QUI - 100 Anni Grande Guerra – Le Scuole per la Storia
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QUI - 100 Anni Grande Guerra – Le Scuole per la Storia
I.T.C. L.B. ALBERTI-S.DONA’- Classe 4 B AFM IL FRONTE INTERNO NELLA GRANDE GUERRA In collaborazione con la prof.ssa Antonietta Casagrande 1 Battaglia sul Grappa 2 Il fronte interno nella Grande Guerra 1.1 Definizione di fronte interno La distinzione tra fronte, dove si combatteva, e i territori interni rimase ben salda al punto da creare una frattura psicologica tra i soldati e il resto della popolazione. Quando tornavano in licenza, i soldati si stupivano che la vita civile proseguisse in modo normale, ne rimanevano contrariati, perché al fronte l’esperienza della guerra era terribile. I civili, infatti, non erano in grado di farsi un idea adeguata dei campi di battaglia, perché la guerra, per chi viveva nelle città, era remota lontana, fuori dall’orizzonte percettivo, visivo e sonoro, della popolazione. La censura vietava ai combattenti di dare informazioni sui luoghi dove si trovavano, perciò le notizie ufficiali venivano filtrate secondo le convenienze. Quanto ai luoghi delle battaglie invece, se ne conoscevano solo le immagini fotografiche autorizzate. << Mi piacerebbe sapere qualche cosa di questa guerra – scrive un ragazzo di Lecce al padre che si trovava al fronte – ma tu non puoi scrivere e dai giornali non si capisce niente, un giorno dicono una cosa un altro la smentiscono. Avevo comprato una carta geografica e delle bandierine e giorno per giorno segnavo i posti conquistati, ma ho dovuto rinunciarci. Un giorno per esempio il giornale dice Grado conquistata, dopo quattro o cinque giorni, altro avvenimento: Grado conquistata.>> L’espressione e il concetto di “fronte interno” furono un’invenzione della prima guerra mondiale, tanto in Italia che nei paesi belligeranti. Il conflitto era il primo moderno e di lunga durata, le cui sorti erano affidate alla capacità di mobilitare tutta la popolazione e l’insieme delle energie pratiche e morali dei singoli Paesi. In Italia, questo concetto si caricò di valenze particolari e venne adottato dalle forze interventiste romane, come titolo di un settimanale sorto nell’autunno del 1915. 3 L’idea di “fronte interno” richiamava quella di “nemico interno” e implicava un programma di lotta ad oltranza contro quanti non avevano approvato l’intervento e si mantenevano tiepidi di fronte ai richiami patriottici, considerati alla stregua di veri e propri traditori. A parere dei nazionalisti la prova in corso non ammetteva defezioni, ne’ tentennamenti e la battaglia sul fronte interno andava combattuta con la stessa ostilità di quella reale. Il coinvolgimento economico e organizzativo della popolazione fu dunque imponente. Considerata l’enorme importanza della produzione industriale per l’impegno bellico di tutti i Paesi, il fronte interno fu fronte industriale e operaio: era necessario assicurare la crescita della produttività e della produzione, garantire con ogni mezzo la disciplina e la cooperazione degli operai divenne un problema di vitale importanza. In Italia metà della popolazione era costituita da donne; il fronte interno fu dunque un fronte femminile. Donne operaie in una fabbrica di munizioni L’intero Paese fu soggetto ad una legislazione penale e investito da un’azione repressiva, uniformata al modello militare che considerava i cittadini più o meno alla stregua di altrettanti soldati. I civili condannati dai tribunali militari furono oltre 60. 000, per rifiuto a collaborare, disfattismo o dissenso. La repressione non risparmiò neppure il clero. La Chiesa cattolica aveva guardato inizialmente la prospettiva della guerra con scarsa convinzione e molta diffidenza, specialmente di una guerra contro l’Austria, considerato baluardo del tradizionalismo cattolico in Europa. Alla fine del 1916 il procuratore generale di Ancona segnalava con preoccupazione alcuni episodi giudicati come gravi sintomi antipatriottici: Carloforti don Luigi, canonico penitenziere della Cattedrale di Assisi, richiestogli di battezzare una bambina col nome di “Italia”, vi si rifiutò imponendole di suo arbitrio quello di “Maria-Clara”. Nell’ occasione della 4 partenza da Assisi dei soldati del fronte alcune bambine richiesero al Carloforti dei fiori per offrirli a quei soldati. Il Carloforti dette i fiori ma, rivoltosi alle bambine, disse:<<ma che fiori, tirate invece delle pietre ai soldati>>. Ridolfi don Luigi, canonico in Sterpeto di Assisi, nell’ insegnare ai bambini il segno della croce, vi aggiungeva e faceva da essi ripetere la frase seguente:<< non t’intrigà, non t’impiccià, lascia il mondo come sta, viva l’Austria che ci dà la pace e la libertà>>. Buzzelli don Luigi, parroco di Rivotorto di Assisi, ad alcuni ragazzi disse che gli austriaci erano arrivati a Belluno e a Vicenza e con altre persone dichiarò che l’Italia facendo la guerra all’ Austria, alleandosi con i Francesi, commetteva un delitto. Una parte cospicua del territorio fu dichiarata “zona di guerra”. Dapprima comprendeva solo le piazzeforti, marittime, le fortezze, alcune zone costiere dell’Adriatico e alcune zone considerate di importanza strategica, successivamente però la definizione fu allargata alla aree industriali. Dopo la rotta di Caporetto, tutta l’Italia settentrionale fu dichiarata “zona di guerra”, con la conseguenza di sottoporla ad una specie di dittatura militare. Intere categorie di persone furono sottoposte a regime disciplinare dell’esercito, soggette al silenzio militare, anche se temporaneamente impiegate in compiti produttivi. Si soppresse il diritto di sciopero e l’attività sindacale. Il complesso delle relazioni industriali fu sottratto alla contrattazione e sottoposto ad una regolazione dall’alto. Altri fenomeni contribuirono a sottolineare il coinvolgimento della popolazione civile nella guerra, come la compressione dei consumi e il peggioramento della situazione sanitaria, attestato dall’aumento della tubercolosi e delle malattie polmonari, degli infortuni e delle malattie professionali di fabbrica. L’abbassamento del tenore di vita conseguente alla crisi agraria e alle difficoltà alimentari, il crescere dei disagi e delle fatiche, ridussero la resistenza organica della popolazione, rendendola più vulnerabile. 5 1.2 La mobilitazione di massa Nel settore della produzione industriale si istituì la Mobilitazione Industriale, organismo che doveva presiedere alla regolazione delle attività di interesse bellico. Era una novità molto importante, perché assegnava alla Stato il ruolo marginale di supremo regolatore dell’economia e dei meccanismi del mercato. Iniziò quindi un’epoca nuova, inaugurata dalla guerra, che avrebbe raggiunto l’apice negli anni ‘30. La M.I. (Mobilitazione Industriale) comprendeva un comitato centrale con sede a Roma e sette comitati regionali, che più tardi diventarono undici. Quello centrale, presieduto dal generale Alfredo Dallolio, contava circa 5700 dipendenti tra militari e civili che simboleggiavano importanza e la vasta quantità di compiti. Coordinando gli stabilimenti ausiliari, la M.I. usufruiva di vantaggi e di rifornimenti di materie prime. Il compito di gran lunga prevalente cui la Mobilitazione si dedicò, fu la regolazione del mercato del lavoro, assicurando sempre manodopera in quantità e di qualità. L’accelerazione della produzione messa in moto dall’intervento e la richiesta di manodopera specializzata avevano avuto come conseguenza una forte mobilità dei lavoratori da un settore all’altro, motivata dalla ricerca di salari più alti e di lavori meno pesanti.Ma con la mobilitazione generale si irrigidì il mercato del lavoro, vennero bloccati i salari e si vietò il licenziamento, impedendo così all’operaio di lasciare il posto di lavoro per cercarne uno migliore; anche il conflitto sociale fu sottratto alle dinamiche spontanee fino ad arrivare all’abolizione del diritto di scioperare. L’intero sistema garantiva un controllo della manodopera per le imprese, ma non tutelava gli operai e le loro condizioni di vita, anche se uno dei compiti della M.I. era proprio quello di controllare le condizioni igienicosanitarie del lavoro. L’aumento della produzione industriale provocò un’espansione dell’occupazione operaia, anche se poco qualificata e composta soprattutto da donne e ragazzi. 6 L’espansione dell’occupazione operaia fu così straordinaria da cambiare il panorama sociale delle fabbriche. Un esempio tipico è il complesso della FIAT che passò da 4000 a 40000 addetti e l’Alfa di Milano da 50 a 4000 operai. Non tutti questi nuovi operai entravano in fabbrica per la prima volta, erano lavoratori già occupati, passati alle aziende favorite dalla MI. I processi di concentrazione furono una delle principali caratteristiche della trasformazione del sistema economico indotto dalla guerra. Tra i nuovi operai una parte proveniva dal piccolo commercio, dall’artigianato, dai mestieri precari; l‘ingresso in fabbrica serviva a ottenere l’esonero dal servizio militare e riempiva i vuoti lasciati dagli operai, colpiti dai provvedimenti repressivi. Fabbrica di proiettili, durante la guerra I nuovi assunti venivano considerati “imboscati”, dalla classe operaia tradizionale, e perciò guardati con diffidenza. In questo atteggiamento si comprendeva anche un vago risentimento di classe e l’identificazione con un mestiere appreso in lunghi anni di lavoro. Un’altra parte importante furono gli assunti provenienti dal lavoro agricolo. Notevole fu l’impiego della manodopera femminile e dei ragazzi, che la M.I. cercò di incentivare perché contava sulla maggiore docilità e sui vantaggi derivanti dai salari più bassi. Nel 1918 le donne costituivano il 25% della manodopera negli stabilimenti ausiliari di Torino e il 31% in quelli di Milano. L’ espansione dell’occupazione femminile nell’industria, benchè notevole, fu inferiore a quella prevista dai programmi della MI. Gli industriali preferivano la manodopera maschile militarizzata, convinti che fosse più qualificata. 7 In verità l’ingresso delle donne nelle fabbriche fu guardato con diffidenza anche dalla classe operaia tradizionale per il timore della concorrenza e la tendenza a custodire gelosamente il proprio posto di lavoro, per la gelosia del mestiere e per la mentalità maschilista e familista, ossia la convinzione che le donne dovessero starsene a casa. Ma questi timori si rivelarono presto infondati. Le donne furono anzi protagoniste e animatrici di significativi episodi di lotta Donna francese addetta a riparare un macchinario condotta anche in nome e per conto degli operai maschi. Il lavoro minorile fu un fenomeno di notevole ampiezza: in un primo tempo i giovani andarono ad occupare i posti lasciati liberi dagli adulti, alla ricerca di lavori più remunerati nelle grandi aziende. Più tardi furono reclutati anche nei maggiori stabilimenti ausiliari. Nel 1918 le industrie ausiliarie occupavano circa 70000 ragazzi fino ai sedici anni. La durezza delle condizioni di lavoro e della disciplina (esposti alla brutalità di superiori, ai maltrattamenti e ai soprusi) determinò ricambi fortissimi della manodopera giovanile, con frequenti licenziamenti per punizione e abbandoni volontari. Spesso erano soggetti anche agli atteggiamenti autoritari e all’ insofferenza dei compagni più anziani, i quali erano diffidenti nei loro confronti come verso le donne. I ragazzi tra i 15 e i 18 anni veniva anche reclutati nelle file del Genio militare per l’esecuzione di lavori nelle zone del fronte. Si trattava di ragazzi per lo più meridionali, spinti dalla povertà e privi di occasioni di lavoro, e di ragazzi veneti e friulani favoriti dalla vicinanza con le retrovie. 8 1.3 Il ruolo delle donne nella guerra La memoria dell’immagine maschile nella Grande Guerra viene caratterizzata generalmente dal senso del lutto, della sofferenza e della tragedia, quella femminile, invece, lascia intravedere un senso di liberazione e di fiducia in sé stesso. Invece di cullare bambini, cullavano proiettili Nelle fotografie dell’ epoca le donne venivano ritratte nelle mansioni che un tempo erano riservate agli uomini; appaiono generalmente fiere, sorridenti e contente. Non tutte le donne vissero il tempo di guerra allo stesso modo, ma almeno per alcune la memoria era come un tempo felice. Una cosa era la condizione delle donne di classi popolari, costrette a subire ristrettezze economiche e alimentari e il peso di nuove responsabilità; un’ altra quella delle giovani operaie da poco entrate nel lavoro di fabbrica, ma pronte ad approfittare di qualche spazio di libertà dalla tutela maschile; un’ altra ancora quella delle donne appartenenti alla classe media, che trovarono il modo di sentirsi valorizzate in compiti socialmente utili e pubblicamente riconosciuti. Vi fu anche il caso estremo, sopra citato, di quelle donne che dovettero subire le violenze sessuali degli eserciti occupanti. 9 Per capire il processo di liberazione che avvenne nel corso e per effetto della guerra, serve ricostruire i cambiamenti della condizione e dei ruoli femminili determinati dal conflitto. Secondo alcuni l’ effetto iniziale della guerra fu quello di sopprimere il movimento di emancipazione femminile fiorente in Europa, restituendo autorità al ruolo maschile come figura combattente e sicura. Durante la mobilitazione generale, la guerra rimise ordine e distinzione tra uomini e donne, fortificando da un lato il ruolo maschile di difensore della patria e della casa, dall’ altro la figura femminile di custode del focolare domestico. Tuttavia nel corso della guerra questi effetti furono ribaltati: gli uomini vivevano la permanenza al fronte come una ghettizzazione dal proprio mondo, e quindi una riduzione del proprio ruolo, mentre i compiti delle donne a casa erano moltiplicati. L’ enorme utilizzo di energie umane dalla guerra, la crescita del bisogno di manodopera provocarono una crescita dei compiti assegnati alle donne esterni all’ ambito della famiglia. Le donne divennero tranviere, ferroviere, portalettere, impiegate e operaie. Questo portò a una fusione dei ruoli dei generi e delle nuove libertà per le donne: esse potevano vivere e uscire da sole e assumersi diverse responsabilità. Ci furono diverse contrarietà per ristabilire i ruoli di un tempo, come nel caso francese: le lavoratrici delle fabbriche di munizioni venivano chiamate “muniotionette”, per ribadire che esse rimanevano donne, sempre graziose e femminili. Infatti nell’iconografia del tempo di guerra, le donne erano rappresentate col ruolo tradizionale di infermiera e di dama di carità, simbolo di angelo consolatore, custode e assistente dell’uomo. Nel dopoguerra ci fu un bisogno di pace e stabilità, e il rientro nei compiti tradizionali contribuiva a questo senso di sicurezza, specialmente per gli uomini che si sentivano soppiantati e minacciati. Le donne venivano licenziate per lasciare il loro posto di lavoro ai reduci, esse di conseguenza rientravano nei loro ruoli familiari, procreativi e materni. Vari fattori quindi alimentarono dovunque politiche per il 10 sostegno della natalità e di incremento demografico, che in Italia furono sviluppate dal Fascismo. 1.4 Il mondo alla rovescia Come si è detto, nel corso della guerra le donne affiancarono e, in parte, sostituirono gli uomini in moltissimi settori, alcuni dei quali non avevano mai visto prima una presenza femminile e, confrontando i dati censuari del 1911 e del 1921, risulta che la presenza di manodopera aumentò in cifre assolute, ma a causa della contemporanea crescita dell’ occupazione, solo in alcuni settori si verificò un aumento anche in percentuale. La manodopera femminile non era esclusa dal lavoro di fabbrica sia in Italia che all'estero. Le donne infatti erano occupate prevalentemente nel settore tessile e raramente in quello metallurgico e meccanico. La scrittrice Paola Baronchelli, in diversi libri dedicati alla mobilitazione delle donne per la guerra, spiegava come queste eseguivano gran parte delle lavorazioni per la produzione del materiale bellico quali: la lavorazione dei cannoni di piccolo medio calibro e la fabbricazione di proiettili e bombe. Inoltre le donne suggerivano la pubblicazione di fotografie sui giornali, dove erano ritratte in occupazioni inconsuete in divise maschili per mostrare una specie di "mondo alla rovescia". Il massiccio ingresso delle donne nei lavori maschili provocò differenze e pregiudizi moralistici. Nelle fabbriche metalmeccaniche la presenza femminile era avvertita come una rivoluzione dell' ordine naturale. Nelle lettere anonime inviate dal personale ai dirigenti delle Operaie in una fabbrica metalmeccanica. fabbriche, si parlava delle donne come delle sgualdrine che vivevano nel lusso e oziose. Indiscusso fu l' impiego delle donne nella lavorazione a domicilio per la produzione di indumenti militari; passò inosservata la dilatazione dei 11 compiti e dei ruoli delle donne nelle campagne, quindi nell' azienda agricola domestica. L'occupazione femminile fu quindi inevitabile nei settori già riservati agli uomini; le donne dovettero ricoprire mansioni dalle quali erano state tradizionalmente esentate e videro dilatarsi i tempi e i cicli abituali del lavoro, dovettero svolgere anche compiti pesanti come, ad Donne che spingono un carrello esempio, la manovra delle macchine agricole, sporgere i covoni e scaricare il grano. Alcune ricordano quei momenti come un divertimento. In assenza degli uomini le donne si dovettero occupare inoltre delle pratiche burocratiche, dei rapporti con gli uffici pubblici, le vendite e gli acquisti dei prodotti e le controversie legali. All'interno della famiglia i rapporti non si modificarono sostanzialmente: perdurò il primato maschile, il primato degli anziani e la donna giovane rimaneva sottomessa al marito. Contadine al lavoro nei campi durante la Grande Guerra Gli epistolari delle donne contadine sono pieni di lamentele per le troppe responsabilità che gravavano su di loro, specialmente per quanto riguarda la vendita dei prodotti e la contrattazione sui prezzi. In questi scritti veniva manifestato il dolore della lontananza e il desiderio del ritorno del marito. Ma cambiarono, nel senso di una maggiore libertà, anche i rapporti tra spazio domestico e mondo esterno; si fecero più frequenti le occasioni di contatto con l' ambiente esterno alla famiglia e alla comunità; si poneva più attenzione a quanto poteva accadere lontano da casa, per esempio sui fronti di guerra, cominciando dalla consultazione dei giornali. Tutto ciò portò a un sensibile rimescolamento della vita sociale, all'affermazione di nuovi costumi e in particolare alla diffusione di 12 comportamenti come bere alcolici, fumare e frequentare i locali di divertimento notturno. Questi ultimi erano considerati dalle classi medie atteggiamenti indisciplinati e insolenti tenuti dai giovani, sintomo di una pericolosa degenerazione. Le lamentele e gli allarmismi per l'ordine pubblico di cui la stampa si faceva portatrice, sollecitavano le autorità di pubblica sicurezza a una maggiore severità e vigilanza. Ma non si può negare che i modi di vivere stessero davvero cambiando. Fu proprio la guerra a rompere i modelli di comportamento, le relazioni tra generi e classi di età, nonchè fra classi sociali, mettendo in discussione le gerarchie. Tutto ciò emergerà più ampiamente nel dopoguerra alimentando le lotte sociali. 1.5 Le madri di tutti Già nell’imminenza della guerra e soprattutto dopo dello scoppio del conflitto, si costituirono in tutta Italia Comitati di Assistenza Civile, all’interno dei quali le donne assunsero ruoli importanti di organizzazione e di direzione di una attività massiccia e capillare, che rappresentò uno degli aspetti significativi della mobilitazione delle donne nel cosiddetto “ fronte interno”. L’attività si spiegava in molte direzioni nelle quali le competenze femminili tradizionali assumevano rilevanza pubblica: dall’aiuto alle famiglie dei combattenti e dei caduti, all’attività di sostegno dei militari al fronte, all’azione di contatto tra famiglie e soldati, all’assistenza agli orfani. Infaticabili, le donne organizzavano balli, lotterie e pesche di beneficenza, e vendevano persino, a ben cento 13 lire, un “bacio patriottico” Tra gli aspetti della mobilitazione femminile ebbe notevole visibilità un volontariato praticato maggiormente da donne di estrazione borghese ed aristocratica, ovvero le “Dame visitatrici”. Esse dovevano dare aiuto, sostegno e conforto alle famiglie dei mobilitati e agli stessi soldati quando erano in licenza, nelle retrovie o negli ospedali. Inoltre c’erano signore e ragazze dei ceti medi o della nobiltà che raccoglievano piccoli doni da portare ai soldati per rallegrarli e consolarli. In queste funzioni si esaltava il ruolo materno di donna, esteso dal mondo privato a quello pubblico, da ciò deriva il fatto che i soldati vengano visti come bambinoni che si entusiasmano per l’arrivo di un piccolo dono. Questa infantilizzazione corrispondeva a forme di regresso presenti nella realtà, come conseguenza delle esperienze destabilizzanti e di spaesamento subite dai militi. Questo ruolo materno fioriva anche in altre forme, infatti le donne prestarono impegno nella raccolta della lana e nel confezionamento di indumenti per proteggere i soldati dal freddo alpino e poi nei servizi degli Uffici Notizie i quali favorivano i contatti tra i richiamati e le famiglie e trasmettevano informazioni utili. Con queste attività di mobilitazione si vedeva il forte bisogno di protagonismo e di partecipazione delle donne che fino a quel momento non c’era stato. Nell’attività di sostegno allo sforzo bellico nascevano l’inventiva e la capacità di risparmio e riciclaggio, tipiche delle donne. Si usarono frammenti di pellicce per farne cappotti, si promosse l’allevamento di conigli, si inventarono forme di riuso della carta di giornale per riscaldare il rancio nelle gavette (un recipiente metallico in cui i soldati consumavano il loro pasto) e speciali indumenti antiparassitari con miscele per tener lontani i pidocchi dai fanti in trincea, si raccolsero i noccioli di vari frutti per usi farmacologici e di saponificazione. Perfino le maschere antigas furono inventate dalle donne, prima di essere modificate da esperti di chimica e di entrare fisse nel corredo del soldato. In una regione come il Veneto, teatro di sconvolgimenti bellici, la presenza femminile si rivela una preziosa risorsa nell’azione sociale svolta, non solo dai Comitati dell’Unione delle donne cattoliche, ma anche da quelle pie unioni, società operaie e gruppi pastorali che svolgeranno servizi di assistenza con l’istituzione di asili, di ricreatori, di uffici di collocamento, di case-famiglia, ma anche di corsi professionali e scuole di riqualificazione della manodopera femminile. Così la donna in questo nuovo ruolo di imprenditrice-lavoratrice, esercita una funzione fondamentale per la vita economica del Paese. 14 1.6 Ernestina Bittanti Battisti Ricordiamo infine anche l’apporto di donne laiche come Ernestina Bittanti Battisti, vedova del martire Cesare Battisti, aperta sostenitrice di un socialismo democratico e anticlericale, fin dagli anni giovanili. Già a partire dai primi giorni dell’agosto del 1914 Ernesta si vide sbalzata dalla posizione di compagna e collaboratrice del marito, ruolo mantenuto anche dopo la nascita dei tre figli, alla forzosa marginalità a cui la costrinsero, prima il frenetico attivismo di Cesare nei mesi della Ernestina col marito Cesare e il figlio Luigi, primogenito. neutralità, poi la sua partecipazione alla guerra sul fronte italiano In quel momento l’amore tra i due coniugi viene messo alla prova,perchè si trovano a vivere una lontananza, non solo fisica, ma anche ideologica. Ernestina infatti sosteneva un interventismo democratico, quasi rivoluzionario, volto a riscattare gli ideali sconfitti del Risorgimento. Ricordiamo che il Battisti era nato a Trento, che in quel periodo era sottomessa all’Austria, ma da convinto irredentista si trasferì in Italia e nel ’15 si arruolò volontario nell’esercito italiano, venne catturato durante un’operazione militare e incarcerato a Trento; infine dopo molte sevizie condannato all’impiccagione per tradimento nel 1916.Ma dopo la morte di Cesare sarà Ernestina a tenerne viva la memoria di martire, pubblicando i suoi scritti e, contemporaneamente, finirà per recuperare il ruolo politico pubblico che le era stato sottratto. Il corpo di Cesare Battisti dopo l’esecuzione 15 Contraria al fascismo, quando seppe che i fascisti di Trento intendevano recarsi alCastello del Buonconsiglio, li precedette per coprire con un velo nero il monumento del marito. 1.7 Infermiere e crocerossine Uno dei settori più tipici e tradizionali dell’impegno femminile nella guerra rimaneva quello delle infermiere. In Italia il volontariato femminile in questo campo fu promosso dalla Croce Rossa che nacque nel 1864 e successivamente fu incentivato da donne del ceto medio-alto come Sita Camperio Meyer; essa diede vita a Milano nel 1908 alla prima scuola per infermiere sorta in Italia. Le infermiere volontarie furono coinvolte in gran numero nelle opere di assistenza sanitaria nelle retrovie, nei treni-ospedale e negli ospedali dell’interno, un gran numero tale da raggiungere quota 10 000 infermiere della Croce Rossa nel 1917 e altrettante in altre associazioni di soccorso. Crocerossina in visita al fronte Ricordiamo tra le molte Elisa Majer Rizzioli (1880-1930) donna che ricoprì incarichi importanti per quell’epoca. Iniziò nella mutualità scolastica e proseguì nella CRI: tra il ’15 e ’18 fu sulla nave ospedale Menfi e negli ospedali del fronte, concluso il conflitto si avvicinò alla politica, seguendo le gesta di D’Annunzio a Fiume e di Mussolini. 16 Nel 1925 divenne Ispettrice generale, questo evidenzia il suo patriottismo e la volontà di ottenere fama, ricompense e ruoli di primo piano nella sfera pubblica, grazie all’esperienza di guerra. Inoltre la figura dell’ infermiera cercava di promuovere le qualità di grazia e di dolcezza delle donne, così che negli ospedali militari le donne, spesso nubili e di ceto medio, erano ogni giorno in contatto con gli uomini e con il loro corpo bisognoso di cure; l’insistenza del ruolo angelico e materno delle infermiere serviva a occultare e rimuovere quello sessuale, evitando rischi e tentazioni di convivenza, fissando così confini netti. Così alle infermiere era vietato occuparsi degli ufficiali, alle volontarie erano affidati i soldati semplici (erano di estrazione popolare e non potevano manifestare pulsioni erotiche nei loro confronti). Ospedale da campo nelle retrovie. Testimonianze sono le lettere dei soldati alle infermiere e alle “madrine”, nelle quali compare la gratitudine che fiorisce in atteggiamenti di affettuosa confidenza, ma comunque sono presenti alcuni riferimenti al senso di benessere e di ebbrezza corporea provato grazie al confortevole ambiente dell’ospedale e alla dolcezza delle cure ricevute dalle mani femminili. Si nota quindi che l’associazione tra femminilità ed erotismo era interdetta e censurata nei fatti, ma veniva evocata nell’iconografia di largo consumo dove si accostavano guerra e amore. L’impegno nelle attività infermieristiche diede così un’occasione in più a una parte delle donne di uscire dalla famiglia e assumere una nuova rilevanza pubblica e utilità sociale. Ciò le faceva portare lontano da casa per lunghi mesi, rompeva i ritmi della loro quotidianità e permetteva di instaurare nuove relazioni personali in un contesto di elevato valore morale. L’avvento del volontariato infermieristico durante la guerra portò interessanti riscontri nelle testimonianze private di alcune protagoniste. Negli epistolari di queste infermiere si coglie infatti una coesistenza tra sentimenti di pietà e dolore per lo strazio dei feriti e sentimenti di 17 esultanza, euforia e soddisfazione per l’occasione offerta di mostrare il proprio valore. Per molto tempo questa mobilitazione per la guerra appare alle donne come una bella avventura, che ha soprattutto l’effetto di rinforzare il senso di sé, ma a riempire di soddisfazione sono maggiormente le lodi di colleghe e superiori. Crocerossine al capezzale di feriti In altri casi la donna cerca di esaltare i vantaggi di un “cameratismo piacevolissimo” ed elenca dettagliatamente i ricercati menù dei pranzi in comune, che sembravano sufficienti ad allontanare le note di tristezza per le sofferenze e, in qualche caso, per le morti cui deve assistere. 1.8 La protesta sociale La rigidità del controllo sociale, la militarizzazione di parte della popolazione e la durezza delle sanzioni penali e morali contro il “disfattismo” (sfiducia), non riuscirono a produrre l’effetto sperato di una completa ubbidienza delle masse operaie e contadine. L’ampiezza della protesta sociale nelle campagne e nelle città fu considerevole e dilagò a partire dal 1916 fino a sfociare, nel 1917, in episodi di tipo insurrezionale. Non si trattava di veri e propri scioperi, ma di improvvise fermate del lavoro o di agitazioni spontanee di portata contenuta. Tra il 01.12.1916 e il 15.04.1917 ci furono circa 500 manifestazioni di questo genere con la partecipazione, complessivamente, di decine di migliaia di persone che reclamavano il ritorno dei congiunti dal fronte, l’aumento dei sussidi e altre forme di sostegno. Spesso questi episodi erano visti come dimostrazioni contro la prosecuzione della guerra. Le campagne furono teatro di vivaci proteste che manifestavano l’esasperazione per il peggioramento delle condizioni determinata dal richiamo degli uomini, dalla scarsità di generi alimentari e dall’aumento del costo della vita. 18 A suscitare dimostrazioni e rivolte erano l’insufficienza dei sussidi governativi e i ritardi o le mancate concessioni delle licenze per i lavori agricoli. Le protagoniste principali delle proteste furono le donne; particolarmente sulle contadine si scaricavano infatti i maggiori aggravi di fatica e di responsabilità conseguenti allo stato di guerra, le difficoltà alimentari e i problemi Protesta contro il caro vita a Bologna. di bilancio delle aziende agricole. La presenza delle donne nelle agitazioni fu di particolare rilevanza: esse furono in prima fila nelle dimostrazioni, specialmente dove le difficoltà alimentari si fecero sentire più gravemente. Perciò, esasperate dalla fame e dalle code ai negozi, le donne tedesche diedero vita a furti di massa e a rivolte disordinate e incontrollabili: erano donne scalmanate, coraggiose e disposte a tutto. In Italia le proteste si attivarono nelle tradizionali forme di socialità e nelle pratiche di devozione proprie della società contadina, questi ne sono alcuni esempi: • Il 15 giugno 1916 la popolazione di S. Gregorio Magno (Caserta) chiese al parroco di organizzare una processione in onore di San Vito e, dopo aver ottenuto il rifiuto, diede vita a una violenta reazione. • Nel maggio 1917 a Zero Branco un migliaio di donne, ragazze e ragazzi in uscita da una chiesa cercarono di penetrare in un locale per dire la loro, essendo stato impedito l’accesso, scatenarono una manifestazione contro la guerra protrattasi fino a sera. Il carattere maggiormente rurale e spontaneo di questi movimenti ha fatto pensare a proteste di impronta principalmente premoderna. 19 La moderna classe operaia fu scarsamente coinvolta nelle lotte sociali, perché era privilegiata rispetto ai lavoratori rurali per via degli alti salari, della maggiore facilità di ottenere esoneri e quindi del minor contributo di sacrifici e di sangue. La contrapposizione tra “fanti contadini” e “operai imboscati” si manifestò già durante il conflitto, ma si basava maggiormente su pregiudizi. I salari nominali aumentarono nel periodo della guerra, ma in misura nettamente inferiore al costo della vita. L’aumento dei ritmi e degli orari lavorativi e l’introduzione di nuove lavorazioni provocarono inoltre un aumento del degrado fisico, degli incidenti sul lavoro e delle malattie professionali. Le conseguenze della guerra furono perciò peggiori per gli operai, rispetto che per i lavoratori agricoli. Inoltre la separazione tra città e campagna si era attenuata, le periferie urbane erano spesso segnate dalla presenza di piccole industrie e popolate da contadini che lavoravano anche in fabbrica. Le agitazioni avevano dunque un carattere misto: partivano dalle campagne per iniziativa delle donne, ma poi dilagavano verso le città coinvolgendo gli operai delle grandi fabbriche. Le operaie avevano salari più bassi di quelli maschili, sopportavano il carico di un doppio lavoro (domestico e di fabbrica) e avevano un’aspettativa di presenza in fabbrica solo provvisoria. Il loro trattamento era molto più uniforme di quello degli operai maschi, in quanto appartenevano per lo più a una fascia omogenea, senza distinzioni tra specializzate e non, il che favoriva la loro coesione. La turbolenza femminile destò preoccupazioni non solo nei responsabili della Pubblica Sicurezza, ma persino nei rappresentanti del movimento operaio organizzato e in particolare nei dirigenti socialisti. Il maggiore esponente del socialismo italiano fu Filippo Turati, nella sua corrispondenza con la sua compagna Anna Kuliscioff, diede giudizi molto critici su queste proteste femminili, interpretandole come una rivolta della campagna contro la città che finiva per colpire senza distinzione le autorità, i ricchi borghesi e gli stessi socialisti. Turati sospettò persino che i socialisti ne fossero il bersaglio principale e che in tutto questo ci fosse stato l’intervento dei preti. 20 Le donne ebbero una presenza cospicua nella protesta popolare contro la guerra, quando vennero a mancare molte occasioni di lavoro: in seguito al declino delle industrie tessili e dell’ abbigliamento, mentre il peggioramento delle condizioni economiche del Assalto ad un forno durante una protesta contro la carenza di ceto medio ridussero le viveri a Gualdo Tadino opportunità di lavoro domestico. Di conseguenza la prostituzione clandestina aumentò. Un significativo episodio di ribellione si verificò a Torino nell’agosto 1917. A scatenarlo fu l’esasperazione per la mancanza di farina e di pane, a causa della chiusura di numerose panetterie. La protesta contro la mancanza di pane, generalmente, riproduceva una certa rivolta delle plebi urbane con manifestazioni diventate celebri e proverbiali nella rivoluzione francese. La rivolta, che scoppiò il 22 agosto, coinvolse gli operai e la popolazione dei quartieri proletari in scioperi, saccheggi, barricate. Ci furono poi scontri a fuoco con le forze dell’ordine e con l’esercito intervenuto a frenare il moto e ad impedire che dai quartieri operai arrivasse fino al centro della città. Contro i manifestanti furono applicate autoblindo e mitragliatrici. Tutto ciò che gli operai cercarono di fare, affinché i soldati si unissero alla protesta e cedessero le armi, non ebbe alcun risultato tranne in qualche raro episodio. La repressione invece fu durissima: guardando i calcoli, le vittime tra i dimostranti furono circa 50, i feriti oltre 200, gli arrestati quasi 900 e molti operai furono inviati al fronte. I rappresentanti della parte socialista che avrebbe fatto nascere il Partito comunista riconobbero in questo episodio, a posteriori, un esempio di 21 combattività proletaria che lasciò scorgere la possibilità di un risultato rivoluzionario. La classe dominante provò orrore per la probabile insofferenza e insubordinazione che era presente tra le masse. Gli interventisti vollero però che il governo adottasse una condotta più energica e un’azione repressiva più dura contro i nemici interni. Specialmente i volontari della parte interventista più accesa videro crescere il loro odio contro gli avversari della guerra. Come il successivo episodio di Caporetto, quello di Torino era destinato a scavare un solco profondo, difficile di rimarginare, tra quelli che credevano che la guerra fosse una grande occasione e un’indubbia necessità per fare l’Italia più grande e per quelli che per motivi diversi non la pensavano così. 1.9 La guerra dei bambini Anche bambini e bambine furono coinvolti nella guerra in diversi modi. I bambini al di sotto dei 14 anni erano circa 12 milioni, circa 1/3 della popolazione, tuttavia fino al tardo 800 i bambini erano stati poco considerati. Solo a cavallo dei due secoli si era sviluppata una nuova attenzione nei loro confronti, come potenziali lettori di giornaletti o acquirenti di giocattoli prodotti in serie. La condizione dei bambini cambiava a seconda della posizione sociale. La lunga durata della guerra e gli intensi sforzi richiesti alla produzione imposero una restrizione dei consumi che toccò famiglie contadine e borghesi. L’ ideologia della parsimonia e dei sacrifici divenne quindi un obbligo per la sopravvivenza. Nella stampa dell’ epoca e nelle cartoline illustrate il tema del risparmio ricorre di continuo, infatti anche i bambini ricevevano degli ammonimenti che limitavano le loro necessità e li educavano all’austerità, persino alla colazione senza zucchero. 22 I giornali dedicati ai più piccoli erano simili a quelli destinati ai contadini poco alfabetizzati, cioè con molte vignette. Vignetta patriotica del Corriere dei Piccoli Per i bambini furono creati anche alcuni giornali come il Corriere dei Piccoli e il Giornalino della domenica che avevano posizione di nazionalismo e raggiunsero subito migliaia di copie vendute. Questi giornali durante la guerra avevano il compito di aumentare lo spirito patriottico e l’ odio austriaco nei bambini. Con la guerra si richiamava nei più piccoli l’ obbedienza che poi era richiesta dai soldati. Successivamente si capì che, per aumentare i consensi, era meglio utilizzare modi semplici e comprensibili, ciò significa che la guerra veniva banalizzata agli occhi sia dei bambini che degli adulti. Questa guerra non era come le altre, prevedeva le energie materiali, intellettuali e organizzative di tutta la popolazione. George Mosse interpreta la banalizzazione della guerra come un modo per contrastare l’ ampiezza dell’ evento e le conseguenze di esso. La propaganda abbandonò i toni aggressivi sostituendo all’ eroismo quello della sopportazione, e favorì l’ assuefazione. Vignetta patriotica del Corriere della Sera I programmi scolastici vengono modificati in via provvisoria per parlare della guerra, per la lingua italiana erano previste letture periodiche di giornali narranti la guerra. Per la geografia si proponeva l’ aspetto fisico e le difficoltà logistiche del Carso, poi comparivano più attuali come la mobilitazione e le successive 23 leve militari. Non mancavano comunque riferimenti a riflessioni sui caduti in guerra e sui feriti. Infine per l’ educazione fisica si suggeriva di portare gli allievi, ove fosse possibile, a visitare ospedali militari, stabilimenti di prigionia, laboratori di mutilati, fabbriche di munizioni, ecc, allo scopo di impressionare maggiormente con la reale visione dei fatti. La familiarizzazione con la guerra comportava la familiarizzazione con la violenza e con la morte. Un immaginario truculento cominciò ad assediare le menti infantili, nobilitato e reso edificante dalla causa patriottica. I maschi si eccitavano all’ idea di ammazzare e gettare bombe, e le bambine non erano da meno. Persino alcune figure classiche della letteratura per l’ infanzia, come Pinocchio, furono rivisitate in una chiave che attingeva allo scenario della guerra. Era anche questo un modo per depotenziare il volto sanguinario della guerra, riducendolo ad una fantasia infantile. Uno dei primi principali strumenti di banalizzazione della guerra erano i giochi e i giocattoli. I bambini avevano sempre giocato alla guerra, ispirandosi di volta in volta a situazioni, personaggi, contese del presente o del passato. Nell’ 800 ad animare lo scenario erano statele guerre risorgimentali: quella contro il brigantaggio, gli scontri tra “papalini”, borbonici, piemontesi. Gli echi della guerra in corso sui fronti di mezza Europa, dopo il 1914 non tardarono a modificare caratteri e protagonisti del gioco. L’ immagine del bambino che dorme accanto ai suoi soldatini, sognando autentici combattenti in atto di scontrarsi sui campi di battaglia è una delle più comuni nell’ iconografia del tempo. Il passaggio dalle guerre mimetiche a quelle reali, falciò intere generazioni e rese perciò inevitabile il richiamo di classi di età sempre più giovani. In molta letteratura del periodo tra le due guerre, è fortemente presente il tema di una generazione che non aveva imparato a fare altro che la guerra , ossia a uccidere o morire. 24 Nella stampa dell’ epoca troviamo spesso suggerito lo stesso concetto anche in forma sdrammatizzante e scherzosa. La Grande Madre italiana nutriva i suoi figli per farli diventare soldati e mandarli a combattere. I giornali alludevano all’ ingresso dei bambini sulla scena della guerra con numerose vignette che rappresentano efficacemente questo accompagnamento del bambino dalla culla alla trincea. Raggiungere l’ età adulta significava diventare combattenti. Non a caso l’ iniziazione della guerra era talvolta associata all’ iniziazione sessuale degli adolescenti, così da conferire un significato sottilmente attraente e non drammatico. Al di là delle allusioni simboliche , si avviarono forme di vero e proprio tirocinio dei minori alle pratiche della guerra. In effetti a partire dal 1916 si stabilì che gli appartenenti al corpo militare potevano essere impiegati in piccoli compiti di supporto, servizi di staffetta , collegamento e vigilanza nell’ interno del paese. I bambini erano un mercato potenziale non solo di letture e giocattoli, ma anche di altri prodotti legati alla crescita e all’ abbigliamento. Le trasformazioni sociali crearono un’ attenzione immediata per le questioni commesse all’ igiene dello sviluppo e dell’ alimentazione. Le industrie tentavano di affermare nuovi consumi, come l’ Eubrofina, un nuovo ricostituente, venne pubblicizzato allora sui giornali con immagini e slogan che come al solito utilizzavano associazioni di idee legate alla guerra in corso, per far crescere i bambini che domani avrebbero dovuto combattere. L’ immagine dei bambini finì insomma per circolare con crescente frequenza nella comunicazione sociale, nei giornali e nei manifesti murali. Si parla di arruolamento del bambino, le cui conseguenze si sarebbero rivelate con ampiezza solo nei decenni a venire. 25 1.10 Il mistero del soldato Peter Pan. I turisti che ogni giorno salgono sulla cima del Monte Grappa, dove il ricordo della guerra è rimasto intatto, possono visitare l’Ossario italiano e quello austrungarico. Entrambi sono a forma di colombario e contengono, nei loculi, i resti di più di 22.000 caduti, di cui solo poche centinaia sono stati identificati. Nel Sacrario italiano è collocata anche la salma del generale Giardino, comandante supremo dell’Armata del Grappa; sulla sommità si può visitare la cappella della Madonna del Grappa, la cui statua, prima situata vicino alla caserma Milano, venne danneggiata da una granata durante un attacco nemico, poi restaurata e fatta trasportare in treno attraverso la penisola tra i saluti della folla festante, infine collocata nell’attuale sacello sopra il Sacrario. Tomba del Generale Giardino nel l’Ossario italiano Ossario italiano a Cima Grappa. 26 Statua della Madonna del Grappa Partendo dal Sacrario italiano e percorrendo i 300 metri della via Eroica, ai lati della quale sono situati i cippi che riportano i nomi delle vette su cui si sono combattute le battaglie decisive della Grande Guerra, si raggiunge prima l’Osservatorio italiano, poi l’adiacente Sacrario austrungarico; lì tra i loculi dei caduti nemici, si trova quello contenente i resti del soldato ungherese Peter Pan, al cui nome è legata una leggenda. Ormai nella seconda metà del 1918 le forze austro-tedesche andavano incontro ad un crescente processo di logoramento: i tedeschi tentarono senza successo l’ultimo sforzo offensivo sul fronte occidentale, così gli austrungarici, privati dell’appoggio dei tedeschi sul fronte italiano, videro fallire gli ultimi sforzi offensivi, cominciarono a sentire la stanchezza, l’esaurirsi delle forze ed una progressiva disgregazione interna costrinse i 27 . generali, nell’ultima fase, ad arruolare giovani e giovanissimi, anche soldati già provati da ferimenti, povera gente mandata allo sbaraglio. Ma i propositi di mantenere intatto un Impero vacillante tra una miriade di nazionalità diverse si frantumarono, portando alla rinascita dei popoli d’Europa. Come tanti giovani della sua età il soldato ungherese Peter Pan fu arruolato nell’ esercito austrungarico, tra le fila del 30° Reggimento Fanteria Honved, 7 ° Compagnia ed inviato al fronte, tra le valli di Vicenza e Asiago, a combattere per una causa non sua e con tanta nostalgia per il suo Via Eroica, ai lati della quali i cippi riportano i nomi delle vette dove si svolsero le principali battaglie paese lontano. Peter era figlio di una ragazza madre che lo ebbe ad appena 18 anni, Maria Pan, il 21 agosto del 1887. Prese il nome dalla madre,perchè il padre non potè riconoscerlo per motivi di carriera militare; proveniva da un lontano paesino Ossario austrungarico dell’Ungheria RuszkabànyaKrassò-Szorèny, che ora è sparito dalla carta geografica, ma è stato individuato con l’attuale Rusca Montana, oggi non più in territorio ungherese, ma in Romania, in una regione situata nella parte sudoccidentale del Paese, lungo il confine con lo Stato magiaro. 28 Lo scoppio di una granata a Col Caprile pose fine alla sua giovane vita il 19 settembre del 1918; un fiore, un sassolino, una conchiglia furono le tre sole cose che i barellieri della Croce Rossa trovarono nelle sue tasche, quando andarono a raccogliere il suo corpo, insieme a quello di altri cinque compagni. Il nome fiabesco Peter Pan, ci rievoca quel bambino che non voleva crescere, ma che volava per combattere "Capitan Uncino"; ci riporta con la fantasia nel mondo dell’"Isola che non c'è", al personaggio della fiaba dello scozzese James Matthew Barrie, che non ha solo il nome in comune col giovane fante, ma tra i due esistono altre strane e affascinanti analogie. Infatti il personaggio di Peter Pan di Barrie venne creato nel 1887, lo stesso anno di nascita del soldato ungherese; nella fiaba Peter Pan vive nell'”isola che non c'è” e del Peter Pan soldato si scopre che il suo paese non esiste più nelle carte geografiche più dettagliate; la capra, amica inseparabile del Peter Pan fantastico, ci riporta alla realtà del Massiccio del Grappa, al Col Caprile a quota 1331, una cima che guarda alla Valsugana e la Valle delle Capre, dove Peter morì; infine quel Capitan Uncino contro il quale i ragazzo volante combatte potrebbe rappresentare un generale nemico o un connazionale che impone impietosi ordini. Da molti anni sul loculo 107 del cimitero austrungarico ogni giorno qualcuno depone fiori, sassolini e conchiglie, che ogni mattina i custodi tolgono, per rispettare l’uguaglianza di tutti i caduti, ma l’indomani li ritrovano puntualmente; neppure Ferdinando Celi che scrisse un libro, in cui narra la storia del giovane fante, fa luce sul mistero di quelle mani pietose. “Sì”, spiega Celi, “è un mistero anche per i soldati preposti a controllare e a ripulire giornalmente l'Ossario. Perché se è vero che turisti e gente comune spesso si fermano davanti all'iscrizione di bronzo, nessuno sa dire di chi sia la mano sconosciuta che, nei giorni d'inverno, quando non si 29 vede anima viva aggirarsi per l'Ossario, depone fiori di campo, sassolini e conchiglie sulla tomba del soldato Peter Pan”. Loculo del soldato ungherese Peter Pan 30 Il fronte interno nella Grande Guerra 1.1 Definizione di fronte interno………………………..pag.3 1.2 La mobilitazione di massa…………………………..pag.6 1.3 Il ruolo delle donne nella guerra…………………...pag.9 1.4 Il mondo alla rovescia………………………………..pag.11 1.5 Le madri di tutti………………………………………..pag.13 1.6 Ernestina Bittanti Battisti……………………………pag.15 1.7 Infermiere e crocerossine…………………………...pag.16 1.8 La protesta sociale……………………………………pag.18 1.9 La guerra dei bambini………………………………..pag.22 1.10 Il mistero del soldato Peter Pan……………………pag.26 31 BIBLIOGRAFIA Antonio Gibelli, La Grande Guerra degli italiani. Biblioteca la Grande Guerra, 2009. David Stevenson, La Grande Guerra, una Storia globale, Biblioteca la Grande Guerra, 2009. Ferdinando Celi, Soldato Peter Pan, La Serenissima, 2005. A.A.V.V., L’invasione del Grappa, Gino Rossato Editore, 1993. A.A.V.V., La guerra in casa, Veneto-1915-18. E. Schiavon, L’interventismo femminile nella Grande Guerra, “ Italia contemporanea”, n. 234, 2004. 32