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IL METANO INTRAPPOLATO NEL PERMAFROST: CATASTROFE

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IL METANO INTRAPPOLATO NEL PERMAFROST: CATASTROFE
IL METANO INTRAPPOLATO NEL PERMAFROST:
CATASTROFE ANNUNCIATA?
A cura di Carmine CALABRESE
A. A. 2014/2015
“Possiamo risolvere la crisi climatica. Sarà difficile, certo; ma se
scegliamo di risolverla, non ho alcun dubbio che possiamo farcela
e ce la faremo. Inoltre dobbiamo rallegrarci al pensiero che la
nostra generazione ha un privilegio raro, appannaggio di pochi:
l'opportunità di impegnarsi in una missione storica, che merita i
nostri sforzi migliori. Dovremmo essere fieri di vivere in un'epoca
in cui ciò che facciamo ora determinerà il futuro della civiltà
umana”
Albert Arnold Gore – politico, ambientalista
Introduzione
Il permafrost, è un terreno tipico delle regioni del Nord Europa e delle zone in
prossimità dei poli, dove il suolo è perennemente ghiacciato.
Intrappolato al disotto del permafrost permanente, che funge da copertura
impermeabile si può trovare anche in grande quantità gas metano,
accumulatosi nel corso dei millenni. Nel territorio artico dell'emisfero boreale,
si teme la liberazione di grandi quantità di metano nell'atmosfera terrestre, che
si aggiungerebbero agli altri gas che già favoriscono l'effetto serra, ed
innescando così in circolo vizioso un ulteriore riscaldamento globale.
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Capitolo I
È risaputo che il metano è un gas molto più efficace dell’anidride
carbonica nel favorire l’effetto serra, tanto che si valuta sia circa trenta volte
più potente. Quindi, se si dovesse verificare un eccessivo riscaldamento delle
aree di interesse, si riverserebbe nell’atmosfera una notevole quantità di
metano, con ripercussioni pericolose per l’equilibrio termico della Terra.
L'estensione della superficie coperta dal permafrost e il suo spessore
variano in funzione delle condizioni climatiche. A causa di ciò, la sua
formazione, la consistenza o l'eventuale scomparsa legata al riscaldamento del
pianeta, sono studiate da una rete di osservazione mondiale coordinata
dall'International Permafrost Association.
Lo strato superficiale è sensibile ai cambiamenti climatici stagionali, e
arriva a scongelarsi parzialmente durante il periodo estivo per poi ricongelare
nel corso dell’inverno, mentre quello profondo non si è più scongelato dal
tempo dell'ultima glaciazione, circa 10 000 anni fa.
Nei prossimi 30-50 anni, si teme che le acque di fusione del permafrost
possano contribuire in modo significativo a "raffreddare" i mari artici e ad
abbassarne la salinità, alterando sostanzialmente le correnti sottomarine che
trasferiscono calore e soluzioni idrosaline a diversa concentrazione, come la
Corrente del golfo che funge da "regolatore termico" su scala globale.
Nel permafrost il metano si trova sotto forma di idrati (clatrati), che
possono rilasciare metano gassoso qualora il terreno si riscaldi e il ghiaccio
fonda. In tempi di riscaldamento globale è naturale pensare che questo
processo possa innescarsi e magari accelerare, creando così un feedback
naturale che, come risposta a questo riscaldamento, immetterebbe in
atmosfera un composto (il metano) che tende a favorire un ulteriore aumento
di temperatura.
Il permafrost e i clatrati si degradano con il calore, perciò grandi rilasci
di metano da queste sorgenti possono contribuire al riscaldamento globale.
Nel 2008 il dipartimento statunitense per la produzione nazionale
dell'energia (United States Department of Energy National Laboratories) ha
identificato nella potenziale destabilizzazione dei clatrati dell'Artico una
possibile concausa che interviene influenzando, con altri fattori, il brusco
cambiamento climatico, e per questo motivo è stata individuata come oggetto
di una come ricerca prioritaria.
E’ chiaro che questo fatto induce a pensare che i problemi del rilascio
di metano da parte del permafrost sottomarino possano potenzialmente essere
molto più seri di quelli delle emissioni di gas metano dai suoli emersi.
Il monitoraggio prolungato di queste emissioni rapide mostra che la
quantità totale di metano emesso in atmosfera da questa parte di Oceano
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Artico ammonta almeno a dieci volte quanto si pensava fino ad ora, e questa
appare una stima cauta.
A ciò si aggiunge l’effetto di eventi di vento forte, che si manifestano
abbastanza spesso nella zona studiata, che contribuiscono a ventilare la
colonna d’acqua e ad incrementare gli episodi di emissione rapida. Infine, una
stima accurata, ma prudente, delle emissioni di metano di questa parte di
Oceano Artico mostra come queste siano circa uguali alle emissioni totali di
tutte le altre superficie marine del globo, come pure a quelle di tutta la tundra
artica.
In Siberia, il suolo ghiacciato si scalda ed esplode. Decine di voragini
sono state trovate nell’estremo nord: le temperature si innalzano e si verifica
lo scoppio delle bolle di metano intrappolate nel permafrost perennemente
gelato.
«L’importante è non allarmare la gente, anche se questo è un problema
serio», ha detto al Siberian Times il professor Vasily Bogoyavlensky,
direttore dell’Istituto di ricerca su gas e petrolio e membro dell’Accademia
russa delle scienze.
Gli studiosi ritengono che quasi sicuramente le voragini sono state
provocate dall’esplosione di bolle di gas naturale, in gran parte metano, che si
trovavano nel sottosuolo. Secondo alcune stime, le esplosioni che hanno
provocato le voragini hanno avuto in totale una potenza paragonabile allo
scoppio di 11 tonnellate di tritolo. Le (rare) popolazioni locali hanno paura
che esplosioni simili possano avvenire sotto i loro piedi. Alcuni ritengono che
possano essere legate all’esplorazione di giacimenti di idrocarburi, o a zone
sismiche (la penisola di Yamal è attraversata da faglie attive), ma la
spiegazione che molti studiosi pensano sia la più probabile è un’altra: il
riscaldamento globale.
Le zone artiche negli ultimi decenni hanno visto un aumento delle
temperature medie come nessun’altra area al mondo. In molte zone il
permafrost, il suolo artico perennemente gelato, si sta sciogliendo. Più caldo è
il suolo, più le bolle di metano in precedenza intrappolate nel ghiaccio si
espandono fino ad arrivare all’esplosione.
Capitolo II
Lo scongelamento del permafrost potrebbe essere accelerato dal calore
prodotto dall'attività metabolica dei batteri che degradano il materiale
organico.
Il fenomeno, finora sottovalutato, potrebbe causare il rilascio di tutto il
carbonio organico immagazzinato nel suolo delle regioni artiche, che pari alla
metà di quello che si trova nel sottosuolo dell'intero pianeta. La scoperta è di
un gruppo di ricercatori dell'Università di Copenaghen che firmano un
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articolo pubblicato su “Nature Climate Change” in cui si quantifica per la
prima volta la capacità di produrre calore dei batteri nel suolo delle regioni
artiche.
Lo scongelamento del permafrost delle regioni artiche provoca una
proliferazione e un aumento dell'attività dei microbi che degradano il
materiale organico presente nel suolo, liberando così carbonio in atmosfera.
Lo studio di Bo Elberling e colleghi svela ora che il metabolismo batterico
produce a sua volta una quantità di calore sufficiente ad accelerare lo
scongelamento del suolo, con un meccanismo di feedback che potrebbe
influire sul clima globale più del previsto.
Circa il 50% di tutto il carbonio di origine organica presente nel
sottosuolo del pianeta è immagazzinato nel permafrost delle regioni artiche. E
il carbonio di origine organica può passare nell'atmosfera più facilmente di
quello che si trova nei suoli minerali perché i batteri riescono a spezzare
molto più facilmente i legami chimici che lo legano in molecole complesse.
Bo Elberling e colleghi hanno quantificato la produzione di calore di origine
microbica in 21 campioni di permafrost raccolto da sei siti groenlandesi, che
hanno mantenuto in condizioni di temperatura e umidità corrispondenti ai
diversi scenari climatologici ipotizzati dall'Intergovernmental Panel on
Climate Change (IPCC).
Dalle simulazioni è emerso che in uno scenario di riscaldamento
moderato, lo scongelamento interesserebbe poco più del primo mezzo metro
di permafrost, già oggi colpito dal fenomeno nella stagione estiva.
In questo caso il carbonio liberato dal suolo artico corrisponderebbe a
quello già previsto dagli attuali modelli climatologici e non porterebbe a un
ulteriore aumento del riscaldamento.
Ma le cose andrebbero diversamente se il riscaldamento fosse più
sostenuto, e l'aumento medio delle temperature nel 2100 superasse di 2°C
quello attuale o addirittura, arrivasse a superarlo di 3,7°C. In tal caso, proprio
a causa del calore prodotto dal metabolismo dei microbi, negli ultimi decenni
di questo secolo lo scongelamento arriverebbe a interessare quasi l'intero
spessore del permafrost nelle aree a torbiera.
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Conclusioni
È tecnicamente possibile stabilizzare l’aumento della temperatura
mondiale al di sotto della soglia limite di +2°C al 2100. Tale livello non
precluderà impatti gravi, come l’eventuale perdita di interi arcipelaghi
nell’Oceano Pacifico, ma eviterà il verificarsi di impatti climatici irreversibili.
Non è ancora troppo tardi per agire, ma il tempo a disposizione sta
rapidamente esaurendosi.
Per centrare questo obiettivo occorre partire già oggi con un’azione
coordinata, determinata e urgente per la stabilizzazione delle emissioni di gas
serra, in modo da invertire il trend di crescita e procedere verso un
dimezzamento delle stesse al 2050 e un loro azzeramento il più presto
possibile nella seconda metà del XXI secolo.
I prossimi, saranno anni fondamentali per far sì che vangano messi in
pratica tutti i propositi di cui i Governi hanno discusso nella Conferenza delle
Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici tenutasi nel 2009 a Copenaghen.
Bibliografia
 B.E. Goodison, R.D. Brown; R.G. Crane, Cyrospheric systems in Earth Observing
System (EOS) Science Plan, NASA, 1999.
 Jørgen Hollesen, Henning Matthiesen, Anders Bjørn Møller & Bo Elberling (2015),
Nature Climate Change Permafrost thawing in organic Arctic soils Accelerated by
ground heat production.
 N. Shakhova, I. Semiletov, A. Salyuk, D. Kosmach (2008), Anomalies of methane
in the atmosphere over the East Siberian shelf: Is there any sign of methane leakage
from shallow shelf hydrates?, EGU General Assembly 2008.
 Portnov, A. Mienert, J. Serov, P. 2014 Modellare l'evoluzione del Permafrost
sottomarino sensibile al clima dell'Artico in regioni di estesa espulsione di gas nella
piattaforma ad Ovest di Yamal.
 Sharon Smith, Jerry Brown, Permafrost. Permafrost and seasonally frozen ground.,
Roma, Global Terrestrial Observing System, 2009.
 Triacca, U. Pasini, A. Attanasio, A. Giovannelli, A., Lippi, M. (2014), Clarifying
the roles of greenhouse gases and ENSO in recent global warming through their
prediction performance, Journal of Climate 27, 7903-7910.
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