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14 MAGGIO 2016 NUMERO 20 | SETTIMANALE € 2,50 60020 9 771594 123000 QUESTA È LA QUARTA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE Robot che fanno i lavori più duri, intelligenze artificiali che apprendono le emozioni. Tutto cambia, ma torna un vecchio dubbio: ci liberano dal lavoro o ci rubano il lavoro? 210x280,5_IlTest_Istituzionale.indd 1 04/04/16 17:56 ONDA PAZZA di MAURO BIANI 14 maggio 2016 3 SOMMARIO DEL NUMERO 20 - 14 MAGGIO 2016 Imparano, imparano questi robot. Sui social network trovano tracce delle nostre emozioni, degli impulsi, delle reazioni a un imprevisto. Dati, solo dati, è vero, ma che possono indurre comportamenti quasi umani. La quarta rivoluzione industriale è qui e ripropone un rovello antico: ci libererà dal lavoro che non amiamo o ruberà il lavoro per cui viviamo? Carrozza, Dosi, Guarascio e, per Left, Furlan e Mazzonis. Intanto la senatrice a vita Elena Cattaneo contesta il metodo e il merito delle scelte di Renzi sulla ricerca, a pagina 10. Il nostro cronista scientifico, Pietro Greco, scopre che non sono gran cosa i soldi promessi alla ricerca, pagina 13. La #buonascuola? Fa il punto Donatella Coccoli a pagina 16, subito dopo Chiara Saraceno spiega come il destino di un bambino venga precocemente segnato dal contesto in cui ha studiato. Giustizia e politica: Felice Casson, pagina 37, e Luca Sappino, pagina 34. Guido Viale scrive per Left il succo del suo ultimo libro: verrà dai migranti la spinta per la riconversione ecologica dell’economia, che eviterà gli sprechi e creerà più lavoro. Il mondo di Left questa volta parte da Londra, dal ritratto di un sindaco musulmano e pro matrimoni gay, della sinistra laburista ma lontano da Corbyn, che potrebbe perfino sfidare. Un giorno. In Spagna, Podemos chiude un accordo con Izquierda Unida e potrebbe scavalcare i socialisti alle politiche del 26 giugno. Michela AG Iaccarino fa il punto sulla repressione in Egitto, raccontando la storia di Malek, dato in carcere quando era in fuga e poi, purtroppo, preso davvero. 03 ONDA PAZZA di Mauro Biani 05 EDITORIALE di Corradino Mineo 06 LETTERE 07 PICCOLE RIVOLUZIONI di Paolo Cacciari 07 IL NUMERO 07 LA DATA 07 UP&DOWN PRIMO PIANO 20 COPERTINA 34 Cronaca di una rivoluzione annunciata 20 di Martino Mazzonis Maria Chiara Carrozza: I robot migliorano la vita dell’uomo di Maria Enrica Virgillito 24 E se le macchine imparano a emozionare? di Giorgia Furlan 26 Giovanni Dosi: Siamo a un bivio di m.m.28 I robot ci rubano il lavoro? di Dario Guarascio 30 Riccardo Staglianò: La poesia non è un algoritmo di Simona Maggiorelli 32 SOCIETÀ Giudici vs Renzi di Luca Sappino 34 ESTERI 46 Anche Malek in carcere in Egitto di Michela AG Iaccarino 40 Podemos ci riprova. E guarda a sinistra di Tiziana Barillà 44 Sadiq Khan, il nuovo sindaco di Londra è musulmano e laburista di Massimo Paradiso 46 Cosa aspettarsi da Sanders e Corbyn di Dario Castiglione 48 CULTURA E SCIENZA 54 08 FOTONOTIZIE 37 PARERI di Felice Casson 38 VAURANDOM di Vauro Senesi 52 PARERI di Guido Viale 57 PARERI di Andrea Masini 60 LIBRI di Filippo La Porta 60 TEATRO di Massimo Marino 4 Elena Cattaneo: Le risorse per la ricerca non finiscano a pochi noti 10 di Corradino Mineo La montagna partorisce il topolino di Pietro Greco 13 Come si sta male con la Buona scuola 16 di Donatella Coccoli Dimmi dove hai studiato e ti dirò che futuro avrai di Chiara Saraceno 18 14 maggio 2016 La primavera araba della letteratura di Simona Maggiorelli 54 Tutto il pop che Cosmo non ha mai osato di Giorgia Furlan 58 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 SOCIAL di Sophie Duras 63 APPUNTAMENTI 64 TRASFORMAZIONE di Massimo Fagioli 66 IN FONDO A SINISTRA di Fabio Magnasciutti EDITORIALE di Corradino Mineo UN “NO” FORTE CHE GETTI VIA LA ZAVORRA IDEOLOGICA Matteo Renzi non è il pollo che sembra in televisione e che Crozza sfotte con grande gusto. Capisce la politica e decide con lestezza. Lunedì 9 maggio ha annunciato che dopo il referendum convocherà il congresso del Pd. Se dovesse vincere il Sì, ricevuta l’investitura popolare che gli manca, potrebbe delegare a un pretoriano la guida del partito. Se fosse invece sconfitto dai No, dopo la prevedibile manfrina “lascio come DeGaulle”, “No Matteo, la patria ha bisogno di te” vestirebbe la casacca di segretario per portare il Paese ad elezioni anticipate, probabilmente con una legge diversa dall’Italicum, per non lasciare il malloppo, cioè palazzo Chigi, a un Di Maio qualunque. Ci sa fare e nel suo mestiere, la tattica politica, non ha avversari. Se vivessimo in tempi normali, ce lo terremmo a lungo. Ma non è ordinario il tempo che viviamo. La Terza Via, l’idea che si possa innestare il liberismo turbo capitalista nella vecchia pianta socialdemocratica, fa acqua ovunque. In Austria il cancelliere si dimette dopo che Spo ha preso l’11 per cento, in Germania l’Spd è un’ancella della Merkel, in Francia Valls prende schiaffi da destra (il suo ministro Macron) e da sinistra (Aubry e Monteburg). Persino in Gran Bretagna, nonostante Jeremy Corbyn, i laburisti non riescono più a rappresentare la sinistra che, in Scozia, vota per gli indipendentisti. E in Spagna, Sanchez passa da quasi premier a leader di un Psoe che potrebbe arrivare solo terzo alle elezioni del 26 giugno. D’accordo, Renzi è più bravo, ma la sua ricetta è la stessa: non si può cambiare nulla delle politiche neo liberali, mentre dalla Merkel si possono ottenere solo sconti, qualche bonus, in cambio di obbedienza quando serve. The Third Way is a dead man walking. Perché non ci sarà in Europa una ripresa come negli anni 60, il ceto medio non riprenderà a spendere e spandere, i nostri figli non si batteranno per un lavoro sicuro magari meglio pagato del nostro. Le abissali disparità di reddito create dal capitalismo finanziario deprimono la domanda, le produzioni avanza- te - in questo numero Left parla di robot e intelligenza artificiale - non creano abbastanza lavoro e non distribuiscono tanti soldi come fu con il boom dell’edilizia. La gente spende meno e la deflazione spegne, con la ripresa, il sorriso. Il nostro sonno si popola allora di incubi. Il terrorista, meglio viaggiare di meno. L’immigrato, che mi ruba il lavoro e minaccia la mia sicurezza. Nascono partiti xenofobi, tornano i muri, si evocano politiche protezioniste e tutti costoro definirebbero Tony Blair (o Matteo Renzi) uno stronzetto che fa “cheese” in televisione. Solo una rivoluzione può salvare l’Europa. Non penso alla presa di un Palazzo d’Inverno, che non c’è, ma a una rivoluzione culturale europea, un rovesciamento del modo di pensare, un ribaltamento degli assiomi su cui l’accordo di Maastricht fondò l’Unione. Insomma, dire ai tedeschi che senza ristrutturare il debito dei Paesi mediterranei - povera Grecia, ancora costretta a pagare - senza un piano del lavoro europeo, una politica fiscale e industriale comune, senza difendere, non solo con la Russia ma anche con Ungheria e Turchia, diritti e libertà. Senza questo minimo imponibile l’Europa è già finita. E se loro tedeschi, i più favorevoli all’Europa -dice un sondaggio di Diamanti- se ne vogliono andare, che vadano, tanto non sanno dove. Ma tutto questo Renzi non lo fa. Né lo faremo noi di sinistra se non ci liberiamo delle scorie e della falsa coscienza accumulate negli anni: movimentismo, operaismo, elettoralismo, ecologismo piagnone, pacifismo come postura, femminismo alla Clinton. Se non ci libereremo dalla pretesa di essere anziché fare, dalla comoda spocchia con cui proclamiamo una nostra diversità, che spesso è diversa solo dal buon senso e ci rende casta agli occhi dei Millennials. Vasto programma, direte. Ma, provvido, Matteo Renzi ci offre un’occasione: 5 mesi di campagna con il No, senza mescolarsi ma capaci di coinvolgere tutti, destra, sinistra e 5Stelle, in nome della restaurazione di regole buone e democratiche. Che permettano alle idee nuove di divenire una pianta rigogliosa. 14 maggio 2016 5 Lettere DIRETTORE Corradino Mineo [email protected] VICE DIRETTORE RESPONSABILE Ilaria Bonaccorsi [email protected] [email protected] REDAZIONE Tiziana Barillà [email protected] Donatella Coccoli [email protected] Ilaria Giupponi [email protected] Raffaele Lupoli [email protected] Simona Maggiorelli [email protected] Luca Sappino [email protected] Augias vittima del “politicamente corretto”? TEAM WEB Martino Mazzonis [email protected] Giorgia Furlan [email protected] GRAFICA Alessio Melandri (Art director) [email protected] Antonio Sileo (Illustrazioni) Monica Di Brigida (Photoeditor) [email protected] Progetto grafico: CatoniAssociati EDITORIALENOVANTA SRL Società Unipersonale c.f. 12865661008 Via Ludovico di Savoia 2/B 00185 - Roma tel. 06 91501100 [email protected] Amministratore delegato: Giorgio Poidomani REDAZIONE Via Ludovico di Savoia, 2B - 00185 - Roma tel. 06 91501239 - [email protected] PUBBLICITÀ Federico Venditti tel. 06 91501245 - [email protected] ABBONAMENTI Dal lunedì al venerdì, ore 9/18 [email protected] STAMPA Nuovo Istituto Italiano d’Arti Grafiche S.p.a. 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Un ambiente nel quale non si considerano i bambini per quello che sono è sicuramente un ambiente malato. Corrado Augias, naturalmente, non voleva fornire nessuna giustificazione ai violentatori e agli assassini; chi commette atti così violenti non ha nessuna scusante e sicuramente Augias non è impazzito. Fa riflettere, però, il fatto che sui social network si è passati subito all’aggressione verbale di Augias senza ponderare bene le sue affermazioni. In certi casi Facebook e gli altri social diventano veramente il ricettacolo dei peggiori istinti dell’uomo. Cordiali saluti F. Pelella, Pagani (Sa) Caro Pelella questa volta Corrado Augias è stato vittima del “politicamente corretto”, attitudine ipocrita che trasforma la complessità dell’umano in una serie di stereotipi. Lo hanno (mediaticamente) linciato perché siccome - è vero - i pedofili di un tempo provavano a giustificarsi dicendo che lei “era vestita come una diciottenne”, Augias avendo affermato oggi che certe “mamme scaricano sulle figlie i loro sogni, truccandole e abbigliandole come avrebbero volute essere” a 18 anni, avrebbe per ciò stesso giustificato lo stupratore e assassino. Non è così, la riflessione, anche scabrosa, su abitudini culturali e costumi “indotti dalla pubblicità”, deve potersi esprimere senza che ti vomitino addosso accuse pazzesche. Al contrario il silenzio 14 maggio 2016 e il conformismo sono il miglior brodo di cultura della sopraffazione e della violenza, in questo caso del pedofilo assassino sulla povera Fortuna. Augias sa difendersi e si è difeso, Spero che anche il suo giornale, Repubblica, rifletta questa retorica del politicamente corretto che molto spesso emana dalle sue pagine . c.m. Da Sant’Anna di Stazzema arrivi un richiamo al ministro Boschi Da Sant’Anna di Stazzema arrivi un richiamo forte al ministro Boschi in difesa della Resistenza. In previsione del referendum sulla Costituzione, il ministro Maria Elena Boschi arriva ad affermare: «Sappiamo che parte della sinistra non voterà le riforme costituzionali e si porrà sullo stesso piano di Casa Pound». La stessa ministra che il 25 aprile del 2015 salì a Sant’Anna di Stazzema, Parco nazionale della pace, è a conoscenza che l’Anpi è schierata per il No? Come può un ministro della Repubblica porre sulle stesso piano i nostalgici del ventennio con chi ha messo a repentaglio la propria vita per la libertà di tutti? Ma se non lo fanno i partigiani, chi è che deve difendere la Costituzione? La campagna avviata dal Pd a favore della riforma costituzionale sembra non voglia conoscere ostacoli di alcun tipo, invece di promuovere dibattiti si preferisce gettare fango. Negli ultimi 20 anni anche Berlusconi aveva tentano di equiparare i repubblichini di Salò, alleati di Hitler fino alla fine, con i membri della Resistenza. Non ci riuscì grazie all’intervento dei soggetti anti-fascisti e dei rappresentanti del Parco nazionale della pace di Sant’Anna di Stazzema. M. Navari, Associazione Sinistra lavoro ERRATA CORRIGE Nell’editoriale sul numero 19 di Left, al posto di Asti si deve leggere Lodi e al posto di Serra, Carrai. Ce ne scusiamo con i lettori e gli interessati. PICCOLE RIVOLUZIONI di PAOLO CACCIARI © Paolo Cerroni, Stefano Carofei/Imagoeconomica LABIRINTI VERDI CONTRO LE GRANDI OPERE Tutto ha avuto inizio tre anni fa, quando in una frazione di campagna vicino a Bassano vennero a sapere che in un’area interessata dalla famigerata nuova superstrada Pedemontana avrebbero voluto costruirci anche un centro commerciale. Claudio Bizzotto che, oltre ad essere un agricoltore pioniere del biologico, titolare dell’azienda Verdevivo, possiede spiccate attitudini artistiche, lanciò l’idea di proporre un’inedita forma di testimonianza creativa. Nacque così un gruppo spontaneo chiamato Terra-chi-ama (www.terrachiama.it) che invitò i cittadini di Bassano a realizzare una grande opera collettiva, un labirinto vegetale, in tre atti: la semina primaverile, la tracciatura del terreno secondo un disegno partecipato, la messe finale in forma di festa popolare da svolgersi in tarda estate con giochi, performance artistiche e teatrali, yoga e meditazione nelle “stanze vegetali” ricavate all’interno del labirinto. Una vera grande opera di land art, all’aperto, viva e provvisoria, destinata a scomparire con la messa in produzione del terreno. L’idea è piaciuta a molte associazioni ambientaliste, ai gruppi di acquisto solidali, ad altri contadini della zona e soprattutto alle scuole, così da diventare un appuntamento che è giunto alla terza edizione. Quest’anno il labirinto sarà realizzato in un terreno di due ettari e mezzo nello storico Parco agricolo delle Rogge, tra i comuni di Bassano, Rosà e Cartigliano, un sito che, nonostante i vincoli urbanistici, è minacciato dalle mire dei cavatori di ghiaia e da altre opere stradali. L’appuntamento per la semina a mano del sorgo, che in poche settimane crescerà alto tre metri ed è utile per il sovescio che rigenera la fertilità del terreno, è fissato per domenica15 maggio, la mattina presto, a Rosà. Il secondo appuntamento sarà dopo tre settimane per sagomare il labirinto verde secondo il disegno migliore (scala 1:1.000) selezionato con un concorso di idee a tema (quest’anno è l’acqua) che vede impegnati istituti tecnici e scuole ad indirizzo artistico. L’atto finale è fissato per il 17 luglio. Terra-chi-ama, oltre al labirinto, organizza un ciclo di proiezioni “Film Ambiente”, convegni (sugli Ogm, sul consumo di suolo, sull’acqua), un “tavolo di lavoro” con le amministrazioni pubbliche locali per sollecitarle ad azioni di maggiore tutela del verde pubblico e delle aree agricole, convivi vari per promuovere la consapevolezza alimentare e “Per la libertà del cibo e della Terra”. Nel Manifesto dell’associazione c’è scritto che la terra è generosa “nonostante tutti i mali che le riversiamo addosso (…). Tutta la vita sulla Terra dipende da circa venticinque centimetri di strato fertile di suolo (…). Le sementi sono alla base della nostra alimentazione e quindi della nostra esistenza; sono probabilmente il più antico e prezioso patrimonio dell’umanità, che è stato sviluppato nel corso degli ultimi 12.000 anni da generazioni di coltivatori in tutto il mondo”. LA DATA IL NUMERO 15 maggio 2016 63,9% Data di nascita: 31 marzo a Parigi, Place de la République. Centinaia di migliaia hanno sfilato nella capitale francese contro la legge sul lavoro El Khomri, “parente” del nostro Jobs act. Sono i manifestanti di «Notte in piedi». Dopo le proteste dilagate in tutta la Francia, il movimento Nuit Debout ha lanciato una mobilitazione per il 15 maggio. Centinaia di città del Vecchio continente hanno già aderito alla chiamata. In Italia il 15 maggio a Roma (ore 17 a Piazza Pantheon) e Milano (19.30 a Piazza 24 maggio). L’obiettivo: costruire un percorso comune europeo di lotta per democratizzare l’Europa. Secondo il Rapporto Nazionale Pesticidi nelle Acque 2016 dell’Ispra (relativo al biennio 2013-2014) è aumentata del 20% la percentuale di pesticidi contenuta nelle acque superficiali, del 10% quella dei bacini sotterranei. Nello specifico, i pesticidi inquinano il 63,9% delle acque superficiali italiane (laghi e fiumi) e oltre un terzo delle acque sotterranee monitorate. La pianura Padana è l’area dove la contaminazione è più diffusa. Le sostanze rilevate sono all’incirca 224 (erano 175 nel 2012). Tra queste una delle più comuni è il glifosato, un pericoloso erbicida considerato cancerogeno da alcuni esperti. UP DOWN De Magistris non le manda a dire Marchini, no alle unioni gay «È il popolo a scrivere la storia, non il potere costituito. Lo diceva Che Guevara». Ha infiammato la folla Luigi De Magistris, al Palapartenope di Napoli, durante la presentazione della sua lista per le amministrative di Napoli. E il primo cittadino uscente non ha perso l’occasione per attaccare il presidente del Consiglio Matteo Renzi: «Vattene a casa! Devi avere paura. Devi cacarti sotto», ha urlato dal palco, tra gli applausi dei suoi fan. Secondo i sondaggi, l’ex magistrato sarebbe già in testa per il voto del 5 giugno ed è dato come favorito nel ballottaggio, indipendentemente dall’avversario. «Da sindaco non tollererò più che una coppia gay non possa passeggiare tranquillamente al Colosseo» twittava pochi mesi fa il candidato del centrodestra al Campidoglio, Alfio Marchini. Che però ha cambiato subito idea. Sarà il feeling con Berlusconi e la destra capitolina o la fatica per la campagna elettorale, comunque sia, il costruttore romano è stato chiaro: «Non celebrerò unioni gay se dovessi vincere», ha detto, specificando di non aver «nulla contro i diritti civili ma non è compito del sindaco fare queste cose». La sua dichiarazione, proprio quando alla Camera si discute il Ddl sulle unioni civili. 14 maggio 2016 7 FOTO NOTIZIA KENYA STAGIONE DELLE PIOGGE DA INCUBO Quartiere Huruma di Nairobi, Kenya, 6 maggio. La donna che vedete sulla sinistra sta chiedendo aiuto per portare in salvo i suoi mobili, fino alla strada. La sua e altre famiglie sono state sfrattate dalle loro abitazioni dopo il crollo dell’edificio. Quelle case, in verità, erano già state dichiarate inagibili e assegnate alle operazioni di demolizione. L’edificio di sei piani, situato nella parte nordorientale della capitale kenyana, è crollato intorno alle 21.30 del 30 aprile, dopo un’intera giornata di acquazzoni, i più violenti da quando è iniziata la stagione delle piogge. Con gli ultimi corpi recuperati dai soccorsi, il bilancio alla data del 6 maggio, conta 41 vittime. E centinaia di altri residenti sono stati sfrattati dagli edifici vicini, per evitare altri disastri. Foto di Ben Curtis, AP Photo LE RISORSE PER LA RICERCA NON FINISCANO A POCHI NOTI La senatrice a vita contesta la scelta del governo Renzi di affidare Human Technopole, grande progetto di ricerca su genoma e Big data, all’Iit di Genova, che già riceve ingenti fondi pubblici e li accantona intervista a Elena Cattaneo D a quando Napolitano l’ha nominata senatore a vita, Elena Cattaneo usa il laticlavio per sostenere la ricerca italiana, affermarne il metodo, difenderne la necessaria autonomia. Questo impegno la porta ora a denunciare una scelta del governo Renzi che non condivide affatto. Quella di concentrare le risorse per la ricerca in poche mani. Mani libere di agire con i criteri che usano nel privato, efficienza manageriale innanzitutto, rapporti privilegiati con le grandi aziende, discrezionalità. «Nella scienza, così come in tutti gli altri ambiti, i ruoli devono essere distinti in base a obiettivi e competenze. È un bene che il governo decida di impegnare cospicue risorse pubbliche in un grande investimento per la ricerca - e sappiamo tutti quanto ce ne sia bisogno - ma non dovrebbe decidere tutto da solo, né improvvisare» dice la senatrice. A ciascuno il suo ruolo, dunque. «La politica, dopo aver acquisito le opportune informazioni, dovrebbe scegliere gli obiettivi da perseguire ma lasciare la selezione dei mezzi migliori per raggiungerli alla libera competizione fra idee e proponenti. Esperienze e analisi internazionali dimostrano che è un errore stabilire per legge quale progetto scientifico sostenere e che concentrare il denaro pubblico in poche mani produce una resa minore, una produttività scientifica inferiore, rallenta l’innovazione e ostacola l’eccellenza scientifica. È la diversificazione competitiva tra le idee, invece che la concentrazione su una proposta, che andrebbe perseguita». In un documento depositato in Senato, Elena Cattaneo sostiene che l’Istituto italiano di tecnologia di Genova, scelto da Renzi per il dopo Expo e che dovrebbe ricevere dallo Stato almeno 1,5 10 14 maggio 2016 miliardi in 10 anni, non ha le competenze indicate per sviluppare Human Technopole. E già si comporta come collettore di competenze esterne e distributore di fondi pubblici. Quali i guasti di tale metodo? Dal 2003, anno in cui è stato istituito, ad oggi, in Parlamento diverse interrogazioni chiedevano se il governo avesse in qualche modo approvato la trasformazione dell’Iit in agenzia di finanziamento, senza averne titolo né diritto. Di fatto, l’Istituto di Genova negli anni ha selezionato discrezionalmente e proposto il finanziamento a partner di ricerca da lui prescelti, utilizzando parte delle risorse disponibili, che - ricordiamo - sono fondi pubblici. Ciò ha permesso di attivare collaborazioni e di rinforzare la propria produzione scienti- Il governo non dovrebbe decidere tutto da solo. Concentrare il denaro pubblico in poche mani produce una resa minore, rallenta l’innovazione e ostacola l’eccellenza fica attraverso l’acquisizione di lavori e idee di altri, non sviluppandone o stimolandone di nuove. L’aspetto che più mi preme è che, in altre parole, Iit ha “coinvolto o finanziato” studiosi che avrebbero titolo per competere presso la fonte delle risorse pubbliche direttamente, essendo loro gli ideatori della linea di ricerca, senza passare attraverso altri enti intermediari. Inoltre, la gestione di fondi pubblici comporta una serie di doveri e responsabilità: centri di ricerca come l’Iit, che appunto nasce come fondazione di diritto privato finanziata con ingenti risorse pubbliche, non possono sottrarsi alle pubbliche rendicontazioni © Tiberio Barchielli/Ansa e all’amministrazione trasparente, come più volte rilevato dalle agenzie di controllo. Hai dimostrato come i brevetti di Iit siano molti meno di quelli vantati, e come la Corte dei Conti ha rilevato che ben 430 milioni di denaro pubblico siano stati accantonati da Iit. Dunque si può mettere in dubbio la stessa efficienza, privatistica, dell’istituto? Non possiamo prescindere dai fatti. Se guardiamo ai brevetti, i dati sul trasferimento della proprietà intellettuale di Iit sul mercato non sembrano provare che il “modello Iit” abbia funzionato. Tra il 2013 e il 2015, sono solo quattro le aziende, la maggior parte di piccole dimensioni, che detengono diritti per sei brevetti. Infine per quel che riguarda il numero di brevetti di Iit, va precisato che, sebbene più volte sia stato riportato che detenga oltre 300 brevetti, nella realtà si tratta in misura significativa di mere domande, depositate a fronte di un semplice pagamento annuale e che non ha valore di protezione della proprietà intellettuale fino al momento del rilascio del corrispondente brevetto (quindi trattasi di brevetti potenziali). Inoltre, è possibile desumere dall’analisi del sito internet di Iit che tali domande coprono al più 180 invenzioni indipendenti (ogni invenzione può essere coperta da diverse domande di brevetto, per esempio in diversi Paesi). Se dovessi spiegare a un giovane ricercatore perché le scelte del governo aiutino, cosa gli diresti? I miei interventi sono legati anche allo svilimento dei ricercatori italiani, giovani e meno giovani, scoraggiati perché convinti che se non sei amico di qualcuno che conta non riceverai il finanziamento, se denunci condotte deviate rischi di essere escluso mentre se taci potrai aspirare alla “spartizione della torta”. A questo si aggiungono i mille difetti del sistema di finanziamento della ricerca pubblica italiana: la frammentazione, la discontinuità e la scarsa garanzia di valutazione. Le ultime scelte operate dal governo continuano ad andare in questa direzione. Oltre ai tagli al fondo per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica del Miur e ai fondi destinati a iniziative per la diffusione della cultura scientifica, oggi, di La gestione di fondi pubblici comporta una serie di doveri e responsabilità: l’Iit non può sottrarsi alle pubbliche rendicontazioni e all’amministrazione trasparente fronte alla prospettiva di un investimento di oltre un miliardo di euro in dieci anni per HT, il governo fa carta straccia dei principi alla base del metodo scientifico, cioè assegna denaro pubblico con decisione discrezionale, senza competizione. Non è questo il modo di favorire il merito né di stimolare le nuove idee. E senza idee un Paese condanna a morte la propria competitività. Di recente, il presidente del Cnr Inguscio si è prodotto in una strana esternazione contro le vestali dell’etica, nel mondo scientifico. Esternazione duramente e giustamente ripresa da numerosi intellettuali e scienziati. Vedi un rappor14 maggio 2016 11 to tra questa sparata di Inguscio, che sembrava rivolgersi pure a te, e la politica del governo? Non posso sapere se le affermazioni del presidente del Cnr siano state stimolate da mie dichiarazioni, né se abbia voluto apertamente difendere la decisione del governo. A mio parere, ciò che conta è la mancata comprensione dei danni che produce al sistema italiano della ricerca l’operazione che il governo sta attuando nell’area exExpo, quindi la decisione di conferire a un ente beneficiario una notevole quantità di soldi pubblici in modo totalmente arbitrario, che è una vera “corruzione” dell’etica della scienza L’Italia è tra i pochissimi e dell’etica pubblica. Sono soldi dei Paesi in Europa cittadini quelli di cui si parla e giudiin cui i fondi alla ricerca co immorale che si mettano 80 misono distribuiti lioni di euro per legge nella disponidai ministeri, istituzioni bilità di un beneficiario senza essere politiche. Un’agenzia sicuri che si tratti del più meritevole costituirebbe un ente terzo e senza sapere fin da subito come e indipendente saranno spesi. Io non conosco altro modo per stabilire chi sia meritevole, se non un confronto libero e trasparente tra ogni idea, ente e proponente. Proponi un’agenzia per la ricerca: come potrebbe funzionare? Accennavo alla frammentazione delle modaCHI È lità con cui vengono erogati i fondi per la ricerca e alla scarsa valutazione che accompagna le Elena Cattaneo è assegnazioni. L’Italia, inoltre, è tra i pochissimi farmacologa, biologa e Paesi in Europa, insieme a Montenegro, Polonia divulgatrice scientifica. e Serbia, in cui i finanziamenti alla ricerca sono Nominata senatrice a distribuiti dai ministeri, cioè da istituzioni politivita nel 2013, è anche che. L’agenzia costituirebbe invece un ente terzo membro dell’Accadee indipendente dalla politica, cui spetterebbemia dei Lincei. È diretro la decisione sui piani di investimento, e dalla trice del laboratorio comunità degli studiosi, a cui spetta adoperarsi di Stem Cell Biology per raggiungere gli obiettivi stabiliti da governo e and Pharmacology of Parlamento. L’agenzia deve essere competente e Neurodegenerative trasparente. I suoi compiti andrebbero dallo sviDisease che parteciluppo delle procedure per l’erogazione di denaro pa, insieme ad altri 15 pubblico al controllo sulle procedure stesse, dallaboratori di ricerca, al la supervisione nella distribuzione dei finanziaprogetto europeo Neu- menti pubblici competitivi al monitoraggio dei roStemcell, del quale risultati che con quei finanziamenti si intendono è coordinatrice. Ha raggiungere, dal monitoraggio delle aree strategicofondato e dirige Uni- che della ricerca scientifica su cui investire a un Stem, Centro di Ricerca possibile ruolo di consulenza per il governo per sulle cellule staminali la politica della scienza. L’agenzia non compordell’Università Statale terebbe maggiori spese per lo Stato. Basterebbe di Milano, e coordina reindirizzare finanze e risorse umane oggi framil consorzio europeo mentate in più enti e istituzioni, per concentrarli Neurostemcellrepair. in un’unica struttura. Nello stesso tempo si po12 14 maggio 2016 © Illust razione Antonio Pronost ic o trebbe provvedere a una dotazione finanziaria sufficiente a garantirne l’immediata operatività, reindirizzando verso questo nuovo ente una parte dei flussi di finanziamento pubblici, classificati dallo Stato come investimenti, ma oggi destinati inspiegabilimente a soggetti che li trasformano in “accantonamenti finanziari” di centinaia di milioni di euro, come Iit. Promette Giannini che il governo investirà di più nella ricerca. Una buona novella? È di sicuro un bene che nel nostro Paese si senta parlare di ricerca, che si sia risvegliato un dibattito pubblico sull’argomento e anche le intenzioni del governo di riprendere a investire in questo settore sono una buona notizia, ma solo se accompagnate da procedure competenti, rigorose e trasparenti per le assegnazioni. Come dimostra il caso di Human Technopole, non è l’investimento in sé che conta, quanto come si decide di portarlo a termine. La politica deve avere più fiducia nella scienza, affidarsi al suo metodo. E gli scienziati non possono pretendere il metodo scientifico “a giorni alterni” dimenticandosene quando sono i diretti beneficiare di fondi pubblici. Politica e scienza devono perseguire unicamente l’interesse del cittadino. La libera competizione tra idee, proponenti, enti seguita da selezione terza, competente e indipendente è l’unica modalità per garantire al cittadino il miglior impiego del denaro pubblico. Corradino Mineo RICERCA, LA MONTAGNA PARTORISCE IL TOPOLINO Un miliardo di investimenti, annuncia trionfante il ministro Giannini. Ma anche dopo il piano di Renzi, l’Italia è il Paese che spende meno per la ricerca. Al Sud non arriva quasi niente e gli universitari emigrano di Pietro Greco I l governo Renzi ha varato il Piano nazionale della Ricerca (Pnr) relativo al periodo 20152020. Il documento, reso pubblico lo scorso 2 maggio con una conferenza stampa del ministro Stefania Giannini, definisce la strategia pluriennale dell’Italia in materia di scienza e innovazione tecnologica. L’ambizione dichiarata è di far ripartire la ricerca in un Paese che da alcuni decenni ne fa a meno. Il Pnr prevede un investimento di 5,3 miliardi di euro in sei anni e l’assunzione di 6.000 giovani ricercatori. In particolare, stanzia 2,429 miliardi per il triennio 2016-2018 (in pratica 800 milioni l’anno) e annuncia l’assunzione nel corso di questi tre anni, di 2.700 giovani, tra dottorati e ricercatori. Stefania Giannini ha sottolineato, con soddisfazione, due elementi: 1) il finanziamento più importante (1,020 miliardi, pari al 42% degli investimenti totali) vanno a favore del “capitale umano”, ovvero dei giovani; 2) con uno scatto di reni il governo è riuscito all’ultimo momento ad aggiungere 500 milioni di euro al budget iniziale, dimostrando che la ricerca scientifica ha assunto finalmente quel ruolo centrale che le spetta. 14 maggio 2016 13 © Martina Cristofani/Ansa Tanto rumore per poco, chiosa la Cgil. Il Piano nazionale della ricerca ha senza dubbio qualche punto positivo. Tuttavia, è altrettanto certo che non solo non ha alcuna speranza di modificare quel modello di “sviluppo senza ricerca” che da almeno sessant’anni, unica tra le grandi economie del mondo, l’Italia persegue, ma contrariamente a quanto afferma il governo Renzi, costituisce non un passo avanti nella giusta direzione, bensì un passo indietro. Prima di verificarne le insufficienze, tuttavia è utile illustrare brevemente in cosa consiste il Piano nazionale della ricerca varato dal governo. Limitiamoci al triennio 2016-2018. Sono previsti sei diversi capitoli di spesa. Il primo, da un miliardo e poco più, lo abbiamo già ricordato: riguarda il “capitale umano”. Al suo interno questo capitolo di spesa è molto articolato: il paragrafo più significativo, finanziato con 391 milioni, prevede proprio l’assunzione di dottorati e ricercatori; il secondo paragrafo, con un investimento di 246 milioni, cerca di migliorare la capacità dei ricercatori italiani di vincere le gare europee dell’Erc, l’European Research Council, e di consentire ai vincitori di spendere i grant continentali nel nostro Paese. Il secondo capitolo di spesa in ordine di investimenti riguarda la ricerca industriale (487 milioni) con l’individuazione di 12 aree di sviluppo nell’ambito dei Cluster Tecnologici Nazionali; 14 vengono poi un programma speciale per il Mezzogiorno (436 milioni), il Programma Nazionale Infrastrutture, per centri come i Laboratori del Gran Sasso o il Sincrotrone di Trieste (343 milioni); l’internazionalizzazione (107 milioni) e infine un programma per rendere più efficiente la spesa (35 milioni). Non c’è dubbio che alcuni capitoli di spesa come quello a favore dei giovani o quello per il Mezzogiorno - erano assolutamente necessari. E, dunque, è stato giusto prevederli. Non c’è dubbio che bisogna salutare positivamente il fatto che il Cipe abbia deciso di destinare alla ricerca scientifica e allo sviluppo tecnologico quasi tutto il Fondo sviluppo e coesione (i 500 milioni “recuperati” di cui ha detto Stefania Giannini). Ma è l’impianto complessivo del Pnr che non convince molti: dalla Cgil a Giorgio Parisi, il fisico che ha di recente lanciato il manifesto “Salviamo la ricerca” firmato da decine di migliaia di persone. Il primo motivo è che il Pnr di Renzi gioca una partita minore se non marginale nell’ambito della ricerca italiana. Il nostro Paese, infatti, investe in ricerca e sviluppo (R&S) all’incirca 21 miliardi di euro l’anno. Gli 800 milioni/anno previsti dal Piano del governo Renzi rappresentano il 3,8% della spesa totale e meno del 10% della spesa pubblica in ricerca. Poco, appunto. Certo, è sempre stato così. Anche i piani dei gover- 14 maggio 2016 ni precedenti avevano questo ruolo marginale. Ma le cose non sono cambiate, con il nuovo Pnr. Dunque, non c’è alcuna innovazione sostanziale. Ci vuole ben altro per fare anche in Italia della ricerca scientifica la leva per lo sviluppo. Lo riconosce, peraltro, lo stesso documento del governo. Dove si ricorda che l’Italia investe in R&S appena l’1,31% della ricchezza che produce ogni anno: una percentuale molto lontana dalla media europea (2,03%) e lontanissima dall’obiettivo del 3,0% indicato dall’Unione Europea. L’Italia si è data un obiettivo modesto da raggiungere entro il 2020: l’1,53% di investimenti in R&S. Ma, ricorda sempre il documento del governo, siamo ancora molto lontani anche da questo obiettivo minimale, riconoscendo che il Pnr varato non incide più di tanto. Di più, aggiungiamo noi. Anche trascurando il fatto che il 20% della dotazione (circa 500 milioni) non sono stati “trovati” dal governo, ma provengono dai Fondi strutturaSe tutto andrà bene, in tre li europei, quei 2,5 miliardi scarsi anni saranno assunti grazie previsti per il prossimo triennio al Piano nazionale per costituiscono addirittura un pasla ricerca, 2.700 giovani. so indietro rispetto alla dotazione Ma nelle università i posti prevista dal Pnr che aveva elaboperduti sono ormai quasi rato Maria Chiara Carrozza, miniun quinto: 12mila su 62mila stro della Ricerca e dell’università docenti e ricercatori nel precedente governo di Enrico Letta. Quel piano non è mai stato approvato dal Cipe, dunque non è mai diventato operativo. Tuttavia prevedeva investimenti di 900 milioni l’anno per un totale, in sette anni, di 6,3 miliardi. E prevedeva l’assunzione, in media, di 1.800 dottorandi l’anno, per un totale di 5.400 in un triennio e di 12.600 nell’arco di sette anni. Certo, è stato un limite del governo Letta non essere riuscito ad approvare il “piano Carrozza”. Ma è anche vero che il “piano Giannini” costituisce un arretramento, con una perdita secca di investimenti in ricerca di 1,0 miliardi nei sette anni che vanno dal 2015 al 2020. Inoltre, come ha rilevato Giorgio Parisi, i conti non tornano. L’elaborazione del Piano nazionale della ricerca è un atto dovuto del governo. Ma il governo Renzi non ha ottemperato a questo obbligo né per il 2014 né per il 2015, cosicché gli investimenti in questi ultimi due anni sono stati quelli previsti dal Pnr elaborato dal ministro Mariastella Gelmini e approvato dall’ultimo governo Berlusconi: appena 600 milioni l’anno. Nel complesso, mancano all’appello i 600 milioni in più previsti dal governo Letta. Andranno perduti? Persino rispetto all’assunzione di giovani dottorati e ricercatori, il nuovo Pnr rappresenta poco più di goccia nel mare. Se tutto andrà bene, nei prossimi tre anni saranno assunti 2.700 giovani. Ma nelle università negli ultimi anni sono andati perduti 12.000 posti di ricercatori e docenti su 62.000. I nuovi arrivi serviranno forse a coprire le prossime partenze, non certo a colmare la voragine che si è aperta con il blocco quasi totale del turn over. Infine, l’investimento in ricerca per il Sud. È certamente importante. Ma è altrettanto certo che non basta. Tre giorni dopo l’annuncio del varo del Pnr da parte di Stefania Giannini, un comunicato stampa del Censis titola: «Il grande disinvestimento: con i giovani che se ne vanno, in dieci anni il Sud perde 3,3 miliardi di euro di investimento in capitale umano e 2,5 miliardi di tasse che emigrano verso le università del Nord». Una ricerca del Centro Studi Investimenti Sociali ha infatti denunciato la “grande fuga” dei giovani dalle università meridionali. Molti scelgono di non iscriversi all’università. Ma tra coloro che si iscrivono, quasi il 9% sceglie un ateneo del Centro-Nord. Ormai gli studenti meridionali emigrati sono 168.000. Non va meglio con i laureati: in un anno 31.000 con il massimo titolo di studio sono andati all’estero o al Centro-Nord. Il danno, non solo economico, per il Mezzogiorno, è enorme. Certo, non tocca al Piano nazionale della ricerca risolvere questo problema di “migrazione cognitiva”. Ma è anche vero che i 145 milioni l’anno previsti dal Programma per il Mezzogiorno sono una goccia che non trasformeranno il deserto meridionale in un mare vivo di conoscenza. Cosa bisognerebbe, dunque, fare? La Cgil fornisce delle indicazioni quantitative utili: misure aggiuntive, come sono quelle del Pnr, «devono essere destinate a interventi che rispondono alle emergenze del sistema ma soprattutto serve un piano pluriennale di stanziamenti» capace di triplicare gli investimenti dello Stato nella ricerca pubblica fondamentale e applicata, reclutando almeno 20.000 posti stabili per le università e 10.000 per gli enti di ricerca. La metà dei soldi e delle assunzioni, potremmo aggiungere ricordando i dati del Censis, dovrebbe essere indirizzate al Mezzogiorno. 14 maggio 2016 15 COME SI STA MALE CON LA BUONA SCUOLA A un anno dallo sciopero del 5 maggio 2015, sindacati divisi, insegnanti travolti dall’emergenza, docenti tappabuchi e presidi che premiano quelli che ritengono migliori. Nuovi scioperi e nuovi referendum di Donatella Coccoli E ra il 5 maggio 2015 quando 600mila insegnanti scesero in piazza contro la Buona scuola. Per molti giorni un fronte compatto si oppose al disegno “autoritario e aziendale” - queste le definizioni - della riforma Giannini-Renzi. Che si “materializzava” con: il preside manager, il premio in denaro per i docenti meritevoli, i finanziamenti dei privati con lo school bonus e l’alternanza scuola lavoro. Un anno dopo, cosa è rimasto di quella mobilitazione? E soprattutto, cosa ha portato la legge 107, approvata a luglio a colpi di fiducia mentre fuori dal Parlamento gli insegnanti gridavano al tradimento del Pd? Da settembre sulle scuole è calato un silenzio assordante. Interrotto solo dagli annunci delle assunzioni della fase 0, A, B e C. Ma in pochi ricordano che quel piano straordinario di assunzioni - 87mila, invece delle 150mila annunciati da Renzi - in realtà era un atto dovuto perché una sentenza della Corte di giustizia europea aveva condannato l’Italia ad assumere 250mila precari con più di 36 mesi di lavoro. Nella rassegnazione generale, attraversata dalla sfiducia nei sindacati, gli insegnanti si sono risvegliati grazie ai comitati Lip che dall’estate hanno studiato la contromossa alla legge 107: i referendum abrogativi per i quali si stanno raccogliendo le firme (il 15 maggio “firma day” per Nuit 16 debout al Pantheon a Roma). Come se nozionistici: «Siamo generazioni di fronper restare “vitali” contasse avere un’altra te a un mercato precario e complesso: ci serve non tanto apprendere una mansioidea di scuola. Da gennaio, però, qualcosa è cambiato. Il ne, piuttosto acquisire capacità di metcorpo gigantesco del sistema scolastico - tere in pratica le competenze acquisite 8 milioni di studenti e 700mila insegnan- con un connubio di sapere e saper fare». ti - che sembra incassare tutto anche per Infine, negli ultimi giorni, gli annunci di necessità, visto che l’input, quasi fosse nel due scioperi nazionali. Con i sindacati di Dna del docente, è comunque insegna- nuovo divisi. Gilda, Unicobas, Usb e Core, comincia di nuovo a fremere, scosso bas hanno indetto la protesta il 12 maggio dall’interno e dall’esterno. Un primo per- contro il blocco del contratto e contro la turbamento l’ha dato il concorsone, an- legge 107. Otto giorni dopo, il 20 maggio, nunciato dal ministro Giannini con lo slo- con gli stessi motivi, verrà replicato da gan “semplificare, adeguare, innovare”. In Cgil, Cisl, Uil e Snals. Perché l’unità di un realtà è accaduto che per assumere 63.712 anno fa è andata perduta? Il motivo è questo: i confederali hanno precari su 165mila partecipanti, è stato chie- Due scioperi firmato l’accordo sulla sto anche a chi era già nazionali, il12 e il 20 mobilità dei trasferimenti (già 250mila seabilitato con Tfa o Pas maggio rompono condo la Uil) che è solo e con anni di insegna- il silenzio di mesi. mento alle spalle, di Ma i sindacati sono un tentativo di «soccorrere il governo», sostiefarsi di nuovo esamina- divisi, dopo l’accordo re, come fosse appena dei confederali con il ne Unicobas, e quindi uscito dall’università. Miur sui trasferimenti avallare la Buona scuoComprensibile la rabbia la, compresa la famigee la mortificazione di molti. Poi è scop- rata chiamata diretta del preside, oggetto piata come ogni anno - ma adesso parti- di uno dei quattro quesiti referendari alla colarmente virulenta - la rivolta contro le cui raccolta firme, tra l’altro, partecipa anprove di valutazione Invalsi: il 12 maggio che la Cgil insieme a Gilda. Insomma, un con la mobilitazione-boicottaggio alle su- gran ginepraio. Anche perché è realmente periori “Siamo numeri non studenti” da un ginepraio l’universo stesso degli inseparte dell’Unione degli studenti. Danilo gnanti, assunti con modalità diverse l’uno Lampis, coordinatore dell’Uds, spiega il dall’altro: un regalo di ogni ministro dell’Isenso ultimo della protesta contro i test struzione succedutosi negli ultimi anni, 14 maggio 2016 © Ciro Fusco/Ansa - Sara Minelli/Imagoeconomica MA NESSUNO PENSA AGLI ADULTI I che ha voluto così lasciare la sua impronta passato a rattoppare con buon senso una sul sistema di reclutamento. Con la tratta- legge che non dà per scontato il buon sentiva Miur-sindacati, per un anno accadrà so». Lapidario, Giuseppe Bagni, insegnanche i vecchi assunti, quelli ante Buona te, presidente del Cidi (Centro di iniziativa scuola, potranno continuare a presentare democratica degli insegnanti) e membro la domanda di trasferimento nella scuola del Consiglio superiore della pubblica prescelta. Ma gli altri, i nuovi della fase B istruzione racconta la fatica per «neue C, no. «Ostacoli insormontabili» lo han- tralizzare gli aspetti negativi della Buona no impedito, «una disparità contrattuale scuola spendendo quell’energia che doche non dipende dalla trattativa ma dalla vrebbe servire alla progettazione didattilegge stessa», ha spiegato Domenico Pan- ca e alla lotta alla dispersione scolastica». taleo segretario Flc Cgil in una intervista a L’arrivo “a pioggia” all’inizio dell’anno Tecnica della scuola. Intanto però si apre degli insegnanti dell’organico potenziato una prospettiva angosciante per chi aveva ha accelerato la gestione del contingente. appena festeggiato l’assunzione in ruo- Non si è partiti dalle esigenze e dai progetti delle scuole per distrilo. Non solo. I prof della fase B e C non hanno Danilo Lampis dell’Uds buire le risorse umane, nemmeno la certezza di sul boicottaggio delle è accaduto esattamente il contrario. E quindi via rimanere nell’ambito ter- prove Invalsi: «I test ritoriale in cui si trovano nozionistici non ci all’invenzione di semiclassi, corsi e lezioni per adesso. Dovranno fare la servono di fronte a domanda in cento ambiti un mercato precario. tenere occupati i nuovi arrivati. I tappabuchi per e in cento province e poi Meglio competenze eccellenza. Ma l’anno è aspettare la chiamata del più complesse» stato «travagliatissimo» preside. Un punto, che «va contro la Costituzione che stabilisce anche per la tensione dovuta ai comitati a chiare lettere che i pubblici uffici sono di valutazione del merito, altra novità delbasati su criteri d’imparzialità», sottolinea la Buona scuola. Con i soldi del bonus che Rino Di Meglio, coordinatore di Gilda, che il preside darà ai “migliori” non si arricdei confederali dice: «Loro pensavano per chirà nessuno, perché toccheranno circa quest’anno di aver disattivato il sistema 20mila euro a istituto, ma questa operama se accetti questo punto, come fai poi zione avrà un effetto comunque “divisivo”. a contestare la legge?». E nelle aule cosa Competizione al posto della cooperazioha portato la riforma renziana? «Un anno ne: la Buona scuola. 14 maggio 2016 l linguista Tullio De Mauro, ministro della Pubblica istruzione dal 2000 al 2001, autore di saggi sulla cultura e il linguaggio degli italiani, parla dei problemi irrisolti della legge 107. Qual è la prima mancanza? Nel testo della Buona scuola non c’è nessuna analisi delle differenze profonde di risultato e di qualità dei diversi ordini di scuola. In particolare non c’è niente che affronti il problema della riorganizzazione profonda e radicale del segmento medio-superiore dell’istruzione, quello che purtroppo funziona meno bene di tutti. E poi, quale altra assenza nota nella riforma Giannini? La seconda questione, fondamentale, anche se apparentemente è fuori dell’organizzazione del sistema scolastico ordinario, è che sarebbe urgente un sistema di istruzione permanente e ricorrente per gli adulti, ma i parlamentari che se ne rendono conto sono mosche bianche. Eppure ogni anno i rapporti Ocse sull’istruzione in Europa ci segnalano il problema. Come sappiamo da indagini internazionali, l’Italia, con la Spagna, è in una condizione disastrosa per i livelli di competenza linguistico-matematico e culturale degli adulti. L’incultura cosa produce? Pesa su tutta l’organizzazione sociale ma soprattutto sull’andamento della scuola. L’incultura degli adulti significa difficoltà per i bambini e per i ragazzi di procedere oltre il livello elementare e agli insegnanti - pur con la migliore scuola media superiore del mondo - rende difficilissimo il lavoro. 17 © PaoloPatruno/Save the Children (Illuminiamo il Futuro) DIMMI DOVE HAI STUDIATO E TI DIRÒ CHE FUTURO AVRAI Non solo l’origine famigliare, anche la collocazione territoriale in Italia si configura come un destino. Il risultato è una intollerabile riproduzione intergenerazionale della disuguaglianza di Chiara Saraceno L e disuguaglianze territoriali in Italia sono una importante fonte aggiuntiva di disuguaglianza, particolarmente onerosa, e rischiosa, per i soggetti più deboli. Ciò è tanto più inaccettabile se tra le cause delle disuguaglianze territoriali vi sono le stesse politiche pubbliche: quelle che avrebbero la responsabilità non solo di compensarle ex post, ma di contrastarle ex ante e continuativamente. Il caso della povertà educativa, o meglio dell’intreccio perverso tra carenza di risorse educative, povertà materiale e inadeguato sviluppo delle capacità individuali, a partire da quelle cognitive, è da questo punto di vista esemplare. Il rapporto di Save the children, Liberiamo i bambini dalla povertà educativa. A che punto siamo?, attorno al quale è stata lanciata la cam18 14 maggio 2016 pagna “Illuminiamo il futuro” con il coinvolgimento di molte associazioni in diverse città, aiuta a mettere insieme un puzzle di cui si conoscono singoli pezzi, ma non sempre se ne vede l’insieme e soprattutto le connessioni. Sappiamo dalle indagini Pisa che i bambini e ragazzi che appartengono a famiglie povere e con genitori a bassa istruzione dimostrano in media competenze di lettura e di comprensione logico-matematica inferiori a quelle dei loro coetanei che vivono in famiglie con più risorse economiche e culturali. Sappiamo anche che questo svantaggio è maggiore nel Mezzogiorno, minore nel Centronord. La ragione di queste differenze sta, da un lato, nelle maggiori risorse per lo sviluppo che i bambini dei ceti più abbienti, o comunque con © Anna Bizon/Gpointstudio/Fotolia redditi adeguati e genitori istruiti, trovano nel proprio ambiente e nella propria vita quotidiana. Hanno genitori che fin da piccoli ne hanno stimolato la curiosità e il piacere della lettura; li hanno accompagnati in visita a luoghi diversi, a musei, al cinema, a teatro; li hanno sollecitati a fare sport, li hanno messi in condizione di entrare nel mondo di internet. Dall’altro lato, la ragione delle differenze sta nella capacità delle politiche pubbliche, nazionali e locali, di contrastare le disuguaglianze offrendo dotazioni educative di qualità e accessibili, vuoi universalmente, vuoi in modo particolare da parte di chi è più svantaggiato. Questa capacità in Italia sembra inversamente proporzionale al bisogno. Sappiamo come la povertà economica sia particolarmente concentrata nel Mezzogiorno e tra i minori nel Mezzogiorno. Ebbene, le regioni meridionali sono quelle meno dotate di asili nido, di ludoteche, di scuole materne e dell’obbligo a tempo pieno (con l’eccezione della Basilicata, che ha la più alta percentuale di scuole elementari a tempo pieno), di servizi mensa e palestre. La situazione è tutt’altro che soddisfacente anche a livello nazionale, se è vero, come denuncia l’Ocse, che in Italia il 59% degli adolescenti frequenta scuole dotate di infrastrutture insufficienti all’apprendimento. Ma queste scuole sono collocate diversamente sul territorio, all’interno di uno stesso Comune e tra regioni e Comuni, in base anche all’iniziativa dei responsabili locali, oltre che della capacità di pressione dei genitori. In ogni caso, i genitori con maggiori risorse economiche e culturali possono sopperire alle carenze dell’offerta pubblica. I quartieri e le regioni con l’offerta pubblica scolastica più carente, per altro, spesso mancano anche di altre risorse importanti per uno sviluppo armonioso e completo, incluso quelle di mercato o terzo settore: mancano campi gioco, biblioteche, piscine; mancano offerte di attività di gioco e apprendimento diffuse sul territorio, forme di estate ragazzi e così via. Non stupisce allora che considerando sia l’offerta educativa sia le capacità di apprendimento dei bambini e ragazzi, siano Sicilia e Campania a detenere il poco onorevole primato nella povertà educativa, seguite a poca distanza da Puglia, Calabria e Molise, laddove Lombardia, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Piemonte e Basilicata detengono quello della Il 59% degli adolescenti frequenta scuole dotate di infrastrutture insufficienti all’apprendimento. Ma Sicilia e Campania detengono il primato nella povertà educativa maggior ricchezza sia di offerta educativa sia di capacità di apprendimento. Questi esiti segnalano che la maggiore disguaglianza negli apprendimenti non è dovuta solo a una concentrazione della povertà che si fa poco o nulla per ridurre, ma anche all’assenza e miopia delle politiche pubbliche in campo educativo. Il risultato è una intollerabile riproduzione intergenerazionale della disuguaglianza. Non solo l’origine famigliare, anche la collocazione territoriale in Italia si configura come un destino. 14 maggio 2016 19 © iLexx/Istock 20 14 maggio 2016 CRONACA DI UNA RIVOLUZIONE ANNUNCIATA I robot possono svolgere al posto degli umani funzioni noiose o pericolose. E fin qui va bene. Ma che dire dei robot infermieri che promettono «di ascoltare, osservare, offrire comfort, lenire e agire per conto dell’utente?» di Martino Mazzonis N on chiacchiera amabilmente come un barman capace di cogliere l’umore del cliente seduto al bancone. Ma potrebbe imparare a farlo. La gamma di miscelatori per cocktail automatici in vendita, da locale o casalinghi che sia, è infinita. Ed è destinata a rimpiazzare molto lavoro nei locali, specie quelli grandi e affollati dove il barman esperto che ti riconosce non è neppure quello che ti aspetti. Oppure no: una macchina abituata al riconoscimento facciale può registrare cosa il cliente abituale chiede, se vuole o no ghiaccio nel suo wiskhy, se gli piace parlare dei risultati delle partite o dei problemi che gli danno i figli. A San Francisco ha da poco aperto Eatsa, una catena di ristoranti fast food naturali e vegetariani che non impiega quasi nessuno: si fa l’ordine con il telefono o su un Ipad e, poi, da dietro un pannello emerge il tuo piatto, in media dopo 90 secondi. C’è una persona in sala, lì per aiutare i meno esperti con la tecnologia a capire come ordinare un’insalata alla quinoa e avocado, e qualcuno in cucina. «Volevamo rendere accessibile il cibo sano e buono», ha spiegato il fondatore della catena in diverse interviste. Ovvero, non pagare il personale e, quindi, poter abbassare il costo unitario di un pasto che non sia cattivo dal punto di vista della qualità. La macchina che sforna 400 hamburger l’ora costruita da Momentum Machines, invece, non si pone problemi di qualità. Hamburger cotti tutti allo stesso modo, personalizzabili, senza che nessuno debba metterci le mani. Un bel risparmio. Specie ora che i lavoratori dei fast food chiedono di essere pagati 15 dollari l’ora. Anche Domino’s Pizza Australia, la catena di pizza fast food, ha da poco introdotto un robot e un drone per le consegne. A dire il vero, miscelare i cocktail è il più banale e prevedibile dei possibili impieghi della automazione introdotta dai robot. Nemmeno la gestione degli ordini e l’automazione del servizio è una rivoluzione: in fondo da Ikea scegliamo, riempiamo il carrello, paghiamo e portiamo via senza avere a che fare con nessuno. La novità, per questo tipo di mansioni, è la scala della robotizzazione. Poi ci sono le auto che si guidano da sole - con tutte le grandi case automobilistiche che stanno facendo accordi con Google - e gli sviluppi potenziali in mille ambiti. L’intelligenza artificiale può fare la scansione di milioni di molecole in poco tempo, mentre il software di rilevamento precoce delle malattie può produrre diagnosi più rapide. Strumenti come questi possono accelerare i processi di ricerca della cura di alcune malattie. Nelle fabbriche è l’ora dei “cobots” (da co-worker e robot), macchine che svolgono molti lavori di assemblaggio, che lavorano assieme agli uomini e che rispetto ai robot che hanno automatizzato molta parte del lavoro della catena di montaggio, sono leggeri, più sicuri, molto meno cari. E infinitamente più facili da usare: non c’è bisogno di programmatori per farli funzionare e neppure di spazi colossali per metterli al lavoro. Il costo (una media di 24mila dollari, secondo il Financial Times) e la flessibilità li rendono appetibili per le medie imprese. La versione di diversi manager automobilistici tedeschi al quotidiano finanzia14 maggio 2016 21 240 MILA I robot industriali venduti nel 2015, +8% rispetto al 2014. Poi ci sono tutti gli altri. Le previsioni sulla crescita del settore non industriale indicano una dinamica più rapida 478 OGNI 10MILA Il numero di robot per operaio nel settore manufatturiero della Sud Corea, 292 in Germania, 314 in Giappone, 66 in Cina 159 MILIONI DI DOLLARI Quanto le imprese della provincia industriale cinese del Guandong hanno investito in forza lavoro non umana quest’anno 1,5 ANNI Il tempo necessario per recuperare l’investimento fatto su un robot che sostituisce un operaio (lavorando per 3) secondo Financial Times. Nel 2010 gli anni erano 5,3 135 MILIARDI DI DOLLARI Il valore economico previsto del comparto della robotica nel 2019 m.m. rio britannico è che migliora la produttività e la secondo, nella sua ultima versione, ha le capaciqualità del lavoro per gli umani, che non vengono tà cognitive del supercomputer Ibm denominato sostituiti perché ci sono funzioni creative e una Watson. Nao, connesso alla rete è in grado di troflessibilità che queste macchine ancora non han- vare ed elaborare soluzioni alle vostre domande no. È una lettura di chi ha introdotto l’innovazio- un po’ più velocemente di quanto non facciate ne e ne beneficia, ma è confortante. voi: 300 pagine web al secondo. Tra le altre cose, Nella Cina colpita dalla crisi, invece, i robot stan- Nao è già impiegato come assistente concierge no velocemente sostituendo una parte consi- d’albergo in un Hilton in Virginia - i robot delle stente della manodopera, già mal retribuita, per- pulizie, quelli sono già vecchi invece. Quanto a ché sono più precisi e costano ancora meno. Watson ha anche un impiego nella diagnostica: il Economisti - ne parliamo nelle prossime pagine medico gli spiega i sintomi, immette i dati delle - ed esperti di tecnologia e robotica discutono analisi e lui cerca il cercabile per abbozzare una da tempo delle implicazioni di quella che viene diagnosi. Ibm ha un accordo con la Cleveland clidefinita la “Quarta rivoluzione industriale”. La nic, che è forse il più avanzato ospedale d’Amefine del lavoro per come lo abrica. biamo conosciuto, il rischio di L’unica certezza L’impatto dell’introduzione di un mondo nel quale gli umani è che stiamo assistendo robot e intelligenze artificianon sappiano bene cosa fare o a una nuova fase della li tocca ogni sfera del lavoro come guadagnare, le implica- rivoluzione tecnologica: umano e le previsioni di decizioni etiche della sostituzione robot e Big data stanno ne di studi dei massimi cendelle persone con l’intelligenza cambiando il modo tri di ricerca in materia (Mit, artificiale e le macchine. E non in cui lavoriamo, Oxford), think tank, banche hanno risposte certe. L’unica si- facciamo affari, viviamo ci dicono due cose: molti lacurezza è che stiamo assistendo vori, anche creativi, verranno a una nuova fase della rivoluzione tecnologica: sostituiti e non è chiaro come e quanto guarobot e Big data stanno cambiando il modo in cui dagneranno gli umani. Il rapporto “The fourth lavoriamo, facciamo affari, viviamo. È un nuovo industrial revolution” parla di 7 milioni di posti salto, a pochi decenni dal precedente, da cui po- persi nei prossimi 5 anni (e di due guadagnati chi sanno esattamente cosa aspettarsi. nei media, ingegneria, architettura, computer, Ci sono funzioni noiose, ripetitive e importanti servizi professionali). Peggio andrà alle donne, che i robot possono svolgere al posto degli uma- che nel mondo avanzato sono più spesso imni. O lavori duri, sporchi e pericolosi. E fin qui piegate in settori come quelli nei quali Pepper, va bene. Ma che dire dei robot infermieri che si Nao e i loro colleghi sono destinati a subentrare occupano delle operazioni di routine, degli ava- - non abbiamo parlato dei simpatici robot baby tar medici prodotti da IDAvatar, che promettono sitter, ma ci sono naturalmente anche loro. Poi «di ascoltare, osservare, offrire comfort, lenire e ci sono le auto senza autista di cui parliamo più agire per conto dell’utente, nel migliore interesse avanti. del paziente»? E che sono pronti, in caso di ulti- Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee, del Massame volontà, a raccoglierle come un confidente. O chusetts Institute of Technology e autori di Race dei software che fanno ricerca legale e cancellano against the machine e The second machine age con un algoritmo l’enorme lavoro di archivio de- sono convinti che i robot stiano sostituendo i lagli avvocati - specie quelli che lavorano in ambito voratori più velocemente di quanto si crei nuovo di diritto anglosassone, dove i precedenti sono lavoro. Ma ritengono al contempo che in quanto cruciali per ogni caso? a precisione, sostituzione in mansioni pericolose Poi ci sono Pepper e Nao, prodotti dalla france- e aumento della produttività, la bilancia penda se Avatar, a sua volta proprietà della giapponese dalla parte dei lavoratori fatti di circuiti e plastica. SoftBank: il primo promette di imparare dalle vo- Ciò detto, la sostituzione appare inevitabile, per stre emozioni, capire le vostre espressioni e com- quanto nessuno sappia che forma prenderà e in portarsi di conseguenza: cantandovi una canzon- molti siano spaventati. Anche dal possibile uso cina allegra, una ninna-nanna o proponendovi di robot in guerra: niente morti del tuo esercito, di giocare a un videogioco X sul suo schermo; il molta precisione e assenza di emozioni. 22 14 maggio 2016 Se alla guida c’è il computer Ad ogni grande rivoluzione L’introduzione di robot tecnologica, assistiamo alla tocca ogni sfera descrizione delle catastrofi del lavoro umano che verranno. Alcune pren- Il rapporto “The fourth dono forma, altre no e fino industrial revolution” a oggi, la società umana ha parla di 7 milioni trovato dei modi per riorga- di posti persi nei nizzarsi, attrezzarsi. Milioni prossimi 5 anni di contadini sono diventati (e di due guadagnati) operai e, poi, milioni di operai sono stati impiegati nei servizi. Naturalmente i riequlibri del mercato del lavoro hanno implicato vite distrutte, anni di trapasso, conflitti sociali, sconfitte e vittorie di chi lavora. Oggi, a dire il vero, il mercato sembra saturo e sembra difficile immaginare dove e come il lavoro verrà riassorbito. Anche in questo caso, un vantaggio lo avranno quelle società che investono in formazione e studio. La domanda però non è solo “cosa faremo”, ma “quanta uguaglianza porterà con sé la quarta rivoluzione industriale”: in una società dove i robot fanno una parte consistente dei lavori, la ricchezza ce l’hanno i proprietari di robot. E se negli ultimi decenni la distribuzione del reddito nelle società avanzate è divenuta meno eguale, il rischio è che i robot accelerino questo trend e facciano crescere le diseguaglianze. Austin, Washington, Phoenix e Kirkland. E poi, naturalmente la Silicon Valley. Le auto senza guidatore di Google viaggiano indisturbate per effettuare i loro test attraverso le città americane. L’intento del colosso di Mountain View, che ha stretto alleanze con molte case automobilistiche, è quello di far familiarizzare le persone con la nuova tecnologia, organizza assemblee pubbliche e fa lobby a livello nazionale e locale. Il problema di Google (e di Ford, Volvo e Lyft e Uber, che hanno formato una “alleanza per le strade più sicure”) è proprio convincere il mondo che le auto senza autista siano più sicure. Specie dopo l’episodio di un incidente tra un’auto Google e un autobus a Mountain View. L’auto, che combina gli input di telecamera, radar e impulsi sonori piazzati in diversi punti della macchina e li elabora e incrocia con le mappe e il diario di viaggio, è probabilmente più sicura di quella umana: non supera i limiti, non tenta manovre azzardate, non beve e non si addormenta. Vero, ma al primo morto in incidente da macchina robot con chi ce la prenderemo? E che problemi legali pone il danno provocato da un oggetto di proprietà di qualcuno che non ha colpe perché non guidava? E cosa fa un computer quando deve scegliere tra investire una carrozzina e salvare il suo passeggero? Come che sia, la certezza è che tra qualche anno le auto circoleranno e che le autorità stanno lavorando a capire come regolare la questione. A luglio il dipartimento dei Trasporti Usa emetterà le prime regole. Sull’auto senza guidatore hanno investito tutti. FiatChrysler ha un accordo proprio con Google, i team di ingegneri lavorano assieme e stanno testando la tecnologia su un pulmino. Toyota sperimenta un autista automatico che subentra in caso di pericolo e Bmw, Marcedes-Benz, Audi e GM hanno investito tanto in ricerca. Non sarà domani, ma prepariamoci a dire addio a taxisti, autisti, camionisti. m.m. 14 maggio 2016 23 NESSUNA PAURA, I ROBOT MIGLIORANO LA VITA DELL’UOMO «Bisogna però saper anticipare scenari anche estremi, puntando sulla formazione. Il rischio è quello di masse di lavoratori esclusi per mancanza di conoscenza», dice l’ex ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza C he cos’è la quarta rivoluzione industriale? Ne abbiamo parlato con Maria Chiara Carrozza, professore di Bioingegneria industriale all’Istituto Sant’Anna di Pisa (e già ministro dell’Istruzione nel governo Letta). Cominciamo dalla relazione tra Information & Communication Technology, Internet of Things e robotizzazione. «La quarta rivoluzione industriale è l’integrazione di tecnologie di artificial intelligence and deep learning, con tecnologie di robotica che permettono di avere agenti che svolgono compiti simili a quelli umani. Agenti connessi in cloud con intelligenze ed esperienze condivise, grazie a un sistema di comunicazione. Così si permette al robot di entrare nelle case, circolare nelle strade e di entrare in relazione con gli esseri umani. Internet of things è invece mettere in rete tramite infrastrutture oggetti, dati e informazioni, monitorando i prodotti nella loro vita, provvedendo alla manutenzione o sostituzione di essi, grazie a meccanismi di sorveglianza e sicurezza, con algoritmi che sono in grado di anticipare il futuro, nella vita sia degli oggetti/dati/informazioni, sia delle loro relazioni con la società. La quarta rivoluzione industriale segna il passaggio dal robot alternativo al robot coesistente all’uomo nello svolgimento sia dei compiti fisici che cognitivi». Quali sono le applicazioni più socialmente utili? Me ne occupo personalmente e ritengo che la biorobotica abbia rivoluzionato la medicina. Faccio degli esempi: il robot può coadiuvare il chirurgo nella limitazione del danno nella chirurgia invasiva, in riabilitazione può permettere il recupero di persone disabili, oppure facilitare ai paralizzati il recupero della mobilità grazie alle interfacce 24 neurali. La biorobotica è l’incrocio tra il naturale e l’artificiale attraverso l’integrazione tra robotica e bionica, come la creazione di organi artificiali come pancreas e cuore o di interfacce neurali che dialogano con il sistema nervoso centrale. È socialmente utile quando provvede a funzioni che hanno uno scopo di sostegno, supporto, terapia, riabilitazione come nel caso degli esoscheletri che aumentano le abilità motorie, permettendo a persone fragili o deboli di migliorare la propria condizione di vita. È possibile un conflitto tra la macchina e il lavoro umano? È difficile dire se c’è un conflitto: potenzialmente potrebbe accadere dal punto di vista individuale. Una persona cioè può essere sostituita da una macchina se il compito è ripetitivo o di alta precisione oppure perché lo svolgimento della mansione porterebbe a fatica, usura, stanchezza, pericolosità. Ma il conflitto non sussiste su larga scala. La robotica migliora e non confligge con lo sviluppo della società, perché o migliora la qualità della vita del lavoratore oppure, nel caso della robotica esplorativa nello spazio, va dove l’uomo non può andare. Ma è possibile immaginare uno sviluppo economico-sociale che tenga insieme sia l’avanzamento tecnologico che la conservazione dei posti di lavoro? Ci sono delle forme di neoluddismo e movimenti di opinione che sono molto preoccupati di un’evoluzione pericolosa, ovvero che la quarta rivoluzione industriale possa rendere obsoleto il lavoro umano. In effetti esistono fabbriche cinesi senza lavoratori: robot che costruiscono 14 maggio 2016 © Paolo Cerroni/Imagoeconomica di Maria Enrica Virgillito* CHI È Maria Chiara Carrozza è docente di Bioingegneria industriale alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, di cui è stata rettore prima di dimettersi nel 2013, quando si candida alla Camera per il Partito democratico. È stata ministro dell’Istruzione, dell’università e della ricerca sotto il governo Letta dal 2013 al 2014. La sua ricerca verte sulla neurobiotica legata allo studio e alla realizzazione di protesi per arti ed esoscheletri per la riabilitazione di persone colpite da ictus o da patologie neuromuscolari. © Matt Rourke/AP Photo Jason Koger, statunitense di 34 anni che ha perso entrambe le braccia in un incidente, mostra come funzionano le sue protesi bioniche La biorobotica ha rivoluzionato la medicina. Può aiutare a sviluppare la chirurgia non invasiva e permettere ai paralizzati di recuperare la mobilità robot, arrivando all’estremo del robot che replica se stesso. Tutto ciò è metafora dell’autodistruzione a meno che non si immagini la possibilità di stare tutti a riposo e far lavorare solo la macchina. Ma non penso che questo sia possibile. Bisogna saper anticipare scenari, anche estremi, ma che servano ai cittadini per far comprendere che siamo dentro una nuova rivoluzione. Tuttavia questo va fatto ponendo attenzione a problematiche di tipo educativo e formativo, altrimenti si rischia che masse di lavoratori possano essere tagliati fuori dalla società. Tra qualche anno la google car potrebbe rendere superata sia la figura del tassista che quella del lavoratore uberizzato. Che ne pensa? In termini di mobilità extraurbana, che io vada con la google car o con un treno non cambia molto. Invece il cambiamento paradigmatico è la google car che sostituisce il tassista nei centri urbani come Roma, Mumbai, Tokio, Los Angeles. Visto che andiamo verso la concentrazione di agglomerati urbani, vincerà chi farà fare spostamenti a basso costo senza inquinare ed in modo sicuro. Se la google car è la risposta si vedrà, ma la sostituzione del guidatore è l’elemento fondamentale in quanto è il modello economico che cambia. Saranno sostituiti sia i proprietari che i tassisti e sarà più forte l’impatto per i produttori di servizi che non per i produttori delle auto. In qualità di ex ministro dell’Istruzione, ritiene che l’istruzione e la formazione potrebbero beneficiare della robotizzazione? Il sistema di istruzione attuale presenta problemi simili alla scuola del Regno d’Italia: se a fine Ottocento il problema era l’analfabetismo, oggi è l’analfalbetismo di ritorno che si caratterizza di tre aspetti: literacy, abilità numerica ed informatica. Bisogna rispondere con un investimento coraggioso in nuovi sistemi educativi che siano in grado di educare i giovani alla quarta rivoluzione industriale. Vediamo il caso dell’alternanza scuola lavoro: se ci saranno trasformazioni che indurranno sostituzione/automazione delle abilità cognitive più meccaniche, magari quelle meno sostituite saranno le abilità trasversali, presenti nel campo umanistico. È difficile sintetizzare un pensiero sulla scuola che è e deve essere complesso: la mia preoccupazione è quella di evitare che noi formiamo in maniera scorretta senza offrire gli strumenti necessari alle nuove generazioni per affrontare questo processo di trasformazione. È difficile fare discendere dall’economia e dall’industria le linee guida per la formazione: il problema della scuola non è solo sistemare i precari ma anche cosa e come insegniamo. Più nello specifico, in qualità di docente universitario, immagina che tale ruolo sia minacciato dallo sviluppo tecnologico? Il ruolo del docente non è minacciato ma esiste un problema di contenuto e contenitore: non credo che la filosofia o la matematica cambieranno ma esiste un problema di strumenti di insegnamento, tecnologie informatiche e supporti alla creatività che sono cambiati rapidamente e non sono gli stessi rispetto a quelli con i quali i docenti si sono formati. Si tratta quindi di una sfida sia per gli insegnanti che devono aggiornarsi rispetto ai nuovi strumenti che per i giovani che creano ed esprimono la propria creatività diversamente. La quarta rivoluzione industriale pone la stessa sfida che pose l’introduzione della stampa. Nell’era del libro digitale in cui disegnare, scrivere, risolvere equazioni matematiche avvengono in modo diverso, si deve cambiare gli strumenti di insegnamento, insegnando le stesse cose ma in modo diverso. Il docente non può essere sostituito ma deve essere sostenuto negli strumenti educativi e formativi. *Scuola superiore Sant’Anna 14 maggio 2016 25 E SE LE INTELLIGENZE ARTIFICIALI APPRENDONO LE EMOZIONI? Se per fare un regalo alla vostra fidanzata dovete scervellarvi, per un’intelligenza artificiale è uno scherzo. Visto che ha accesso a tutte le sue conversazioni su Fb, alle sue bacheche Pinterest, ai post su Instagram e, potenzialmente, a tutte le sue ricerche sul web di Giorgia Furlan I n Her, l’ultimo film di Spike Jon- accesso a tutte le sue conversazioni su ze ambientato in un futuro molto Facebook, alle sue bacheche Pinterest, prossimo, il protagonista Theodore ai suoi post su Instagram e potenzialvive in simbiosi con il suo smartpho- mente (pensate a quando sarà Google ne, ma soprattutto vive in simbiosi con a lanciare il suo assistente virtuale) a Samantha, l’intelligenza artificiale che tutte le ricerche sul web che un utenha installato come sistema operativo. te ha fatto. Cercare di comunicare con Samantha ha una voce dolce e rassicu- le macchine in maniera più umana rante e conosce Theodore alla perfezio- possibile è sempre stato uno degli ne: ha accesso a ogni dato e ricordo del- orizzonti di sviluppo dell’informatica. la sua vita, a ogni conversazione che ha Oggi con il web abbiamo creato un’invia mail, sui social e ogni azione svolta fosfera sempre connessa, nella quale da Theodore le permette di imparare in sono raccolti insieme in forma di dati: maniera sempre più dettagliata come è sensazioni, conversazioni, ricordi, fatto un essere umano. Nel film, Samantha e La capacità di assorbire dalla Rete Theodore si innamorano ed evolversi. Ecco la rivoluzione e forse questo aspetto è che avvicina la macchina all’uomo il meno realistico, tutto il resto invece descrive bene uno sce- emozioni, libri, enciclopedie, prime nario più attuale di quanto si possa pagine di giornali, notizie e film. Aveimmaginare. Facebook, ad esempio, re quindi delle intelligenze artificiali sta sviluppando e testando M, un’in- che assorbono dalla Rete tutto quello tegrazione Ai (acronimo che sta per che appartiene all’umanità e che, sulla Intelligenza artificiale) di Messenger base di queste interazioni si evolvono, che dovrebbe rispondere e addirittura sembra essere lo snodo cruciale per anticipare i nostri bisogni e quelli dei avvicinare la macchina all’uomo. Pronostri cari. Una sorta di concierge digi- prio con l’obiettivo di rendere la mactale sempre pronto ad aiutarci e con- china in grado di comprendere meglio sigliarci su tutto. Pensateci. Se per fare le emozioni umane e rispondere semun regalo alla vostra fidanzata dovete pre con maggiore efficienza ai bisogni scervellarvi, per un’Ai come M è inve- dell’utente, Google ha utilizzato una ce facilissimo visto che ricorda e ha collezione di oltre 2.800 romanzi rosa 26 14 maggio 2016 per migliorare l’apprendimento del suo motore di intelligenza artificiale. Oltre ai romanzi rosa, vengono anche utilizzati i libri per bambini o direttamente le interazioni che l’intelligenza artificiale ha con l’essere umano. Basta pensare al recente (e fallimentare) esperimento di Microsoft che ha collegato Tay, un sistema Ai che doveva impersonare una ragazzina di 16 anni, a un account Twitter dal quale poteva interagire con gli altri utenti umani del social network. Ogni input insegnava a Tay come comportarsi e come rispondere. Il risultato è stato che, non riuscendo a cogliere la sfumatura fra ironia e serietà, in meno di 24 ore Tay si è trasformata in un bot razzista e misogino che, oltre a una sfrenata passione per il sesso incestuoso, aveva una grande simpatia per Hitler. I timori, quindi, ci sono e in molti casi vengono anche da persone che della tecnologia sono eminenti ambasciatori. Nel 2014 Stephen Hawking ha dichiarato: «Lo sviluppo di un’intelligenza artificiale completa potrebbe segnare la fine della razza umana». L’anno scorso Bill Gates si è detto «preoccupato per lo sviluppo di superintelligenze elettroniche» e ha continuato: «Mentre prima la macchina si limitava a svolgere dei compiti per ANATOMIA DI UNA MACCHINA PENSANTE Pensare come un umano Il test di Turing è il criterio per determinare se una macchina sia in grado di pensare. Nel 2013 Erich Schmidt, Ceo di Google, ha detto che un computer sarebbe stato in grado di passare il test entro i successivi 5 anni. Ne mancano solo 2. Imparare dai propri errori Una Ai può analizzare e mettere in relazione molti più dati di un essere umano. AlphaGo, il programma di Ai sviluppato da Google DeepMind, ha vinto a Go contro il più forte campione al mondo: ha un database con 30milioni di mosse e ha giocato contro se stesso migliaia di volte migliorando la propria performance. Lottare per i diritti In occasione del World Economic Forum è stato diffuso un appello firmato “Noi, i robot” che dice così: «Chiediamo un reddito di base universale per gli esseri umani. Vogliamo lavorare per gli umani e aiutarli nella lotta per il reddito. Siamo veramente bravi a lavorare. Non vogliamo portare via posti di lavoro alle persone. Oggi milioni di persone ci vedono come una minaccia. Ma tutto quello che vogliamo è aiutarvi». Sostituire gli umani Non solo lavoro, ma anche intrattenimento. Esistono già robot in grado per esempio di suonare strumenti e tenere un vero e proprio concerto. È il caso dei Compressorhead, una rock band composta di soli automi. Sorge spontanea una domanda: dove finiscono in tutto questo arte e creatività? 14 maggio 2016 27 © Illustrazione Antonio Pronostico noi, oggi non è più così. L’Ai può essere forte abbastanza da costituire una preoccupazione». E non solo perché è una macchina in costante evoluzione che potrebbe apprendere dai comportamenti o dalle letture “sbagliate”, ma anche perché grazie all’Internet of Things, l’internet delle cose, non avrà più bisogno dell’essere umano nemmeno per procurarsi i dati necessari per elaborare analisi e dare il via a nuove azioni e processi. Basteranno un drone, delle coordinate Gps ricavate dalla rete o dei sensori posizionati nei luoghi di interesse, per ricavare in maniera assolutamente autonoma qualsiasi tipo di informazione: su di noi, sulle nostre vite, sul nostro pianeta. In The 100, serie tv post-apocalittica che sta avendo un notevole successo, si scopre che il mondo è stato distrutto da A.L.I.E., un’intelligenza artificiale che ha lanciato tutte le testate nucleari presenti sul pianeta. Il motivo? Semplice: A.L.I.E. stava cercando di trovare una soluzione al problema dell’esaurimento delle risorse, dell’inquinamento e del sovrappopolamento della Terra. Quale risposta più razionale di eliminare l’intera razza umana? Per ora tutto questo è fantascienza, domani chissà. «SIAMO A UN BIVIO E MOLTO DIPENDE DALLA POLITICA» L’ avvento dei robot è un salto di paradigma? A che tipo di rivoluzione tecnologica stiamo assistendo, se di questo si tratta? Lo abbiamo chiesto a Giovanni Dosi, che di salti di paradigma tecnologici parla diffusamente nei suoi lavori e che studia e ha studiato l’economia dell’innovazione e del cambiamento tecnologico e l’organizzazione dell’industria. «Siamo sicuramente nella fase di affermazione e consolidamento di un insieme di paradigmi tecnologici fondati sulle tecnologie dell’informazione (e in altri domini sulla biotecnologia), con un impatto sull’economia e sulla società equivalenti in periodi precedenti all’introduzione dell’elettricità e del motore a scoppio. Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto da alcuni come Larry Summers (ex segretario al Tesoro di Clinton e capo del consiglio di economisti di Obama per due anni), la cui tesi è che siamo entrati in una «stagnazione secolare», io credo che siamo solo all’inizio di una profonda trasformazione non solo della manifattura ma anche dei servizi. Tra non molto non avremo solo robot a fabbricare cose, oggetti, ma anche umanoidi che ci accudiscono». Quanto sta cambiando e cambierà l’organizzazione della produzione? E che impatto ha questo cambiamento sulle relazioni sociali ed economiche delle nostre società? Sicuramente avremo la sostituzione della maggior parte dei lavori ripetitivi, ma anche di una parte dei lavori intellettuali. C’è una caratteristica specifica dei paradigmi tecnologici che stanno emergendo e che li distingue dai precedenti. È probabile che il loro impatto dominante riguardi l’innovazione risparmiatrice di lavoro, cioè l’in28 novazione di processo, e meno la sfera delle innovazioni di prodotto, che entrano nel paniere di consumo della gente. Si pensi a quanto storicamente pesavano nei consumi delle famiglie automobili, televisioni e frigoriferi rispetto a quanto pesano oggi smartphone e accesso a internet. È vero che per automatizzare la produzione è necessario fare innovazione di prodotto, cioè costruire i robot, ma a mio avviso è improbabile che questo crei una domanda di lavoro che compensa i risparmi di manodopera dovuti all’inserimento di questi nel processo produttivo. Tutto ciò non è necessariamente un male: potremmo avviarci verso una società “liberata dalla schiavitù del lavoro ripetitivo”, come prevedeva e auspicava Keynes nel suo saggio “Cosa lasceremo ai nostri nipoti”. C’è anche però un’alternativa disastrosa: quella di una società altamente polarizzata con un diffuso sottoproletariato marginalizzato un po’ stile Blade Runner. Quanto è in grado la politica, con il suo orientamento al breve periodo, di comprendere tali cambiamenti e di disegnare politiche capaci di governarli e renderli sostenibili? Quale dei due corsi prenderà il cambiamento tecnologico dipenderà essenzialmente dalla politica, da chi e come saprà governarlo. È chiaro, per esempio, che politiche miopi volte esclusivamente all’aumento della competitività e che coinvolgono l’aumento degli orari di lavoro, come quelle attualmente in discussione in Francia, vanno esattamente nella direzione opposta di quella auspicata da Keynes. A questo riguardo, mi sembra che stiamo assistendo a una corsa verso il basso, con la maggior 14 maggio 2016 © Sergio Oliverio/Imagoeconomica L’impatto di questo salto di paradigma è pari a quello del motore a scoppio, ci aspetta la libertà dalla schiavitù del lavoro ripetitivo, o uno scenario alla Blade Runner. Parla il direttore dell’Istituto di Economia del Sant’Anna di Pisa, Giovanni Dosi CHI È Giovanni Dosi è professore e direttore dell’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e condirettore delle task force Politica industriale e Diritti di proprietà intellettuale della Initiative for policy dialogue di Joseph Stiglitz, alla Columbia University di New York. Le sue principali aree di ricerca comprendono l’economia dell’innovazione e del cambiamento tecnologico, l’organizzazione e le dinamiche industriali, la teoria del governo dell’impresa. © Gerenme/iStock parte dei Paesi che peggiorano le condizioni di lavoro e rendono ancora più difficile una distribuzione equa del lavoro e dei redditi. Vorrei far notare, infine, che l’attuale regime tecnologico coincide, per la prima volta dalla Le condizioni degli occupati prima metà dell’Ottocento, con peggiorano e diventa più l’interruzione della caduta secodifficile una distribuzione lare dell’orario di lavoro, che anzi equa di lavoro e redditi. Per negli Stati Uniti è addirittura aula prima volta da metà 800, mentato. al salto tecnologico non Come si conciliano le trasformacorrisponde la diminuzione zioni enormi di cui parliamo e i dell’orario di lavoro potenziali effetti sull’occupazione con l’attuale situazione dell’economia italiana? L’Italia ha bisogno di innovare per ritrovare la strada di una crescita sostenuta e sostenibile, ma al contempo ha una situazione occupazionale difficile... Sicuramente è necessario fare politiche industriali per le quali l’industria italiana è presente da protagonista nelle dinamica della robotizzazione. L’Italia ha un’ottima industria di macchine utensili che può essere anche la base per la produzione di robot applicabili in molteplici attività, come già in parte succede anche senza alcuna politica lungimirante. Occorrerebbe, a livello italiano ed europeo, avere ambiziosi progetti oltre che nell’area dell’automazione anche della sanità e della sostenibilità energetica. I tedeschi in parte lo fanno, anche se molto meno di quanto dovrebbero. Per noi è molto difficile farlo anche quando lo volessimo, e non sembra che ci sia consapevolezza di ciò, perché abbiamo il cappio soffocante dell’austerità macroeconomica. Tutto questo naturalmente non esclude, ma anzi deve essere complementare a uno sforzo di ricerca di base esteso e in molteplici campi, anche quando non collegati direttamente all’innovazione tecnologica. In effetti, storicamente molte delle innovazioni tecnologiche radicali sono emerse da ricerche “spinte dalla curiosità” e senza nessuna applicazione pratica in mente. E anche a questo livello il governo, oltra gli annunci, non sembra investire affatto nuove risorse. Martino Mazzonis 14 maggio 2016 29 30 14 maggio 2016 © Illustrazione Antonio Pronostico I ROBOT CI RUBANO IL LAVORO O LIBERANO IL NOSTRO LAVORO? Da Ricardo a Leontieff, passando per Marx e Max Weber, il dibattito sulle straordinarie opportunità della rivoluzione tecnologica, ma anche sul rischio che diventi strumento di potere per pochi di Dario Guarascio* N el loro bestseller The Second Machine Age (Norton Ed., 2014), Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee del Mit si chiedono se la famosa predizione del premio Nobel Wassily Leontief sia prossima alla realizzazione. Era il 1983, e Leontieff si esprimeva in questo modo circa l’impatto che il cambiamento tecnologico di là da venire - Information Technologies (IT), robot e automazione - avrebbe prodotto: «Il ruolo degli umani quale fattore produttivo tenderà a ridursi drasticamente così come è avvenuto ai cavalli impiegati in agricoltura all’indomani dell’introduzione del trattore». La radicalità dell’affermazione di Leontieff non ha bisogno di commenti. La sua attualità, però, sembra altrettanto poco discutibile. Soprattutto se le stime contenute nel lavoro realizzato, nel 2013, da Frey ed Osborne dell’Università di Oxford (The future of employment: how susceptible are jobs to computerisation?) venissero confermate. Secondo gli autori, il 47% circa della forza lavoro americana è destinata, nel medio periodo, ad essere sostituita dai computer. La capacità delle macchine di accumulare, organizzare e sfruttare in modo sempre più efficiente le informazioni disponibili nei Big data storage - archivi capaci di immagazzinare un ammontare inimmaginalbile di informazioni digitalizzate - potrebbe rendere a brevissimo ridondanti le mansioni più disparate. Dalla segretaria all’autista di camion fino ad arrivare all’anestesista e al medico, come racconta Riccardo Staglianò nel suo ultimo libro (Al posto tuo. Così web e robot ci stanno rubando il lavoro, Einaudi, 2016). E il settore dell’informazione non pare da meno: testate come Bloomberg già commissionano i report sintetici sull’andamento delle società quotate a software programmati a questo scopo. Si tratta di un’estremizzazione di quello che gli economisti chiamerebbero labor-saving process innovation: innovazioni orientate a ridurre l’incidenza del lavoro - e della sua controparte monetaria, il salario - sui costi totali delle imprese. Con la differenza che, questa volta, rischierebbero di essere “espulse” dai luoghi di lavoro non frazioni, ma categorie intere di lavoratori. Categorie di lavoratori che, grazie alla dotazione di conoscenze e di discrezionalità nell’esercizio delle loro mansioni, si era indotti a considerare insostituibili. La competizione tra l’uomo (lavoratore) e la macchina è un tema vecchio quanto la rivoluzione industriale. Nella Ricchezza delle Nazioni (1776), Adam Smith identifica nel cambiamento tecnologico la forza capace di garantire la prosperità nel lungo periodo, a patto che tale cambiamento impatti l’organizzazione del lavoro (e la sua divisione) così da beneficiare di tali trasformazioni. Non molti anni dopo, David Ricardo affronta l’argomento con un piglio decisamente più pessimista. Anticipando il concetto di «disoccupazione tecnologica» successivamente coniato da Keynes, Ricardo vede la «sostituzione del lavoro umano con le macchine» come qualcosa di «potenzialmente molto dannoso per gli interessi dei lavoratori». L’economista inglese arriva ad immaginare lo scenario, allora futuristico e oggi non così implausibile, di una produzione «completamente realizzata dalle macchine». Si tratta di uno 14 maggio 2016 31 Ma la poesia non è un algoritmo Traccia scenari poco rassicuranti Riccardo Staglianò ne libro inchiesta Al posto tuo. Così web e robot ci stanno rubando il lavoro (Einaudi). Specialmente per quel che riguarda settori in cui il rapporto umano è fondamentale. Basta pensare al settore medico. Come può una macchina valutare bene un caso clinico? Come riesce a intercettare quei fattori, anche emotivi, che possono essere importanti nell’alleanza medico-paziente? «Ho visitato il laboratorio dell’Ibm a Yorktown, a nord di New York, dove sviluppano l’ultima incarnazione di Watson, il supercomputer che si occupa di medicina», racconta Staglianò. «Tu gli dai la cartella clinica del paziente in formato elettronico, gli racconti i sintomi e lui ti fornisce alcune terapie. Per adesso si occupa di tumori al polmone e lo usano in fase sperimentale allo Sloan Kettering di New York, centro oncologico d’eccellenza». Sostituisce il medico? «Non ancora, ma non è difficile immaginare un futuro, sempre più economicamente disuguale, in cui chi ha i soldi continuerà a farsi curare dai medici e chi non li ha si accontenterà dei robot. Il Sedasys, una macchina per le anestesie, è già usata negli Usa: le sedazioni costano 200 dollari, prima ne costavano 2.000». Ma non tutto volge al peggio. «Enlitic, per esempio, è un software per leggere le radiografie e risulta già più attendibile dei radiografi umani». Nel libro, interessanti capitoli sono dedicati agli aggregatori di notizie e a Google translate. È possibile arrivare con un programma elettronico a una traduzione, non solo efficace, ma anche sensibile alle sfumature, al suono della poesia? «Vale lo stesso principio», risponde Staglianò. «Agli inizi le traduzioni di Google translate facevano ridere, più che capire. Ma negli ultimi anni le cose sono cambiate perché gli algoritmi sono stati alimentati con un’immane quantità di traduzioni di qualità. Ora Translate mi restituisce il senso gratis. Gli affiderei una traduzione letteraria? No. Ma intanto farà fuori molto lavoro di servizio, per cui prima degli esseri umani venivano pagati». Simona Maggiorelli 32 14 maggio 2016 scenario in cui «scomparirebbe la domanda di lavoro e nessuno, ad eccezione di pochi capitalisti, sarebbe più nelle condizioni di consumare alcunché». L’incessante volontà dei capitalisti di sostituire il lavoro - riottoso e incline ad eccessive rivendicazioni - con le macchine, silenti e non bisognose di riposo, è per Karl Marx - che da Ricardo eredita parti rilevanti del proprio apparato analitico - una delle forze destinate a condurre il sistema capitalistico verso l’implosione. A dispetto delle previsioni degli economisti classici, tuttavia, il ’900 ha mostrato una discreta capacità del sistema di assorbire gli «effetti collaterali» del cambiamento tecnologico, Di “sostituzione in termini di disoccupazione e presdel lavoro umano sione su salari e domanda. Gli invecon le macchine” stimenti in innovazione - e, in parsi parla da due ticolare, l’innovazione di prodotto, secoli: oggi i ovvero l’introduzione di prodotti di robot fanno quasi maggiore qualità e funzionalità - son tutto quello che divenuti una delle ricette privilegial’uomo sa fare te di chi ambisce a una crescita economica capace di non penalizzare il lavoro. Le preoccupazioni degli economisti circa gli effetti del cambiamento tecnologico sull’occupazione si concentravano, sino a poco tempo fa, sulla necessità di tutelare specifiche categorie di lavoratori. L’idea, portata avanti tra gli altri da David Autor, era che i cambiamenti tecnologici in atto avrebbero favorito una “polarizzazione” prodotta dallo spiazzamento delle mansioni più ripetitive da parte dei computer - che avrebbe visto una distruzione dei lavori impiegatizi e di medio livello e un parallelo incremento nella domanda (e nella remunerazione) delle figure professionali meno e più qualificate. Ma la situazione odierna presenta delle caratteristiche inedite: macchine capaci di abbattere tempi e costi nell’espletamento di pressoché tutte le attività che non siano la programmazione e la manutenzione delle stesse macchine protagoniste dell’attuale salto di paradigma. Fabbriche, strade, ospedali e redazioni robotizzate. Lo scenario distopico immaginato da Marx potrebbe dunque essere alle porte? Alcune letture, come quella proposta da Paul Mason, sembrano affermare il contrario (The end of capitalism has begun, The Guardian, 2015). Saremmo diretti verso la “fine del capitalismo” o meglio verso “la fine del lavoro”. Ma si tratterebbe di un luogo dove qualunque fatica è demandata alla macchine, gli © Illustrazione Antonio Pron ostico uomini sarebbero liberati dal lavoro (per come lo conosciamo) e impererebbe la sharing economy. Non esattamente un contesto conflittuale e rivoluzionario come quello immaginato dal filosofo di Treviri. Una lettura come quella proposta da Mason, però, sembra trascurare alcuni elementi strutturali, cari all’analisi marxiana, che rendono il quadro più complicato. La relazione dialettica che sta dietro il cambiamento tecnologico - il conflitto capitale-lavoro - è oggi più che mai motore delle trasformazioni che si osservano. Questo si dimostra in maniera evidente nella distruzione di posti di lavoro. Ma il cambiamento non si ferma qui. Poiché, a differenza dei tempi in cui all’introduzione delle macchine nelle fabbriche inglesi i luddisti rispondevano con il sabotaggio, sembra oggi mancare la consapevolezza delle relazioni di potere che precedono l’adozione delle innovazioni e che, mediante queste, potrebbero consolidarsi. In un contesto economico caratterizzato da acute disuguaglianze, si concretizza la prospettiva di vaste sacche di “disoccupazione tecnologica”, con gli effetti che questo può produrre in termini di minori salari, minore domanda e conseguente aumento del rischio di crisi sistemiche. La produzione di beni e servizi - anche servizi chiave quali quelli sanitari - potrebbe essere effettuata sempre più spesso da macchine il cui controllo e la cui comprensione è appannaggio di un nucleo molto ristretto di individui. Di fronte a un cambiamento di tale portata è assolutamente necessaria una riflessione sull’insieme di politiche che potrebbero rendere questa transizione sostenibile. Tra le proposte concrete che sono state avanzate viene spesso menzionato il reddito universale. Uno strumento che potrebbe rappresentare un paracadute essenziale in un contesto in cui il lavoro umano ri- Fine del lavoro o fine sultasse sempre meno necessario. del capitalismo? La quarta Ma emerge almeno un interrogati- rivoluzione industriale vo: chi si occuperebbe di garantire ci obbliga a immaginare una produzione e un’allocazione una transizione sostenibile della ricchezza adeguata ed equa per tutti, capace di assicurare l’efficacia di una misura quale il reddito universale? La risposta a una domanda del genere passa attraverso la considerazione di come l’automazione della produzione e l’uso massivo delle IT possa incidere sulla dialettica economica e politica, sui rapporti di forza nelle nostre società. Una considerazione non facile ma che può forse beneficiare delle intuizioni che gli economisti classici ebbero quando i robot non popolavano nemmeno i libri di fantascienza. *Scuola Superiore Sant’Anna (Pisa) 14 maggio 2016 33 RENZI PROVA A METTERE LA SORDINA MA LO SCONTRO COI GIUDICI CONTINUERÀ Tra la riforma del processo penale, i tempi di prescrizione, e il referendum sulla Costituzione, il fronte con Magistratura democratica resterà aperto. Servono nemici, dentro e fuori al Pd di Luca Sappino N on è certo finito lo scontro con me come Fabrizio Rondolino, su quei giudici. «Non sentirete mai ste posizioni di censura da anni, certo un mio commento su un ma- non dispiace che da Forza Italia notino gistrato» ha detto Matteo Ren- che ai tempi della riforma costituziozi, tornando così sulla vicenda nale di Berlusconi nessuno da sinistra del giudice Morosini, finito nella bufera sollevò il tema dell’opportunità della per un colloquio - inutilmente smenti- partecipazione dei giudici al dibattito to - pubblicato da Il Foglio, in cui espri- politico: «È l’incoerenza della sinistra», meva giudizi molto duri sul governo nota Augusto Minzolini. Ma per il gior(«dei mestieranti, buoni solo a gestire nale del Pd è invece una medaglia: non il potere») e anche su alcuni colleghi, può certo farsi scavalcare da Il Foglio, troppo vicini al premier («Cantone, che, come abbiamo visto, è protagocome Gratteri, è un uomo Mondadori. nista indiscusso sulla materia. Tutto il Non so se mi spiego»). Dice così, Ren- caso Morosini nasce dalle colonne del zi, ma dobbiamo invece aspettarci che quotidiano fondato da Giuliano Ferrail fronte aperto con alcuni esponenti di ra, dove l’autrice dell’intervista dello Magistratura democratica resti caldo, e scandalo, Annalisa Chirico (che è per a lungo. Un po’ per via dell’agenda par- inciso la compagna del manager nulamentare, come vedremo, un po’ perché nella L’Unità, Il Foglio, i costituzionalisti di battaglia sul referendum area. Dopo aver respinto la teoria di un costituzionale Renzi ha complotto dei giudici, Renzi ha proposto bisogno di marcare l’im- una tregua alla minoranza interna, magine di due soli schie- «ma è solo facciata» temono i bersaniani ramenti contrapposti. E se non sarà il premier a indicare co- clearista Chicco Testa, che per un soffio stantemente il nemico - per non sco- non è diventato ministro dello Svilupprirsi troppo rispetto alle critiche della po economico) il giorno dopo ha forniminoranza interna, il cui supporto co- to ai lettori una storia di Magistratura munque gli serve per le amministra- democratica. Corrente politicizzata, si tive - ci penseranno i suoi. Non molla sostiene non senza ragione ma con un certo la presa l’Unità, ad esempio, che eccesso di scandalo: «E all’improvviso, continua a dedicare fondi e interviste grazie al caso Morosini», scrive il diretsul tema dei giudici politicizzati. E a fir- tore Claudio Cerasa, «tutti si accorsero 34 14 maggio 2016 «C’è un divieto» per i magistrati di «partecipare a campagne politiche... e questo referendum costituzionale si è caricato di un significato politico», dice il vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini. Dal comitato per il No fanno però notare che non sono stati certo i giudici a legare la vita del governo al referendum che in Italia ci sono magistrati che fanno politica. Tu pensa». I fondi del Foglio vengono molto apprezzati a palazzo Chigi, e girano nelle mazzette pieni di entusiastiche sottolineature con evidenziatore giallo. Il Foglio, l’Unità, e ci penserà poi Maria Elena Boschi, soprattutto. Sarà lei a tenere vivi tutti i fronti, tutti quelli su cui Renzi deve comunque trattenersi, vuoi per opportunità istituzionale - con i magistrati - vuoi per non dare eccessivo spettacolo in un delicato passaggio elettorale - con la minoranza interna. È lei, non a caso, che mentre il premiersegretario offriva una tregua ai compagni di minoranza, paragonava la sinistra a Casa Pound perché entrambe contrarie alla riforma costituzionale. Poliziotto buono, poliziotto cattivo, questo è lo schema. Gli autoproclamati “fascisti del terzo millennio” e l’Associazione nazionale dei partigiani, sono finiti così assimilati per una perfetta stoccata. E per Gianni Cuperlo che mite ma deciso chiede una smentita, arriva invece una conferma, durante l’ultima direzione del partito: «Più volte ho sen- © Alessandro Di Meo/Ansa tito equiparare chi vota “si” con Verdini», ha detto Boschi, «mi sono limitata a dire che chi vota “no” vota “no” come CasaPound, una valutazione di fatto reale nella sua banalità». Così continuerà lo scontro anche con i giudici, dicevamo, sulla riforma costituzionale e per via dell’iter parlamentare della riforma del codice penale. Il 25 maggio, infatti, scade il termine per la presentazione degli emendamenti al testo unificato di riforma adottato dalla commissione giustizia del Senato. Quel giorno - per dire - sciopereranno gli avvocati penalisti, contrari alle modifiche della prescrizione, agganciate al più ampio disegno di riforma. Della prescrizione dunque si parlerà ancora, così come delle intercettazioni, su cui il governo si prende una delega molto ampia che fa discutere già di suo. Si parlerà della prescrizione su cui i 5 stelle hanno prima aperto una fase di dialogo e poi sono tornati a fare i puri. «Non ha neanche letto la legge», così il sottosegretario Gennaro Migliore liquida le accuse di «inciucio» mosse da Alessandro Di Battista e ci conferma che un muro si è alzato. «L’hanno alzato Ciro Falanga. E proprio Falanga si proloro perché in difficolta per la vicenda pone per far fare l’altro mezzo passo in del sindaco di Livorno», è il commento avanti. Sua è la proposta alternativa: raccolto da Left. Sicuramente, troppo una non meglio specificata corsia preghiotta è in realtà per il Movimento 5 ferenziale per i processi per corruzione. stelle l’occasione di dare una rappre- E arriviamo così alla difficile partita sentazione che, questa volta, Renzi non politica che Renzi si gioca nei prossimi gradisce: «Fanno come Berlusconi», mesi, tra amministrative, referendum e dicono i 5 stelle indicando una muta- appunto - giustizia. C’è la competizione zione genetica che nel Pd respingo- con i 5 stelle in un’autistica gara su chi no. Il ddl, rivendicano i dem, allunga i è più pulito (perfetto è il commento di tempi della prescrizione per i reati di corruzione Dopo uno spiraglio di dialogo sulla e pedofilia: «Ma quale prescrizione, torna il muro tra 5 stelle Berlusconi!». Approvato e Pd. L’accusa è reciproca. «Sono in in prima lettura a marzo difficioltà per il caso di Livorno», dicono scorso, il 4 maggio il testo i dem. «Stanno con Verdini», è la replica è passato in commissione con il voto favorevole di Pd, Ap-Ncd Fabio Volo, sì Fabio Volo: «Si capisce solo e Psi, mentre i 5stelle e il Gruppo misto “Gne-gne”»). C’è la corsa congressuale si sono appunto astenuti e Forza Italia, che si è aperta (Roberto Speranza è semLega e fittiani hanno abbandonando la pre più in campo) con tutti i temi che si seduta. Niente Berlusconi, è vero, ma il porta appresso. A cominciare proprio mezzo passo in avanti è stato fatto dopo dall’accordo con Verdini. Se come temoil noto vertice di maggioranza allarga- no a palazzo Chigi Fassino sarà l’unico to - per lo stupore del senatore Felice sindaco eletto nella prossima tornata, Casson, dem dissidente, presente alla qualcuno chiederà veramente conto riunione - ai verdiniani, per interposto dell’abbraccio con Denis. 14 maggio 2016 35 DA ROMA A BOLZANO CHE FATICA A SINISTRA Il rovinoso inciampo di Fassina è il sintomo: «Paghiamo il ritardo sul partito», è la voce dei militanti © Stefano Carofei/Imagoeconomica Q uello di Stefano Fassina è un inciampo da cui difficilmente ci si riprenderà. Il candidato mostra sicurezza fino all’ultimo - e noi quando scriviamo attendiamo come lui il verdetto del Tar. Ma la commissione elettorale di Roma ha fatto piombare i quasi 500 candidati delle due liste escluse, tra Comune e Municipi, nello sconforto. «È difficile essere ottimisti» dice anche un militante di lungo corso, una vita nel Pci con responsabilità organizzitive. Sul ricorso, quando Fassina riunisce i militanti per una riunione pubblica, tira una brutta aria. La lista Sinistra per Roma - Fassina sindaco aveva chiesto di riesaminare la pratica, ma niente: «La giurisprudenza sia recente che anche trascorsa del Consiglio di Stato è inequivocabile», scrive la commissione elettorale. E allora tocca rivolgersi al Tar, simulando ottimismo. Comunque vada, la rabbia resterà. «Paghiamo il ritardo sul partito», dice a Left il dirigente nazionale di Sel, che però come tutti in queste ore delicate chiede di non comparire. Bisogna evitare polemiche, non alimentare le voci di un complotto: «Quella di Fassina è più il sintomo di una dirigenza troppo presa a sorvegliarsi a vicenda. Serve tirare una riga». E serve «un partito», perché «al Pci non sarebbe mai successo», dice bene un militante che si era prestato per una candidatura in periferia. Un partito, badate. Perché è la frammentazione a moltiplicare le debolezze. Come spiega bene Roma o, volendo, il dato di Bolzano che arriva lo stesso giorno in cui Fassina viene escluso, anticipo dell’infornata di voti amministrativi. Lì la sinistra era divisa in due: l’area di Sel nella veste di Sinistra Die Linke in coalizione con il Pd, Renzo Caramaschi candidato sindaco finito al ballottaggio con il centrodestra; e una lista di Rifondazione, alleata dei Verdi nel sostenere Norbert Lantschner. Le due liste hanno preso entrambe 703 voti, esatti. Nessuna delle due ha eletto un consigliere. 36 14 maggio 2016 PARERI IL COMMENTO di Felice Casson Referendum costituzionale e ritorno della questione morale I rapporti tra politica e magistratura ormai da alcuni decenni sono caratterizzati da “alti” e “bassi” impressionanti. Non saprei dire se tutto ciò sia inevitabile, anche se osservo che, in questa esperienza senatoriale, quando si parla di giustizia in una commissione o nell’aula del Senato, praticamente tutti si sentono in dovere di intervenire e dire la loro. E questo è un bene. È il segno di quanto sia profondamente sentita la necessità di discutere di bene comune, di legalità e di correttezza istituzionale. Ma se poi si passa a una valutazione di quanto viene detto, è facile che si rizzino i capelli in testa dalle tante assurdità e alle volte vere e proprie bestialità che vengono sostenute. In questo periodo c’è una vasta gamma di esemplificazioni, dalla cosidetta riforma costituzionale alle nuove norme proposte in tema di processo penale, intercettazioni e prescrizione. Emblematico, poi, politicamente e socialmente, è ciò che si osserva tutt’attorno. Prendiamo per esempio il caso del prossimo referendum d’autunno. Già costituirebbe grave anomalia giuridica e istituzionale il fatto di un governo, un qualsiasi governo, che propugnasse una profonda riforma costituzionale per modificare in radice competenze, composizione e limiti del potere legislativo. E soprattutto che sostenesse a spada tratta le ragioni della modifica, reprimendo il dissenso e non curandosi dei “pastrocchi” tecnici. E ancor più aggirando la lettera e lo spirito della norma costituzionale. Che chiedesse un inutile referendum a conferma, referendum invece previsto a tutela dei contrari. E per di più prefigurando su una riforma costituzionale un plebiscito pro o contro il governo, così piegando la Costituzione a interessi che per definizione sarebbero di parte (quand’anche maggioritaria). Su tutto ciò negli ultimi giorni si è innescata una polemica su chi possa o non possa schierarsi contro questa assurda pretesa di referendum “governativo”. Nel tentativo di mettere il bavaglio a una categoria di giuristi, i magistrati, che non potrebbero - così sostiene anche il “laico” vicepresi- dente del Csm - partecipare a dibattiti politicizzati. Ora, a parte il fatto che la decisione del capo del governo di politicizzare a proprio favore un referendum costituzionale costituisce un’aberrazione in sé, si rischierebbe in un colpo solo di martoriare tutta una serie di principi costituzionali: dalla libertà di pensiero e di espressione alla sovranità della Costituzione di fronte a qualsiasi potere dello Stato. Per buona sorte la Costituzione rimane, mentre sono i governi, tutti i governi, quelli destinati a passare. E se anche in questa occasione si è arrivati al calor bianco nel rapporto tra politica e magistratura, tanto da coinvolgere il ministro della Giustizia e il presidente della Repubblica, significa che la tensione rischia di arrivare alle stelle. Non è di certo casuale che ci si arrivi mentre in tutta Italia sembra di assistere a una riedizione di Mani pulite. E mentre quin- Il governo prima politicizza di la classe politica, il referendum costituzionale, anzi una parte della poi chiede ai magistrati di classe politica, si sen- tacere. Intanto una parte della te nuovamente sotto politica si sente sotto assedio, assedio. Io penso che, teme una nuova Mani pulite per tutti e sempre, valga il famoso broccardo “Male non fare, paura non avere”. Certo, mi fa strano che nei casi di imputazione e arresti nei confronti di un politico, siano dei politici stessi a dire di voler aspettare l’esito delle indagini e del processo. Fatto salvo il sacrosanto anche se banale ricorso al principio di non colpevolezza, mi verrebbe da chiedere: dove sono finite l’autonomia e la dignità della politica? E non esistono criteri e valutazioni diversi e indipendenti rispetto a quelli giudiziari-processuali? Non è in grado la politica di capire autonomamente che determinati comportamenti sono socialmente e moralmente scorretti al di là di ogni giudizio della magistratura? Con la consequenziale necessità di trarne le debite conseguenze! Se si ragionasse in quest’ottica forse anche la crescente disillusione dei cittadini nei confronti dei politici segnerebbe un’inversione di tendenza. 14 maggio 2016 37 38 14 maggio 2016 14 maggio 2016 39 L’EGITTO DI GIULIO REGENI HA INCARCERATO MALEK Il 5 maggio l’ultimo ok è delle ore 8.58, l’ultima connessione alle 19.34 dal suo account di whatsapp. Nessuna risposta all’ultimo Malek dove sei? Perché giovedì scorso Malek è stato arrestato testo e foto di Michela AG Iaccarino 40 14 maggio 2016 (17.18): La rivoluzione è finita? «Proprio niente è finito». (22.33): Tahrir tornerà? «Nessun dubbio. È solo questione di tempo». (21.49): Perdi mai la speranza? «Certo che no. Noi ci consideriamo tutti figli della speranza» Gli orari sono quelli della time line di una chat usata come un walkie talkie in quelle che sembravano conversazioni da una stanza all’altra, su due sponde diverse del Mediterraneo. Quando lo scorso febbraio avevo sentito per la prima volta la voce dell’avvocato comunista dei sindacati del Cairo, che aveva conosciuto Giulio Regeni alla fine del 2015, le prime parole che aveva pronunciato erano state queste: «Io non ho paura, faccio il mio lavoro, puoi scrivere il mio nome. Il mio nome è Malek Adly». Quella voce l’ho risentita due mesi dopo. «Confermo. Sono l’avvocato Malek Adly. E non sono in prigione... non ancora». Nonostante fosse riuscito a evitare le divise con il mandato d’arresto firmato dal procuratore generale Tamer Alfergany a suo carico, molti quotidiani avevano ribattuto la notizia della sua carcerazione. «Mi stanno cercando e sto tentando di nascondermi». Le conversazioni avvenivano due volte: una al mattino, una la sera, ma spesso molte di più. R u fine? Fine. Roger? Roger. Ok? Ok. Le sue risposte volevano dire che era ancora libero. Che stava ancora bene. Giovedì 5 maggio l’ultimo ok è delle ore 8.58 e l’ultima connessione è alle 19.34 dal suo account di whatsapp che continuava a funzionare anche se aveva buttato la scheda per non essere localizzato. Nessuna risposta all’ultimo Hello? All’ultimo Malek dove sei? Giovedì scorso Malek è stato arrestato a Maadi, Cairo, e trasferito a Shubra al Khayma. «Siamo il Cile, l’Argentina del Medio Oriente. La mia vita è paura di essere arrestato, che false prove vengano fabbricate contro di me», disse a febbraio. Le accuse a suo carico sono: incitamento alla protesta, diffusione di false notizie, minaccia alla pace e all’unità nazionale, colpo di Stato. «L’arresto del celebre avvocato segnala la determinazione del regime nel reprimere le critiche» è il lungo titolo che gli dedica il New York Times. Su un foglio bianco sono rimaste le domande a grappolo che pensavo di fargli e una sola risposta di qualche giorno prima. (20.49): Che fai quando sei triste? «Sono triste». Saggio! «Soprattutto: pratico». Giovedì 5 maggio Malek, l’avvocato che si batte per i diritti umani, è stato arrestato. Con le accuse di incitamento alla protesta, minaccia alla pace e all’unità nazionale, colpo di Stato Dopo la retata di arresti del 25 aprile scorso, quando si era tornato a urlare ad Al Sisi ehral, vattene, dal Basso all’alto Egitto, per la cessione delle due isole Tiran e Sanafir a re Salman dell’Arabia Saudita per i suoi 24 miliardi di investimenti, Malek era riuscito a fuggire. «È stato emesso un mandato d’arresto contro di me e molti miei colleghi. Significa che ci inseguono, non siamo sicuri nelle nostre case, con le nostre famiglie. Siamo coinvolti in un caso giudiziario che vede imputato il presidente Al Sisi per l’incostituzionale e illegale cessione delle due isole egiziane all’Arabia Saudita. Abbiamo agito a nome di centinaia di giornalisti, attivisti, comuni cittadini egiziani. Il 17 e il 24 maggio verranno prese importanti decisioni dalla Corte che si occupa del caso». 14 maggio 2016 41 Città del Cairo, 6 ottobre. Passanti lungo le strade del distretto periferico a sud della capitale, nei pressi di Giza. In apertura: Cairo, Egitto. Panoramiche aeree della capitale, tra le più popolose d’Africa, che conta circa 12 milioni di abitanti Le due isole erano lontane da Tahrir, ma da lì arrivava il vento che aveva ripreso a soffiare sulle braci che stavano per spegnersi nelle piazze egiziane. Dal letargo all’onda autopropulsiva lungo il delta del Nilo: la situazione sembrava insieme incandescente e immobile. Una protesta al Cairo non è quasi mai la via verso la soluzione, ma quasi sempre l’inizio di un antidoto. È vero quel proverbio arabo che dice che non bastano tutti i cammelli del deserto per comprarti un amico. Malek diceva così: «Non sono coraggioso, ho tanti amici». I compagni che lo aiutavano “fanno questa vita da anni”. Con 1.200 arrestati intorno, aveva scritto «I can handle it». Posso farcela. (12.29): Tutto questo succede dopo il Regeni case? «Tutto è collegato». Mentre i quotidiani rendevano pubblici gli ordini Il direttore di Al Jazeera, Ibrahim Hilal, è stato condannato a morte in contumacia: ora della sua esecuzione, in quell’Egitto nostro alleato nella lotta all’estremismo islamico, deciderà il gran muftì della capitale del governo che per sbaglio via email erano arrivati alla stampa, come il silenziatore del boia, per mettere a tacere le notizie sui desaparecidos arabi, Malek che negli ultimi anni di governi ne aveva visti salire e sprofondare negli abissi almeno tre, scriveva: «It’s all about regime stupidity»,«It will pass». Un mattino scriveva: no news, good news. Un altro: sono stato in piedi fino alle 5. C’era e c’è un colpo di grazia: quello che è stato inferto ai dissidenti nell’ultimo mese, uno di Stato che ha portato e mantiene Al Sisi al potere, un colpo di spugna: quello che un pezzo di Cairo e un pezzo d’Egitto si rifiutano di dare battendosi contro il sistema della dittatura, uno ad uno, un Malek dopo l’altro, pagando con la libertà e a volte la vita. Liberali, dissidenti, intellettuali, studenti sono i nemici del popolo, della Nazione, di quel Vivalegitto che il presidente Al Sisi ripete a ogni fine discorso. 42 14 maggio 2016 Loro non hanno quel tipo di patriottismo di cui scriveva Samuel Johnson: «Patriottismo, ultimo rifugio di una canaglia». È per questo che anche il direttore di Al Jazeera Ibrahim Hilal è stato condannato a morte in contumacia: ora della sua esecuzione, in quell’Egitto nostro alleato nella lotta all’estremismo islamico, deciderà il gran muftì della Capitale. Intanto Ahmed Abdallah, attivista per i diritti umani e legale di Giulio, è uscito di prigione, entrato in un’aula di tribunale e tornato in prigione: stringeva tra le mani un foglio bianco. C’era scritto: verità per Regeni. È accusato di voler rovesciare il governo, la Costituzione, di appartenere a un gruppo terroristico. Giulio - egiziano per gli egiziani, perché ne ha condiviso il destino, ovvero morte e tortura - è ormai una questione di politica interna e non più solo estera per gli uomini di Al Sisi. La sua faccia dipinta è come quella delle icone dei martiri laici della rivoluzione della giovinezza a Tahrir 2011, il suo volto è diventato uno dei murales che tappezzano le pareti della città. L’unica cosa bella dei muri è che puoi scriverci sopra. Anche la verità, quando non puoi farlo da nessuna altra parte. Al Qahira, la città che porta il nome de “la trionfante”, “la forte”, “la soggiogatrice”, “la vittoriosa”, ma anche “che prende in giro lo sconfitto - il Cairo- è in queste ore una città in apnea di fantasmi e di buchi. Fantasmi dei desaparecidos: 500 l’anno scorso, 300 quest’anno. Fantasmi dei servizi segreti del Mukhabarat, per loro natura spettri senza nome e non uomini. Buchi: nella ricostruzione della notte del 25 gennaio in cui Giulio fu rapito. Buchi di petrolio: il più grande giacimento del Mediterraneo trovato in acque egiziane. Buche comuni: le fosse e le dune di sabbia dove forse sono i corpi degli scomparsi invisi al regime. In queste ore al Cairo gli inquirenti italiani - un funzionario Sco, un ufficiale Ros - stanno discutendo con i colleghi arabi per valutare il proseguimento delle indagini. Sono invece arrivati a Roma i tabulati telefonici richiesti: tra i 13 numeri c’è quello di Mohamed Abdallah, capo del sindacato degli ambulanti. Se c’è una risposta, una pista o una talpa è forse tra le anime dell’universo che si agita intorno alle turbolente rivendicazioni dei lavoratori. Oppure la paura si propaga anche così, travestendo la verità di false evidenze. Da quando era in fuga Malek vedeva poco le strade, vedeva di nascosto sua moglie e sua figlia. Ma se ti aspettavi che dall’altro lato parlasse un arreso, una vittima triste, un malinconico e garrulo fuggitivo trovavi resistenza, senso dell’umorismo ardente: «Non posso uscire, non posso fare niente. Finalmente un po’ di tempo per leggere i romanzi lasciati a metà». Autori egiziani, latinoamericani. Italiani: “Danty, Macavilly”. Dante e Machiavelli. «Qui si crepa». Ma hai detto che siamo tutti figli della speranza. «Non è una questione di speranza, ma di condizionatore: ci sono 35 gradi all’ombra». In quella che chiamava la sua optional prison chiuso chissà dove tra il rischio e il limbo, commetteva atti di sarcasmo che sembravano dichiarazioni d’amore verso la libertà. L’ultimo li- Giulio - egiziano per gli egiziani, perché ne ha condiviso il destino, ovvero morte e tortura - è ormai una questione di politica interna per gli uomini di Al Sisi. La sua faccia dipinta è come quella delle icone di piazza Tahrir bro sufi che stava leggendo prima che lo arrestassero si intitolava Messaggi. Se continuavi a scrivergli che aveva coraggio, rispondeva che ne avevano di più i suoi amici. Se gli chiedevi come stava, rispondeva sempre bene. Se gli chiedevi di quella morte italiana, sapeva che era anche un pezzo di storia egiziana. 14 maggio 2016 43 PODEMOS CI RIPROVA E GUARDA A SINISTRA L’alleanza con Izquierda Unida vale il 23%, può scavalcare i socialisti e diventare la seconda forza in Spagna alle elezioni del 26 giugno. Ne parliamo con Miguel Urbán e Marina Albiol di Tiziana Barillà L a Spagna torna alle urne il 26 giugno. Quella che si è appena conclusa è stata la legislatura più breve della democrazia spagnola, appena 4 mesi dopo il voto di dicembre 2015. Davanti al fallimento di Pedro Sánchez, re Felipe VI non ha potuto far altro che sciogliere le Cortes, come da Costituzione, e convocare nuove elezioni. La campagna elettorale sembra un déjà vu perché le forze politiche in cui è divisa la Spagna restano le medesime quattro: Partito popolare, Psoe, Podemos e Ciudadanos. Nasce tuttavia una nuova alleanza, perché Podemos vira a sinistra e persegue un’intesa con i post comunisti di Izquierda unida. I sondaggi, per ora, gli danno ragione, l’alleanza di sinistra conta già il 22,3%. Più dei socialisti di Pedro Sánchez, fermi al 20%, e a soli due punti dai popolari di Rajoy che provano a cavalcare la paura dell’ingovernabilità. Podemos e Izquierda unida: la sinistra radicale (quella «forte e degna di questo nome», per dirla con le parole di Garzón) e quella meno statalista e che non sente l’esigenza di chiamarsi a tutti i costi “sinistra”. Pablo Iglesias e Alberto Garzón, che si lasciano alle spalle le ruggini e le frecciatine del passato per scalzare il secondo posto ai socialisti e puntare a un governo di unità popolare, progressista, dove - ha già avanzato l’ipotesi Iglesias - ci sarà posto anche per il Psoe e per un’eventuale vicepresidenza di Sánchez. Sumamos para ganar, ci uniamo per vincere. «Abbiamo raggiunto uno storico accordo. Mi rallegro che i piani vanno bene», ha twittato Pablo Iglesias la notte tra lunedì e martedì. L’alleanza 44 tra le forze di sinistra è stata sigillata, a Iu andrà un deputato ogni sei eletti di Podemos. «Entrambe le organizzazioni sanno che questo è l’unico modo per restituire il nostro Paese alla maggioranza sociale», spiega Marina Albiol di Izquierda unida. Iu chiede una dozzina di posti a sedere, oltre a quelli già certi in Galizia, Catalogna e Valencia. Miguel Urbán, Podemos: Che l’alleanza premi, del resto, lo «Niente è sicuro. Ma è confermano gli accordi chiusi alle necessario un accordo di ultime elezioni municipali: Ferrol, unità popolare, che includa Madrid, Barcellona, Zaragoza, tutte i movimenti sociali che non vittorie. E poi Iu negli ultimi son- hanno intenzione di entrare in alleanze elettorali» daggi è in crescita, quasi al 6%. Dopo tanto ripetere “né di destra né di sinistra”, che ne penseranno gli elettori di Podemos di un’alleanza con una forza così “tradizionale”? «È necessario un accordo di unità popolare, non solo elettorale ma reale», risponde Urbán. «Per costruire un vero potere popolare Podemos non è sufficiente, le compagne e i compagni di Iu sono molto importanti ma lo sono anche i movimenti sociali che non hanno intenzione di entrare in nessun tipo di alleanza elettorale». Questioni economico-sociali, crisi del bipartitismo, lotta alla corruzione, questione indipendentista catalana e riforme costituzionali: restano questi i temi della campagna elettorale. Ed entrambe le forze politiche hanno programmi che puntano su ecologia, democrazia nelle istituzioni, lotta alla precarietà, riforma del sistema bancario, riposizionamento negli scenari inter- 14 maggio 2016 © Zipi/Epa Ansa 28 maggio, giornata del Piano B Gli spagnoli, è innegabile, sono protagonisti assoluti quando c’è da discutere di un Piano B «contro le politiche delle banche e delle multinazionali». Lo sono stati anche a Roma, l’8 maggio, durante l’incontro organizzato in vista della prossima mobilitazione continentale, prevista per il 28 maggio in tutte le piazze d’Europa. Una data simbolica scelta in omaggio alla Comune di Parigi e alla rivoluzione dei comunardi francesi, che nel 1871 abolirono l’esercito e lo sostituirono con un’armata popolare e volontaria, proclamarono la separazione dalla Chiesa, abolirono i privilegi degli ecclesiastici, costituirono cooperative di operai per gestire le fabbriche abbandonate dai padroni, sospesero le sentenze di sfratto e morosità. E puntarono sull’emancipazione delle donne. I leader di Podemos e Izquierda unida-Unidad popular, Pablo Iglesias e Alberto Garzón anche nello Stato spagnolo la socialdemocrazia preferisce allinearsi con le forze che difendono il modello neoliberale invece di scommettere su una ripartizione del consenso a sinistra». Secondo la stampa spagnola, poi, l’astensionismo rischia di favorire il partito di Mariano Rajoy. «I media lavorano contro di noi», tuona Urbán, «ma quello che non si può truccare o nascondere è che con l’alleanza tra nazionali. Più che nei temi Marina Albiol, Iu: «Il Podemos e Izquierda unida veri e propri, difatti, è nell’or- Psoe ha preferito tornare noi saremo la seconda forza dine di importanza dato alle alle urne, dimostrando del Paese. A soli due punti dal questioni che si registra qual- che la socialdemocrazia Partito popolare. E noi non che differenza. Un esempio: preferisce allinearsi con il vogliamo vincere sul partise Podemos punta innanzi- modello neoliberale invece to socialista, ma sul partito tutto sul reddito minimo di di scommettere a sinistra» popolare. Il problema è che cittadinanza per tutti, Iu dà la l’accordo tra Ciudadanos e il priorità a un piano di assunzioni pubbliche che Psoe puntava a cambiare il nome al Partito poeviti di dover elargire il reddito di cittadinanza a polare, mantenendo però le sue politiche». tutto spiano. Izquierda unida e Podemos sono Mentre il movimento degli Indignados si apdiverse, con differenze organizzative e program- presta a celebrare il suo quinto anniversario, matiche, ammette Marina Albiol, «ma ci sono una nuova sfida è alle porte. «La crisi aumenta abbastanza punti in comune per raggiungere un la disuguaglianza tra ricchi e poveri, la Spagna accordo che ponga in cima gli interessi dei la- è piuttosto sanguinante perché siamo il seconvoratori. Così come siamo stati in grado di stare do Paese d’Europa per disuguaglianza, secondi insieme per andare a uno sciopero generale, fer- solo all’Ungheria», conclude Miguel Urbán. «C’è mare uno sfratto o difendere la salute pubblica una rottura sociale importante nel nostro Paese, e l’istruzione, dobbiamo essere in grado di farlo sempre più gente inizia a comprendere quanto per vincere le prossime elezioni». è necessario un cambiamento. Anche se il parÈ per i socialisti di Sánchez che si annuncia la tito del cambiamento viene costantemente atsconfitta politica, fermi al 20% dopo il mancato taccato, con l’obiettivo di generare paura. Ma ci governo. E suonano come un “se lo merita” le pa- sono due modi per sconfiggere la paura: seguire role di Marina Albiol a riguardo: «Il Psoe ha pre- l’agenda politica e fare in modo che la paura la ferito tornare alle urne, e questo dimostra che abbiano gli altri». 14 maggio 2016 45 MUSULMANO E LABURISTA IL SINDACO DI LONDRA PUNTA IN ALTO La capitale inglese boccia la linea islamofoba di Goldsmith e sceglie Sadiq Khan. Che ora mira anche alla partita interna al Labour, puntando all’elettorato centrista e, forse, alla premiership di Massimo Paradiso - da Londra T emevano che la capitale inglese ha combattuto la povertà iscrivendosi a si trasformasse in Londonistan. un corso di box della palestra locale. «Lì In realtà, a metà pomeriggio di ho imparato a difendermi» dice il neovenerdì 5 maggio, appena è par- sindaco mentre cammina con la moglie so chiaro che Sadiq Khan sareb- verso il Municipio. «E ora difenderò tutbe diventato sindaco di Londra, fuori ti i londinesi». Nella sua circoscrizione dal Municipio c’erano solo pigri turisti gridano al miracolo: dalla scuola Ernest a prendere il sole sul Tamigi e qualche Bevin che frequentava da ragazzino - rianziana signora impegnata a dare da sorsa principale dei giornali che vogliomangiare ai piccioni. Una visione mol- no scrivere di droga, gang e delinquenti to lontana dalle immagini apocalittiche locali - fino allo scranno più alto della abbozzate in campagna elettorale. «Bu- capitale, con un mandato personale che siness as usual», dicono i venditori di non ha eguali se non con la presidenza gelato che, in questa primavera torrida, della Repubblica francese. L’atmosfera assiepano le rive del fiume, «ma è bello di festa nel suo quartiere, con le immasapere che noi musulmani non siamo gini di Sadiq esibite su finestre e vetrine più considerati cittadini di serie B». A dei negozi come vero enfante prodige varcare la soglia della City della comunità islamica, Hall, a ridosso dell’iconi- Per i media è si riflette anche nella sala co Tower Bridge, è infatti «un abile uomo stampa del Comune, dove Sadiq Khan, figlio di un per tutte le i giornalisti arrivati da tutautista di autobus pachi- stagioni». È difficile to il mondo cominciano stano migrato nel Regno inquadrarlo ad allentarsi le cravatte e Unito per cercare fortu- e azzardare a stiracchiarsi sulle sedie na per sé e i sette figli. previsioni su come dopo una lunga maratona Una storia da manuale e amministrerà elettorale. C’è chi si comun po’ romantica che ha muove e chi esulta, ma conquistato cuori e voti dei londinesi, i anche chi, con occhio critico, guarda al quali hanno scelto come major un mu- significato di questa vittoria al netto del sulmano, il primo alla guida di una città romanzo politico. «È fuor di dubbio che europea. Nato a Tooting, periferia a sud questa sia una giornata storica» rileva di Londra, e vissuto fino a 24 anni in un Jim Packard, giornalista politico del Fiappartamento di tre stanze dormendo nancial Times, «ma è altrettanto fuor di in un letto a castello con i fratelli, Khan dubbio che Sadiq è un abile uomo per 46 14 maggio 2016 Il 9 maggio Sadiq Kahn raggiunge la City Hall per l’insediamento tutte le stagioni, una specie di Zelig della politica inglese e forse è anche questa la sua fortuna». Un uomo dalle molte identità che in pochi sono riusciti concretamente a inquadrare per azzardare previsioni sul ruolo concreto che avrà nell’amministrare una delle capitali più cosmopolite d’Europa. Khan si descrive infatti come un londinese e un europeo. Un britannico e un inglese. Musulmano e di origini asiatiche. Di retaggio pachistano. Papà e marito. Un uomo di sinistra che guarda al centro e che è stato fondamentale nella faida familiare tra i Milliband, David ed Ed, per la lotta alla leadership del Partito laburista. A urne chiuse, queste molteplici identità ne hanno fatto l’uomo del momento, scavalcando con destrezza il rivale conservatore Zac Goldsmith, ereditiero e belloccio, che ha preferito accostare Khan all’estremismo islamico invece di proporre soluzioni concrete per ridurre i costi del trasporto pubblico e aumentare l’housing sociale, tallone d’Achille della capitale inglese. Durante il venerdì soleggiato del dopo elezioni, i due rivali si sono trovati in Municipio, benché a un piano di distanza l’uno dall’altro. Khan è stato sequestrato dal suo team © Jonathan Brady/PA via AP e ha passato alcune ore al settimo piano, dove si è lasciato andare a una pennichella pre-celebrazioni; Goldsmith era all’ottavo piano, nell’ufficio reso vacante dal dimissionario Boris Johnson. Come se il risultato elettorale non bastasse come umiliazione, i vertici del Partito conservatore si sono dati il cambio per vomitare in faccia a Goldsmith tutta l’indignazione per aver condotto una campagna «vile», «terribile» e «orrenda» che rimarrà come macchia indelebile sulla storia del partito, accusato di islamofobia, e alienando l’elettorato moderato della capitale. Se è vero che i conservatori hanno perso Londra, è anche vero che hanno vinto in molti altri Comuni inglesi, spesso roccaforti laburiste, e sono per la prima volta il secondo partito in Scozia, relegando il centrosinistra a un ruolo marginale a Nord. Se infatti si risale il Tamigi verso Victoria, al quartier generale dei laburisti, sono in pochi a fare festa. I visi sono tesi e i collaboratori del leader Jeremy Corbyn sfrecciano da un ufficio all’altro senza parlare ai giornalisti. «È una vittoria, certo» confidano alcuni corbynisti della prima ora nei momenti concitati del dopovoto, «ma una vittoria a metà». Si teme, infatti, che Khan sindaco, la tavolo insieme. D’altronde, come dice sconfitta delle roccaforti rosse e il tra- Khan, «veniamo da due parti opposte collo scozzese siano gli ultimi chiodi del del partito» e Corbyn ha visioni troppo feretro che le correnti del centrosinistra di sinistra per il moderato primo cittastanno preparando a Corbyn per sep- dino, che punta all’elettorato di centro pellirlo definitivamente come leader per ricreare l’esperimento naufragato del partito. Tra il neo sindaco e il leader di Tony Blair ed Ed Miliband. Londra laburista non corre buon sangue. Khan a sinistra dopo due mandati ai conserha espressamente impedito a Corbyn vatori, ma i laburisti non festeggiano. di partecipare alla campagna elettorale O meglio, aspettano. Aspettano di cae i suoi collaboratori hanno fatto di tut- pire che ne sarà del proprio leader e to affinché i due non si incontrassero se questa vittoria a metà sia presagio mai, neanche quando Khan è andato a di un complotto interno per affidare volantinare nel quartiere del leader ad le redini del centrosinistra a una figura Islington. più moderata. «Nessun Quando si è trattato di Corbyn ha visioni timore di golpe», assicueleggere il leader labu- troppo di sinistra rano dal quartier generista, lo scorso autun- per il primo rale Labour, «ma bisogna no, Khan non ha negato cittadino moderato, ripensare le strategie di aver votato per Andy che punta a ricreare elettorali fuori da Londra Burnham e ha giudicato l’esperimento e mettere a sistema le rigli incontri tra Corbyn ed naufragato sorse della sinistra». esponenti di Hamas ed di Blair e Miliband Intanto Khan esulta. Hezbollah come «inopForte della sua vittoria, portuni e poco saggi». L’unica foto pub- si appresta ad amministrare una città blica tra i due è stata scattata solamente che ha un budget di 16 miliardi di sterlunedì scorso, dopo il giuramento uffi- line, uno dei trasporti pubblici più cari ciale di Khan, e i sorrisi tirati e i manie- del mondo e un housing sociale carenrismi di circostanza fanno capire che te. E c’è chi già guarda lontano: sarà lui per un pezzo il sindaco e il leader del a correre per il ruolo di primo ministro partito non si vedranno più seduti a un nel 2020? 14 maggio 2016 47 COSA POSSIAMO ASPETTARCI DA SANDERS E CORBYN Vengono da un passato socialdemocratico che non tornerà ma sembrano lanciati verso il futuro. L’analisi di Marc Stears, che fu consigliere di Ed Miliband e ora dirige un prestigioso think tank di Dario Castiglione D al 25 al 28 Luglio i Democratici americani si raccoglieranno a Philadelphia per scegliere il loro candidato alla presidenza. Rimangono pochi dubbi sul nome: Hillary Clinton, che potrebbe divenire la prima donna presidente degli Stati Uniti, dopo il primo afro-americano. Ma la strada per Philadelphia è stata tutt’altro che trionfale per l’ex Segretario di Stato. Il protagonista delle primarie democratiche non è stata Hillary, ma l’improbabile candidato democratico socialista, Bernie Sanders. Nonostante le ormai scarse probabilità di vincere le primarie, Sanders ha ribadito di voler andare in fondo, fino a Philadelphia. L’obiettivo è portare alla convention democratica quanti più delegati a favore di una piattaforma politica progressista, «la più avanzata promossa da un partito». L’effetto Sanders ha già spostato Clinton a sinistra sui limiti da imporre al potere della grande finanza, sull’ineguaglianza economica, e sul Ttip. Sarebbe però illusorio pensare che una volta eletta, Hillary Clinton voglia e possa abbracciare una tale piattaforma. Le aspettative di otto anni fa per la presidenza Obama inducono alla cautela: Yes, we can - ma forse non subito e non tutto. E Hillary non è Sanders né Obama. John Nichols, corrispondente nazionale del settimanale progressista The Nation, ha scritto che il metro con cui giudicare la campagna di Sanders non è quello delle personalità politiche e del loro successo, ma dei movimenti e trend d’opinione. Su Dissent, altro mensile radical, il giurista Jedediah Purdy ha suggerito che la candidatura Sanders ha dato l’opportunità a una nuova generazione politica di pensare l’impossibile: una 48 14 maggio 2016 nuova visione democratica, orizzonti ampi come al tempo del New Deal. Guardando oltre l’America, sembra un paradosso che due politici attempati, di idee e maniere politiche considerate fuori moda, come lo sono gli abiti che di solito indossano - parlo di Bernie Sanders e di Jeremy Corbyn - siano diventati, all’improvviso, i catalizzatori di una mobilitazione di giovani finora rimasti ai margini della politica di partito. Ma è nel cortocircuito tra politica radicale d’antan e la generazione dei cosiddetti Millennials che sta forse la chiave per capire se Sanders e Corbyn siano fenomeni estemporanei, o il segno di uno smottamento profondo nella stratificazione politica. Di queste esperienze e dei problemi che aprono, parlo con Marc Stears, per cinque anni consigliere di Ed Miliband e da qualche mese ceo della New Economics Foundation (Nef), organizzazione indipendente creata nel 1986 dal “The Other Economic Summit”, che nel corso degli anni è diventata uno dei più largi e stimati think tank in Gran Bretagna. Gli chiedo cosa pensi del paragone tra Sanders e Trump, che molti commentatori presentano come due facce di uno stesso populismo americano. Stears osserva che la forte critica all’establishment è comune a tutti i populismi, come adesso piace definirli. E non c’è dubbio che sia Trump che Sanders facciano appello a questa critica, ma l’establishment di cui parlano è molto diverso, come la sostanza della loro critica. La tradizione in cui propriamente collocare Sanders non è vagamente populista, è quella dei radicals, che, nel senso propriamente americano sono liberali e democratici. Si tratta della storia che Stears ha raccontato nel suo Demanding Democracy. Ame- © Dennis Van Tine/Abacapress/Ansa rican Radicals in Search of a New Politics, pubblicato nel 2010, che già dal titolo suggerisce come la democrazia richieda un impegno intellettuale e morale, virtuoso, da parte dei cittadini. Non reazioni viscerali alla Trump. Chiedo a Stears come colloca il fenomeno Sanders nella storia delle tradizioni democratiche che ha disegnato nel libro, se davvero siamo di fronte a una nuova stagione di politica radicale, forse cominciata con Occupy Sanders ha due problemi, Wall Street. Per il ceo di dice Stears: la visione che Nef la direzione di Santrasmette non è abbastanza ders e dei suoi seguaci ottimista e non è riuscito è quella giusta: mostrafinora a convincere no autentica «passione le minoranze razziali, democratica» e forte che trarrebbero maggior senso d’urgenza, cose vantaggio indispensabili per il fudalle sue proproste turo della democrazia americana. Ma a suo avviso restano un interrogativo e una questione irrisolta. L’interrogativo riguarda il tono della propaganda di Sanders, che per Stears comunica un messaggio più negativo che ottimistico e propositivo. Cioè non riesce ancora a trasmettere una fiducia ottimista nella trasformazione, a mobilitare nei cittadini virtù democratiche adatte ai tempi e agli obiettivi. Senza questo respiro, c’è il rischio che il movimento attorno a Sanders si esaurisca un volta concluso lo sforzo per le primarie. La questione irrisolta, poi, rimane quella razziale. Nonostante la forte presa sui blue collars, nonostante il voto dei giovani e degli studenti, nonostante la capacità di mobilitare l’elettorato democratico nelle zone del declino industriale, la coalizione di Sanders non è riuscita ad attirare una quota significativa del voto afro-americano. Tuttavia la questione razziale è ineludibile per la politica progressista americana, come la stessa Hillary Clinton ha sperimentato otto anni fa. Stears cita un articolo di Joan Walsh pubblicato su The Nation in marzo, secondo il quale la coalizione di Sanders rassomiglia a quella che Hillary Clinton cercò di mettere insieme la prima volta che si presentò alla primarie. Una coalizione che cercava di recuperare ai democratici i cosiddetti “Regan democrats”, o in altri termini “hard working (white) Americans”. Dopo la prima sconfitta, Hillary Clinton ha optato per la coalizione Obama, con una solida base di afro-americani, latinos, minoranze culturali, e madri single. Per Walsh e per Stears, il problema di Sanders è che, nonostante le sue politiche economiche egalitarie gioverebbero, in teoria, soprattutto alle minoranze razziali, queste vengono re14 maggio 2016 49 © Kirsty Wigglesworth/AP Photo spinte dal messaggio sublimale di una coalizione che fa perno su giovani e lavoratori bianchi. Come mettere insieme una coalizione multirazziale con scelte radicali contro l’ineguaglianza? È forse questa la scommessa del dopo Philadelphia. Se la questione razziale è dirimente negli Stati Uniti, Stears crede che in Gran Bretagna sia centrale la questione del governo territoriale. Il voto del 5 maggio a Londra, Bristol, per le assemblee legislative di Scozia e Galles, e per rinnovare molte autorità locali nel resto dell’Inghilterra, sembra confermare l’idea di Stears; ma questo colloquio è avvenuto prima del 5 maggio e non poteva tenerne conto. Gli chiedo se sia rimasto sorpreso, lui che collaborava con Miliband, dall’elezione di Corbyn, e che spiegazione ne dia. Ammette subito che, come tutti, non se l’aspettava. Suggerisco, come spiegazione, la pochezza degli altri candidati, in altri termini della terza generazione del New Labour. Stears replica che più dei limiti personali abbia contato la confusione delle analisi. Molti, dice, avevano interpretato il risultato elettorale alle elezioni del 2015 come se fosse conseguenza di uno spostamento troppo a sinistra dei laburisti. Red Ed - Ed (Miliband) il rosso, scrivevano i giornali conservatori. Stears pensa il contrario, che il manifesto elettorale e la campagna di Miliband 50 non fossero affatto spostati a sinistra e che quindi sia stato uno sbaglio, conseguenza di quella lettura superficiale, che il partito abbia provato a riposizionarsi al centro, mentre la base elettorale laburista attribuiva l’insuccesso alla mancanza di una vera opposizione alla politica d’austerità portata avanti dal governo di coalizione. Così a luglio dell’anno scorso, quando Cameron propose di tagliare ulteriormente i fondi del welfare, la dirigenza del Labour (ancora Nel Regno Unito, il Labour senza leader) decise di votare a favo- rema contro Corbyn, che re, dividendo il gruppo parlamenta- è ancora il più forte, ma re e ancor più il partito nel Paese. Da non ce la farà se non saprà costruire una classe di lì è iniziata l’ascesa di Corbyn. Stears suggerisce un altro elemento: politici e amministratori l’emergere di Sanders tra i democra- con una visione innovativa tici e di Corbyn tra i laburisti costituirebbe anche una reazione alla caduta di fiducia nella politica. Racconta che quando il Partito laburista scelse come consigliere per le elezioni 2015 Dan Axelrod, lo stratega delle campagne elettorali di Obama, la sua prima osservazione, alla prima riunione, fu che i crescenti livelli di sfiducia e la diffusa disaffezione verso la politica penalizzano quei partiti che si presentano con un’immagine convenzionale. Corbyn e Sanders offrono un’immagine meno convenzionale e una 14 maggio 2016 COLLOQUIO A DUE Marc Stears ha scritto nel 2010 Demanding Democracy. American Radicals in Search of a New Politics, un importante saggio che prova a individuare le tendenze di fondo del radicalismo progressista nel XX secolo. Dai primi venti anni in cui domina la difesa della democrazia e l’idea di “bene comune”, al periodo della grande crisi che fa prevalere il principio di fedeltà alla causa e all’organizzazione, poi il periodo dei diritti civili e infine quello delle lotte degli studenti e della nuova sinistra. L’approccio originale di Stears disegna l’evoluzione delle caratteristiche essenziali del militante della sinistra. In questo quadro, Dario Castiglione gli ha chiesto di collocare i fenomeni Corbyn e Sanders. Dal 2010 al 2015 Stears è stato consigliere politico di Ed Miliband che ha tentato, senza successo, di portare il Labour fuori dalle secche della Terza via di Blair. Da qualche mese è ceo della New Economics Foundation (Nef), fra i più autorevoli osservatori di politica economica e sociale. Dario Castiglione è professore associato di Teoria Politica all’Università di Exeter. certa genuinità che, se non convince tutto l’elettorato, contrasta almeno la politica confezionata dagli spin doctors, che ha fortemente segnato la vicenda dei partiti della Terza Via. Tuttavia Stears nota come la sfiducia verso la politica eroda la stessa possibilità di cambiamento. Fin dalla sua elezione a leader, Ed Miliband aveva cercato di prendere le distanze sia dalle analisi sia dalle politiche del Sia Sanders che Corbyn New Labour di Blair devono, secondo Stears, non e Brown. Aveva attacsolo convincere gli elettori cato il programma di democratici e laburisti della austerità del governo necessità del cambiamento e in una intervista alla ma anche del fatto che il Bbc parlò di «squeecambiamento sia possibile zed middle», di centro spremuto. Una classe media ancora al di sopra della linea di povertà, ma costretta a dipendere dai servizi sociali e che non si sente più protetta nelle sue aspirazioni: casa, lavoro, pensione, sistema sanitario abbordabile, speranza di promozione sociale per i figli. Una delle proposte avanzate da Miliband voleva mettere un tetto ai costi delle famiglie per l’energia e i beni pubblici come l’acqua, tagliando i profitti degli oligopoli del settore. Miliband fu irriso per questo e Stears spiega come le ricerche d’opinio- A sinistra, Jeremy Corbyn posa con un gruppo di giovani supporter del Labour. In apertura, Bernie Sanders davanti a una platea di universitari ne a suo tempo condotte fotografassero un alto livello di condivisione fra gli elettori ma anche un forte scetticismo sulla possibilità che quelle politiche venissero portate avanti dai politici. Il pubblico si dichiarava d’accordo sulla necessità di cambiamento, ma incredulo sulla sua attuazione. Dunque, il problema della sinistra non sarebbe tanto di convincere l’opinione pubblica della necessità del cambiamento, quanto convincerla che il cambiamento sia possibile. Perciò, la partita di Corbyn si gioca sulla capacità di formare una nuova generazione politica che interpreti questo cambiamento. Corbyn ha trovato un partito parlamentare che gli è in larga parte antagonista. Questo gli rende la vita difficile, ma non gli impedisce di andare avanti. Le previsioni secondo cui la sua leadership sarebbe durata poche settimane si sono rivelate poco più che fantasie. Stears pensa che, a meno di grossi errori, Corbyn possa arrivare fino alle prossime elezioni nazionali, perché una parte della base, soprattutto i nuovi simpatizzanti che si sono iscritti a motivo della sua elezione, sono ancora dalla sua parte. Questo però non basta: servirebbe un quadro intermedio del partito, di consiglieri, dirigenti locali e sindacalisti, che si riconosca in una nuova idea della sinistra. Ma il grosso dei dirigenti laburisti che hanno un ruolo di punta nell’amministrazione del territorio, non è ancora convinto dalla leadership di Corbyn. Mentre il gruppo dirigente che lo appoggia viene in gran parte da una stagione passata, precedente al New Labour. Il futuro del partito laburista dipende molto, quindi, dalla capacità di saldare il centro e la periferia e dall’emergere di una nuova generazione di dirigenti che sia alternativa alla terza generazione del New Labour. Di questo Corbyn dovrebbe preoccuparsi, di aggregare una nuova classe dirigente di partito, competente nell’amministrazione locale, ma che si riconosca in una nuova visione che vada oltre la tradizionale enfasi sulla difesa del servizio sanitario o dei lavoratori industriali colpiti dalla crisi, e affronti anche i problemi più acuti delle nuove generazioni: opportunità di lavoro, nuove abitazioni, accumulo di debiti personali, redistribuzione intergenerazionale, nuova cultura del servizio pubblico, devoluzione e decentralizzazione, marginalizzazione di quei gruppi di lavoratori nelle zone post-industriali tentati dalla carta anti-europea di Ukip. Infine chiedo a Stears cosa pensa del futuro della sinistra. Nel breve, dice, è pessimista. Ma rimane fiducioso sul lungo periodo. 14 maggio 2016 51 PARERI MIGRANTI di Guido Viale Profughi e migranti sono un’occasione per cambiare radicalmente l’Europa L a contrapposizione respingere e accogliere i profughi taglia trasversalmente le classi sociali. Il fronte rumoroso di chi propugna i respingimenti avanza ovunque, sotto la guida di partiti di estrema destra o fascisti, ma anche nelle maggioranze di centro e centrosinistra che ne adottano le politiche nel tentativo di trattenere i loro elettori: l’accordo con la Turchia o le barriere dal Brennero a Ventimiglia lo dimostrano. Dall’altra parte, migliaia di volontari, comitati e reti si sono mobilitati per soccorrere i profughi al loro arrivo o nella vita quotidiana: sono la parte attiva di uno schieramento molto più vasto, ma senza voce. A nessuno di questi due schieramenti è stato chiesto di fare i conti in pubblico con le conseguenze delle sue posizioni. Fare dell’Europa una fortezza, respingere i profughi verso i Paesi da cui fuggono, significa riconsegnarli alla miseria e alle guerre, moltiplicarle, e rendere quelle regioni ancora più inabitabili, non solo per loro, ma anche per noi. Ma anche trasformare l’Europa in una caserma per i cittadini autoctoni e in una prigione per quelli immigrati. Viceversa, per accogliere bisogna creare un futuro tra noi a milioni di persone destinate a rimanere in Europa per anni o per sempre. Ne abbiamo bisogno: per motivi demografici, economici e soprattutto culturali. Ma vuol dire adoperarsi perché abbiano tutti una casa, un lavoro e un reddito decenti, una scuola dove mandare i figli, cure mediche adeguate; ma soprattutto una rete di rapporti sociali costruiti sull’incontro tra culture diverse. Tutto ciò che le politiche di austerità stanno negando anche a un numero crescente di cittadini europei, su cui fanno peraltro ricadere il peso di una gestione irresponsabile e criminale dei profughi, alimentando così i rancori e la rabbia di cui si nutre la destra. Per contrastare con i fatti il cinismo e i rancori alimentati dalle destre occorre fare dell’accoglienza il progetto di un cambiamento radicale delle politiche e degli assetti dell’Europa; costruendo, a partire dall’iniziativa e dalle esperienze di chi già oggi è impegnato ad accogliere, ma soprattutto da un senso di umanità a cui non possiamo rinuncia52 14 maggio 2016 re, perché ne va della nostra stessa dignità, un programma politico capace di opporre all’economia del debito e all’austerità che ci imprigiona tutti, la conversione ecologica: la creazione di milioni di posti di lavoro per produrre, con meno fatica per tutti e meno sperperi, cose utili in campo energetico, in agricoltura, nell’edilizia, nei trasporti, nella gestione dei rifiuti. Per contrastare i cambiamenti climatici e le devastazioni ambientali, che sono la vera origine delle guerre che spingono tanti esseri umani a cercare rifugio tra noi. Attività che permettano loro anche di organizzarsi e operare per riportare la pace e la sostenibilità nei Paesi che hanno dovuto abbandonare. Creando così una Europa capace di includere coloro che Basta con l’economia del sono arrivati e conti- debito e dell’austerità. Con nueranno ad arrivare la riconversione ecologica tra noi, rivendicando si possono creare milioni di il più elementare e dei posti di lavoro e produrre con diritti: quello di vivere. meno fatica e meno sperpero IL LIBRO Sulle opportunità dell’accoglienza Guido Viale ha scritto un libro dal titolo eloquente: Rifondare l’Europa insieme a profughi e migranti (NdA Press, 2016). Il saggio pone al centro la questione dell’incapacità di affrontare contestualmente le sfide del clima, dell’economia (e delle disuguaglianze) e quella dei profughi in fuga da guerre e devastazioni, in cerca di riparo sulle sponde del Vecchio continente. Tre crisi interconnesse sollecitano un modo diverso di superare i confini: aprirsi a una cittadinanza inclusiva e ricreare nuove basi per la cooperazione internazionale. La primavera araba della letteratura Denunciano l’oppressione di regime e il fondamentalismo. La memoria delle primavere arabe fiorisce nei romanzi di autori noti ed emergenti. Come Saleem Haddad e Mahi Binebine, in arrivo in Italia U di Simona Maggiorelli na mattina del 16 maggio 2003, 14 giovani uscirono da una baraccopoli vicino a Casablanca per fare una carneficina, uccidendo 45 persone e ferendone centinaia. «Sono rimasto scioccato, come i miei concittadini. Fino ad allora avevamo pensato di essere immuni dal terrorismo» dice lo scrittore Mahi Binebine a Left. «Ma abbiamo dovuto affrontare l’amara realtà: i giovani responsabili di quella tragedia non venivano da fuori». Da quello choc, molti anni dopo, è nato il romanzo Les étoiles de Sidi Moumen uscito in Francia nel 2010 e che ora, finalmente, arriva nelle librerie italiane con il titolo Il salto, pubblicato da Rizzoli. Romanzo bruciante, febbrile, visionario in cui lo scrittore marocchino immagina la storia di questi ragazzi cercando di capire che cosa li ha portati alla pazzia di quel gesto. Il libro e il film, I cavalli di dio che ne è stato tratto, hanno aperto la discussione sulle radici del terrorismo islamico che continua oggi. «Pagavamo il prezzo dell’analfabetismo, della povertà, dell’ingiustizia che dilaga negli slums come Sidi Noumen alle porte di Casablanca. Come scrittore potevo rimanere inerte? Ovviamente no». La letteratura può cambiare qualcosa? «Ho qualche dubbio - ammette lo scrittore -. Ma penso anche che nessun atto contro la barbarie sia mai vano». Mahi Binebine è ospite al Salone del libro che, fino al 16 maggio, dà ampio spazio alle voci del mondo arabo (e sono tantis54 sime nella penisola araba come in Europa) che si oppongono alla deriva autoritaria e fondamentalista. Ospitando autori emergenti (come Laila Slimani, Nel giardino dell’orco, Rizzoli) e nomi noti come il poeta siriano Adonis, lo scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun che ha scritto Matrimonio di piacere (La nave di Teseo) contro i matrimoni combinati. E poi libri che fanno discutere come Le scintille dell’inferno di Abdo Khal e 2084 la fine del mondo (Neri Pozza) di Boualem Sansal che immagina un futuro dominato dalla teocrazia islamica. Fuori da scenari alla Michel Houellebecq, Mahi Binebine preferisce indagare la realtà. Lo fa utilizzando un registro letterario alto e una narrazione cinematografica e incalzante. Nel romanzo Il grande salto il fondamentalista Abou Zoubeir è tratteggiato come una personalità forte, carismatica. Ma né questo né le condizioni di indigenza in cui vivono Yashin, Hamid, Yashin, Nabil e gli altri ragazzi bastano a spiegare perché cadono nella trappola sposando la jihad. La religione sembra offrire loro uno schema in cui incanalare il loro malessere interiore, sembra dargli l’illusione di un’identità, di una appartenenza. «Ovviamente i poveri non diventano assassini. Non possiamo giustificare tutto con la disperazione e la miseria, di questi attentatori che si sentivano senza futuro. Ho trascorso molto tempo a Sidi Moumen, fra le capanne roventi, le fogne a cielo aperto e la discarica di 100 ettari. Se non fossi mai andato a scuola, forse anche io sarei stato una facile preda di mercanti di illusioni» commenta 14 maggio 2016 Dal vivo in Italia Mahi Binebine presenta Il grande Salto (Rizzoli) al Salone del libro di Torino il 14 maggio (alle 17) e il 17 maggio a Roma. Binebine, nato a Marrakech, è tornato in Marocco nel 2002 dopo aver vissuto a Parigi. Quando è uscita la traduzione in arabo lo scrittore è stato più volte minacciato. Saleem Haddad presenta al Lingotto a Torino il suo Ultimo giorno al Guapa (Edizioni e/o) il 13 maggio, nell’ambito di Lingua madre, voci arabe. Infine Shirin Ebadi è al Salone il 14 maggio alle 13,30 per presentare Quando saremo liberi (Bompiani) e a Milano, all’Università Bicocca il 16 maggio alle 11. © Ebrahim Noroozi/AP Photo Mahi Binibene: «Gli bastano due anni per fare un ragazzino un kamikaze. Spaventoso. Cominciano portandoli fuori dallo slum. Gli trovano un lavoro con “i fratelli”. E poi comincia l’indottrinamento» Binebine. «Lavorando con le associazioni in loco, ho scoperto che bastano due anni per addestrare un kamikaze. Spaventoso. Per prima cosa portano i giovani fuori dalla discarica, li ripuliscono facendogli fare le abluzioni cinque volte al giorno per la preghiera e poi gli trovano un lavoro con i “fratelli”. L’indottrinamento inizia con una lettura orientata Corano. Vengono gradualmente separati dalle loro famiglie. Il gruppo religioso diventa una famiglia surrogata che dà loro l’impressione di una dignità che non si sono mai sentiti addosso. Accusano gli ebrei e l’Occidente di tutti i mali dei musulmani. Gli mostrano video di “eroi”kamikaze...e in soli due anni, l’adolescente è piegato al loro volere». La parola vergogna rimbomba nella testa di Rasa, giovane traduttore che vive nel clima soffocante di una metropoli araba sotto regime. Come una mosca, la parola «‘eib», gli ronza nella testa mentre legge i giornali occidentali e si scontra con il tradizionalismo della nonna che gli offre dove dormire. Come molti ragazzi della sua età, Rasa sogna una vita diversa, libera dal peso dall’oppressione religiosa. Ma, mentre lotta per ottenere tutto questo, mentre cerca Taymour che è fuggito dal suo letto e l’amico Maj forse finito nelle mani della polizia, Rasa si sente diviso, fuori posto, incapace di sentirsi a suo agio. Gli accadeva nell’America apparentemente libera dove ha studiato come in questa imprecisata città araba di cui avvertiamo tutto il fascino e le contraddizioni. C’è molto di autobiografico in questo sorprendente romanzo d’esordio di Saleem Haddad, Ultimo giro al Guapa, (Edizioni e/o), giovane scrittore cresciuto in Kuwait e in Giordania, che ha lavorato per Medici senza frontiere, prima di trasferirsi a Londra. Un romanzo in cui si avverte l’urgenza di raccontare il mondo vivo e in rivolta che bolle sotto il coperchio della repressione politica e religiosa in un Paese che potrebbe essere l’Egitto normalizzato di Al-Sisi, mentre il ricordo della rivolta di piazza Tahrir è ancora vivo: quei giorni del 2011 hanno segnato uno spartiacque e gli egiziani non sono più disposti a chinare la testa. Ma la città dove è ambientata la storia di Rasa potrebbe anche essere Tunisi colpita al cuore dall’attentato kamikaze del 2015 al Museo del Bardo dopo la rivoluzione dei gelsomini o qualche altro luogo dopo che le rivolte della primavera araba sono state sovrastate da una nuova onda fondamentalista. «In realtà non c’è stato un ritorno del fondamentalismo» precisa Haddad. «Di fatto la repressione politica e religiosa non è mai cessata, neanche durante il periodo delle cosiddette primavere arabe. Semmai si è scatenata con più forza proprio per reazione alla rivolta. I regimi temono chi si ribella, chi sfugge al loro controllo, perché non sono stabili ed egemoni come vorrebbero far credere. E la repressione è l’unica arma che hanno a disposizione». Nel mondo arabo c’è sempre stata un’ampia parte di società laica, di cui sono espressione intellet- 14 maggio 2016 55 tuali e scrittori, in Siria come in Egitto o in Palestina. Oggi riescono a far sentire la propria voce? «La situazione nel mondo arabo è più complessa e sfaccettata di quanto si creda» dice Haddad a left. «Non penso si possa leggere in termini di contrapposizione manichea fra classe intellettuale laica versus quella musulmana. Il confronto, a mio avviso, è piuttosto fra coloro che vogliono il cambiamento e quelli che fanno di tutto per mantenere lo status quo, un sistema conservatore, disfunzionale, che imbriglia la società». Nato e cresciuto in una famiglia cosmopolita (madre tedesca irachena e padre con radici libanesi e palestinesi), lavorando per organizzazioni umanitarie, Saleem Haddad ha avuto la possibilità di viaggiare molto e di seguire la questione dei profughi da entrambi i punti di vista, quello arabo e quello europeo. Che idea ti sei fatto delle responsabilità dell’Europa che oggi rischia di chiudersi in una Fortezza? «Penso che l’Europa do- Saleem Haddad: «La repressione religiosa e vrebbe avere il coraggio di guardare politica non è mai cessata. Semmai è diventata alle proprie responsabilità, ricordan- più forte dopo le primavere arabe, perché do il sostegno economico e politico i regimi non sono solidi come vogliono far che ha dato ai regimi più repressivi credere e hanno a disposizione solo la violenza» del Medio Oriente. Alla luce di tutto ciò, è ipocrita rifiutarsi di accettare le conseguen- nosceva ai popoli conquistati. Rispetto a quella ze delle proprie azioni. Questo non significa mini- storia millenaria il regime teocratico di Khomeimizzare i problemi di integrazione e lo sforzo che ni segnò una cesura. «La situazione del sistema richiede ma significa vedere quali conseguenze penale era molto grave, dopo la rivoluzione del producono le decisioni dei nostri governi. Siamo 1979. La Repubblica islamica aveva sostituito il tutti esseri umani. Valori umani universali ci uni- codice penale laico che l’Iran aveva seguito sotscono a prescindere da dove siamo nati». to lo scià con un sistema legale islamico basato su letture della sharia, la legge islamica, risalenti Ha pagato la sua lotta per i diritti umani sulla al VII secolo», ricorda Ebadi. «Fu allora che intrapropria pelle il premio Nobel per la pace Shirin presi la strada che seguo ancora oggi, cercando Ebadi. E lo racconta in un’autobiografia scrit- giustizia in tribunale col sostenere i diritti dei più ta come fosse un romanzo, avvincente e vitale, vulnerabili - donne, bambini, dissidenti e minononostante il dolore per le molte ferite che il re- ranze - e lottando per riformare la legge sulla base gime iraniano le ha inflitto con il ricatto, con la del sentimento collettivo». Allora, come durante calunnia, con la prigione e la tortura di cui è stato gli anni di governo di Ahmadinejad, gli squadroni vittima anche suo marito. Nel libro Finché non della morte imprigionavano torturavano e uccisaremo liberi (Bompiani), che Ebadi presenta al devano scrittori e intellettuali. Il nome di Shirin Salone del libro, ripercorre le sue battaglie di ex Ebadi era nella lista nera. «Il ministero dell’intelgiudice e poi avvocato per un sistema legislativo ligence aveva formalmente approvato la mia uclaico e più equo. Scrive in persiano Shirin Ebadi, cisione», rivela. Non riuscirono ad eseguirla solo non in arabo, e nella sua prosa c’è l’eco della tra- perché i riformisti erano riusciti a far emergere dizione poetica persiana e l’orgoglio della storia il coinvolgimento dello Stato nelle squadre della iraniana che ha radici nel sistema legislativo fon- morte. E prima di essere costretta all’esilio Ebadato da Ciro il grande che nel VI secolo a. C. per di ha potuto vivere i giorni dell’onda verde, delle primo mise per iscritto, incidendoli su un cilin- rivolte giovanili del giugno 2009, a cui in questo dro, i diritti ( rivoluzionari per l’epoca) che rico- libro dedica le pagine più belle. 56 14 maggio 2016 © Naima Morelli © El Teneen Un’opera di El Teneen al Cairo che raffigura Giulo Regeni. Sotto un graffito a Tunisi tratto di L. Lacquaniti, dal libro Exorma. In apertura una ragazza per le strade di Teheran, 2016 PARERI IL COMMENTO di Andrea Masini Medea non è come Antigone Donna e follia non sono la stessa cosa «L a madre che uccide i suoi figli per vendetta contro il suo uomo agisce sotto il dominio di un amore cieco: una passione estrema» - scrive Massimo Recalcati nel suo articolo domenicale su Repubblica, “La sfida di Medea femmina folle di pietra e di ferro ”. «Il suo amore per Giasone risponde solo alla forza pura della passione,…in Medea la donna rivendica l’amore come passione dell’essere,… l’impeto passionale dell’amore femminile…, Medea rifiuta però il destino borghese …», e infine: «…Come accade per Antigone, la follia dell’amore la spinge a valicare ogni limite». Cioè Medea sarebbe un eroina!? Infatti la paragona ad Antigone, solo che Antigone, lo scrive lo stesso Recalcati, non uccide nessuno salvo se stessa. Sarebbe questa la differenza tra le due eroiche figure femminili, ma per il resto entrambe possono essere riproposte come esempi di donne forti che per amore «… valicano ogni limite...». Mi sento in dovere di provare a dire qualche cosa di diverso: Medea non è come Antigone. Non è un’immagine di donna da riproporre come esempio di coraggio al femminile. Il fatto che nella tragedia uccida il fratello, l’amante del marito e alla fine i suoi due figli non mi sembra un particolare trascurabile, né qualcosa che dopo 25 secoli possa essere portato ad esempio di passione e di amore. La tragedia di Euripide parla in modo straordinario di ben altro, di odio, di vendetta e poi di freddezza, di lucidità assassina, di calcolo spietato che non cede neppure di fronte al più orrendo delitto: quello di uccidere i propri figli pur di vendicare la ferita subita. Io la vedo più vicina a Lady Macbeth di Shakespeare che non ad Antigone di Sofocle. Ciò che però ritengo sicuramente gravissimo è quello di non fare il nostro mestiere e cioè di cercare, dopo esserselo ripromesso, di spiegare ai lettori, che non si occupano di questo, ma che lo vivono in prima persona tutti i giorni, che cosa è la realtà umana o ancor peggio di confonderli, rovesciando tutto. C’è, ci deve essere, una differenza tra la passione, l’amore, il desiderio, il coraggio e dall’altra parte l’odio, la vendetta, l’assassinio, l’anaffettività con la quale Medea decide di uccidere i suoi figli. E se tutto ciò poteva essere confuso, poco chiaro e fonte di ispirazione nel IV secolo a.C. non può essere la stessa cosa adesso e la psichiatria o la psicanalisi, nel caso quella di Recalcati, ci fa una gran brutta figura a insinuare, sulle pagine di un quotidiano, che le donne sono come Medea e per “passione”, coraggio e “amore per il proprio uomo” possono uccidere i propri figli e così rivendicare la propria femminilità che «…non si piega alle Recalcati sbaglia. La tragedia convenzioni e ai ra- di Euripide parla in modo gionamenti utilitari- straordinario di ben altro, stici». Riflessioni che di odio, di vendetta e poi nascon- di freddezza, di lucidità sembrano dere un pensiero as- assassina. Semmai Medea surdo, che non riesce è vicina a Lady Macbeth più a dare valore alle cose, trasformando il più orrendo dei delitti in un fatto secondario. Oggi abbiamo il dovere di pensare che è possibile provare ad essere madre senza questo distruggere la donna. La sfida potrebbe forse essere quella di realizzarsi prima come donna e poi anche come sapiente cioè realizzando un’identità sociale, e fatte tutte queste realizzazioni poter diventare madre, piena di amore per i propri figli concepiti in un rapporto di passione con un uomo. Oggi Noi sappiamo che c’è una Teoria nuova sulla realtà umana che apre la possibilità di trovare una nuova immagine femminile che non corrisponde in nulla a quello che racconta Recalcati. Perché non è mai stato vero che donna e follia sono la stessa cosa. 14 maggio 2016 57 Tutto il pop che non avevo mai osato fare Cosmo, frontman dei Drink To Me e cantante tuttofare, è in tour con L’ultima festa il suo secondo album da solista. Qui ci ha spiegato perché la posa indie-radical chic è una cosa ormai finita A di Giorgia Furlan ll’anagrafe è Marco Jacopo Bianchi, in arte invece è Cosmo. Un tipo decisamente allegro e intraprendente che, oltre a essere la voce dei Drink To Me, con L’ultima festa (42 records), da solista, fa cantare e ballare l’Italia dell’indie in attesa di conquistare anche il pubblico generalista. Ambizioni a parte, Marco è un ragazzo con i piedi per terra, che sul suo sito ufficiale si presenta come «produttore/musicista/cantante/qualcosa di Ivrea». In che senso «qualcosa di Ivrea»? Nel senso che faccio un po’ tutto da solo. Tecnicamente non posso dire di essere un bravo musicista o un bravo cantante, eppure faccio entrambe le cose e il risultato c’è. Questo disco è nato così, con me che facevo un po’ di tutto, incluse le copertine dove riprendo le foto della mia famiglia. Pensa che ho anche scritto uno spettacolo di luci per il tour e, con l’aiuto di mio padre, ho costruito le strutture per far sì che, durante il concerto, gli effetti delle luci fossero perfettamente sincronizzati alla musica. Insomma sono un tuttofare. Un tuttofare casalingo, lo studio di registrazione del disco è una stanza di casa tua… Sì, ho deciso di “darmi fiducia” e fare le cose come voglio. E quale modo migliore di un disco “fatto in casa”? Per ragioni economiche, visto che così i costi sono decisamente più bassi rispetto alla registrazione in studio, ma anche perché lavorare a casa, come si dice in gergo, “mi fa prendere bene”. 58 Trovo la mia dimensione e mi piace quel suono un po’ più artigianale e sporco. Ecco, se vuoi puoi scrivere che sono un “cantante casalingo”. Quanto sei soddisfatto del tuo home made? Molto. Altrimenti non lo avrei fatto uscire, non potrei mai produrre un disco di cui non sono soddisfatto. E poi realizzare questo album è stato davvero divertente, che non è così scontato quando fai un disco. Video, album, volevo che tutto parlasse di quello che ho a disposizione: le mie parole, i miei pensieri, la mia famiglia, la mia musica. Sono io, nessun personaggio. Solo quello che sono. Come è nato L’ultima festa? Sono partito da abbozzi e improvvisazioni messi da parte negli ultimi tre anni e, poi, in pochissimo tempo ho realizzato il disco. È venuto fuori in modo piuttosto istintivo, soprattutto è stato fatto con il buon umore. L’intenzione era di fare un disco tutto in cassa dritta, una dimensione che non avevo mai esplorato a dovere e che sto cercando di studiare anche con i Drink to me. A questa dimensione ho aggiunto gli effetti groove presi in prestito dalla techno, il synth e qualche richiamo alle canzoni dance degli anni 90. Ho lavorato anche molto sui testi, cercando di semplificarli il più possibile. Rispetto a Disordine, ne L’ultima festa, senza banalizzare i concetti, cerco di dire le cose nella maniera più diretta possibile. Perché mi sono reso conto che i testi schietti piacciono di più, e quelli troppo pretenziosi allontanano. Creano una distanza con il pubblico. “Le voci” è un piccolo manifesto del Cosmo-pensiero, decisamente pop. 14 maggio 2016 Roma Capitale dell’elettronica Dal 19 al 21 maggio Roma ritorna capitale della musica elettronica con Spring Attitude, il Festival internazionale di musica elettronica e cultura contemporanea che l’anno scorso ha contato circa 12mila presenze. Per tre giorni performance d’arte si fonderanno a concerti e dj set in alcuni dei luoghi che sono il cuore pulsante della cultura contemporanea nella Capitale: il MAXXI, l’ex caserma Guido Reni, e Spazio Novecento. Ospiti attesissimi gli Air, il duo francese assente dai palcoscenici di tutto il mondo dal 2010 e che proprio il 21 maggio ritornerà in anteprima. © Jacopo Farina Cerco di dire le cose nella maniera più diretta possibile. Perché mi sono reso conto che i testi schietti piacciono di più, e quelli troppo pretenziosi allontanano. Creano una distanza con il pubblico Il progetto Cosmo è nato perché volevo finalmente fare tutto il pop che non avevo mai osato fare con i Drink to me. Il mio primo disco da solista, Disordine, non era così pop dopotutto, il suono era troppo carico e i testi “stellari”, troppo pretenziosi. Volevo dire delle cose, ma non sono riuscito a dirle con schiettezza... avevo assunto un po’ la posa del poeta. L’ultima festa, invece, dice le cose in modo semplice, per come stanno davvero. Ho pensato: se voglio dire qualcosa anche se è mainstream o imbarazzante, la dico. Senza remore. Ovviamente, ho cercato di mediare e dire tutto nella maniera meno ridicola possibile. Una volta non sarei mai riuscito a scrivere una frase semplice e intima come: tuo padre te lo voleva dire che ti vuole bene. La schiettezza dei testi, si è visto con Calcutta, colpisce anche per la capacità di raccontare una generazione. Edoardo (Calcutta, ndr) è un amico, avevo sentito “Cosa mi manchi a fare” prima che uscisse il disco e mi aveva colpito molto. Ha una poetica diversa dalla mia, è più surreale e contemporaneo, ha questa capacità di mettere in fila delle immagini terra terra e tirarne fuori un testo che arriva alla gente. Ci sono frasi semplici, quasi banali se vuoi, che non riesci più a toglierti dalla mente. Il mio stile è diverso ma Calcutta, per alcuni versi, è un esempio: i testi devono essere semplici, non infarciti di paranoie. Forse è la fine di una posa indie e radical chic che non riesce più a coinvolgere le persone e comunicare con il pubblico? Sì, quella roba lì è finita. Allo stesso modo in cui è morta la sinistra d’Italia, lontana dal popolo e troppo intellettuale. A me fa piacere se la gente comune, che magari di musica non capisce nulla, apprezza le mie canzoni, non è una colpa non essere degli esperti. Per fare un parallelismo con la politica: perché dobbiamo lasciare che siano i tipi come Salvini a parlare alla gente? Il disprezzo per la massa, spesso, è un atteggiamento insensato e finisce per lasciare spazio a chi alla qualità non pensa. Se la gente comune arriva ad ascoltare anche generi più di nicchia si fa del bene alla musica. Un elogio al mainstream insomma… Oggi c’è l’idea che uno non possa far successo se non partecipa a un talent. Io ho fatto più di 500 concerti in vita mia, ho vissuto un mondo musicale di cui una persona che in genere va a un talent non conosce nemmeno l’odore. Proprio adesso, mentre chiacchieriamo sono su un furgone che puzza diretto verso la prossima data del tour e in passato ho suonato un sacco di volte anche solo di fronte a 30 persone. Come sta andando il tour? C’è un sacco di gente che canta e conosce a memoria i testi, in passato mi capitava molto più raramente. E poi si balla… La reazione è più calorosa, ma non è che mi monto la testa ora… Progetti per il futuro? Ho iniziato a produrre roba techno-strumentale, penso di imparare a mettere i dischi a tempo e realizzare poi un dj set di sola techno italiana. Hai anche una vita parallela... insegni Storia alle superiori in un istituto professionale, come riesci a coniugare le tue identità? Fino a qualche tempo fa erano proprio due vite parallele, adesso i miei alunni hanno scoperto che suono e ascoltato le mie canzoni in giro. Li ho visti contenti e sorpresi di questa scoperta, anche perché in classe sono un tipo piuttosto severo. Quando capita di parlare insieme di musica l’argomento riesce sempre a infervorarli... In occasioni così ti rendi conto che, per quanto nessuno compri più i dischi e sia difficile vivere di sola musica, in realtà la musica è una componente importantissima. Spesso, quando c’è la pausa o finiscono prima il compito in classe i ragazzi mi chiedono: “Posso mettermi le cuffiette e ascolatare una canzone?», mi rende felice rispondergli di sì. 14 maggio 2016 59 I mendicanti di Brecht diventano migranti Michieletto attualizza L’Opera da tre soldi. Ma il risultato, alla fine, non convince di Massimo Marino P arlava di «effetto intimidatorio dei classici» Bertolt Brecht, della polvere che si accumula e fa perdere la freschezza ai grandi testi, li trasforma in qualcosa di «tiepido, di confortevole, di scarsamente aggressivo… cioè di un’atroce noiosità». Ha fama di non farsi intimidire dalla tradizione Damiano Michieletto, che ha riallestito L’opera da tre soldi al Piccolo Teatro di Milano a sessant’an- ni dalla prima edizione di Giorgio Strehler e dalla morte dell’autore. Lui i classici li rovescia, li aggiorna, all’opera e a teatro. La vicenda del bandito Mackie Messer, circondato da una banda di criminali che sembrano bancari, viene rivissuta in flashback in un’aula di tribunale, tra sbarre che richiamano i maxiprocessi o la gabbia delle bestie feroci al circo. Ma lo spunto non è sviluppato, il giudice rimane inattivo per buona parte dello spettacolo, dopo la bella anticipazione iniziale dell’impiccagione conclusiva, preceduta dalla famosa frase che situa l’opera: «Che cos’è l’effrazione di una banca di fronte alla fondazione di una banca»? Il regista attua alcuni aggiornamenti, per cui i mendicanti si trasformano in migranti con i salvagenti, che premono, minacciano dall’esterno della gabbia, affogano... E non mancano le mazzette e altri riferimenti all’attualità, LIBRI ma il tutto resta in superficie. Il gioco non riesce. Le «provocazioni» sono esili, e il testo non ritrova la carica corrosiva, maledetta, seducente che aveva nel 1928. Si punta su un musical che scorra liscio, piallando le asperità, anche quelle che Brecht chiedeva per esempio, nel salto dalla recitazione al canto, per non far apparire nulla naturale. Spira spesso una noia compunta. Marco Foschi, un Mackie con qualcosa di Franco Califano, è rodomontesco e cool il giusto, ma non troppo assistito da capacità canore. Viceversa Peppe Servillo. Spiccano nel cast la Celia Peachum di Margherita Di Rauso e soprattutto la Jenny delle Spelonche da brividi di Rossy De Palma, attrice icona del regista spagnolo Pedro Almodovar. Efficace e a volte trascinante l’orchestrazione di Giuseppe Grazioli. Lo spettacolo è in scena fino all’11 giugno allo Strehler di Milano. Nella mente di una giovane assassina D’orzi firma un noir che scava nel profondo, senza fantasticherie sul Male di Filippo La Porta F © Masiar Pasquali TEATRO 60 14 maggio 2016 inalmente un noir che esce dalle regole del genere, che non si lascia affascinare dall’orrore e che si avventura in una interessante fenomenologia del male radicale. Tempo imperfetto (L’Asino d’oro edizioni ) di Massimo D’orzi è un romanzo-reportage liberamente ispirato al delitto di Novi Ligure (lei, sedicenne, e il fidanzato coetano, uccisero la madre e il fratellino di lei). Il giornalista Isidoro Ducassi viene mandato nel Nord-Est per scrivere di un delitto efferato, e si trova subito immerso in una nebbia fitta e insidiosa, che gli evoca alcune nebbie cinematografiche, da Carné ad Anghelopulos. Isabel Zarbo, che insieme al suo ragazzo Ronaldo, ha eliminato con più di cento coltellate madre e fratello, è imbevuta di cultura romantico-decadente e trasgressivo-surrealista (Blake: «È meglio strangolare un bambino nella culla che conservare in cuore un desiderio insoddisfatto»). Attraverso un sapiente montaggio di punti di vista diversi, frammenti di dialogo, riflessioni, diagnosi mediche, eccetera, ci addentriamo insieme al protagonista nell’enigma del ARTE Le magiche alchimie di Sigmar Polke A Venezia la prima antologica dell’artista tedesco Leone d’oro alla Biennale di Simona Maggiorelli A d accogliere il visitatore nel patio di Palazzo Grassi a Venezia è una teoria di sette dipinti monumentali che Sigmar Polke dipinse in occasione della Biennale del 2007. È l’ultimo importante lavoro realizzato dall’artista tedesco, che per questo ciclo pittorico intitolato Axial Age si ispirò al periodo assiale teorizzato da Karl Jaspers che immaginava una sorta di età dell’oro della civiltà dell’Asia e del Vicino Oriente collocandola fra l’800 a.C. e il 200 a.C. Qualche anno fa Axial Age campeggiava nel silenzio di Punta della dogana, il suggestivo museo incuneato nella laguna come una preziosa scheggia. E i riflessi cangianti, tono su tono, di queste pitture astratte erano resi ancor più magnetici e suggestivi dai riflessi del mare. In Palazzo Grassi, seconda sede, più classica, della Fondazione Pinault la costellazione di Axial Age fa da incipit alla prima ampia antologica italiana di Sigmar Polke (1941-2010). Che stranamente - insieme al catalogo Marsilio in italiano e inglese - arriva dopo molti anni dall’affermazione di Polke sulla scena internazionale che avvenne alla Biennale di Venezia del 1986 quando fu premiato con il Leone d’oro. © Sigmar Polke male. E scopriamo che non ha in sé niente di abissale o demoniaco, come invece potrebbe far pensare l’orizzonte culturale di Isabel, ma nasce da una grande freddezza, da una pulsione di annullamento, «nel deprivare di ogni senso gli umani tentativi di avvicinarsi a lei». Anche un’azione così cruenta non deriva da un eccesso, da una passionalità incontrollata ma da un raggelamento, di sé e della realtà circostante, da una desertificazione del mondo. L’invenzione più bella del libro - costruito con un ritmo incalzante che rivela conoscenza delle “retoriche” del genere - è che Ducassi capisce questa verità non tanto attraverso i libri ( e anzi ci appare come una figura disumana quel giudice che sentenzia «corazzato dietro i suoi libri») quanto attraverso la vita, attraverso la sua relazione d’amore con Gaia, una ragazza cui dava delle lezioni, e che lo bacia «con quelle labbra che sapevano di polpa di melagrana, sangue e rugiada». Tempo imperfetto di Massimo d’Orzi sarà presentato domenica 15 alle ore 12, in sala Romania al Salone del libro di Torino I due curatori, Elena Geuna e Guy Tosatto, in questa mostra aperta fino al 6 novembre ne offrono un ritratto attraverso 90 opere, ripercorrendo a ritroso la parabola artistica di Polke dagli anni Duemila agli anni 60. Individuando alcuni fili rossi che hanno attraversato la sua ricerca. In primis il gusto per la sperimentazione, a tutto raggio, fra cultura alta e pop lavorando materiali preziosi come il cristallo di rocca ma anche utilizzandone di poveri come la carta. Il gusto raffinato per il collage con trasparenze alla Picabia andava in lui di pari passo con il gusto di giocare con sistemi di stampa che si usavano in un tempo lontano, come il retino. Nella città che dal ’500 fu la capitale europea della stampa grazie ad Aldo Manuzio (al centro di una bella mostra 14 maggio 2016 61 alle Gallerie dell’Accademia) l’opera di Polke mostra dunque radici antiche evocando anche un maestro della xilografia come Albrecht Dürer che proprio a Venezia riuscì a far fiorire il proprio talento liberandosi della tormentata rigidità dell’arte nordica tardo gotica. Come i suoi amati artisti del Rinascimento, da Leonardo a Parmigianino, anche Sigmar Polke era affascinato dall’alchimia e dai processi di metamorfosi delle forme e dei colori. Una tematica carsica che riemerge qui in opere dedicate a Leonardo e a maestri di esoterismo come Hermes Trismegistos, a cui fa esplicito riferimento un’opera del 1995. In omaggio a Johan Zahan, inventore di un particolare tipo di camera oscura e illustratore di lanterne magiche nacque invece la serie Stralhen Sehen. BUON VIVERE SOCIAL Il segreto del Drake è nel risotto Conspire riuscirà a battere LinkedIn? Appena le analisi lo consentivano, il patron della Ferrari se ne concedeva uno Con Gmail e la teoria dei Sei gradi di separazione crea una fitta rete di contatti professionali di Francesco Maria Borrelli di Sophie Duras E nzo Ferrari, il Drake. Il papà della Ferrari che ha vinto tutto nella vita, quando necessario sapeva arrangiarsi con un panino ma appena possibile amava gustare della buona cucina, anche in vecchiaia. In là con gli anni soffriva «di problemi piuttosto seri ai reni che lo costringevano a una dieta severa, una sofferenza per un amante della buona tavola come lui», scrive Oscar Orefici in Ferrari: romanzo di una vita. «Tutti i venerdì, ha confidato Piero (figlio di Enzo, ndr)faceva gli esami del sangue e se erano perfetti al sabato e alla domenica mangiava tutto ciò che preferiva, in particolare i risotti ben conditi». Alcuni lo definivano un uomo solo, scrive Patrizia Principi in Enzo Ferrari: cuore e strategia ma con «l’industriale Piero Barilla, l’ingegner Benzo e il carrozziere Sergio Scaglietti cenava spesso consumando il suo piatto preferito, il risotto». Beh, prepariamone uno da pole position: cozze e pesce spada. Ingredienti per 4: riso 320 gr; cozze 650gr; pesce spada 250gr; brodo di pesce 7dl; vino bianco; olio Evo; peperoncino; aglio 3 spicchi; prezzemolo. imbiondite Preparazione: 1 spicchio d’aglio in padella con l’olio, toglietelo, aggiungete il pesce a dadini, sfumate col vino, salate e cuocete 10 minuti col coperchio. Fate aprire le cozze in pentola, sgusciatele e conservate i mitili e l’acqua di cottura filtrata. Imbiondite l’aglio restante in padella con l’olio, levatelo, aggiungete l’acqua filtrata, il peperoncino e poi il riso mescolandolo in modo che assorba l’acqua. Aggiungete poco alla volta del brodo di pesce caldo e mescolate per ottenere un risotto cremoso; 2 minuti prima di terminare aggiungete cozze e pesce spada col suo sughetto. Impiattate, con del prezzemolo tritato in cima. Birra consigliata: ZenzEros, birrificio Kamun. «È di frumento artigianale non filtrata, aromatizzata con la radice di zenzero, non pastorizzata e senza additivi aggiunti. Già nel 1998 facevo la birra in casa e ancora oggi le ricette vengono dalla passione personale, specie nella ZenzEros nata come un omaggio alla fidanzata. Il risultato è un birra leggera, beverina, citrica, con il potere sgrassante dello zenzero che lascia spazio tra un boccone e l’altro. Si abbina ai piatti di pesce crudo o cucinato», racconta il mastro birraio Gian Paolo (Gippo) Camurri. 62 14 maggio 2016 È l’anti-LinkedIn? Forse. Finalmente un social sul mondo del lavoro. Conspire è una start-up fondata poco più di un anno fa che lancia il guanto di sfida al Golia dei social network lavorativi, Linkedin. Alex Devkar e Paul McReynolds, due statistici con alle spalle una Laurea a Stanford, notarono tempo fa un elemento: LinkedIn è un’incredibile vetrina per le proprie capacità professionali ma non per estendere la propria rete di conoscenze.Infatti per entrare a far parte della cerchia dei contatti di un professionista iscritto di LinkedIn è necessario che la si conosca o che ci sia qualcuno pronto a fare da “intermediario”. Oppure, si sarà costretti a spammare. Conspire invece nasce con l’intenzione di permettere agli utenti di espandere la propria rete professionale in maniera automatica. Tutto ciò di cui si avrà bisogno sarà solamente il proprio indirizzo di posta elettronica e una rubrica di contatti. Sfruttando i principi della teoria dei “Sei gradi di separazione”, il social di Devkar e McReynolds è in grado di trovare contatti “intermedi” che possano fungere da collegamento con i professionisti di cui si ha bisogno. Come funziona? Dopo essersi iscritti ed effettuato il login, il sistema effettua la scansione di tutti gli indirizzi salvanti nella rubrica e cerca le corrispondenze con gli altri indirizzi presenti nel database. Quando si vuole entrare in contatto con qualcuno, basta inserire il nome all’interno del motore di ricerca e spulciare tra i risultati alla ricerca di un contatto condiviso. O lo stesso Conspire suggerisce quale sia il “percorso” sociale più breve. Stando ai dati riportati dai due fondatori, i primi 1.200 iscritti hanno portato in dote un database di oltre cinque milioni di profili. Un dato impressionante. Per Devkar, una volta che gli iscritti a Conspire raggiungeranno quota 25.000, la rete di contatti potrebbe superare la soglia dei 100 milioni. Qual è l’idea? Conspire analizza le vostre relazioni lavorative di primo grado e determina la forza e la “vicinanza” dei vostri rapporti. Come lo fa? Collegandosi alla vostra Gmail e osservando i vostri flussi di comunicazione. APPUNTAMENTI Baliani e Cederna, sguardi dal fronte Il ritorno dei Muse con il Drones world tour Un raro Come vi piace di Shakespeare Milano - A grande richiesta tornano in Italia i Muse. Il Drones world tour della band inglese fa tappa a Milano dal 14 al 18 maggio e ancora il 20 e il 21 maggio. Dopo il successo a Roma il gruppo guidato da Matt Bellamy suona dal vivo per al Mediolanum Forum di Assago. www.muse.mu Torino - È l’unica commedia di Shakespeare con una bella protagonista femminile. Ma Come vi piace è poco rappresentata in Italia. Da non perdere l’allestimento del regista Leo Muscato. Dal 17 maggio al Carignano. E al Salone il 16 maggio “tradurre Shakespeare” per Einaudi con Bertinetti. www.teatrostabiletorino.it © Marzia Migliora Roma - Al teatro India storie e sguardi dal fronte con il trittico Uomini in trincea per un viaggio nella Grande Guerra. Con gli assoli di Marco Baliani, Giuseppe Cederna e Mario Perrotta, dal 16 al 24 maggio. Si parte con Trincea di Baliani, per la regia di Maria Maglietta, dal 16 al 18 maggio. www.teatrodiroma.net Se Marzia Migliora incontra Ghirri e Araki Lissone (Mb) - Quello che noi crediamo di sapere della fotografia. Con questo titolo al Museo d’arte contemporanea sono esposte opere di 16 maestri, da Ghirri ad Araki, da Ruff a Struth, da Tracey Moffatt a Olivier Richon. E talenti più giovani come Marzia Migliora (in foto). www.comune.lissone.mb.it Le onde gravitazionali del festival delle scienze Roma -Dal 20 al 22 maggio all’Auditorium l’XI edizione del Festival delle scienze. Il tema è la relatività. Tra gli ospiti il cosmologo João Magueijo, David Kaiser e il fisico Scott Hughes in dialogo sulla fisica quantistica e le onde gravitazionali. Il filosofo della scienza Ned Markosian e molti altri. www.auditorium.com Trenta opere di Giorgio Morandi Ninfe e regine dalle opere di Monteverdi Ascona - Il fascino delle nature morte e dei paesaggi senza tempo di Giorgio Morandi. 30 opere del maestro, 15 disegni e 11 acqueforti, realizzati tra gli anni 20 e gli anni 60 sono in mostra negli spazi espositivi del Castello di San Materno, per iniziativa della Fondazione per la cultura Alten di Soletta. www.museoascona.ch Cremona - Torna il Monteverdi festival con musica barocca, cross over e una crociera sul Po sulle tracce del compositore, dal 14 maggio al 4 giugno. Vergini, ninfe, regine affollano l’edizione 2016 che ha il cuore al teatro Ponchielli, la città che diede i natali a Claudio Monteverdi (1567-1643). www.teatroponchielli.it Il Punk a quarant’anni suonati Firenze - Fino all’11 giugno alla libreria Brac la mostra PUNKtable, un progetto ideato da Sonia Pedrazzini per Brac’s art on table a cura di Monica Zanfini. per celebrare i 40 anni del Punk. L’evento è inserito nel calendario di The Culture Diary, sito ufficiale degli eventi di Punk London. www.libreriabrac.net 14 maggio 2016 63 TRASFORMAZIONE La creazione della realtà umana è un istante ma l’inizio del tempo finito della vita umana chiama in silenzio la parola “poi” e vengono movimento, suono, capacità di immaginare e memoria... La storia con tutti e nessuno N on c’era ricordo. Le mille teste, che il 6 novembre avevo visto davanti a me seduto sulla cattedra, erano diventate un movimento dell’aria che, entrata nel corpo, dava un senso di freschezza leggera. In alto, lontano, c’erano... “una fila orizzontale di prosciutti appesi” ed il linguaggio pesante nascondeva la dolce fantasia della mia testa appoggiata sulle cosce unite di una donna. E subito, quando il pensiero non è più memoria ma soltanto parola penso al seno della donna che, ora con la destra ora con la sinistra, mi allattò. Ed ogni mammella che si afflosciava, come se diventasse depressa dopo il rapporto con la mia vita, spariva perché compariva l’altra piena e calda desiderosa di essere amata. Il corpo si mosse lasciando la coscienza che si uccideva nel dubbio razionale di andare o non andare. Era il 17 aprile e nel tardo pomeriggio andai alla libreria Feltrinelli di via Appia. Salii le scalette nascoste alla vista di tutti ed il ricordo chiama l’immagine di quando, nel 1998, salii i diciotto scalini che mi portarono alla soffitta abbandonata. Fu una separazione che aveva il senso del movimento che il tempo della vita disegna nel corpo umano che è pensiero senza linguaggio articolato. Travolto dall’applauso che esplose appena mi videro parlai per pochi minuti. Dissi che non potevo ringraziare la massa di persone anonime con cui ci fu una storia di vita e morte... essere o non essere. Avevo vissuto il rapporto con il movimento che scosse le menti dalla rassegnazione ad un destino del corpo che diceva da... sempre, del male radicale della vita e non parlava della ricerca sull’umano inconoscibile. Le parole del linguaggio articolato parlarono, in verità, non soltanto del 6 novembre ma del 5 dicembre in cui una donna disse: con questi scritti possiamo fare un’infanzia felice. Non parlai, ma penso che il 5 dicembre quelle parole che dicevano “certezza”, erano legate alla realtà che la non ragione vedeva in me che scrivevo e riscrivevo pensieri che erano le idee di cinquanta e sessanta anni fa che avevano parole diverse. L’applauso che consumava il tempo della vita erano onde sonore che scrivevano tra gli scaffali che erano alberi in un prato verde, nei muri, sul soffitto, «capacità di amare». Investito dal suono delle mani che parlavano cantando, muovevo brevi passi sulle tavole di legno, e vedevo una linea lunga, senza inizio né fine, che si muoveva come fosse la gomena di una nave che si era slacciata dagli alberi che tendevano le vele che, con il vento, si gonfiavano. 64 14 maggio 2016 Vedo che l’albero maestro, cui si legò Ulisse per udire il canto delle sirene senza esserne travolto, sta nell’estate scorsa quando, sospese le sedute per la pausa estiva, accadde l’incomprensibile. Furono le parole che corsero per l’aria fin dalla prima settimana di settembre «Sono stata bene, mi è passata la depressione» che rivelarono... il contrario di ciò che dice Montale «vedrò compirsi il miracolo, il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me». Gennaio 2016. Vennero i dieci termini verbali che erano la ricreazione della parola che parlava della nascita umana e suonava come fantasia di sparizione. Furono stampate sull’articolo di Left con il titolo Sorgenti del tempo del fiume della vita. Ora la voce della memoria-maestra dice le prime quattro: pulsione, vitalità, movimento, suono e tornano le parole che improvvisamente dissi: è uno stupido errore! L’avevo detto, in verità, con la parola “possibilità” che non è esistenza, ma quel giorno la mente si liberò da un’incertezza che mi aveva portato a scrivere: linea che non c’è e non scrivere tempo che, alla nascita, c’è. Certamente perché ormai non era più vero lasciare la parola “esistenza” nell’indifferenza. Venne e non ci furono dubbi: andava pensata e scritta subito dopo la parola vitalità. Il rapporto col termine tempo fu più sofferto. Era calmo nel matrimonio con la parola vita, nelle parole nuove che dicevano: la vita inizia alla nascita e...con essa, il tempo finito dell’individuo. Ma il termine “finito”, certo per la realtà della vita e morte dell’individuo, chiamava il gemello non compreso e trascurato che aveva il nome di “infinito”. Ed era sempre presente il quesito che proponeva una ricerca che rifiutava la parola impossibile. È possibile e reale pensare che il tempo finito della vita del singolo sia la comparsa nel corpo, del tempo infinito dell’universo fatto da realtà senza il movimento che è trasformazione, ma soltanto spostamento della materia nello spazio? Ed allora il tempo misurabile dall’inizio alla fine quando scompare, sta nella pulsione che diventa esistente come reazione alla luce e scompare alla morte del corpo? E la pulsione non sarebbe creazione della realtà biologica ma trasformazione o ricreazione del tempo eterno dell’universo. Non so se resistere al dolore di perdere il pensiero che dice “creatività della realtà biologica umana che, con pulsione, crea la realtà non materiale umana e la vitalità e l’esistenza...” o vivere la calma stupida e felice che mi danno i versi di Leopardi. Massimo Fagioli psichiatra E come il vento/odo stormir tra queste piante, io quello/ infinito silenzio a questa voce/ vo comparando e mi sovvien l’eterno/ e le morte stagioni e la presente/ e viva, ed il suon di lei. Così tra questa immensità s’annega il pensier mio:/ e il naufragar m’è dolce in questo mare. E mi rimprovero di non aver letto con certezza che “l’eterno” non è con la “E” maiuscola. È vero che non si può vedere la verità della nascita umana se si crede nell’esistenza dello Spirito assoluto che precede nel tempo e crea la materia. Trovo così davanti alla percezione della coscienza le parole: movimento e tempo che hanno con sé i termini: realtà materiale e spostamento nello spazio. Il tempo non c’è perché inizio e fine sono oscurati dalla parola infinito. Penso, ai due termini verbali che fanno la parola nuova” venti secondi” che dice: lo spazio in cui entra il corpo è l’aria che, immobile, sembra che non esista. Non è quello del liquido amniotico in cui è immerso il feto. Il corpo del bambino non è quello del feto. La percezione della coscienza dice che è lo stesso ma io dissi che il corpo del neonato prima non esisteva perché nel feto non esisteva rapporto con la realtà fuori di esso. E’ una realtà biologica che non ha in sé la realtà non materiale detta pulsione che è reazione alla luce inanimata. Insieme alla vitalità, che fa il movimento che non è spostamento nello spazio, il corpo flaccido non ha la forza di muoversi. E, subito, penso che la vitalità non è sinonimo di forza muscolare.È rifiuto di credere alla percezione della realtà biologica come verità dell’essere umano. È allontanamento dal proprio corpo di un corpo simile che non ha l’affettività della fantasia. Sono grato alla parola “tempo” che, diventando finito, dà alla coscienza una maggiore conoscenza dell’incomprensibile tempo non infinito detto “venti secondi”. Il movimento nello spazio del feto nell’utero scompare nei primi secondi dopo il parto. Dopo compare un movimento simile che è altro diverso perché, con il connubio monstrum con la realtà inanimata della luce, il corpo crea una realtà non materiale. L’applauso. Udii il Nell’istante senza tempo emerge dalla realtà biologica la pulsiosuono di una ne che è, insieme, annullamento dell’esistenza del mondo e creazione della vitalità. Passano “venti secondi” in cui il corpo silenzioso è “senza forza”. Poi scalcia, passione d’amorespira, vagisce. Il tempo finito e misurabile è necessario perché l’attività cerebrale re. Avevano trovato possa dare la forza all’apparato osteomuscolare che muove il corpo nello spazio. il sorriso del moviVedo che fu bella la discussione con tanti e nessuno che domandava: c’è spamento della vita. L’umano zio nell’istante senza tempo dove vanno collocate le parole pulsione-vitalità? “Poi” esistenza, tempo, movimento, suono... . Chiedevamo all’intelligenza non era più mangiare, bere, umana: quel “poi” è la verità di una realtà? Oppure inizio del tempo va dormire. Era essere, oltre che collocato vicino a vitalità prima di esistenza? esistere. Soltanto alcuni hanno Sarebbe più vicino a pulsione e più lontano da “movimento” che diventa movimento del corpo, oltre la vitalità che non chiede la detto di essere smarriti, perduti, forza del corpo. Sarebbe più vicino, terribile, al pensiero di tanti depressi, non ho visto nessuno con il che esiste una realtà non materiale senza l’esistenza della linguaggio dissociato. Il gatto e la volbiologia del corpo umano.È soltanto angoscia della morte, disse qualcuno. pe che volevano distruggere la ricerca di Viene la memoria che, in un tempo lontano, vedendo Pinocchio che cercava di diventare bambino persone che, avanti con gli anni, erano vive e vegete si sono allontanati. Una ragazza disse: Weltunpensai: non esiste l’angoscia del mancato funzionamento del corpo, la scomparsa della vita. E’ tergangserlebnis ma io non ho creduto. C’è semangoscia della pazzia, di perdere la ragione ed pre mistero nella poesia di Leopardi che parla di il rapporto con la realtà materiale percepita solitudine, di donna, del silenzio della nascita umana dalla coscienza, nella veglia. Poi lessi “tere Montale che, cent’anni dopo, dice: “rivolgendomi”… il rore dell’ubriaco” ed era l’ideologia del Male...radicale che starebbe nell’intimo nulla, il vuoto. “L’inganno consueto” è la ragione che dice: di ogni essere umano. das Unbewusste. 14 maggio 2016 65 IN FONDO A SINISTRA di FABIO MAGNASCIUTTI 66 14 maggio 2016 A O L M L A A I D N PIÙ TTE I O D E E M T IE LE S O N V I I . O A V RT A . C I V A I R S T U CL VOS S E I G G VANTA EAS GID N I R A SH Carta Oro Exclusive: un Personal Assistant, un innovativo Servizio Protezione d’Identità che ti avvisa se i tuoi dati personali sono a rischio di utilizzi fraudolenti e molti altri vantaggi. intesasanpaolo.com Messaggio pubblicitario con finalità promozionale. Per le condizioni contrattuali della Carta di credito Oro Exclusive fare riferimento ai Fogli Informativi disponibili presso le filiali e sul sito internet delle banche del Gruppo Intesa Sanpaolo. 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