poi continuare, dopo il Diluvio del tredicesimo millennio forse (data dell’Atlantide di Platone), fino ai primi tempi biblici: le tribù umane civilizzate e guidate da giganti in seguito chiamati Dei. L’epiteto figlio di Dio che la Genesi applica ai giganti, e che nella Bibbia non corrisponde a niente, è evidentemente una comprensibilissima alterazione. Un redattore biblico ha adottato il vocabolario del nemico e ha scritto "Dio" dove un Ebreo più ortodosso avrebbe scritto "gigante". La Bibbia inoltre ci riferisce una preziosa testimonianza sulla distruzione delle razze gigantesche. Sono anzitutto gli uomini e le armi da getto, la fionda di Davide e le frecce di Ercole che hanno sterminato le razze gigantesche. Ma si scoprono anche antiche tradizioni di furbizia e stratagemmi sleali, quali la prostituzione. Tiahuanaco: „La puerta de la luna“ (monolitica) Isola del sole (Tiahuanaco). Orme giganti impresse nella roccia(lunghe 50 cm). Sembrano indicare la direzione della pietraaltare Innumerevoli sono le tombe di giganti, le vallate di giganti, le montagne di giganti che si trovano su tutta la superficie del globo. Senza dubbio il vocabolo "gigante" è stato attribuito a certi oggetti e a certi luoghi da tardive tradizioni. Tuttavia, questo fatto prova che un po’ ovunque è esistita la tradizione dell’esistenza dei giganti. L’autorità della Bibbia non può semplicemente essere scartata, come si è fatto fino di recente. Questa rivalutazione si applica, ormai, anche a molti altri testi parimenti antichissimi, quelli di Erodoto, quelli di Platone, quelli degli Egiziani. I resti megalitici che si ritrovano ugualmente su tutto il perimetro della Terra perdono il loro insolito e inspiegabile carattere. Non occorre inventare inconcepibili macchine preistoriche per erigere queste pietre, che pesano talvolta fino a venti tonnellate, in luoghi inaccessibili agli uomini comuni. Le razze gigantesche, e più tardi le famiglie dei re-giganti, hanno dovuto costruirsi, un po’ ovunque, installazioni e fortezze che corrispondevano alla loro altezza. Il gigantismo un po’ cagionevole che ha in seguito afflitto, per esempio, i Faraoni d’Egitto, fu probabilmente il residuo degenerato della mentalità dei giganti re delle origini. Come le dinastie divine avevano avuto statue gigantesche e templi degni della loro statura, così bisognava che il Faraone ne avesse per conservare davanti al popolo il prestigio dei suoi predecessori. La civiltà egiziana che noi conosciamo ci apparirà così come uno stato di decadenza. D’altra parte, in tutti i periodi della storia dell’Egitto, si trovano testi che affermano che il grande periodo egiziano si era avuto nella più remota antichità e molto prima delle note dinastie. Moret fa notare che nei primi testi, quelli delle Piramidi, si allude già ,a un periodo estremamente antico che sarebbe stato il più glorioso di tutti. Qui ancora ricordiamo la straordinaria testimonianza di Erodoto, la cui sola spiegazione fornita fino ad oggi richiede basi scientifiche avanzate se non altro nelle sue conoscenze cosmologiche, e questo, in un periodo risalente almeno al Terziario. Ciò implica necessariamente conoscenze anche in altri campi, poiché sarebbe assurdo pensare che coloro che tanto erano addentro in un ramo del sapere non lo fossero parimenti in altri. L’antichità della civiltà è respinta così molto più lontano di quanto oggi comunemente non si creda. Ma forse, da tutto questo, la più preziosa lezione da trarre non è d’ordine storico. Certo, sembra logico pensare che sulla terra esistessero razze gigantesche, poiché una grande parte della preistoria è spiegata solo se ciò è ammesso come un fatto. Ma la preminenza della Bibbia, paragonata alla documentazione degli altri più antichi testi, ci dà una grande lezione spirituale. È perché erano arrivati all’idea molto elevata del Dio unico che gli Ebrei non sono caduti negli errori che ci rendono inaccettabili i racconti dei Siriani, degli Ittiti, dei Greci e anche degli Egiziani degenerati. E questa è una lezione che può servire a tutte le scienze del XX Secolo. La vecchia banalità proverbiale: "La scienza senza coscienza non è che rovina dell’anima " prende una forma più accettabile per noi: scienza senza spiritualità non porta che all’errore e alla catastrofe. LA CIVILTÀ’ DELLE ORIGINI: IL REGNO DEI GIGANTI Inoltre, in un punto inatteso, il capitolo III di Baruch, la Bibbia ci dà un sorprendente quadro di una civiltà primitiva : questo quadro, in poche frasi, supera di molto ciò che abbiamo già detto sulla decadenza dei giganti, e riassume tutta la storia delle origini. L’umanità ebbe inizio con una razza gigantesca. Questi giganti della prima creazione erano estremamente sviluppati intellettualmente, artisticamente e psichicamente avevano poteri sugli animali. Ma si comportarono male e Dio causò il loro sterminio. E furono sostituiti dagli uomini attuali. Questa testimonianza si riferisce 3 un periodo molto più antico di quello di Baal e di Ischbibensch. Essa però non ci dà nessuna indicazione sul paese di questi primi giganti civili. L’affermazione della loro capacità artistica ci fa pensare alle raffinate statue di Titicaca - le sole che conosciamo - ma senza dubbio altre sorprese ci sono riservate anche in altri luoghi. Poiché si tratta di una civiltà mondiale, quella che Baruch ci descrive. Ancora una volta, è nella Bibbia che troviamo un’affermazione di preciso carattere storico: sicuramente una eco di tradizioni infinitamente più antiche del testo attribuito a Baruch. Testimonianza estremamente lontana, ma precisissima su il regno dei giganti:"Fin dall’inizio (ab initio) vi erano i giganti di enorme statura, esperti nella guerra. Dio non li scelse ed essi non conobbero la via della disciplina; e così perirono. Dove sono i principi delle nazioni che avevano dominio sulle bestie della terra e che facevano quello che "volevano degli uccelli nell’aria? Essi lavoravano l’argento in modo così raffinato che noi non possiamo nemmeno immaginare ciò che erano le loro opere. Essi furono sterminati e scesero nelle profondità, e altri furono fatti nascere al loro posto."(1). LA CABALA Ma se i Libri Sacri propriamente detti non offrono che brevi particolari sui giganti e brevi sebbene precise allusioni sulle cause della collera di Dio, la Cabala, compendio delle tradizioni spesso antichissime del popolo ebraico e anche delle immemorabili conoscenze dei rabbini che venivano trasmesse di padre in figlio o in genero, dei preziosi segreti, ci dà informazioni straordinariamente interessanti, sconosciute alle folle ignoranti. Riassumendo i dati di questa scienza segreta, notiamo che essi sono in pieno accordo con il nostro schema generale. Dio non ha creato un solo mondo. Prima di quello in cui noi viviamo, Dio aveva provato vari universi diversi dal nostro. Non li aveva giudicati adatti e li aveva distrutti. I loro resti costituiscono il Caos, nel quale Dio in seguito prese i materiali per creare il mondo attuale. Questi mondi cattivi e distrutti differivano soprattutto per un altro genere di vita sessuale. Nell’ultimo, comunque, gli uomini si riproducevano senza le donne; in un altro, l’unione sessuale non si faceva faccia a faccia. Dovremo ritornare a Malekula per trovare ancora presso i selvaggi il senso sacro della omosessualità. Il motivo sessuale morale ha avuto una parte importantissima nella storia della umanità, appena intravista oggigiorno, nonostante tutta la nostra psicoanalisi. I mondi perduti - quelli del Primario, del Secondario, del Terziario, diceva Hoerbiger - sono in relazione con il destino della Luna. "La Luna è la madre d’Israele". Per una singolare relazione simbolica, i tre grandi patriarchi del popolo ebraico, rappresentano le fasi della Luna: Abramo è la Luna crescente, Isacco la Luna decrescente, Giacobbe, l’antenato prediletto, è la Luna piena. 1) Le traduzioni spesso attenuano, più o meno tutte, questo passaggio, in particolare il ab inìtìo, dal principio, che la Bibbia inglese traduce con of old, "anticamente", ciò che attenua il significato. Baruch attesta che l’uomo fu creato gigantesco: i traduttori ortodossi sono obbligati ad attenuare l’espressione. L’ufficio di Pasqua, nella sua traduzione interpreta: "... e che fecero prendere a questi metalli tante forme rare e preziose" per solliciti sunt. La Luna è di tanto in tanto attaccata e divorata da un mostro. Questi uomini debbono, allora, offrire un sacrificio (capro o uomo) al mostro che abbandona la Luna per mangiare l’offerta, e la Luna ritorna a crescere. Forse ricordi della distruzione della Luna terziaria che si collegano alla scomparsa mensile del satellite, nella paura che la Luna non ritorni, poiché già una volta, in lontani tempi, non era più ritornata? Forse ricordi risalenti alla prima creazione dell’uomo? Poiché è al tempo di un avvicinamento della Luna, nel Secondario, che gli uomini "Israele" sono stati repentinamente creati. Forse ricordi dei cataclismi: Dio aveva creato varie volte il mondo e varie volte l’aveva distrutto. Ma questi mondi inferiori e passati custodiscono - secondo la tradizione della Cabala - una loro esistenza segreta e qualche volta gli iniziati possono ancora recarvisi e misurarne l’orrore. E anche nel mondo attuale se ne trovano i resti, spaventose mostruosità che solo i rabbini illuminati sanno discernere e, anche, utilizzare. Le strane razze di esseri appena umani che vissero prima di Adamo, si mescolavano qualche volta con la nostra razza - poiché le figlie degli uomini erano belle - e fenomeni straordinari si riproducono ancora in mezzo a noi. L’umanità intera ha conosciuto il più alto perfezionamento, la più alta scienza, e ciò che possiamo sapere consiste in qualche insufficiente e deformato frammento di quello che Adamo seppe. Il Paradiso è stato perduto. E, tuttavia, esso è ancora aperto per i veri saggi. Il vero Adamo esiste sempre, e i Santi, nell’ora che solo loro conoscono, si ritrovano sempre nel Signore. Il vero Paradiso è interiore. Ma tra noi e questo Paradiso, v’è tutta una serie di mondi, sia materiali sia spirituali, i quali sono la trasposizione, in dimensioni diverse da quelle attuali, di mondi che sono esistiti nel passato o sono ancora di là da venire. Qui la Cabala oltrepassa di molto le tesi di Hoerbiger, ma forse dà loro il vero significato: quello spirituale. Zohar, I, p. 374 - "Lo straniero disse loro: Allorché la Luna si avvicina al Sole, il Santo, benedetto egli sia, risveglia il Nord e lo attira verso di lui nell’amore, mentre il Sud si risveglia da solo. Ora, come il Sole si alza a Est, accade che trae la sua forza simultaneamente dai due lati, sia dal Nord che dal Sud, e attira silenziosamente le benedizioni che emanano dai due lati, le trasmette alla Luna che ne diventa piena. Il ravvicinamento del Sole e della Luna somiglia a quello del maschio e della femmina, poiché gli stessi principi che reggono le cose quaggiù si ritrovano parimenti nelle cose di lassù. Nello stesso modo in cui il braccio dell'albero zefirotico attira l’immensità dello spazio nell’amore, come il braccio del maschio che attira la femmina, così il braccio sinistro attira nel rigore l’immensità dello spazio. Ora, il serpente rappresenta il braccio sinistro dal quale emana lo spirito impuro. Attira a sé coloro che gli si avvicinano. E quando Dio non veglia il Nord, il braccio sinistro attira la Luna e la tiene così solidamente che per staccarlo, Israele è costretto a offrirgli un capro. Il serpente, precipitandosi sul capro che gli viene offerto, lascia per un istante la Luna che allora, comincia a schiarirsi e a crescere ogni giorno perché riceve le benedizioni dall’alto che ne schiariscono il volto, il quale era stato oscurato per qualche tempo quaggiù. Nello stesso modo, durante il giorno del perdono, siccome il serpente è tutto preso dal corpo che gli viene offerto, la Luna liberandosene, s’interessa di prendere la difesa di Israele e di proteggerlo, così come una madre protegge i suoi figli, dopodiché il Santo, benedetto egli sia, lo "benedice e gli fa la remissione dei suoi peccati". Vol. V., p. 336. - "Tutti questi re sono dalla parte del Rigore, salvo Saul che è di Rehoboth-Lanahar, simbolo, di "Bina", dove si aprono le cinquanta Porte dell’intelligenza nelle quattro direzioni del mondo". "Questi re, che erano dalla parte del Rigore, non furono placati che all’arrivo di Hadar Chi è Hadar? È la grazia celeste, così come la Scrittura dice: "La sua città si chiamava Phaii" che significa che è per mezzo della Grazia che l’uomo ottiene lo Spirito Santo. La Scrittura dice ancora: E sua moglie si chiama Mehetabel, figlia di Matred che era figlia di Mezaab. È il primo re del quale sia detto che avesse una moglie Matred significa che il Rigore è stato vinto. Mezaab significa che il Rigore è stato mitigato dalla Clemenza". Vol. V., p. 301 - "Talvolta questi reami sono preadamitici; talvolta questi esseri sono nati nel primo periodo di Adamo o dalla sua criminale unione con Schekhina, la moglie del demonio. Adamo era composto di maschio e femmina, e la femmina attaccata al suo fianco era anche composta di maschio e femmina, perché fossero completi. Adamo contemplava con saggezza il mondo di lassù e quello di quaggiù. Dopo il suo peccato, i volti si atrofizzarono e la saggezza gli fu tolta, di modo che non conservava più l’intelligenza che per le cose materiali e corporali. Ebbe in seguito figli formati sul modello del mondo di lassù e di quello di quaggiù. Ma essi non formarono ceppi per generazioni future. Solamente Set formò il ceppo delle generazioni future". Talvolta sono interi mondi che sono stati creati e poi distrutti: i loro resti sono quel caos che preesisteva alla nostra terra: Vol. I. p. 152 - "E la terra era thohou e bohou". La scrittura vuol dunque dire che i figli dei cieli e della terra sono i demoni chiamati "thohou". Ciò spiega la seguente tradizione: "Il Santo, benedetto egli sia, crea i mondi e li distrugge". Ecco perché le Scritture dicono: "E la terra era "thohou e bohou", ora, lo stato di thohou e bohou era prima della creazione della terra; ma ciò si spiega in questa maniera: che per il vocabolo "terra", la Scrittura indica la terra preesistente che Dio aveva distrutto. Come, allora, comprendere che il Santo, benedetto egli sia, crei dei mondi per poi distruggerli? Meglio sarebbe stato che non li avesse affatto creati! In verità questa tradizione racchiude un mistero, come spiegare diversamente le parole:"...E li distrusse"? Ecco uno dei più caratteristici passaggi dello stile dello Zohar quando vuole essere misterioso. Troviamo in esso la ragione dei primi equivoci: questi esseri ignoravano il vero modo di unione sessuale. Vol. IV, p. 137 - "Noi abbiamo appreso nel Libro occulto che creando il mondo, Dio fece pesare sulla bilancia quello che fino allora non era mai stato pesato. Prima, gli uomini non si guardavano faccia a faccia, cioè: l’unione degli sposi non avveniva allo stesso modo di quello d’oggi. Così, i re primitivi perirono perché non trovavano il nutrimento che loro occorreva; e la Terra stessa fu annientata. Allora la "Testa" ebbe pietà del mondo che stava per creare. La bilancia fu sospesa in una regione dove non si era ancora mai trovata. La bilancia funzionò per i corpi, come pure per le anime; e anche gli esseri che ancora non esistevano vi passarono. Siccome non vi erano esseri anteriori , si fecero passare su questa bilancia gli esseri esistenti e quelli destinati a esistere più tardi. È così che il mondo attuale è stato formato; è il "Mistero dei misteri. Nella Testa esiste una limpida rugiada che riempie la cavità. La membrana che la ricopre è parimenti limpida, come l’aria, e misteriosa. Sottilissimi peli sono sospesi a questa bilancia". Sembra però che ci fosse stata la possibilità di durare in questi esseri pre-umani: Vol. V., p. 355. - "Noi abbiamo appreso nel Libro occulto che l’Antico degli antichi, prima di preparare i suoi ornamenti, edificava e costituiva dei re; ma essi non potevano sussistere e bisognò nasconderli" e riservare la loro esistenza a un tempo futuro, così com’è scritto: Tali sono i re che regnarono nel paese d’Edom prima che i figli di Israele avessero un re. Il paese d’Edom designa la regione dei rigori... I mondi preesistenti nel Pensiero supremo non potevano sussistere perché l’uomo non era ancora costituito. L’uomo, la cui immagine è la sintesi d’ogni cosa (135 b). E quando la figura dell’uomo fu formata, l’esistenza fu assicurata a tutti gli esseri. Se la Scrittura dice:E tale re è morto e tal altro re è morto essa intende con ciò che la di lui esistenza è stata differita a tempo ulteriore; perché ogni discesa a un gradino inferiore è chiamata morte. Era caduto a un gradino inferiore. Quando l’uomo fu costituito, l’esistenza degli esseri primitivi si affermò e presero nomi diversi da quelli che portavano prima, eccezion fatta per l’essere di cui le Scritture dicono: "E sua moglie si chiamava Mehetabel, figlia di Matred che era figlia di Mezaab". Era il solo essere primitivo che potesse esistere poiché era composto di maschio e di femmina, simile alla palma dattifera che non riesce a dare frutti se non è piantata accanto all’albero maschio. Sebbene questo essere abbia potuto sussistere nei mondi primitivi in ragione della sua composizione di maschio e di femmina uniti, non poté arrivare alla perfezione che dopo la formazione dell’uomo". In un caso particolare, la posterità dei preadamitici sopravvissuta ed è stata fatta precipitare da Dio negl’inferni. è Vol. VI, p. 383, n. 1414. - (144 b) p. 58, riga 18. - "...Di cui Adamo era l’immagine. Basandosi su questo passaggio i cabalisti moderni, tra i quali il Etz-ha-Hayim, XVI e il Minhath Yehou" da, fol. 133 b, affermano che prima della creazione di "Adamo, Dio aveva creato un altro uomo, soltanto maschio, senza femmina, ciò che non gli ha impedito di generare figli. Siccome questi figli si sono attaccati spontaneamente al serpente, senza che nemmeno il serpente li avesse sedotti, Dio li scacciò da questo mondo e fece di loro i guardiani dell’inferno, dove sono consumati ogni giorno dal fuoco per rinascere l’indomani. Questi esseri sono designati dai cabalisti sotto il nome di "re morti" a causa del peccato contro lo Spirito Santo; poiché chiamano peccato contro lo Spirito Santo qualunque peccato commesso spontaneamente, senza che sia stato cagionato da una irresistibile seduzione. Vol. VI. - "... Soltanto, quando si fa giorno, è la testa del capo dalla parte dell’"Arqa" precedentemente sempre rischiarata, che domina; e quando si fa notte, è la testa dell’altro capo che domina. Questo cambiamento nella ripartizione della luce e delle tenebre sull’Arqa è sopravvenuto in seguito all’unione dei due capi in uno solo. Ma queste due teste essendo riunite da un solo corpo, ne consegue che la luce non è pura, priva di ogni legame con le tenebre, e che le tenebre non sono interamente prive di luce. Così furono uniti questi due capi, di cui uno si chiama Afrira e l’altro "Qastimon". Prima della loro unione, essi erano simili agli angeli, forniti di sei ali; l’uno avente la forma di un bue, l’altro quella di un’aquila. Quando furono riuniti insieme, presero la forma di un uomo ed è sotto questa forma che generarono altri simili a loro. Quando sono nelle tenebre, si mutano in un serpente a due teste e strisciano come un serpente; si tuffano nel grande oceano e discendono nell’Abisso, soggiorno dei demoni. Quando raggiungono la spelonca d’Aza e d’Azaèl li irritano e li guardano in modo tale fino a, farli fuggire. Aza e Azael (e francese) fuggono verso le montagne oscure, temendo che sia di già arrivata l’ora di rendere conto della loro condotta al Santo, benedetto egli sia. I due capi traversano in seguito il grande oceano a nuoto, si alzano a volo e vanno, durante la notte, a visitare "Naàhmà", la madre dei demoni, quella che sedusse i primi angeli. Costei percorre in un balzo seimila "parasanghe" prendendo successivamente varie forme umane, per sedurre e corrompere gli uomini. I due capi si alzano infine di nuovo in volo percorrono tutta la terra e ritornano all’ "Arqa" dove vanno per eccitare i nipoti di Caino, suggerendo loro pensieri di lussuria, a generare nel peccato. Vista dall’"Arqa", la disposizione delle costellazioni è diversa da quella che noi scorgiamo dalla nostra terra. La stagione delle semine e quella dei raccolti sono ugualmente diverse delle nostre; esse non si rinnovano che alla fine di un numero considerevole di anni e di secoli. Dicendo: "Gli Dei che non hanno fatto i cieli e la terra saranno sterminati dalla terra e periranno sotto i cieli, Le Scritture vogliono dire, che i due capi dell'Arqa che si fanno passare per Dei ma che, in verità non hanno fatto né i cieli né l’"Arqa", saranno sterminati dalla terra, cioè dalla nostra terra chiamata "Thebel" e che è superiore alle sei altre. Con le parole saranno sterminati, le Scritture intendono che questi due capi non avranno nessun potere sugli abitanti della nostra terra, che non potranno più percorrere le regioni collocate sotto i nostri cieli, cioè le regioni donde la disposizione delle costellazioni appare esattamente come noi la vediamo dalla nostra terra, che essi saranno infine impotenti a contaminare i corpi degli uomini, provocando, durante la notte, presso costoro, delle perdite seminali". In questo stupefacente passaggio si trovano quasi tutti i dati della teoria di Hoerbiger: i due astri (capi) uniti in uno solo: la Luna terziaria brillava di una luce uguale a quella del Sole, essendo così vicina a noi; dopo la sua caduta, un solo astro illuminava la Terra; il serpente a due teste, che troviamo anche in altre mitologie, rappresenta l’ultima fase della discesa della Luna, trasformata, o quasi, in un anello che circonda la Terra; questo serpente, anello, s’immerge nel grande oceano, schiacciandosi sulla Terra circondata d’acqua. la disposizione delle costellazioni è diversa da quella che noi conosciamo, poiché le rapide evoluzioni del satellite terziario cambiavano ogni cosa. Ed ecco, a titolo di curiosità, il racconto di un incontro con un abitante dell’"Arqa", che esce da una rupe: i resti degli antichi abitanti della Terra si sono rifugiati, naturalmente, sulle montagne. Facciamo notare inoltre che le stagioni del Terziario erano necessariamente diverse dalle nostre. Zohar, I, p. 217. - "Essi andarono dunque a sedere davanti la fessura di una rupe da dove videro uscire un uomo. I viaggiatori furono colti da stupore. Rabbi Yossé disse a quell’uomo: "Chi sei?" L’uomo rispose: Io sono uno degli abitanti d’Arqa. Rabbi Yossé domandò: Ci sono dunque degli uomini sull’Arqa? L’altro rispose: Si, gli abitanti d’ „ Arqa „ seminano e mietono. Ma la maggior parte di loro hanno il volto diverso dal mio. Sono uscito da questa rupe quando vi ho scorti, per sapere da voi il nome della terra sulla quale abitate". Rabbi Yossé rispose: "Il nome della nostra terra é "Eretz", perché è qui, sulla nostra terra, che risiede la vita, così come sta scritto: "La terra (Eretz) da dove il pane nasce...". Il pane non nasce che dalla nostra terra, e da nessun’altra". Appena Rabbi Yossé ebbe cessato di parlare, l’abitante d’"Arqa" disparve nella fessura della rupe". Ecco adesso i setti mondi spirituali, nei quali vivono ancora i giganti, e vivono anche i maghi possessori delle scienze antiche. Nessun altro testo, nessun’altra tradizione danno particolari così vivi su ciò che sono i mondi spirituali. Lo spazio multiplo, nelle sue dimensioni diverse dalle nostre, è il tempo dei mondi passati e di quelli futuri e che ci diventano visibili nel corso della storia cosmica. Zohar, I, p. 605-606-607. - "Come vi sono sette firmamenti uno sopra l’altro, così vi sono sette terre l’una al di sopra dell’altra. I nomi di queste sette terre sono: Eretz, Adamah, Guè, Neschià, Tziah, Arqa, Thebel. La terra più elevata è quella dal nome di "Thebel", così come sta scritto: "E giudicherà il mondo (Thebel) con giustizia". Quando Adamo è stato cacciato dal Giardino dell’Eden, fu relegato sulla terra chiamata "Eretz". Le tenebre regnano su quella terra e non vi si vede mai la luce. Adamo aveva paura e perciò gli si permise di vedere "la spada rotante" che vi gettò un po’ di luce. Quando il sabbat prese fine e Adamo ebbe fatta penitenza, il Santo, benedetto egli sia, lo fece uscire da quella terra e lo mise su quella chiamata "Adamah", così come sta scritto: "Il Signore Dio lo fece in seguito uscire dal Giardino dell’Eden affinché andasse a lavorare la terra (Adamah)". Su questa terra vi sono le luci e la costellazione è visibile. Vi sono anche i giorni. Gli uomini che l’abitano sono di alta statura, poiché sono nati da Adamo nei centotrenta anni durante i quali coabitò con le femmine-demoni. Questi uomini sono sempre tristi e privi di ogni gioia, lasciano talvolta la loro terra e arrivano in volo sulla nostra, dove volgono al male. Di ritorno alla loro terra, recitano le preghiere e ridiventano quelli che erano prima. Essi coltivano la terra e mangiano. Non vi è affatto grano e nessuna delle sette specie di frumento. "...Vi sono grandi ricchezze su queste terre: l’oro e le pietre preziose vi pullulano. Uomini avidi arrivano talvolta da "Thebel". Gli abitanti danno loro ricchezze; ma i nuovi arrivati sono immediatamente colpiti d’amnesia e non sanno più donde siano venuti. La terra "Guè" forma il centro delle sette terre: essa è chiamata "Guè bon himan" (inferno). Gli abitanti di questa terra sono tutti dei maghi e dei saggi; essi seminano e piantano alberi, ma non hanno né grano né nessuna delle sette specie di frumento. Gli abitanti della terra di "Neschià" sono tutti dei nani; essi sono privi di naso, non hanno che due buchi nel cranio dai quali respirano, e dimenticano tutto quello che fanno; donde il nome di questa terra "Neschià" (oblio). Il guerriero a sinistra e la testa di statua di gigante a destra. Vi si semina e vi si piantano alberi, ma non vi si trova né grano né alcuna delle sette specie di frumento. Come il suo nome lo indica, la terra di "Tziah" è arida. Gli abitanti di questa terra sono belli di volto e vanno sempre in cerca delle sorgenti d’acqua. Essi hanno più fede degli altri uomini. Su questa terra si trovano belli edifici e grandi ricchezze. Non vi si semina che pochissimo perché il suolo è arido e gli alberi che vi si piantano non attecchiscono. Essi provano grande desiderio di unirsi agli uomini della nostra terra. Così, su tutte le sette terre non si mangia il pane, eccezion fatta per la nostra chiamata "Thebel" e superiore alle altre, come sta scritto: "E lui giudicherà il mondo (Thebel) con giustizia". La nostra terra presenta le varietà delle altre sei terre; ecco perché porta ugualmente il nome di tutte le sette terre; poiché la nostra terra è ugualmente divisa in zone i cui abitanti si distinguono per il loro viso, così come sta scritto: " Come le tue opere sono grandi, Signore! Hai fatto tutte le cose con saggezza; la terra è piena dei tuoi beni". Ricordiamo l’idea già menzionata, benché ancora molto ipotetica, che Cristoforo Colombo avesse origini ebraiche, conoscesse le tradizioni cabalistiche sul luogo del Paradiso perduto e, in realtà, egli cercasse questa sorgente delle prime civiltà. Esiste una sua lettera nella quale è scritto che la Terra è a forma di pera, come segnalato da Hoerbiger a certe distanze del satellite che attira acque, aria e anche la terra da un solo lato (l) e che lui, Cristoforo Colombo, andando verso l’Ovest, ha sentito salire il mare sotto la chiglia della sua caravella. Ascendeva una grande montagna d’acqua. Questo spunto non può venire che da una vecchia tradizione che l’immaginazione di Colombo trasferì nella sua impresa. Non sappiamo che poche cose della Cabala: quello che ne è stato scritto è solo un frammento di quello che è stato trasmesso oralmente. È comunque vero che questi Ebrei del Medioevo (lo Zohar è del 1300 circa) avevano sorprendenti conoscenze (2). L’APOCALISSE Ma, forse, il capolavoro intellettuale della scuola di Hoerbiger è la spiegazione dell’Apocalisse. Questa incomprensibile appendice al canone dei Libri Santi del Cristianesimo ha resistito, fino adesso, a ogni spiegazione, anche generica. H.S. Bellamy, il più noto dei discepoli inglesi di Hoerbiger, è ora riuscito a dare un significato all’Apocalisse (3). La sua idea centrale è che l’Apocalisse, descrivendo la fine del mondo, riporta dei ricordi molto confusi della catastrofe del Terziario, quando il satellite d’allora cadde sulla Terra. È poiché la fine del nostro mondo arriverà quando la nostra Luna cadrà sulla Terra, è evidente che il metodo è adatto: alla fine del Quaternario si riprodurranno eventi molto simili a quelli della fine del Terziario. Naturalmente, alcune tradizioni della fine dell’Atlantide si sono mischiate a leggende molto più .antiche sulla distruzione del mondo precedente. L’applicazione di questa teoria al testo è necessariamente molto complicata. Un commentario testuale di tutta l’Apocalisse sarebbe necessario, ma qui solo un riassunto molto generale è possibile. 1) Vedi Bellamy: A Life history of our earth. Faber, London, 1951, Cap. VI: Il periodo stazionario del satellite. Riassunto anche in Bessmertny: L'Atlantide, p. 121 e segg. Payot, Parigi, 1949. 2) Queste idee relative a Colombo ci sono state suggerite dal prof. S. B. Liljegren dell’Università di Upsala che lavora a un’opera su questo soggetto. 3) The book, of Revelation in history, Faber, London, 1952. I setti candelieri (I, 13): il Figlio dell’uomo dalla cintura d’oro, il cui viso brilla come il sole; il trono nel cielo e l’arcobaleno che lo circonda (IV, 2); il mare di cristallo e le quattro bestie (IV, 6); i ventiquattro anziani che cadono (IV, 10); isette sigilli che chiudono il libro(V, 1)e che sasaranno aperti a uno a uno; i terremoti e il colore di sangue della luna (VI, 12) (XI, 13); la caduta delle stelle (VI, 13); la fuga dei re e dei grandi sulle montagne (VI, 15); la caduta delle montagne (VI, 16); l’ara davanti al trono (Vili, 3); i sette flagelli scatenati dai sette angeli (Vili, 2 e segg.); il comportamento delle bestie (IX, 3-11, 19); la pioggia di sangue (XI, 6); la distruzione delle nazioni (XI, 15-19); il drago nel cielo (XII, 3), la cui coda fa cadere il terzo delle stelle; la lotta tra Michele e il drago (XII, 7); la donna e il serpente (XII, 14-17); la bestia che esce dal mare (XIII, 1); la bestia che esce dalla terra (XIII, 11); l’agnello e i suoi simili (XIV, 1-4, 9-13); l’angelo e la sua famiglia (XIV, 14); le ultime sette pesti (XV, 1); l’apertura del tempio nel cielo (XV, 5-8); i sette castighi (XVI, 3-18); la distruzione della bestia (XIX, 4-21) (XX, 1-8); il nuovo cielo e la nuova terra (XX, XXI e XXII). Questi sono fenomeni celesti e terrestri, al tempo delle catastrofi, mitologicamente adattati. Tutta questa incomprensibile epopea cosmica prende un significato se seguiamo Hoerbiger e Bellamy. Bisogna evidentemente lasciare briglia libera all’immaginazione, ma si può fare altrimenti? Abbiamo già detto abbastanza sulla storia della terra e delle sue lune perché un lettore accorto possa esercitare da solo la sua fantasia sui principali temi qui sopra elencati. Una grande conoscenza dell’etnografia e delle mitologie di tutti i popoli è necessaria se si vuole restare nel verosi-mile e, ciò malgrado, tutti i particolari delle spiegazioni di Bellamy non sono ugualmente convincenti. Ma, comunque, per la prima volta, ci troviamo davanti a una interpretazione in linea di massima ragionevole che si adatta a tutta la Rivelazione di San Giovanni. CAPITOLO VII I GRECI I Greci sono testimoni recalcitranti. Certamente, senza Platone non avremmo neppure il nome dell’Atlantide. Ma, evidentemente, Platone ha razionalizzato molto il suo scritto, anche se non l’ha completamente inventato, e subito dopo Platone, Aristotele ha dichiarato che la storia dell’Atlantide non era che un ingegnoso mito. Gli è che i Greci non avevano veramente lo spirito religioso. E, in questo, sono i nostri antenati intellettuali. Noi non abbiamo mai adottato del Cristianesimo che il minimo, senza di che la religione sarebbe perita interamente. Nello stesso modo i Greci erano recalcitranti. Venuti dal Nord - così generalmente si crede - e abbastanza tardivamente, avevano trovato davanti a loro antichissime civiltà: Creta, Micene, Troia, che quasi distrussero senza comprendere. Mescolandosi ai resti dei popoli vinti, come più tardi fecero all’Ovest i Germani, essi ereditarono antiche tradizioni alle quali non credettero mai molto e che indubbiamente mischiarono con reminiscenze semi selvagge che avevano portate dal Nord. Ma si avvertono molto bene presso i Greci, dei quali abbiamo poemi e libri, i Greci nostri da Omero a Plutarco, due correnti di sensibilità antireligiosa. Anzitutto, i Greci erano scandalizzati, nel loro senso della logica e della giustizia, da queste leggende. La tragedia è basata sopratutto su questo senso dell’orrore che nasce dai racconti su Edipo che aveva ucciso il padre e sposato la madre, sulle mostruosità commesse da Clitemnestra, e Medea, e Pasifae, e tanti altri. Un Greco educato non si comportava così. Poi, i Greci erano talvolta inclini a ridere di queste vecchie storie. Aristofane e gli inni omerici presentano sovente gli Dei come personaggi divertenti e spesso ridicoli. Peguy ha fatto osservare che, in fondo, i Greci disprezzavano i loro Dei. Ma, infine, ai Greci piacevano le belle storie, e ci hanno conservato tutto quello che hanno potuto di antiche tradizioni che non erano le loro. La testimonianza è dunque preziosa, nel senso che i Greci testimoniano un po’ loro malgrado, ci narrano credenze antecedenti a loro, senza essere solidali con i barbari che le raccontavano. Quando Platone ci narra la storia dell’Atlantide, la presenta come un racconto fatto a Solone da un Egiziano. Non dice che Solone abbia accettato la storia e, ancora meno di lui, Platone, l’accetta; e soprattutto Socrate, presente quando il racconto è riferito, non dice una parola, e questo non si addice per niente al suo abituale comportamento nelle discussioni. Né nel Timeo né nel Crizia (non terminato) non vi è veramente altro sull’Atlantide che episodi orientati verso dimostrazioni ideologiche, brevi frammenti in confronto alla lunghezza dei dialoghi. È possibilissimo che Aristotele abbia avuto ragione e che Platone non abbia preso sul serio quello che riferiva. Ma forse questa è una utile occasione, perché può anche darsi che Platone abbia riferito quasi suo malgrado e incidentalmente, resti di testimonianze importantissime. Se non vi credeva, il fatto che le abbia riportate, dà ad esse maggior valore, a condizione che non le abbia inventate. I racconti di Platone hanno quindi ancora più bisogno d’altri di conferme esteriori. Ma prima di Platone, e per periodi molto anteriori a quello dell’Atlantide, la mitologia greca ci offre sorprendenti indicazioni, incomprensibili tanto per noi come per i Greci, eccetto per l’illuminazione delle teorie qui presentate. I Greci sembrano soprattutto aver inteso parlare del periodo di decadenza degli Dei. Le storie che hanno riportate su Urano, Crono (Saturno) e la venuta di Zeus, sono anzitutto mostruose. Hanno anche sentito parlare di una età d’oro, ma non vi insistono che per contrasto con gli orrori che seguirono, o anche precedettero. Esiodo stesso presenta una versione già purgata: i tratti più ripugnanti non si trovano nel suo testo. Se semplifichiamo molto e sistemizziamo un po’, ecco come le generazioni degli Dei si sono sviluppate. Scopriremo alcune sorprendenti rassomiglianze con il nostro quadro generale. In un primo periodo, c’era Gea, la Terra, e Eros, il desiderio. Dalla loro unione nacque Urano che sposò sua madre Gea. Tre razze di giganti nacquero da questa unione. Anzitutto i Titani, tra cui Crono (il Saturno latino), Jafet, che ebbe per figlio Prometeo, e molti altri. Urano, temendo di essere detronizzato da loro, getta tutti i suoi numerosi figli nell’abisso del Tartaro. Ma Gea, stanca di portare tanta prole per niente, incitò suo figlio Crono ad attaccare Urano. Urano fu castrato, ma il sangue della sua ferita fecondò una volta di più la Terra, che produsse i giganti propriamente detti: Briaréo (detto anche Egeone) e i suoi fratelli, celebri perché avevano cento braccia. Nelle vecchie leggende non erano più di tre ma il loro numero arrivò, poi, a più di cento. Vennero in seguito i Ciclopi, mostri enormi, d’origine in parte oscura, in un certo senso fratelli dei giganti, ma che non avevano che un occhio solo. Essi pure furono rinchiusi nel Tartaro. Dopo la sua mutilazione fatta da Crono, Urano sopravvisse, ma minorato, e dei suoi doni divini conservò, ciò nonostante, il potere di predire l’avvenire, e continua forse tra gli uomini una oscura carriera, per guadagnarsi la vita come indovino. Così terminò il primo periodo degli Dei, e niente di simpatico ne resta. Crono prese allora il potere; sposò sua sorella Rea e sembra che all’inizio e per parecchio tempo, le cose siano andate abbastanza bene. I Greci collocarono l’età d’oro sotto questo Crono, ancora giovane e benefico, e gli uomini e gli animali erano felici. "Al tempo in cui le bestie parlavano", diranno i favolisti. Nelle Leggi, Platone dice bene di questo primo regno di Crono. Ma Crono si mise in seguito a divorare i suoi figli. Incominciano le età del cannibalismo. I cattivi giganti succedono ai giganti buoni. Allora Rea imitò sua madre Gea che, d’altronde, la consigliava. Essendo Crono diventato un po’ cieco, Rea, invece del figlio che doveva diventare Zeus, gli fece divorare una pietra e nascose Zeus a Creta. Una volta che Zeus diventò grande, iniziò la guerra contro Crono, ma Zeus non poté vincere suo padre che alleandosi con i Titani dopo averli liberati dal Tartaro. Ma i Titani vollero impossessarsi del potere, e Zeus e i suoi fratelli dovettero faticare molto per resistere. Interviene ancora Gea e su suo consiglio, Zeus va a liberare i Ciclopi, uccidendo il mostro che li custodiva nel Tartaro, fabbricarono armi per gli Dei, fratelli di Zeus: il fulmine, i metalli furono allora inventati. I veri giganti furono anche liberati per aiutare Zeus e, infine, questo insolito esercito: Olimpici, Ciclopi, giganti come Tifone e Briaréo, vinsero i Titani che furono nuovamente precipitati nel Tartaro. Questi furono gli esordi di Zeus e la fine del periodo di Crono. Un terzo periodo cominciò allora con il regno, inizialmente prospero, di Zeus e dei suoi fratelli, gli Olimpici, ben conosciuti dai Greci e da noi. Ma questa volta i giganti si rivoltarono. I giganti non erano immortali. Erano i primi esseri di queste generazioni a poter morire. Ma erano protetti particolarmente dalla terra, Gea, che continua ad avere in questa storia un ruolo molto dubbioso. Gli Dei faticarono molto per resistere ai giganti e fecero questa sorprendente osservazione che i giganti non potevano essere uccisi da loro, gli Olimpici, e che solo i mortali potevano uccidere questi mortali. Gli Dei chiesero allora aiuto a Eraclito (o a Dionisio) che era, più o meno, figlio illegittimo di Zeus, comunque gigantesco e mortale. Allora avvennero gli episodi più disgustosi di queste guerre familiari e civili. Èra, moglie di Zeus, e Afrodite si prostituirono ai giganti e li attirarono ad uno ad uno nei pressi di una caverna dove era nascosto Eraclito armato del suo arco e delle sue frecce. Ed Eraclito, aiutato stavolta da Dionisio, uccise ad uno ad uno i giganti. Gli Dei ripresero il sopravvento e l’ultimo gigante, Tifeo, fu seppellito sotto l’Etna, e non è ancora morto perché i suoi movimenti provocano le eruzioni del vulcano. Allora Zeus potè regnare più o meno in pace. Egli perdonò finanche a uno dei figli dei Titani, Promoteo, che aveva reso agli uomini grandi servigi prima di essere incatenato sui Caucaso e abbandonato all’avvoltoio. Con il permesso di Zeus, Eraclito andò a liberarlo. Che cosa si può trarre da questi caotici racconti? Prima di tutto il ricordo delle successive catastrofi. Se ne contano tre, bene individuate: la caduta di Urano, la caduta di Crono, la lotta dei giganti contro Zeus. Con molta buona volontà si può paragonare questi periodi a quelli dei Toltechi, ma molto più mal definiti. Si rasenta forse la storia in quel curioso accenno del ruolo degli uomini nello sterminio dei giganti. Ercole, semi gigante e semidio che sia, è un uomo e mortale. Possiede armi da getto, ciò che rende più spiegabile la disfatta dei giganti. Così Davide uccise da lontano Golia. Gli uomini parteciparono alle ultime lotte civili tra giganti e Dei, come avevano anche narrato i Toltechi. La distinzione tra giganti e Dei non è chiara. Gli Dei potrebbero non essere che i giganti giudicati benevoli dagli uomini. I giganti buoni, o Dei, sono presentati come i maestri degli uomini. Prometeo insegna l’uso del fuoco; i Ciclopi sono gli iniziatori della metallurgia. Ma, nell’insieme, è l’orrore che i Greci ricordano più vivamente. Il periodo di decadenza dei giganti; il cannibalismo e le distruzioni sono presenti nelle leggende e Crono stesso, il re dell’età d’oro, è un cannibale che divora i suoi figli. La testimonianza greca si riassume dunque in questo: che la Terra (Gea) è passata per vari periodi, ognuno dei quali è terminato con una grande catastrofe, che esistettero un tempo i giganti, talvolta buoni come Prometeo o Ercole - e costoro civilizzarono il genere umano ma più sovente cattivi o abominevoli. Questi giganti si sono sterminati tra di loro e gli ultimi sono stati uccisi dagli uomini grazie alle armi da lancio, e in particolare grazie ai dardi di ferro. Così riassunta, la mitologia greca prende il suo rango, abbastanza modesto, trascurabile, nella serie delle testimonianze che andiamo raccogliendo. Ma soprattutto, e reciprocamente, le teorie di Hoerbiger sui periodi, i cataclismi, i giganti e l’origine delle civiltà, danno alle leggende raccolte dai Greci, un significato che, altrimenti, questi racconti più o meno preellenici non avrebbero. Si possono interpretarli come antichissimi ricordi ereditati da un periodo di più alte conoscenze e riportati, in una grande confusione di fantasie e di errori, da popoli che non riuscivano più a comprenderne il senso. Ancora una volta la potenza delle spiegazioni della teoria di Hoerbiger è un argomento di più in suo favore. Ma se il racconto greco delle origini pecca per troppa confusione e incertezza, il racconto platonico sul cataclisma dell’Atlantide pecca, al contrario, per troppa precisione. Mentre siamo stati costretti a spingere la teogonia verso idee più chiare e più concrete, saremo costretti a rifiutare i fatti troppo precisi del Crizia e del Timéo e a cercare adesso indicazioni molto più generali delle affermazioni di Platone. Possiamo interpretare Urano come un gigante-re-cannibale, ma il numero dato delle navi dello Stato dell’Atlantide, ci porta tutt’al più a credere che gli Atlantidei avessero delle navi. Sono questi cattivi indizi, poiché si può pensare che è, appunto, perché i Greci non credevano alla realtà degli eventi che abbiano ecceduto nel trattarli in modo così fantasioso, sia che si trattasse di Urano, sia che si trattasse dell’Atlantide. Ma si può anche pensare con ragione che i Greci non abbiano inventato questi miti ai quali non potevano credere, che li ricevettero senza comprenderli e, poi, li trasmisero deformandoli. Ma il fatto che pur non credendovi li abbiano ugualmente trasmessi, forse vuol dire che una forte tradizione ereditata dai popoli mediterranei aveva imposto questi racconti ai Greci. I giganti esistevano tutto intorno al Mediterraneo, ed è forse dalle montagne dell’Abissinia che erano discesi, dopo la catastrofe terziaria, attraverso l’Egitto. Infatti, li ritroviamo con riferimenti più precisi in Egitto e in Palestina. Platone racconta due volte la storia dell’Atlantide. Nel Timéo non vi è che un rapido sunto. Nel Crizia non vi è che l’inizio di un esposto che doveva essere più completo, ma di cui esiste solo l’introduzione. Fin dall’inizio, un elemento ispira qualche scetticismo. Nel Crizia si discute, a tutta prima, la forma del miglior governo possibile. Dopo un esposto di Socrate, Crizia viene introdotto, siccome aveva ricevuto da suo nonno la descrizione di uno stato reale che avrebbe avuto una costituzione ideale. E la storia dell’Atlantide è narrata. Non si vede bene donde vengano le precise informazioni date sulla costituzione di questo paese, e si è tentati di credere che siano state inventate per sostenere una tesi politica. Ma ciò non proverebbe che il paese stesso non sia mai esistito. Accontentiamoci quindi di riportare quello che riguarda i fatti della storia dell’Atlantide. Crizia racconta che il saggio Solone, il quale era vissuto tre generazioni prima, aveva fatto a un altro Crizia, antenato dell’amico di Platone, il racconto di un viaggio in Egitto, nel corso del quale un sacerdote di Saïs rivelò a Solone fatti storici fino allora sconosciuti ai Greci. Solone aveva cominciato col dire ciò che i Greci sapevano della più remota antichità: il primo uomo Phoroneus e il diluvio di Deucalione. Ma uno dei sacerdoti che era molto vecchio, disse: „O Solone, Solone, voi Greci sempre fanciulli siete. Vecchio un Greco mai non è. A queste parole Solone chiese: „Che cosa intendi dire?" E il sacerdote :" Siete giovani quanto lo siete con l’anima, perché in essa non avete alcuna vecchia opinione proveniente da vecchia tradizione, né nessuna scienza incanutita dal tempo. Ed eccone la ragione. Gli uomini sono stati distrutti e lo saranno ancora e in molti modi. Con il fuoco e con l’acqua avvennero le più grandi distruzioni. Ma ve ne furono altre minori, in mille altri modi. Poiché quello che si racconta anche da voi, che una volta Fetonte, figlio di Elio, avendo attaccato il carro di suo padre, incapace di dirigerlo sulla via paterna, incendiò tutto quello che vi era sulla terra e perì anch’egli, colpito dal fulmine, lo si narra in forma di leggenda. La verità è questa: talvolta si produce una deviazione nei corpi che circolano in cielo, intorno alla terra. E, ad intervalli di tempo molto lunghi, tutto ciò che si trova sulla terra perisce per la sovrabbondanza del fuoco. Allora, tutti coloro che abitano sulle montagne, nei luoghi elevati e nei luoghi aridi, periscono più facilmente di quelli che dimorano vicino ai fiumi e al mare. Ma per noi, il Nilo, nostro salvatore in altre circostanze, ci preserva anche da questa calamità, straripando. Al contrario, altre volte, quando gli Dei purificano la terra con le acque e la sommergono soltanto i bovari e i pastori nelle montagne si salvarono. Ma gli abitanti delle vostre città furono trascinati in mare dai fiumi. Al contrario, in questo paese, né allora né in altri casi, le acque non scendono nelle pianure, è sempre da sotto la terra che scaturiscono naturalmente. Per questa ragione, si dice, che qui si siano conservate le più antiche tradizioni. La verità è che, in tutti i luoghi dove non c’è per scacciarla né il freddo eccessivo né il caldo ardente, esiste sempre, più o meno numerosa, la razza degli uomini. Così, sia da voi, sia qui, sia in tutt’altro luogo di cui noi abbiamo inteso parlare, si sia compiuto qualcosa di bello, di grande o di notevole tutto è qui scritto nel templi, fin dalla antichità, e il ricordo salvato. Ma presso di voi e presso gli altri popoli, ogni volta che le cose si trovano un po’ organizzate per ciò che riguarda la scrittura e tutto quello che è necessario agli Stati, ecco che di nuovo, a intervalli regolati come una malattia, i flutti del cielo ricadono su di voi e non lasciano sopravvivere che gli illetterati e gli ignoranti. Così, di nuovo ridiventate giovani, senza nulla sapere di ciò che accadde, - né presso di voi, né qui, né altrove nei tempi antichi. Poiché le genealogie che tu citavi poc’anzi, o Solone, o per lo meno quella parte che riguarda gli eventi vostri ben poco differisce e dai racconti dei ragazzi. E, inoltre, voi non ricordate che un solo diluvio terrestre mentre, ve ne furono molti altri prima". Il vecchio sacerdote afferma allora che Saïs come Atene sono state fondate e anche popolate da Gea e Vulcano. I Greci ignoravano certamente questo fatto. Gea ci è nota per il suo ruolo accanto a Urano e a Crono e Vulcano (Efaistos) fa parte della sua innumerevole progenitura. Certi indizi fanno supporre che egli fosse un gigante venuto dall’Asia. Che abbia sposato Gea nulla di sorprendente: era già stata la sposa di Eros e di Urano e non sembra essere loro stata molto legata. Ma che i discendenti di questo ceppo siano stati i primi abitanti di Saïs del Delta e di Atene è degno di nota: la fondazione di città umane da parte di giganti è una caratteristica di molte storie, e forse Tiahuanaco porta le prove architetturali di questo miscuglio, come abbiamo già visto. Il sacerdote continua:"I nostri scritti narrano come la vostra città [Atene] distrusse una potenza insolente che invadeva Europa e Asia e faceva irruzione venendo dal fondo del mare Atlantico. Perché, in quel tempo, si poteva attraversare quel "mare. Vi era un’isola, davanti al passaggio che voi chiamate le Colonne d’Ercole. Quell’ isola era più grande della Libia e dell’Asia messe insieme. E i viaggiatori d’allora potevano passare da quell’isola sulle altre isole e, da quelle potevano raggiungere tutto il continente sulla riva opposta del mare che meritava veramente il suo nome. Poiché da un lato, nell’interno dello stretto di cui parliamo, sembra che vi sia un rifugio di stretta imboccatura, e dall’altro lato, all’esterno, vi è il vero mare e la terra che lo circonda e che può essere detta, nel senso proprio del termine, un continente. Ora, in quell’isola Atlantide, dei re avevano formato un grande e meraviglioso impero. Quell’impero dominava l’intera isola e anche molte altre e parte del continente. Inoltre, dalla nostra parte, esso teneva la Libia fino all’Egitto e l’Europa fino alla Tirrenia(1). Ora, questa potenza, " avendo concentrato una volta tutte le sue forze, intraprese in un solo slancio ad assoggettare il vostro e il nostro territorio e tutti quelli che si trovavano da questa parte dello stretto. Fu allora, o Solone, che la potenza della vostra città fece risplendere agli occhi di tutti il suo eroismo e la sua energia. Per forza d’animo e arte militare oltrepassò tutti. Dapprima alla testa degli Elleni, poi sola per necessità, abbandonata dagli altri, giunta ai supremi rischi, essa vinse gli invasori, eresse il trofeo, preservò dalla schiavitù coloro che schiavi non erano mai stati e, senza rancore, liberò tutti gli altri popoli e noi stessi che abitiamo al di qua dalle Colonne d'Ercole. Ma, poi, vi furono spaventosi terremoti e cataclismi. Nello spazio di un giorno e di una notte terribili, tutto il vostro esercito fu inghiottito in un sol colpo dalla terra, e così pure l’isola Atlantide si inabissò nel mare e scomparve. Ecco perché, ancora oggi, quell’oceano di laggiù è difficile e inesplorabile, per l’ostacolo dei fondi melmosi e bassissimi che l’isola, sommergendosi, ha depositati". Nel Crizia, ci vien fornito un racconto più completo e alcuni particolari aggiunti al racconto sommario del cataclisma riferito nel Timéo: "Soli sopravvissuti furono gli abitanti delle montagne che ignoravano l’arte della scrittura. Essi e i loro discendenti, per molte generazioni, mancarono delle ordinarie necessità della vita e dovettero consacrare i loro sforzi e la loro intelligenza al soddisfacimento "dei bisogni materiali. Non stupisce quindi il fatto che essi abbiano dimenticato la storia degli avvenimenti dell’Antichità. Questo spiega perché soltanto i nomi dei nostri lontani antenati siano a noi pervenuti, ma le loro azioni siano state dimenticate". Seguono particolari su l’Atene di dodicimila anni fa e sulle città e gli stati dell’Atlantide. Ma nessuna prova può venirne tratta. Seguono poi le indicazioni delle ragioni morali del cataclisma che doveva distruggere l’Atlantide - e già abbiamo segnalato altrove questo tema dell’interdipendenza tra la decadenza morale e le calamità materiali. È sempre il tema della caduta d’Adamo, e le cause del Diluvio nella Bibbia. "Durante molte generazioni e finché predominò in loro la natura del dio, i re prestarono fede e seguirono le leggi e restarono attaccati al principio divino, al quale erano imparentati. In ogni campo, i loro pensieri erano veri e grandi ; praticavano la bontà e anche " il giudizio in presenza degli avvenimenti che sopraggiungevano, e si rispettavano a vicenda. Così, sprezzanti di tutto, all’infuori della virtù, davano poca importanza ai loro beni; portavano come un fardello la massa del loro oro e delle altre ricchezze, né si lasciavano esaltare dalla grandezza, né perdevano il controllo di loro stessi e marciavano rettamente. Con lucida e acuta chiaroveggenza, essi vedevano che tutti quei vantaggi s’accrescono per il reciproco affetto unito alla virtù e che, al contrario, l’eccessivo zelo per beni materiali e la stima che se ne ha, fanno perdere questi stessi beni, e anche la virtù perisce con essi. Per effetto di questo ragionamento e grazie alla persistente presenza del principio divino in loro, tutti i beni che abbiamo elencato non cessavano di aumentare. Ma, quando l’elemento divino venne a diminuire in loro, a causa dell’incrocio ripetuto con numerosi elementi mortali, quando dominò il carattere umano, allora, incapaci ormai di sopportare la prosperità, caddero nell’indecenza. Agli uomini chiaroveggenti, essi apparvero brutti, poiché avevano lasciato perdere i più belli dei più preziosi beni. Viceversa, agli occhi di chi non sa discernere quale genere di vita contribuisca veramente alla felicità, fu allora che sembrarono belli e felici, gonfi com’erano di ingiusta avidità e di potenza. E il dio degli Dei, Zeus, che regna per le leggi e che, certamente, aveva il potere di conoscere tutti questi fatti, comprese quali miserabili disposizioni prendeva quella razza, di primitivo carattere eccellente. Allora volle punirli, affinché riflettessero e fossero ricondotti alla moderazione. A tale scopo, adunò tutti gli Dei nella loro più nobile "dimora: è situata al centro dell'Universo e si vede " dall’alto tutto ciò che partecipa al Divenire. E, avendoli radunati, disse...". Non ci rimane altro del Crizia. Certe affermazioni del sacerdote di Saïs meritano di essere rilevate. Concordano con le teorie di Hoerbiger e quindi anche con la scienza egiziana. Il mito di Fetonte è interpretato ragionevolmente da una deviazione nella corsa dei corpi celesti. La caduta di Fetonte sulla Terra sembra la trasposizione mitica della caduta della Luna terziaria. Questa sarà, così, la più antica testimonianza dei Greci sulla storia. Un corpo celeste, figlio del Sole, e non il Sole - perché non è Elios che cade - viene a fracassarsi sulla Terra e minaccia di distruggere tutto. Ciò nonostante, tutto non è andato distrutto. Ma Fetonte perisce, ossia, non ritorna più nel cielo. Una volta caduta la Luna terziaria, non c’è più Luna nel cielo - c’è sempre il sole: Elios non è colpito dal disastro. Hoerbiger copre tutti gli aspetti del mito. E il mito conferma Hoerbiger. Il sacerdote egiziano conosce benissimo il fenomeno generale. "Una deviazione si produce talvolta nei corpi che girano nel cielo intorno alla Terra. E, a lunghi intervalli di tempo, tutto quello che è sulla Terra viene distrutto dal fuoco". Restringendo un po’ questo tutto e interpretando fuoco per vulcanismo e caduta degli elementi infuocati del satellite fracassato, la frase è interamente giusta. Su questo periodo senza Luna, abbiamo altre testimonianze. Aristotele ha detto in un frammento della sua Costituzione dei Tegéi tramandataci da un commentatore de Le Argonautiche di Apollonio Rodio, che gli abitanti pre-elleni dell’Arcadia menzionavano quale loro titolo al diritto del possesso del paese, il fatto che l’abitavano già prima che ci fosse una Luna in cielo. Apollonio Rodio dice la stessa cosa. Questa affermazione non aveva nessun senso prima della teoria di Hoerbiger. D’altra parte, la si è ritrovata nel folclore sud-americano e presso i negri delle isole del Pacifico e la concordanza tra Aristotele e i selvaggi la rende degna di rilievo (1). Ma l’idea generale di Hoerbiger è applicata dal sacerdote egiziano all’inghiottimento dell’Atlantide dall’acqua. "Altre volte gli Dei purificano la Terra con le acque sommergono". Sempre per mezzo di questa deviazione dei celesti. e la corpi La catastrofe di Fetonte risale forse a duecentocinquantamila anni, quella dell’Atlantide forse a dodicimila anni. I calcoli di Hoerbiger dimostrano che circa dodicimila anni fa (la cifra concorda sufficientemente con quella di Platone), la Luna attuale fu captata, nel modo che è stato già detto nella prima parte di questo libro. Le acque fluite allora più largamente verso i poli, furono attirate sotto il corso della Luna, e così le terre dell’Atlantide settentrionale che il loro rilievo teneva fuori dal mare fino allora, furono sommerse con grande rapidità, poiché la cattura della Luna avvenne brutalmente. Hoerbiger stima che al momento della cattura, la Luna dovette venire molto più vicina alla Terra di adesso, e le rispettive gravitazioni non si equilibrarono che alla fine del movimento oscillatorio. Probabilmente anche altre terre nell’emisfero sud furono sommerse. Così possiamo prendere sul serio il racconto di Platone nelle sue linee generali: forse per la prima volta da che fu scritto. Resta da dimostrare che le isole così inghiottite fossero abitate da popoli civili. Ma questo diventa assai probabile se si ammette la tesi generale dei seguaci di Hoerbiger: se vi fu in America una civiltà circa trecentomila anni fa e quelle popolazioni civili furono scacciate dalle loro montagne da un cataclisma e andarono a stabilirsi nelle pianure emerse, perché, una volta calmatisi i mari, i discendenti di quei primi americani non avrebbero occupato le grandi isole? 1) Bellamy: Moons, Myths and Men, p. 241 e segg. Faber, London, 1949. Le narrazioni di Platone, e quindi dell’ipotetico egiziano, possono ora essere considerate come prove storiche. Le possibilità esistono e il documento è formale. A priori noi non abbiamo il diritto di respingerlo. Così le due Atlantidi, quella di circa trecentomila anni fa in America e questa di circa dodicimila anni fa nell’Atlantico, si reggono e possono benissimo essere esistite tutte e due. Il sacerdote egiziano ha mirabilmente descritto le decadenze che seguono le catastrofi. Ha anche spiegato chiaramente che l’Egitto, in grandissima parte, era sfuggito al cataclisma. Bellamy ha studiato molto da vicino le condizioni geologiche e geografiche che hanno fatto si che le acque del Mediterraneo d’oggi, allora in formazione, abbiamo lasciato l’Egitto quasi intatto, allorché, come narra Platone, una grande parte dell’Attica, con altre terre della Grecia, furono sommerse (1). Il sacerdote sapeva anche che vi erano state molte di queste catastrofi. La storia della Terra è stata molto più movimentata di quanto non si credesse prima del XX Secolo e ciò nonostante, il suolo stesso è stato molto meno scosso di quanto mezzo secolo fa non si pensasse. E infine, gli Egiziani conoscevano perfettamente l’esistenza dell’America. Platone non avrebbe potuto inventare questo. Il sacerdote dice: "I viaggiatori, in quei tempi, potevano passare da quell’isola sulle altre isole e da quelle potevano raggiungere tutto il continente sulla riva opposta di quel mare. Quell’impero dominava tutta l’isola e anche molte altre e parte del continente". Questo passaggio ci sembra confermare irrefutabilmente la scienza egiziana - poiché Platone non riparla più di questo continente, e, probabilmente, non ci crede e parimenti confermare la verità dei principali elementi della narrazione: se gli Egiziani conoscevano l’America e mettevano questo continente in relazione con le isole oceaniche e l’Europa-Africa, non vi è più nessuna ragione, dopo Hoerbiger, di dubitare delle verità fondamentali del racconto ripetuto da Platone. Chi avrebbe dunque potuto inventare l’America ? Se gli Egiziani conoscevano e dicevano la verità sull’America, quello che dicevano sulla situazione dell’Atlantide era ugualmente vero. Queste due verità si collegano. Platone ha ben potuto inventare le antiche costituzioni ateniesi e quelle delle isole, ma non ha inventato né l’America, né l’Atlantide. Quando tutto è stato detto, pro e contro, la testimonianza di Platone è decisiva. 1) Bellamy: The Atlantis myth, p. 94 e segg. Faber, London, 1949. CAPITOLO VIII L’EGITTO, L’ABISSINA E LA CINA Nonostante tutto, gli Egiziani restano forse il problema più insolubile della storia. Come sia stato possibile che si sia vista apparire durante le prime tre dinastie l’arte più potente che si conosca, come sorta dal nulla, e seguita da mutazioni e raffinatezze che in definitiva non rappresentano che una splendida decadenza? Gli stessi Egiziani hanno sempre guardato indietro e considerato le loro prime dinastie, e forse anche uno stato di cose molto anteriore alle dinastie, come il grande periodo che aveva loro tutto tramandato. Etienne Drioton, nella sua prefazione al catalogo del 1949 del Museo del Cairo, scrive che si assiste al primo esordio della storia, a „un risveglio nel senso artistico assopito fin dall’età paleolitica che ci fa passare dalla barbarie errante alla civiltà sedentaria". Alla corte dei numerosi reucci dei tempi preistorici sono acquisiti "i principi estetici dai quali non doveva più allontanarsi" l’arte egiziana. Questo - continua Drioton - spiega la rapidità e la fulminea salita verso l'apogeo raggiunta sotto il regno di Zoser (III Dinastia) mai l’arte egiziana ha fatto nulla di più potente. L’età delle Piramidi (III e IV Dinastia) è l’età d’oro della loro civiltà". Questi sono fatti e non spiegazioni. È, forse, alla corte (ma c’erano, allora, delle corti?) dei reucci barbari affatto ipotetici che i grandi principi dell’arte sarebbero stati raggiunti? Sarebbe come se spiegassimo l’origine delle grandi architetture dell’India con i reucci di Malekula, dove nemmeno c’erano reucci. E quando la scuola sociologica di Durkheim cerca di convincerci che l’Egitto predinastico era composto di selvaggi riuniti attorno ai più rozzi totem, di cui troviamo vaghe tracce nel suolo, siamo forse convinti? Chi ci dice che si sia avuto il "totemismo" in Egitto? Ad un tratto, questi totem si riuniscono e, da alcuni pali ornati d’immagini appena riconoscibili, vengono fuori le più grandiose statue dell’umanità e le incomprensibili piramidi? Ciò sembra poco probabile. Sembra invece molto probabile che siano stati i discepoli di Durkheim ad avere inventato questi sorprendenti salti nella storia per cercare di dimostrare i principi del loro maestro. Conviene anche a noi trarre da questo una lezione di prudenza e non vedere troppo evidenti prove delle tesi di Hoerbiger da per tutto. Così non terremo molto conto dei dati egiziani, dei quali, siamo persuasi, non comprendiamo ancora nulla. La notevole sintesi presentata da A. Moret una quarantina di anni or sono non è stata accettata, non ostante l’altissimo livello intellettuale e la potenza esplicativa sovente tanto attraente. Non se ne trovano tracce nell’opera di Erman, il più noto specialista tedesco, e pochissime in quella di Jacques Vandier, il quale d’altronde, poi, se ne rammaricò (1). Gli antichi Egiziani non ci hanno lasciato spiegazioni delle loro credenze e le loro opere d’arte sono difficilissime a interpretare. La solita spiegazione che bisognava conservare ad ogni costo il corpo mummificato del Faraone, non sembra compatibile con l’alto grado di sviluppo intellettuale e spirituale che l’arte egiziana del tempo delle Piramidi ci costringe ad ammettere. Mentalità di così alto livello hanno veramente creduto che importava sopra ogni cosa conservare il cadavere? Vediamo più tardi gli Egiziani continuare a conservare i cadaveri, ma ammettevano che non erano, allora o più tardi, al livello intellettuale dei loro antenati e seguivano le tradizioni senza comprenderle. Anche questo fenomeno di imitazione continuata per millenni è in sé un problema insolubile. Grandi tentativi, come quello di Akoun-Aton, sono stati fatti per risolverlo. Senza risultato e i Persiani, i Greci e gli Arabi hanno sommerso e distrutto tutto quello che, forse, avrebbe potuto illuminarci sul lungo dramma spirituale che dovette svolgersi durante i millenni egiziani. I discepoli integrali di Hoerbiger (ma forse non sufficientemente integri) fanno riferimento ai trecentoquarantacinque colossi di legno che i sacerdoti egiziani mostrarono a Erodoto (II, 143) le quali statue rappresentavano la linea di successione dei Grandi sacerdoti, risalenti a undicimilatrecentoquaranta anni prima; gli Dei avevano regnato sul Nilo ancor prima di questi Grandi sacerdoti. Erodoto dice anche del gigante Ercole che sarebbe stato uno dei primi re-Dei d’Egitto e che non ha niente a vedere con l'Ercole greco. Ma Erodoto è un testimonio troppo in ritardo e Plutarco ancora di più. Troviamo quindi in Egitto elementi hoerbigeriani estremamente vaghi che, d’altra parte, riscontriamo con maggior precisione in Grecia e presso gli Ebrei. È possibile che Greci e Ebrei abbiano appreso molto in Egitto, ma non sappiamo. 1) La religion egyptienne, p. 24. Presses Universitaires, Paris, 1944. Le ricchezze archeologiche della Valle del Nilo probabilmente ci riservano ancora grandi sorprese: Edwards dice (1): "I testi delle piramidi non erano certamente frutto d’invenzione della V o VI dinastia, ma avevano origine in una antichità molto più remota. Un residuo dei tempi lontanissimi è contenuto nel passaggio (273-274) in cui il re morto è un cacciatore che afferra e divora gli Dei in modo da appropriarsi delle loro qualità". È difficile per un buon discepolo di Hoerbiger non trovare qui un residuo del tempo in cui i giganti combattevano gli "Dei" e in cui gli uomini aiutavano i giganti "buoni" contro quelli "cattivi"; un ricordo del cannibalismo dei giganti degeneri. Bisognava che il re morto diventasse un gigante per poter combattere questi mostri. E sta qui, forse, la ragione di quelle colossali statue, in modo da mettere dopo la morte del re, a sua disposizione un corpo spirituale grande quanto quello dei suoi avversari. Poiché evidentemente, tutto aveva finito con il diventare spirituale. Sulla terra d’Egitto non c’erano più giganti. Si incontravano i loro spiriti, dopo la morte, Dei o demoni. Lo spirito del re morto per combatterli si rivestiva, non della debole e piccola veste della sua mummia, ma della sua potente ed enorme statua. Non è soltanto perché egli la riconoscesse quando tornava che la statua doveva riprodurre con precisione l’aspetto del re: è perché anche i suoi nemici dell’altro mondo lo riconoscessero e ne fossero terrorizzati. La piramide doveva servire al re per salire in cielo. Ma permetteva anche la discesa delle potenze del cielo fino agli uomini, forse. "È partendo da questa immagine della scala destinata a facilitare l’ascensione al cielo del Faraone e materializzata, crediamo, nella piramide a scalini, che gli architetti egiziani arrivarono alla forma più astratta della vera piramide geometrica che doveva avere, nel loro criterio, lo stesso scopo; inoltre, le facce inclinate dell’edificio potevano evocare la collina primordiale da dove Atoun si alzò al di sopra del caos. I teologi si sforzano di trovare nella piramide significati più particolari, paragonandola sia al fascio dei raggi solari che squarciano le nuvole, sia alla pietra sacra di Eliopoli". (2) L’associazione tra i giganti e le montagne è stata segnalata da per tutto. 1) E. S. Edwars: The Pyramids of Egypt, p. 151-52, Pelikan, London, 1947. 2) J. P. Lauer: Le Probléme des Pyramides d'Egypte, p. 222, Payot, Paris, 1948. Discesi dall’Abissinia, come dalle Ande, i giganti si rifugiavano negli altipiani al tempo delle inondazioni e ritornavano verso la pianura nei periodi calmi. Il Faraone imitatore degli antichi Dei-giganti faceva lo stesso, e quando non aveva montagne vicine, se ne faceva costruire una, la sua piramide (1). Non parleremo delle lotte tra gli Dei e i giganti scandinavi. Senza dubbio il quadro della distruzione del mondo, quando Odino sarà ucciso da Fenrir, quando il Sole si spegnerà e la Terra sarà sommersa dal mare, somiglierà a tutto quello che abbiamo già narrato. Ma queste somiglianze si ritrovano da per tutto sulla terra e non confermano qualcosa, e ancora malamente, che con la loro dubbiosa universalità. Abbiamo cercato di raccogliere qui testimonianze di un ordine di precisione superiore. Un’altra delle isole di Hoerbiger, l’Abissinia certo periodo della sua fissata al di sopra di l’Abissinia. cui non sappiamo niente è l’Abissinia. Per è un paese molto importante perché a un spirale discendente, la Luna terziaria si è un punto della Terra che si trovò essere Infatti, il restringimento della spirale e il raccorciamento del tempo di un giro attorno alla Terra, porta un periodo nel quale la Luna gira in un giorno intorno al pianeta. Allora la Luna resta per molto tempo fissa, poiché gira con lo stesso nostro movimento, e ci è molto vicina, forse a sei raggi terrestri. Allora, attira una marea di rocce più o meno in fusione dagli abbassamenti del suolo, e in quel luogo forma un massiccio montagnoso. Poi, dopo cinquanta o centomila anni, per effetto dell’accumulo di insensibili variazioni, la Luna riprende, a mano a mano, a girare più presto della Terra. I calcoli di Hoerbiger sono impressionanti. Ma non si sa niente dell’antica Abissinia. In teoria, i giganti mediterranei, i Palestinesi, i Greci, Ercole, Atlante e Prometeo vennero da quella terra. Era l’isola terziaria da dove potevano discendere per incivilire o divorare gli uomini. In realtà, non rintracciamo che qualche leggenda semitica o cabalistica che narra che gli Ebrei erano originari dall’Abissinia. 1) J. P. Lauer: op. cit., p. 93 e E. S. Edwards: op. cit., p. 235. Più tardi, in Egitto si cessò di costruire piramidi perché la montagna di Tebe, dove si seppellirono i re, servì allo stesso scopo. Ora, per gli Ebrei, "Israele" significava il genere umano che conoscevano: l’episodio della regina di Saba, tanto popolare quanto inesplicabile, sarebbe la trasposizione a un tempo semistorico di una vecchissima tradizione che dava agli Ebrei una parte di sangue abissino tra le loro razze ancestrali. La regina di Saba sarebbe stata abissina e possedeva tutte le scienze e tutte e magie. E il Paradiso perduto sarebbe stato in Abissinia. È infatti difficile rintracciare i quattro fiumi della Genesi nell’Asia occidentale, ma tra i massicci dell’Etiopia, vi sono tanti quattro "fiumi", quanti se ne vogliano. Ma si vede subito che questo modo di ragionare, fatto in parte di fantasia, non conduce a nulla. L’appellazione "Montagne della Luna", in questa Africa Orientale, potrebbe essere l’ultima eco di antiche tradizioni. La sopravvivenza di una razza di giganti nella Ruanda, a Ovest del Lago Vittoria, nel vicino massiccio montagnoso e vulcanico, è comunque degna di nota. Questi giganti non sono alti più di due metri, ma la loro degenerazione deve durare da più di trecentomila anni, da quando la Luna terziaria non li aiuta più ad aumentare di statura. Essi costituiscono una aristocrazia tirannica che regna sui neri bantu molto ordinari. La civiltà di questi supposti "Hamiti" è molto avanzata, sebbene diversa dalla nostra: è ufficialmente ed esplicitamente basata sulla crudeltà. Bestiame dalle corna gigantesche costituisce la ricchezza principale della regione, ed è stato paragonato con successo al bestiame che si trova disegnato dagli Egiziani nella più remota antichità. Le enormi corna, molto caratteristiche, sono le stesse. Le danze, gli sport (in particolare, il salto in alto) e i matrimoni complicati dei principi hanno una importanza sconosciuta nella nostra civiltà. Insomma, vi si può vedere un’ultima sopravvenienza di qualcosa di antichissimo, poiché l’arrivo degli Europei in quelle regioni, sopprimendo la crudeltà, ha soppresso le vecchie usanze e probabilmente farà estinguere la razza che non si manteneva, nel suo piccolo numero, che per mezzo di questa aristocratica ferocia (1). 1) Vedi: Guida del viaggiatore nel Congo belga e nella RuandaUrundi, Dupriez, Bruxelles, 1949: conclusione assai malinconica della guida:La vecchia Ruanda crudele, inumana è vissuta. I giganti non sarebbero arrivati in Ruanda che nel XV secolo, forse venendo dall’Abissinia. Quasi tutti i riferimenti chiesti dai discepoli di Hoerbiger sono qui riscontrabili, sebbene in piccolo: montagne alte, uomini giganti, bestiame gigante, aristocrazia, oppressione di una razza inferiore. È stata affacciata l’ipotesi che questi uomini siano i resti di quelli che civilizzarono l’Egitto, or sono decine di millenni: l’antico bestiame egiziano, perduto in Egitto da migliaia d’anni, vi si ritrova, identificabile per le sue caratteristiche corna. Il gigantismo del bestiame si sarebbe perduto durante la lunga degenerazione e solo le corna conservano questo carattere. Lo stesso fenomeno di gigantismo spiegherebbe le quasi incredibili giraffe. Il culto della Luna in Africa troverebbe anche qui una plausibile spiegazione. Questa adorazione è inspiegabile nelle attuali circostanze. Ma una Luna che presentava tutte le sue fasi diciassette volte il mese, e che era più luminosa del Sole, e che più tardi - forse centomila anni più tardi - girava varie volte il giorno intorno alla Terra - e che più tardi ancora fini per cadere sulla Terra uccidendo intere popolazioni - era una Luna che meritava rispetto, timore, adorazione e sacrifici, una Luna che meritava in molte lingue, (ancora oggi nella lingua tedesca) il genere maschile, lasciando al Sole le declinazioni femminili. Si potrebbe fare il giro del mondo, paese per paese, e trovare ovunque conferme. Ma abbiamo la più grande diffidenza per questo metodo troppo adottato dagli etnografi del genere di Frazer. Infatti, si può così dimostrare qualsiasi tesi. Con qualche ingegnosità, deformando più o meno i fatti scoperti, si può dimostrare che tutti i popoli hanno conosciuto tutto quello che si voglia. Si può trovare ovunque il mito di Balder, le avventure di Iside e Osiride, il totemismo exogamico e, anche, il racconto della Passione e della Resurrezione di Cristo. In tutto questo, c’è forse un elemento di verità, ma bisognerebbe, ci sembra, procedere in senso inverso: cominciare per sapere quello che è accaduto per rintracciare poi, nei vari luoghi, le narrazioni più o meno deformate. Per questo abbiamo preferito prendere qualche esempio e presentare aspetti precisi, per cominciare. I discepoli di Hoerbiger troppo zelanti e, in particolare, Bellamy sovente citato in questo libro, sono affetti spesso da questa malattia dell’etnografia, che vuole dimostrare troppo per mezzo di vaghe e tirate approssimazioni. Non si può sapere la verità. Come Victor Hugo fa dire dall’asino a Kant: Contraddirsi un po’, Kant, è il diritto delle chiose Quando si arriva alla fine, s’incontrano delle cose Che sembrano l’opposto di quel che si era detto. Cerchiamo quindi soltanto di aprire sul passato prospettive sempre più generali. La Cina, seguendo il sistema di Hoerbiger, dovrebbe darci una ricca messe d’informazioni: confina con il Tibet, uno dei rifugi umani del Terziario, e si suppone conservi antichissimi ricordi. Difatti, il drago cinese che circonda il mondo e sembra sul punto di schiacciarlo o d’inghiottirlo, e spesso ha una Luna in bocca, offre varie interpretazioni (1). L’interpretazione di Hoerbiger sembra ciò nonostante una delle migliori. Il drago chiuso ad anello è la rappresentazione dell’anello formato dalla Luna terziaria disintegrata che, infatti, aveva finito per stringere la Terra sempre più forte e, alla fine, divorò la Luna. Se esseri umani hanno assistito a questo fenomeno, hanno visto la Luna dissolversi in anello: divorata e assorbita dal corpo del drago. E le inevitabili esplosioni laterali dell’anello sarebbero abbastanza bene raffigurate dalle zampe del drago. Il numero dei vasi cinesi che rappresentano questa fase della storia cosmica dimostra che, da remotissima antichità, gli abitanti dell’Estremo Oriente si sono trasmessi una tradizione conosciuta ed ammessa da tutti. Del Tibet, donde sono potute venire alcune razze di antenati cinesi, non si sa quasi niente. Forse certe idee della teosofia che riassumeremo più innanzi vengono dal Tibet. Per i discepoli di Hoerbiger, il Tibet essendo una delle cinque isole del Terziario, in ragione della sua latitudine, ha potuto essere uno dei luoghi nei quali si è potuto osservare l’anello di disintegrazione. 1) Tra le altre, la più recente sostiene presso gli antichi cinesi, una conoscenza della fisiologia ancor più sorprendente della scienza astrono-mica prospettata da Bellamy. Il drago sarebbe lo spermatozoo umano e la luna la cellula femmina fecondata. Ora, anche i selvaggi, se erano presenti, avrebbero potuto vedere l’anello terziario (formato dalla Luna), ma lo spermatozoo e la cellula fecondata esigono il microscopio. CAPITOLO IX I TEOSOFI H. P. Blavatsky e i suoi discepoli sono stati oggetto di beffe e anche di accuse molto gravi. Non siamo disposti ad unirci ai denigratori perché, nel 1880, la Blavatsky scrivendo The Secret Doctrine ha affermato che esistevano, nelle montagne a meridione della Mongolia e dell’estremità Nord-Ovest della Cina, grandi biblioteche sistemate da monaci buddisti in caverne segrete, conosciute solamente dagli iniziati. Ora, nei primi anni del XX Secolo, Paul Pelliot ha trovato qualcuna di quelle caverne che erano state murate e abbandonate infatti da monaci preavvisati dell’invasione dei Mongoli. Dopo il XIII Secolo, esse erano rimaste intatte. La Blavatsky aveva detto il vero e non aveva esagerato né la ricchezza né l’importanza delle collezioni buddiste di manoscritti e libri in molte lingue, di cui parecchi non sono ancora decifrati, come la Blavatsky stessa aveva detto. Inoltre, ella aveva indicato la regione nella quale si trovavano le biblioteche segrete. È quindi provato che H. P. Blavatsky aveva ricevuto da monaci, autorizzati a farlo, notizie vere. È ammissibile che su molti punti non controllabili, fosse ugualmente bene informata. Ma non possiamo sapere quando interviene la sua immaginazione, e non possiamo nemmeno sapere quando i suoi informatori erano essi stessi nel falso. L’avventura intellettuale di Bailly, il sindaco di Parigi che fu decapitato nel 1793, quello che andando alla ghigliottina tremava, ma solamente di freddo, è di natura tale da farci riflettere. Missionari avevano portato dall’India certe tavole astronomiche credute antichissime, e delle quali i brahamani andavano orgogliosi, dicendosi superiori agli Europei in astronomia. Bailly, nel 1778, era astronomo del Re, e si mise a esaminare quelle tavole ed a verificarle matematicamente. Arrivò così all’inattesa conclusione che le tavole rivelavano un errore costante nelle osservazioni e che le osservazioni stesse non erano state fatte nelle Indie. Ma se si considerava il 49" grado di latitudine Nord, allora i calcoli risultavano esatti. Quindi, concludeva Bailly, i brahamani avevano ereditato quelle tavole da una civiltà diversa dalla loro e che aveva dimora nei paesi del 49° grado di latitudine Nord. Bailly chiamò quella civiltà l’Atlantide e la situò nella regione dove adesso c’è il deserto di Gobi. E, infatti, i geologi che vi credettero scoprirono che quel deserto era stato una volta un mare e che le condizioni di vita intorno a quel mare avevano potuto essere favorevoli alla civiltà. Voltaire entrò nella controversia, e le famose Lettere sull’Atlantide, di Bailly e Voltaire, furono pubblicate nel 1778 e divennero popolari come le Lettere persiane. Questo è come dire che non ci si può tanto fidare di quello che i brahamani raccontano della loro storia. E, inoltre, non si può sempre aver fiducia della H. P. Blavatsky. Del resto, questa autrice parla più del Tibet che dell’India. Ma pur prendendo tutto questo in considerazione, è necessario prestare attenzione alle tesi dei teosofi, ed è legittimo pensare che nelle loro credenze si trovino antichi echi di tradizioni indù o tibetane. Ed è, per il momento, il solo materiale disponibile sul Tibet, la quinta grande isola del Terziario, secondo Hoerbiger. Così, sebbene da lontano, abbiamo parlato di tutte queste cinque isole: le Ande, il Messico, la Nuova Guinea, l’Abissinia e, infine, il Tibet. Lungo tutta la catena dei rifugi umani, al tempo della marea permanente, abbiamo intravisto qualcosa di diverso dall’uno all’altro luogo, ma pur sempre una coerenza: nelle Ande rovine inspiegabili; nel Messico, una tradizione di tendenze quasi scientifiche; nei paraggi della Nuova Guinea, il culto delle grandi pietre; in Abissinia e dintorni, i resti di una razza di giganti e tracce di un bestiame gigante; infine, in India e regioni tibetane, profonde teorie. Forse, quello che è più sorprendente e più antico nei teosofi, è l’importanza che danno alla Luna. Come gli uomini di Malekula, gli ispiratori della Blavatsky, Tibetani o Indù, fanno della Luna la madre delle razze terrestri, una volta di più "la madre d’Israele". Ma bisogna insistere su una differenza essenziale tra i selvaggi del Pacifico e gli IndoTibetani. A Malekula, abbiamo trovato quello che non poteva essere altro che una decadenza in procinto di concludersi nel nulla e nella incomprensione di umani esseri minorati. Abbiamo accertato l’esistenza di resti di una vecchia civiltà, in tali condizioni che l’esistenza dei seguaci non era ormai più al livello delle istituzioni che continuavano a perpetuarsi. Al contrario, in India e presso i teosofi, osserviamo una super-intellettualizzazione. Per le nostre mentalità di Occidentali, la teosofia è troppo complicata e supponiamo, a priori, che queste complicazioni siano divergenti dalla realtà. Indubbiamente la realtà è molto complicata, ma più la teoria si complica e più aumentano le probabilità che le due complicazioni divergano, e che all’inizio del processo logico e immaginativo che la nostra intelligenza costruisce, ci si trovi molto lontano dalla realtà delle cose stesse. Insomma, l’Europa ha appreso più dell’India a diffidare dell’intelligenza e dell’immaginazione ed a credere solo a fatti appurabili o, per lo meno, supponibili quali reali e non quali semplici frutti dell’immaginazione. Così gli indigeni di Malekula si accontentano di dire che le razze umane sono create nella Luna e che le anime dei nascituri discendono dalla Luna nel seno delle loro madri. I teosofi sostengono che vi sono sette Lune, di cui una sola può essere percepita dai nostri attuali sensi umani così come, d’altra parte, vi sono sette pianeti Terra, dei quali sei ci sono invisibili. Queste sette catene di astri corrispondono a sette suddivisioni dell’anima umana, ciascuna delle quali si materializza sull’astro corrispondente. Questa teoria è, logicamente, ammirevolmente concepita e non resta che da dimostrare sperimentalmente che è vera: la prova è naturalmente assai difficile da fare. La formazione delle anime nella Luna prima della loro discesa sulla Terra, idea fondamentale comune a Malekula e a H. P. Blavatsky, è dunque inevitabilmente molto più complicata per i teosofi. Non è qui il caso di riportarne i particolari. Alcune citazioni sugli antenati lunari delle razze umane, i "Pitri" lunari, dovrebbero bastarci; la tesi generale è chiara, i "sistemi" molto attraenti. Facciamo intanto notare che abbiamo trovato nello Zohar una concezione di mondi spirituali paralleli al nostro, ma celati ai nostri sensi e in tutto simili ai sottili universi della Blavatsky. Insistiamo pure sul carattere probante di queste coincidenze nelle divergenze. Se un uomo semplice e un intellettuale eccessivamente complicato riferiscono le stesse cose, viste da mentalità così diverse, è molto probabile che se ne possa trarre riferimento alla realtà. Il pensare, infatti, che il selvaggio e l’intellettuale si siano influenzati - qualunque sia la direzione di questa influenza l’uno verso l’altro, o viceversa - è come ammettere una vecchia correlazione, che equivale a una prova della tesi. Una certa comunità di civiltà in un passato straordinariamente antico diventa plausibile, poiché bisogna lasciare il tempo a una civiltà super intellettualistica di svilupparsi e, d’altra parte, a uno stato di degenerazione di spingersi lontano. È proprio questo che sosteniamo adesso, e non soltanto fra l’India e il Pacifico, ma fra tutti i cinque ipotetici centri della civiltà terziaria. Se Trecentomila anni or sono, le navi che partivano da Tiahuanaco percorrevano l’oceano sopraelevato dall’attrazione lunare e andavano nella Nuova Guinea e nel Tibet, come pure al Messico e in Abissinia, non è strano che in uno di questi centri così lontani fra loro la scienza sia andata degenerando, mentre in un altro abbia sempre più preso uno sviluppo sistematico e complesso. In questa misura, la testimonianza dei teosofi è ammissibile. Senza avventurarci sul terreno proibito dell’ottava sfera, scrive la Blavatsky, "bisogna riferire qui alcuni fatti sulle antiche Monadi della catena lunare - gli antenati lunari - che hanno una parte di primo piano nella nostra antropogenesi". "La prima razza fondamentale, i primi "uomini" sulla terra, erano la progenitura degli "uomini celesti", propriamente chiamati nella filosofia indù gli antenati lunari, i Pitri, dei quali vi sono sette classi di gerarchie". "È quindi la Luna che ha la parte più grande e più importante, tanto nella formazione stessa della Terra, quanto nella generazione degli esseri umani che popolano la Terra. Le Monadi lunari, o Pitri, antenati dell’uomo, diventano in realtà l’uomo stesso. Sono queste Monadi nel ciclo dell’evoluzione nel primo dei globi e che, passando in tutte le catene dei globi, costruiscono la forma umana - i loro doppi astrali - in una forma sottile, più fine, servono quali modelli ed intorno ad essi la Natura costruisce gli uomini fisici. Queste Monadi, o scintille divine, sono anche gli antenati lunari, i Pitri stessi, poiché questi spiriti lunari debbono diventare "uomini" affinché le loro Monadi possano raggiungere un piano più elevato d’attività e di coscienza di sé". Sull’importanza della Luna nell’evoluzione della Terra e della razza umana, la Blavatsky sviluppa, molto prima di Hoerbiger, idee non scientifiche, ma ancor più evolute dello scienziato viennese. Sulle date geologiche, Blavatsky dà pure, per il suo tempo, 1880, sorprendenti precisazioni molto concordanti con le ipotesi di Hoerbiger. La Blavatsky attribuisce al Cosmo due miliardi di anni (Vol. II, p. 72). E colloca a diciotto milioni di anni la formazione dell’uomo, alla fine del Secondario (II, 9, 49). Il geologo Baron colloca la fine del Secondario a venticinque milioni di anni. E la teosofia dà a questi primi uomini una civiltà. "L’uomo secondario sarà scoperto e con lui le sue civiltà da lungo tempo dimenticate". (II, 279). La Blavatsky sa che l’Abissinia è stata un’isola (II, 385). Sa che gli uomini erano presenti al tempo della sopraelevazione delle Ande, e cita l’abate Brassen di Bombourg che aveva avuto il coraggio di dire: "Tradizioni di cui si ritrovano tracce nel Messico, in America centrale e nel Perù, fanno nascere l’idea che l’uomo già esistesse in quei paesi all’epoca della gigantesca sopraelevazione delle Ande, e ne abbia conservato il ricordo" (II, 787). La teoria di Hoerbiger sul gigantismo, evidentemente, non era nota alla Blavatsky, ma le sue informazioni sui giganti dovevano venire da buona fonte, se Hoerbiger e i suoi hanno ragione. Per la teosofia, non soltanto i primi uomini erano dei giganti, ma avevano un corpo molto più leggero dei loro successori (si può anche trovarli troppo leggeri). "Razze diverse dalla nostra sono esistite in periodi geologici lontanissimi, razze eteree che erano succedute a uomini senza sostanza corporea (Arupa) e, ciò nonostante, avevano una forma; dinastie di esseri divini, questi re ed educatori della terza razza nelle arti e nelle scienze, di fronte alle quali la nostra piccola scienza attuale somiglia all’ aritmetica davanti alla geometria (II, 204)". "Giganti hanno preceduto noi, che non siamo altro che pigmei". "I filibustieri che si impossessarono della Terra promessa, vi trovarono una razza molto più alta di loro, e la chiamarono razza di giganti. Ma le razze veramente gigantesche che sono scomparse molto prima di Mosè - quarantamila anni prima degli Ebrei, gli antenati di questi "giganti" erano molto più alti, e quattrocentomila anni prima ancora, erano come gli uomini di Brobdingnac di fronte ai Lillipuziani -. Gli Atlantidei del Periodo Medio si chiamavano i grandi draghi" (II, 798). La degenerazione è dunque evidente per la Blavatsky che conosce anche le lotte tra i giganti buoni e quelli cattivi; lotte di cui i Greci sembrano aver conservato un così cattivo ricordo. "I giganti antidiluviani non erano tutti cattivi, come la teologia vorrebbe sostenere. In quei lontani tempi vi furono giganti buoni, e non sono dei miti. Chi vuole burlarsi di Briarèo e di Orione, dovrebbe astenersi dal vedere Karnak o Stonehenge, e anche di parlarne (II, 74), poiché sono i giganti che hanno costruito i grandi monumenti megalitici, e per fare del bene agli uomini (abbiamo già incontrato questa idea a Tia-huanaco). Non c’è nessuna ragione per credere che queste gigantesche statue siano state costruite pietra per pietra con impalcature (abbiamo già visto che erano monolitiche). Non potevano essere costruite che da giganti della medesima altezza delle statue stesse". (II, 352). "Le guerre dei Titani non sono che leggende provenienti da una guerra civile che si è svolta nel Kailasa himalaiano; sono i resti della terribile lotta tra i Figli di Dio e i Figli dell’Ombra della quarta e quinta razza" (II, 525). Così, troviamo in questo sorprendente miscuglio offertoci dalla Blavatsky, mitologia, filosofia, folclore e poesia, tre caratteristiche di Hoerbiger di grande importanza : l’influenza della Luna, le principali date della stona umana, il gigantismo con le sue degenerazioni. Non possiamo rifiutarci di prendere in considerazione quello che la Blavatsky dice sulle sue fonti tibetane e indù di una remotissima antichità. La sua testimonianza aggiunta a tutte le altre le rinforza e, a sua volta, prende un valore che forse non le si vorrebbe riconoscere, come per Platone. CAPITOLO X I POETI, I SOGNI, LA PSICANALISI Con la Blavatsky abbiamo almeno rasentato la poesia e, forse, siamo anche entrati in pieno nel dominio poetico. Qualche anno fa, nessuno avrebbe pensato di chiamare i poeti per testimoniare in un processo essenzialmente scientifico. Ma adesso evolviamo verso un atteggiamento molto diverso. Freud e Jung ci hanno insegnato che i sogni umani non sono fatti di vacui pensieri spurii, ma spessissimo non sono che travestimenti di fatti reali. Anzitutto, è nella fisiologia che sono stati riscontrati questi fatti. Poi le indagini e gli accertamenti sono penetrati nella storia dell’individuo, di modo che quello che era accaduto a una bambina di tre anni era talvolta la spiegazione di una malattia o di una crisi in età successiva. Infine, i discepoli di C. G. Jung in particolare, seguendo in questo il loro maestro, ci hanno insegnato che certi ricordi cosmici si sono trasmessi nel corso delle innumerevoli generazioni, e ancora influenzano i sogni degli uomini. Fra tutti questi sogni, hanno prima di tutto diritto alla nostra attenzione i sogni dei poeti. Poiché sono sogni scelti, ordinati, passati attraverso la critica estetica. Solo il poeta discerne un genere di verità che nessuna altra intelligenza conosce; lui solo dice agli uomini quello che è degno della loro anima. I poeti fanno delle immagini una scelta cosciente e ciò nonostante retta da un quasi divino istinto, che gli uomini ordinari non hanno. La somma di poesia che è integrata in tutti i Libri Sacri dimostra che l’uomo ha fatto spesso assoluta fiducia ai poeti, e che la loro testimonianza è, in certo senso, accettata davanti a Dio stesso, per quanto riguarda le cose divine. E i più recenti tra i pensatori che studiano la psiche, sono sempre meno disposti a trascurare quello che dicono i Libri Sacri di tutte le religioni, o quello che dicono i poeti. Riferiamoci adesso al più grande tra i poeti francesi, Victor Hugo. Victor Hugo non poteva mancare di addentrarsi nel gigantismo. Jung ci dice a proposito che gli archetipi, le grandi immagini che attraversano i nostri sogni, sono in realtà ricordi razziali comuni a tutti e profondamente celati nel ceppo stesso della razza umana. Se qualcuno è mai sceso in se stesso, fino a ritrovare questo ceppo, questi è Victor Hugo. Fin dall’inizio de La Leggenda dei Secoli, nella quarta stanza intitolata I Leoni, già troviamo il gigante Og che, ci dice una nota della Pleiade, era stato salvato dal Diluvio da Noè. Da qui, senza dubbio, il verso nel Booz addormentato: Le impronte di piedi giganti, egli vedea. C’è in seguito, tutta una parte della Leggenda che s’intitola Tra Giganti e Dei, e che non si può annoverare tra le grandi cose di Victor Hugo. Vi si trova un certo numero di interessanti e anche divertenti poemi, perché è fin troppo evidente che nel pensiero politicofilosofico di Victor Hugo, i giganti rappresentano il popolo e gli Dei i Re. Si trovano pure, di tanto in tanto, parole mezze incomprensibili ma grandissime, esse si incontrano così spesso nelle parti inferiori dell’opera di Hugo, da non poterle trascurare. Per esempio: I Tempi del panico cominciano con: Gli Dei han detto tra loro: Noi siamo la materia, Gli Dei. Abitiam l’insondabile frontiera Al di là dalla quale v’è il nulla. Ne La Città scomparsa, v’è un’altra allusione: Quando i giganti eran ancora frammisti agli uomini, In tempi di cui nessuno mai parlò. Per uscire un istante dalla Leggenda dei Secoli e ricordare un celebre poema che, infine, avrebbe dovuto essere ne La Leggenda, il carattere del pensiero di Hugo non ha migliore illustrazione di quando egli descrive Il Pastore Promontorio. Layard (1) ha trovato nelle isole del Pacifico questo "dio promontorio" che si chiama Tsiingon Ta-har, che si protende nel mare fra Atchin e Vac. Questo dio è molto più importante di quello di Victor Hugo, e ha ruolo centrale nella creazione, essendo identico al dio che ha formato il cielo, senza dubbio con il suo cappello di nuvole. Non si possono sospettare né i Polinesiani d’aver letto Victor Hugo, né Victor Hugo di avere conosciuto questi Polinesiani. Ma sono gli stessi sogni che angosciano e il poeta e i selvaggi. Ai nostri giorni, sebbene più lontano da noi, Malcolm de Chazal, in quel singolare libro Petrusmok che l’autore ha dovuto pubblicare da sé perché non trovava nessun editore che volesse pubblicarglielo, ci descrive i promontori e le montagne dell’isola Maurizio, e sono ugualmente Dei scolpiti nei tempi preistorici da inconcepibili giganti. 1) Stone men of Malekula, p. 205. Ma pensiamo che un tratto ancora più originale e ancora più primitivo del nostro Hugo, è l’aver concepito, e crediamo sia unico in questo, esseri in procinto di diventare giganti. Rabelais e Swift ci hanno presentato dei giganti già fatti, e senza dubbio Golia ed Ercole sono stati fin dall’inizio dei giganti (salvo che son dovuti nascere come gli altri sotto forma di bambini). Ma Victor Hugo, in un suo ammirevole e fanciullesco racconto giovanile, ci mostra due eroi della nostra infanzia, Rolando e Oliviero, mentre diventano giganti. È il Matrimonio di Rolando, molto noto, ma pochissimo studiato. Ebbe visto due biondi paggi, rosei come fanciulle, Ieri eran due ragazzi sorridenti alle loro famiglie. Avevano combattuto come uomini formidabilmente armati, ma in definitiva come ragazzi. Non si tratta che di Durandal e di Closamont. Ma, a poco a poco, crescono, e attorno a loro, allucinati, i barcaioli fuggono nel vedere come i due ragazzi siano diventati tremendi. Il viaggiatore crede di vedere nella nebbia "strani boscaioli che lavorano di notte". Poi, il quarto giorno, ci si accorge che: La sciabola del gigante Sinagog è a Vienna. I ragazzi sono cresciuti a dismisura, Rolando sorride: Mi basta Questo bastone Egli dice, e sradica una quercia. Sir Oliviero divelse un olmo nella pianura. E, questa volta, sono veramente dei giganti. II loro immediato successore, Aymerillot "il piccolo compagno", dovette certamente farsi anche lui grande, allorché l’indomani conquistò la città. Ma questi non sono ancora che giochi da ragazzi, e la grande visione del gigante è il satiro. È qui che Victor Hugo dà tutta la sua forza al sogno. All’inizio, non è che un satiro molto leggero, poiché; Ercole andò a scovarlo nel fondo della sua tana e davanti a Giove lo condusse per l’orecchio. Non doveva essere troppo pesante nelle mani di Ercole. Ma: Il satiro cantò la terra mostruosa. E cantando la terra mostruosa, egli divenne la terra mostruosa. E Giove stesso ne rimane stupefatto. A mano a mano che il canto si sviluppa, il satiro cresce a dismisura, ed è uno dei più bei passaggi di tutta la poesia quello che descrive il divenire che fa del povero fauno un gigante cosmico. Poi più grande del Titano; poi più grande dell’Atos; E in questa nera forma entrò l’immenso spazio; Simile al marinaio che vede crescere un promontorio (1) La sua capigliatura era una foresta. Gli animali che i suoi richiami avean attirato, Daini e tigri, lungo il suo corpo salian Ma divenne ancora più grande: E popoli erranti domandavan la loro strada, Smarriti nel crocivia delle cinque dita della sua mano. E divenne infine l’umanità intera, l’Adamo della fine, la comunione dei santi nella quale: L’azzurro del ciel pacificherà i lupi. Gli Dei spariscono, l’Uomo-Dio appare. Cristianesimo, ma, in fondo, non molto diverso. Non quello del E infine, dopo innumerevoli allusioni a tutti i giganti possibili, lo sforzo definitivo del poeta ne La Leggenda è, al di là dai tempi, la tromba del giudizio: Senza dubbio qualche arcangelo o qualche serafino Immobile, attende il segnale della fine, Immergeva profondamente, sotto le velate tenebre, I piedi negl’inferni, la fronte nelle stelle! La Leggenda dei secoli, iniziata sotto il segno dei giganti antidiluviani, termina davanti alla gigantesca tromba che attraversa tutto il tempo e lo spazio, e altro non è che uno strumento alla portata di una sinistra mano. 1) E anche qui si nota il promontorio. L’occhio nell’oscurità non vedea chiaramente Che le cinque dita spalancate di questa orribile mano. Ne La Fine di Satana, sotto il titolo Rosmophim guardando un pezzo di legno domanda all’idolatra persiano: La Trave (II, II, 1) dall’aspetto sinistro, È forse il bastone da passeggio di un gigante? Signore, è proprio questo, dice l’idolàtra. ... I giganti della razza Enacim, che primi Abitaron la terra antica... Schiacciavan col piede gli elefanti dei fiumi... Il mondo ebbe inizio da un’enorme famiglia, Dal gigantesco gruppo nacque il genere umano. Un gigante tiene dapprima lo spazio d’una folla Poi siccome la nuvola in gocce d’acqua si scola Di generazione in generazione S’impiccolisce, pullula e diventa nazione E Dio fa il colosso prima del formicaio. In meno di una pagina di versi, il geniale visionario ha condensato, cinquantanni prima di Hoerbiger, l’essenza di tutte le teorie fin qui analizzate. Questo sogno per così dire esterno di Victor Hugo - esterno perché è esteriorizzato dalla gigantesca immagine proiettata all’esterno dal poeta stesso - questo sogno esterno corrisponde a una visione interiore infinitamente più potente di tutte le pitture inscritte sul mare o sulla nebbia come promontori o giganti. È lo stesso Hugo, che nel suo trasporto interiore, si è sentito diventare gigante, così ha afferrato il sentimento del diventare gigante che solo lui ha espresso. Ed ecco Victor Hugo divenire identico all’universo: Ai tuoi soffi di nebbia o di chiarezza vibro, Cielo, come se traversato fossi dalle fibre del Creato! Come se tutti i fili invisibili dell’essere S’incrociassero nel mio seno che l’universo penetra! Come se, per momenti, Dalla fronte ai piedi, io al problema mischiato, L’oscuro infinito asse che passa per Dio, Confusamente tremasse! E son così della natura la calamita, Che la creazione mi riempia, me creatura, Che Iddio nel mio sangue scorra! In modo, o cielo profondo che lo zenit crudele Nel mio cranio si versi, e il nadir tocchi il mio tallone fremente! Mentre Hoerbiger, i geologi, gli etnografi ci hanno dato qualche notizia appena sull’aspetto esterno degli eventi, con Victor Hugo ci sentiamo penetrare nell’anima stessa di uno di questi Deigiganti delle primitive epoche al momento stesso della creazione dell’uomo. Se Victor Hugo ci porta fuori dell’umanità, il suo discepolo immediato e un po’ degenere, Baudelaire, ci dice i sentimenti umani nell’incontro con i giganti: Quando la Natura nella sua potenza creativa Concepiva ogni giorno mostruosi figli Vivere avrei voluto accanto ad una giovane gigantessa, Come un gatto voluttuoso ai piedi d’una regina. Vedere avrei voluto il suo corpo fiorire con la sua anima, E crescere liberamente nei suoi terribili giochi: Indovinare se nel suo cuore cova una oscura fiamma Dalle umide nebbie natanti nei suoi occhi, A piacere percorrere le sue magnifiche forme; Arrampicare sul versante delle sue ginocchia immense, E d’estate, talvolta, quando i soli malsani, Stanca, la fanno distendere a traverso la campagna, Dormire indolentemente all’ombra dei suoi seni Come un casolare pacifico ai piedi d’una montagna. Come Hugo ci ha fatto comprendere il sentimento essenziale dell’uomo gigante, Baudelaire ci mostra nella psicologia umana i formidabili desideri che la natura, alla nostra statura, non riesce a soddisfare. Si potrebbe quasi parlare di "ricordi" del poeta che disse: Ho più ricordi che se avessi mill’anni. e che cantò l’Atlantide, che ogni sognatore ritrova nella sua anima - e quasi Tiahaunaco. Ho a lungo abitato sotto vasti portici, Che i soli marini tingean di mille fuochi, E che i loro grandi pilastri, dritti e maestosi Facean simili, la sera, a grotte di basalto. È, ad ogni modo, una commovente testimonianza del desiderio sempre vivo nell’anima umana che vi siano stati, e che esistano, i giganti e gli Dei. Le splendide descrizioni dei giganti di Milton non hanno il loro valore evocativo che in inglese. Poiché questi demoni e questi angeli sono dei giganti, e così impressionanti che la Blavatsky scrisse (II, 532): "La grandiosa descrizione che dà Milton dei tre giorni di battaglia nel cielo tra gli Angeli della Luce e gli Angeli delle Tenebre giustifica quasi la supposizione che il poeta avesse avuto accesso alle tradizioni del lontano Oriente su questo soggetto - ma è impossibile affermarlo". Ma il gigante più famoso, o colui che dovrebbe essere il più famoso della poesia è Adamastor nelle Luisiade. Blavatsky ha affermato che vi furono giganti buoni; i Greci ne avevano conosciuti. Ma nessuno è penetrato nell’anima di un gigante buono messo davanti all’audacia dei piccoli uomini come Camoès. I Portoghesi arrivati dopo tante calamità al Capo di Buona Speranza, videro davanti a loro: Drizzarsi nell’aria, robusto e formidabile, Un fantasma tutto dritto, informe e gigantesco, Il volto abbattuto, e la barba in disordine, Gli occhi infossati sotto la fronte, l’aspetto Minaccioso, e la pelle pallida e color di terra; I capelli coperti tutti di sporcizia, la sua bocca Nera e ingiallita dalla vecchiezza Dei suoi denti. II gigante cerca invano di arrestare i navigatori rivelando loro le calamità verso le quali corrono. Ma niente arresta gli eroi che gli chiedono soltanto chi egli sia. Io son questo capo occulto e formidabile E che Voi chiamate la Punta delle Tempeste Io fui uno di quei figli terribili della Terra Come Encelade, come Egeo e Briarèo E mi chiamo Adamastor e presi parte Alle lotte contro il fulmine di Vulcano Non che abbia messo montagne su montagne Ma ho conquistato il mare e fui colui Che volle affrontare le flotte di Nettuno. Ahimè, l’amore di Teti fu la rovina del buon gigante: Credendo infine di tenere l’adorata Dea Mi trovai l’amante di una montagna dura Coperta di sterpaglie aspre e di cattivo legno Non ero più un uomo; immobile e muto Ero un monte che abbracciava un altro monte. E sentii la mia carne in terra cambiarsi E le mie ossa diventare impassibili rocce E Teti ridiventare il mare intorno a me. Notiamo la transizione dal gigante alla montagna; un nobile poeta mauriziano doveva spingerla ancora più lontano: conformemente alla grande tradizione. L’Ariosto ci dà colleganze assai curiose. L’immaginazione poetica, certo, ci permetterebbe di andare oltre quello che crediamo possa essere vero. Ma c’è nella poesia seria una specie di gravità che ancora ci trattiene. La poesia comica si libera di tutte le leggi e si costruisce una logica fantastica che va al di là di ogni filosofia. In psicologia, è un fatto riconosciuto, molte idee su immagini desiderate dall’anima non possono essere ammesse nella coscienza che sotto la forma comica, e la commedia, la burla, è la grande liberatrice. Nel comico possono così strettamente represse. rivelarsi talvolta tendenze altrove E per questo l’Ariosto ci è molto utile. Non ch’egli stesso ebbe voglia di credere ai suoi scherzi. Ma nel suo grande poema, l’umanità presenta a se stessa, in forma sarcastica, antiche credenze che ha cessato di accettare intellettualmente. La loro realizzazione sotto l’etichetta dell’ironia è la prova della estrema antichità e del loro fondo psicologico. Abbiamo visto presso i selvaggi di Malekula da una parte, presso i teosofi dall’altra, l’idea che le anime degli uomini sono formate nella Luna, donde vengono sulla Terra. L’Ariosto, che non si può supporre conoscesse l’una o l’altra di queste idee, racconta la stessa cosa. Gli spiriti degli uomini sono nella Luna. Orlando ha smarrito lo spirito sulla Terra. Bisogna andare nella Luna a cercarglielo e riportarglielo. Come si va nella Luna? come si sale in cielo? Allo stesso modo del Faraone che saliva la piramide, o i giganti che si arrampicavano fino in cima di un’alta montagna, poi da li passavano in cielo. XLVIII. (1) Poi monta il volatore e in aria s’alza Per giunger di quel monte in su la cima, Che non lontano con la superna balza Del cerchio de la luna esser si stima: Tanto è il desir che di veder lo ’ncalza, Ch’ai cielo aspira, e la terra non stima De l’aria più e più sempre guadagna, Tanto ch’ai giogo va de la montagna. Nella Luna, Astolfo è accolto da San Giovanni che lo conduce nel luogo in cui sono custoditi gli spiriti degli uomini. 1) Canto 34, Orlando furioso. A cura di Ezio Zingarelli. – Hoepli ed. Astolfo vi trova non soltanto lo spirito dei pazzi ma anche quello di uomini considerati sani e, in particolare, il suo: LXXXIII. Era come un liquor sottile e molle, Atto a esalar, se non si tien ben chiuso; E si vedea raccolto in varie ampolle, Qual più, qual men capace, atte a quell’uso; Quella è maggior di tutte, in che del folle Signor d’Anglante era il gran senno infuso; E fu da l’altre conosciuta, quando Avea scritto di fuori: Senno d’Orlando. LXXXIV. E così tutte l’altre avean scritto anco Il nome di color di chi fu il senno; Del suo gran parte vide il Duca franco, Ma molto più maravigliar lo fenno Molti ch’egli credea che dramma manco Non dovessero averne, e quivi denno Chiara notizia, che ne tenean poco, Che molta quantità n’era in quel loco. LXXXVI. Astolfo tolse il suo; che gliel concesse Lo scrittor de l’oscura Apocalisse; L’ampolla in ch’era al naso sol si messe, E par che quello al luogo suo ne gisse; E che Turpin da indi in qua confesse Ch’Astolfo lungo tempo saggio visse; Ma ch’un error che fece poi, fu quello Ch’un’altra volta gli levò il cervello. LXXXVII. La più capace e piena ampolla, ov’era Il senno che solea far savio il Conte, Astolfo tolle; e non é si’ leggiera, Come stimo... Il tema della montagna divina per la quale si sale in cielo è proiettato ancora più lontano da uno straordinario poeta contemporaneo, Malcolm de Chazal, dell’isola Maurizio. Una lunga intimità con le montagne della sua isola gli hanno rivelato che esse sono in realtà statue sovrumane, scolpite in altri tempi da una razza di inconcepibili giganti. Per di più, quelle statue non sono le immagini degli Dei, ma gli Dei stessi. Come i Greci che, invadendo la loro penisola, trovarono gli Dei sull’Olimpo - più tardi, razionalizzando, dissero che gli Dei abitavano sull’Olimpo - anzi: le grandi rocce dell’Olimpo erano gli Dei. Dei di pietra ancora più giganteschi di tutto ciò che si è immaginato, e sostituiti molto più tardi da statue che ci sembrano colossali, ma che altro non sono che riduzioni ad un formato, diciamo, trasportabile dei veri Dei-montagne. Nella lontana antichità, gli uomini andavano sulla montagna scolpita ad adorare il dio: non avrebbero osato commettere il sacrilegio di trasportare il dio là dove faceva comodo all’uomo. L’adorazione della montagna ha preceduto l’adorazione della statuacolosso (1). "Le montagne dell’isola Maurizio - lunari, fantasmagoriche, simili a cartoni intagliati e rizzati sulle pianure, masse senza spessore nelle lontananze, tagliate a denti di sega, ieratiche - queste colline e questi monti bassi sono forse stati scolpiti dalla mano dell’uomo, intagliati da un popolo di giganti, abitanti della Grande Mezzaluna Lemuriana". "Sull’Osso del Sinai c’è Mosè. Egli guarda. Un amico è dietro di lui, accovacciato, seduto, e guarda Mosè che avanza verso la punta della roccia come per gettarsi nel vuoto. L’uomo dietro di lui vede, ed è muto: vede Mosè che vede l’Eterno." "E le dita di fuoco parlano, non vengono dal Cielo, ma dalla roccia stessa: la pietra si solleva dal suo letto come un corpo, come un pre-Lazzaro che risuscita." "Mosè non vide Dio nei cieli, lo vide nella pietra del Sinai: a testimonianza non riportò il fulmine, ma le Tavole della Legge: la pietra che aveva parlato". "Verrà un tempo in cui le chiese saranno pietre intagliate, grosse caverne scavate nella terra, con lucernari." Gli uomini vi scenderanno simili lontani dal sole, pregheranno. alle termiti in un nido. E, "Statue orneranno queste caverne e saranno il simulacro di simboli dai quali sarà scomparso ogni significato interiore. Dalle statue viventi - tutta la vita simbolica - l’uomo passerà alle statue morte. La Chiesa sarà claustrata, fisicamente e moralmente. La religione sarà limitata. E il guanciale di Giacobbe - la roccia naturale - non vi sarà più per permettere la Discesa degli Angeli. La Chiesa dei Simboli cederà il posto alla Chiesa delle Statue. L’idolatria sarà in tutti i cuori". 1) Petrusmok, p.22, 122, 137, 138, 301, 329, 390, 526. "Ieri, vidi sulla montagna, a sinistra del Pollice, una strana allegoria nella pietra. Una donna distesa - positivo di un negativo più a destra - fissava il Pollice. La punta del seno, le gambe ripiegate e le cosce erano a quindici gradi. Il negativo, l’altra donna invisibile, non aveva lasciato che la sua impronta nella roccia e tutte e due "si annodavano" a distanza, poiché la gamba dell’una era la coscia dell’altra e la coscia dell’altra era la gamba della prima - sorelle per le parti inferiori." "E mi misi a sognare su queste stranezze". "Questa mattina scendendo verso Port-Louis, vidi la stessa donna, ma molto ingrossata, su un altro versante del Pollice che si chiama l’Ansa Cortese. La donna aveva senza dubbio partorito, perché il suo petto non era che un solo enorme seno, vero monte nel Monte ". "La Montagna è il gesto più alto - più alto del fiore, più alto anche del fuoco, perché contiene i primi e gli ultimi; essa è la Scala di Giacobbe assoluta, la Scala del Mito che è Religione in Essenza, il Mito che è fatto di mille miti, e che si ricongiungono tutti nel Mito Assoluto, il Solo Reale Totale: Dio". "Poesia dei Monti, Religione dei Monti: Rivelazione. È la sola rivelazione che io abbia conosciuto. Non ho fatto che leggere, decifrare la Bibbia di Pietra. Per mezzo della visione interiore, sono stato re dei simboli - anche se per breve tempo". "Il Monte m’abbaglia del suo chiarore, per il sole che lo strapiomba. Mi rifugio nell’ombra di un bosco ceduo. Il Monte pende verso di me come una torre di Pisa, grazie alle nuvole che passano e gettano la montagna nei miei occhi, mi riprendo e guardo ". "Ed ecco che sale nella pietra il Re del Mondo. È addossato al Monte. Guarda l’Universo a 60 gradi della sua Potenza". "Il suo sesso s’innalza o è, forse, la sua mano?" "La sua capigliatura è raccolta e gonfia contro la sua nuca. Non è lo pshent ’sta volta: un berretto quadro che fa corona. La corona è una curva che punta innanzi e sorpassa e dietro s’annoda in fiocco, un nodo glorioso di nastro". "Il monte, la cresta di pietra, la guglia di roccia, la roccia qualunque essa sia, presenta sempre vuoti e piatti, luoghi neutri, dove nessuna immagine sbalzata è iscritta. Regolarità e ordine che non sono opera della natura". "Il Monte è stato dunque intagliato?". "Il Monte fu intagliato. L’uomo gli mise un collo, fece uscire tutto il corpo dalla pietra. Il corpo del Pieter Both sembra posato sull’altipiano, come una torta sopra una grande tavola". "Dopo aver sgombrato, i Lemuriani intagliarono tutto intorno le figure, altrettante immagini di dio quanti erano gli altari più in basso, Olimpo intero nelle nuvole, particolare mitologia della loro mitica religione, che gli Indù di qui hanno imitato, per un ritorno istintivo al passato, per il culto di Hanuman a Occidente, per quello di Mooreeababa a Oriente". "I Lemuriani che intagliarono furono quelli della Caduta". All’immaginazione dei grandi poeti corrispondono i racconti popolari. Bastano pochi cenni. Puccettino e gli Orchi, Giovanni lo Sterminatore di Giganti, e tanti altri, sono le versioni diventate incantevoli a forza di degenerare nell’umano, vecchissime storie che abbiamo riassunto. Si può ripetere quello che abbiamo già detto dell’Ariosto. Nessuno è obbligato di credere ai racconti e tutti i desideri repressi possono avere via libera nei racconti. Cosa dimostra tutto questo? Da Victor Hugo a Puccettino, e Baudelaire, e l’Ariosto, e Chazal ? La presenza a tutti i gradi dell’anima umana, dai poeti di genio fino ai ragazzi, del desiderio che dietro di noi vi sia un passato meraviglioso e pieno di avventure. Dell’universalità e della profondità di questo desiderio, la più moderna psicologia ci dà adesso certezza, e in condizioni tali che è impossibile pensare che questo bisogno dell’uomo possa restare insoddisfatto. V’è qualcosa nella realtà che corrisponde a questo desiderio. Altrimenti, l’umanità altro non sarebbe che una malattia mentale. Gerhard Adler scrive(1): "Cosa significa, nel linguaggio psicologico, questo mondo dell’Aldilà, dal quale l’anima trae la sua origine? "L’Aldilà è il serbatoio degli ultimi segreti del cielo e dell'inferno, della luce e delle tenebre, in alto e in basso, positivi e negativi. È il mondo dell’inconscio collettivo donde tutti veniamo. Non è senza ragione che la fiaba della cicogna, la quale va a cercare i nascituri in un lago, esista da tanto tempo, è un modo diverso di esprimere la medesima esperienza psichica: il fatto che proveniamo tutti da queste grandi acque. L’uomo non nasce pagina bianca e tabula rasa. 1) Studies in analytical Psychology, by G. Adler, Senior Psychotherapist to the Clinic óf the Society for analytical psychology, p. 100-101, London, 1948. Al contrario, porta con sé nascosti nelle profondità del suo essere ricordi di eventi dei quali è stato testimone nei tempi più arcaici e tracce di innumerevoli azioni e reazioni che oltrepassano di molto i limiti della sua esistenza personale, come è in lui la possibilità di certe percezioni individuali che gli danno il senso di un avvenire. Il ragazzo, in particolare, è ancora interamente immerso nel mondo delle immagini dell’inconscio collettivo, del passato mitologico dell’uomo, passato non ancora offuscato dalle concrete realtà del presente". Tra queste percezioni presenti nelle anime "di avvenimenti ai quali l’umanità è stata presente nei tempi più arcaici", scegliamone qualcuna. Ve ne sono migliaia. Occorre adesso guardare le immagini, disegni di sogni o stati semiipnotici utilizzati dagli analisti. Il serpente che schiaccia il mondo corrisponde all’anello lunare che si schiaccia su tutta la circonferenza della Terra, e in gran parte la distrugge (Adler, p. 120). La Dea-luna che coccola il piccolo animale (Layard, The Lady of the hare, p. 134) rappresenta la luna benefica al suo stadio precedente, quando è la benefattrice di tutti gli esseri viventi. Gli esseri mezzo-pesci e mezzo-umani, che sostengono l’astro al di sopra delle acque nelle quali essi affondano, corrispondono allo stato del diluvio universale, sul quale galleggiano e dal quale sopravvivono degli uomini - e un sole (1). Il disegno apocalittico rappresenta la Luna e il Sole che girano intorno alla Terra all’avvicinarsi della catastrofe lunare. L’albero gigante e i paesaggi, a un tempo storici e civili, sono le vestigia sognate delle Ande e dell’Atlantide, senza che questi nomi vi siano associati (Adler, tavole 14, 16, 17). Evidentemente, dobbiamo qui allargare la tesi di Hoerbiger; quello che è raffigurato in questi sogni non è l’uno o l’altro degli eventi di Hoerbiger, ma tutto un passato pieno di catastrofi e di rinascite del genere di quelle che abbiamo indicate seguendo i dati della cosmogonia glaciale. 1) Nolan Jacobi: The Psychology of C. G. Jung, p. 95 e 114, London, Kegan Paul, 1946. CAPITOLO XI L’IPOTESI SPIRITICA INTEGRALE Ricaviamo quanto qui sotto esponiamo da documenti molto interessanti messi a nostra disposizione da Arnold, in quel tempo direttore del Psychic Times di Londra, documenti che ci sono serviti per l’opera: Victor Hugo et les Dieux du Peuple (La Colombe, Ed., Paris, 1948). Crediamo sia utile presentare una ipotesi nella sua totalità. Infatti è spinta agli estremi che una ipotesi rivela il meglio del contenuto, della forza di espressione, e le sue deficienze. Per trarne le conclusioni bisogna esaminarla completamente. È quello che noi abbiamo fatto con le idee di Hoerbiger. Ora, non abbiamo mai trovato altrove documenti spiritisti altrettanto sviluppati e coerenti per la costituzione di una dottrina. (È importante tenere presente le date: questi documenti furono raccolti tra il 1938 e il 1948. In primo luogo per ciò che riguarda gli Aztechi: la parola Aztechi ci sembra impiegata per indicare l’insieme di una civiltà della lontanissima preistoria in tutta l’America Settentrionale e Meridionale.Nel testo che segue, infatti, abbiamo esempi della flora dell’America Meridionale. Le indicazioni - e meglio, le definizioni - non possono riferirsi che al Secondario; la fine del Terziario è a noi troppo vicina per le piante giganti e pietrificate. È una curiosa coincidenza con la dottrina dei teosofi, poiché, in generale, queste due scuole - teosofica e spiritica - sono in netta opposizione. Per non citare che un esempio - il quale nulla ha da vedere con il nostro tema - i teosofi basano tutta la loro dottrina del destino dell’umanità, sulla reincarnazione che, in linea di massima, gli spiritisti inglesi non ammettono. (Diciamo in linea di massima perché non c’è una dottrina spiritica unificata, dato che nessuno ha autorità - pensano gli spiritisti - per proclamarla. In realtà ogni spiritista pensa che egli solo sarebbe qualificato per questo). Ecco alcuni dati essenziali ammessi dagli spiritisti sulle prime civiltà umane: "Gli Aztechi e certi alberi scomparvero insieme:i veri alberi." "Gli alberi d’oggi sono piuttosto rami degli alberi del mondo spirituale - un vero albero vi sembrerebbe un muro, tanto è grande." "Gli Aztechi sapevano vedere questa immensa dimensione, come gli alberi sono veramente". "In alcune regioni costiere dell’America del Sud, sotto il letto dell’oceano, c’è una specie di roccia rossa che non è roccia, ma scorza di alberi sprofondati a Est ed a Ovest dei golfi. Sotto il ghiaccio, più a Sud, si trova la stessa roccia, ma di colore verde pallido, è il colore che appare attraverso il ghiaccio. E questo colore si vede anche in cielo, per radiazione". "Tutto questo è in relazione con la vecchia vegetazione, quando eravate più vicini al Sole. Il Sole era, allora, molto più grande". "Questi alberi conosciuti dagli Aztechi, erano a forma di colonna; l’albero a triangolo è venuto più tardi". Ed ecco un testo che sembra darci informazioni su periodi forse anteriori all’umanità - su quello che accadeva nelle epoche degli insetti giganti del Primario e del Secondario - epoche che il lavoro dei geologi ci ha permesso di intravvedere. Le relazioni tra piante, insetti e uomini, sono interpretate in questo testo alla luce di conoscenze ormai andate perdute. "La sfera dei profumi comprende i fiori, gli alberi, le ali degli insetti benefici e molte altre sostanze che guariscono". "Nei casi di guarigione istantanea, che sembrano miracolose, sono presenti in spirito coloro che possiedono dieci diverse scienze. Ma non posso dirvele. Nel caso di una sola, la guarigione non può essere istantanea". "Per mezzo di una di queste scienze, due spiriti della sfera dei profumi, creano un cono nel quale l’atmosfera gira in vortice a una velocità di 100.000 milioni di chilometri al secondo. Per darvi un’idea di queste forze basta dire che tra il Sole e la Terra, non esistono che velocità di 300 o 400 milioni di chilometri al secondo". "Questo crea, per voi, un vuoto, mentre per gli spiriti forma un cono di profumo molto elevato, a una tale velocità che lo spirito di questo corpo malato può agire istantaneamente e guarire". "Alla morte questo avviene spesso. V’è anzi un profumo che i testimoni della morte notano. Lo spirito ritorna un momento per ridare forza al corpo, in modo da lasciarlo in stato di unità e non in stato di disintegrazione. E allora, può accadere che il corpo guarisca invece di morire. In questo caso, si nota un altro profumo, più forte, non il giglio, ma paragonabile al profumo normale che lega lo spirito al corpo". "Certi profumi sono utili nelle vostre malattie, anche nella povera e debole forma che conoscete". "Alle piante, bisogna aggiungere gli insetti. Le farfalle, le libellule, la vespa, l’ape sono benefiche in spirito - sebbene meno della mosca". "Quando gli insetti attraversano lo spazio - lo spazio reale, non quello vostro - hanno riflessi di colori e di luce che si combinano in profumo". "L’insetto che produce questo profumo non perde niente della sua forza. Non ne è minorato. Un profumo emerge dalle macchie oscure che sono sulle ali mediane di certi insetti. Questo profumo è estratto dalla luce". "Due fasce di luce, una colorata e l’altra cristallina, sono trasformate in profumo dal movimento dell’insetto su una linea che segue la direzione della luce. Le vibrazioni della luce e del colore sulle ali dell’insetto producono il profumo". "I fiori producono il profumo direttamente". "L’insetto produce il profumo in modo secondario, perché l’insetto produce anzitutto il colore e la velocità, e il profumo viene in seguito dalla combinazione colore e velocità". "Certi profumi sono da voi percepiti come se fossero note molto acute, come quelle della chitarra". "I profumi, le grida degli animali, la musica, le grida dei ragazzi che soffrono sulla terra - non certo nel loro spirito, ma solo fisicamente - i brusii degli insetti, un’onda che emana dal mughetto, ognuna di queste cose ha la sua parte come in una orchestra perfetta". "Lo squittire di un pappagallo nella foresta si armonizza con i sibili di un serpente, e insieme hanno un valore spirituale, costituiscono un atto dello spirito". "Il rumore fatto da un animale terrificante per l’uomo agisce sullo spirito. Uomini, terrorizzati dal rumore di animali, hanno ripetuto questi rumori per impressionare altri uomini, come se fossero emessi dagli Dei. In Egitto, in India, impostori hanno sfruttato la paura del toro, del gatto, del serpente e anche la paura che ispira l’assenza assoluta di suoni in certi animali. Poiché vi sono animali o insetti, in realtà assai pochi, che non emettono nessun rumore". "Dall’armonia dei mondi spirituali, gli uomini hanno creato certe divinità nocive sulla terra, separando elementi che quando sono insieme sono benefici. Così, in chimica, il sale è buono per voi, ma la soda e il cloro possono esservi nocivi." "Per imparare compiutamente tutto questo, vi occorrerebbero almeno duecento anni. Comprenderete meglio ogni cosa quando avrete lasciato la Terra". "I segreti dei profumi s’insegnavano un tempo nei paesi caldi, dove qualcosa dell’antica scienza sussiste ancora in stato degradato. Ma, come vedete, furono commessi abusi, e le scienze dovettero essere soppresse. Torneranno, non per servire alle vanità dell’ornamento, come succede oggi, ma per il bene di tutti". Sull’Egitto, e più generalmente sull’origine delle religioni, l’ipotesi che questi testi spiritici del XX Secolo presentano come fatto, è la seguente: La civiltà egiziana - come tutte le civiltà, attuali o primitive è stata fondata su una rivelazione. Per esempio - sebbene questo non entri nel nostro soggetto - la nostra civiltà europea d’oggi è stata fondata su una rivelazione del X, XI e XII Secolo (A.C.), ed era una sotto-rivelazione, una parte speciale della successiva rivelazione cristiana del I, II e III Secolo. Le rivelazioni che sono state alla base della religione del Nilo venivano da spiriti che erano vissuti nell’Ovest e nel Sud. L’Oasi sacra di Siva, secondo gli stessi Greci, centro antichissimo, ha potuto essere uno degli inizi dell’Egitto. All’Abissinia, abbiamo già accennato. Forse dieci o dodicimila anni prima di Cristo, erano esistite, a Sud e a Ovest dell’Egitto, civiltà spiritualmente molto progredite, sebbene molto semplici come evoluzione materiale: tende, frutti naturali, greggi e che, quindi, non hanno lasciato alcuna traccia archeologica. Gli spiriti che primeggiavano in questa civiltà dal tipico carattere di "età d’oro", erano gli "Dei" o "giganti" civilizzatori di tutte le mitologie. Si elessero consiglieri invisibili ma sempre presenti dei grandi potentati, da Ménès a Zoser - e quasi si identificarono allo spirito dei successivi Faraoni. Per questa ragione i Faraoni furono detti essere, per esempio, "Horo" o "Osiride" o altri ancora. Ma questi grandi spiriti tutelari non guidavano soltanto il Faraone: questo non sarebbe stato sufficiente. Essi vennero a mettersi a disposizione di ciascun gruppo umano, grande o piccolo. Donde l’origine degli innumerevoli Dei di villaggi, di città, di regioni che danno tanto lavoro ai nostri storici. Tutti erano esseri reali. Tutti si occupavano veramente della società, familiare, civica, politica, di cui erano custodi, agendo e sulla intelligenza, e sui sentimenti degli uomini, e sugli avvenimenti. La libertà di ognuno non era però infirmata, perché gli spiriti non potevano, per la loro natura, che aiutare il bene e mai costringevano alcuno. Da questa libertà venne la degenerazione. Anzitutto dei Faraoni: la megalomania, e anche l’errata credenza della conservazione del corpo, o la necessità della sua colossale rappresentazione in pietra per servire alla vita dell’anima. Gli immensi lavori delle prime dinastie erano quindi in gran parte inutili, ma d’altra parte davano ai Faraoni un’idea talmente sublime della loro importanza, che la giustizia, la buona amministrazione e il benessere del popolo ne traevano beneficio. Se il re era Horo, si comportava come Horo e il fatto di avere piramidi, templi, statue, lo portava a comportarsi come Horo durante il suo regno terrestre: con giustizia e bontà. Anche per il popolo era lo stesso: il popolo amava (e ancor oggi ama) le immagini terrificanti. L’amore degli Dei era unito al terrore. Senza il timore, la maggior parte degli uomini non avrebbe fatto nulla. Gli spiriti benigni non poterono - a causa della libertà essenziale di ciascuno - impedire agli uomini di costruirsi terrificanti immagini degli Dei. E da qui, le innumerevoli superstizioni degli Egiziani, i loro viaggi agl’inferni, tanto particolareggiati, le complicazioni animalesche delle statue degli Dei, tutta la terribile attrazione della paura religiosa, che ha per base solo la stupidità umana. Donde, in fine dei conti, dopo millenni, la necessità della caduta della civiltà egiziana. Gli uomini finiscono con l’andare troppo lontano. I Persiani e i Greci, e poi gli Arabi, vennero a spazzare un Egitto spiritualmente caduto molto in basso. Su queste decadenze, v’è molto da dire. Come nell’ortodossia cristiana, è affermata una rivelazione primitiva totale fatta da Dio ad "Adamo". Poi, il ritmo delle rivelazioni scende e sale, e ridiscende e risale: necessariamente, perché si tratta di educare anime e razze cadute molto in basso, le quali esigono verità al loro livello, cioè molto confuse con errori. Ma, talvolta, il risultato è magnifico. Solo che la forza umana si esaurisce sempre alla fine di un certo tempo, la razza perfezionata discende o scompare, e tutto ricomincia diversamente. Alcuni esempi sono molto strani: se si paragona lo Zohar degli Ebrei alle Mille e una notte degli Arabi, si osservano somiglianze formali, parallele a contraddizioni essenziali. Ecco un esempio tra i molti. La principessa Badrulbudur trova il giovane principe addormentato e, con una manovra che le insegna " la natura ", dice il narratore arabo, trae il suo piacere e si fa fecondare - con conseguenze divertentissime e, d’altra parte, felici. - Lo Zohar, ben più vicino alle fonti, riferisce che la Matrona, ornata delle sue più belle attrattive, risveglia i desideri del Perfetto (benedetto egli sia) nel suo stato latente e addormentato, e così dà nascita alla creazione. Dio, poi, come il principe arabo, riconosce questa creatura come sua, perché Dio non esiste veramente che quando il mondo esiste. Si hanno così due versioni di una antichissima storia, una lussuriosa e divertente per gli Arabi, l’altra grave e filosofica per gli Ebrei. Una terza versione è quella egiziana: Osiride morto, con una magia, feconda fisica - mente Iside, che si distende sul cadavere ricomposto, e partorisce Horo. E tutto questo si ricollega a una tradizione ancora più antica, origine di tutte e tre le versioni. Al tempo del primo Adamo, la verità era nota. Ogni razza umana l’ha poi deformata secondo le sue necessità. Il gioco arabo sulla principessa Badrulbudur è parallelo ad altri giochi. Nella prima America, grandi iniziati giocavano con palle e racchette una cerimonia sacra: le palle descrivevano nell’aria il corso stesso degli astri nel cielo. Se il maldestro lasciava cadere o smarrire la palla, provocava catastrofi astronomiche: così veniva ucciso e gli si strappava il cuore. Oggi, giochiamo a tennis e al golf. Misteri dai quali dipendeva la sorte del mondo, e ai quali uomini votavano la loro vita e la loro anima, sono diventati inoffensive distrazioni. Il nostro teatro ha una medesima origine: la rappresentazione sacra era la vita stessa e la passione di Dio, partecipazione umana alla funzione cosmica. Adesso abbiamo il teatro dei boulevards. E l’Atlantide? Risultato sorprendente. Abbiamo rintracciato il testo: "Per dirvi la verità, questa storia non è accaduta sulla terra". E nient’altro. L’origine della civiltà essendo collocata al Terziario, o anche al Secondario, dalle affermazioni spiritiche che abbiamo qui sopra esposte, il mito dell’Atlantide diventa inutile. L’inabissamento non è che un episodio. È potuto accadere altrove e, per errore, essere stato attribuito alla Terra. Ma dove? Su uno di quei sette pianeti o di quelle sette lune, invisibili da qui, e dei quali, sia lo Zohar sia i teosofi ci hanno detto. Non sarebbero, allora, soltanto gli uomini che sarebbero originari dalla Luna, o d’altrove: avrebbero portato con loro sulla Terra il ricordo di catastrofi avvenute su altri pianeti e, nella loro ignoranza, ne avrebbero fatto una leggenda terrestre. Ecco qui una ipotesi spinta agli estremi, ma che oltrepassa come potenza poetica tutte le precedenti spiegazioni. CAPITOLO XII IL LATO SPIRITUALE – CONCLUSIONI Non possiamo dire come Montaigne: "Questo è un libro di buona fede, lettore!", perché questo libro è troppo scientifico. Ci siamo accontentati di porre davanti al lettore alcune teorie e alcuni sogni, senza confidargli la nostra opinione personale. In compenso, vogliamo citare un breve riassunto del libro di Bessmertny sulla opinione degli uomini di scienza: (1) "La cosmogonia glaciale di Hoerbiger si basa sulla ipotesi che lo spazio interstellare è pieno d’idrogeno estremamente rarefatto - in piena contraddizione con il sistema di Kant e di Laplace -. Questa dottrina, quella di Hoerbiger e di Fauth, urta oggi contro l’opposizione degli astronomi, fisici e geologi, i quali non soltanto, in generale, la combattono, ma spesso volutamente la ignorano". Non ci lasciamo molto impressionare dagli scienziati. Anzitutto, su un punto essenziale, molti di loro hanno già cambiato opinione e ammettono oggi questo idrogeno estremamente rarefatto. Così hanno fatto Hoyle e Jeffreys, di Cambridge, già citati. I quali, ciò malgrado, non hanno per niente accettato la teoria di Hoerbiger. Inoltre, è troppo presto perché si sia dimenticato che le prime scoperte fatte sull’uomo preistorico sono state qualificate pazzesche da tutti gli scienziati d’allora, e non abbiamo ragione di avere più fiducia oggi che nel 1840, quando tutti hanno respinto le conclusioni di Boucher de Perthes e dei neolitici. I paleolitici non furono ufficialmente riconosciuti che nel 1863. Infine, dopo una già lunga vita trascorsa tra gli scienziati, l’Autore di queste pagine ha perso un po’ la fiducia che aveva in loro. Senza dubbio, non inganneranno nessuno di un milionesimo di centimetro nell’osservazione dei fatti, ma sono molto barcollanti in tutte le teorie, e completamente incerti sui principi. La scienza soffre, come tutta la nostra civiltà, della mancanza di una filosofia generale, che dovrebbe fornirci, a tutti, teorie e principi, e non lo può. Allora, ogni "specialista" si fa affrettatamente delle idee generali forzatamente sempre più vaghe e sempre più infondate, a mano a mano che si alza verso le astrazioni. Resta all’uomo colto il privilegio di non prendere la scienza sul serio che per l’osservazione dei fatti. 1) L’Atlantide, p. 120, Payot, Paris, 1949. Per le questioni religiose, politiche o sociali, l’uomo comune dotato di buon senso può giudicare come qualsiasi uomo di scienza. Ora, da sempre, il racconto delle catastrofi cosmiche è stato accompagnato da giudizi morali. Consideriamo adesso questo lato etico dei miti dell’Atlantide. Platone, per primo, spiega la catastrofe dell’Atlantide con cause morali. Gli uomini divennero perversi, gli Dei andarono in collera e provocarono il disastro: "Caddero nell’indecenza - apparirono brutti - e il dio degli Dei, Zeus, che regna per mezzo delle leggi, comprese quali miserabili attitudini prendeva questa razza, di carattere primitivo così eccellente. Volle loro infliggere un castigo affinché riflettessero e fossero condotti a moderazione" (Critone). Nella Bibbia, le due calamità furono provocate dalla perversità umana. Si può collocare al Terziario - se non al Secondario - la cacciata di Adamo ed dal Paradiso, e ne conosciamo il motivo. Il Diluvio di Noè sarebbe, sia il diluvio terziario se si collocano Adamo ed all’epoca precedente, sia il disastro dell’Atlantide: anche questa volta sono i crimini degli uomini che scatenarono la collera di Dio e degli elementi. I teosofi, senza dare, credo, troppa precisione, ammettono anche una degenerazione delle razze e delle civiltà parallela ai cataclismi ciclici. Ma in ciò che s’intravvede nel mito babilonese, non si trova un motivo morale; nelle lotte tra gli Dei greci contro i giganti e i mostri, non si vede affatto un senso etico; i Toltechi introducono un significato morale molto tardi: soltanto prima della terza calamità, quando gli uomini rifiutano l’avvertimento di Quetzalcoatl e, per castigo, diventano scimmie. Victor Hugo sembra essere il primo a rovesciare le parti; sono piuttosto gli Dei che si sono condotti male; il Satiro canta davanti agli Olimpici: Egli narra dei primi tempi, la felicità, l’Atlantide; Come divenne gioia la libertà e come Il silenzio si fece sulla terra domata. Così, lo Zohar costruisce sette mondi spirituali, e tutti possono influire sul nostro. Così, H. P. Blavatsky costruisce (o descrive, perché glieli avevano insegnati) sei mondi invisibili, oltre al nostro. Così abbiamo visto gli uomini formati sulla terra per l’influenza della Luna e le brusche mutazioni provocate dalla sua vicinanza. Ma questo non basta: bisogna anche che gli spiriti degli uomini vengano dalla Luna. I selvaggi di Malekula come Blavatsky saltano il fosso e affermano l’origine lunare degli antenati. Victor Hugo va ancora più lontano: scopre anime solari che vengono non soltanto dalla Luna, ma dai pianeti del nostro sistema - e perché non da più lontano? Perché l’atomo solare non esisterebbe? Completare un universo con l’altro. Portare il fuoco centrale al pianeta - questo misterioso compito non esiste forse? Che cos’è un genio? Non sarebbe forse un’anima cosmica?". (Shakespeare) "Il Sole è nello stesso tempo l’origine e la fine di tutti i grandi geni che vengono a turno ad abitare provvisoriamente le sfere inferiori. La Luna, la Terra, Saturno, Venere, ecc...". (Uzanne, Ragionamenti) Per Victor Hugo, i ragazzi vengono direttamente da questi mondi superiori ad incarnarsi tra di noi: Il bimbo cerca di riveder Cherubino, Ariele, I suoi compagni, Puck, Titiana, le fate Questa terra è tanto brutta quando si vien dal cielo. Giannina dorme, lascia, o povero angelo escluso, La sua dolce piccola anima andare nell’infinito. Essa guarda altrove, non sulla terra. Questi paradisi aperti nell’ombra e queste fughe Di stelle che fanno segno ai bimbi d’esser saggi. Lamartine dice: L’uomo è un dio decaduto ed ha il ricordo in sé dei cieli e: La mia anima è un raggio di luce e d’amore Che, dal focolare divino fuggita per un giorno, Aspira a risalir alla sua sacra sorgente. Questa aspirazione, così puramente espressa dai poeti, è quella che dà vita a tutte le leggende dell’Atlantide. Gli uomini e le donne desiderano essere convinti della esistenza del mondo spirituale, perché desiderano farne parte. La certezza dell’intervento divino nelle catastrofi del passato è pegno della certezza della vita eterna. Non è pagare troppo caro il sottomettersi alle calamità innumerevoli. L’uomo ha dunque bisogno profondo di estendere la esistenza umana: nel passato per convincersi; nell’avvenire per aprirsi le possibilità; nei mondi paralleli che chiama spirituali; nell’avventura. È tutto questo che l’uomo cerca nelle leggende dell’Atlantide, come altrove. Noi siamo così davanti al problema ultimo: Il desiderio, cosa prova? E che cosa prova il bisogno umano? Il nostro desiderio che una cosa sia vera è forse prova che questa cosa non è vera? È, al contrario, più facilmente concepibile che un bisogno esiste in noi perché fuori di noi esiste qualcosa che soddisfa questo bisogno. Perché avremmo fame se nel mondo - tale come è - non esistesse nulla che potesse soddisfare la nostra fame? Secondo la tesi evoluzionista, già da molto avremmo perso questo desiderio, la fame, se (questo desiderio) non corrispondesse a niente. I bisogni sessuali non sono condizionati dalla esistenza reale di un altro sesso? Perché i nostri bisogni spirituali esisterebbero se non corrispondessero a niente? Ciò non vuol dire che l’immagine creata in noi per accompagnare o dirigere il desiderio sia necessariamente esatta. Conosciamo bene la troppo frequente falsità della nostra immaginazione. Ma l’errore che costruiamo non infirma la realtà alla quale il desiderio tende. Si può dire che il bisogno non esisterebbe, se nulla nel mondo esterno vi corrispondesse. L’ esperienza dell’errore troppo sovente ripetuto ha fatto concludere troppo presto, a certi spiriti avidi di certezze premature, che "il mondo spirituale" non corrisponde a nulla. Ma si vede, al contrario, che molto frequentemente, dell’immaginazione è al di sotto della realtà, e esagerazione. l’errore non una Perché un’idea è d’origine "psicologica", perché nasce da desiderio umano, è falsa? Al contrario. Bisogna imparare a conoscere dietro tutti gli errori e tutte le immaginazioni, la porta che conduce a realtà più belle di tutte le nostre illusioni. Ci sembra logico accettare inizialmente come realtà i dati ai quali l’evoluzione del mito che abbiamo studiato accorda una durata permanente. E sono dati spirituali, questi. Li riassumiamo sotto la forma più astratta possibile. L’esistenza umana sulla terra è molto più antica di testimonianze attualmente acquisite possano provare. quanto le Il periodo nel quale viviamo, e che conosciamo un po’, non è concepibile che come facente parte di un tutto che si estende molto più lontano della nostra prospettiva, nell’avvenire come nel passato. La spiegazione possibile solo "spirituale". della nostra esistenza se facciamo intervenire comincia ad apparire l’elemento morale, o Il mondo è infinitamente più complicato nelle due direzioni del tempo, in tutte le direzioni dello spazio, e in tutti gli aspetti sentimentali, morali, spirituali di quanto il nostro intelletto possa rappresentarsi. Ciò nonostante non possiamo accettare come valevoli che le immagini riconosciute ragionevoli dalla nostra intelligenza critica. Se applichiamo questi principi ai problemi e ai desideri suscitati in noi dai miti dell’Atlantide, cosa troviamo? Quanto a noi (ognuno non deve parlare che per sé), siamo ragionevolmente e, moderatamente, convinti dei seguenti punti: ora la civiltà è molto più antica di quanto scientifica- mente possiamo affermare; ed è stata sovente legata a condizioni materiali molto più semplici e tali da non lasciare (archeologicamente) nessuna traccia, perché la civiltà è, soprattutto, spirituale. varie lune sono esistite prima della nostra e si sono schiacciate sulla Terra, e la nostra farà lo stesso; vi sono stati sulla Terra periodi di gigantismo, vegetale animale e umano; e l’evoluzione fisica, come la civiltà, ha avuto alti e bassi - d’altronde non simultanei su tutta la Terra; nelle Ande e in parecchi altri luoghi del globo, vi furono centri di civiltà estremamente antichi e i fenomeni del paleolitico sono piuttosto decadenze e non inizi; le leggende sull’Atlantide e sui mondi umani precedenti corrispondono a realtà non completamente dimenticate; in relazione con le catastrofi, vi è tutta una evoluzione morale dell’umanità; lo spirito umano - o l’anima umana, come si vuole si stende molto più lontano di quanto non sappiamo, nel tempo, nello spazio e nei mondi " immaginari " che intravediamo appena e, quindi, nè il sistema teosofico né le idee spiritiche sono da respingere per intero. Nonostante questo, pensiamo che coloro che vogliono andare troppo lontano nelle precisazioni si espongano a grandi errori. L’uomo deve sapere gioire dei suoi sogni, mai ripudiarli ma, anche, mai attendersi una realtà che esprima completamente tali e quali essi sono. La nostra intima convinzione è che la realtà, conosciuta, sarà ancora più bella dei sogni. Bergson ci ha detto che l’universo è una macchina per fare gli Dei. Gli impulsi che sottendono tutte le idee sull’Atlantide, da Platone fino a Hoerbiger, testimoniano il desiderio degli uomini di diventare degli Dei. FINE APPENDICE ALLA SECONDA EDIZIONE ITALIANA Questo libro ha suscitato in Italia interesse nella stampa d’informazione che lo ha largamente commentato. Ha suscitato anche interesse in molti studiosi che ci hanno scritto. Crediamo utile, in questa necessariamente, per adesso, breve appendice al testo italiano, dare qualche riferimento a elementi italiani i quali, poi, condurrebbero l’Italia a essere il centro — per lo meno uno dei centri più importanti - di sculture rupestri gigantesche. Saurat, nelle pagine che precedono (62, nota), accenna alle recenti importanti scoperte fatte in Corsica, isola che, come la Sardegna e la Tirrenia (Italia), faceva parte del grande continente atlantideo, il quale si estendeva oltre Gibilterra. Numeroso materiale fotografico ci è stato inviato da Costantino Cattoi che, da oltre quaranta anni, cerca, scopre e studia questi grandi monumenti scolpiti nelle montagne, simboli e messaggi di lontane generazioni. Le sculture rupestri dell’Ansedonia, scoperte nel 1954 dal Cattoi; la sfinge di Erix, presso Trapani (a guardia di una tomba), scoperta nel 1955 ; Giano bifronte di Pisco Montano di Terracina, scoperto da Gualtiero Leonardi nel 1926, fotografato e disegnato dal Cattoi; e altre. Riproduciamo alcune di queste testimonianze. Memphis egizio - ricorda Cattoi - non sapeva preparare il papiro del Nilo: l’unico modo di conservare i detti magici era quello di scolpire figure umane, di fiere, di animali (... scultaque, disse Lucano, servabant magicas animalia linguas). La prima scrittura geroglifica venne scolpita nel sasso. L’Ansedonia, con le sue gigantesche sculture di aquile, elefanti, tori, leoni, dinosauri e liocorni, non è che una sola immensa scrittura geroglifica oracolare dei Tirrenidi che si diffusero fino all’Egitto e altrove, per istruire e gettare le fondamenta delle civiltà di tutti i tempi. Cattoi ha anche localizzato dell’antico continente. nel Tirreno città sommerse, resti Tutta la Preistoria ci appare effettivamente trasformata, diversa da quella degli insegnamenti classici sono miliardi di anni più lontano che l’apparizione dell’uomo sulla Terra è proiettata; ed è un uomo gigantesco, pensante, intelligente, estremamente saggio e buono. Non è uno scimmione il progenitore nel quale ci ritroveremmo, risalendo a ritroso, di gradino in gradino, la scala della evoluzione, bensì una creatura apparsa all’improvviso per un atto di Creazione, e che portava in sè un riflesso della bontà del Creatore. A mano a mano, faticosamente, nuovi e avvincenti aspetti delle origini affiorano. Giano Bifronte di Pisco Montano, Terracina ( detto il Monaco di Terracina) (Fotogr. Cattoi) Sfinge di Casa sull’Argentario(Fotogr. Cattoi) Sfinge di Erix (Trapani) (Disegno e fotogr. Cattoi).