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la pietra serena dal macigno di fiesole
LA PIETRA SERENA DAL MACIGNO DI FIESOLE Università di Firenze, Dipartimento di Scienze della Terra Prof. Geol. Massimo Coli, Dr. Ph.D. Geol. Elisa Livi & Dr. Ph.D. Geol. Chiara Tanini COMUNE DI FIESOLE LA PIETRA SERENA UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA COMUNE DI FIESOLE Nell’ambito della sua politica di corretta gestione del territorio e di recupero e valorizzazione delle sue emergenze naturali ed antropiche, il Comune di Fiesole ha inteso con l’istituzione del Parco di Monte Céceri, rendere alla pubblica fruizione il territorio di Monte Céceri, profondamente segnato da secoli di attività estrattiva del Macigno, la Pietra Serena, dei monumenti Etruschi prima, Romani poi, ed infine rinascimentali e recenti che ha reso tipico l’aspetto sia di Fiesole che di Firenze e che tanto ha contribuito alla formazione tecnica di artisti universalmente famosi, primo tra tutti Benedetto da Maiano ed il sommo Michelangelo Buonarroti. Fiesole e Monte Céceri nella loro nuda essenzialità al tempo dell’assedio di Firenze nel 1530, dal celebre dipinto del Vasari nel salone dei Cinquecento. Fiesole e Monte Céceri come erano nella celebre veduta del F.B. Werner, del 1735. L’area di Monte Céceri ormai da anni abbandonata da ogni tipo di attività estrattiva, e soggetta in tempi recenti a diffusi interventi di rimboschimento che ne hanno cambiato l’immagine, in tempi non lontani ancora brulla e nuda nella sua essenzialità di paesaggio operativo, si è negli ultimi anni lentamente degradata, risultando via via abbandonata quale luogo di ristoro e di memoria di secoli di operosa attività umana, ma anche di balcone affacciato su Firenze e sulle colline del Chianti e delle valli d’Elsa e d’Era e giù nei giorni migliori fino all’Amiata, ai Monti Livornesi, al Monte Serra ed alle Alpi Apuane. Scopo di questo progetto è quindi quello di rendere nuovamente agibile a tutti in senso fisico ed in senso sociale, l’area di Monte Céceri, oltre che quello di recuperare alla memoria e di rendere assimilabile ai visitatori, quella che è stata la storia dell’attività estrattiva della Pietra Serena che rende così belle ed uniche le piazze e le strade di Fiesole e Firenze. Per questo fine è intenzione di recuperare e restaurare con tecniche tradizionali gli antichi percorsi di cava, ripulire e rendere visibili ed apprezzabili le tracce delle antiche coltivazioni con le loro tecniche classiche di estrazione della pietra, attrezzare punti di sosta adatti ad apprezzare gli ampi e notevoli panorami che si aprono alla vista. E’ inoltre intenzione recuperare ed attrezzare alcune cave per rendere partecipi i visitatori alle tecniche classiche di estrazione e per preparare giovani e nuovi lavoratori della Pietra Serena, sia a fini artistici, sia ai fini del restauro di Beni Architettonici; a questo fine è anche intenzione di riattivare una cava, onde poter disporre, nel caso di specifiche necessità di restauro di Beni Architettonici di pregio, di Pietra Serena tipica ed originale, il classico Macigno di Fiesole. Le colline di Fiesole e Monte Céceri, brulli e con le ampie discariche delle numerose cave di Pietra Serena come apparivano nelle prime immagini fotografiche, 1880 c. Fiesole e Monte Céceri così come oggi li conosciamo, volo 1996 Fiesole e Monte Céceri come erano nella memoria, volo 1935 e volo 1954 IL PAESAGGIO Il "Paesaggio" non è un qualcosa di oggettivo, ma dipende soggettivamente dalla cultura e dalla sensibilità dell'osservatore, nonché dal suo stato d'animo e dal tempo-momento in cui viene percepito. Il "Paesaggio" stesso è frutto dell'evoluzione della natura e del lavoro dell'Uomo sull'ambiente, pertanto una sua corretta lettura non può prescindere dal rapporto ternario Uomo-NaturaSocietà e dalla stratificazione di testimonianze che tale rapporto ha lasciato nei secoli. Nell'area di Fiesole questa stratificazione è molto forte e trova le sue radici prima negli Etruschi, poi nei Romani e quindi, nella storia stessa della città di Fiesole e dell'escavazione del Macigno, da Monte Céceri e Maiano, quale Pietra Serena. Ma l'abbandono delle attività estrattive negli ultimi 50 anni, ed i successivi rimboschimenti unitipici, hanno messo in crisi questo equilibrio ternario Uomo-Natura-Società spostando la bilancia verso un paesaggio monotematico senza storia ed in lento progressivo degrado stante anche la sua non significanza per chi lo percorre. Nell'ottica della realizzazione di un recupero delle radici storiche dei luoghi e di ecofruimento del paesaggio la realizzazione del Parco di Monte Céceri deve recuperare questa ternalità paesaggistica proponendola sia come percorso, sia come tipologie di interventi che come proposta culturale, così da proporlo anche come richiamo culturale e storico . Pertanto nella redazione del presente studio si è cercato di recuperare e riproporre tematiche fortemente stratificate nell'area, sotto il punto di vista paesaggistico, del significato e delle testimonianze dell’attività estrattiva e della tipologia degli interventi. COMUNE DI FIESOLE LA PIETRA SERENA FIESOLE NELLA CARTOGRAFIA UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA Esemplificazione sintetica dell’evoluzione della cartografia dell’area di Monte Céceri da metà del XIX secolo alla fine del XX If you can measure what you are speaking about, and express it in numbers, you know something about it. Lord Kelvin, 1824-1907 La rappresentazione di un territorio a fini conoscitivi, militari, fiscali, tecnici è sempre stata una esigenza fondamentale delle attività umane; dapprima come semplice espressione di tratti indicativi direttamente sul terreno, poi su pietre, tavolozze, pelli, pergamente, papiri, carta ed oggigiorno in formato digitale ed in forme sempre più aderenti alla realtà dei luoghi l’uomo ha sempre teso a rappresentare al meglio il territorio nel quale operava. Le prime vere “carte topografiche” che rappresentano in modo più realistico il territorio sono solo del XVIII secolo, e per l’area di Fiesole e Monte Céceri le prime vere carte con precisi riferimenti territoriali disponibili, conservate presso la biblioteca dell’I.G.M., sono della metà del XIX secolo. Ma è solo con l’insieme dei rilievi legati alla levata della carta topografica fondamentale del nuovo stato unitario che verso fine del XIX secolo vengono fatte le prime vere carte topografiche dell’area, in scala 1:25.000 ed 1:10.000, rilevate direttamente sul terreno, ed ancorate a precise basi geodetiche e principi di trasposizione cartografica, in grado di esprimere attraverso un accurato disegno artistico e figurativo lo stato di fatto del poggio di Monte Céceri e la situazione della sua realtà estrattiva, in termini di cave e di percorsi. Nell’ambito della normale attività di aggiornamento della cartografia italiana si sono nel tempo succedute varie edizioni di queste cartografie di base, e negli ultimi decenni anche gli enti locali territoriali hanno sviluppato proprie cartografie tecniche in scala 1:10.000 ed 1:5.000, per arrivare poi all’attuale carta digitale dell’area del Parco di Monte Céceri alla scala 1:1.000. A partire dagli anni ‘30 del XX secolo gli aggiornamenti e le verifiche sono stai fatti anche con l’ausilio della aereofotogrammetria, che ha consentito anche di creare veri archivi fotografici dell’evoluzione temporale del territorio. Cartografia topografica storica: Stato Maggiore Austriaco scala 1:50.000 - 1851 Provincia di Firenze scala 1:10.000 - 1985 Regione Toscana scala 1:5.000 I.G.M. scala 1:25.000 - 1861 - 1873 - 1904 - 1921 - 1935 - 1955 - 1980 - 1996 I.G.M. scala 1:10.000 - 1995 - 1896 I.G.M. Foto aeree - 1923 - 1935 - 1985 - 1936 - 1954 - 1986 - 1980 - 1963 - 1987 - 1996 - 1970 - 1989 - 1976 - 1991 - 1982 - 1997 Spezzone della carta topografica dello Stato Maggiore Austriaco a scala 1:50.000 del 1851 Spezzone della carta topografica I.G.M. a scala 1:25.000 del 1873 Spezzone della carta topografica I.G.M. a scala 1:10.000 del 1896 Spezzone della carta topografica I.G.M. a scala 1:25.000 del 1996 COMUNE DI FIESOLE VIRTUALIZZAZIONE DI UN PAESAGGIO IL PAESAGGIO REALE E VIRTUALE Le variazioni oggettive che un paesaggio mostra sono frutto sia della sua normale dinamica geomeorfica, sia dell’azione che l’uomo ha nel frattempo esercitato su di esso, sia direttamente con opere ed azioni varie, sia indirettamente con le conseguenze che le sue opere ed azioni hanno avuto sul normale divenire geomorfico dei luoghi. L’insieme di queste azioni dirette od indirette va ora sotto il nome di Impatto Ambientale, ma il termine Impatto è di per sua stessa natura di connotazione negativa, invece non tutte le conseguenze sul paesaggio indotte dall’azione umana sono di tipo “negativo”, ma negativo rispetto a cosa? Rispetto al comune senso estetico, etico, ambientale etc… dominante al momento della valutazione. Nel caso specifico di Monte Céceri e dell’attività estrattiva della Pietra Serena non c’è dubbio che per centinaia di anni essa sia stata e sia stata giudicata un’attività socioeconomica basilare sia per Fiesole che per Firenze e tutto il circondario; dava lavoro, dava materiali, dava indipendenza! A partire dalla metà del XX secolo varie motivazioni (urbanistiche, sociali, economiche, tecniche, ambientali, …) hanno portato all’abbandono dell’attività estrattiva a Monte Céceri ed alla realizzazione di un “Recupero Ambientale” con estesi rimboschimenti unitipici che hanno notevolmente contribuito a cancellare dal paesaggio e dalla memeoria le vestigia fisiche e culturali di oltre XX secoli di attività estrattiva della Pietra Serena. Oggigiorno, con le potenzialità tecniche fornite dall’elaborazione digitale delle immagini è possibile riprodurre in forma virtuale le forme del paesaggio che fu, o che sarà, e proporre alla conoscenza ed alla valutazione situazioni passate o futuribili. 1a - Realizzazione di una base cartografica digitale dell’area interessata UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE LA PIETRA SERENA 2a - La base cartografica digitale viene resa in 3D DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA Immagine virtuale di Monte Céceri resa all’anno 1935 3a - Dalla resa in 3D si crea una maglia (mesh) che poi viene vestita (renderizzata) Immagine virtuale di Monte Céceri resa all’anno 1954 4 - L’immagine georefenziata viene spalmata sul 3D topografico renderizzato 1a - Viene acquisita un’immagine aereofotografica digitale dell’area interessata 2b - L’immagine viene georeferenziata sulla base cartografica 3b -L’immagine georeferenziata viene ritagliata sull’area interessata Immagine virtuale di Monte Céceri resa all’anno 2000 COMUNE DI FIESOLE UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE LA PIETRA SERENA CONOSCENZE GEOLOGICHE GENERALI DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA SCHEMA TETTONICO DELL’APPENNINO SETTENTRIONALE L'Appennino Settentrionale è una catena orogenica strutturalmente complessa, a falde e thrust, formatasi in relazione a più fasi tettoniche legate, a partire dal Cretaceo superiore, alla chiusura dell'oceano Ligure-Piemontese ed alla conseguente collisione continentale tra le placche europea ed adriatica. Nell'ambito di questa evoluzione tettonica si possono distinguere una fase oceanica ed una intracontinentale; la prima inizia al limite tra il Cretaceo inferiore ed il Cretaceo superiore (90 My) e termina nell'Eocene (40 My) con la completa chiusura dell'oceano Ligure-Piemontese; durante questa fase si ha l'impilamento tettonico, tipo prisma d'accrezione, delle Unità Liguri. Nell'Eocene in seguito alla collisione continentale inizia la fase intracontinentale sviluppatasi a spese del margine continentale dell'Adria. In questa fase si ha lo sviluppo di una tettonica a thrust e falde con coinvolgimento progressivo prima delle Unità Toscane e successivamente di quelle UmbroMarchigiane, ed il successivo sovrascorrimento su di esse delle Unità Liguri precedentemente impilate. Episodi di tettonica gravitativa e retroscorrimenti, anche importanti, sono legati a questa strutturazione crostale. In questo quadro tettonico si pone l'evoluzione dell'area di Monte Céceri, che vede durante il Miocene (20 My) il sovrascorrimento della Falda Toscana sull'Unità Cevarola-Falterona; i rapporti tra i bacini deposizionali di queste due unità sono stati ampiamente discussi nella letteratura scientifica; l'interpretazione più comunemente accettata da gran parte degli Autori colloca l'Unità Cervarola-Falterona in un bacino esterno, orientale rispetto a quello della Falda Toscana. Durante il Miocene superiore (14 My) le Unità Liguri avanzano ulteriormente verso l'esterno della catena, sovrascorrendo sia sulla Falda Toscana che sull'Unità Cervarola-Falterona già impilate. Durante queste fasi tettoniche la dorsale nord appenninica si solleva ed assume l'aspetto fisiografico di ampia catena montuosa. A partire dal Miocene superiore il fronte compressivo dell’orogene appenninico, è seguito da un fronte distensivo, legato all'apertura del Bacino Tirrenico; attualmente i due regimi tettonici diversi coesistono in due fasce longitudinalmente contigue della catena, sul versante tirrenico è attivo il regime distensivo, su quello adriatico quello compressivo. Il regime tettonico distensivo, attraverso una gradinata di faglie normali immergenti verso il Tirreno, ha portato allo smembramento della catena orogenica precedentemente costituita, ed allo sviluppo di depressioni tettoniche via via più giovani da ovest verso est, sviluppatisi a partire dal Tortoniano terminale-Messiniano (12 My). 1 - Fronti dei thrust principali 2 - Fronti dei thrust secondari 3 - Principali faglie normali 4 - Bacini tettonici estensionali 5 - Aree magmatiche Schema dell’evoluzione tettogenetica dell’Appennino settentrionale nell’ambito della chiusura Cretaceo-Oligocenica (65÷30 My) dell’oceano LigurePiemontese e della conseguente collisione continentale tra Europa ed Adria Carta geologica dell’Appennino Settentrionale - scala 1:500.000 Cartoon del sovrascorrimento della Falda Toscana sulla più esterna Unità del Cervarola-Falterona avvenuta al Tortoniano (14 My) e susseguente sovrascorrimento su tutto delle Unità Liguri. Falda Toscana: mg = Macigno. Unità Ligure di Monte Morello: al = Alberese; S = Formazione di Sillano; P = Pietraforte. Unità di Canetolo: k = Arenarie di Monte Senario, z = scisti varicolori. Blu = ofioliti. Grigio = Caotico. Depositi recenti: P = ghiaie, sabbie e limi marini; V = ghiaie, sabbie e limi lacustri; a = ghiaie, sabbie e limi fluviali. Monte Céceri si pone sul fronte della Falda Toscana. Carta strutturale dell’Appennino Settentrionale scala 1:500.000 7b = Falda Toscana: Macigno; 9 = Unità Ligure di Monte Morello: x = Caotico; B = depositi lacustri; a = depositi fluviali. Linee nere = faglie; linee nere barbettate = contatti tettonici COMUNE DI FIESOLE DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA Carta geologica d’Italia 1:100.000 F 106 Firenze CONOSCENZE GEOLOGICHE REGIONALI L’area di Monte Céceri fa parte dell’Appennino toscano che comprende una fascia orientata circa NW-SE, a SW dello spartiacque della catena appenninica; le unità tettoniche affioranti, che presentano tra loro complessi rapporti tettonici di sovrascorrimento, sono rappresentate dalla Successione Umbro-Romagnola, dall’Unità Cervarola-Falterona, dall’Unità di Monte Morello, dall’Unità di Canetolo, e dalla Falda Toscana. L’unità di Monte Morello di provenienza ligure, è sovrapposta tettonicamente a tutte le altre unità precedentemente deformate, costituendo una falda del tutto svincolata dal suo substrato; essa si presenta con i maggiori affioramenti nell’area di Firenze, in particolare lungo la Dorsale della Calvana. La dorsale M.Rinaldi-Monte Céceri si colloca sul fronte dell’allineamento M.Orsaro-M.Cimone-Montalbano-M.ChiantiM.Cetona, che nell’interpretazione comune costituisce il fronte di sovrascorrimento della Falda Toscana sull’Unità Cervarola-Falterona. Le vergenze tettoniche presenti lungo questo complesso motivo strutturale, indicano un movimento della Falda Toscana sull’Unità Cervarola-Falterona da W-SW verso E-NE, così come generalmente si riscontra per le unità tettoniche dell’Appennino Settentrionale. Sul terreno l’allineamento M.Orsaro-M.Cetona corrisponde al fronte del Macigno, che risulta spesso disarticolato dai terreni sottostanti e avanscorso verso E-NE rispetto al fronte dei sottostanti termini carbonatici mesozoici, situato invece in una posizione più interna; lungo tutto l’allineamento è presente una tettonica complessa, con presenza di frequenti sovrascorrimenti e laminazioni. La presenza di estesi affioramenti di terreni delle Unità Liguri e Subliguri, che si possono trovare sia in sovrapposizione tettonica sulla Falda Toscana, che intercalati in essa come olistostromi, e la loro natura essenzialmente argillitica, che li ha portati ad avere un assetto prevalentemente caotico, rende difficoltosa una corretta interpretazione tettonico-strutturale di questo allineamento tettonico. In questo contesto tettonico, la dorsale di M.Rinaldi-Monte Céceri rappresenta una delle zone più problematiche, in quanto i complessi rapporti fra la Falda Toscana e le Unità Liguri e Subliguri sono alterati dalla presenza di sistemi di faglie normali a prevalente direzione NW-SE, sviluppatisi a partire dal Pliocene e legati alla tettonica estensiva tirrenica che ha segmentato l’edificio a falde preesistente, sovrapponendosi ai motivi plicativi precedenti e determinando strutture a horst e graben allungate prevalentemente in direzione appenninica. Questa attività tettonica disgiuntiva recente ha portato alla formazione dei bacini intermontani appenninici, tra i quali quello di Firenze-Prato-Pistoia. In tali bacini intermontani si sono instaurati, talora mantenendosi anche fino a tempi recenti, estesi ambienti deposizionali di pianura costiera e alluvionale, lacustri e palustri, che hanno portato all’accumulo di spesse coltri di sedimenti. UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE LA PIETRA SERENA CARTA GEOLOGICA mg: Macigno; mPl: marne di San Polo; c: Caotico; fV: formazione di Vallina; i: indifferenziato; al: Alberese; pf: Pietraforte; aS: arenarie di Monte Senario; Vs: Villafranchiano sabbioso; Vag: Villafranchiano argilloso; q: alluvioni recenti Schema geologico dell’area di Fiesole e del bacino di Firenze-Pratp-Pistoia 1:25.000 Alluvioni recenti dell’Arno e dei suoi affluenti Marne di San Polo Conoidi torrentizie recenti Caotico Depositi fluvio-lacustri Formazione di Sillano Macigno Formazione di Monte Morello faglia contatto stratigrafico faglia presunta del substrato pre-lacustre contatto tettonico Carta strutturale dell’Appennino Settentrionale scala 1:500.000 7b = Falda Toscana: Macigno; 9 = Unità Ligure di Monte Morello: x = Caotico; B = depositi lacustri; a = depositi fluviali. Linee nere = faglie; linee nere barbettate = contatti tettonici COMUNE DI FIESOLE UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE LA PIETRA SERENA CONOSCENZE GEOLOGICHE LOCALI DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA Carta geologica in scala 1:50.000 di Fiesole e Monte Céceri del De Stefani, 1897 Nelle linee generali le conoscenze geologiche su Monte Céceri non sono variate molto rispetto ai primi rilevamenti di fine XIX secolo, quello che è sostanzialmente variato è l’inquadramento della dorsale di Monte Rinaldi - Monte Céceri nel contesto geologico delle conoscenze dell’Appennino Settentrionale e della sua evoluzione geotettonica. La dorsale di Monte Céceri rappresenta nella strutturazione geologica dell’Appennino Settentrionale il più esterno affioramento di unità torbiditiche della Falda Toscana, che è presumibile che in profondità sovrascorra a livello regionale sulla più esterna Unità CervarolaFalterona. La struttura del Macigno di Fiesole è rappresentata da un alto strutturale, bordato a Nord-Ovest ed a Sud-Est da due faglie normali ribassanti antiappenniniche (orientate Nord-Est/Sud-Ovest) le aree esterne di alcune centinaia di metri e sul lato Sud-Ovest, verso Firenze, dalla serie delle faglie appenniniche di Fiesole (orientate Nord-Ovest/Sud-Est), che con un rigetto verticale di circa 1 km ribassano l’area fiorentina dando luogo al bacino fluvio-lacustre di Firenze e quindi all’attuale pianura alluvionale dell’Arno e dei suoi affluenti. Con il progredire degli studi e delle conoscenze geologiche generali sono anche migliorate e sono state dettagliati anche gli aspetti peculiari del Macigno di Fiesole in termini di litostratigrafia, tettonica, geologia strutturale e geomeccanica, molti dati originali relativi a questi aspetti sono stati appunto ottenuti con la presente ricerca. Il blocco di Monte Rinaldi - Monte Céceri presenta un generale assetto a monoclinale immergente verso Nord o Nord-Est di pochi gradi (<20°) con generale assetto a reggipoggio rispetto al versante su Firenze, che rappresenta una parete di faglia degradata dall’erosione. L’intera struttura è poi interessata da una serie di faglie trasversali, ad andamento antiappenninico (Nord-Est/Sud-Ovest) che sblocchettano la dorsale in strutture minori, ma con medesimo assetto tettono-stratigrafico. Verso Nord-Est la struttura del Macigno di Fiesole immerge, con contatto tettonico, sotto alle sovrastanti Unità Liguri. Livelli coltivati Principali cave Fiesole Mt. Ceceri M Depositi fluviofluvio-lacustri PlioPlio-Quaternari Unità Unità Liguri Unità Unità di Monte Morello, F.ne di Sillano Falda Toscana Marne di San Polo Macigno Contatto da definire Faglie Fronti di cava Livelli guida Contatti tettonici Misure di strato 1 Km 0 1:10.000 COMUNE DI FIESOLE LA PIETRA SERENA CORRENTI DI TORBIDITÀ TORBIDITÀ (TORBIDE) Sebbene già dalla fine del 1800 fossero state riconosciute le correnti di densità (es. nel Lago di Ginevra), fu nella prima metà del XX secolo che a questi flussi gravitativi fu data tutta la loro importanza, e non solo nei settori geologici rivolti allo studio dei vari processi sedimentari e dei depositi a cui questi danno luogo, ma anche nell’interpretazione delle forme morfologiche del fondo marino quali i canyons sottomarini che solcano la scarpata continentale e le conoidi sottomarine nelle antistanti piane bacinali. Nel novembre del 1929 avvenne un fatto singolare: nell’Oceano Atlantico settentrionale a largo di Terranova, subito dopo una scossa di terremoto, i cavi telegrafici posti sul fondo marino circa parallelamente alla costa nordamericana, si ruppero l’uno dopo l’altro interrompendo così le comunicazioni intercontinentali; la velocità con la quale si propagava il fenomeno fu stimata in oltre 25 km/h (le correnti marine possono raggiungere al massimo i 9-10 km/h). Questo evento fu in seguito legato agli effetti erosivi di una frana sottomarina innescata dall’evento sismico sull’orlo della piattaforma continentale americana. In particolare la mobilizzazione dei depositi sabbiosi/fangosi aveva dato origine ad una corrente densa e turbolenta (corrente di torbidità o torbida, che, essendo soggetta alla forza di gravità, era scesa in accelerazione (raggiungendo velocità vicine ai 100km/h) lungo la ripida scarpata continentale per raggiungere poi l’antistante piana oceanica ove erano stati posati i cavi telegrafici, tranciandoli. Infatti questi flussi gravitativi densi, veloci e turbolenti, che possono muoversi anche su pendii con inclinazione molto bassa (<1%), si mescolano poco con l’acqua marina circostante e tendono a scorrere in prossimità del fondo marino che normalmente è sede della tranquilla sedimentazione dei fanghi pelagici, provocando importanti fenomeni erosivi durante il loro percorso Un analogo tipo di evento che produsse la rottura di cavi telefonici sottomarini è accaduto anche in tempi più recenti (16 Ottobre 1979) nel Mar Ligure-Balearico al largo delle coste francesi. Sono conosciuti anche esempi di torbide in ambienti continentali lacustri, quali quelli dovuti alle acque del Rodano fredde, ricche di sedimento e quindi dense, che si immettono nel lago di Ginevra, o legate a fenomeni vulcanici esplosivi, quali ad esempio le cosiddette nubi ardenti, ben più dense dell’aria circostante, che discendono i fianchi dei vulcani. UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA Queste catastrofiche correnti torbiditiche una volta arrivate alla base della scarpata continentale si espandono invadendo la piana bacinale caratterizzata da una morfologia praticamente piatta e sub-orizzontale; è a questo punto che la torbida perde progressivamente energia, decelera, ed inizia a deporre il suo carico di sedimenti partendo dalla rapidissima, se non praticamente istantanea sedimentazione di quelli più grossolani (testa della torbida), mentre quelli più fini (coda della torbida) potranno rimanere in sospensione per un tempo molto più lungo (mesi, anni). Si generano così i depositi stratificati da corrente di torbidità detti torbiditi che sono caratterizzati al loro interno dalla tipica diminuzione di granulometria verso l’alto (gradazione granulometrica). L’accumulo nel tempo delle torbiditi genera sui fondi oceanici prossimi ai margini continentali, dei tipici apparati sedimentari a forma di unghia (le conoidi sottomarine) con l’apice rivolto verso la terraferma. Queste conoidi possano svilupparsi laddove vi sia un ingente apporto di sedimenti dall’area continentale retrostante; infatti le maggiori conoidi sottomarine si formano nelle aree antistanti agli apparati deltizi di grandi fiumi (Gange, Indo, Nilo) che sovraccaricano la piattaforma continentale di sedimenti che poi possono essere facilmente rimobilizzati dai fenomeni franosi sul bordo della piattaforma stessa. I volumi di sedimenti implicati in un processo torbiditico sono dell’ordine delle decine di km3 e possono interessare aree del fondo oceanico estese anche oltre 100.000 km2. Per mezzo delle correnti di torbidità ingenti volumi di sedimenti clastici terrigeni, anche grossolani, possono raggiungere zone dei fondali oceanici anche molto distanti dai margini continentali. Schema di sviluppo di una corrente di torbida Corrente di torbida distruttiva a largo di Terranova. Corrente di torbida distruttiva nel Mar Ligure-Balearico. Schema geometrico di una corrente di torbida COMUNE DI FIESOLE CONOIDI SOTTOMARINE Le numerose campagne di esplorazione oceanografica hanno permesso di ottenere mappe del fondo marino molto dettagliate utilizzando varie metodologie (es. ecoscandagli). Le forme morfologiche individuate sono state anche oggetto di dragaggi e carotaggi meccanici e di indagini geofisiche (es. sismica attiva) per ottenere indicazioni sui materiali che le costituiscono e sulla loro architettura; si ricordano a questo proposito i progetti internazionali di esplorazione geologica dei fondi oceanici come il famoso DSDP (Deep Sea Drilling Project) ed il più recente ODP (Ocean Drilling Project). Queste ricerche hanno portato alla scoperta e alla caratterizzazione delle conoidi sottomarine che nel quadro delle forme morfologiche del fondo oceanico sono sicuramente tra quelle più interessanti. Le conoidi sottomarine si sviluppano come enormi ventagli di sedimento per estensioni anche di decine di migliaia di km2 (la più grande è quella del Gange-Bengala, lunga 2.600 km e larga 1.100 km, ma si ricordano anche quelle del Nilo, del Congo e del Rodano) e con spessori fino a diverse migliaia di metri (lo spessore della conoide del Gange-Bengala è di 12 km). L’apice di queste conoidi (che rappresenta la loro parte più acclive) è posta alla base della scarpata continentale in corrispondenza dei canyons sottomarini che incidono profondamente la scarpata stessa. L’alimentazione delle conoidi è assicurata da ingenti apporti di sedimento legati alla presenza di importanti sistemi fluviali nella retrostante area costiera (es. il delta del Gange); tali sedimenti, smistati ed accumulati sulla piattaforma continentale o direttamente convogliati nei canyons sottomarini (scavati in parte dai fiumi stessi durante gli stadi di abbassamento globale del livello del mare es. durante le glaciazioni quaternarie) costituiscono il materiale di base per le torbide. UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE LA PIETRA SERENA Conoidi sottomarine dell’Indo e del Gange DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA In una conoide sottomarina sono distinguibili tre parti: →conoide interna: è la parte apicale della conoide allo sbocco del canyon. E’ caratterizzata da un canale alimentatore (in diretta prosecuzione del canyon), talora provvisto di argini, che inizia a suddividersi in bracci secondari. →conoide intermedia: è caratterizzata dalla ramificazione dei canali alimentatori. Nell’area di passaggio alla conoide esterna, al termine dei canali, si sviluppano dei corpi sedimentari a geometria piano-convessa (lobi o suprafan). →conoide esterna: a parte la presenza dei lobi nella sua parte più interna, questa parte della conoide presenta una morfologia piuttosto piatta e a bassa inclinazione (frangia di conoide) che si raccorda con la piana oceanica antistante. Similmente a quanto avviene nei sistemi fluviali sul continente, le torbide (comparabili alle piene fluviali) fluiscono nei canali delle conoidi sottomarine, dai cui argini possono localmente tracimare, e formano corpi sabbiosi di lobo al termine dei canali; questi ultimi possono accrescersi sempre più sottocorrente se nel tempo aumenta la consistenza degli apporti sedimentari, impostando così un lobo in progradazione costituito da sabbie anche piuttosto grossolane, in un punto della conoide esterna, al di sopra dei depositi fini. Una recessione del lobo sarà prodotta invece dalla progressiva diminuzione degli apporti sedimentari. Si potrà inoltre avere anche una improvvisa interruzione dell’accrescimento del lobo a causa di cambiamenti occorsi nel sistema alimentatore a monte (es. lo spostamento dei flussi in canali limitrofi o di nuova formazione per effetto di tracimazioni) e quindi questo corpo sedimentario costituirà una forma fossile che sarà progressivamente ricoperta dai depositi fini della frangia di conoide. Piattaforma continentale Organizzazione di una conoide sottomarina Sistemi fluviali continentali e ambienti sedimentari marini COMUNE DI FIESOLE LA PIETRA SERENA STRATI E FACIES TORBIDITICI Gli scienziati che per primi studiarono le correnti di torbidità sono stati l’olandese Kuenen, gli americani Middleton e Hampton, e l’italiano Migliorini che negli anni ‘50 riconobbe nelle successioni sedimentarie dell’Appennino Settentrionale i prodotti di antiche correnti di torbidità; Migliorini mosse le sue prime ricerche proprio dagli affioramenti di Macigno delle Cave di Maiano attribuendoli ad una successione di natura torbiditica. Bouma nei primi anni ‘60 sintetizzò l’insieme di questi studi in un modello di strato torbiditico nel quale distinse più intervalli, la cosiddetta sequenza Bouma, indicata come Ta-e. Ma non tutti gli strati torbiditici sono caratterizzati dalla sequenza Bouma completa, ma possono mancare o gli intervalli superiori (sequenze tronche tipo Ta o Tab tipiche di strati spessi e/o grossolani) o quelli inferiori (sequenze incomplete Tb-e, Tc-e o Tde di strati sottili e a grana fine); la ragione di questo è dovuta alla distalità del deposito rispetto al punto di immissione delle torbide nella piana bacinale. Infatti la torbida nel suo procedere sul fondo del bacino perde energia cinetica anche perché si diluisce per il progressivo mescolamento con l’acqua circostante; questo fa sì che la maggior parte dei materiali più grossolani venga deposta nella parte interna-intermedia (prossimale) della conoide, originando strati grossolani tipo Ta o Tab a base erosiva e di spessore anche considerevole. La maggior parte del carico sedimentario residuo, costituito dai materiali fini, viene invece abbandonato nella parte più esterna (distale) della conoide stessa, dando luogo a strati sottili Tb-e, Tc-e e Tde. Ogni torbida, per la diversa quantità e tipologia di materiale trasportato, di fluidità ed energia di trasporto, può percorrere un tratto più o meno lungo della piana bacinale oppure distribuirsi in modo arealmente diverso sul fondo; pertanto in uno stesso punto del bacino potranno alternarsi nel tempo torbide con caratteri relativamente prossimali con altre più distali e sviluppare la tipica ritmicità verticale che si può osservare frequentemente nelle successioni torbiditiche come quella del Monte Céceri. Alla base degli strati torbiditici sono spesso riconoscibili strutture erosive, controimpronte da trascinamento di oggetti (groove casts), controimpronte da vortici (flute casts), bioturbazioni. Organizzazione di uno strato gradato Facies ed associazioni di facies nel Macigno di Monte Céceri Sequenza Bouma con la distinzione degli intervalli Ta-e UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA Il modello di conoide è stato sviluppato da Mutti & Ricci Lucchi nei primi anni ‘70 del XX secolo, in base agli studi sulla Marnoso-Arenacea Romagnolo-Umbro-Marchigiana. Tramite il rilevamento in affioramento del tipo di stratificazione, granulometria, tipo di sequenza Bouma è possibile attribuire in tutto o in parte i depositi totbiditici alle varie porzioni di una conoide sottomarina fossile; in altre parole stabilire facies ed associazioni di facies torbiditiche tipiche dei vari settori di una conoide. Le facies torbiditiche individuate sono denominate A, B, C, D, E, più le facies associate F e G. Facies A (arenaceo-conglomeratica): strati da grossolani a molto grossolani (fino a sabbie ciottolose e conglomerati), anche di spessore decametrico, ad aspetto massiccio e lenticolare. Le strutture basali di tipo erosivo sono frequenti; manca la tipica sequenza Bouma. Facies B (arenacea): strati arenacei a grana per lo più grossolana/medio-grossolana, spesso a base erosiva e con profilo lenticolare. Lo spessore varia da pochi dm fino a qualche metro. Sono comuni delle strutture laminate grossolane ad andamento da piano ad ondulato che talvolta passano verso l’alto ad intervalli Bouma Ta e/o Tb. Facies C (arenaceo-pelitica): si tratta dei classici strati torbiditici a sequenza Bouma completa (Ta-e o Ta/c-e). Facies D (pelitico-arenacea I): strati di piccolo spessore (generalmente centimetrico/decimetrico), a grana da fine a finissima con sequenza Bouma incompleta (Tb-e, Tc-e e Tde). L’intervallo Te può talora prevalere sui sottostanti sabbioso-siltosi. Facies E (pelitico-arenacea II): strati di piccolo spessore, ma a granulometria grossolana, spesso lenticolari. Si presentano massicci o con lamine grossolane. Solo nella parte alta possono essere presenti sequenze Bouma tipo incompleto es. Tc-e). Facies F (caotica): si tratta di corpi sedimentari anche litologicamente molto eterogenei (peliti, pezzame di strati arenacei e/o calcarei), a giacitura caotica prodotti dall’accumulo di frane sottomarine. Facies G (emipelagica): è rappresentata da sedimenti fangosi in parte legati alle code diluite delle torbide, ma anche alla deposizione normale pelagica non torbiditica (es. fanghi calcareo-marnosi) spesso ricca in spoglie di organismi planctonici. In queste varie facies gli strati possono organizzarsi verticalmente secondo dei cicli: Cicli positivi con diminuzione verso l’alto dello spessore e della granulometria media degli strati; sono in genere stati riferiti al progressivo riempimento di canali. Cicli negativi con aumento verso l’alto dello spessore e della granulometria media degli strati; sono stati associati alla progradazione dei corpi di lobo sui depositi fini di frangia di conoide o di interlobo. Schema della distribuzione delle facies e delle sequenze positive e negative nell’ambito di una conoide COMUNE DI FIESOLE UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE LA PIETRA SERENA DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA Il MACIGNO di FIESOLE Il Macigno rappresenta un corpo sedimentario torbiditico di notevole spessore (oltre 3.000 m) che nella letteratura geologica è stato denominato “Macigno dei Monti del Chianti”. Il Macigno, che costituisce una delle unità geologiche più estesamente affioranti nell’Appennino Settentrionale, è stato suddiviso verticalmente in due porzioni che presentano caratteristiche sedimentarie ben differenziate: - Macigno ss. (Oligocene medio-superiore; 35÷25 Ma): è formato per lo più da torbiditi arenacee in strati grossolani, massicci e spesso caratterizzati da basi erosive, amalgamazioni e geometrie lenticolari. - Arenarie di M.Modino (Oligocene superiore - Miocene inferiore; 30÷20 Ma): sono rappresentate da torbiditi classiche (con sequenza Bouma), in particolare si tratta di strati pelitico-arenacei alternati a strati e pacchi di strati pelitico-arenacei; questi litotipi presentano in genere basi non erosive e geometrie tabulari spesso su distanze chilometriche. Nelle aree tipiche di affioramento (es. Abetone, Monti del Chianti), nella parte inferiore delle Arenarie di M.Modino è presente un corpo caotico, di spessore fino ad oltre 200 m e a composizione prevalentemente argilloso-marnoso-calcarea, interpretato come il prodotto di una frana sottomarina (Olistostroma) che si intercalò alla sedimentazione torbiditica. La successione Macigno ss. - Arenarie di M.Modino presenta alla sommità sedimenti essenzialmente marnosi di età miocenica inferiore (Marne di San Polo). È stato stimato per questa successione torbiditica una velocità di sedimentazione relativamente elevata (media 30 cm/ka, max 67 cm/ka; frequenza delle torbide 1/275 anni) per un’avanfossa di sedimentazione con dimensioni di circa 48.000 km2 (320x150 km) e con un volume di sedimenti di 67.200 km3. Nella successione torbiditica del Monte Céceri il succedersi in senso verticale degli strati è spesso ritmato da ripetuti cicli di sviluppo metrico/decametrico caratterizzati da un evidente aumento verso l’alto sia della granulometria media degli strati che del loro spessore (cicli negativi). I caratteri sedimentologici del Macigno del Monte Céceri lo fanno attribuire ad un paleo-ambiente di conoide sottomarina esterna dove si poteva assistere al ripetuto avanzamento di corpi sabbiosi di lobo sui sedimenti pelitico-arenacei della frangia di conoide o dell’area tra i lobi stessi (interlobo). Lo studio del contenuto fossilifero degli orizzonti marnosi, costituito da microfossili planctonici (zooplancton = resti di animali unicellulari con guscio calcareo; fitoplancton = spoglie di piccolissime alghe calcaree conosciute come nannofossili), ha evidenziato la presenza di Spenolithus delphix e Spenolithus capricornus che indicano una età miocenica inferiore (Aquitaniano ∼20 Ma). L’insieme dei dati litostratigrafici, sedimentologici, paleontologici e petrografici fa assegnare il Macigno di Monte Céceri alle Arenarie di Monte Modino che rappresentano la parte superiore della successione torbiditica del Macigno dei Monti del Chianti. Facies arenacea grossolana intercala tra facies di TBT IL MACIGNO COLONNE LITOSTRATIGRAFICHE La successione torbiditica esposta al Monte Céceri è costituita da una alternanza di facies arenaceo-pelitiche (Facies C) e peliticoarenacee (Facies D): - Facies C (arenaceo-pelitica): è rappresentata da strati torbiditici classici (Ta-e o Ta/c-e), di spessore variabile fino a quasi 10 m e sempre caratterizzati da evidente gradazione granulometrica verticale (la granulometria di base è generalmente mediogrossolana, ma talora anche microconglomeratica); nel caso degli strati più potenti e grossolani, possono essere riconosciute ripetute concentrazioni a nuvola di grani grossolani anche nella porzione media-bassa dei banchi arenacei. Questi strati presentano solitamente una base piatta e profili piano-paralleli (almeno alla scala degli affioramenti), ma non mancano esempi di basi manifestamente erosive e di geometrie lenticolari; in pochi casi i fenomeni erosivi hanno prodotto la saldatura (amalgamazione) tra le porzioni arenacee di due strati consecutivi (per asportazione degli intervalli Bouma superiori allo strato sottostante). Le intercalazioni pelitiche, argilloso-siltose di colore grigio/grigio scuro, sono di spessore centimentrico; pertanto i singoli strati sono caratterizzati da un rapporto A/P (arenaria/pelite) variabile da >1 a >>1. Sono inoltre stati riconosciuti anche alcune intercalazioni marnose (sedimento pelitico misto costituito da fango calcareo ed argilla) di spessore fino a pochi metri ben individuabili nella successione per il loro colore biancastro di alterazione. Le strutture da corrente rilevate sulla superficie di base degli strati sono rappresentate da controimpronte da trascinamento di oggetti (groove casts) e in minor misura, da quelle prodotte dai vortici della torbida (flute casts) che indicano la provenienza dei flussi torbiditici da NO (rispetto agli attuali riferimenti geografici). -Facies D (pelitico-arenacea): è costituita da torbiditi in strati di dimensione da centimetrica a decimetrica (per lo più sui 10-20 cm, raramente >30 cm) caratterizzati da sequenza Bouma incompleta (Tb-e, Tc-e e Tde). La geometria degli strati è rigorosamente piano-parallela e le superfici di base sono piatte. Le controimpronte basali non sono frequenti ed in genere sono rappresentate da piste di organismi limivori (bioturbazioni) che talvolta si insinuano anche nella pelite sommitale dello strato torbiditico sottostante; le rare strutture da corrente che sono state rilevate indicano sensi di scorrimento dei flussi analoghe a quelle rilevate nella precedente facies. Questi strati si intercalano singolarmente a quelli della facies arenaceo-pelitica, ma spesso possono anche costituire pacchi di straterelli pelitico-arenacei (TBT = Thin Bedded Turbidites). DEI MONTI DEL CHIANTI IL MACIGNO DI FIESOLE Regolare alternanza di facies arenacea grossolana ed argilliti COMUNE DI FIESOLE UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE LA PIETRA SERENA DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA CARATTERISTICHE MINERALOGICHE E FISICHE DEI MATERIALI DELLE CAVE DI PIETRA SERENA A cura del C.N.R: Centro di studio sulle cause del deperimento e sui metodi di conservazione delle opere d’arte, Firenze 60 60 50 L’attività estrattiva della Pietra Serena si è estesa, nel corso dei secoli, ad interessare i diversi affioramenti che circondano la conca di Firenze e questo per far fronte alle esigenze di espansione della città. Le cave più antiche erano localizzate intorno a Fiesole e di esse si ha notizia a partire dal 1200 anche se esiste testimonianza di uno sfruttamento di questo materiale già in epoca etrusca e romana. Dal XIII secolo la richiesta aumenta notevolmente e le cave arrivano ad interessare la valle del Mugnone, Vincigliata e Settignano. Con il Rinascimento, l’esigenza di disporre di blocchi di grosse dimensioni per colonne, capitelli, fregi, determinò l’apertura di nuove cave, anche relativamente distanti dalla città (cave della Gonfolina presso Signa). Nella seconda metà del XIX secolo, in occasione di Firenze capitale del Regno d’Italia, l’attività estrattiva ebbe un ulteriore impulso con nuove cave aperte nella zona del Monte Ceceri (Fiesole) e a sud di Firenze (Tavarnuzze).Gli anni ‘60 del secolo scorso hanno visto la chiusura di tutte le cave di Pietra Serena nei dintorni di Firenze. Resta in attività solo una cava nei pressi di Greve. % 30 20 20 10 10 0 K I CL CLV IS K 60 I CL CLV IS 60 50 50 Maiano 40 % Bolognese 40 % 30 0 Gonfolina 40 % 30 30 20 20 10 10 0 0 K I CL CLV IS K 60 I CL CLV IS 60 50 50 Tavarnuzze 40 % Localizzazione delle principali cave di Pietra Serena e Pietraforte a Firenze e dintorni 50 Faentina 40 I materiali delle singole cave sono stati anche caratterizzati per quanto riguarda le caratteristiche petrofisiche, che però non hanno evidenziato differenze significative (vedi Tabella). Il peso specifico è compreso fra 0,0266 e 0,0269 kN/m3 e questa variabilità trova giustificazione nella eterogeneità composizionale del materiale arenaceo, mentre i differenti valori di porosità osservati (dal 4% al 6%) sono legati soprattutto al diverso grado di cementazione secondaria ad opera della calcite. Un altro parametro determinato è l’indice di saturazione che rappresenta la percentuale di pori che vengono riempiti dall’acqua. Si tratta di un parametro importante ai fini dello studio dei fenomeni di alterazione di un materiale lapideo in quanto è tanto maggiore, quanto più l’acqua viene trattenuta all’interno della pietra. Ciò permette all’acqua di esplicare la sua azione aggressiva di tipo chimico e fisico con maggiore efficacia; per la Pietra Serena si hanno valori compresi fra 60% e 80% che risultano correlati soprattutto alla quantità di filllosilicati ed in particolare alla presenza di minerali argillosi a reticolo espandibile come la cloritevermiculite che si ritrova nelle cave di Greve e Tavarnuzze (IS=80%) % 30 30 20 20 10 10 0 Greve 40 0 K I CL CLV IS K I CL CLV IS Uno studio mineralogico di dettaglio ha comunque permesso di caratterizzare per zone, sulla base dell’associazione dei minerali argillosi, le varie cave attive nel corso dei secoli. Si tratta di un dato di notevole interesse soprattutto dal punto di vista storico architettonico in quanto permette di riconoscere le cave utilizzate per la realizzazione dei singoli manufatti e per gli interventi di trasformazione e restauro. Associazioni dei minerali argillosi tipiche per ciascuna cava Cave γ γs P% CIV% IS% Faentina 2,69 2,54 5,4 2,8 52,3 Bolognese 2,69 2,58 4,2 2,5 59,2 Maiano 2,67 2,52 5,4 4,3 76,1 Gonfolina 2,67 2,55 4,7 3,4 68,1 Tavarnuzze 2,68 2,55 5,2 3,0 58,1 Greve Pietra Bigia Pietra Serena Il materiale presenta due varietà principali, l’una di colore grigio (la Pietra Serena classica), l’altra (la Pietra Bigia) di colore giallastro dovuto ad uno stato di maggiore ossidazione dell’arenaria. A prescindere da queste due varietà che peraltro possono essere contemporaneamente presenti nelle diverse cave, non risulta possibile risalire con criteri macroscopici alla cava di provenienza. 2,66 2,52 5,5 4,5 82,0 Caratteristiche fisiche dei campioni provenienti dalle diverse cave di Pietra Serena. (γ = peso specifico; γs = peso di volume; P% = porosità totale; CIV% = coefficiente di imbibizione in peso; CIP% = coefficiente di imbibizione in volume; IS% = indice di saturazione) Bibliografia A. Banchelli, F. Fratini, M. Germani, P. Malesani, C. Manganelli Del Fà: “The sandstones of florentine historic buildings: individuation of the marker and determination of the supply quarries of the rocks used in some florentine monuments.” Science and Technology for Cultural Heritage, 6(I) 1997: 13-22. COMUNE DI FIESOLE UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE LA PIETRA SERENA DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA CARATTERIZZAZIONE GEOGEO-STRUTTURALE E GEOMECCANICA E VERIFICHE DI STABILITA’ STABILITA’ L’insieme dei rapporti tra le discontinuità presenti nelle associazioni di facies individuate e la giacitura dei fronti di cava porta ad individuare situazioni di diversa potenziale instabilità nelle varie cave dell’area di Monte Céceri. Generalmente le rocce sono state sottoposte ad uno o più eventi tettonici che ne hanno determinato un cambiamento nello stato meccanico, perlopiù di tipo fragile, evidenziato da discontinuità strutturali. Si evidenzia una situazione di generale instabilità delle porzioni superiori dei fronti di cava, interessate principalmente dalle associazioni di facies meno competenti tipo 1 e 4, con una certa predisposizione al rilascio tensionale di blocchi e cunei di dimensioni perlopiù decimetriche principalmente per scivolamento. Le fratture sono discontinuità strutturali planari che si sviluppano come risultato di una deformazione fragile, e sono estremamente diffuse nei primi 10 km di crosta, dove la temperatura e la pressione di confinamento sono relativamente basse (T <300°; P <4 kb); con il termine frattura si comprendono strutture con un enorme intervallo di dimensioni, in cui comunque si verifichi una rottura della roccia, con perdita di coesione ma non necessariamente con spostamento lungo di essa. Molti dei problemi di instabilità riscontrati sono legati al fatto che le cave sono ormai abbandonate da decenni ed in questo lungo lasso di tempo gli agenti naturali hanno disgregato le pareti ed i versanti, causando smottamenti, frane e generale allentamento ed instabilità. Varie e diverse situazioni di instabilità e di assetto geostrutturale e geomeccanico riscontrate nelle cave di Monte Céceri I joint sono discontinuità che interrompono la coesione della roccia e lungo le quali si ha un movimento impercettibile; si sviluppano sulle rocce sedimentarie stratificate, estendendosi su ogni strato o livello meccanico, limitati dalle superfici di strato, e si presentano in set o famiglie. - ASSOCIAZIONE DI FACIES TIPO 1 (TBT): l’ammasso roccioso si presenta intensamente fratturato, con discontinuità poco spaziate (∆ 5-10 cm), perlopiù planari, con superfici rugose e scolorite, da strette a aperte, persistenza bassa; - ASSOCIAZIONE DI FACIES TIPO 2 (strati arenacei medi): l’ammasso roccioso si presenta fratturato o sblocchettato, con discontinuità mediamente spaziate (∆ 20-80 cm), planari o sinuose, con superfici rugose o granulari, scolorite, da chiuse a strette, e persistenza bassa; - ASSOCIAZIONE DI FACIES TIPO 3 (banchi arenacei grossolani): l’ammasso roccioso si presenta massivo poco fratturato, con discontinuità molto spaziate (∆>1m, localmente 60-80 cm), perlopiù ondulate, con superfici granulari e scolorite, generalmente strette e localmente aperte, persistenza bassa; - ASSOCIAZIONE DI FACIES TIPO 4 (marne): l’ammasso roccioso si presenta intensamente fratturato, friabile con discontinuità poco spaziate (∆ <5 cm). Esempio di caratterizzazione geomeccanica di una parete rocciosa: le nubi rappresentano l’addensamento % dei poli delle discontinuità, le varie tracce servono a definire le aree di potenziale instabilità per caduta blocchi o cunei in relazione a diversi cinematismi in funzione dell’orientazione del fronte di cava in considerazione; a parte sono riportati i principali parametri di caratterizzazione geomeccanica dell’ammaso roccioso costituante il fronte di cava. La distribuzione e geometria delle superfici di discontinuità condiziona la stabilità e sicurezza di versanti e pareti, determinando potenziali superfici di distacco e scivolamento di cunei e blocchi di roccia. Situazione geostrutturale: So K1 K2 K3 K4 K5 Slope Nell’area di Monte Céceri affiorano quattro differenti tipi di associazioni di facies del Macigno di Fiesole, caratterizzate da una generale intensa fratturazione che condiziona la stabilità e sicurezza dei fronti di cava. In genere sono presenti tre famiglie di discontinuità sub-verticali, immergenti verso S, verso SW e verso SE-E, pur con locali variazioni dell’immersione e dispersioni minori; i quattro principali tipi di associazioni di facies individuati presentano una generale intensa fratturazione con caratteristiche morfometriche distinte: 360/28 144/82 196/41 208/85 249/84 300/85 190/70 RMRB 59 RMRD 59 RMRM 54 SMRP 0 SMRT T AL VERSANTE Esempio di caratterizzazione geostrutturale di una parete rocciosa: stratificazione e fratture su un fronte di cava. Le nubi rappresentano le % di addensamento dei poli delle fratturazioni, in questo caso joint, la traccia ciclografica l’assetto locale della stratificazione; nel diagramma a rosetta è riportato l’assetto della fratturazione su un piano normale al fronte (tracciato) ed a parte sono riportate le giaciture della stratificazione e dei set di joint. RIBALTAMENTO 26 Giunto: POLI SCIVOLAMENTO c’ 294 kPa φ’ 34° CUNEI COMUNE DI FIESOLE UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE LA PIETRA SERENA DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA Le modalità di coltivazione della pietra Serena possono essere ricostruite attraverso le tracce fisiche lasciate sulla roccia durante i secoli di escavazione e il recupero, attraverso testimonianze di scalpellini viventi e di rari scritti, di un patrimonio culturale polivalente, linguistico e tecnico tramandato oralmente per secoli tramite l’esperienza di cava e in parte andato perduto. Le conoscenze relative alla pietra e alle strutture del giacimento da coltivare passano infatti, come succede in tutte le realtà estrattive storiche, attraverso uno strumentario linguistico che riflette il bisogno di conoscenze teoriche e tecniche che accompagnano l’“arte pratica” del cavare e scolpire la pietra. Le operazioni preliminari all’apertura della cava erano volte ad individuare i “filari” di pietra coltivabili, particolarmente spessi, Tracce di escavazione sul retro di un blocco di buona qualità e non troppo fratturati per ottenere indicazioni sulla possibilità di escavazione e sulle dimensioni dei blocchi estraibili. La conoscenza dei “versi” della pietra rappresenta un elemento essenziale per cavatori e scalpellini nel momento dell’escavazione e nella fase di lavorazione e le tecniche di coltivazione devono necessariamente tenere conto dell’assetto geominerario dell’ammasso roccioso e dell’ubicazione e potenza dei livelli lapidei da coltivare. Le tecniche di estrazione dei blocchi di Pietra Serena si basano sul massimo sfruttamento delle naturali discontinuità della roccia (“versi”); i sistemi di discontinuità sfruttati come superfici di taglio del materiale sono rappresentati dalla stratificazione e dai due principali sistemi di fratturazione, disposti perpendicolarmente fra loro e alla stratificazione stessa, indicati Tracce di coltivazione tradizionalmente con il nome di “recisa” e “mozzatura”. La stratificazione (“falda”), delimita il “filare” da coltivare e nella zona di Fiesole è disposta a leggero reggipoggio rispetto al versante principale, immergendo circa verso N. Nella gran parte delle cave i blocchi sono stati estratti facendo coincidere i due sistemi di discontinuità rispettivamente con il lato lungo del blocco e con il lato corto del blocco. Seguendo questi tagli il blocco sembra meno soggetto a rompersi. FALDA SE FALDA Sviluppo di un taglio per delimitare un blocco RECISA RECISA CAVE VERSANTE ORIENTALE M.CECERI MOZZATURA MOZZATURA SW CAVE VERSANTE OCCIDENTALE M.CECERI Inizio di un taglio al tetto di un blocco COMUNE DI FIESOLE LA PIETRA SERENA CARATTERIZZAZIONE GEOSTRUTTURALE E GEOMECCANICA E VERIFICHE DI STABILITA STABILITA’’ La caratterizzazione geostrutturale e geomeccanica degli ammassi rocciosi ha consentito la determinazione degli indici RMR/GSI Ammasso roccioso/facies RMR GSI Facies1 Facies2 Facies3 Facies4 5050-60 6060-70 7070-80 4040-50 4545-55 5555-65 6565-75 3535-45 Tramite il criterio di Hoek & Brown, modificato per i flysch (Marinos & Hoek, 2001) per ammassi eterogenei o ad alternanza di litologie a diversa competenza e’ stata eseguita la determinazione delle proprietà geomeccaniche degli ammassi APPLICAZIONE DI MODELLI NUMERICI Analisi della stabilità di una Latomia di Fiesole ANDAMENTO DEL FATTORE DI SICUREZZA FRANA DI SUBISSAMENTO Sviluppo di diffusi fenomeni di plasticizzazione UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA COMUNE DI FIESOLE LA PIETRA SERENA DEL MACIGNO Sequenza stratigrafica del Macigno di Monte Céceri DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA TIPOLOGIE DI “PIETRA SERENA” Le cave di Macigno, sia a Fiesole che a Carmignano, venivano specificatamente coltivate per la Pietra Serena, nelle sue varie tipologie adatte a seconda delle loro specifiche caratteristiche ad usi diversificati; parimenti venivano cavati come prodotti di qualità minore altre pietre intercalate alla più nobile Pietra Serena. Il termine Pietra Serena è generico e sta a significare in modo semplicistico la pietra ornamentale cavata dal Macigno di Fiesole e di Carmignano. Pietra durissima: con grani clastici di varie misure, talvolta superiori al millimetro e con cemento costituito da calcite limpida; questo tipo presenta notevole durezza alla lavorazione; ha basso coefficiente di porosità, e sotto gli agenti atmosferici esterni, pur prendendo una patina scura, mantiene invariata la saldezza primitiva, come dimostrano da secoli le mura dell’antica Fiesole etrusca. In realtà il Macigno è costituito da una fitta alternanza (submetrica, metrica e plurimetrica) di torbiditi arenacee e siltose, con livelli marnosi che nell’intero Appennino Settentrionale si sviluppa nell’arco di 5 Ma per uno spessore di oltre 3 km! Sereno ordinario: la parte clastica è più minuta, ma sempre poco uniforme di misura; il cemento più abbondante in quantità, per essere in prevalenza di natura argillosa con scarso calcare, rende questa pietra geliva e poco durevole all’esterno. Nella zona di Fiesole la sezione rilevata, che ha la sua base a Maiano ed il suo tetto a Monte Rinaldi copre all’incirca i 500 m sommitali della sequenza sedimentaria del Macigno. Sereno gentile: ha elementi clastici di misura minore e più uniforme, ed un cemento argilloso debolmente calcareo, si presta per sculture ornamentali, prende buon pulimento e resiste assai specie al coperto. Nell’area specifica di Monte Céceri la sezione rilevata si sviluppa per 270 m, con uno spessore medio degli strati di ordine metrico, ma in realtà con alternanza irregolare di quattro tipi di associazioni di litofacies: Pietra del Fossato o delle Colonne: è una varietà particolare del “Sereno gentile” con un cemento calcareo-argilloso, al Monte Céceri ne sono presenti pochi livelli; era particolarmente ricercata per la sua saldezza unita a grana fine ed uniforme, presenta un’alta lucidabilità e superiori caratteristiche meccaniche che la rendevano ottima per colonne portanti (vedasi l’uso fattone dal Brunelleschi nelle chiese di Santo Spirito e di San Lorenzo e da Michelangelo per la Biblioteca Laurenziana). Associazione di facies tipo 1: prevalenza di torbiditi arenacee fini a stratificazione sottile (TBT) in cui si intercalano strati arenacei medi (Ta-e, Tb-e) di spessore generalmente inferiore ad 1 m e localmente superiore a 2 m; Pietra Bigia: porzioni di arenaria Macigno superficiali, vicine al versante, sulle quali gli agenti esogeni (piogge, acque percolanti, variazioni termiche) hanno prodotto una qualche alterazione che ha reso la pietra di un caldo colore bigio; è compatta e resistente agli agenti esterni, ha buona attitudine alla lavorazione; più l’attività estrattiva andava in profondità e si aprivano nuove cave che mangiavano questa “fascia di alterazione” più la Pietra Bigia è diventata rara e ricercata. Uno degli ultimi usi in grande della Pietra Bigia è stato l’arco dei Lorena in Piazza della Libertà. Associazione di facies tipo 2: prevalenza di arenarie da grossolane a fini (Ta-e) in strati di spessore perlopiù compreso tra 1 e 3 m, localmente intercalate da spessori ridotti di torbiditi arenacee a stratificazione sottile (TBT) e di marne; Filone Bandito: pietra arenarie di grana molto fine ed uniforme, colore plumbeo-ceruleo, consente lavorazioni fini e tiene molto bene la lucidatura. Pietra morta: arenaria farinosa giallastra, molto alterata e decoesa con completa eliminazione della frazione carbonatica, si sbiciola facilmente; veniva usata come pietra da fuoco nei camini, focolari, forni e fonderie. Associazione di facies tipo 3: arenarie da grossolane a medio-fini (Ta-e) in banchi potenti anche alcuni metri e spesso amalgamati in livelli plurimetrici; Granitello: livello arenaceo costituito da materiale grossolano, di dimensioni della ghiaia, di colore scuro tendente al verde cupo, estremamente duro e di grande saldezza, ben lucidabile. Associazione di facies tipo 4: prevalenza di marne in cui sono intercalati un livello metrico di torbiditi arenacee a stratificazione sottile (TBT) ed uno strato arenaceo medio-fine (Ta-d) spesso fino a 3 m. Cicerchina: livelli arenacei grossolani, con clasti anche ghiaiosi, dura, mal levigabile, molto porosa, ottima come abrasivo o come aggregato per calcestruzzi. Tramezzuolo: sorta di ardesia ma arida e non resistente come quella ligure; si tratta di livelli compatti di siltiti argillose. Nell’articolazione di queste quattro associazioni di facies i principali livelli cavati per la Pietra Serena sono riferibili al tipo 3, altre cave sono aperte nell’AF tipo 2. Pertanto appare evidente che tra un livello cavato ed un altro, pur in una generica similitudine tipologica e composizionale dell’intero Macigno, possano esistere dal punto di vista dell’uso ornamentale differenze anche sostanziali in quanto a granulometria, composizione e caratteristiche fisico-meccaniche e della lavorabilità. Sassocorno: filoni duri, ma con volute e rigonfiamenti della struttura (strati a sequenza sedimentarie convolute Tc). Mortaione: pietra grigia a gran più fine della Pietra Serena, ma poco dura e che si sfalda facilmente esposta all’aria (livelli di marne più o meno siltose od argillose). Verga: livello di marna finemente arenacea in genere presente sopra i livelli di Pietra Serena. Pietra Cerro: era così chiamata dagli scalpellini la crosta di alterazione superficiale della Pietra Bigia, più dura, squamosa ed abbondante di materia ferrigna. Pertanto nello specifico la Pietra Serena presenta una grande variabilità di caratteri da cava a cava e da banco a banco nella stessa cava, per cui senza una scelta accurata si corre il rischio di mettere in opera materiale sprovvisto dei requisiti adatti. Nell’insieme la Pietra Serena è una arenaria quarzoso-feldspatica con elementi litici di rocce metamorfiche e granitiche, con componenete minore fillosilicatica, a cemento argillitico, solo in alcuni livelli bedolmente carbonatico. UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE LA PIETRA SERENA Oltre alle tipologie nobili di Pietra Serena ed alle altre meno ricercate, nella quotidiana attività di cava si tendeva a recuperare quanto possibile per ammortizzare l’onere economico, temporale e fisico delle ampie scoperchiature necessarie a seguire i filari di Pietra Serena nel monte; questa attività secondaria, che comunque no riusciva a ridurre più di tanto lo sterile da mettere a discarica nei dintorni della cava dava comunque luogo ad un commercio secondario di vari materiali. Pietrame e sassi: il materiale di dimensioni medie e di buona consistenza veniva usato per lavori edilizi, in pezzame od anche riquadrato in bozze, o per murature a secco. a b Lazze: livelli arenacei poco spessi (decimetrici) , a tetto dei filari di coltivazione, spesso usati per fare lastre di rivestimento o lastricati non carrabili. Liscioni: livelli arenacei di spessore medio (pluridecimentrico) sfumanti verso l’alto in siltiti fini argillitiche, recuperati per lastricati. COMUNE DI FIESOLE LA PIETRA SERENA UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA LA COLTIVAZIONE DELLA PIETRA SERENA La coltivazione della Pietra Serena è cominciata industrialmente a Fiesole con l’insediamento degli Etruschi, che iniziarono per primi a cavare in modo sistematico e razionale il Macigno, per estrarne i blocchi di Pietra Serena, per i loro scopi edilizi, militari e civili. E’ credibile che all’epoca l’attività estrattiva, data la supponibile abbondanza di affioramenti e la generale giacitura a reggipoggio con blanda inclinazione verso N-NE del Macigno, fosse concentrata nei pressi dei siti d’uso, questo anche per oggettive difficoltà nel trasportare in salita blocchi di diverse tonnellate; è quindi presumibile che le coltivazioni fossero allora principalmente concentrate nella zona più elevata del poggio di San Francesco, con accumulo e messa in opera dei blocchi estratti verso le sottostanti mura ed area urbana. Questa ipotesi appare anche in accordo con quanto riportato dal Targioni Tozzetti (1.768 d.C.) che indica nelle cave poste sotto la “Rocca di Fiesole” i siti più classici di estrazione. Solo in epoca successiva, forse già romana, ma indubbiamente medioevale, le coltivazioni si sono spostate anche fuori delle mura, sia nella forra del Mugnone verso Fonte Lucente, sia verso Monte Céceri e quindi Maiano. Citazioni delle coltivazioni ormai attive da tempo in tali zone sono reperibili sempre nel Targioni Tozzetti, ma anche in passi del Vasari (1.500 d.C) e del Landino, del Baldinucci e del Cisalpino e di Agostino del Riccio, per non dire di Boccaccio e di Dante: Ma quello ingrato Popolo, e maligno Che discese da Fiesole ab antico E tiene ancor del Monte e del Macigno (Dante, Inferno, XV, 61-63) Tutto questo dimostra quindi che l’attività estrattiva del Macigno a Fiesole è sempre stata attiva, intensa, ben conosciuta e di pregio, al tal punto che Brunelleschi volle la Pietra Serena per San Lorenzo e Santo Spirito, Michelangelo ne volle della qualità migliore per la Libreria e la Sagrestia di San Lorenzo, Donatello per la Colonna del Mercato Vecchio ed il Vasari per gli Uffizi, non solo ma dalle cave più di pregio si poteva cavare solo con permesso di chi governava e solo per edifici pubblici. Comunque già da tempo le cave di Pietra Serena dovevano aver profondamente inciso i versanti della montagna se il Targioni Tozzetti a metà del XVII secolo parla con ammirazione anche di ampie coltivazioni in sotterraneo, con ardite camere e pilastri di sostegno, a seguire il filone migliore nel cuore della montagna. Con il tempo l’attività estrattiva della Pietra Serena si è sempre più spostata verso Monte Céceri e Maiano, le ultime cave attive, ormai coltivate con metodologie più moderne, ma sempre abbastanza tradizionali erano situate sul retro di Monte Céceri, nei pressi della strada di raccordo e collegamento con e tra Borgunto e Maiano, in posizione defilata e facilmente raggiungibile dai mezzi meccanici. Le ultime estrazioni sporadiche di Pietra Serena sono riferibili a Fiesole agli anni sessanta del XX secolo; dopo di allora in commercio è solo possibile trovare la Pietra Serena di Firenzuola, che pur avendo ottime qualità ed apparendo molto simile alla Pietra Serena cavata dal Macigno di Fiesole è dal punto di vista geologico, e delle proprietà tecniche e fisico-meccaniche del tutto diversa. La presenza di tracce di cave o di memorie dell’esistenza di cave è molto diffusa nell’area dei poggi di Fiesole, sia a livello di fonti bibliografiche, sia a livello di memoria storica, sia a livello di emergenze fisiche sul terreno. Tracce evidenti sono ad esempio nel giardino pubblico sotto la rocca di San Francesco, dietro e sotto la cavea del teatro romano, nella zona del campo sportivo, lungo le viuzze della zona di Fonte Lucente dove erano ubicate le cosìdette “Cave Bandite” (bandite in quanto per bando riservato solo ad estrazione di materiali per uso pubblico previa autorizzazione governativa) ed ancora nella zona di Villa Medici e della Fondazione Michelucci, per non dire poi della forra del Mugnone. Verso Monte Céceri le tracce sono molto più cospicue e recenti, ed oggetto infatti del presente progetto di recupero storico-ambientale, ma tracce di cave sono anche presenti lungo la valle del Mensola e del Bucine e nella zona del Castello di Vincigliata. Tracce e memorie di cave di Pietra Serena nei poggi di Fiesole A Monte Céceri le tracce dell’attività estrattiva della Pietra Serena sono molto evidenti e cospicue, e costituiscono un reperto di memoria sociale, tecnica e paesaggistica degno di doveroso recupero e resa alla memoria storica di un territorio e di una popolazione. Le grandi cave di Monte Céceri si sono nel tempo sviluppate a seguire i filoni migliori di Pietra Serena che coronano il poggio, andando nel tempo a costituire dei gradoni pressoché continui lungo i due fianchi della montagna, gradoni aperti tra ampie coltri del detrito di scoperchiatura. L’attività di cava si è andata sviluppando a Monte Céceri essenzialmente da dopo il Mille, a seguire e fornire materiale per il grande sviluppo urbanistico ed architettonico di Firenze. In particolare le grandi cave fitte (Latomie sotterranee) sono state aperte tra il XV ed il XVIII secolo, e seguire corsi di Pietra Serena particolarmente saldi e validi dal punto di vista ornamentale. A seguire e funzionali a questo sviluppo dell’attività estrattiva sono state aperte nel tempo varie strade e sentieri, le cui tracce si integrano ed arricchiscono il patrimonio storicoculturale dell’area di Monte Céceri. COMUNE DI FIESOLE UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE LA PIETRA SERENA DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA LE LATOMIE o Cave Fitte 391.07 409.52 370.51 37 0 375.18 375.03 374.70 414.78 380.55 La peculiare giacitura a reggipoggio dei filari di Macigno coltivati per estrarre la Pietra Serena, costringeva i cavatori ad eseguire ingenti scoperchiature a carico dei livelli sterili di galestro; questa situazione oltre a richiedere una immane fatica, da un lato comportava il ricoprimento di ampie porzioni dei versanti con ingenti quantità di detrito, dall’altro tendeva ad affossare le cave con necessità di eseguire scoperchiature sempre più ampie che andavano ad interferire con l’attività di cava e di discarica delle cave sovrastanti. Quale soluzione a questo problema i vecchi cavatori decisero, ove la potenza del filare di Macigno coltivato lo consentiva, di intraprendere ardimentose coltivazioni in galleria, a seguire tipo miniera il filare di Macigno dentro le viscere della montagna, evitando in tal modo di perdere tempo, fatica e denaro nell’esecuzione di ingenti lavoro di scoperchiatura. Nella zona di Monte Céceri questa soluzione è stata particolarmente possibile lungo un potente livello di Macigno, dove sono state aperte varie cave in galleria: “le Latomie”, o nel gergo dei cavatori e scalpellini locali “cave fitte”. 1 37 5 411.31 38 0 366.63 415.35 38 5 367.16 406.26 393.34 39 5 391.73 376.62 386.61 391.55 386.19 412.63 415.65 367.76 36 5 36 0 35 5 35 0 12 12 375.23 39 0 40 0 40 5 412.29 41 0 384.29 371.94 416.09 413.55 359.99 381.32 375.74 381.86 408.92 399.66 338.61 7 411.21 387.54 359.54 396.71 1 392.90 337.27 12 392.91 355 396.44 396.81 395.55 5 360 397.50 2 397.12 4 386.29 382.05 355.53 332.10 364.74 349.83 331.65 370 12 373.63 314.58 LATOMIA O CAVA FITTA = COLTIVAZIONE IN SOTTERRANEO = Fronte continuo di cava 12 3 3 6 (cave in sotterraneo) 1 - Interno Latomia n°1 2 - Interno Latomia n°2 3 - Interno Latomia n°3 4 - Imbocco Latomia n°4 5 - Interno Latomia n°5 5 12 326.93 324.29 368.84 3 4 6 360.28 379.34 340.43 6 - Interno Latomia n°6 7 - Interno latomia n°7 348.24 345 365 380.26 12 340.93 351.80 393.72 398.16 34 5 34 0 349.95 35 0 379.39 407.81 395.11 364.67 12 348.52 411.06 LATOMIE o Cave Fitte 2 381.13 403.13 = Latomia (cava in galleria) 7 COMUNE DI FIESOLE UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE LA PIETRA SERENA DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA TECNICHE DI COLTIVAZIONE I Leva o “palanchino“ per lo spostamento a mano dei blocchi Nella coltivazione della Pietra Serena sono state sempre in uso le classiche tecniche manuali di estrazione dei blocchi dal monte. L’apertura di una cava iniziava con l’effettuazione della scoperchiatura, cioè con l’asportazione a pala, piccone e marra dei livelli rocciosi di galestro (TBT) e di marna al fine di portare a pulito i livelli coltivabili di Pietra Serena. Lo sterile così prodotto, le cui dimensioni o consistenza non erano tali da consentirne l’uso per lavori edilizi minuti vari, veniva accumulato in ampie terrazze di detrito in fronte ed a valle del piazzale di cava a costituire ampi ripiani di lavorazione e manovra. Con il progredire delle lavorazioni e l’infossamento delle cave lo sterile accumulato cresceva a mucchio in fronte al piazzale di cava il cui accesso spesso si riduceva ad un passaggio tra monti di detrito, appena sufficiente al transito dei carri per il trasporto delle pietre (i “barrocci”). Principio ed esempio di terreno a coltivazione per scoperchiatura con accumulo al piede dello sterile Ricostruzione del capanno della forgia a servizio di una cava A tetto dei livelli migliori di Pietra Serena erano spesso presenti livelli di arenaria scadente e di poco spessore (“lazze”) che venivano recuperate per fare lastre da rivestimento o pavimentazioni di cortile e giardini. Seguivano dei livelli detti “liscioni” di scarso pregio, e quindi gli strati o “filari” di Pietra Serena. Monte Céceri in una foto aerea del 1935, epoca nella quale appaiono ancora evidenti le numerose cave presenti, le ampie coltri di detrito a fronte delle varie cave e le carrarecce per il trasporto a valle dei blocchi I cavatori di Pietra Serena di Fiesole e Settignano erano detti “scalpellini”, il loro orario di lavoro era dall’alba al tramonto con pausa per pranzo e riposo nelle ore centrali della giornata, casomai nel capanno al caldo di un fuoco od al fresco di un frondoso leccio. All’interno della cava era funzionante una vera e propria struttura logistica funzionale alle lavorazioni: piazzale di cava, piano di carico (o “poggio”), zona della sbozzatura dei blocchi, cumuli di detrito, magazzino per gli attrezzi, capanno per il ristoro dei cavatori, pozzino per la raccolta d’acqua, la forgia per la manutenzione essenziale degli attrezzi di scavo, la tagliata. L’organizzazione del lavoro era tale da limitare al massimo il sollevamento fisico dei blocchi, ma tendeva a sfruttarne il peso in movimenti gravitativi agevolati da leve o palanchini, martinetti a mano e binde. Blocchi già sezionati e sbozzati sul piazzale di cava in attesa di essere portati a semifinitura Poggio per il carico dei blocchi sui barrocci I ragazzi, sempre numerosi in cava per le varie incombenze collaterali e per “fare scuola” cominciavano a frequentare le cave sin dall’età di 6 anni per imparare “l’arte pratica” del cavare, lavorare, scolpire. Le donne verso metà mattinata portavano ai loro uomini in cava il fagotto con il “desinare”, per strada si ritrovavano ai “pelaghi”, sorgive naturali dove erano stati costituiti dei lavatoi pubblici, per procedere assieme. Il tutto si esauriva nell’ambito familiare, in cui tutti i componenti della famiglia davano il loro contributo all’impresa. Binda per il sollevamento o la forzatura dei blocchi Per bere, lavarsi e per temperare i ferri da lavoro veniva scavato un pozzino che raccoglieva le acque di naturale filtrazione nel Macigno, acque fini che venivano anche raccolte in fiasche per le esigenze casalinghe. Modellino del carro o barroccio per il trasporto a valle dei blocchi Martinetti a mano per lo spostamento o la forzatura dei blocchi La maggior parte delle famiglie con cave a Monte Céceri era di Borgunto, nucleo abitativo medioevale posto ai limiti di Monte Céceri fuori delle mura Etrusche, Romane e medioevali di Fiesole. Marra per i lavori di scoperchiatura o per la forzatura a mano dei blocchi COMUNE DI FIESOLE UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE LA PIETRA SERENA DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA TECNICHE DI COLTIVAZIONE II Nel caso delle cave in galleria, le Latomie o Cave Fitte, il problema principale era quello di entrare nel monte, in altre parole quello di aprire il primo canale in alto, per poi coltivare il filare in sbassi successivi lavorandolo dall’alto. Sulle pareti e nelle volte delle numerose e splendide Latomie di Monte Céceri è facilmente leggibile la storia e le modalità di coltivazione, eseguite per fitte e progressive che aprivano la volta della cava e quindi procedevano a sbassi successivi secondo la falda. La tecnica classica di coltivazione della Pietra Serena si basava sul massimo sfruttamento delle naturali discontinuità o piani di latenza della roccia; nel caso della Pietra Serena venivano sfruttate le discontinuità naturali della stratificazione, che delimitavano il “filare” da coltivare, e quelle date dai principali sistemi di fratturazione, che delimitavano la “recisa” (lato lungo del blocco) e la “mozzatura” (lato corto del blocco), nello spessore dello strato venivano sfruttali i livelli sedimentari per suddividerlo secondo la “falda”. Stacco a retro blocco regolarizzato prima di una nuova fitta Per estrarre un blocco veniva praticata nel monte un “fitta” cioè una intaglio largo e profondo scavato per mezzo di subbia e mazzuolo, usando subbie via via più lunghe ed alternando l’azione di scalpellinatura da destra a sinistra per non indebolire troppo lo stesso verso della pietra si entrava nel vivo del masso. La stessa azione veniva poi ripetuta per i tagli laterali a scendere, e quindi per quello inferiore. A questo punto il blocco, zeppato alla base veniva staccato al retro per mezzo dell’azione combinata di cunei di legno forzati e bagnati che schiantavano il retro del blocco consentendone l’estrazione. Una volta sul piazzale di cava il blocco già cavato circa delle dimensioni finali veniva sbozzata ed ulteriormente pre-finito prima di essere trasportato con i carri a destinazione, dove o subito prima della messa in opera o a volte anche dopo veniva rifinito. Formelle per lo sbancamento di blocchi con il metodo del tronco o cunei di legno bagnati. Si noti che la falda è intaccata dalla formella per una certa profondità, la parte inferiore veniva schiantata con l’uso dei tronchi o cunei di legno poi bagnati. Altra tecnica era quella dell’uso delle “formelle”, praticabile quando il dorso dello strato da coltivare era libero ed accessibile. In questo caso veniva eseguita una formella più o meno fonda e quindi in questa venivano inseriti cunei o tronchi di legno che una volta forzati e bagnati finivano di schiantare lo strato per il resto del suo spessore e lo spostavano lungo il verso della falda. PUNCIOTTI Infine una menzione merita anche la più moderna tecnica dei “punciotti”, anche in questo caso era necessario avere la superficie dello strato libera. Per la punciottatura veniva eseguita nella roccia una serie di fori verticali, in questi fori venivano inseriti due semicunei semicircolari e quindi un terzo cunei in mezzo a questi; a questo punto battendo ritmicamente ed alternativamente i vari cunei centrali si forzava la roccia alla schiantatura lungo il piano punciottato ed allo scivolamento lungo il piano della falda. CUNEI La volta era ottenuta stabile e resistente avendo cura di non cavare la parte sommitale del filare buono di Pietra Serena, veniva sempre lasciato uno strato di circa 60 cm a costituire un tetto di tenuta alla base dei livelli di galestro (TBT) e di marna della scopechiatura. In alcune Cave Fitte, nei tempi, questa soletta di sostegno ha ceduto causando o parziali crolli della volta o il collasso globale dell’intera cava sotterranea, dando così luogo a frane di subissamento. Fitta di tetto per l’inizio dello scavo di un nuovo blocco SUBBIA SCALPELLO Nicchia di distacco di un blocco a tetto di una Cava Fitta MAGLIO GRADINA SGORBIA Sequenza schematica esplicativa delle modalità di scavo di una fitta e dell’estrazione di un blocco MARTELLO A TAGLIO MARTELLO A TESTA CONCAVA BOCCIARDA MAZZUOLO In presenza delle fratture principali, dette “fine” veniva lasciato un diaframma di sostegno della volta, sia da una parte che dall’altra della frattura; a lavoro ultimato questi diaframmi venivano a costituire i pilastri di sostegno della volta. ZAPPA PICCONE MARTELLO A DUE PUNTEI MARTELLINA Inizio di scavo di una fitta a tetto di un nuovo blocco da estrarre PICCOZZA COMUNE DI FIESOLE UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE LA PIETRA SERENA DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA PROBLEMI DI CONSERVAZIONE DELLA PIETRA SERENA A cura del C.N.R: Centro di studio sulle cause del deperimento e sui metodi di conservazione delle opere d’arte, Firenze La Pietra Serena e la Pietraforte sono i due materiali edilizi che caratterizzano il tessuto urbano della città di Firenze e di alcuni dei paesi circostanti. La prima è stata utilizzata soprattutto con finalità ornamentali ed ha avuto il periodo di massima fortuna durante il Rinascimento quando venivano richiesti grandi blocchi per scolpire colonne e capitelli. La Pietraforte invece ha costituito il principale materiale da costruzione. Questo diverso utilizzo e il nome stesso dato alle pietre fa già intuire che la Pietra Serena è un materiale sicuramente più lavorabile rispetto alla Pietraforte e ciò dipende sia dalla sua maggiore omogeneità tessiturale sia dal fatto che la frazione sabbiosa è in genere tenuta insieme da un legante poco tenace, e di natura argillosa. Nella Pietraforte invece il legante ha una natura prevalentemente carbonatica che conferisce una maggiore compattezza. A questa maggiore lavorabilità si lega però una minore durabilità della pietra nel tempo. Questa minore durabilità si esplica con processi naturali di trasformazione che sono indicati come alterazione e degrado. I fattori principali di degrado sono l’acqua e le sostanze in essa disciolte, le escursioni termiche e tutte le altre azioni fisiche, chimiche e/o antropiche che determinano un continuo e naturale processo di trasformazione che può essere più o meno rapido in funzione sia delle stesse condizioni ambientali che, come accennato, delle caratteristiche composizionali e strutturali della roccia. Microfotografie in sezione sottile petrografica, luce polarizzata 25x. Matrice argillosa Cemento calcitico secondario Il primo impatto con il degrado per una roccia è quello relativo alla sua estrazione. Tecniche sia antiche (cunei, tagliate ecc.) che del recente passato (polvere nera) inducono nel materiale sollecitazioni che ne influenzano la resistenza all’alterazione. La successiva lavorazione con l’impiego di vari utensili (scalpelli di vario tipo, subbia, bocciarda, e oggi martelletti pneumatici), così come dicono gli artigiani del settore, “rintrona” la pietra creando microfratture che possono interessare spessori di diversi millimetri con un aumento notevole della superficie specifica del materiale. a Pietra Serena: croste e materiale decoeso sottostante b a) Piazza della SS.Annunziata: particolare del colonnato Quanto finora esposto è riconducibile sostanzialmente a fenomeni naturali ma è opportuno ricordare che processi di degrado in parte analoghi possono essere indotti da interventi di restauro realizzati con tecniche e materiali non adatti o non sufficientemente sperimentati. Due esempi possono essere quelli relativi alla facciata di Palazzo Bartolini Salinbeni in Piazza S.Trinita e di Palazzo Rucellai in via della Vigna Nuova i cui conci di arenaria furono sottoposti, negli anni sessanta, ad interventi di consolidamento con fluosilicati. Il risultato del trattamento fu la completa alterazione cromatica della superficie e la formazione di croste sovrapposte molto coerenti con fenomeni di rigonfiamento che sembrano causate da vere e proprie “esplosioni” interne. Una possibile spiegazione del fenomeno è che non si era tenuto conto che i fluosilicati, oltre a produrre acido fluoridrico che reagisce con la calcite formando fluorite, danno, come prodotto della loro decomposizione, silice amorfa. Questa sostanza, che sembra in principio esplicare un’azione consolidante riducendo drasticamente la porosità della parte alterata, risulta al contrario estremamente pericolosa in quanto, a causa della sua igroscopicità, favorisce la ritenzione dei fluidi acquosi aumentando di volume e generando tensioni entro il materiale. b) Chiostro della Badia Fiorentina Dopo queste due prime fasi sul materiale posto in opera iniziano a svilupparsi i processi alterativi. Nel caso della Pietra Serena, il fattore principale di degrado risulta essere l’acqua di imbibizione che grazie al tipo di struttura porosa presente, satura quasi completamente gli spazi vuoti presente e viene a lungo trattenuta. Si agevola così lo sviluppo di fenomeni sia di tipo chimico che fisico i quali determinano un facile degrado della roccia. Questo si manifesta soprattutto con la formazione di croste coerenti e la loro successiva caduta in un ciclo continuo. Il meccanismo di formazione della crosta è il seguente: Palazzo Bartolini Salimbeni: alterazione cromatica della pietra successiva ad un trattamento consolidante con fluosilicati - limitatamente ad uno spessore di 1,5 cm, dilavamento della matrice argillosa e dissoluzione dello scarso cemento calcitico; - formazione di una crosta di superficie di pochi mm di spessore per fenomeni di riprecipitazione calcitica entro i pori durante le fasi di evaporazione dell’acqua di imbibizione; tale crosta presenta una ridotta porosità rispetto al substrato che al contrario è decoeso per perdita di matrice e cemento; Monte Céceri: fronti di cava antichi con tracce degli utensili utilizzati per l’estrazione dei blocchi di arenaria - distacco della “crosta” che risulta scollata rispetto al substrato; tale distacco avviene sia per la diversa risposta alle sollecitazioni termiche, sia per fenomeni di tensione che si generano nella zona di discontinuità ad opera dell’umidità la cui fuoriuscita risulta rallentata dalla relativa impermeabilità della crosta; - formazione di una nuova crosta sulla superficie esposta; il processo è agevolato dalla elevata porosità di tale superficie che facilita l’ingresso dell’acqua e degli inquinanti. Nel complesso si può comunque affermare che i fenomeni di degrado osservati nei monumenti in Pietra Serena, a meno di casi particolari come quelli esposti, risultano in linea con il naturale evolversi dei processi alterativi che sono più o meno rapidi in funzione delle condizioni di esposizione e delle caratteristiche della roccia. Fino a non molti decenni fa si era consapevoli di questo e per molti monumenti fiorentini la Pietra Serena in particolare era soggetta a periodiche sostituzioni (circa ogni 50-60 anni); attualmente questa filosofia di intervento non è più seguita ed è forse anche per questo che i fenomeni di degrado appaiono più eclatanti.