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Zhang Ke - Italcementi
Cultura 53 L’ECO DI BERGAMO SABATO 21 APRILE 2012 a Zhang Ke: la mia architettura si chiama rispetto Dei luoghi, delle culture, dei materiali «Non si deve copiare il passato, ma dialogare con il contesto geografico». Lezione all’«i.lab» SUSANNA PESENTI a Rispetto. Per i luoghi, le culture, i materiali. È la chiave dell’architettura di Zhang Ke, secondo conferenziere a i.lab Kilometro Rosso a Stezzano per la serie di incontri inaugurali del centro di ricerca Italcementi, dedicati a «ripensare i fondamentali» dell’architettura. Una posizione molto diversa dai ridondanti edifici dei colleghi più anziani, ossessionati dall’urbanizzazione fino a consumare le terre arabili a livelli insostenibili per la Cina. Zhang Ke, ancora dalla parte giusta dei quarant’anni, laurea e specializzazione in architettura e design urbano all’università di Tsinghua, master in architettura nel 1998 a Harvard, ha fondato nel 2001 a Pechino lo studio Standard Architecture Team (o Start) con Zhang Hong e Claudia Taborda. «L’idea è fare un’architettura neutra e ogni volta nuova, come se ripartissimo da zero» spiega al pubblico di i.lab. Faccia tonda e simpatica, sciarpetta grigia bucherellata al laser, Zhang Ke è curioso della gente oltre che del paesaggio. Alla fine dell’intervento si fermerà a firmare autografi alla III B del Liceo artistico di Bergamo. L’architetto ama misurarsi con progetti di dimensioni e scopi diversissimi. Ha realizzato uova-rifugio, gusci di plastica o acciaio premontati trasformabili in punti di sosta urbani o rifugi d’emergenza per i senzatetto, progettati modificando il motto di Mao in «Servire il popolo migrante», dato che il 20% dei cinesi si sposta dalle campagne alle città in cerca di lavoro. In Tibet ha costruito un approdo per barche, un Visitor Center, una spa e un ostello usando pietra locale e legno, un’architettura che si mimetizza con l’ambiente e che lascia un segno preciso, ordinato. «In Tibet l’architettura deve sbocciare dal paesaggio». Il molo sale zigzagando per tener conto dei livelli di piena del fiume; l’ostello è un recinto di pietra con finestroni sulle montagne che chiudono camere a sbalzo verso l’interno a cielo aperto, intorno a una piscina geotermale. Indimenticabili sono le «Torri di libri traballanti», due grattacieli gemelli, i piani sovrapposti in modo irregolare per dare a tutti l’esposizione migliore, tanto vetro fra strati orizzontali di cemento bianco perché «non ci interessa la verticalità in sé, le torri ora si guardano da diversi punti di vista». Ci sono anche progetti visionari, come l’idea di muovere le tangenziali invece che le au- I suoi colori il bianco e il verde dell’erba, i materiali il legno e la pietra «Ogni progetto inizia da un sogno, ma tiene conto della fattibilità» tomobili, con veicoli magnetici organizzabili anche in convogli o i campi di riso verticali. Bellissimo l’Art Center di Wuhan, nato da un disegno a pennello di acqua che scorre trasformato nel motivo tridimensionale che caratterizza l’edificio. I colori di Zhang Ke sono il bianco e il verde dell’erba, i materiali il legno – spesso lavorato da carpentieri artigiani – e la pietra. «Ogni progetto comincia con una fantasticheria, una parte sogna, l’altra tien conto della fattibilità. E arrivi al progetto definitivo». Uno scivolare mentale, piuttosto che un arrampicarsi. Togliere piuttosto che aggiungere. L’uso della pietra ricorda un po’ Frank Lloyd Wright, ma Zhang sussulta: «L’uso della pietra, ma la so- miglianza si ferma qui. Lloyd è molto decorativo, noi puliti». L’esigenza di risparmio energetico come si affronta? «Un architetto deve usare prima di tutto saggezza: materiale locale, isolamento, rispetto del paesaggio, tener conto della luce e dell’insolazione. Se non basta, si aggiunge la tecnologia: geotermico, pannelli solari. Nella progettazione internazionale sta diventando un prerequisito politico». E in Cina? «Stiamo lavorando a Shanghai a un progetto con standard molto alti, agricoltura sul tetto, materiali riciclati per ottenere la certificazione Leed». La responsabilità ambientale si sta affermando in Oriente? «Non è ancora prevalente, ma sta emergendo per necessità: in passato abbiamo dilapidato molto, ora dobbiamo stare attenti, non possiamo reggere se aumenta l’inquinamento e non c’è riso per tutti. La sostenibilità è un obbligo». La sua architettura è piacevolmente rispettosa e mai fuori scala rispetto al contesto. «Sono contento che lo dica, l’idea che avete dell’urbanistica cinese non è un granché e avete ragione. Penso che l’architettura debba tener conto che l’intervento dura nel tempo e che occupa terreno. Non deve copiare il passato, ma dialogare con il contesto geografico e culturale e utilizzarlo con sensibilità contemporanea. C’è molto spazio per l’innovazione, ma gli architetti devono essere più critici e più creativi e meno alla moda. Ci vuole più pensiero». La buona architettura deve per forza costare cara? «L’anno scorso abbiamo lavorato con uno studio olandese su un progetto di edilizia sociale che non fosse triste. Un buon design può fare moltissimo anche a basso costo». Materiali nuovi? «Testiamo sempre nuovi materiali, ora mi piacerebbe provare i nuovi materiali di Italcementi». ■ ©RIPRODUZIONE RISERVATA Il cinese Zhang Ke, secondo conferenziere a i.lab Kilometro Rosso a Stezzano per la serie di incontri inaugurali del centro di ricerca Italcementi, dedicati a «ripensare i fondamentali» dell’architettura Lo presenta giovedì Davide Rota A Sui dialetti lombardi un sussidiario semiserio A Dopo il «Curs de lümbard per baluba, balabiot e cines cumpres» (Mondadori, 2010) e il «Curs de lümbard per Terun» (Mondadori,1985), Davide Rota (Luino, 1959), per anni attore e assistente alla regia di Dario Fo, propone questo suo «D’uomo sapiens - De Lümbardi Eloquentia» (Ur Editore, 224 pagine, euro 16). Uno scanzonatissimo «sussidiario dei dialetti della Lombardia», che presenterà giovedì prossimo, alle ore 18,30, alla libreria Articolo-21 (Largo Rezzara 4/6, Bergamo). Un continuo gioco di bisticci di parole, paronomasie, collegamenti e accostamenti anche per solo richiamo e somiglianza fonica, cui però si mescolano, con frequenza e periodicità difficilmente calcolabili, proposizioni scientificamente (linguisticamente) attendibili. Il lettore incontra, così, etimologie francamente fantasiose: «l’immondizia, ovvero la "rumenta", o "rut", veniva gettata dove capitava e non è da escludere che il nome di persona anglosassone "Ruth" (in realtà di chiara origine ebraica, ndr) derivi dal lombardo "rut", "rud" o "ruff" per indicare una donna di non piacevole aspetto (vedi anche cifone, cozza, cefalo)…». Accanto a, invece, note storico-linguisticamente fondate: «I dialetti lombardi sono di origine gallo-romanza, come il francese. Non a caso la parola "carciofo" in francese si traduce con "artichaut" (e non "artischaut", ndr), in lombardo con "articiocc". Prosciutto è giambon in lombardo (ma non in tutti i dialetti lombardi, ndr) e jambon in francese. Oeuf (uovo) si dice poi nello stesso modo in entrambi gli idiomi. Così come "abbastanza", ovvero: "assez"». Un modo scherzoso per avvicinare i giovani ai dialetti. A proposito: la cosa più bella sono le illustrazioni, opera degli studenti del Liceo Artistico «Boccioni» di Milano. Bravissimi. V. G. a Enrico Gonzales, un libro sul socialista dimenticato a «Gonzales: neanche a Milano nessuno ricorda più che sia esistito. Era stato deputato socialista milanese fino al fascismo, penalista fra i più noti, personaggio importante nel suo partito, al punto che tutti i gruppi d’opposizione hanno demandato a lui il discorso dopo il delitto Matteotti in un Parlamento di ghiaccio». «L’ho sentito. Con un inizio, ricordo, che si stampò nella memoria: "È dunque vero! In Roma…" con al banco del Governo figure impietrite». Così il maestro Gianandrea Gavazzeni, in un’intervista rilasciata nel 1988 e poi nel 1994 nelle pagine diaristiche di Scena e retroscena, ricorda un personaggio tanto stimato quanto, già allora, pressoché dimenticato. Ad Enrico Gonzales: avvocato, socialista, galantuomo Mimma Forlani ed il figlio, avvocato Francesco Giambelluca, hanno dedicato una biografia, fondata su «documenti e testimonianze», pubblicata dal- ha espresso il suo apprezzamento per il recupero alla memoria storica di un personaggio importante del Novecento milanese». Quel discorso alla Camera la bergamasca Lubrina. Oggi al Museo Storico La presenteranno oggi (ore 17,30) al Museo Storico, Sala Capitolare, in piazza Mercato del Fieno. Con gli autori interverranno Claudio Salvioni e Pia Locatelli; letture di Aide Bosio e Diego Bonifaccio. «Il libro – ricorda la Forlani – ha avuto tra i suoi primi lettori il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, che, nella sua prefazione, La copertina di «Enrico Gonzales: avvocato, socialista, galantuomo» Il volume, «corredato da quasi tutti gli scritti del politico e penalista sopravvissuti nel tempo, presenta l’attività professionale, la passione politica, le relazioni amichevoli di Enrico Gonzales, che visse a Milano dal 1882 al 1965». Gonzales, continua la giornalista bergamasca, è «l’avvocato socialista che, nella seduta della Camera dei Deputati del 12 giugno 1924, a due giorni dal rapimento Matteotti, si alza dal suo scranno posto tra quello di Filippo Turati e Claudio Treves e proclama: "Dunque, è vero! In Roma, sede del Parlamento, e a Camera aperta, un deputato dell’opposizione ha potuto essere aggredito, rapito, e al terzo giorno dal fatto, mentre la seduta continua, non sappiamo se ci sarà restituito…". Mussolini tace e ascolta a braccia conserte. Dalle tribune, dove sono seduti anche alcuni familiari dei deputati, assiste alla scena il giovane Gianandrea Gavazzeni, quasi quindicenne, figlio dell’avvocato Giuseppe, onorevole del Partito Popolare». Non lo dimenticherà più. Questo libro, insomma, «è un tentativo, speriamo riuscito, di adempiere il dovere verso i morti, che è dar modo alla vita di continuare». ■ Vincenzo Guercio