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14 MAGGIO 2016
NUMERO 20 | SETTIMANALE
€ 2,50
60020
9 771594 123000
QUESTA È LA QUARTA
RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
Robot che fanno i lavori più duri, intelligenze artificiali
che apprendono le emozioni. Tutto cambia, ma torna un vecchio dubbio:
ci liberano dal lavoro o ci rubano il lavoro?
210x280,5_IlTest_Istituzionale.indd 1
04/04/16 17:56
ONDA PAZZA
di MAURO BIANI
14 maggio 2016
3
SOMMARIO DEL NUMERO 20 - 14 MAGGIO 2016
Imparano, imparano questi robot. Sui
social network trovano tracce delle
nostre emozioni, degli impulsi, delle
reazioni a un imprevisto. Dati, solo
dati, è vero, ma che possono indurre comportamenti quasi umani. La
quarta rivoluzione industriale è qui e
ripropone un rovello antico: ci libererà
dal lavoro che non amiamo o ruberà
il lavoro per cui viviamo? Carrozza,
Dosi, Guarascio e, per Left, Furlan e
Mazzonis. Intanto la senatrice a vita
Elena Cattaneo contesta il metodo
e il merito delle scelte di Renzi sulla
ricerca, a pagina 10. Il nostro cronista
scientifico, Pietro Greco, scopre che
non sono gran cosa i soldi promessi
alla ricerca, pagina 13. La #buonascuola? Fa il punto Donatella Coccoli a pagina 16, subito dopo Chiara
Saraceno spiega come il destino di un
bambino venga precocemente segnato
dal contesto in cui ha studiato.
Giustizia e politica: Felice Casson,
pagina 37, e Luca Sappino, pagina 34.
Guido Viale scrive per Left il succo del
suo ultimo libro: verrà dai migranti la
spinta per la riconversione ecologica
dell’economia, che eviterà gli sprechi e
creerà più lavoro.
Il mondo di Left questa volta parte
da Londra, dal ritratto di un sindaco
musulmano e pro matrimoni gay, della
sinistra laburista ma lontano da Corbyn, che potrebbe perfino sfidare. Un
giorno. In Spagna, Podemos chiude un
accordo con Izquierda Unida e potrebbe scavalcare i socialisti alle politiche
del 26 giugno. Michela AG Iaccarino
fa il punto sulla repressione in Egitto,
raccontando la storia di Malek, dato
in carcere quando era in fuga e poi,
purtroppo, preso davvero.
03 ONDA PAZZA di Mauro Biani
05 EDITORIALE di Corradino Mineo
06 LETTERE
07 PICCOLE RIVOLUZIONI di Paolo Cacciari
07 IL NUMERO
07 LA DATA
07 UP&DOWN
PRIMO PIANO
20
COPERTINA
34
Cronaca di una rivoluzione annunciata
20
di Martino Mazzonis
Maria Chiara Carrozza: I robot
migliorano la vita dell’uomo
di Maria Enrica Virgillito
24
E se le macchine imparano
a emozionare?
di Giorgia Furlan
26
Giovanni Dosi: Siamo a un bivio
di m.m.28
I robot ci rubano il lavoro?
di Dario Guarascio
30
Riccardo Staglianò:
La poesia non è un algoritmo
di Simona Maggiorelli
32
SOCIETÀ
Giudici vs Renzi
di Luca Sappino
34
ESTERI
46
Anche Malek in carcere in Egitto
di Michela AG Iaccarino
40
Podemos ci riprova. E guarda a sinistra
di Tiziana Barillà
44
Sadiq Khan, il nuovo sindaco
di Londra è musulmano e laburista
di Massimo Paradiso
46
Cosa aspettarsi da Sanders e Corbyn
di Dario Castiglione
48
CULTURA E SCIENZA
54
08 FOTONOTIZIE
37 PARERI di Felice Casson
38 VAURANDOM di Vauro Senesi
52 PARERI di Guido Viale
57 PARERI di Andrea Masini
60 LIBRI di Filippo La Porta
60 TEATRO di Massimo Marino
4
Elena Cattaneo: Le risorse per
la ricerca non finiscano a pochi noti
10
di Corradino Mineo
La montagna partorisce il topolino
di Pietro Greco
13
Come si sta male con la Buona scuola
16
di Donatella Coccoli
Dimmi dove hai studiato e ti dirò che
futuro avrai
di Chiara Saraceno
18
14 maggio 2016
La primavera araba della letteratura
di Simona Maggiorelli
54
Tutto il pop che Cosmo non ha mai osato
di Giorgia Furlan
58
61 ARTE di Simona Maggiorelli
62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli
62 SOCIAL di Sophie Duras
63 APPUNTAMENTI
64 TRASFORMAZIONE di Massimo Fagioli
66 IN FONDO A SINISTRA di Fabio Magnasciutti
EDITORIALE
di Corradino Mineo
UN “NO” FORTE CHE GETTI VIA
LA ZAVORRA IDEOLOGICA
Matteo Renzi non è il pollo che sembra in televisione e che Crozza sfotte con grande gusto. Capisce la
politica e decide con lestezza. Lunedì 9 maggio ha
annunciato che dopo il referendum convocherà il
congresso del Pd. Se dovesse vincere il Sì, ricevuta
l’investitura popolare che gli manca, potrebbe delegare a un pretoriano la guida del partito. Se fosse
invece sconfitto dai No, dopo la prevedibile manfrina “lascio come DeGaulle”, “No Matteo, la patria
ha bisogno di te” vestirebbe la casacca di segretario
per portare il Paese ad elezioni anticipate, probabilmente con una legge diversa dall’Italicum, per
non lasciare il malloppo, cioè palazzo Chigi, a un
Di Maio qualunque. Ci sa fare e nel suo mestiere,
la tattica politica, non ha avversari. Se vivessimo in
tempi normali, ce lo terremmo a lungo.
Ma non è ordinario il tempo che viviamo. La Terza
Via, l’idea che si possa innestare il liberismo turbo
capitalista nella vecchia pianta socialdemocratica, fa acqua ovunque. In Austria il cancelliere si
dimette dopo che Spo ha preso l’11 per cento, in
Germania l’Spd è un’ancella della Merkel, in Francia Valls prende schiaffi da destra (il suo ministro
Macron) e da sinistra (Aubry e Monteburg). Persino in Gran Bretagna, nonostante Jeremy Corbyn, i
laburisti non riescono più a rappresentare la sinistra che, in Scozia, vota per gli indipendentisti. E
in Spagna, Sanchez passa da quasi premier a leader di un Psoe che potrebbe arrivare solo terzo alle
elezioni del 26 giugno. D’accordo, Renzi è più bravo, ma la sua ricetta è la stessa: non si può cambiare nulla delle politiche neo liberali, mentre dalla
Merkel si possono ottenere solo sconti, qualche
bonus, in cambio di obbedienza quando serve.
The Third Way is a dead man walking. Perché non
ci sarà in Europa una ripresa come negli anni 60,
il ceto medio non riprenderà a spendere e spandere, i nostri figli non si batteranno per un lavoro
sicuro magari meglio pagato del nostro. Le abissali
disparità di reddito create dal capitalismo finanziario deprimono la domanda, le produzioni avanza-
te - in questo numero Left parla di robot e intelligenza artificiale - non creano abbastanza lavoro e
non distribuiscono tanti soldi come fu con il boom
dell’edilizia. La gente spende meno e la deflazione
spegne, con la ripresa, il sorriso. Il nostro sonno si
popola allora di incubi. Il terrorista, meglio viaggiare di meno. L’immigrato, che mi ruba il lavoro e minaccia la mia sicurezza. Nascono partiti xenofobi,
tornano i muri, si evocano politiche protezioniste
e tutti costoro definirebbero Tony Blair (o Matteo
Renzi) uno stronzetto che fa “cheese” in televisione.
Solo una rivoluzione può salvare l’Europa. Non
penso alla presa di un Palazzo d’Inverno, che non
c’è, ma a una rivoluzione culturale europea, un rovesciamento del modo di pensare, un ribaltamento
degli assiomi su cui l’accordo di Maastricht fondò
l’Unione. Insomma, dire ai tedeschi che senza ristrutturare il debito dei Paesi mediterranei - povera
Grecia, ancora costretta a pagare - senza un piano
del lavoro europeo, una politica fiscale e industriale
comune, senza difendere, non solo con la Russia ma
anche con Ungheria e Turchia, diritti e libertà. Senza questo minimo imponibile l’Europa è già finita. E
se loro tedeschi, i più favorevoli all’Europa -dice un
sondaggio di Diamanti- se ne vogliono andare, che
vadano, tanto non sanno dove.
Ma tutto questo Renzi non lo fa. Né lo faremo noi di
sinistra se non ci liberiamo delle scorie e della falsa
coscienza accumulate negli anni: movimentismo,
operaismo, elettoralismo, ecologismo piagnone, pacifismo come postura, femminismo alla Clinton. Se
non ci libereremo dalla pretesa di essere anziché fare,
dalla comoda spocchia con cui proclamiamo una
nostra diversità, che spesso è diversa solo dal buon
senso e ci rende casta agli occhi dei Millennials. Vasto programma, direte. Ma, provvido, Matteo Renzi
ci offre un’occasione: 5 mesi di campagna con il No,
senza mescolarsi ma capaci di coinvolgere tutti, destra, sinistra e 5Stelle, in nome della restaurazione di
regole buone e democratiche. Che permettano alle
idee nuove di divenire una pianta rigogliosa.
14 maggio 2016
5
Lettere
DIRETTORE
Corradino Mineo
[email protected]
VICE DIRETTORE RESPONSABILE
Ilaria Bonaccorsi
[email protected]
[email protected]
REDAZIONE
Tiziana Barillà
[email protected]
Donatella Coccoli
[email protected]
Ilaria Giupponi
[email protected]
Raffaele Lupoli
[email protected]
Simona Maggiorelli
[email protected]
Luca Sappino
[email protected]
Augias vittima
del “politicamente corretto”?
TEAM WEB
Martino Mazzonis
[email protected]
Giorgia Furlan
[email protected]
GRAFICA
Alessio Melandri (Art director)
[email protected]
Antonio Sileo (Illustrazioni)
Monica Di Brigida (Photoeditor)
[email protected]
Progetto grafico: CatoniAssociati
EDITORIALENOVANTA SRL
Società Unipersonale
c.f. 12865661008
Via Ludovico di Savoia 2/B
00185 - Roma
tel. 06 91501100
[email protected]
Amministratore delegato:
Giorgio Poidomani
REDAZIONE
Via Ludovico di Savoia, 2B - 00185 - Roma
tel. 06 91501239 - [email protected]
PUBBLICITÀ
Federico Venditti
tel. 06 91501245 - [email protected]
ABBONAMENTI
Dal lunedì al venerdì, ore 9/18
[email protected]
STAMPA
Nuovo Istituto Italiano
d’Arti Grafiche S.p.a.
Via Zanica, 92 - Bergamo
Coordinamento Esterno:
Alberto Isaia [email protected]
DISTRIBUZIONE
Press Di
Distribuzione Stampa Multimedia Srl
20090 Segrate (Mi)
Registrazione al Tribunale di Roma
n. 357/1988 del 13/6/1988
Iscrizione al Roc n. 25400 del 12/03/2015
QUESTA TESTATA NON FRUISCE
DI CONTRIBUTI STATALI
Copertina: Menno van Dijk, iStock
CHIUSO IN REDAZIONE
IL 14 MAGGIO 2016 ALLE ORE 21
6
Caro direttore, ci vuole veramente una
notevole perversione a pensare che l’affermazione fatta in Tv da Corrado Augias
a proposito della bambina violentata e
uccisa a Caivano e dell’ambiente nel quale essa viveva tendeva a dare la colpa della
violenza e dell’uccisione alla bambina
stessa e alla sua famiglia. L’affermazione
di Augias (“in quell’ambiente si sono persi i punti di riferimento”) mi sembra, invece, pienamente appropriata; perché ha
individuato uno degli aspetti del degrado,
quello cioè di agghindare i bambini in
modo tale da farli sembrare più grandi di
quello che sono. Un ambiente nel quale
non si considerano i bambini per quello
che sono è sicuramente un ambiente malato. Corrado Augias, naturalmente, non
voleva fornire nessuna giustificazione ai
violentatori e agli assassini; chi commette
atti così violenti non ha nessuna scusante
e sicuramente Augias non è impazzito.
Fa riflettere, però, il fatto che sui social
network si è passati subito all’aggressione
verbale di Augias senza ponderare bene
le sue affermazioni. In certi casi Facebook
e gli altri social diventano veramente il
ricettacolo dei peggiori istinti dell’uomo.
Cordiali saluti
F. Pelella, Pagani (Sa)
Caro Pelella questa volta Corrado Augias
è stato vittima del “politicamente corretto”, attitudine ipocrita che trasforma la
complessità dell’umano in una serie di
stereotipi. Lo hanno (mediaticamente)
linciato perché siccome - è vero - i pedofili
di un tempo provavano a giustificarsi dicendo che lei “era vestita come una diciottenne”, Augias avendo affermato oggi che
certe “mamme scaricano sulle figlie i loro
sogni, truccandole e abbigliandole come
avrebbero volute essere” a 18 anni, avrebbe
per ciò stesso giustificato lo stupratore e
assassino. Non è così, la riflessione, anche
scabrosa, su abitudini culturali e costumi
“indotti dalla pubblicità”, deve potersi
esprimere senza che ti vomitino addosso
accuse pazzesche. Al contrario il silenzio
14 maggio 2016
e il conformismo sono il miglior brodo di
cultura della sopraffazione e della violenza, in questo caso del pedofilo assassino
sulla povera Fortuna. Augias sa difendersi
e si è difeso, Spero che anche il suo giornale, Repubblica, rifletta questa retorica del
politicamente corretto che molto spesso
emana dalle sue pagine .
c.m.
Da Sant’Anna di Stazzema arrivi
un richiamo al ministro Boschi
Da Sant’Anna di Stazzema arrivi un
richiamo forte al ministro Boschi in
difesa della Resistenza. In previsione del
referendum sulla Costituzione, il ministro
Maria Elena Boschi arriva ad affermare:
«Sappiamo che parte della sinistra non
voterà le riforme costituzionali e si porrà
sullo stesso piano di Casa Pound».
La stessa ministra che il 25 aprile del 2015
salì a Sant’Anna di Stazzema, Parco nazionale della pace, è a conoscenza che l’Anpi
è schierata per il No? Come può un ministro della Repubblica porre sulle stesso
piano i nostalgici del ventennio con chi
ha messo a repentaglio la propria vita
per la libertà di tutti? Ma se non lo fanno
i partigiani, chi è che deve difendere la
Costituzione? La campagna avviata dal
Pd a favore della riforma costituzionale
sembra non voglia conoscere ostacoli di
alcun tipo, invece di promuovere dibattiti
si preferisce gettare fango. Negli ultimi 20
anni anche Berlusconi aveva tentano di
equiparare i repubblichini di Salò, alleati
di Hitler fino alla fine, con i membri della
Resistenza.
Non ci riuscì grazie all’intervento dei soggetti anti-fascisti e dei rappresentanti del
Parco nazionale della pace di Sant’Anna
di Stazzema.
M. Navari, Associazione Sinistra lavoro
ERRATA CORRIGE
Nell’editoriale sul numero 19 di Left, al
posto di Asti si deve leggere Lodi e al posto di Serra, Carrai. Ce ne scusiamo con i
lettori e gli interessati.
PICCOLE RIVOLUZIONI
di PAOLO CACCIARI
© Paolo Cerroni, Stefano Carofei/Imagoeconomica
LABIRINTI VERDI
CONTRO LE GRANDI OPERE
Tutto ha avuto inizio tre anni fa, quando in una frazione di campagna vicino a Bassano vennero a sapere che
in un’area interessata dalla famigerata nuova superstrada
Pedemontana avrebbero voluto costruirci anche un centro
commerciale. Claudio Bizzotto che, oltre ad essere un agricoltore pioniere del biologico, titolare dell’azienda Verdevivo, possiede spiccate attitudini artistiche, lanciò l’idea di
proporre un’inedita forma di testimonianza creativa. Nacque così un gruppo spontaneo chiamato Terra-chi-ama
(www.terrachiama.it) che invitò i cittadini di Bassano a realizzare una grande opera collettiva, un labirinto vegetale,
in tre atti: la semina primaverile, la tracciatura del terreno
secondo un disegno partecipato, la messe finale in forma
di festa popolare da svolgersi in tarda estate con giochi,
performance artistiche e teatrali, yoga e meditazione nelle
“stanze vegetali” ricavate all’interno del labirinto. Una vera
grande opera di land art, all’aperto, viva e provvisoria, destinata a scomparire con la messa in produzione del terreno. L’idea è piaciuta a molte associazioni ambientaliste, ai
gruppi di acquisto solidali, ad altri contadini della zona e
soprattutto alle scuole, così da diventare un appuntamento che è giunto alla terza edizione. Quest’anno il labirinto sarà realizzato in un terreno di due ettari e mezzo nello
storico Parco agricolo delle Rogge, tra i comuni di Bassano,
Rosà e Cartigliano, un sito che, nonostante i vincoli urbanistici, è minacciato dalle mire dei cavatori di ghiaia e da
altre opere stradali. L’appuntamento per la semina a mano
del sorgo, che in poche settimane crescerà alto tre metri
ed è utile per il sovescio che rigenera la fertilità del terreno, è fissato per domenica15 maggio, la mattina presto, a
Rosà. Il secondo appuntamento sarà dopo tre settimane
per sagomare il labirinto verde secondo il disegno migliore
(scala 1:1.000) selezionato con un concorso di idee a tema
(quest’anno è l’acqua) che vede impegnati istituti tecnici e
scuole ad indirizzo artistico. L’atto finale è fissato per il 17
luglio. Terra-chi-ama, oltre al labirinto, organizza un ciclo
di proiezioni “Film Ambiente”, convegni (sugli Ogm, sul
consumo di suolo, sull’acqua), un “tavolo di lavoro” con le
amministrazioni pubbliche locali per sollecitarle ad azioni
di maggiore tutela del verde pubblico e delle aree agricole,
convivi vari per promuovere la consapevolezza alimentare e “Per la libertà del cibo e della Terra”. Nel Manifesto
dell’associazione c’è scritto che la terra è generosa “nonostante tutti i mali che le riversiamo addosso (…). Tutta la
vita sulla Terra dipende da circa venticinque centimetri di
strato fertile di suolo (…). Le sementi sono alla base della
nostra alimentazione e quindi della nostra esistenza; sono
probabilmente il più antico e prezioso patrimonio dell’umanità, che è stato sviluppato nel corso degli ultimi 12.000
anni da generazioni di coltivatori in tutto il mondo”.
LA DATA
IL NUMERO
15
maggio
2016
63,9%
Data di nascita: 31 marzo a
Parigi, Place de la République.
Centinaia di migliaia hanno
sfilato nella capitale francese
contro la legge sul lavoro El
Khomri, “parente” del nostro
Jobs act. Sono i manifestanti di
«Notte in piedi». Dopo le proteste dilagate in tutta la Francia,
il movimento Nuit Debout ha
lanciato una mobilitazione per
il 15 maggio. Centinaia di città
del Vecchio continente hanno
già aderito alla chiamata. In
Italia il 15 maggio a Roma (ore
17 a Piazza Pantheon) e Milano
(19.30 a Piazza 24 maggio). L’obiettivo: costruire un percorso
comune europeo di lotta per
democratizzare l’Europa.
Secondo il Rapporto Nazionale Pesticidi nelle Acque 2016
dell’Ispra (relativo al biennio
2013-2014) è aumentata del
20% la percentuale di pesticidi
contenuta nelle acque superficiali, del 10% quella dei bacini
sotterranei. Nello specifico, i
pesticidi inquinano il 63,9%
delle acque superficiali italiane
(laghi e fiumi) e oltre un terzo
delle acque sotterranee monitorate. La pianura Padana è l’area dove la contaminazione è
più diffusa. Le sostanze rilevate
sono all’incirca 224 (erano 175
nel 2012). Tra queste una delle
più comuni è il glifosato, un pericoloso erbicida considerato
cancerogeno da alcuni esperti.
UP
DOWN
De Magistris non le manda a dire
Marchini, no alle unioni gay
«È il popolo a scrivere la storia,
non il potere costituito. Lo diceva Che Guevara». Ha infiammato la folla Luigi De Magistris,
al Palapartenope di Napoli,
durante la presentazione della
sua lista per le amministrative
di Napoli. E il primo cittadino
uscente non ha perso l’occasione per attaccare il presidente del Consiglio Matteo Renzi:
«Vattene a casa! Devi avere
paura. Devi cacarti sotto», ha
urlato dal palco, tra gli applausi
dei suoi fan. Secondo i sondaggi, l’ex magistrato sarebbe già
in testa per il voto del 5 giugno
ed è dato come favorito nel ballottaggio, indipendentemente
dall’avversario.
«Da sindaco non tollererò più
che una coppia gay non possa
passeggiare tranquillamente al
Colosseo» twittava pochi mesi
fa il candidato del centrodestra al Campidoglio, Alfio Marchini. Che però ha cambiato
subito idea. Sarà il feeling con
Berlusconi e la destra capitolina o la fatica per la campagna
elettorale, comunque sia, il costruttore romano è stato chiaro: «Non celebrerò unioni gay
se dovessi vincere», ha detto,
specificando di non aver «nulla
contro i diritti civili ma non è
compito del sindaco fare queste cose». La sua dichiarazione,
proprio quando alla Camera si
discute il Ddl sulle unioni civili.
14 maggio 2016
7
FOTO NOTIZIA
KENYA
STAGIONE DELLE PIOGGE
DA INCUBO
Quartiere Huruma di Nairobi,
Kenya, 6 maggio. La donna
che vedete sulla sinistra sta
chiedendo aiuto per portare
in salvo i suoi mobili, fino alla
strada. La sua e altre famiglie sono state sfrattate dalle
loro abitazioni dopo il crollo
dell’edificio. Quelle case, in
verità, erano già state dichiarate inagibili e assegnate alle
operazioni di demolizione.
L’edificio di sei piani, situato
nella parte nordorientale della capitale kenyana, è crollato
intorno alle 21.30 del 30 aprile, dopo un’intera giornata di
acquazzoni, i più violenti da
quando è iniziata la stagione
delle piogge. Con gli ultimi
corpi recuperati dai soccorsi,
il bilancio alla data del 6 maggio, conta 41 vittime. E centinaia di altri residenti sono
stati sfrattati dagli edifici vicini, per evitare altri disastri.
Foto di Ben Curtis, AP Photo
LE RISORSE PER LA RICERCA
NON FINISCANO A POCHI NOTI
La senatrice a vita contesta la scelta del governo Renzi di affidare
Human Technopole, grande progetto di ricerca su genoma e Big data,
all’Iit di Genova, che già riceve ingenti fondi pubblici e li accantona
intervista a Elena Cattaneo
D
a quando Napolitano l’ha nominata senatore a vita, Elena Cattaneo usa il laticlavio
per sostenere la ricerca italiana, affermarne
il metodo, difenderne la necessaria autonomia.
Questo impegno la porta ora a denunciare una
scelta del governo Renzi che non condivide affatto. Quella di concentrare le risorse per la ricerca in
poche mani. Mani libere di agire con i criteri che
usano nel privato, efficienza manageriale innanzitutto, rapporti privilegiati con le grandi aziende, discrezionalità. «Nella scienza, così come in
tutti gli altri ambiti, i ruoli devono essere distinti
in base a obiettivi e competenze. È un bene che
il governo decida di impegnare cospicue risorse pubbliche in un grande investimento per la
ricerca - e sappiamo tutti quanto ce ne sia bisogno - ma non dovrebbe decidere tutto da solo, né
improvvisare» dice la senatrice. A ciascuno il suo
ruolo, dunque. «La politica, dopo aver acquisito
le opportune informazioni, dovrebbe scegliere gli
obiettivi da perseguire ma lasciare la selezione dei
mezzi migliori per raggiungerli alla libera competizione fra idee e proponenti. Esperienze e analisi
internazionali dimostrano che è un errore stabilire per legge quale progetto scientifico sostenere e
che concentrare il denaro pubblico in poche mani
produce una resa minore, una produttività scientifica inferiore, rallenta l’innovazione e ostacola
l’eccellenza scientifica. È la diversificazione competitiva tra le idee, invece che la concentrazione
su una proposta, che andrebbe perseguita».
In un documento depositato in Senato, Elena
Cattaneo sostiene che l’Istituto italiano di tecnologia di Genova, scelto da Renzi per il dopo Expo
e che dovrebbe ricevere dallo Stato almeno 1,5
10
14 maggio 2016
miliardi in 10 anni, non ha le competenze indicate per sviluppare Human Technopole. E già si
comporta come collettore di competenze esterne e distributore di fondi pubblici. Quali i guasti
di tale metodo?
Dal 2003, anno in cui è stato istituito, ad oggi, in
Parlamento diverse interrogazioni chiedevano se
il governo avesse in qualche modo approvato la
trasformazione dell’Iit in agenzia di finanziamento, senza averne titolo né diritto. Di fatto, l’Istituto
di Genova negli anni ha selezionato discrezionalmente e proposto il finanziamento a partner
di ricerca da lui prescelti, utilizzando parte delle
risorse disponibili, che - ricordiamo - sono fondi
pubblici. Ciò ha permesso di attivare collaborazioni e di rinforzare la propria produzione scienti-
Il governo non dovrebbe decidere tutto
da solo. Concentrare il denaro pubblico
in poche mani produce una resa minore,
rallenta l’innovazione e ostacola l’eccellenza
fica attraverso l’acquisizione di lavori e idee di altri, non sviluppandone o stimolandone di nuove.
L’aspetto che più mi preme è che, in altre parole,
Iit ha “coinvolto o finanziato” studiosi che avrebbero titolo per competere presso la fonte delle
risorse pubbliche direttamente, essendo loro gli
ideatori della linea di ricerca, senza passare attraverso altri enti intermediari. Inoltre, la gestione
di fondi pubblici comporta una serie di doveri e
responsabilità: centri di ricerca come l’Iit, che
appunto nasce come fondazione di diritto privato finanziata con ingenti risorse pubbliche, non
possono sottrarsi alle pubbliche rendicontazioni
© Tiberio Barchielli/Ansa
e all’amministrazione trasparente, come più volte
rilevato dalle agenzie di controllo.
Hai dimostrato come i brevetti di Iit siano molti
meno di quelli vantati, e come la Corte dei Conti
ha rilevato che ben 430 milioni di denaro pubblico siano stati accantonati da Iit. Dunque si
può mettere in dubbio la stessa efficienza, privatistica, dell’istituto?
Non possiamo prescindere dai fatti. Se guardiamo
ai brevetti, i dati sul trasferimento della proprietà intellettuale di Iit sul mercato non sembrano
provare che il “modello Iit” abbia funzionato. Tra
il 2013 e il 2015, sono solo quattro le aziende, la
maggior parte di piccole dimensioni, che detengono diritti per sei brevetti. Infine per quel che
riguarda il numero di brevetti di Iit, va precisato
che, sebbene più volte sia stato riportato che detenga oltre 300 brevetti, nella realtà si tratta in misura significativa di mere domande, depositate a
fronte di un semplice pagamento annuale e che
non ha valore di protezione della proprietà intellettuale fino al momento del rilascio del corrispondente brevetto (quindi trattasi di brevetti potenziali). Inoltre, è possibile desumere dall’analisi
del sito internet di Iit che tali domande coprono al
più 180 invenzioni indipendenti (ogni invenzione
può essere coperta da diverse domande di brevetto, per esempio in diversi Paesi).
Se dovessi spiegare a un giovane ricercatore perché le scelte del governo aiutino, cosa gli diresti? I miei interventi sono legati anche allo svilimento dei ricercatori italiani, giovani e meno giovani,
scoraggiati perché convinti che se non sei amico di qualcuno che conta non riceverai il finanziamento, se denunci condotte deviate rischi di
essere escluso mentre se taci potrai aspirare alla
“spartizione della torta”. A questo si aggiungono i
mille difetti del sistema di finanziamento della ricerca pubblica italiana: la frammentazione, la discontinuità e la scarsa garanzia di valutazione. Le
ultime scelte operate dal governo continuano ad
andare in questa direzione. Oltre ai tagli al fondo
per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica del Miur e ai fondi destinati a iniziative
per la diffusione della cultura scientifica, oggi, di
La gestione di fondi pubblici comporta
una serie di doveri e responsabilità: l’Iit
non può sottrarsi alle pubbliche rendicontazioni
e all’amministrazione trasparente
fronte alla prospettiva di un investimento di oltre
un miliardo di euro in dieci anni per HT, il governo
fa carta straccia dei principi alla base del metodo
scientifico, cioè assegna denaro pubblico con decisione discrezionale, senza competizione. Non è
questo il modo di favorire il merito né di stimolare
le nuove idee. E senza idee un Paese condanna a
morte la propria competitività.
Di recente, il presidente del Cnr Inguscio si è
prodotto in una strana esternazione contro le
vestali dell’etica, nel mondo scientifico. Esternazione duramente e giustamente ripresa da numerosi intellettuali e scienziati. Vedi un rappor14 maggio 2016
11
to tra questa sparata di Inguscio, che sembrava
rivolgersi pure a te, e la politica del governo?
Non posso sapere se le affermazioni del presidente del Cnr siano state stimolate da mie dichiarazioni, né se abbia voluto apertamente difendere
la decisione del governo. A mio parere, ciò che
conta è la mancata comprensione dei danni che
produce al sistema italiano della ricerca l’operazione che il governo sta attuando nell’area exExpo, quindi la decisione di conferire a un ente
beneficiario una notevole quantità di soldi pubblici in modo totalmente arbitrario, che è una vera
“corruzione” dell’etica della scienza
L’Italia è tra i pochissimi e dell’etica pubblica. Sono soldi dei
Paesi in Europa cittadini quelli di cui si parla e giudiin cui i fondi alla ricerca co immorale che si mettano 80 misono distribuiti lioni di euro per legge nella disponidai ministeri, istituzioni bilità di un beneficiario senza essere
politiche. Un’agenzia sicuri che si tratti del più meritevole
costituirebbe un ente terzo e senza sapere fin da subito come
e indipendente saranno spesi. Io non conosco altro
modo per stabilire chi sia meritevole, se non un confronto libero e trasparente tra
ogni idea, ente e proponente.
Proponi un’agenzia per la ricerca: come potrebbe funzionare?
Accennavo alla frammentazione delle modaCHI È
lità con cui vengono erogati i fondi per la ricerca e alla scarsa valutazione che accompagna le
Elena Cattaneo è
assegnazioni. L’Italia, inoltre, è tra i pochissimi
farmacologa, biologa e Paesi in Europa, insieme a Montenegro, Polonia
divulgatrice scientifica. e Serbia, in cui i finanziamenti alla ricerca sono
Nominata senatrice a
distribuiti dai ministeri, cioè da istituzioni politivita nel 2013, è anche
che. L’agenzia costituirebbe invece un ente terzo
membro dell’Accadee indipendente dalla politica, cui spetterebbemia dei Lincei. È diretro la decisione sui piani di investimento, e dalla
trice del laboratorio
comunità degli studiosi, a cui spetta adoperarsi
di Stem Cell Biology
per raggiungere gli obiettivi stabiliti da governo e
and Pharmacology of
Parlamento. L’agenzia deve essere competente e
Neurodegenerative
trasparente. I suoi compiti andrebbero dallo sviDisease che parteciluppo delle procedure per l’erogazione di denaro
pa, insieme ad altri 15
pubblico al controllo sulle procedure stesse, dallaboratori di ricerca, al
la supervisione nella distribuzione dei finanziaprogetto europeo Neu- menti pubblici competitivi al monitoraggio dei
roStemcell, del quale
risultati che con quei finanziamenti si intendono
è coordinatrice. Ha
raggiungere, dal monitoraggio delle aree strategicofondato e dirige Uni- che della ricerca scientifica su cui investire a un
Stem, Centro di Ricerca possibile ruolo di consulenza per il governo per
sulle cellule staminali
la politica della scienza. L’agenzia non compordell’Università Statale
terebbe maggiori spese per lo Stato. Basterebbe
di Milano, e coordina
reindirizzare finanze e risorse umane oggi framil consorzio europeo
mentate in più enti e istituzioni, per concentrarli
Neurostemcellrepair.
in un’unica struttura. Nello stesso tempo si po12
14 maggio 2016
© Illust
razione
Antonio
Pronost
ic
o
trebbe provvedere a una dotazione finanziaria
sufficiente a garantirne l’immediata operatività,
reindirizzando verso questo nuovo ente una parte dei flussi di finanziamento pubblici, classificati
dallo Stato come investimenti, ma oggi destinati
inspiegabilimente a soggetti che li trasformano
in “accantonamenti finanziari” di centinaia di
milioni di euro, come Iit.
Promette Giannini che il governo investirà di
più nella ricerca. Una buona novella?
È di sicuro un bene che nel nostro Paese si senta
parlare di ricerca, che si sia risvegliato un dibattito
pubblico sull’argomento e anche le intenzioni del
governo di riprendere a investire in questo settore
sono una buona notizia, ma solo se accompagnate da procedure competenti, rigorose e trasparenti
per le assegnazioni. Come dimostra il caso di Human Technopole, non è l’investimento in sé che
conta, quanto come si decide di portarlo a termine. La politica deve avere più fiducia nella scienza,
affidarsi al suo metodo. E gli scienziati non possono pretendere il metodo scientifico “a giorni alterni” dimenticandosene quando sono i diretti beneficiare di fondi pubblici. Politica e scienza devono
perseguire unicamente l’interesse del cittadino.
La libera competizione tra idee, proponenti, enti
seguita da selezione terza, competente e indipendente è l’unica modalità per garantire al cittadino
il miglior impiego del denaro pubblico.
Corradino Mineo
RICERCA, LA MONTAGNA
PARTORISCE IL TOPOLINO
Un miliardo di investimenti, annuncia trionfante il ministro Giannini.
Ma anche dopo il piano di Renzi, l’Italia è il Paese che spende meno
per la ricerca. Al Sud non arriva quasi niente e gli universitari emigrano
di Pietro Greco
I
l governo Renzi ha varato il Piano nazionale
della Ricerca (Pnr) relativo al periodo 20152020. Il documento, reso pubblico lo scorso
2 maggio con una conferenza stampa del ministro Stefania Giannini, definisce la strategia
pluriennale dell’Italia in materia di scienza e
innovazione tecnologica. L’ambizione dichiarata è di far ripartire la ricerca in un Paese che da
alcuni decenni ne fa a meno. Il Pnr prevede un
investimento di 5,3 miliardi di euro in sei anni
e l’assunzione di 6.000 giovani ricercatori. In
particolare, stanzia 2,429 miliardi per il triennio
2016-2018 (in pratica 800 milioni l’anno) e annuncia l’assunzione nel corso di questi tre anni,
di 2.700 giovani, tra dottorati e ricercatori.
Stefania Giannini ha sottolineato, con soddisfazione, due elementi: 1) il finanziamento più
importante (1,020 miliardi, pari al 42% degli
investimenti totali) vanno a favore del “capitale
umano”, ovvero dei giovani; 2) con uno scatto di
reni il governo è riuscito all’ultimo momento ad
aggiungere 500 milioni di euro al budget iniziale,
dimostrando che la ricerca scientifica ha assunto finalmente quel ruolo centrale che le spetta.
14 maggio 2016
13
© Martina Cristofani/Ansa
Tanto rumore per poco, chiosa la Cgil. Il Piano
nazionale della ricerca ha senza dubbio qualche punto positivo. Tuttavia, è altrettanto certo
che non solo non ha alcuna speranza di modificare quel modello di “sviluppo senza ricerca”
che da almeno sessant’anni, unica tra le grandi
economie del mondo, l’Italia persegue, ma contrariamente a quanto afferma il governo Renzi,
costituisce non un passo avanti nella giusta direzione, bensì un passo indietro.
Prima di verificarne le insufficienze, tuttavia
è utile illustrare brevemente in cosa consiste il
Piano nazionale della ricerca varato dal governo.
Limitiamoci al triennio 2016-2018. Sono previsti
sei diversi capitoli di spesa.
Il primo, da un miliardo e poco più, lo abbiamo
già ricordato: riguarda il “capitale umano”. Al
suo interno questo capitolo di spesa è molto articolato: il paragrafo più significativo, finanziato
con 391 milioni, prevede proprio l’assunzione di
dottorati e ricercatori; il secondo paragrafo, con
un investimento di 246 milioni, cerca di migliorare la capacità dei ricercatori italiani di vincere
le gare europee dell’Erc, l’European Research
Council, e di consentire ai vincitori di spendere i
grant continentali nel nostro Paese.
Il secondo capitolo di spesa in ordine di investimenti riguarda la ricerca industriale (487 milioni) con l’individuazione di 12 aree di sviluppo
nell’ambito dei Cluster Tecnologici Nazionali;
14
vengono poi un programma speciale per il Mezzogiorno (436 milioni), il Programma Nazionale
Infrastrutture, per centri come i Laboratori del
Gran Sasso o il Sincrotrone di Trieste (343 milioni); l’internazionalizzazione (107 milioni) e infine un programma per rendere più efficiente la
spesa (35 milioni).
Non c’è dubbio che alcuni capitoli di spesa come quello a favore dei giovani o quello per il
Mezzogiorno - erano assolutamente necessari. E, dunque, è stato giusto prevederli. Non c’è
dubbio che bisogna salutare positivamente il
fatto che il Cipe abbia deciso di destinare alla
ricerca scientifica e allo sviluppo tecnologico
quasi tutto il Fondo sviluppo e coesione (i 500
milioni “recuperati” di cui ha detto Stefania
Giannini). Ma è l’impianto complessivo del Pnr
che non convince molti: dalla Cgil a Giorgio Parisi, il fisico che ha di recente lanciato il manifesto “Salviamo la ricerca” firmato da decine di
migliaia di persone.
Il primo motivo è che il Pnr di Renzi gioca una
partita minore se non marginale nell’ambito
della ricerca italiana. Il nostro Paese, infatti, investe in ricerca e sviluppo (R&S) all’incirca 21
miliardi di euro l’anno. Gli 800 milioni/anno previsti dal Piano del governo Renzi rappresentano
il 3,8% della spesa totale e meno del 10% della
spesa pubblica in ricerca. Poco, appunto. Certo, è sempre stato così. Anche i piani dei gover-
14 maggio 2016
ni precedenti avevano questo ruolo marginale.
Ma le cose non sono cambiate, con il nuovo Pnr.
Dunque, non c’è alcuna innovazione sostanziale. Ci vuole ben altro per fare anche in Italia della
ricerca scientifica la leva per lo sviluppo.
Lo riconosce, peraltro, lo stesso documento del
governo. Dove si ricorda che l’Italia investe in
R&S appena l’1,31% della ricchezza che produce
ogni anno: una percentuale molto lontana dalla
media europea (2,03%) e lontanissima dall’obiettivo del 3,0% indicato dall’Unione Europea.
L’Italia si è data un obiettivo modesto da raggiungere entro il 2020: l’1,53% di investimenti
in R&S. Ma, ricorda sempre il documento del
governo, siamo ancora molto lontani anche da
questo obiettivo minimale, riconoscendo che il
Pnr varato non incide più di tanto.
Di più, aggiungiamo noi. Anche trascurando il
fatto che il 20% della dotazione (circa 500 milioni) non sono stati “trovati” dal governo, ma
provengono dai Fondi strutturaSe tutto andrà bene, in tre li europei, quei 2,5 miliardi scarsi
anni saranno assunti grazie previsti per il prossimo triennio
al Piano nazionale per costituiscono addirittura un pasla ricerca, 2.700 giovani. so indietro rispetto alla dotazione
Ma nelle università i posti prevista dal Pnr che aveva elaboperduti sono ormai quasi rato Maria Chiara Carrozza, miniun quinto: 12mila su 62mila stro della Ricerca e dell’università
docenti e ricercatori nel precedente governo di Enrico
Letta. Quel piano non è mai stato
approvato dal Cipe, dunque non è mai diventato operativo. Tuttavia prevedeva investimenti di
900 milioni l’anno per un totale, in sette anni, di
6,3 miliardi. E prevedeva l’assunzione, in media,
di 1.800 dottorandi l’anno, per un totale di 5.400
in un triennio e di 12.600 nell’arco di sette anni.
Certo, è stato un limite del governo Letta non
essere riuscito ad approvare il “piano Carrozza”.
Ma è anche vero che il “piano Giannini” costituisce un arretramento, con una perdita secca di
investimenti in ricerca di 1,0 miliardi nei sette
anni che vanno dal 2015 al 2020. Inoltre, come
ha rilevato Giorgio Parisi, i conti non tornano.
L’elaborazione del Piano nazionale della ricerca
è un atto dovuto del governo. Ma il governo Renzi non ha ottemperato a questo obbligo né per il
2014 né per il 2015, cosicché gli investimenti in
questi ultimi due anni sono stati quelli previsti
dal Pnr elaborato dal ministro Mariastella Gelmini e approvato dall’ultimo governo Berlusconi: appena 600 milioni l’anno. Nel complesso,
mancano all’appello i 600 milioni in più previsti
dal governo Letta. Andranno perduti?
Persino rispetto all’assunzione di giovani dottorati e ricercatori, il nuovo Pnr rappresenta poco
più di goccia nel mare. Se tutto andrà bene, nei
prossimi tre anni saranno assunti 2.700 giovani.
Ma nelle università negli ultimi anni sono andati perduti 12.000 posti di ricercatori e docenti su
62.000. I nuovi arrivi serviranno forse a coprire
le prossime partenze, non certo a colmare la voragine che si è aperta con il blocco quasi totale
del turn over.
Infine, l’investimento in ricerca per il Sud. È
certamente importante. Ma è altrettanto certo
che non basta. Tre giorni dopo l’annuncio del
varo del Pnr da parte di Stefania Giannini, un
comunicato stampa del Censis titola: «Il grande
disinvestimento: con i giovani che se ne vanno,
in dieci anni il Sud perde 3,3 miliardi di euro di
investimento in capitale umano e 2,5 miliardi di
tasse che emigrano verso le università del Nord».
Una ricerca del Centro Studi Investimenti Sociali ha infatti denunciato la “grande fuga” dei giovani dalle università meridionali. Molti scelgono di non iscriversi all’università. Ma tra coloro
che si iscrivono, quasi il 9% sceglie un ateneo
del Centro-Nord. Ormai gli studenti meridionali
emigrati sono 168.000. Non va meglio con i laureati: in un anno 31.000 con il massimo titolo di
studio sono andati all’estero o al Centro-Nord.
Il danno, non solo economico, per il Mezzogiorno, è enorme. Certo, non tocca al Piano nazionale della ricerca risolvere questo problema di
“migrazione cognitiva”. Ma è anche vero che i
145 milioni l’anno previsti dal Programma per il
Mezzogiorno sono una goccia che non trasformeranno il deserto meridionale in un mare vivo
di conoscenza.
Cosa bisognerebbe, dunque, fare? La Cgil fornisce delle indicazioni quantitative utili: misure
aggiuntive, come sono quelle del Pnr, «devono
essere destinate a interventi che rispondono alle
emergenze del sistema ma soprattutto serve un
piano pluriennale di stanziamenti» capace di
triplicare gli investimenti dello Stato nella ricerca pubblica fondamentale e applicata, reclutando almeno 20.000 posti stabili per le università
e 10.000 per gli enti di ricerca. La metà dei soldi
e delle assunzioni, potremmo aggiungere ricordando i dati del Censis, dovrebbe essere indirizzate al Mezzogiorno.
14 maggio 2016
15
COME SI STA MALE
CON LA BUONA SCUOLA
A un anno dallo sciopero del 5 maggio 2015, sindacati divisi, insegnanti
travolti dall’emergenza, docenti tappabuchi e presidi che premiano
quelli che ritengono migliori. Nuovi scioperi e nuovi referendum
di Donatella Coccoli
E
ra il 5 maggio 2015 quando
600mila insegnanti scesero in
piazza contro la Buona scuola.
Per molti giorni un fronte compatto si oppose al disegno “autoritario e aziendale” - queste le definizioni - della riforma Giannini-Renzi. Che
si “materializzava” con: il preside manager, il premio in denaro per i docenti
meritevoli, i finanziamenti dei privati
con lo school bonus e l’alternanza scuola lavoro. Un anno dopo, cosa è rimasto
di quella mobilitazione? E soprattutto,
cosa ha portato la legge 107, approvata
a luglio a colpi di fiducia mentre fuori
dal Parlamento gli insegnanti gridavano
al tradimento del Pd? Da settembre sulle scuole è calato un silenzio assordante. Interrotto solo dagli annunci delle
assunzioni della fase 0, A, B e C. Ma in
pochi ricordano che quel piano straordinario di assunzioni - 87mila, invece delle
150mila annunciati da Renzi - in realtà
era un atto dovuto perché una sentenza della Corte di giustizia europea aveva
condannato l’Italia ad assumere 250mila
precari con più di 36 mesi di lavoro.
Nella rassegnazione generale, attraversata
dalla sfiducia nei sindacati, gli insegnanti si sono risvegliati grazie ai comitati Lip
che dall’estate hanno studiato la contromossa alla legge 107: i referendum abrogativi per i quali si stanno raccogliendo le
firme (il 15 maggio “firma day” per Nuit
16
debout al Pantheon a Roma). Come se nozionistici: «Siamo generazioni di fronper restare “vitali” contasse avere un’altra te a un mercato precario e complesso: ci
serve non tanto apprendere una mansioidea di scuola.
Da gennaio, però, qualcosa è cambiato. Il ne, piuttosto acquisire capacità di metcorpo gigantesco del sistema scolastico - tere in pratica le competenze acquisite
8 milioni di studenti e 700mila insegnan- con un connubio di sapere e saper fare».
ti - che sembra incassare tutto anche per Infine, negli ultimi giorni, gli annunci di
necessità, visto che l’input, quasi fosse nel due scioperi nazionali. Con i sindacati di
Dna del docente, è comunque insegna- nuovo divisi. Gilda, Unicobas, Usb e Core, comincia di nuovo a fremere, scosso bas hanno indetto la protesta il 12 maggio
dall’interno e dall’esterno. Un primo per- contro il blocco del contratto e contro la
turbamento l’ha dato il concorsone, an- legge 107. Otto giorni dopo, il 20 maggio,
nunciato dal ministro Giannini con lo slo- con gli stessi motivi, verrà replicato da
gan “semplificare, adeguare, innovare”. In Cgil, Cisl, Uil e Snals. Perché l’unità di un
realtà è accaduto che per assumere 63.712 anno fa è andata perduta? Il motivo è questo: i confederali hanno
precari su 165mila partecipanti, è stato chie- Due scioperi
firmato l’accordo sulla
sto anche a chi era già nazionali, il12 e il 20
mobilità dei trasferimenti (già 250mila seabilitato con Tfa o Pas maggio rompono
condo la Uil) che è solo
e con anni di insegna- il silenzio di mesi.
mento alle spalle, di Ma i sindacati sono
un tentativo di «soccorrere il governo», sostiefarsi di nuovo esamina- divisi, dopo l’accordo
re, come fosse appena dei confederali con il
ne Unicobas, e quindi
uscito dall’università. Miur sui trasferimenti
avallare la Buona scuoComprensibile la rabbia
la, compresa la famigee la mortificazione di molti. Poi è scop- rata chiamata diretta del preside, oggetto
piata come ogni anno - ma adesso parti- di uno dei quattro quesiti referendari alla
colarmente virulenta - la rivolta contro le cui raccolta firme, tra l’altro, partecipa anprove di valutazione Invalsi: il 12 maggio che la Cgil insieme a Gilda. Insomma, un
con la mobilitazione-boicottaggio alle su- gran ginepraio. Anche perché è realmente
periori “Siamo numeri non studenti” da un ginepraio l’universo stesso degli inseparte dell’Unione degli studenti. Danilo gnanti, assunti con modalità diverse l’uno
Lampis, coordinatore dell’Uds, spiega il dall’altro: un regalo di ogni ministro dell’Isenso ultimo della protesta contro i test struzione succedutosi negli ultimi anni,
14 maggio 2016
© Ciro Fusco/Ansa - Sara Minelli/Imagoeconomica
MA NESSUNO PENSA
AGLI ADULTI
I
che ha voluto così lasciare la sua impronta passato a rattoppare con buon senso una
sul sistema di reclutamento. Con la tratta- legge che non dà per scontato il buon sentiva Miur-sindacati, per un anno accadrà so». Lapidario, Giuseppe Bagni, insegnanche i vecchi assunti, quelli ante Buona te, presidente del Cidi (Centro di iniziativa
scuola, potranno continuare a presentare democratica degli insegnanti) e membro
la domanda di trasferimento nella scuola del Consiglio superiore della pubblica
prescelta. Ma gli altri, i nuovi della fase B istruzione racconta la fatica per «neue C, no. «Ostacoli insormontabili» lo han- tralizzare gli aspetti negativi della Buona
no impedito, «una disparità contrattuale scuola spendendo quell’energia che doche non dipende dalla trattativa ma dalla vrebbe servire alla progettazione didattilegge stessa», ha spiegato Domenico Pan- ca e alla lotta alla dispersione scolastica».
taleo segretario Flc Cgil in una intervista a L’arrivo “a pioggia” all’inizio dell’anno
Tecnica della scuola. Intanto però si apre degli insegnanti dell’organico potenziato
una prospettiva angosciante per chi aveva ha accelerato la gestione del contingente.
appena festeggiato l’assunzione in ruo- Non si è partiti dalle esigenze e dai progetti delle scuole per distrilo. Non solo. I prof della
fase B e C non hanno Danilo Lampis dell’Uds buire le risorse umane,
nemmeno la certezza di sul boicottaggio delle
è accaduto esattamente
il contrario. E quindi via
rimanere nell’ambito ter- prove Invalsi: «I test
ritoriale in cui si trovano nozionistici non ci
all’invenzione di semiclassi, corsi e lezioni per
adesso. Dovranno fare la servono di fronte a
domanda in cento ambiti un mercato precario.
tenere occupati i nuovi
arrivati. I tappabuchi per
e in cento province e poi Meglio competenze
eccellenza. Ma l’anno è
aspettare la chiamata del più complesse»
stato «travagliatissimo»
preside. Un punto, che
«va contro la Costituzione che stabilisce anche per la tensione dovuta ai comitati
a chiare lettere che i pubblici uffici sono di valutazione del merito, altra novità delbasati su criteri d’imparzialità», sottolinea la Buona scuola. Con i soldi del bonus che
Rino Di Meglio, coordinatore di Gilda, che il preside darà ai “migliori” non si arricdei confederali dice: «Loro pensavano per chirà nessuno, perché toccheranno circa
quest’anno di aver disattivato il sistema 20mila euro a istituto, ma questa operama se accetti questo punto, come fai poi zione avrà un effetto comunque “divisivo”.
a contestare la legge?». E nelle aule cosa Competizione al posto della cooperazioha portato la riforma renziana? «Un anno ne: la Buona scuola.
14 maggio 2016
l linguista Tullio De Mauro, ministro della Pubblica istruzione
dal 2000 al 2001, autore di saggi
sulla cultura e il linguaggio degli
italiani, parla dei problemi irrisolti
della legge 107.
Qual è la prima mancanza?
Nel testo della Buona scuola non
c’è nessuna analisi delle differenze
profonde di risultato e di qualità
dei diversi ordini di scuola. In particolare non c’è niente che affronti
il problema della riorganizzazione
profonda e radicale del segmento
medio-superiore dell’istruzione,
quello che purtroppo funziona
meno bene di tutti.
E poi, quale altra assenza nota
nella riforma Giannini?
La seconda questione, fondamentale, anche se apparentemente è
fuori dell’organizzazione del sistema scolastico ordinario, è che sarebbe urgente un sistema di istruzione permanente e ricorrente per
gli adulti, ma i parlamentari che se
ne rendono conto sono mosche
bianche. Eppure ogni anno i rapporti Ocse sull’istruzione in Europa ci segnalano il problema. Come
sappiamo da indagini internazionali, l’Italia, con la Spagna, è in una
condizione disastrosa per i livelli di
competenza linguistico-matematico e culturale degli adulti.
L’incultura cosa produce?
Pesa su tutta l’organizzazione sociale ma soprattutto sull’andamento della scuola. L’incultura
degli adulti significa difficoltà per
i bambini e per i ragazzi di procedere oltre il livello elementare e agli
insegnanti - pur con la migliore
scuola media superiore del mondo
- rende difficilissimo il lavoro.
17
© PaoloPatruno/Save the Children (Illuminiamo il Futuro)
DIMMI DOVE HAI STUDIATO
E TI DIRÒ CHE FUTURO AVRAI
Non solo l’origine famigliare, anche la collocazione territoriale
in Italia si configura come un destino. Il risultato è una intollerabile
riproduzione intergenerazionale della disuguaglianza
di Chiara Saraceno
L
e disuguaglianze territoriali in Italia sono una
importante fonte aggiuntiva di disuguaglianza, particolarmente onerosa, e rischiosa, per
i soggetti più deboli. Ciò è tanto più inaccettabile se tra le cause delle disuguaglianze territoriali
vi sono le stesse politiche pubbliche: quelle che
avrebbero la responsabilità non solo di compensarle ex post, ma di contrastarle ex ante e continuativamente. Il caso della povertà educativa, o
meglio dell’intreccio perverso tra carenza di risorse educative, povertà materiale e inadeguato
sviluppo delle capacità individuali, a partire da
quelle cognitive, è da questo punto di vista esemplare. Il rapporto di Save the children, Liberiamo
i bambini dalla povertà educativa. A che punto
siamo?, attorno al quale è stata lanciata la cam18
14 maggio 2016
pagna “Illuminiamo il futuro” con il coinvolgimento di molte associazioni in diverse città, aiuta
a mettere insieme un puzzle di cui si conoscono
singoli pezzi, ma non sempre se ne vede l’insieme e soprattutto le connessioni. Sappiamo dalle
indagini Pisa che i bambini e ragazzi che appartengono a famiglie povere e con genitori a bassa istruzione dimostrano in media competenze
di lettura e di comprensione logico-matematica
inferiori a quelle dei loro coetanei che vivono
in famiglie con più risorse economiche e culturali. Sappiamo anche che questo svantaggio è
maggiore nel Mezzogiorno, minore nel Centronord. La ragione di queste differenze sta, da un
lato, nelle maggiori risorse per lo sviluppo che i
bambini dei ceti più abbienti, o comunque con
© Anna Bizon/Gpointstudio/Fotolia
redditi adeguati e genitori istruiti, trovano nel
proprio ambiente e nella propria vita quotidiana. Hanno genitori che fin da piccoli ne hanno
stimolato la curiosità e il piacere della lettura; li
hanno accompagnati in visita a luoghi diversi, a
musei, al cinema, a teatro; li hanno sollecitati a
fare sport, li hanno messi in condizione di entrare
nel mondo di internet. Dall’altro lato, la ragione
delle differenze sta nella capacità delle politiche
pubbliche, nazionali e locali, di contrastare le
disuguaglianze offrendo dotazioni educative di
qualità e accessibili, vuoi universalmente, vuoi in
modo particolare da parte di chi è più svantaggiato. Questa capacità in Italia sembra inversamente
proporzionale al bisogno. Sappiamo come la povertà economica sia particolarmente concentrata
nel Mezzogiorno e tra i minori nel Mezzogiorno.
Ebbene, le regioni meridionali sono quelle meno
dotate di asili nido, di ludoteche, di scuole materne e dell’obbligo a tempo pieno (con l’eccezione
della Basilicata, che ha la più alta percentuale
di scuole elementari a tempo pieno), di servizi
mensa e palestre. La situazione è tutt’altro che
soddisfacente anche a livello nazionale, se è vero,
come denuncia l’Ocse, che in Italia il 59% degli
adolescenti frequenta scuole dotate di infrastrutture insufficienti all’apprendimento. Ma queste
scuole sono collocate diversamente sul territorio,
all’interno di uno stesso Comune e tra regioni e
Comuni, in base anche all’iniziativa dei responsabili locali, oltre che della capacità di pressione
dei genitori. In ogni caso, i genitori con maggiori
risorse economiche e culturali possono sopperire
alle carenze dell’offerta pubblica. I quartieri e le
regioni con l’offerta pubblica scolastica più carente, per altro, spesso mancano anche di altre
risorse importanti per uno sviluppo armonioso e
completo, incluso quelle di mercato o terzo settore: mancano campi gioco, biblioteche, piscine;
mancano offerte di attività di gioco e apprendimento diffuse sul territorio, forme di estate
ragazzi e così via. Non stupisce allora che considerando sia l’offerta educativa sia le capacità
di apprendimento dei bambini e ragazzi, siano
Sicilia e Campania a detenere il poco onorevole
primato nella povertà educativa, seguite a poca
distanza da Puglia, Calabria e Molise, laddove
Lombardia, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Piemonte e Basilicata detengono quello della
Il 59% degli adolescenti frequenta scuole
dotate di infrastrutture insufficienti
all’apprendimento. Ma Sicilia e Campania
detengono il primato nella povertà educativa
maggior ricchezza sia di offerta educativa sia di
capacità di apprendimento. Questi esiti segnalano che la maggiore disguaglianza negli apprendimenti non è dovuta solo a una concentrazione
della povertà che si fa poco o nulla per ridurre,
ma anche all’assenza e miopia delle politiche
pubbliche in campo educativo. Il risultato è una
intollerabile riproduzione intergenerazionale
della disuguaglianza. Non solo l’origine famigliare, anche la collocazione territoriale in Italia
si configura come un destino.
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© iLexx/Istock
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14 maggio 2016
CRONACA DI UNA RIVOLUZIONE
ANNUNCIATA
I robot possono svolgere al posto degli umani funzioni noiose o pericolose.
E fin qui va bene. Ma che dire dei robot infermieri che promettono «di
ascoltare, osservare, offrire comfort, lenire e agire per conto dell’utente?»
di Martino Mazzonis
N
on chiacchiera amabilmente come un barman capace di cogliere l’umore del cliente
seduto al bancone. Ma potrebbe imparare a
farlo. La gamma di miscelatori per cocktail automatici in vendita, da locale o casalinghi che sia, è
infinita. Ed è destinata a rimpiazzare molto lavoro nei locali, specie quelli grandi e affollati dove il
barman esperto che ti riconosce non è neppure
quello che ti aspetti. Oppure no: una macchina
abituata al riconoscimento facciale può registrare cosa il cliente abituale chiede, se vuole o no
ghiaccio nel suo wiskhy, se gli piace parlare dei
risultati delle partite o dei problemi che gli danno
i figli.
A San Francisco ha da poco aperto Eatsa, una
catena di ristoranti fast food naturali e vegetariani che non impiega quasi nessuno: si fa l’ordine
con il telefono o su un Ipad e, poi, da dietro un
pannello emerge il tuo piatto, in media dopo 90
secondi. C’è una persona in sala, lì per aiutare i
meno esperti con la tecnologia a capire come ordinare un’insalata alla quinoa e avocado, e qualcuno in cucina. «Volevamo rendere accessibile il
cibo sano e buono», ha spiegato il fondatore della
catena in diverse interviste. Ovvero, non pagare il
personale e, quindi, poter abbassare il costo unitario di un pasto che non sia cattivo dal punto di
vista della qualità.
La macchina che sforna 400 hamburger l’ora
costruita da Momentum Machines, invece, non
si pone problemi di qualità. Hamburger cotti
tutti allo stesso modo, personalizzabili, senza
che nessuno debba metterci le mani. Un bel risparmio. Specie ora che i lavoratori dei fast food
chiedono di essere pagati 15 dollari l’ora. Anche
Domino’s Pizza Australia, la catena di pizza fast
food, ha da poco introdotto un robot e un drone
per le consegne.
A dire il vero, miscelare i cocktail è il più banale e
prevedibile dei possibili impieghi della automazione introdotta dai robot. Nemmeno la gestione
degli ordini e l’automazione del servizio è una
rivoluzione: in fondo da Ikea scegliamo, riempiamo il carrello, paghiamo e portiamo via senza
avere a che fare con nessuno. La novità, per questo tipo di mansioni, è la scala della robotizzazione. Poi ci sono le auto che si guidano da sole - con
tutte le grandi case automobilistiche che stanno
facendo accordi con Google - e gli sviluppi potenziali in mille ambiti. L’intelligenza artificiale può
fare la scansione di milioni di molecole in poco
tempo, mentre il software di rilevamento precoce
delle malattie può produrre diagnosi più rapide.
Strumenti come questi possono accelerare i processi di ricerca della cura di alcune malattie.
Nelle fabbriche è l’ora dei “cobots” (da co-worker
e robot), macchine che svolgono molti lavori di
assemblaggio, che lavorano assieme agli uomini
e che rispetto ai robot che hanno automatizzato
molta parte del lavoro della catena di montaggio,
sono leggeri, più sicuri, molto meno cari. E infinitamente più facili da usare: non c’è bisogno di
programmatori per farli funzionare e neppure di
spazi colossali per metterli al lavoro. Il costo (una
media di 24mila dollari, secondo il Financial Times) e la flessibilità li rendono appetibili per le
medie imprese. La versione di diversi manager
automobilistici tedeschi al quotidiano finanzia14 maggio 2016
21
240
MILA
I robot industriali
venduti nel 2015, +8%
rispetto al 2014. Poi ci sono
tutti gli altri. Le previsioni
sulla crescita del settore
non industriale indicano una
dinamica più rapida
478
OGNI 10MILA
Il numero di robot
per operaio nel settore
manufatturiero della Sud
Corea, 292 in Germania,
314 in Giappone, 66 in Cina
159
MILIONI DI DOLLARI
Quanto le imprese della
provincia industriale cinese
del Guandong hanno
investito in forza lavoro
non umana quest’anno
1,5
ANNI
Il tempo necessario
per recuperare
l’investimento fatto su
un robot che sostituisce un
operaio (lavorando per 3)
secondo Financial Times.
Nel 2010 gli anni erano 5,3
135
MILIARDI DI DOLLARI
Il valore economico
previsto del comparto
della robotica nel 2019
m.m.
rio britannico è che migliora la produttività e la secondo, nella sua ultima versione, ha le capaciqualità del lavoro per gli umani, che non vengono tà cognitive del supercomputer Ibm denominato
sostituiti perché ci sono funzioni creative e una Watson. Nao, connesso alla rete è in grado di troflessibilità che queste macchine ancora non han- vare ed elaborare soluzioni alle vostre domande
no. È una lettura di chi ha introdotto l’innovazio- un po’ più velocemente di quanto non facciate
ne e ne beneficia, ma è confortante.
voi: 300 pagine web al secondo. Tra le altre cose,
Nella Cina colpita dalla crisi, invece, i robot stan- Nao è già impiegato come assistente concierge
no velocemente sostituendo una parte consi- d’albergo in un Hilton in Virginia - i robot delle
stente della manodopera, già mal retribuita, per- pulizie, quelli sono già vecchi invece. Quanto a
ché sono più precisi e costano ancora meno.
Watson ha anche un impiego nella diagnostica: il
Economisti - ne parliamo nelle prossime pagine medico gli spiega i sintomi, immette i dati delle
- ed esperti di tecnologia e robotica discutono analisi e lui cerca il cercabile per abbozzare una
da tempo delle implicazioni di quella che viene diagnosi. Ibm ha un accordo con la Cleveland clidefinita la “Quarta rivoluzione industriale”. La nic, che è forse il più avanzato ospedale d’Amefine del lavoro per come lo abrica.
biamo conosciuto, il rischio di L’unica certezza
L’impatto dell’introduzione di
un mondo nel quale gli umani è che stiamo assistendo
robot e intelligenze artificianon sappiano bene cosa fare o a una nuova fase della
li tocca ogni sfera del lavoro
come guadagnare, le implica- rivoluzione tecnologica: umano e le previsioni di decizioni etiche della sostituzione robot e Big data stanno
ne di studi dei massimi cendelle persone con l’intelligenza cambiando il modo
tri di ricerca in materia (Mit,
artificiale e le macchine. E non in cui lavoriamo,
Oxford), think tank, banche
hanno risposte certe. L’unica si- facciamo affari, viviamo ci dicono due cose: molti lacurezza è che stiamo assistendo
vori, anche creativi, verranno
a una nuova fase della rivoluzione tecnologica: sostituiti e non è chiaro come e quanto guarobot e Big data stanno cambiando il modo in cui dagneranno gli umani. Il rapporto “The fourth
lavoriamo, facciamo affari, viviamo. È un nuovo industrial revolution” parla di 7 milioni di posti
salto, a pochi decenni dal precedente, da cui po- persi nei prossimi 5 anni (e di due guadagnati
chi sanno esattamente cosa aspettarsi.
nei media, ingegneria, architettura, computer,
Ci sono funzioni noiose, ripetitive e importanti servizi professionali). Peggio andrà alle donne,
che i robot possono svolgere al posto degli uma- che nel mondo avanzato sono più spesso imni. O lavori duri, sporchi e pericolosi. E fin qui piegate in settori come quelli nei quali Pepper,
va bene. Ma che dire dei robot infermieri che si Nao e i loro colleghi sono destinati a subentrare
occupano delle operazioni di routine, degli ava- - non abbiamo parlato dei simpatici robot baby
tar medici prodotti da IDAvatar, che promettono sitter, ma ci sono naturalmente anche loro. Poi
«di ascoltare, osservare, offrire comfort, lenire e ci sono le auto senza autista di cui parliamo più
agire per conto dell’utente, nel migliore interesse avanti.
del paziente»? E che sono pronti, in caso di ulti- Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee, del Massame volontà, a raccoglierle come un confidente. O chusetts Institute of Technology e autori di Race
dei software che fanno ricerca legale e cancellano against the machine e The second machine age
con un algoritmo l’enorme lavoro di archivio de- sono convinti che i robot stiano sostituendo i lagli avvocati - specie quelli che lavorano in ambito voratori più velocemente di quanto si crei nuovo
di diritto anglosassone, dove i precedenti sono lavoro. Ma ritengono al contempo che in quanto
cruciali per ogni caso?
a precisione, sostituzione in mansioni pericolose
Poi ci sono Pepper e Nao, prodotti dalla france- e aumento della produttività, la bilancia penda
se Avatar, a sua volta proprietà della giapponese dalla parte dei lavoratori fatti di circuiti e plastica.
SoftBank: il primo promette di imparare dalle vo- Ciò detto, la sostituzione appare inevitabile, per
stre emozioni, capire le vostre espressioni e com- quanto nessuno sappia che forma prenderà e in
portarsi di conseguenza: cantandovi una canzon- molti siano spaventati. Anche dal possibile uso
cina allegra, una ninna-nanna o proponendovi di robot in guerra: niente morti del tuo esercito,
di giocare a un videogioco X sul suo schermo; il molta precisione e assenza di emozioni.
22
14 maggio 2016
Se alla guida c’è il computer
Ad ogni grande rivoluzione L’introduzione di robot
tecnologica, assistiamo alla tocca ogni sfera
descrizione delle catastrofi del lavoro umano
che verranno. Alcune pren- Il rapporto “The fourth
dono forma, altre no e fino industrial revolution”
a oggi, la società umana ha parla di 7 milioni
trovato dei modi per riorga- di posti persi nei
nizzarsi, attrezzarsi. Milioni prossimi 5 anni
di contadini sono diventati (e di due guadagnati)
operai e, poi, milioni di operai sono stati impiegati nei servizi. Naturalmente
i riequlibri del mercato del lavoro hanno implicato vite distrutte, anni di trapasso, conflitti sociali, sconfitte e vittorie di chi lavora. Oggi, a dire il
vero, il mercato sembra saturo e sembra difficile
immaginare dove e come il lavoro verrà riassorbito. Anche in questo caso, un vantaggio lo avranno
quelle società che investono in formazione e studio. La domanda però non è solo “cosa faremo”,
ma “quanta uguaglianza porterà con sé la quarta rivoluzione industriale”: in una società dove i
robot fanno una parte consistente dei lavori, la
ricchezza ce l’hanno i proprietari di robot. E se
negli ultimi decenni la distribuzione del reddito
nelle società avanzate è divenuta meno eguale,
il rischio è che i robot accelerino questo trend e
facciano crescere le diseguaglianze.
Austin, Washington, Phoenix e Kirkland. E poi, naturalmente
la Silicon Valley. Le auto senza guidatore di Google viaggiano
indisturbate per effettuare i loro test attraverso le città americane. L’intento del colosso di Mountain View, che ha stretto alleanze con molte case automobilistiche, è quello di far
familiarizzare le persone con la nuova tecnologia, organizza
assemblee pubbliche e fa lobby a livello nazionale e locale.
Il problema di Google (e di Ford, Volvo e Lyft e Uber, che
hanno formato una “alleanza per le strade più sicure”) è
proprio convincere il mondo che le auto senza autista siano
più sicure. Specie dopo l’episodio di un incidente tra un’auto Google e un autobus a Mountain View. L’auto, che combina gli input di telecamera, radar e impulsi sonori piazzati
in diversi punti della macchina e li elabora e incrocia con
le mappe e il diario di viaggio, è probabilmente più sicura
di quella umana: non supera i limiti, non tenta manovre azzardate, non beve e non si addormenta. Vero, ma al primo
morto in incidente da macchina robot con chi ce la prenderemo? E che problemi legali pone il danno provocato da un
oggetto di proprietà di qualcuno che non ha colpe perché
non guidava? E cosa fa un computer quando deve scegliere
tra investire una carrozzina e salvare il suo passeggero?
Come che sia, la certezza è che tra qualche anno le auto circoleranno e che le autorità stanno lavorando a capire come
regolare la questione. A luglio il dipartimento dei Trasporti
Usa emetterà le prime regole.
Sull’auto senza guidatore hanno investito tutti. FiatChrysler
ha un accordo proprio con Google, i team di ingegneri lavorano assieme e stanno testando la tecnologia su un pulmino. Toyota sperimenta un autista automatico che subentra in
caso di pericolo e Bmw, Marcedes-Benz, Audi e GM hanno
investito tanto in ricerca. Non sarà domani, ma prepariamoci a dire addio a taxisti, autisti, camionisti.
m.m.
14 maggio 2016
23
NESSUNA PAURA, I ROBOT
MIGLIORANO LA VITA DELL’UOMO
«Bisogna però saper anticipare scenari anche estremi, puntando sulla formazione.
Il rischio è quello di masse di lavoratori esclusi per mancanza di conoscenza»,
dice l’ex ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza
C
he cos’è la quarta rivoluzione industriale? Ne
abbiamo parlato con Maria Chiara Carrozza, professore di Bioingegneria industriale
all’Istituto Sant’Anna di Pisa (e già ministro dell’Istruzione nel governo Letta). Cominciamo dalla relazione tra Information & Communication
Technology, Internet of Things e robotizzazione.
«La quarta rivoluzione industriale è l’integrazione di tecnologie di artificial intelligence and deep
learning, con tecnologie di robotica che permettono di avere agenti che svolgono compiti simili a
quelli umani. Agenti connessi in cloud con intelligenze ed esperienze condivise, grazie a un sistema di comunicazione. Così si permette al robot
di entrare nelle case, circolare nelle strade e di entrare in relazione con gli esseri umani. Internet of
things è invece mettere in rete tramite infrastrutture oggetti, dati e informazioni, monitorando i
prodotti nella loro vita, provvedendo alla manutenzione o sostituzione di essi, grazie a meccanismi di sorveglianza e sicurezza, con algoritmi che
sono in grado di anticipare il futuro, nella vita sia
degli oggetti/dati/informazioni, sia delle loro relazioni con la società. La quarta rivoluzione industriale segna il passaggio dal robot alternativo al
robot coesistente all’uomo nello svolgimento sia
dei compiti fisici che cognitivi».
Quali sono le applicazioni più socialmente utili?
Me ne occupo personalmente e ritengo che la biorobotica abbia rivoluzionato la medicina. Faccio
degli esempi: il robot può coadiuvare il chirurgo
nella limitazione del danno nella chirurgia invasiva, in riabilitazione può permettere il recupero
di persone disabili, oppure facilitare ai paralizzati il recupero della mobilità grazie alle interfacce
24
neurali. La biorobotica è l’incrocio tra il naturale
e l’artificiale attraverso l’integrazione tra robotica
e bionica, come la creazione di organi artificiali
come pancreas e cuore o di interfacce neurali che
dialogano con il sistema nervoso centrale. È socialmente utile quando provvede a funzioni che
hanno uno scopo di sostegno, supporto, terapia,
riabilitazione come nel caso degli esoscheletri
che aumentano le abilità motorie, permettendo
a persone fragili o deboli di migliorare la propria
condizione di vita.
È possibile un conflitto tra la macchina e il lavoro umano?
È difficile dire se c’è un conflitto: potenzialmente potrebbe accadere dal punto di vista individuale. Una persona cioè può essere sostituita da
una macchina se il compito è ripetitivo o di alta
precisione oppure perché lo svolgimento della
mansione porterebbe a fatica, usura, stanchezza,
pericolosità. Ma il conflitto non sussiste su larga
scala. La robotica migliora e non confligge con lo
sviluppo della società, perché o migliora la qualità della vita del lavoratore oppure, nel caso della
robotica esplorativa nello spazio, va dove l’uomo
non può andare.
Ma è possibile immaginare uno sviluppo economico-sociale che tenga insieme sia l’avanzamento tecnologico che la conservazione dei
posti di lavoro?
Ci sono delle forme di neoluddismo e movimenti di opinione che sono molto preoccupati di
un’evoluzione pericolosa, ovvero che la quarta
rivoluzione industriale possa rendere obsoleto
il lavoro umano. In effetti esistono fabbriche
cinesi senza lavoratori: robot che costruiscono
14 maggio 2016
© Paolo Cerroni/Imagoeconomica
di Maria Enrica Virgillito*
CHI È
Maria Chiara Carrozza
è docente di Bioingegneria industriale
alla Scuola Superiore
Sant’Anna di Pisa,
di cui è stata rettore
prima di dimettersi nel
2013, quando si candida alla Camera per il
Partito democratico. È
stata ministro dell’Istruzione, dell’università
e della ricerca sotto il
governo Letta dal 2013
al 2014. La sua ricerca
verte sulla neurobiotica
legata allo studio e alla
realizzazione di protesi
per arti ed esoscheletri
per la riabilitazione
di persone colpite da
ictus o da patologie
neuromuscolari.
© Matt Rourke/AP Photo
Jason Koger, statunitense di 34 anni
che ha perso entrambe le braccia
in un incidente, mostra come
funzionano le sue protesi bioniche
La biorobotica
ha rivoluzionato
la medicina. Può aiutare
a sviluppare la chirurgia
non invasiva e permettere
ai paralizzati di recuperare
la mobilità
robot, arrivando all’estremo del
robot che replica se stesso. Tutto
ciò è metafora dell’autodistruzione a meno che non si immagini la
possibilità di stare tutti a riposo e
far lavorare solo la macchina. Ma
non penso che questo sia possibile. Bisogna saper anticipare
scenari, anche estremi, ma che servano ai cittadini per far comprendere che siamo dentro
una nuova rivoluzione. Tuttavia questo va fatto
ponendo attenzione a problematiche di tipo
educativo e formativo, altrimenti si rischia che
masse di lavoratori possano essere tagliati fuori
dalla società.
Tra qualche anno la google car potrebbe rendere superata sia la figura del tassista che quella
del lavoratore uberizzato. Che ne pensa?
In termini di mobilità extraurbana, che io vada
con la google car o con un treno non cambia
molto. Invece il cambiamento paradigmatico è
la google car che sostituisce il tassista nei centri
urbani come Roma, Mumbai, Tokio, Los Angeles.
Visto che andiamo verso la concentrazione di
agglomerati urbani, vincerà chi farà fare spostamenti a basso costo senza inquinare ed in modo
sicuro. Se la google car è la risposta si vedrà, ma
la sostituzione del guidatore è l’elemento fondamentale in quanto è il modello economico che
cambia. Saranno sostituiti sia i proprietari che i
tassisti e sarà più forte l’impatto per i produttori
di servizi che non per i produttori delle auto.
In qualità di ex ministro dell’Istruzione, ritiene
che l’istruzione e la formazione potrebbero beneficiare della robotizzazione?
Il sistema di istruzione attuale presenta problemi simili alla scuola del
Regno d’Italia: se a fine Ottocento il
problema era l’analfabetismo, oggi
è l’analfalbetismo di ritorno che si
caratterizza di tre aspetti: literacy,
abilità numerica ed informatica.
Bisogna rispondere con un investimento coraggioso in nuovi sistemi
educativi che siano in grado di educare i giovani alla quarta rivoluzione
industriale. Vediamo il caso dell’alternanza scuola lavoro: se ci saranno trasformazioni che indurranno
sostituzione/automazione delle abilità cognitive più meccaniche, magari quelle meno sostituite saranno
le abilità trasversali, presenti nel campo umanistico. È difficile sintetizzare un pensiero sulla
scuola che è e deve essere complesso: la mia preoccupazione è quella di evitare che noi formiamo
in maniera scorretta senza offrire gli strumenti
necessari alle nuove generazioni per affrontare
questo processo di trasformazione. È difficile fare
discendere dall’economia e dall’industria le linee
guida per la formazione: il problema della scuola non è solo sistemare i precari ma anche cosa e
come insegniamo.
Più nello specifico, in qualità di docente universitario, immagina che tale ruolo sia minacciato
dallo sviluppo tecnologico?
Il ruolo del docente non è minacciato ma esiste
un problema di contenuto e contenitore: non
credo che la filosofia o la matematica cambieranno ma esiste un problema di strumenti di insegnamento, tecnologie informatiche e supporti
alla creatività che sono cambiati rapidamente e
non sono gli stessi rispetto a quelli con i quali i
docenti si sono formati. Si tratta quindi di una
sfida sia per gli insegnanti che devono aggiornarsi rispetto ai nuovi strumenti che per i giovani che creano ed esprimono la propria creatività
diversamente. La quarta rivoluzione industriale
pone la stessa sfida che pose l’introduzione della
stampa. Nell’era del libro digitale in cui disegnare, scrivere, risolvere equazioni matematiche avvengono in modo diverso, si deve cambiare gli
strumenti di insegnamento, insegnando le stesse cose ma in modo diverso. Il docente non può
essere sostituito ma deve essere sostenuto negli
strumenti educativi e formativi.
*Scuola superiore Sant’Anna
14 maggio 2016
25
E SE LE INTELLIGENZE ARTIFICIALI
APPRENDONO LE EMOZIONI?
Se per fare un regalo alla vostra fidanzata dovete scervellarvi, per un’intelligenza
artificiale è uno scherzo. Visto che ha accesso a tutte le sue conversazioni su Fb, alle sue
bacheche Pinterest, ai post su Instagram e, potenzialmente, a tutte le sue ricerche sul web
di Giorgia Furlan
I
n Her, l’ultimo film di Spike Jon- accesso a tutte le sue conversazioni su
ze ambientato in un futuro molto Facebook, alle sue bacheche Pinterest,
prossimo, il protagonista Theodore ai suoi post su Instagram e potenzialvive in simbiosi con il suo smartpho- mente (pensate a quando sarà Google
ne, ma soprattutto vive in simbiosi con a lanciare il suo assistente virtuale) a
Samantha, l’intelligenza artificiale che tutte le ricerche sul web che un utenha installato come sistema operativo. te ha fatto. Cercare di comunicare con
Samantha ha una voce dolce e rassicu- le macchine in maniera più umana
rante e conosce Theodore alla perfezio- possibile è sempre stato uno degli
ne: ha accesso a ogni dato e ricordo del- orizzonti di sviluppo dell’informatica.
la sua vita, a ogni conversazione che ha Oggi con il web abbiamo creato un’invia mail, sui social e ogni azione svolta fosfera sempre connessa, nella quale
da Theodore le permette di imparare in sono raccolti insieme in forma di dati:
maniera sempre più dettagliata come è sensazioni, conversazioni, ricordi,
fatto un essere umano.
Nel film, Samantha e La capacità di assorbire dalla Rete
Theodore si innamorano ed evolversi. Ecco la rivoluzione
e forse questo aspetto è che avvicina la macchina all’uomo
il meno realistico, tutto
il resto invece descrive bene uno sce- emozioni, libri, enciclopedie, prime
nario più attuale di quanto si possa pagine di giornali, notizie e film. Aveimmaginare. Facebook, ad esempio, re quindi delle intelligenze artificiali
sta sviluppando e testando M, un’in- che assorbono dalla Rete tutto quello
tegrazione Ai (acronimo che sta per che appartiene all’umanità e che, sulla
Intelligenza artificiale) di Messenger base di queste interazioni si evolvono,
che dovrebbe rispondere e addirittura sembra essere lo snodo cruciale per
anticipare i nostri bisogni e quelli dei avvicinare la macchina all’uomo. Pronostri cari. Una sorta di concierge digi- prio con l’obiettivo di rendere la mactale sempre pronto ad aiutarci e con- china in grado di comprendere meglio
sigliarci su tutto. Pensateci. Se per fare le emozioni umane e rispondere semun regalo alla vostra fidanzata dovete pre con maggiore efficienza ai bisogni
scervellarvi, per un’Ai come M è inve- dell’utente, Google ha utilizzato una
ce facilissimo visto che ricorda e ha collezione di oltre 2.800 romanzi rosa
26
14 maggio 2016
per migliorare l’apprendimento del
suo motore di intelligenza artificiale.
Oltre ai romanzi rosa, vengono anche
utilizzati i libri per bambini o direttamente le interazioni che l’intelligenza
artificiale ha con l’essere umano. Basta pensare al recente (e fallimentare)
esperimento di Microsoft che ha collegato Tay, un sistema Ai che doveva
impersonare una ragazzina di 16 anni,
a un account Twitter dal quale poteva
interagire con gli altri utenti umani del
social network. Ogni input insegnava
a Tay come comportarsi e come rispondere. Il risultato è stato che, non
riuscendo a cogliere la sfumatura fra
ironia e serietà, in meno di 24 ore Tay
si è trasformata in un bot razzista e misogino che, oltre a una sfrenata passione per il sesso incestuoso, aveva una
grande simpatia per Hitler.
I timori, quindi, ci sono e in molti casi
vengono anche da persone che della
tecnologia sono eminenti ambasciatori. Nel 2014 Stephen Hawking ha
dichiarato: «Lo sviluppo di un’intelligenza artificiale completa potrebbe
segnare la fine della razza umana».
L’anno scorso Bill Gates si è detto
«preoccupato per lo sviluppo di superintelligenze elettroniche» e ha continuato: «Mentre prima la macchina
si limitava a svolgere dei compiti per
ANATOMIA DI UNA
MACCHINA PENSANTE
Pensare come un umano
Il test di Turing è il criterio per determinare se una
macchina sia in grado di pensare. Nel 2013 Erich
Schmidt, Ceo di Google, ha detto che un computer
sarebbe stato in grado di passare il test entro i successivi 5 anni. Ne mancano solo 2.
Imparare dai propri errori
Una Ai può analizzare e mettere in relazione
molti più dati di un essere umano. AlphaGo, il
programma di Ai sviluppato da Google DeepMind, ha vinto a Go contro il più forte campione al mondo: ha un database con 30milioni
di mosse e ha giocato contro se stesso migliaia
di volte migliorando la propria performance.
Lottare
per i diritti
In occasione del World
Economic Forum è
stato diffuso un appello
firmato “Noi, i robot”
che dice così: «Chiediamo un reddito di
base universale per gli
esseri umani. Vogliamo
lavorare per gli umani
e aiutarli nella lotta per
il reddito. Siamo veramente bravi a lavorare.
Non vogliamo portare
via posti di lavoro alle
persone. Oggi milioni
di persone ci vedono
come una minaccia. Ma
tutto quello che vogliamo è aiutarvi».
Sostituire
gli umani
Non solo lavoro, ma
anche intrattenimento.
Esistono già robot in
grado per esempio di
suonare strumenti e tenere un vero e proprio
concerto. È il caso dei
Compressorhead, una
rock band composta
di soli automi. Sorge
spontanea una domanda: dove finiscono
in tutto questo arte e
creatività?
14 maggio 2016
27
© Illustrazione Antonio Pronostico
noi, oggi non è più così. L’Ai può essere
forte abbastanza da costituire una preoccupazione».
E non solo perché è una macchina in
costante evoluzione che potrebbe apprendere dai comportamenti o dalle
letture “sbagliate”, ma anche perché
grazie all’Internet of Things, l’internet delle cose, non avrà più bisogno
dell’essere umano nemmeno per procurarsi i dati necessari per elaborare
analisi e dare il via a nuove azioni e
processi. Basteranno un drone, delle coordinate Gps ricavate dalla rete
o dei sensori posizionati nei luoghi
di interesse, per ricavare in maniera
assolutamente autonoma qualsiasi
tipo di informazione: su di noi, sulle
nostre vite, sul nostro pianeta. In The
100, serie tv post-apocalittica che sta
avendo un notevole successo, si scopre che il mondo è stato distrutto da
A.L.I.E., un’intelligenza artificiale che
ha lanciato tutte le testate nucleari
presenti sul pianeta. Il motivo? Semplice: A.L.I.E. stava cercando di trovare
una soluzione al problema dell’esaurimento delle risorse, dell’inquinamento e del sovrappopolamento della
Terra. Quale risposta più razionale di
eliminare l’intera razza umana? Per
ora tutto questo è fantascienza, domani chissà.
«SIAMO A UN BIVIO
E MOLTO DIPENDE DALLA POLITICA»
L’
avvento dei robot è un salto di paradigma? A che tipo di rivoluzione tecnologica
stiamo assistendo, se di questo si tratta?
Lo abbiamo chiesto a Giovanni Dosi, che di salti
di paradigma tecnologici parla diffusamente nei
suoi lavori e che studia e ha studiato l’economia
dell’innovazione e del cambiamento tecnologico
e l’organizzazione dell’industria. «Siamo sicuramente nella fase di affermazione e consolidamento di un insieme di paradigmi tecnologici
fondati sulle tecnologie dell’informazione (e in
altri domini sulla biotecnologia), con un impatto
sull’economia e sulla società equivalenti in periodi precedenti all’introduzione dell’elettricità
e del motore a scoppio. Inoltre, contrariamente
a quanto sostenuto da alcuni come Larry Summers (ex segretario al Tesoro di Clinton e capo del
consiglio di economisti di Obama per due anni),
la cui tesi è che siamo entrati in una «stagnazione secolare», io credo che siamo solo all’inizio
di una profonda trasformazione non solo della
manifattura ma anche dei servizi. Tra non molto
non avremo solo robot a fabbricare cose, oggetti,
ma anche umanoidi che ci accudiscono».
Quanto sta cambiando e cambierà l’organizzazione della produzione? E che impatto ha
questo cambiamento sulle relazioni sociali ed
economiche delle nostre società?
Sicuramente avremo la sostituzione della maggior parte dei lavori ripetitivi, ma anche di una
parte dei lavori intellettuali. C’è una caratteristica specifica dei paradigmi tecnologici che stanno
emergendo e che li distingue dai precedenti. È
probabile che il loro impatto dominante riguardi
l’innovazione risparmiatrice di lavoro, cioè l’in28
novazione di processo, e meno la sfera delle innovazioni di prodotto, che entrano nel paniere di
consumo della gente. Si pensi a quanto storicamente pesavano nei consumi delle famiglie automobili, televisioni e frigoriferi rispetto a quanto pesano oggi smartphone e accesso a internet.
È vero che per automatizzare la produzione è
necessario fare innovazione di prodotto, cioè
costruire i robot, ma a mio avviso è improbabile
che questo crei una domanda di lavoro che compensa i risparmi di manodopera dovuti all’inserimento di questi nel processo produttivo. Tutto
ciò non è necessariamente un male: potremmo
avviarci verso una società “liberata dalla schiavitù del lavoro ripetitivo”, come prevedeva e auspicava Keynes nel suo saggio “Cosa lasceremo
ai nostri nipoti”. C’è anche però un’alternativa
disastrosa: quella di una società altamente polarizzata con un diffuso sottoproletariato marginalizzato un po’ stile Blade Runner.
Quanto è in grado la politica, con il suo orientamento al breve periodo, di comprendere tali
cambiamenti e di disegnare politiche capaci di
governarli e renderli sostenibili?
Quale dei due corsi prenderà il cambiamento
tecnologico dipenderà essenzialmente dalla politica, da chi e come saprà governarlo. È
chiaro, per esempio, che politiche miopi volte
esclusivamente all’aumento della competitività e che coinvolgono l’aumento degli orari di
lavoro, come quelle attualmente in discussione
in Francia, vanno esattamente nella direzione
opposta di quella auspicata da Keynes. A questo riguardo, mi sembra che stiamo assistendo a una corsa verso il basso, con la maggior
14 maggio 2016
© Sergio Oliverio/Imagoeconomica
L’impatto di questo salto di paradigma è pari a quello del motore a scoppio,
ci aspetta la libertà dalla schiavitù del lavoro ripetitivo, o uno scenario alla Blade Runner.
Parla il direttore dell’Istituto di Economia del Sant’Anna di Pisa, Giovanni Dosi
CHI È
Giovanni Dosi è
professore e direttore
dell’Istituto di Economia
della Scuola Superiore
Sant’Anna di Pisa e
condirettore delle task
force Politica industriale
e Diritti di proprietà
intellettuale della Initiative for policy dialogue
di Joseph Stiglitz, alla
Columbia University di
New York. Le sue principali aree di ricerca
comprendono l’economia dell’innovazione
e del cambiamento
tecnologico, l’organizzazione e le dinamiche
industriali, la teoria del
governo dell’impresa.
© Gerenme/iStock
parte dei Paesi che peggiorano le condizioni di
lavoro e rendono ancora più difficile una distribuzione equa del lavoro e dei redditi. Vorrei far
notare, infine, che l’attuale regime tecnologico
coincide, per la prima volta dalla
Le condizioni degli occupati prima metà dell’Ottocento, con
peggiorano e diventa più l’interruzione della caduta secodifficile una distribuzione lare dell’orario di lavoro, che anzi
equa di lavoro e redditi. Per negli Stati Uniti è addirittura aula prima volta da metà 800, mentato.
al salto tecnologico non Come si conciliano le trasformacorrisponde la diminuzione zioni enormi di cui parliamo e i
dell’orario di lavoro potenziali effetti sull’occupazione con l’attuale situazione dell’economia italiana? L’Italia ha bisogno di innovare per ritrovare la strada di una crescita
sostenuta e sostenibile, ma al contempo ha
una situazione occupazionale difficile...
Sicuramente è necessario fare politiche industriali per le quali l’industria italiana è presente
da protagonista nelle dinamica della robotizzazione. L’Italia ha un’ottima industria di macchine utensili che può essere anche la base per
la produzione di robot applicabili in molteplici
attività, come già in parte succede anche senza alcuna politica lungimirante. Occorrerebbe,
a livello italiano ed europeo, avere ambiziosi
progetti oltre che nell’area dell’automazione
anche della sanità e della sostenibilità energetica. I tedeschi in parte lo fanno, anche se molto meno di quanto dovrebbero. Per noi è molto
difficile farlo anche quando lo volessimo, e non
sembra che ci sia consapevolezza di ciò, perché
abbiamo il cappio soffocante dell’austerità macroeconomica. Tutto questo naturalmente non
esclude, ma anzi deve essere complementare a
uno sforzo di ricerca di base esteso e in molteplici campi, anche quando non collegati direttamente all’innovazione tecnologica. In effetti,
storicamente molte delle innovazioni tecnologiche radicali sono emerse da ricerche “spinte
dalla curiosità” e senza nessuna applicazione
pratica in mente. E anche a questo livello il governo, oltra gli annunci, non sembra investire
affatto nuove risorse.
Martino Mazzonis
14 maggio 2016
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30
14 maggio 2016
© Illustrazione Antonio Pronostico
I ROBOT CI RUBANO IL LAVORO
O LIBERANO IL NOSTRO LAVORO?
Da Ricardo a Leontieff, passando per Marx e Max Weber, il dibattito
sulle straordinarie opportunità della rivoluzione tecnologica,
ma anche sul rischio che diventi strumento di potere per pochi
di Dario Guarascio*
N
el loro bestseller The Second Machine Age
(Norton Ed., 2014), Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee del Mit si chiedono se la famosa predizione del premio Nobel Wassily Leontief
sia prossima alla realizzazione. Era il 1983, e Leontieff si esprimeva in questo modo circa l’impatto che il cambiamento tecnologico di là da
venire - Information Technologies (IT), robot e
automazione - avrebbe prodotto: «Il ruolo degli
umani quale fattore produttivo tenderà a ridursi drasticamente così come è avvenuto ai cavalli
impiegati in agricoltura all’indomani dell’introduzione del trattore».
La radicalità dell’affermazione di Leontieff non
ha bisogno di commenti. La sua attualità, però,
sembra altrettanto poco discutibile. Soprattutto
se le stime contenute nel lavoro realizzato, nel
2013, da Frey ed Osborne dell’Università di Oxford (The future of employment: how susceptible
are jobs to computerisation?) venissero confermate. Secondo gli autori, il 47% circa della forza
lavoro americana è destinata, nel medio periodo,
ad essere sostituita dai computer. La capacità delle macchine di accumulare, organizzare e sfruttare in modo sempre più efficiente le informazioni
disponibili nei Big data storage - archivi capaci di
immagazzinare un ammontare inimmaginalbile
di informazioni digitalizzate - potrebbe rendere a
brevissimo ridondanti le mansioni più disparate.
Dalla segretaria all’autista di camion fino ad arrivare all’anestesista e al medico, come racconta
Riccardo Staglianò nel suo ultimo libro (Al posto
tuo. Così web e robot ci stanno rubando il lavoro, Einaudi, 2016). E il settore dell’informazione
non pare da meno: testate come Bloomberg già
commissionano i report sintetici sull’andamento
delle società quotate a software programmati a
questo scopo.
Si tratta di un’estremizzazione di quello che gli
economisti chiamerebbero labor-saving process
innovation: innovazioni orientate a ridurre l’incidenza del lavoro - e della sua controparte monetaria, il salario - sui costi totali delle imprese. Con la
differenza che, questa volta, rischierebbero di essere “espulse” dai luoghi di lavoro non frazioni, ma
categorie intere di lavoratori. Categorie di lavoratori che, grazie alla dotazione di conoscenze e di
discrezionalità nell’esercizio delle loro mansioni,
si era indotti a considerare insostituibili.
La competizione tra l’uomo (lavoratore) e la macchina è un tema vecchio quanto la rivoluzione
industriale. Nella Ricchezza delle Nazioni (1776),
Adam Smith identifica nel cambiamento tecnologico la forza capace di garantire la prosperità
nel lungo periodo, a patto che tale cambiamento
impatti l’organizzazione del lavoro (e la sua divisione) così da beneficiare di tali trasformazioni. Non molti anni dopo, David Ricardo affronta
l’argomento con un piglio decisamente più pessimista. Anticipando il concetto di «disoccupazione tecnologica» successivamente coniato da
Keynes, Ricardo vede la «sostituzione del lavoro
umano con le macchine» come qualcosa di «potenzialmente molto dannoso per gli interessi dei
lavoratori». L’economista inglese arriva ad immaginare lo scenario, allora futuristico e oggi non
così implausibile, di una produzione «completamente realizzata dalle macchine». Si tratta di uno
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Ma la poesia non è un algoritmo
Traccia scenari poco rassicuranti Riccardo Staglianò ne
libro inchiesta Al posto tuo. Così web e robot ci stanno
rubando il lavoro (Einaudi). Specialmente per quel che
riguarda settori in cui il rapporto umano è fondamentale. Basta pensare al settore medico. Come può una
macchina valutare bene un caso clinico? Come riesce
a intercettare quei fattori, anche emotivi, che possono
essere importanti nell’alleanza medico-paziente? «Ho
visitato il laboratorio dell’Ibm a Yorktown, a nord di New
York, dove sviluppano l’ultima incarnazione di Watson,
il supercomputer che si occupa di medicina», racconta
Staglianò. «Tu gli dai la cartella clinica del paziente in
formato elettronico, gli racconti i sintomi e lui ti fornisce alcune terapie. Per adesso si occupa di tumori al
polmone e lo usano in fase sperimentale allo Sloan Kettering di New York, centro oncologico d’eccellenza».
Sostituisce il medico? «Non ancora, ma non è difficile
immaginare un futuro, sempre più economicamente
disuguale, in cui chi ha i soldi continuerà a farsi curare
dai medici e chi non li ha si accontenterà dei robot. Il
Sedasys, una macchina per le anestesie, è già usata negli Usa: le sedazioni costano 200 dollari, prima ne costavano 2.000». Ma non tutto volge al peggio. «Enlitic,
per esempio, è un software per leggere le radiografie
e risulta già più attendibile dei radiografi umani». Nel libro, interessanti capitoli sono dedicati agli aggregatori
di notizie e a Google translate. È possibile arrivare con
un programma elettronico a una traduzione, non solo
efficace, ma anche sensibile alle sfumature, al suono
della poesia? «Vale lo stesso principio», risponde Staglianò. «Agli inizi le traduzioni di Google translate facevano ridere, più che capire.
Ma negli ultimi anni le cose
sono cambiate perché gli
algoritmi sono stati alimentati con un’immane quantità di traduzioni di qualità.
Ora Translate mi restituisce
il senso gratis. Gli affiderei
una traduzione letteraria?
No. Ma intanto farà fuori
molto lavoro di servizio,
per cui prima degli esseri
umani venivano pagati».
Simona Maggiorelli
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scenario in cui «scomparirebbe la domanda di
lavoro e nessuno, ad eccezione di pochi capitalisti, sarebbe più nelle condizioni di consumare
alcunché». L’incessante volontà dei capitalisti di
sostituire il lavoro - riottoso e incline ad eccessive rivendicazioni - con le macchine, silenti e non
bisognose di riposo, è per Karl Marx - che da Ricardo eredita parti rilevanti del proprio apparato
analitico - una delle forze destinate a condurre il
sistema capitalistico verso l’implosione.
A dispetto delle previsioni degli economisti classici, tuttavia, il ’900 ha mostrato una discreta capacità del sistema di assorbire gli «effetti collaterali» del cambiamento tecnologico,
Di “sostituzione in termini di disoccupazione e presdel lavoro umano sione su salari e domanda. Gli invecon le macchine” stimenti in innovazione - e, in parsi parla da due ticolare, l’innovazione di prodotto,
secoli: oggi i ovvero l’introduzione di prodotti di
robot fanno quasi maggiore qualità e funzionalità - son
tutto quello che divenuti una delle ricette privilegial’uomo sa fare te di chi ambisce a una crescita economica capace di non penalizzare il
lavoro. Le preoccupazioni degli economisti circa
gli effetti del cambiamento tecnologico sull’occupazione si concentravano, sino a poco tempo
fa, sulla necessità di tutelare specifiche categorie
di lavoratori. L’idea, portata avanti tra gli altri da
David Autor, era che i cambiamenti tecnologici
in atto avrebbero favorito una “polarizzazione” prodotta dallo spiazzamento delle mansioni più
ripetitive da parte dei computer - che avrebbe
visto una distruzione dei lavori impiegatizi e di
medio livello e un parallelo incremento nella domanda (e nella remunerazione) delle figure professionali meno e più qualificate.
Ma la situazione odierna presenta delle caratteristiche inedite: macchine capaci di abbattere
tempi e costi nell’espletamento di pressoché tutte le attività che non siano la programmazione e
la manutenzione delle stesse macchine protagoniste dell’attuale salto di paradigma. Fabbriche,
strade, ospedali e redazioni robotizzate. Lo scenario distopico immaginato da Marx potrebbe
dunque essere alle porte? Alcune letture, come
quella proposta da Paul Mason, sembrano affermare il contrario (The end of capitalism has begun, The Guardian, 2015). Saremmo diretti verso
la “fine del capitalismo” o meglio verso “la fine
del lavoro”. Ma si tratterebbe di un luogo dove
qualunque fatica è demandata alla macchine, gli
© Illustrazione Antonio
Pron
ostico
uomini sarebbero liberati dal lavoro (per come
lo conosciamo) e impererebbe la sharing economy. Non esattamente un contesto conflittuale e rivoluzionario come quello immaginato dal
filosofo di Treviri.
Una lettura come quella proposta da Mason,
però, sembra trascurare alcuni elementi strutturali, cari all’analisi marxiana, che rendono il quadro più complicato. La relazione dialettica che sta
dietro il cambiamento tecnologico - il conflitto
capitale-lavoro - è oggi più che mai motore delle
trasformazioni che si osservano. Questo si dimostra in maniera evidente nella distruzione di posti
di lavoro. Ma il cambiamento non si ferma qui.
Poiché, a differenza dei tempi in cui all’introduzione delle macchine nelle fabbriche inglesi i luddisti rispondevano con il sabotaggio, sembra oggi
mancare la consapevolezza delle relazioni di potere che precedono l’adozione delle innovazioni
e che, mediante queste, potrebbero consolidarsi.
In un contesto economico caratterizzato da acute disuguaglianze, si concretizza la prospettiva
di vaste sacche di “disoccupazione tecnologica”,
con gli effetti che questo può produrre in termini
di minori salari, minore domanda e conseguente
aumento del rischio di crisi sistemiche. La produzione di beni e servizi - anche servizi chiave quali
quelli sanitari - potrebbe essere effettuata sempre
più spesso da macchine il cui controllo e la cui
comprensione è appannaggio di un nucleo molto
ristretto di individui. Di fronte a un cambiamento
di tale portata è assolutamente necessaria una riflessione sull’insieme di politiche che potrebbero
rendere questa transizione sostenibile.
Tra le proposte concrete che sono state avanzate viene spesso menzionato il reddito universale. Uno strumento che potrebbe rappresentare
un paracadute essenziale in un
contesto in cui il lavoro umano ri- Fine del lavoro o fine
sultasse sempre meno necessario. del capitalismo? La quarta
Ma emerge almeno un interrogati- rivoluzione industriale
vo: chi si occuperebbe di garantire ci obbliga a immaginare
una produzione e un’allocazione una transizione sostenibile
della ricchezza adeguata ed equa
per tutti, capace di assicurare l’efficacia di una
misura quale il reddito universale? La risposta
a una domanda del genere passa attraverso la
considerazione di come l’automazione della
produzione e l’uso massivo delle IT possa incidere sulla dialettica economica e politica, sui
rapporti di forza nelle nostre società. Una considerazione non facile ma che può forse beneficiare delle intuizioni che gli economisti classici
ebbero quando i robot non popolavano nemmeno i libri di fantascienza.
*Scuola Superiore Sant’Anna (Pisa)
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RENZI PROVA A METTERE LA SORDINA
MA LO SCONTRO COI GIUDICI CONTINUERÀ
Tra la riforma del processo penale, i tempi di prescrizione,
e il referendum sulla Costituzione, il fronte con Magistratura
democratica resterà aperto. Servono nemici, dentro e fuori al Pd
di Luca Sappino
N
on è certo finito lo scontro con me come Fabrizio Rondolino, su quei giudici. «Non sentirete mai ste posizioni di censura da anni, certo
un mio commento su un ma- non dispiace che da Forza Italia notino
gistrato» ha detto Matteo Ren- che ai tempi della riforma costituziozi, tornando così sulla vicenda nale di Berlusconi nessuno da sinistra
del giudice Morosini, finito nella bufera sollevò il tema dell’opportunità della
per un colloquio - inutilmente smenti- partecipazione dei giudici al dibattito
to - pubblicato da Il Foglio, in cui espri- politico: «È l’incoerenza della sinistra»,
meva giudizi molto duri sul governo nota Augusto Minzolini. Ma per il gior(«dei mestieranti, buoni solo a gestire nale del Pd è invece una medaglia: non
il potere») e anche su alcuni colleghi, può certo farsi scavalcare da Il Foglio,
troppo vicini al premier («Cantone, che, come abbiamo visto, è protagocome Gratteri, è un uomo Mondadori. nista indiscusso sulla materia. Tutto il
Non so se mi spiego»). Dice così, Ren- caso Morosini nasce dalle colonne del
zi, ma dobbiamo invece aspettarci che quotidiano fondato da Giuliano Ferrail fronte aperto con alcuni esponenti di ra, dove l’autrice dell’intervista dello
Magistratura democratica resti caldo, e scandalo, Annalisa Chirico (che è per
a lungo. Un po’ per via dell’agenda par- inciso la compagna del manager nulamentare, come vedremo, un po’ perché nella L’Unità, Il Foglio, i costituzionalisti di
battaglia sul referendum area. Dopo aver respinto la teoria di un
costituzionale Renzi ha complotto dei giudici, Renzi ha proposto
bisogno di marcare l’im- una tregua alla minoranza interna,
magine di due soli schie- «ma è solo facciata» temono i bersaniani
ramenti contrapposti.
E se non sarà il premier a indicare co- clearista Chicco Testa, che per un soffio
stantemente il nemico - per non sco- non è diventato ministro dello Svilupprirsi troppo rispetto alle critiche della po economico) il giorno dopo ha forniminoranza interna, il cui supporto co- to ai lettori una storia di Magistratura
munque gli serve per le amministra- democratica. Corrente politicizzata, si
tive - ci penseranno i suoi. Non molla sostiene non senza ragione ma con un
certo la presa l’Unità, ad esempio, che eccesso di scandalo: «E all’improvviso,
continua a dedicare fondi e interviste grazie al caso Morosini», scrive il diretsul tema dei giudici politicizzati. E a fir- tore Claudio Cerasa, «tutti si accorsero
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«C’è un divieto» per i magistrati di «partecipare
a campagne politiche... e questo referendum
costituzionale si è caricato di un significato
politico», dice il vicepresidente del Csm, Giovanni
Legnini. Dal comitato per il No fanno però notare
che non sono stati certo i giudici a legare la vita
del governo al referendum
che in Italia ci sono magistrati che fanno politica. Tu pensa». I fondi del Foglio
vengono molto apprezzati a palazzo
Chigi, e girano nelle mazzette pieni di
entusiastiche sottolineature con evidenziatore giallo.
Il Foglio, l’Unità, e ci penserà poi Maria Elena Boschi, soprattutto. Sarà lei a
tenere vivi tutti i fronti, tutti quelli su
cui Renzi deve comunque trattenersi,
vuoi per opportunità istituzionale - con
i magistrati - vuoi per non dare eccessivo spettacolo in un delicato passaggio
elettorale - con la minoranza interna. È
lei, non a caso, che mentre il premiersegretario offriva una tregua ai compagni di minoranza, paragonava la sinistra a Casa Pound perché entrambe
contrarie alla riforma costituzionale.
Poliziotto buono, poliziotto cattivo,
questo è lo schema. Gli autoproclamati
“fascisti del terzo millennio” e l’Associazione nazionale dei partigiani, sono
finiti così assimilati per una perfetta
stoccata. E per Gianni Cuperlo che mite
ma deciso chiede una smentita, arriva
invece una conferma, durante l’ultima
direzione del partito: «Più volte ho sen-
© Alessandro Di Meo/Ansa
tito equiparare chi vota “si” con Verdini», ha detto Boschi, «mi sono limitata
a dire che chi vota “no” vota “no” come
CasaPound, una valutazione di fatto reale nella sua banalità».
Così continuerà lo scontro anche con i
giudici, dicevamo, sulla riforma costituzionale e per via dell’iter parlamentare della riforma del codice penale. Il
25 maggio, infatti, scade il termine per
la presentazione degli emendamenti al
testo unificato di riforma adottato dalla commissione giustizia del Senato.
Quel giorno - per dire - sciopereranno
gli avvocati penalisti, contrari alle modifiche della prescrizione, agganciate
al più ampio disegno di riforma.
Della prescrizione dunque si parlerà
ancora, così come delle intercettazioni, su cui il governo si prende una delega molto ampia che fa discutere già
di suo. Si parlerà della prescrizione su
cui i 5 stelle hanno prima aperto una
fase di dialogo e poi sono tornati a fare
i puri. «Non ha neanche letto la legge»,
così il sottosegretario Gennaro Migliore liquida le accuse di «inciucio» mosse
da Alessandro Di Battista e ci conferma
che un muro si è alzato. «L’hanno alzato Ciro Falanga. E proprio Falanga si proloro perché in difficolta per la vicenda pone per far fare l’altro mezzo passo in
del sindaco di Livorno», è il commento avanti. Sua è la proposta alternativa:
raccolto da Left. Sicuramente, troppo una non meglio specificata corsia preghiotta è in realtà per il Movimento 5 ferenziale per i processi per corruzione.
stelle l’occasione di dare una rappre- E arriviamo così alla difficile partita
sentazione che, questa volta, Renzi non politica che Renzi si gioca nei prossimi
gradisce: «Fanno come Berlusconi», mesi, tra amministrative, referendum e dicono i 5 stelle indicando una muta- appunto - giustizia. C’è la competizione
zione genetica che nel Pd respingo- con i 5 stelle in un’autistica gara su chi
no. Il ddl, rivendicano i dem, allunga i è più pulito (perfetto è il commento di
tempi della prescrizione
per i reati di corruzione Dopo uno spiraglio di dialogo sulla
e pedofilia: «Ma quale prescrizione, torna il muro tra 5 stelle
Berlusconi!». Approvato e Pd. L’accusa è reciproca. «Sono in
in prima lettura a marzo difficioltà per il caso di Livorno», dicono
scorso, il 4 maggio il testo i dem. «Stanno con Verdini», è la replica
è passato in commissione con il voto favorevole di Pd, Ap-Ncd Fabio Volo, sì Fabio Volo: «Si capisce solo
e Psi, mentre i 5stelle e il Gruppo misto “Gne-gne”»). C’è la corsa congressuale
si sono appunto astenuti e Forza Italia, che si è aperta (Roberto Speranza è semLega e fittiani hanno abbandonando la pre più in campo) con tutti i temi che si
seduta. Niente Berlusconi, è vero, ma il porta appresso. A cominciare proprio
mezzo passo in avanti è stato fatto dopo dall’accordo con Verdini. Se come temoil noto vertice di maggioranza allarga- no a palazzo Chigi Fassino sarà l’unico
to - per lo stupore del senatore Felice sindaco eletto nella prossima tornata,
Casson, dem dissidente, presente alla qualcuno chiederà veramente conto
riunione - ai verdiniani, per interposto dell’abbraccio con Denis.
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DA ROMA A BOLZANO
CHE FATICA A SINISTRA
Il rovinoso inciampo di Fassina
è il sintomo: «Paghiamo il ritardo
sul partito», è la voce dei militanti
© Stefano Carofei/Imagoeconomica
Q
uello di Stefano Fassina è un inciampo da
cui difficilmente ci si riprenderà. Il candidato mostra sicurezza fino all’ultimo - e noi
quando scriviamo attendiamo come lui il verdetto
del Tar. Ma la commissione elettorale di Roma ha
fatto piombare i quasi 500 candidati delle due liste
escluse, tra Comune e Municipi, nello sconforto. «È
difficile essere ottimisti» dice anche un militante
di lungo corso, una vita nel Pci con responsabilità
organizzitive. Sul ricorso, quando Fassina riunisce i
militanti per una riunione pubblica, tira una brutta aria. La lista Sinistra per Roma - Fassina sindaco
aveva chiesto di riesaminare la pratica, ma niente:
«La giurisprudenza sia recente che anche trascorsa
del Consiglio di Stato è inequivocabile», scrive la
commissione elettorale. E allora tocca rivolgersi al
Tar, simulando ottimismo.
Comunque vada, la rabbia resterà. «Paghiamo il
ritardo sul partito», dice a Left il dirigente nazionale di Sel, che però come tutti in queste ore delicate chiede di non comparire. Bisogna evitare polemiche, non alimentare le voci di un complotto:
«Quella di Fassina è più il sintomo di una dirigenza
troppo presa a sorvegliarsi a vicenda. Serve tirare
una riga». E serve «un partito», perché «al Pci non
sarebbe mai successo», dice bene un militante che
si era prestato per una candidatura in periferia. Un
partito, badate. Perché è la frammentazione a moltiplicare le debolezze. Come spiega bene Roma o,
volendo, il dato di Bolzano che arriva lo stesso giorno in cui Fassina viene escluso, anticipo dell’infornata di voti amministrativi. Lì la sinistra era divisa
in due: l’area di Sel nella veste di Sinistra Die Linke
in coalizione con il Pd, Renzo Caramaschi candidato sindaco finito al ballottaggio con il centrodestra;
e una lista di Rifondazione, alleata dei Verdi nel
sostenere Norbert Lantschner. Le due liste hanno
preso entrambe 703 voti, esatti. Nessuna delle due
ha eletto un consigliere.
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PARERI
IL COMMENTO
di Felice Casson
Referendum costituzionale
e ritorno della questione morale
I
rapporti tra politica e magistratura ormai da
alcuni decenni sono caratterizzati da “alti”
e “bassi” impressionanti. Non saprei dire
se tutto ciò sia inevitabile, anche se osservo
che, in questa esperienza senatoriale, quando si
parla di giustizia in una commissione o nell’aula
del Senato, praticamente tutti si sentono in dovere di intervenire e dire la loro. E questo è un bene.
È il segno di quanto sia profondamente sentita
la necessità di discutere di bene comune, di legalità e di correttezza istituzionale. Ma se poi si
passa a una valutazione di quanto viene detto,
è facile che si rizzino i capelli in testa dalle tante
assurdità e alle volte vere e proprie bestialità che
vengono sostenute. In questo periodo c’è una
vasta gamma di esemplificazioni, dalla cosidetta
riforma costituzionale alle nuove norme proposte in tema di processo penale, intercettazioni e
prescrizione. Emblematico, poi, politicamente
e socialmente, è ciò che si osserva tutt’attorno.
Prendiamo per esempio il caso del prossimo
referendum d’autunno. Già costituirebbe grave
anomalia giuridica e istituzionale il fatto di un
governo, un qualsiasi governo, che propugnasse
una profonda riforma costituzionale per modificare in radice competenze, composizione e limiti
del potere legislativo. E soprattutto che sostenesse a spada tratta le ragioni della modifica, reprimendo il dissenso e non curandosi dei “pastrocchi” tecnici. E ancor più aggirando la lettera e lo
spirito della norma costituzionale. Che chiedesse
un inutile referendum a conferma, referendum
invece previsto a tutela dei contrari. E per di più
prefigurando su una riforma costituzionale un
plebiscito pro o contro il governo, così piegando
la Costituzione a interessi che per definizione
sarebbero di parte (quand’anche maggioritaria).
Su tutto ciò negli ultimi giorni si è innescata una
polemica su chi possa o non possa schierarsi
contro questa assurda pretesa di referendum “governativo”. Nel tentativo di mettere il bavaglio a
una categoria di giuristi, i magistrati, che non potrebbero - così sostiene anche il “laico” vicepresi-
dente del Csm - partecipare a dibattiti politicizzati. Ora, a parte il fatto che la decisione del capo
del governo di politicizzare a proprio favore un
referendum costituzionale costituisce un’aberrazione in sé, si rischierebbe in un colpo solo di
martoriare tutta una serie di principi costituzionali: dalla libertà di pensiero e di espressione alla
sovranità della Costituzione di fronte a qualsiasi
potere dello Stato. Per buona sorte la Costituzione rimane, mentre sono i governi, tutti i governi,
quelli destinati a passare. E se anche in questa
occasione si è arrivati al calor bianco nel rapporto tra politica e magistratura, tanto da coinvolgere il ministro della Giustizia e il presidente della
Repubblica, significa che la tensione rischia di
arrivare alle stelle. Non è di certo casuale che ci si
arrivi mentre in tutta Italia sembra di assistere a
una riedizione di Mani
pulite. E mentre quin- Il governo prima politicizza
di la classe politica, il referendum costituzionale,
anzi una parte della poi chiede ai magistrati di
classe politica, si sen- tacere. Intanto una parte della
te nuovamente sotto politica si sente sotto assedio,
assedio. Io penso che, teme una nuova Mani pulite
per tutti e sempre, valga il famoso broccardo “Male non fare, paura non
avere”. Certo, mi fa strano che nei casi di imputazione e arresti nei confronti di un politico, siano
dei politici stessi a dire di voler aspettare l’esito
delle indagini e del processo. Fatto salvo il sacrosanto anche se banale ricorso al principio di
non colpevolezza, mi verrebbe da chiedere: dove
sono finite l’autonomia e la dignità della politica?
E non esistono criteri e valutazioni diversi e indipendenti rispetto a quelli giudiziari-processuali?
Non è in grado la politica di capire autonomamente che determinati comportamenti sono socialmente e moralmente scorretti al di là di ogni
giudizio della magistratura? Con la consequenziale necessità di trarne le debite conseguenze!
Se si ragionasse in quest’ottica forse anche la crescente disillusione dei cittadini nei confronti dei
politici segnerebbe un’inversione di tendenza.
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L’EGITTO DI GIULIO REGENI
HA INCARCERATO MALEK
Il 5 maggio l’ultimo ok è delle ore 8.58, l’ultima connessione alle
19.34 dal suo account di whatsapp. Nessuna risposta all’ultimo Malek
dove sei? Perché giovedì scorso Malek è stato arrestato
testo e foto di Michela AG Iaccarino
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(17.18): La rivoluzione è finita?
«Proprio niente è finito».
(22.33): Tahrir tornerà?
«Nessun dubbio. È solo questione di tempo».
(21.49): Perdi mai la speranza?
«Certo che no. Noi ci consideriamo
tutti figli della speranza»
Gli orari sono quelli della time line di una chat
usata come un walkie talkie in quelle che sembravano conversazioni da una stanza all’altra, su
due sponde diverse del Mediterraneo. Quando lo
scorso febbraio avevo sentito per la prima volta
la voce dell’avvocato comunista dei sindacati del
Cairo, che aveva conosciuto Giulio Regeni alla fine
del 2015, le prime parole che aveva pronunciato
erano state queste: «Io non ho paura, faccio il mio
lavoro, puoi scrivere il mio nome. Il mio nome è
Malek Adly».
Quella voce l’ho risentita due mesi dopo. «Confermo. Sono l’avvocato Malek Adly. E non sono
in prigione... non ancora». Nonostante fosse riuscito a evitare le divise con il mandato d’arresto
firmato dal procuratore generale Tamer Alfergany
a suo carico, molti quotidiani avevano ribattuto
la notizia della sua carcerazione. «Mi stanno cercando e sto tentando di nascondermi». Le conversazioni avvenivano due volte: una al mattino,
una la sera, ma spesso molte di più. R u fine? Fine.
Roger? Roger. Ok? Ok. Le sue risposte volevano
dire che era ancora libero. Che stava ancora bene.
Giovedì 5 maggio l’ultimo ok è delle ore 8.58 e
l’ultima connessione è alle 19.34 dal suo account
di whatsapp che continuava a funzionare anche
se aveva buttato la scheda per non essere localizzato. Nessuna risposta all’ultimo Hello? All’ultimo Malek dove sei?
Giovedì scorso Malek è stato arrestato a Maadi,
Cairo, e trasferito a Shubra al Khayma. «Siamo il
Cile, l’Argentina del Medio Oriente. La mia vita è
paura di essere arrestato, che false prove vengano fabbricate contro di me», disse a febbraio. Le
accuse a suo carico sono: incitamento alla protesta, diffusione di false notizie, minaccia alla pace
e all’unità nazionale, colpo di Stato. «L’arresto del
celebre avvocato segnala la determinazione del
regime nel reprimere le critiche» è il lungo titolo
che gli dedica il New York Times. Su un foglio bianco sono rimaste le domande a grappolo che pensavo di fargli e una sola risposta di qualche giorno
prima. (20.49): Che fai quando sei triste? «Sono triste». Saggio! «Soprattutto: pratico».
Giovedì 5 maggio Malek, l’avvocato che si batte
per i diritti umani, è stato arrestato. Con le accuse
di incitamento alla protesta, minaccia alla pace
e all’unità nazionale, colpo di Stato
Dopo la retata di arresti del 25 aprile scorso,
quando si era tornato a urlare ad Al Sisi ehral,
vattene, dal Basso all’alto Egitto, per la cessione delle due isole Tiran e Sanafir a re Salman
dell’Arabia Saudita per i suoi 24 miliardi di investimenti, Malek era riuscito a fuggire. «È stato emesso un mandato d’arresto contro di me
e molti miei colleghi. Significa che ci inseguono, non siamo sicuri nelle nostre case, con le
nostre famiglie. Siamo coinvolti in un caso giudiziario che vede imputato il presidente Al Sisi
per l’incostituzionale e illegale cessione delle
due isole egiziane all’Arabia Saudita. Abbiamo
agito a nome di centinaia di giornalisti, attivisti, comuni cittadini egiziani. Il 17 e il 24 maggio verranno prese importanti decisioni dalla
Corte che si occupa del caso».
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Città del Cairo,
6 ottobre. Passanti lungo
le strade del distretto
periferico a sud della
capitale, nei pressi
di Giza.
In apertura: Cairo, Egitto.
Panoramiche aeree
della capitale, tra le più
popolose d’Africa, che
conta circa 12 milioni
di abitanti
Le due isole erano lontane da Tahrir, ma da lì arrivava il vento che aveva ripreso a soffiare sulle braci
che stavano per spegnersi nelle piazze egiziane. Dal
letargo all’onda autopropulsiva lungo il delta del
Nilo: la situazione sembrava insieme incandescente
e immobile. Una protesta al Cairo non è quasi mai la
via verso la soluzione, ma quasi sempre l’inizio di un
antidoto.
È vero quel proverbio arabo che dice che non bastano tutti i cammelli del deserto per comprarti un amico. Malek diceva così: «Non sono coraggioso, ho tanti
amici». I compagni che lo aiutavano “fanno questa
vita da anni”. Con 1.200 arrestati intorno, aveva scritto «I can handle it». Posso farcela. (12.29): Tutto questo succede dopo il Regeni case? «Tutto è collegato».
Mentre i quotidiani rendevano pubblici gli ordini
Il direttore di Al Jazeera, Ibrahim Hilal, è stato condannato
a morte in contumacia: ora della sua esecuzione,
in quell’Egitto nostro alleato nella lotta all’estremismo
islamico, deciderà il gran muftì della capitale
del governo che per sbaglio via email erano arrivati
alla stampa, come il silenziatore del boia, per mettere a tacere le notizie sui desaparecidos arabi, Malek
che negli ultimi anni di governi ne aveva visti salire
e sprofondare negli abissi almeno tre, scriveva: «It’s
all about regime stupidity»,«It will pass». Un mattino
scriveva: no news, good news. Un altro: sono stato in
piedi fino alle 5. C’era e c’è un colpo di grazia: quello
che è stato inferto ai dissidenti nell’ultimo mese, uno
di Stato che ha portato e mantiene Al Sisi al potere,
un colpo di spugna: quello che un pezzo di Cairo e
un pezzo d’Egitto si rifiutano di dare battendosi contro il sistema della dittatura, uno ad uno, un Malek
dopo l’altro, pagando con la libertà e a volte la vita.
Liberali, dissidenti, intellettuali, studenti sono i nemici del popolo, della Nazione, di quel Vivalegitto
che il presidente Al Sisi ripete a ogni fine discorso.
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Loro non hanno quel tipo di patriottismo di cui scriveva Samuel Johnson: «Patriottismo, ultimo rifugio
di una canaglia». È per questo che anche il direttore di Al Jazeera Ibrahim Hilal è stato condannato a
morte in contumacia: ora della sua esecuzione, in
quell’Egitto nostro alleato nella lotta all’estremismo
islamico, deciderà il gran muftì della Capitale. Intanto Ahmed Abdallah, attivista per i diritti umani e
legale di Giulio, è uscito di prigione, entrato in un’aula di tribunale e tornato in prigione: stringeva tra le
mani un foglio bianco. C’era scritto: verità per Regeni. È accusato di voler rovesciare il governo, la Costituzione, di appartenere a un gruppo terroristico.
Giulio - egiziano per gli egiziani, perché ne ha condiviso il destino, ovvero morte e tortura - è ormai una
questione di politica interna e non più solo estera
per gli uomini di Al Sisi. La sua faccia dipinta è come
quella delle icone dei martiri laici della rivoluzione
della giovinezza a Tahrir 2011, il suo volto è diventato
uno dei murales che tappezzano le pareti della città.
L’unica cosa bella dei muri è che puoi scriverci sopra.
Anche la verità, quando non puoi farlo da nessuna
altra parte. Al Qahira, la città che porta il nome de
“la trionfante”, “la forte”, “la soggiogatrice”, “la vittoriosa”, ma anche “che prende in giro lo sconfitto - il
Cairo- è in queste ore una città in apnea di fantasmi
e di buchi.
Fantasmi dei desaparecidos: 500 l’anno scorso,
300 quest’anno. Fantasmi dei servizi segreti del
Mukhabarat, per loro natura spettri senza nome e
non uomini. Buchi: nella ricostruzione della notte
del 25 gennaio in cui Giulio fu rapito. Buchi di petrolio: il più grande giacimento del Mediterraneo
trovato in acque egiziane. Buche comuni: le fosse
e le dune di sabbia dove forse sono i corpi degli
scomparsi invisi al regime. In queste ore al Cairo gli
inquirenti italiani - un funzionario Sco, un ufficiale
Ros - stanno discutendo con i colleghi arabi per valutare il proseguimento delle indagini. Sono invece
arrivati a Roma i tabulati telefonici richiesti: tra i 13
numeri c’è quello di Mohamed Abdallah, capo del
sindacato degli ambulanti. Se c’è una risposta, una
pista o una talpa è forse tra le anime dell’universo
che si agita intorno alle turbolente rivendicazioni
dei lavoratori. Oppure la paura si propaga anche
così, travestendo la verità di false evidenze.
Da quando era in fuga Malek vedeva poco le strade,
vedeva di nascosto sua moglie e sua figlia. Ma se ti
aspettavi che dall’altro lato parlasse un arreso, una
vittima triste, un malinconico e garrulo fuggitivo trovavi resistenza, senso dell’umorismo ardente: «Non
posso uscire, non posso fare niente. Finalmente un
po’ di tempo per leggere i romanzi lasciati a metà».
Autori egiziani, latinoamericani. Italiani: “Danty,
Macavilly”. Dante e Machiavelli. «Qui si crepa». Ma
hai detto che siamo tutti figli della speranza. «Non è
una questione di speranza, ma di condizionatore: ci
sono 35 gradi all’ombra». In quella che chiamava la
sua optional prison chiuso chissà dove tra il rischio e
il limbo, commetteva atti di sarcasmo che sembravano dichiarazioni d’amore verso la libertà. L’ultimo li-
Giulio - egiziano per gli egiziani, perché ne ha condiviso
il destino, ovvero morte e tortura - è ormai una questione
di politica interna per gli uomini di Al Sisi. La sua faccia
dipinta è come quella delle icone di piazza Tahrir
bro sufi che stava leggendo prima che lo arrestassero
si intitolava Messaggi. Se continuavi a scrivergli che
aveva coraggio, rispondeva che ne avevano di più i
suoi amici. Se gli chiedevi come stava, rispondeva
sempre bene. Se gli chiedevi di quella morte italiana,
sapeva che era anche un pezzo di storia egiziana.
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PODEMOS CI RIPROVA
E GUARDA A SINISTRA
L’alleanza con Izquierda Unida vale il 23%, può scavalcare
i socialisti e diventare la seconda forza in Spagna alle elezioni
del 26 giugno. Ne parliamo con Miguel Urbán e Marina Albiol
di Tiziana Barillà
L
a Spagna torna alle urne il 26 giugno.
Quella che si è appena conclusa è stata
la legislatura più breve della democrazia
spagnola, appena 4 mesi dopo il voto di
dicembre 2015. Davanti al fallimento di
Pedro Sánchez, re Felipe VI non ha potuto far
altro che sciogliere le Cortes, come da Costituzione, e convocare nuove elezioni. La campagna
elettorale sembra un déjà vu perché le forze politiche in cui è divisa la Spagna restano le medesime quattro: Partito popolare, Psoe, Podemos e
Ciudadanos. Nasce tuttavia una nuova alleanza,
perché Podemos vira a sinistra e persegue un’intesa con i post comunisti di Izquierda unida. I
sondaggi, per ora, gli danno ragione, l’alleanza
di sinistra conta già il 22,3%. Più dei socialisti di
Pedro Sánchez, fermi al 20%, e a soli due punti
dai popolari di Rajoy che provano a cavalcare la
paura dell’ingovernabilità.
Podemos e Izquierda unida: la sinistra radicale
(quella «forte e degna di questo nome», per dirla
con le parole di Garzón) e quella meno statalista
e che non sente l’esigenza di chiamarsi a tutti i
costi “sinistra”. Pablo Iglesias e Alberto Garzón,
che si lasciano alle spalle le ruggini e le frecciatine del passato per scalzare il secondo posto ai
socialisti e puntare a un governo di unità popolare, progressista, dove - ha già avanzato l’ipotesi Iglesias - ci sarà posto anche per il Psoe e per
un’eventuale vicepresidenza di Sánchez.
Sumamos para ganar, ci uniamo per vincere.
«Abbiamo raggiunto uno storico accordo. Mi rallegro che i piani vanno bene», ha twittato Pablo
Iglesias la notte tra lunedì e martedì. L’alleanza
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tra le forze di sinistra è stata sigillata, a Iu andrà un deputato ogni
sei eletti di Podemos. «Entrambe le
organizzazioni sanno che questo è
l’unico modo per restituire il nostro
Paese alla maggioranza sociale»,
spiega Marina Albiol di Izquierda
unida. Iu chiede una dozzina di
posti a sedere, oltre a quelli già certi in Galizia, Catalogna e Valencia. Miguel Urbán, Podemos:
Che l’alleanza premi, del resto, lo «Niente è sicuro. Ma è
confermano gli accordi chiusi alle necessario un accordo di
ultime elezioni municipali: Ferrol, unità popolare, che includa
Madrid, Barcellona, Zaragoza, tutte i movimenti sociali che non
vittorie. E poi Iu negli ultimi son- hanno intenzione di entrare
in alleanze elettorali»
daggi è in crescita, quasi al 6%.
Dopo tanto ripetere “né di destra
né di sinistra”, che ne penseranno gli elettori di
Podemos di un’alleanza con una forza così “tradizionale”? «È necessario un accordo di unità
popolare, non solo elettorale ma reale», risponde
Urbán. «Per costruire un vero potere popolare Podemos non è sufficiente, le compagne e i compagni di Iu sono molto importanti ma lo sono anche
i movimenti sociali che non hanno intenzione di
entrare in nessun tipo di alleanza elettorale».
Questioni economico-sociali, crisi del bipartitismo, lotta alla corruzione, questione indipendentista catalana e riforme costituzionali: restano questi i temi della campagna elettorale. Ed
entrambe le forze politiche hanno programmi
che puntano su ecologia, democrazia nelle istituzioni, lotta alla precarietà, riforma del sistema
bancario, riposizionamento negli scenari inter-
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© Zipi/Epa Ansa
28 maggio, giornata del Piano B
Gli spagnoli, è innegabile, sono protagonisti assoluti quando c’è da discutere
di un Piano B «contro le politiche delle
banche e delle multinazionali». Lo sono
stati anche a Roma, l’8 maggio, durante
l’incontro organizzato in vista della prossima mobilitazione continentale, prevista per il 28 maggio in tutte le piazze
d’Europa. Una data simbolica scelta in
omaggio alla Comune di Parigi e alla
rivoluzione dei comunardi francesi, che
nel 1871 abolirono l’esercito e lo sostituirono con un’armata popolare e volontaria, proclamarono la separazione
dalla Chiesa, abolirono i privilegi degli
ecclesiastici, costituirono cooperative di
operai per gestire le fabbriche abbandonate dai padroni, sospesero le sentenze di sfratto e morosità. E puntarono
sull’emancipazione delle donne.
I leader di Podemos e
Izquierda unida-Unidad
popular,
Pablo Iglesias e Alberto Garzón
anche nello Stato spagnolo la socialdemocrazia
preferisce allinearsi con le forze che difendono
il modello neoliberale invece di scommettere
su una ripartizione del consenso a sinistra». Secondo la stampa spagnola, poi, l’astensionismo
rischia di favorire il partito di Mariano Rajoy. «I
media lavorano contro di noi», tuona Urbán,
«ma quello che non si può truccare o nascondere è che con l’alleanza tra
nazionali. Più che nei temi Marina Albiol, Iu: «Il
Podemos e Izquierda unida
veri e propri, difatti, è nell’or- Psoe ha preferito tornare
noi saremo la seconda forza
dine di importanza dato alle alle urne, dimostrando
del Paese. A soli due punti dal
questioni che si registra qual- che la socialdemocrazia
Partito popolare. E noi non
che differenza. Un esempio: preferisce allinearsi con il
vogliamo vincere sul partise Podemos punta innanzi- modello neoliberale invece
to socialista, ma sul partito
tutto sul reddito minimo di di scommettere a sinistra»
popolare. Il problema è che
cittadinanza per tutti, Iu dà la
l’accordo tra Ciudadanos e il
priorità a un piano di assunzioni pubbliche che Psoe puntava a cambiare il nome al Partito poeviti di dover elargire il reddito di cittadinanza a polare, mantenendo però le sue politiche».
tutto spiano. Izquierda unida e Podemos sono Mentre il movimento degli Indignados si apdiverse, con differenze organizzative e program- presta a celebrare il suo quinto anniversario,
matiche, ammette Marina Albiol, «ma ci sono una nuova sfida è alle porte. «La crisi aumenta
abbastanza punti in comune per raggiungere un la disuguaglianza tra ricchi e poveri, la Spagna
accordo che ponga in cima gli interessi dei la- è piuttosto sanguinante perché siamo il seconvoratori. Così come siamo stati in grado di stare do Paese d’Europa per disuguaglianza, secondi
insieme per andare a uno sciopero generale, fer- solo all’Ungheria», conclude Miguel Urbán. «C’è
mare uno sfratto o difendere la salute pubblica una rottura sociale importante nel nostro Paese,
e l’istruzione, dobbiamo essere in grado di farlo sempre più gente inizia a comprendere quanto
per vincere le prossime elezioni».
è necessario un cambiamento. Anche se il parÈ per i socialisti di Sánchez che si annuncia la tito del cambiamento viene costantemente atsconfitta politica, fermi al 20% dopo il mancato taccato, con l’obiettivo di generare paura. Ma ci
governo. E suonano come un “se lo merita” le pa- sono due modi per sconfiggere la paura: seguire
role di Marina Albiol a riguardo: «Il Psoe ha pre- l’agenda politica e fare in modo che la paura la
ferito tornare alle urne, e questo dimostra che abbiano gli altri».
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MUSULMANO E LABURISTA
IL SINDACO DI LONDRA PUNTA IN ALTO
La capitale inglese boccia la linea islamofoba di Goldsmith
e sceglie Sadiq Khan. Che ora mira anche alla partita interna
al Labour, puntando all’elettorato centrista e, forse, alla premiership
di Massimo Paradiso - da Londra
T
emevano che la capitale inglese ha combattuto la povertà iscrivendosi a
si trasformasse in Londonistan. un corso di box della palestra locale. «Lì
In realtà, a metà pomeriggio di ho imparato a difendermi» dice il neovenerdì 5 maggio, appena è par- sindaco mentre cammina con la moglie
so chiaro che Sadiq Khan sareb- verso il Municipio. «E ora difenderò tutbe diventato sindaco di Londra, fuori ti i londinesi». Nella sua circoscrizione
dal Municipio c’erano solo pigri turisti gridano al miracolo: dalla scuola Ernest
a prendere il sole sul Tamigi e qualche Bevin che frequentava da ragazzino - rianziana signora impegnata a dare da sorsa principale dei giornali che vogliomangiare ai piccioni. Una visione mol- no scrivere di droga, gang e delinquenti
to lontana dalle immagini apocalittiche locali - fino allo scranno più alto della
abbozzate in campagna elettorale. «Bu- capitale, con un mandato personale che
siness as usual», dicono i venditori di non ha eguali se non con la presidenza
gelato che, in questa primavera torrida, della Repubblica francese. L’atmosfera
assiepano le rive del fiume, «ma è bello di festa nel suo quartiere, con le immasapere che noi musulmani non siamo gini di Sadiq esibite su finestre e vetrine
più considerati cittadini di serie B». A dei negozi come vero enfante prodige
varcare la soglia della City
della comunità islamica,
Hall, a ridosso dell’iconi- Per i media è
si riflette anche nella sala
co Tower Bridge, è infatti «un abile uomo
stampa del Comune, dove
Sadiq Khan, figlio di un per tutte le
i giornalisti arrivati da tutautista di autobus pachi- stagioni». È difficile to il mondo cominciano
stano migrato nel Regno inquadrarlo
ad allentarsi le cravatte e
Unito per cercare fortu- e azzardare
a stiracchiarsi sulle sedie
na per sé e i sette figli. previsioni su come
dopo una lunga maratona
Una storia da manuale e amministrerà
elettorale. C’è chi si comun po’ romantica che ha
muove e chi esulta, ma
conquistato cuori e voti dei londinesi, i anche chi, con occhio critico, guarda al
quali hanno scelto come major un mu- significato di questa vittoria al netto del
sulmano, il primo alla guida di una città romanzo politico. «È fuor di dubbio che
europea. Nato a Tooting, periferia a sud questa sia una giornata storica» rileva
di Londra, e vissuto fino a 24 anni in un Jim Packard, giornalista politico del Fiappartamento di tre stanze dormendo nancial Times, «ma è altrettanto fuor di
in un letto a castello con i fratelli, Khan dubbio che Sadiq è un abile uomo per
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Il 9 maggio Sadiq Kahn raggiunge
la City Hall per l’insediamento
tutte le stagioni, una specie di Zelig della politica inglese e forse è anche questa
la sua fortuna». Un uomo dalle molte
identità che in pochi sono riusciti concretamente a inquadrare per azzardare
previsioni sul ruolo concreto che avrà
nell’amministrare una delle capitali più
cosmopolite d’Europa.
Khan si descrive infatti come un londinese e un europeo. Un britannico e un
inglese. Musulmano e di origini asiatiche. Di retaggio pachistano. Papà e marito. Un uomo di sinistra che guarda al
centro e che è stato fondamentale nella
faida familiare tra i Milliband, David ed
Ed, per la lotta alla leadership del Partito laburista.
A urne chiuse, queste molteplici identità ne hanno fatto l’uomo del momento, scavalcando con destrezza il rivale
conservatore Zac Goldsmith, ereditiero
e belloccio, che ha preferito accostare
Khan all’estremismo islamico invece di
proporre soluzioni concrete per ridurre
i costi del trasporto pubblico e aumentare l’housing sociale, tallone d’Achille
della capitale inglese. Durante il venerdì soleggiato del dopo elezioni, i due rivali si sono trovati in Municipio, benché
a un piano di distanza l’uno dall’altro.
Khan è stato sequestrato dal suo team
© Jonathan Brady/PA via AP
e ha passato alcune ore al settimo piano, dove si è lasciato andare a una pennichella pre-celebrazioni; Goldsmith
era all’ottavo piano, nell’ufficio reso
vacante dal dimissionario Boris Johnson. Come se il risultato elettorale non
bastasse come umiliazione, i vertici del
Partito conservatore si sono dati il cambio per vomitare in faccia a Goldsmith
tutta l’indignazione per aver condotto
una campagna «vile», «terribile» e «orrenda» che rimarrà come macchia indelebile sulla storia del partito, accusato
di islamofobia, e alienando l’elettorato
moderato della capitale.
Se è vero che i conservatori hanno perso Londra, è anche vero che hanno vinto in molti altri Comuni inglesi, spesso
roccaforti laburiste, e sono per la prima volta il secondo partito in Scozia,
relegando il centrosinistra a un ruolo
marginale a Nord. Se infatti si risale il
Tamigi verso Victoria, al quartier generale dei laburisti, sono in pochi a fare
festa. I visi sono tesi e i collaboratori
del leader Jeremy Corbyn sfrecciano
da un ufficio all’altro senza parlare ai
giornalisti. «È una vittoria, certo» confidano alcuni corbynisti della prima
ora nei momenti concitati del dopovoto, «ma una vittoria a metà».
Si teme, infatti, che Khan sindaco, la tavolo insieme. D’altronde, come dice
sconfitta delle roccaforti rosse e il tra- Khan, «veniamo da due parti opposte
collo scozzese siano gli ultimi chiodi del del partito» e Corbyn ha visioni troppo
feretro che le correnti del centrosinistra di sinistra per il moderato primo cittastanno preparando a Corbyn per sep- dino, che punta all’elettorato di centro
pellirlo definitivamente come leader per ricreare l’esperimento naufragato
del partito. Tra il neo sindaco e il leader di Tony Blair ed Ed Miliband. Londra
laburista non corre buon sangue. Khan a sinistra dopo due mandati ai conserha espressamente impedito a Corbyn vatori, ma i laburisti non festeggiano.
di partecipare alla campagna elettorale O meglio, aspettano. Aspettano di cae i suoi collaboratori hanno fatto di tut- pire che ne sarà del proprio leader e
to affinché i due non si incontrassero se questa vittoria a metà sia presagio
mai, neanche quando Khan è andato a di un complotto interno per affidare
volantinare nel quartiere del leader ad le redini del centrosinistra a una figura
Islington.
più moderata. «Nessun
Quando si è trattato di Corbyn ha visioni
timore di golpe», assicueleggere il leader labu- troppo di sinistra
rano dal quartier generista, lo scorso autun- per il primo
rale Labour, «ma bisogna
no, Khan non ha negato cittadino moderato,
ripensare le strategie
di aver votato per Andy che punta a ricreare elettorali fuori da Londra
Burnham e ha giudicato l’esperimento
e mettere a sistema le rigli incontri tra Corbyn ed naufragato
sorse della sinistra».
esponenti di Hamas ed di Blair e Miliband
Intanto Khan esulta.
Hezbollah come «inopForte della sua vittoria,
portuni e poco saggi». L’unica foto pub- si appresta ad amministrare una città
blica tra i due è stata scattata solamente che ha un budget di 16 miliardi di sterlunedì scorso, dopo il giuramento uffi- line, uno dei trasporti pubblici più cari
ciale di Khan, e i sorrisi tirati e i manie- del mondo e un housing sociale carenrismi di circostanza fanno capire che te. E c’è chi già guarda lontano: sarà lui
per un pezzo il sindaco e il leader del a correre per il ruolo di primo ministro
partito non si vedranno più seduti a un nel 2020?
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COSA POSSIAMO ASPETTARCI
DA SANDERS E CORBYN
Vengono da un passato socialdemocratico che non tornerà ma
sembrano lanciati verso il futuro. L’analisi di Marc Stears, che fu
consigliere di Ed Miliband e ora dirige un prestigioso think tank
di Dario Castiglione
D
al 25 al 28 Luglio i Democratici americani
si raccoglieranno a Philadelphia per scegliere il loro candidato alla presidenza.
Rimangono pochi dubbi sul nome: Hillary
Clinton, che potrebbe divenire la prima
donna presidente degli Stati Uniti, dopo il primo
afro-americano. Ma la strada per Philadelphia è
stata tutt’altro che trionfale per l’ex Segretario di
Stato. Il protagonista delle primarie democratiche
non è stata Hillary, ma l’improbabile candidato
democratico socialista, Bernie Sanders. Nonostante le ormai scarse probabilità di vincere le
primarie, Sanders ha ribadito di voler andare in
fondo, fino a Philadelphia. L’obiettivo è portare
alla convention democratica quanti più delegati
a favore di una piattaforma politica progressista,
«la più avanzata promossa da un partito». L’effetto Sanders ha già spostato Clinton a sinistra sui
limiti da imporre al potere della grande finanza,
sull’ineguaglianza economica, e sul Ttip. Sarebbe
però illusorio pensare che una volta eletta, Hillary
Clinton voglia e possa abbracciare una tale piattaforma. Le aspettative di otto anni fa per la presidenza Obama inducono alla cautela: Yes, we can
- ma forse non subito e non tutto. E Hillary non è
Sanders né Obama.
John Nichols, corrispondente nazionale del settimanale progressista The Nation, ha scritto che il
metro con cui giudicare la campagna di Sanders
non è quello delle personalità politiche e del loro
successo, ma dei movimenti e trend d’opinione. Su Dissent, altro mensile radical, il giurista
Jedediah Purdy ha suggerito che la candidatura
Sanders ha dato l’opportunità a una nuova generazione politica di pensare l’impossibile: una
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nuova visione democratica, orizzonti ampi come
al tempo del New Deal. Guardando oltre l’America, sembra un paradosso che due politici attempati, di idee e maniere politiche considerate fuori
moda, come lo sono gli abiti che di solito indossano - parlo di Bernie Sanders e di Jeremy Corbyn
- siano diventati, all’improvviso, i catalizzatori
di una mobilitazione di giovani finora rimasti ai
margini della politica di partito. Ma è nel cortocircuito tra politica radicale d’antan e la generazione
dei cosiddetti Millennials che sta forse la chiave
per capire se Sanders e Corbyn siano fenomeni estemporanei, o il segno di uno smottamento
profondo nella stratificazione politica.
Di queste esperienze e dei problemi che aprono,
parlo con Marc Stears, per cinque anni consigliere
di Ed Miliband e da qualche mese ceo della New
Economics Foundation (Nef), organizzazione indipendente creata nel 1986 dal “The Other Economic Summit”, che nel corso degli anni è diventata uno dei più largi e stimati think tank in Gran
Bretagna. Gli chiedo cosa pensi del paragone tra
Sanders e Trump, che molti commentatori presentano come due facce di uno stesso populismo
americano. Stears osserva che la forte critica all’establishment è comune a tutti i populismi, come
adesso piace definirli. E non c’è dubbio che sia
Trump che Sanders facciano appello a questa critica, ma l’establishment di cui parlano è molto diverso, come la sostanza della loro critica. La tradizione in cui propriamente collocare Sanders non
è vagamente populista, è quella dei radicals, che,
nel senso propriamente americano sono liberali
e democratici. Si tratta della storia che Stears ha
raccontato nel suo Demanding Democracy. Ame-
© Dennis Van Tine/Abacapress/Ansa
rican Radicals in Search of a New Politics, pubblicato nel 2010, che già dal titolo suggerisce come
la democrazia richieda un impegno intellettuale
e morale, virtuoso, da parte dei cittadini. Non reazioni viscerali alla Trump.
Chiedo a Stears come colloca il fenomeno Sanders nella storia delle tradizioni democratiche che
ha disegnato nel libro, se davvero siamo di fronte
a una nuova stagione di politica radicale, forse cominciata con Occupy
Sanders ha due problemi, Wall Street. Per il ceo di
dice Stears: la visione che Nef la direzione di Santrasmette non è abbastanza ders e dei suoi seguaci
ottimista e non è riuscito è quella giusta: mostrafinora a convincere no autentica «passione
le minoranze razziali, democratica» e forte
che trarrebbero maggior senso d’urgenza, cose
vantaggio indispensabili per il fudalle sue proproste turo della democrazia
americana. Ma a suo
avviso restano un interrogativo e una questione
irrisolta. L’interrogativo riguarda il tono della propaganda di Sanders, che per Stears comunica un
messaggio più negativo che ottimistico e propositivo. Cioè non riesce ancora a trasmettere una fiducia ottimista nella trasformazione, a mobilitare
nei cittadini virtù democratiche adatte ai tempi e
agli obiettivi. Senza questo respiro, c’è il rischio
che il movimento attorno a Sanders si esaurisca
un volta concluso lo sforzo per le primarie.
La questione irrisolta, poi, rimane quella razziale. Nonostante la forte presa sui blue collars,
nonostante il voto dei giovani e degli studenti,
nonostante la capacità di mobilitare l’elettorato
democratico nelle zone del declino industriale, la
coalizione di Sanders non è riuscita ad attirare una
quota significativa del voto afro-americano. Tuttavia la questione razziale è ineludibile per la politica progressista americana, come la stessa Hillary
Clinton ha sperimentato otto anni fa. Stears cita
un articolo di Joan Walsh pubblicato su The Nation
in marzo, secondo il quale la coalizione di Sanders
rassomiglia a quella che Hillary Clinton cercò di
mettere insieme la prima volta che si presentò alla
primarie. Una coalizione che cercava di recuperare ai democratici i cosiddetti “Regan democrats”, o
in altri termini “hard working (white) Americans”.
Dopo la prima sconfitta, Hillary Clinton ha optato per la coalizione Obama, con una solida base
di afro-americani, latinos, minoranze culturali, e
madri single. Per Walsh e per Stears, il problema
di Sanders è che, nonostante le sue politiche economiche egalitarie gioverebbero, in teoria, soprattutto alle minoranze razziali, queste vengono re14 maggio 2016
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© Kirsty Wigglesworth/AP Photo
spinte dal messaggio sublimale di una coalizione
che fa perno su giovani e lavoratori bianchi. Come
mettere insieme una coalizione multirazziale con
scelte radicali contro l’ineguaglianza? È forse questa la scommessa del dopo Philadelphia.
Se la questione razziale è dirimente negli Stati
Uniti, Stears crede che in Gran Bretagna sia centrale la questione del governo territoriale. Il voto
del 5 maggio a Londra, Bristol, per le assemblee
legislative di Scozia e Galles, e per rinnovare molte autorità locali nel resto dell’Inghilterra, sembra
confermare l’idea di Stears; ma questo colloquio
è avvenuto prima del 5 maggio e non poteva tenerne conto. Gli chiedo se sia rimasto sorpreso,
lui che collaborava con Miliband, dall’elezione di
Corbyn, e che spiegazione ne dia. Ammette subito che, come tutti, non se l’aspettava. Suggerisco,
come spiegazione, la pochezza degli altri candidati, in altri termini della terza generazione del New
Labour. Stears replica che più dei limiti personali
abbia contato la confusione delle analisi. Molti,
dice, avevano interpretato il risultato elettorale
alle elezioni del 2015 come se fosse conseguenza
di uno spostamento troppo a sinistra dei laburisti.
Red Ed - Ed (Miliband) il rosso, scrivevano i giornali conservatori. Stears pensa il contrario, che il
manifesto elettorale e la campagna di Miliband
50
non fossero affatto spostati a sinistra e che quindi
sia stato uno sbaglio, conseguenza di quella lettura superficiale, che il partito abbia provato a
riposizionarsi al centro, mentre la base elettorale
laburista attribuiva l’insuccesso alla mancanza di
una vera opposizione alla politica d’austerità portata avanti dal governo di coalizione. Così a luglio
dell’anno scorso, quando Cameron propose di tagliare ulteriormente i fondi del welfare, la dirigenza del Labour (ancora Nel Regno Unito, il Labour
senza leader) decise di votare a favo- rema contro Corbyn, che
re, dividendo il gruppo parlamenta- è ancora il più forte, ma
re e ancor più il partito nel Paese. Da non ce la farà se non saprà
costruire una classe di
lì è iniziata l’ascesa di Corbyn.
Stears suggerisce un altro elemento: politici e amministratori
l’emergere di Sanders tra i democra- con una visione innovativa
tici e di Corbyn tra i laburisti costituirebbe anche una reazione alla caduta di fiducia nella politica. Racconta che quando il Partito
laburista scelse come consigliere per le elezioni
2015 Dan Axelrod, lo stratega delle campagne
elettorali di Obama, la sua prima osservazione,
alla prima riunione, fu che i crescenti livelli di
sfiducia e la diffusa disaffezione verso la politica
penalizzano quei partiti che si presentano con
un’immagine convenzionale. Corbyn e Sanders
offrono un’immagine meno convenzionale e una
14 maggio 2016
COLLOQUIO A DUE
Marc Stears ha scritto nel 2010 Demanding Democracy. American Radicals
in Search of a New Politics, un importante saggio che prova a individuare
le tendenze di fondo del radicalismo
progressista nel XX secolo. Dai primi
venti anni in cui domina la difesa della
democrazia e l’idea di “bene comune”, al periodo della grande crisi che
fa prevalere il principio di fedeltà alla
causa e all’organizzazione, poi il periodo dei diritti civili e infine quello delle
lotte degli studenti e della nuova sinistra. L’approccio originale di Stears disegna l’evoluzione delle caratteristiche
essenziali del militante della sinistra. In
questo quadro, Dario Castiglione gli ha
chiesto di collocare i fenomeni Corbyn
e Sanders. Dal 2010 al 2015 Stears è
stato consigliere politico di Ed Miliband
che ha tentato, senza successo, di portare il Labour fuori dalle secche della
Terza via di Blair. Da qualche mese è
ceo della New Economics Foundation
(Nef), fra i più autorevoli osservatori
di politica economica e sociale. Dario
Castiglione è professore associato di
Teoria Politica all’Università di Exeter.
certa genuinità che, se non convince tutto l’elettorato, contrasta almeno la politica confezionata
dagli spin doctors, che ha fortemente segnato la
vicenda dei partiti della Terza Via.
Tuttavia Stears nota come la sfiducia verso la politica eroda la stessa possibilità di cambiamento.
Fin dalla sua elezione a leader, Ed Miliband aveva cercato di prendere le distanze sia dalle analisi
sia dalle politiche del
Sia Sanders che Corbyn New Labour di Blair
devono, secondo Stears, non e Brown. Aveva attacsolo convincere gli elettori cato il programma di
democratici e laburisti della austerità del governo
necessità del cambiamento e in una intervista alla
ma anche del fatto che il Bbc parlò di «squeecambiamento sia possibile zed middle», di centro
spremuto. Una classe
media ancora al di sopra della linea di povertà, ma
costretta a dipendere dai servizi sociali e che non
si sente più protetta nelle sue aspirazioni: casa,
lavoro, pensione, sistema sanitario abbordabile,
speranza di promozione sociale per i figli. Una
delle proposte avanzate da Miliband voleva mettere un tetto ai costi delle famiglie per l’energia e
i beni pubblici come l’acqua, tagliando i profitti
degli oligopoli del settore. Miliband fu irriso per
questo e Stears spiega come le ricerche d’opinio-
A sinistra, Jeremy Corbyn posa con un gruppo di giovani
supporter del Labour. In apertura, Bernie Sanders davanti
a una platea di universitari
ne a suo tempo condotte fotografassero un alto
livello di condivisione fra gli elettori ma anche un
forte scetticismo sulla possibilità che quelle politiche venissero portate avanti dai politici. Il pubblico si dichiarava d’accordo sulla necessità di
cambiamento, ma incredulo sulla sua attuazione.
Dunque, il problema della sinistra non sarebbe
tanto di convincere l’opinione pubblica della necessità del cambiamento, quanto convincerla che
il cambiamento sia possibile. Perciò, la partita
di Corbyn si gioca sulla capacità di formare una
nuova generazione politica che interpreti questo cambiamento. Corbyn ha trovato un partito
parlamentare che gli è in larga parte antagonista.
Questo gli rende la vita difficile, ma non gli impedisce di andare avanti. Le previsioni secondo cui
la sua leadership sarebbe durata poche settimane si sono rivelate poco più che fantasie. Stears
pensa che, a meno di grossi errori, Corbyn possa arrivare fino alle prossime elezioni nazionali,
perché una parte della base, soprattutto i nuovi
simpatizzanti che si sono iscritti a motivo della
sua elezione, sono ancora dalla sua parte. Questo però non basta: servirebbe un quadro intermedio del partito, di consiglieri, dirigenti locali
e sindacalisti, che si riconosca in una nuova idea
della sinistra. Ma il grosso dei dirigenti laburisti
che hanno un ruolo di punta nell’amministrazione del territorio, non è ancora convinto dalla
leadership di Corbyn. Mentre il gruppo dirigente
che lo appoggia viene in gran parte da una stagione passata, precedente al New Labour. Il futuro
del partito laburista dipende molto, quindi, dalla
capacità di saldare il centro e la periferia e dall’emergere di una nuova generazione di dirigenti
che sia alternativa alla terza generazione del New
Labour. Di questo Corbyn dovrebbe preoccuparsi,
di aggregare una nuova classe dirigente di partito,
competente nell’amministrazione locale, ma che
si riconosca in una nuova visione che vada oltre
la tradizionale enfasi sulla difesa del servizio sanitario o dei lavoratori industriali colpiti dalla crisi,
e affronti anche i problemi più acuti delle nuove
generazioni: opportunità di lavoro, nuove abitazioni, accumulo di debiti personali, redistribuzione intergenerazionale, nuova cultura del servizio
pubblico, devoluzione e decentralizzazione, marginalizzazione di quei gruppi di lavoratori nelle
zone post-industriali tentati dalla carta anti-europea di Ukip. Infine chiedo a Stears cosa pensa del
futuro della sinistra. Nel breve, dice, è pessimista.
Ma rimane fiducioso sul lungo periodo.
14 maggio 2016
51
PARERI
MIGRANTI
di Guido Viale
Profughi e migranti sono un’occasione
per cambiare radicalmente l’Europa
L
a contrapposizione respingere e accogliere
i profughi taglia trasversalmente le classi
sociali. Il fronte rumoroso di chi propugna
i respingimenti avanza ovunque, sotto la
guida di partiti di estrema destra o fascisti, ma anche nelle maggioranze di centro e centrosinistra che
ne adottano le politiche nel tentativo di trattenere i
loro elettori: l’accordo con la Turchia o le barriere
dal Brennero a Ventimiglia lo dimostrano. Dall’altra
parte, migliaia di volontari, comitati e reti si sono
mobilitati per soccorrere i profughi al loro arrivo
o nella vita quotidiana: sono la parte attiva di uno
schieramento molto più vasto, ma senza voce.
A nessuno di questi due schieramenti è stato chiesto
di fare i conti in pubblico con le conseguenze delle
sue posizioni. Fare dell’Europa una fortezza, respingere i profughi verso i Paesi da cui fuggono, significa
riconsegnarli alla miseria e alle guerre, moltiplicarle, e rendere quelle regioni ancora più inabitabili, non solo per loro, ma anche per noi. Ma anche
trasformare l’Europa in una caserma per i cittadini
autoctoni e in una prigione per quelli immigrati. Viceversa, per accogliere bisogna creare un futuro tra
noi a milioni di persone destinate a rimanere in Europa per anni o per sempre. Ne abbiamo bisogno:
per motivi demografici, economici e soprattutto
culturali. Ma vuol dire adoperarsi perché abbiano
tutti una casa, un lavoro e un reddito decenti, una
scuola dove mandare i figli, cure mediche adeguate; ma soprattutto una rete di rapporti sociali costruiti sull’incontro tra culture diverse. Tutto ciò che
le politiche di austerità stanno negando anche a un
numero crescente di cittadini europei, su cui fanno
peraltro ricadere il peso di una gestione irresponsabile e criminale dei profughi, alimentando così i
rancori e la rabbia di cui si nutre la destra.
Per contrastare con i fatti il cinismo e i rancori alimentati dalle destre occorre fare dell’accoglienza
il progetto di un cambiamento radicale delle politiche e degli assetti dell’Europa; costruendo, a
partire dall’iniziativa e dalle esperienze di chi già
oggi è impegnato ad accogliere, ma soprattutto da
un senso di umanità a cui non possiamo rinuncia52
14 maggio 2016
re, perché ne va della nostra stessa dignità, un programma politico capace di opporre all’economia
del debito e all’austerità che ci imprigiona tutti, la
conversione ecologica: la creazione di milioni di
posti di lavoro per produrre, con meno fatica per
tutti e meno sperperi, cose utili in campo energetico, in agricoltura, nell’edilizia, nei trasporti, nella
gestione dei rifiuti. Per contrastare i cambiamenti
climatici e le devastazioni ambientali, che sono
la vera origine delle guerre che spingono tanti esseri umani a cercare rifugio tra noi. Attività che
permettano loro anche di organizzarsi e operare
per riportare la pace e la sostenibilità nei Paesi
che hanno dovuto abbandonare. Creando così
una Europa capace di
includere coloro che Basta con l’economia del
sono arrivati e conti- debito e dell’austerità. Con
nueranno ad arrivare la riconversione ecologica
tra noi, rivendicando si possono creare milioni di
il più elementare e dei posti di lavoro e produrre con
diritti: quello di vivere. meno fatica e meno sperpero
IL LIBRO
Sulle opportunità dell’accoglienza
Guido Viale ha scritto un libro dal
titolo eloquente: Rifondare l’Europa insieme a profughi e migranti
(NdA Press, 2016). Il saggio pone
al centro la questione dell’incapacità di affrontare contestualmente
le sfide del clima, dell’economia
(e delle disuguaglianze) e quella
dei profughi in fuga da guerre e
devastazioni, in cerca di riparo sulle
sponde del Vecchio continente. Tre
crisi interconnesse sollecitano un
modo diverso di superare i confini:
aprirsi a una cittadinanza inclusiva e
ricreare nuove basi per la cooperazione internazionale.
La primavera araba
della letteratura
Denunciano l’oppressione di regime e il fondamentalismo.
La memoria delle primavere arabe fiorisce nei romanzi di autori noti
ed emergenti. Come Saleem Haddad e Mahi Binebine, in arrivo in Italia
U
di Simona Maggiorelli
na mattina del 16 maggio 2003,
14 giovani uscirono da una baraccopoli vicino a Casablanca
per fare una carneficina, uccidendo 45 persone e ferendone
centinaia. «Sono rimasto scioccato, come i miei concittadini.
Fino ad allora avevamo pensato di essere immuni dal terrorismo» dice lo scrittore Mahi Binebine a Left. «Ma
abbiamo dovuto affrontare l’amara realtà: i giovani responsabili di quella tragedia non venivano
da fuori». Da quello choc, molti anni dopo, è nato
il romanzo Les étoiles de Sidi Moumen uscito in
Francia nel 2010 e che ora, finalmente, arriva nelle
librerie italiane con il titolo Il salto, pubblicato da
Rizzoli. Romanzo bruciante, febbrile, visionario
in cui lo scrittore marocchino immagina la storia
di questi ragazzi cercando di capire che cosa li ha
portati alla pazzia di quel gesto. Il libro e il film,
I cavalli di dio che ne è stato tratto, hanno aperto
la discussione sulle radici del terrorismo islamico
che continua oggi. «Pagavamo il prezzo dell’analfabetismo, della povertà, dell’ingiustizia che dilaga negli slums come Sidi Noumen alle porte di
Casablanca. Come scrittore potevo rimanere inerte? Ovviamente no». La letteratura può cambiare
qualcosa? «Ho qualche dubbio - ammette lo scrittore -. Ma penso anche che nessun atto contro la
barbarie sia mai vano». Mahi Binebine è ospite al
Salone del libro che, fino al 16 maggio, dà ampio
spazio alle voci del mondo arabo (e sono tantis54
sime nella penisola araba come in Europa) che si
oppongono alla deriva autoritaria e fondamentalista. Ospitando autori emergenti (come Laila
Slimani, Nel giardino dell’orco, Rizzoli) e nomi
noti come il poeta siriano Adonis, lo scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun che ha scritto Matrimonio di piacere (La nave di Teseo) contro i matrimoni combinati. E poi libri che fanno discutere
come Le scintille dell’inferno di Abdo Khal e 2084
la fine del mondo (Neri Pozza) di Boualem Sansal
che immagina un futuro dominato dalla teocrazia
islamica. Fuori da scenari alla Michel Houellebecq, Mahi Binebine preferisce indagare la realtà.
Lo fa utilizzando un registro letterario alto e una
narrazione cinematografica e incalzante.
Nel romanzo Il grande salto il fondamentalista
Abou Zoubeir è tratteggiato come una personalità forte, carismatica. Ma né questo né le condizioni di indigenza in cui vivono Yashin, Hamid,
Yashin, Nabil e gli altri ragazzi bastano a spiegare
perché cadono nella trappola sposando la jihad.
La religione sembra offrire loro uno schema in cui
incanalare il loro malessere interiore, sembra dargli l’illusione di un’identità, di una appartenenza.
«Ovviamente i poveri non diventano assassini.
Non possiamo giustificare tutto con la disperazione e la miseria, di questi attentatori che si sentivano senza futuro. Ho trascorso molto tempo a Sidi
Moumen, fra le capanne roventi, le fogne a cielo
aperto e la discarica di 100 ettari. Se non fossi mai
andato a scuola, forse anche io sarei stato una
facile preda di mercanti di illusioni» commenta
14 maggio 2016
Dal vivo in Italia
Mahi Binebine presenta Il grande Salto (Rizzoli) al Salone del libro
di Torino il 14 maggio
(alle 17) e il 17 maggio
a Roma. Binebine, nato
a Marrakech, è tornato
in Marocco nel 2002
dopo aver vissuto a
Parigi. Quando è uscita
la traduzione in arabo
lo scrittore è stato più
volte minacciato. Saleem Haddad presenta
al Lingotto a Torino il
suo Ultimo giorno al
Guapa (Edizioni e/o) il
13 maggio, nell’ambito
di Lingua madre, voci
arabe. Infine Shirin
Ebadi è al Salone il 14
maggio alle 13,30 per
presentare Quando
saremo liberi (Bompiani) e a Milano, all’Università Bicocca il 16
maggio alle 11.
© Ebrahim Noroozi/AP Photo
Mahi Binibene: «Gli
bastano due anni per fare
un ragazzino un kamikaze.
Spaventoso. Cominciano
portandoli fuori dallo slum.
Gli trovano un lavoro con
“i fratelli”. E poi comincia
l’indottrinamento»
Binebine. «Lavorando con le associazioni in loco, ho scoperto che bastano due anni per addestrare un kamikaze. Spaventoso. Per prima cosa
portano i giovani fuori dalla discarica, li ripuliscono facendogli fare le
abluzioni cinque volte al giorno per
la preghiera e poi gli trovano un lavoro con i “fratelli”. L’indottrinamento inizia con una lettura orientata Corano. Vengono gradualmente separati dalle loro famiglie. Il
gruppo religioso diventa una famiglia surrogata
che dà loro l’impressione di una dignità che non
si sono mai sentiti addosso. Accusano gli ebrei e
l’Occidente di tutti i mali dei musulmani. Gli mostrano video di “eroi”kamikaze...e in soli due anni,
l’adolescente è piegato al loro volere».
La parola vergogna rimbomba nella testa di
Rasa, giovane traduttore che vive nel clima soffocante di una metropoli araba sotto regime. Come
una mosca, la parola «‘eib», gli ronza nella testa
mentre legge i giornali occidentali e si scontra con
il tradizionalismo della nonna che gli offre dove
dormire. Come molti ragazzi della sua età, Rasa
sogna una vita diversa, libera dal peso dall’oppressione religiosa. Ma, mentre lotta per ottenere tutto questo, mentre cerca Taymour che è fuggito dal
suo letto e l’amico Maj forse finito nelle mani della
polizia, Rasa si sente diviso, fuori posto, incapace
di sentirsi a suo agio. Gli accadeva nell’America
apparentemente libera dove ha studiato come in
questa imprecisata città araba di cui avvertiamo
tutto il fascino e le contraddizioni. C’è molto di
autobiografico in questo sorprendente romanzo
d’esordio di Saleem Haddad, Ultimo giro al Guapa, (Edizioni e/o), giovane scrittore cresciuto in
Kuwait e in Giordania, che ha lavorato per Medici
senza frontiere, prima di trasferirsi a Londra. Un
romanzo in cui si avverte l’urgenza di raccontare
il mondo vivo e in rivolta che bolle sotto il coperchio della repressione politica e religiosa in un
Paese che potrebbe essere l’Egitto normalizzato
di Al-Sisi, mentre il ricordo della rivolta di piazza
Tahrir è ancora vivo: quei giorni del 2011 hanno
segnato uno spartiacque e gli egiziani non sono
più disposti a chinare la testa. Ma la città dove è
ambientata la storia di Rasa potrebbe anche essere Tunisi colpita al cuore dall’attentato kamikaze
del 2015 al Museo del Bardo dopo la rivoluzione
dei gelsomini o qualche altro luogo dopo che le
rivolte della primavera araba sono state sovrastate da una nuova onda fondamentalista. «In realtà
non c’è stato un ritorno del fondamentalismo»
precisa Haddad. «Di fatto la repressione politica
e religiosa non è mai cessata, neanche durante il
periodo delle cosiddette primavere arabe. Semmai si è scatenata con più forza proprio per reazione alla rivolta. I regimi temono chi si ribella, chi
sfugge al loro controllo, perché non sono stabili ed
egemoni come vorrebbero far credere. E la repressione è l’unica arma che hanno a disposizione».
Nel mondo arabo c’è sempre stata un’ampia parte
di società laica, di cui sono espressione intellet-
14 maggio 2016
55
tuali e scrittori, in Siria come in Egitto o in Palestina. Oggi riescono a far sentire la propria voce? «La
situazione nel mondo arabo è più complessa e
sfaccettata di quanto si creda» dice Haddad a left.
«Non penso si possa leggere in termini di contrapposizione manichea fra classe intellettuale laica
versus quella musulmana. Il confronto, a mio avviso, è piuttosto fra coloro che vogliono il cambiamento e quelli che fanno di tutto per mantenere
lo status quo, un sistema conservatore, disfunzionale, che imbriglia la società». Nato e cresciuto
in una famiglia cosmopolita (madre tedesca irachena e padre con radici libanesi e palestinesi),
lavorando per organizzazioni umanitarie, Saleem
Haddad ha avuto la possibilità di viaggiare molto
e di seguire la questione dei profughi da entrambi
i punti di vista, quello arabo e quello europeo. Che
idea ti sei fatto delle responsabilità dell’Europa
che oggi rischia di chiudersi in una
Fortezza? «Penso che l’Europa do- Saleem Haddad: «La repressione religiosa e
vrebbe avere il coraggio di guardare politica non è mai cessata. Semmai è diventata
alle proprie responsabilità, ricordan- più forte dopo le primavere arabe, perché
do il sostegno economico e politico i regimi non sono solidi come vogliono far
che ha dato ai regimi più repressivi credere e hanno a disposizione solo la violenza»
del Medio Oriente. Alla luce di tutto
ciò, è ipocrita rifiutarsi di accettare le conseguen- nosceva ai popoli conquistati. Rispetto a quella
ze delle proprie azioni. Questo non significa mini- storia millenaria il regime teocratico di Khomeimizzare i problemi di integrazione e lo sforzo che ni segnò una cesura. «La situazione del sistema
richiede ma significa vedere quali conseguenze penale era molto grave, dopo la rivoluzione del
producono le decisioni dei nostri governi. Siamo 1979. La Repubblica islamica aveva sostituito il
tutti esseri umani. Valori umani universali ci uni- codice penale laico che l’Iran aveva seguito sotscono a prescindere da dove siamo nati».
to lo scià con un sistema legale islamico basato
su letture della sharia, la legge islamica, risalenti
Ha pagato la sua lotta per i diritti umani sulla al VII secolo», ricorda Ebadi. «Fu allora che intrapropria pelle il premio Nobel per la pace Shirin presi la strada che seguo ancora oggi, cercando
Ebadi. E lo racconta in un’autobiografia scrit- giustizia in tribunale col sostenere i diritti dei più
ta come fosse un romanzo, avvincente e vitale, vulnerabili - donne, bambini, dissidenti e minononostante il dolore per le molte ferite che il re- ranze - e lottando per riformare la legge sulla base
gime iraniano le ha inflitto con il ricatto, con la del sentimento collettivo». Allora, come durante
calunnia, con la prigione e la tortura di cui è stato gli anni di governo di Ahmadinejad, gli squadroni
vittima anche suo marito. Nel libro Finché non della morte imprigionavano torturavano e uccisaremo liberi (Bompiani), che Ebadi presenta al devano scrittori e intellettuali. Il nome di Shirin
Salone del libro, ripercorre le sue battaglie di ex Ebadi era nella lista nera. «Il ministero dell’intelgiudice e poi avvocato per un sistema legislativo ligence aveva formalmente approvato la mia uclaico e più equo. Scrive in persiano Shirin Ebadi, cisione», rivela. Non riuscirono ad eseguirla solo
non in arabo, e nella sua prosa c’è l’eco della tra- perché i riformisti erano riusciti a far emergere
dizione poetica persiana e l’orgoglio della storia il coinvolgimento dello Stato nelle squadre della
iraniana che ha radici nel sistema legislativo fon- morte. E prima di essere costretta all’esilio Ebadato da Ciro il grande che nel VI secolo a. C. per di ha potuto vivere i giorni dell’onda verde, delle
primo mise per iscritto, incidendoli su un cilin- rivolte giovanili del giugno 2009, a cui in questo
dro, i diritti ( rivoluzionari per l’epoca) che rico- libro dedica le pagine più belle.
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14 maggio 2016
© Naima Morelli
© El Teneen
Un’opera di El Teneen al Cairo che raffigura
Giulo Regeni. Sotto un graffito a Tunisi tratto
di L. Lacquaniti,
dal libro
Exorma. In apertura una ragazza per le
strade di Teheran, 2016
PARERI
IL COMMENTO
di Andrea Masini
Medea non è come Antigone
Donna e follia non sono la stessa cosa
«L
a madre che uccide i suoi figli per vendetta contro il suo
uomo agisce sotto il dominio di
un amore cieco: una passione
estrema» - scrive Massimo Recalcati nel suo
articolo domenicale su Repubblica, “La sfida
di Medea femmina folle di pietra e di ferro
”. «Il suo amore per Giasone risponde solo
alla forza pura della passione,…in Medea
la donna rivendica l’amore come passione
dell’essere,… l’impeto passionale dell’amore femminile…, Medea rifiuta però il destino
borghese …», e infine: «…Come accade per
Antigone, la follia dell’amore la spinge a valicare ogni limite».
Cioè Medea sarebbe un eroina!? Infatti la paragona ad Antigone, solo che Antigone, lo
scrive lo stesso Recalcati, non uccide nessuno
salvo se stessa. Sarebbe questa la differenza
tra le due eroiche figure femminili, ma per
il resto entrambe possono essere riproposte
come esempi di donne forti che per amore
«… valicano ogni limite...».
Mi sento in dovere di provare a dire qualche
cosa di diverso: Medea non è come Antigone.
Non è un’immagine di donna da riproporre
come esempio di coraggio al femminile. Il
fatto che nella tragedia uccida il fratello, l’amante del marito e alla fine i suoi due figli
non mi sembra un particolare trascurabile,
né qualcosa che dopo 25 secoli possa essere
portato ad esempio di passione e di amore.
La tragedia di Euripide parla in modo straordinario di ben altro, di odio, di vendetta e poi
di freddezza, di lucidità assassina, di calcolo
spietato che non cede neppure di fronte al
più orrendo delitto: quello di uccidere i propri figli pur di vendicare la ferita subita. Io la
vedo più vicina a Lady Macbeth di Shakespeare che non ad Antigone di Sofocle.
Ciò che però ritengo sicuramente gravissimo è quello di non fare il nostro mestiere e
cioè di cercare, dopo esserselo ripromesso,
di spiegare ai lettori, che non si occupano di
questo, ma che lo vivono in prima persona
tutti i giorni, che cosa è la realtà umana o ancor peggio di confonderli, rovesciando tutto.
C’è, ci deve essere, una differenza tra la passione, l’amore, il desiderio, il coraggio e dall’altra
parte l’odio, la vendetta, l’assassinio, l’anaffettività con la quale Medea decide di uccidere
i suoi figli. E se tutto ciò poteva essere confuso, poco chiaro e fonte di ispirazione nel IV secolo a.C. non può essere la stessa cosa adesso
e la psichiatria o la psicanalisi, nel caso quella
di Recalcati, ci fa una gran brutta figura a insinuare, sulle pagine di un quotidiano, che le
donne sono come Medea e per “passione”, coraggio e “amore per il proprio uomo” possono
uccidere i propri figli e così rivendicare la propria femminilità che
«…non si piega alle Recalcati sbaglia. La tragedia
convenzioni e ai ra- di Euripide parla in modo
gionamenti utilitari- straordinario di ben altro,
stici». Riflessioni che di odio, di vendetta e poi
nascon- di freddezza, di lucidità
sembrano
dere un pensiero as- assassina. Semmai Medea
surdo, che non riesce è vicina a Lady Macbeth
più a dare valore alle
cose, trasformando il più orrendo dei delitti in
un fatto secondario.
Oggi abbiamo il dovere di pensare che è possibile provare ad essere madre senza questo
distruggere la donna. La sfida potrebbe forse
essere quella di realizzarsi prima come donna
e poi anche come sapiente cioè realizzando
un’identità sociale, e fatte tutte queste realizzazioni poter diventare madre, piena di amore per i propri figli concepiti in un rapporto di
passione con un uomo. Oggi Noi sappiamo
che c’è una Teoria nuova sulla realtà umana
che apre la possibilità di trovare una nuova
immagine femminile che non corrisponde in
nulla a quello che racconta Recalcati. Perché
non è mai stato vero che donna e follia sono
la stessa cosa.
14 maggio 2016
57
Tutto il pop che non
avevo mai osato fare
Cosmo, frontman dei Drink To Me e cantante tuttofare, è in tour
con L’ultima festa il suo secondo album da solista. Qui ci ha spiegato
perché la posa indie-radical chic è una cosa ormai finita
A
di Giorgia Furlan
ll’anagrafe è Marco Jacopo
Bianchi, in arte invece è Cosmo. Un tipo decisamente
allegro e intraprendente
che, oltre a essere la voce dei
Drink To Me, con L’ultima
festa (42 records), da solista,
fa cantare e ballare l’Italia
dell’indie in attesa di conquistare anche il pubblico generalista. Ambizioni
a parte, Marco è un ragazzo con i piedi per terra,
che sul suo sito ufficiale si presenta come «produttore/musicista/cantante/qualcosa di Ivrea».
In che senso «qualcosa di Ivrea»?
Nel senso che faccio un po’ tutto da solo. Tecnicamente non posso dire di essere un bravo musicista o un bravo cantante, eppure faccio entrambe
le cose e il risultato c’è. Questo disco è nato così,
con me che facevo un po’ di tutto, incluse le copertine dove riprendo le foto della mia famiglia.
Pensa che ho anche scritto uno spettacolo di luci
per il tour e, con l’aiuto di mio padre, ho costruito
le strutture per far sì che, durante il concerto, gli
effetti delle luci fossero perfettamente sincronizzati alla musica. Insomma sono un tuttofare.
Un tuttofare casalingo, lo studio di registrazione
del disco è una stanza di casa tua…
Sì, ho deciso di “darmi fiducia” e fare le cose come
voglio. E quale modo migliore di un disco “fatto
in casa”? Per ragioni economiche, visto che così i
costi sono decisamente più bassi rispetto alla registrazione in studio, ma anche perché lavorare a
casa, come si dice in gergo, “mi fa prendere bene”.
58
Trovo la mia dimensione e mi piace quel suono
un po’ più artigianale e sporco. Ecco, se vuoi puoi
scrivere che sono un “cantante casalingo”.
Quanto sei soddisfatto del tuo home made?
Molto. Altrimenti non lo avrei fatto uscire, non
potrei mai produrre un disco di cui non sono soddisfatto. E poi realizzare questo album è stato davvero divertente, che non è così scontato quando
fai un disco. Video, album, volevo che tutto parlasse di quello che ho a disposizione: le mie parole, i
miei pensieri, la mia famiglia, la mia musica. Sono
io, nessun personaggio. Solo quello che sono.
Come è nato L’ultima festa?
Sono partito da abbozzi e improvvisazioni messi
da parte negli ultimi tre anni e, poi, in pochissimo tempo ho realizzato il disco. È venuto fuori in
modo piuttosto istintivo, soprattutto è stato fatto
con il buon umore. L’intenzione era di fare un disco tutto in cassa dritta, una dimensione che non
avevo mai esplorato a dovere e che sto cercando
di studiare anche con i Drink to me. A questa dimensione ho aggiunto gli effetti groove presi in
prestito dalla techno, il synth e qualche richiamo
alle canzoni dance degli anni 90. Ho lavorato anche molto sui testi, cercando di semplificarli il più
possibile. Rispetto a Disordine, ne L’ultima festa,
senza banalizzare i concetti, cerco di dire le cose
nella maniera più diretta possibile. Perché mi
sono reso conto che i testi schietti piacciono di
più, e quelli troppo pretenziosi allontanano. Creano una distanza con il pubblico.
“Le voci” è un piccolo manifesto del Cosmo-pensiero, decisamente pop.
14 maggio 2016
Roma Capitale
dell’elettronica
Dal 19 al 21 maggio
Roma ritorna capitale
della musica elettronica con Spring Attitude,
il Festival internazionale di musica elettronica
e cultura contemporanea che l’anno scorso
ha contato circa 12mila
presenze. Per tre giorni
performance d’arte si
fonderanno a concerti
e dj set in alcuni dei
luoghi che sono il
cuore pulsante della
cultura contemporanea nella Capitale: il
MAXXI, l’ex caserma
Guido Reni, e Spazio
Novecento. Ospiti attesissimi gli Air, il duo
francese assente dai
palcoscenici di tutto il
mondo dal 2010 e che
proprio il 21 maggio
ritornerà in anteprima.
© Jacopo Farina
Cerco di dire le cose nella
maniera più diretta possibile.
Perché mi sono reso conto che
i testi schietti piacciono di
più, e quelli troppo pretenziosi
allontanano. Creano una
distanza con il pubblico
Il progetto Cosmo è nato perché
volevo finalmente fare tutto il pop
che non avevo mai osato fare con
i Drink to me. Il mio primo disco
da solista, Disordine, non era così
pop dopotutto, il suono era troppo carico e i testi “stellari”, troppo
pretenziosi. Volevo dire delle cose,
ma non sono riuscito a dirle con schiettezza...
avevo assunto un po’ la posa del poeta. L’ultima
festa, invece, dice le cose in modo semplice, per
come stanno davvero. Ho pensato: se voglio dire
qualcosa anche se è mainstream o imbarazzante,
la dico. Senza remore. Ovviamente, ho cercato di
mediare e dire tutto nella maniera meno ridicola
possibile. Una volta non sarei mai riuscito a scrivere una frase semplice e intima come: tuo padre
te lo voleva dire che ti vuole bene.
La schiettezza dei testi, si è visto con Calcutta,
colpisce anche per la capacità di raccontare una
generazione.
Edoardo (Calcutta, ndr) è un amico, avevo sentito
“Cosa mi manchi a fare” prima che uscisse il disco
e mi aveva colpito molto. Ha una poetica diversa dalla mia, è più surreale e contemporaneo, ha
questa capacità di mettere in fila delle immagini
terra terra e tirarne fuori un testo che arriva alla
gente. Ci sono frasi semplici, quasi banali se vuoi,
che non riesci più a toglierti dalla mente. Il mio
stile è diverso ma Calcutta, per alcuni versi, è un
esempio: i testi devono essere semplici, non infarciti di paranoie.
Forse è la fine di una posa indie e radical chic che
non riesce più a coinvolgere le persone e comunicare con il pubblico?
Sì, quella roba lì è finita. Allo stesso modo in cui
è morta la sinistra d’Italia, lontana dal popolo e
troppo intellettuale. A me fa piacere se la gente
comune, che magari di musica non capisce nulla,
apprezza le mie canzoni, non è una colpa non essere degli esperti. Per fare un parallelismo con la
politica: perché dobbiamo lasciare che siano i tipi
come Salvini a parlare alla gente? Il disprezzo per
la massa, spesso, è un atteggiamento insensato e
finisce per lasciare spazio a chi alla qualità non
pensa. Se la gente comune arriva ad ascoltare anche generi più di nicchia si fa del bene alla musica.
Un elogio al mainstream insomma…
Oggi c’è l’idea che uno non possa far successo se
non partecipa a un talent. Io ho fatto più di 500
concerti in vita mia, ho vissuto un mondo musicale di cui una persona che in genere va a un talent
non conosce nemmeno l’odore. Proprio adesso,
mentre chiacchieriamo sono su un furgone che
puzza diretto verso la prossima data del tour e in
passato ho suonato un sacco di volte anche solo di
fronte a 30 persone.
Come sta andando il tour?
C’è un sacco di gente che canta e conosce a memoria i testi, in passato mi capitava molto più raramente. E poi si balla… La reazione è più calorosa, ma non è che mi monto la testa ora…
Progetti per il futuro?
Ho iniziato a produrre roba techno-strumentale,
penso di imparare a mettere i dischi a tempo e realizzare poi un dj set di sola techno italiana.
Hai anche una vita parallela... insegni Storia alle
superiori in un istituto professionale, come riesci a coniugare le tue identità?
Fino a qualche tempo fa erano proprio due vite
parallele, adesso i miei alunni hanno scoperto che
suono e ascoltato le mie canzoni in giro. Li ho visti
contenti e sorpresi di questa scoperta, anche perché in classe sono un tipo piuttosto severo. Quando capita di parlare insieme di musica l’argomento riesce sempre a infervorarli... In occasioni così
ti rendi conto che, per quanto nessuno compri
più i dischi e sia difficile vivere di sola musica, in
realtà la musica è una componente importantissima. Spesso, quando c’è la pausa o finiscono prima
il compito in classe i ragazzi mi chiedono: “Posso
mettermi le cuffiette e ascolatare una canzone?»,
mi rende felice rispondergli di sì.
14 maggio 2016
59
I mendicanti
di Brecht
diventano migranti
Michieletto attualizza
L’Opera da tre soldi.
Ma il risultato, alla
fine, non convince
di Massimo Marino
P
arlava di «effetto intimidatorio dei classici»
Bertolt Brecht, della
polvere che si accumula e fa
perdere la freschezza ai grandi testi, li trasforma in qualcosa di «tiepido, di confortevole,
di scarsamente aggressivo…
cioè di un’atroce noiosità».
Ha fama di non farsi intimidire dalla tradizione Damiano
Michieletto, che ha riallestito
L’opera da tre soldi al Piccolo
Teatro di Milano a sessant’an-
ni dalla prima edizione di
Giorgio Strehler e dalla morte
dell’autore. Lui i classici li rovescia, li aggiorna, all’opera e
a teatro.
La vicenda del bandito
Mackie Messer, circondato
da una banda di criminali che
sembrano bancari, viene rivissuta in flashback in un’aula di tribunale, tra sbarre che
richiamano i maxiprocessi o
la gabbia delle bestie feroci
al circo. Ma lo spunto non è
sviluppato, il giudice rimane
inattivo per buona parte dello
spettacolo, dopo la bella anticipazione iniziale dell’impiccagione conclusiva, preceduta dalla famosa frase che situa
l’opera: «Che cos’è l’effrazione di una banca di fronte alla
fondazione di una banca»?
Il regista attua alcuni aggiornamenti, per cui i mendicanti
si trasformano in migranti
con i salvagenti, che premono, minacciano dall’esterno
della gabbia, affogano...
E non mancano le mazzette
e altri riferimenti all’attualità,
LIBRI
ma il tutto resta in superficie.
Il gioco non riesce.
Le «provocazioni» sono esili,
e il testo non ritrova la carica corrosiva, maledetta, seducente che aveva nel 1928.
Si punta su un musical che
scorra liscio, piallando le
asperità, anche quelle che
Brecht chiedeva per esempio,
nel salto dalla recitazione al
canto, per non far apparire
nulla naturale. Spira spesso
una noia compunta. Marco
Foschi, un Mackie con qualcosa di Franco Califano, è rodomontesco e cool il giusto,
ma non troppo assistito da
capacità canore. Viceversa
Peppe Servillo. Spiccano nel
cast la Celia Peachum di Margherita Di Rauso e soprattutto la Jenny delle Spelonche
da brividi di Rossy De Palma, attrice icona del regista
spagnolo Pedro Almodovar.
Efficace e a volte trascinante
l’orchestrazione di Giuseppe
Grazioli. Lo spettacolo è in
scena fino all’11 giugno allo
Strehler di Milano.
Nella mente
di una giovane
assassina
D’orzi firma
un noir che scava
nel profondo, senza
fantasticherie sul Male
di Filippo La Porta
F
© Masiar Pasquali
TEATRO
60
14 maggio 2016
inalmente un noir che
esce dalle regole del
genere, che non si lascia affascinare dall’orrore e
che si avventura in una interessante fenomenologia del
male radicale. Tempo imperfetto (L’Asino d’oro edizioni ) di Massimo D’orzi è un
romanzo-reportage liberamente ispirato al delitto di
Novi Ligure (lei, sedicenne, e
il fidanzato coetano, uccisero
la madre e il fratellino di lei).
Il giornalista Isidoro Ducassi
viene mandato nel Nord-Est
per scrivere di un delitto efferato, e si trova subito immerso in una nebbia fitta e insidiosa, che gli evoca alcune
nebbie cinematografiche, da
Carné ad Anghelopulos.
Isabel Zarbo, che insieme
al suo ragazzo Ronaldo, ha
eliminato con più di cento
coltellate madre e fratello, è
imbevuta di cultura romantico-decadente e trasgressivo-surrealista (Blake: «È
meglio strangolare un bambino nella culla che conservare in cuore un desiderio
insoddisfatto»). Attraverso
un sapiente montaggio di
punti di vista diversi, frammenti di dialogo, riflessioni,
diagnosi mediche, eccetera,
ci addentriamo insieme al
protagonista nell’enigma del
ARTE
Le magiche
alchimie
di Sigmar Polke
A Venezia la prima
antologica dell’artista
tedesco Leone d’oro
alla Biennale
di Simona Maggiorelli
A
d accogliere il visitatore nel patio di Palazzo
Grassi a Venezia è una
teoria di sette dipinti monumentali che Sigmar Polke
dipinse in occasione della
Biennale del 2007. È l’ultimo
importante lavoro realizzato
dall’artista tedesco, che per
questo ciclo pittorico intitolato Axial Age si ispirò al periodo assiale teorizzato da Karl
Jaspers che immaginava una
sorta di età dell’oro della civiltà dell’Asia e del Vicino Oriente collocandola fra l’800 a.C.
e il 200 a.C. Qualche anno fa
Axial Age campeggiava nel silenzio di Punta della dogana,
il suggestivo museo incuneato
nella laguna come una preziosa scheggia. E i riflessi cangianti, tono su tono, di queste
pitture astratte erano resi ancor più magnetici e suggestivi
dai riflessi del mare. In Palazzo
Grassi, seconda sede, più classica, della Fondazione Pinault
la costellazione di Axial Age
fa da incipit alla prima ampia
antologica italiana di Sigmar
Polke (1941-2010). Che stranamente - insieme al catalogo
Marsilio in italiano e inglese - arriva dopo molti anni
dall’affermazione di Polke
sulla scena internazionale
che avvenne alla Biennale di
Venezia del 1986 quando fu
premiato con il Leone d’oro.
© Sigmar Polke
male. E scopriamo che non
ha in sé niente di abissale o
demoniaco, come invece potrebbe far pensare l’orizzonte culturale di Isabel, ma nasce da una grande freddezza,
da una pulsione di annullamento, «nel deprivare di
ogni senso gli umani tentativi di avvicinarsi a lei». Anche
un’azione così cruenta non
deriva da un eccesso, da una
passionalità
incontrollata
ma da un raggelamento, di
sé e della realtà circostante, da una desertificazione
del mondo. L’invenzione
più bella del libro - costruito con un ritmo incalzante
che rivela conoscenza delle
“retoriche” del genere - è che
Ducassi capisce questa verità non tanto attraverso i libri
( e anzi ci appare come una
figura disumana quel giudice che sentenzia «corazzato
dietro i suoi libri») quanto
attraverso la vita, attraverso
la sua relazione d’amore con
Gaia, una ragazza cui dava
delle lezioni, e che lo bacia
«con quelle labbra che sapevano di polpa di melagrana,
sangue e rugiada».
Tempo imperfetto di Massimo d’Orzi sarà presentato
domenica 15 alle ore 12, in
sala Romania al Salone del
libro di Torino
I due curatori, Elena Geuna e
Guy Tosatto, in questa mostra
aperta fino al 6 novembre ne
offrono un ritratto attraverso
90 opere, ripercorrendo a ritroso la parabola artistica di
Polke dagli anni Duemila agli
anni 60. Individuando alcuni
fili rossi che hanno attraversato la sua ricerca. In primis il
gusto per la sperimentazione,
a tutto raggio, fra cultura alta
e pop lavorando materiali preziosi come il cristallo di rocca
ma anche utilizzandone di
poveri come la carta. Il gusto
raffinato per il collage con trasparenze alla Picabia andava
in lui di pari passo con il gusto di giocare con sistemi di
stampa che si usavano in un
tempo lontano, come il retino.
Nella città che dal ’500 fu la
capitale europea della stampa grazie ad Aldo Manuzio
(al centro di una bella mostra
14 maggio 2016
61
alle Gallerie dell’Accademia)
l’opera di Polke mostra dunque radici antiche evocando
anche un maestro della xilografia come Albrecht Dürer
che proprio a Venezia riuscì
a far fiorire il proprio talento
liberandosi della tormentata
rigidità dell’arte nordica tardo
gotica. Come i suoi amati artisti del Rinascimento, da Leonardo a Parmigianino, anche
Sigmar Polke era affascinato
dall’alchimia e dai processi di
metamorfosi delle forme e dei
colori. Una tematica carsica
che riemerge qui in opere dedicate a Leonardo e a maestri
di esoterismo come Hermes
Trismegistos, a cui fa esplicito
riferimento un’opera del 1995.
In omaggio a Johan Zahan, inventore di un particolare tipo
di camera oscura e illustratore
di lanterne magiche nacque
invece la serie Stralhen Sehen.
BUON VIVERE
SOCIAL
Il segreto
del Drake
è nel risotto
Conspire
riuscirà a battere
LinkedIn?
Appena le analisi
lo consentivano,
il patron della Ferrari
se ne concedeva uno
Con Gmail e la teoria dei
Sei gradi di separazione
crea una fitta rete di
contatti professionali
di Francesco Maria Borrelli
di Sophie Duras
E
nzo Ferrari, il Drake. Il
papà della Ferrari che
ha vinto tutto nella
vita, quando necessario sapeva arrangiarsi con un panino
ma appena possibile amava
gustare della buona cucina,
anche in vecchiaia. In là con
gli anni soffriva «di problemi
piuttosto seri ai reni che lo costringevano a una dieta severa,
una sofferenza per un amante
della buona tavola come lui»,
scrive Oscar Orefici in Ferrari:
romanzo di una vita. «Tutti i
venerdì, ha confidato Piero (figlio di Enzo, ndr)faceva gli esami del sangue e se erano perfetti al sabato e alla domenica
mangiava tutto ciò che preferiva, in particolare i risotti ben
conditi». Alcuni lo definivano
un uomo solo, scrive Patrizia
Principi in Enzo Ferrari: cuore e strategia ma con «l’industriale Piero Barilla, l’ingegner
Benzo e il carrozziere Sergio
Scaglietti cenava spesso consumando il suo piatto preferito, il risotto». Beh, prepariamone uno da pole position:
cozze e pesce spada.
Ingredienti per 4: riso 320
gr; cozze 650gr; pesce spada 250gr; brodo di pesce 7dl;
vino bianco; olio Evo; peperoncino; aglio 3 spicchi; prezzemolo.
imbiondite
Preparazione:
1 spicchio d’aglio in padella
con l’olio, toglietelo, aggiungete il pesce a dadini, sfumate col vino, salate e cuocete
10 minuti col coperchio. Fate
aprire le cozze in pentola,
sgusciatele e conservate i mitili e l’acqua di cottura filtrata. Imbiondite l’aglio restante
in padella con l’olio, levatelo,
aggiungete l’acqua filtrata,
il peperoncino e poi il riso
mescolandolo in modo che
assorba l’acqua. Aggiungete
poco alla volta del brodo di
pesce caldo e mescolate per
ottenere un risotto cremoso;
2 minuti prima di terminare aggiungete cozze e pesce
spada col suo sughetto. Impiattate, con del prezzemolo
tritato in cima.
Birra consigliata: ZenzEros,
birrificio Kamun. «È di frumento artigianale non filtrata,
aromatizzata con la radice di
zenzero, non pastorizzata e
senza additivi aggiunti. Già
nel 1998 facevo la birra in
casa e ancora oggi le ricette
vengono dalla passione personale, specie nella ZenzEros
nata come un omaggio alla fidanzata. Il risultato è un birra
leggera, beverina, citrica, con
il potere sgrassante dello zenzero che lascia spazio tra un
boccone e l’altro. Si abbina ai
piatti di pesce crudo o cucinato», racconta il mastro birraio
Gian Paolo (Gippo) Camurri.
62
14 maggio 2016
È
l’anti-LinkedIn? Forse.
Finalmente un social
sul mondo del lavoro.
Conspire è una start-up fondata poco più di un anno fa
che lancia il guanto di sfida al
Golia dei social network lavorativi, Linkedin. Alex Devkar e
Paul McReynolds, due statistici con alle spalle una Laurea
a Stanford, notarono tempo
fa un elemento: LinkedIn è
un’incredibile vetrina per le
proprie capacità professionali
ma non per estendere la propria rete di conoscenze.Infatti
per entrare a far parte della
cerchia dei contatti di un professionista iscritto di LinkedIn
è necessario che la si conosca
o che ci sia qualcuno pronto
a fare da “intermediario”. Oppure, si sarà costretti a spammare. Conspire invece nasce
con l’intenzione di permettere agli utenti di espandere
la propria rete professionale
in maniera automatica. Tutto
ciò di cui si avrà bisogno sarà
solamente il proprio indirizzo
di posta elettronica e una rubrica di contatti. Sfruttando
i principi della teoria dei “Sei
gradi di separazione”, il social
di Devkar e McReynolds è in
grado di trovare contatti “intermedi” che possano fungere
da collegamento con i professionisti di cui si ha bisogno.
Come funziona? Dopo essersi iscritti ed effettuato il login,
il sistema effettua la scansione di tutti gli indirizzi salvanti nella rubrica e cerca le
corrispondenze con gli altri
indirizzi presenti nel database. Quando si vuole entrare in
contatto con qualcuno, basta
inserire il nome all’interno
del motore di ricerca e spulciare tra i risultati alla ricerca
di un contatto condiviso. O
lo stesso Conspire suggerisce
quale sia il “percorso” sociale
più breve.
Stando ai dati riportati dai
due fondatori, i primi 1.200
iscritti hanno portato in dote
un database di oltre cinque
milioni di profili. Un dato
impressionante. Per Devkar,
una volta che gli iscritti a
Conspire
raggiungeranno
quota 25.000, la rete di contatti potrebbe superare la soglia dei 100 milioni.
Qual è l’idea? Conspire analizza le vostre relazioni lavorative di primo grado e determina la forza e la “vicinanza”
dei vostri rapporti. Come lo
fa? Collegandosi alla vostra
Gmail e osservando i vostri
flussi di comunicazione.
APPUNTAMENTI
Baliani e Cederna,
sguardi dal fronte
Il ritorno dei Muse
con il Drones world tour
Un raro Come vi piace
di Shakespeare
Milano - A grande richiesta
tornano in Italia i Muse. Il
Drones world tour della band
inglese fa tappa a Milano dal
14 al 18 maggio e ancora il 20
e il 21 maggio. Dopo il successo a Roma il gruppo guidato da Matt Bellamy suona
dal vivo per al Mediolanum
Forum di Assago.
www.muse.mu
Torino - È l’unica commedia
di Shakespeare con una bella
protagonista femminile. Ma
Come vi piace è poco rappresentata in Italia. Da non perdere l’allestimento del regista
Leo Muscato. Dal 17 maggio
al Carignano. E al Salone il 16
maggio “tradurre Shakespeare” per Einaudi con Bertinetti.
www.teatrostabiletorino.it
© Marzia Migliora
Roma - Al teatro India storie
e sguardi dal fronte con il trittico Uomini in trincea per un
viaggio nella Grande Guerra.
Con gli assoli di Marco Baliani, Giuseppe Cederna e Mario
Perrotta, dal 16 al 24 maggio.
Si parte con Trincea di Baliani,
per la regia di Maria Maglietta,
dal 16 al 18 maggio.
www.teatrodiroma.net
Se Marzia Migliora
incontra Ghirri e Araki
Lissone (Mb) - Quello che
noi crediamo di sapere della
fotografia. Con questo titolo
al Museo d’arte contemporanea sono esposte opere di
16 maestri, da Ghirri ad Araki, da Ruff a Struth, da Tracey Moffatt a Olivier Richon.
E talenti più giovani come
Marzia Migliora (in foto).
www.comune.lissone.mb.it
Le onde gravitazionali
del festival delle scienze
Roma -Dal 20 al 22 maggio
all’Auditorium l’XI edizione del Festival delle scienze.
Il tema è la relatività. Tra gli
ospiti il cosmologo João Magueijo, David Kaiser e il fisico
Scott Hughes in dialogo sulla
fisica quantistica e le onde
gravitazionali. Il filosofo della
scienza Ned Markosian e molti altri. www.auditorium.com
Trenta opere
di Giorgio Morandi
Ninfe e regine dalle
opere di Monteverdi
Ascona - Il fascino delle nature morte e dei paesaggi senza
tempo di Giorgio Morandi. 30
opere del maestro, 15 disegni
e 11 acqueforti, realizzati tra
gli anni 20 e gli anni 60 sono
in mostra negli spazi espositivi del Castello di San Materno,
per iniziativa della Fondazione per la cultura Alten di Soletta. www.museoascona.ch
Cremona - Torna il Monteverdi festival con musica barocca, cross over e una crociera
sul Po sulle tracce del compositore, dal 14 maggio al 4 giugno. Vergini, ninfe, regine affollano l’edizione 2016 che ha
il cuore al teatro Ponchielli, la
città che diede i natali a Claudio Monteverdi (1567-1643).
www.teatroponchielli.it
Il Punk
a quarant’anni suonati
Firenze - Fino all’11 giugno
alla libreria Brac la mostra
PUNKtable, un progetto ideato da Sonia Pedrazzini per
Brac’s art on table a cura di
Monica Zanfini. per celebrare
i 40 anni del Punk. L’evento è
inserito nel calendario di The
Culture Diary, sito ufficiale
degli eventi di Punk London.
www.libreriabrac.net
14 maggio 2016
63
TRASFORMAZIONE
La creazione della realtà umana è un istante
ma l’inizio del tempo finito della vita umana
chiama in silenzio la parola “poi” e vengono
movimento, suono, capacità di immaginare e memoria...
La
storia
con tutti e nessuno
N
on c’era ricordo. Le mille teste, che il 6 novembre
avevo visto davanti a me seduto sulla cattedra, erano diventate un movimento dell’aria che, entrata
nel corpo, dava un senso di freschezza leggera. In
alto, lontano, c’erano... “una fila orizzontale di prosciutti appesi” ed il linguaggio pesante nascondeva la dolce fantasia
della mia testa appoggiata sulle cosce unite di una donna.
E subito, quando il pensiero non è più memoria ma soltanto parola penso al seno della donna che, ora con la destra ora con la sinistra, mi allattò. Ed ogni mammella che si
afflosciava, come se diventasse depressa dopo il rapporto
con la mia vita, spariva perché compariva l’altra piena e
calda desiderosa di essere amata. Il corpo si mosse lasciando la coscienza che si uccideva nel dubbio razionale di andare o non andare.
Era il 17 aprile e nel tardo pomeriggio andai alla libreria
Feltrinelli di via Appia. Salii le scalette nascoste alla vista di
tutti ed il ricordo chiama l’immagine di quando, nel 1998, salii i diciotto scalini che mi portarono alla soffitta abbandonata. Fu una separazione che aveva il senso del movimento che
il tempo della vita disegna nel corpo umano che è pensiero
senza linguaggio articolato.
Travolto dall’applauso che esplose appena mi videro parlai
per pochi minuti. Dissi che non potevo ringraziare la massa
di persone anonime con cui ci fu una storia di vita e morte...
essere o non essere. Avevo vissuto il rapporto con il movimento che scosse le menti dalla rassegnazione ad un destino
del corpo che diceva da... sempre, del male radicale della vita
e non parlava della ricerca sull’umano inconoscibile.
Le parole del linguaggio articolato parlarono, in verità,
non soltanto del 6 novembre ma del 5 dicembre in cui una
donna disse: con questi scritti possiamo fare un’infanzia felice. Non parlai, ma penso che il 5 dicembre quelle parole
che dicevano “certezza”, erano legate alla realtà che la non
ragione vedeva in me che scrivevo e riscrivevo pensieri che
erano le idee di cinquanta e sessanta anni fa che avevano
parole diverse.
L’applauso che consumava il tempo della vita erano onde
sonore che scrivevano tra gli scaffali che erano alberi in un
prato verde, nei muri, sul soffitto, «capacità di amare». Investito dal suono delle mani che parlavano cantando, muovevo brevi passi sulle tavole di legno, e vedevo una linea lunga,
senza inizio né fine, che si muoveva come fosse la gomena
di una nave che si era slacciata dagli alberi che tendevano le
vele che, con il vento, si gonfiavano.
64
14 maggio 2016
Vedo che l’albero maestro, cui si legò Ulisse per udire
il canto delle sirene senza esserne travolto, sta nell’estate
scorsa quando, sospese le sedute per la pausa estiva, accadde l’incomprensibile. Furono le parole che corsero per
l’aria fin dalla prima settimana di settembre «Sono stata
bene, mi è passata la depressione» che rivelarono... il contrario di ciò che dice Montale «vedrò compirsi il miracolo,
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me».
Gennaio 2016. Vennero i dieci termini verbali che erano
la ricreazione della parola che parlava della nascita umana
e suonava come fantasia di sparizione. Furono stampate
sull’articolo di Left con il titolo Sorgenti del tempo del fiume
della vita. Ora la voce della memoria-maestra dice le prime
quattro: pulsione, vitalità, movimento, suono e tornano le
parole che improvvisamente dissi: è uno stupido errore!
L’avevo detto, in verità, con la parola “possibilità” che
non è esistenza, ma quel giorno la mente si liberò da un’incertezza che mi aveva portato a scrivere: linea che non
c’è e non scrivere tempo che, alla nascita, c’è. Certamente
perché ormai non era più vero lasciare la parola “esistenza” nell’indifferenza. Venne e non ci furono dubbi: andava
pensata e scritta subito dopo la parola vitalità.
Il rapporto col termine tempo fu più sofferto. Era calmo
nel matrimonio con la parola vita, nelle parole nuove che
dicevano: la vita inizia alla nascita e...con essa, il tempo
finito dell’individuo. Ma il termine “finito”, certo per la
realtà della vita e morte dell’individuo, chiamava il gemello
non compreso e trascurato che aveva il nome di “infinito”.
Ed era sempre presente il quesito che proponeva una ricerca che rifiutava la parola impossibile.
È possibile e reale pensare che il tempo finito della vita
del singolo sia la comparsa nel corpo, del tempo infinito
dell’universo fatto da realtà senza il movimento che è trasformazione, ma soltanto spostamento della materia nello
spazio? Ed allora il tempo misurabile dall’inizio alla fine
quando scompare, sta nella pulsione che diventa esistente
come reazione alla luce e scompare alla morte del corpo?
E la pulsione non sarebbe creazione della realtà biologica
ma trasformazione o ricreazione del tempo eterno dell’universo.
Non so se resistere al dolore di perdere il pensiero che
dice “creatività della realtà biologica umana che, con
pulsione, crea la realtà non materiale umana e la vitalità e
l’esistenza...” o vivere la calma stupida e felice che mi danno i versi di Leopardi.
Massimo Fagioli psichiatra
E come il vento/odo stormir tra queste piante, io quello/ infinito
silenzio a questa voce/ vo comparando e mi sovvien l’eterno/ e le
morte stagioni e la presente/ e viva, ed il suon di lei. Così tra questa immensità s’annega il pensier mio:/ e il naufragar m’è dolce in
questo mare. E mi rimprovero di non aver letto con certezza che
“l’eterno” non è con la “E” maiuscola.
È vero che non si può vedere la verità della nascita umana se
si crede nell’esistenza dello Spirito assoluto che precede nel
tempo e crea la materia. Trovo così davanti alla percezione della
coscienza le parole: movimento e tempo che hanno con sé i termini: realtà materiale e spostamento nello spazio. Il tempo non
c’è perché inizio e fine sono oscurati dalla parola infinito. Penso,
ai due termini verbali che fanno la parola nuova” venti secondi”
che dice: lo spazio in cui entra il corpo è l’aria che, immobile,
sembra che non esista.
Non è quello del liquido amniotico in cui è immerso il feto.
Il corpo del bambino non è quello del feto. La percezione della
coscienza dice che è lo stesso ma io dissi che il corpo del neonato
prima non esisteva perché nel feto non esisteva rapporto con la realtà fuori di esso. E’ una realtà biologica che non ha in sé la realtà
non materiale detta pulsione che è reazione alla luce inanimata.
Insieme alla vitalità, che fa il movimento che non è spostamento nello spazio, il corpo flaccido non ha la forza di muoversi. E, subito, penso che la vitalità non è sinonimo di forza
muscolare.È rifiuto di credere alla percezione della realtà
biologica come verità dell’essere umano. È allontanamento
dal proprio corpo di un corpo simile che non ha l’affettività
della fantasia.
Sono grato alla parola “tempo” che, diventando finito, dà
alla coscienza una maggiore conoscenza dell’incomprensibile
tempo non infinito detto “venti secondi”. Il movimento nello
spazio del feto nell’utero scompare nei primi secondi dopo il
parto. Dopo compare un movimento simile che è altro diverso
perché, con il connubio monstrum con la realtà inanimata
della luce, il corpo crea una realtà non materiale.
L’applauso. Udii il
Nell’istante senza tempo emerge dalla realtà biologica la pulsiosuono di una
ne che è, insieme, annullamento dell’esistenza del mondo e creazione della vitalità. Passano “venti secondi” in cui il corpo silenzioso è “senza forza”. Poi scalcia,
passione d’amorespira, vagisce. Il tempo finito e misurabile è necessario perché l’attività cerebrale
re. Avevano trovato
possa dare la forza all’apparato osteomuscolare che muove il corpo nello spazio.
il sorriso del moviVedo che fu bella la discussione con tanti e nessuno che domandava: c’è spamento della vita. L’umano
zio nell’istante senza tempo dove vanno collocate le parole pulsione-vitalità?
“Poi” esistenza, tempo, movimento, suono... . Chiedevamo all’intelligenza
non era più mangiare, bere,
umana: quel “poi” è la verità di una realtà? Oppure inizio del tempo va
dormire. Era essere, oltre che
collocato vicino a vitalità prima di esistenza?
esistere. Soltanto alcuni hanno
Sarebbe più vicino a pulsione e più lontano da “movimento” che
diventa movimento del corpo, oltre la vitalità che non chiede la
detto di essere smarriti, perduti,
forza del corpo. Sarebbe più vicino, terribile, al pensiero di tanti
depressi, non ho visto nessuno con il
che esiste una realtà non materiale senza l’esistenza della
linguaggio dissociato. Il gatto e la volbiologia del corpo umano.È soltanto angoscia della morte,
disse qualcuno.
pe che volevano distruggere la ricerca di
Viene la memoria che, in un tempo lontano, vedendo
Pinocchio che cercava di diventare bambino
persone che, avanti con gli anni, erano vive e vegete
si sono allontanati. Una ragazza disse: Weltunpensai: non esiste l’angoscia del mancato funzionamento del corpo, la scomparsa della vita. E’
tergangserlebnis ma io non ho creduto. C’è semangoscia della pazzia, di perdere la ragione ed
pre mistero nella poesia di Leopardi che parla di
il rapporto con la realtà materiale percepita
solitudine, di donna, del silenzio della nascita umana
dalla coscienza, nella veglia. Poi lessi “tere Montale che, cent’anni dopo, dice: “rivolgendomi”… il
rore dell’ubriaco” ed era l’ideologia del
Male...radicale che starebbe nell’intimo
nulla, il vuoto. “L’inganno consueto” è la ragione che dice:
di ogni essere umano.
das Unbewusste.
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IN FONDO A SINISTRA
di FABIO MAGNASCIUTTI
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