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medicine per la grande guerra
MEDICINE PER
LA GRANDE GUERRA
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La Prima Guerra Mondiale, scoppiata nel luglio 1914 e allora chiamata “la Grande
Guerra”, portò a una maggiore necessità di medicinali di ogni tipo e le ditte farmaceutiche
si trovarono in molti casi ad aumentare le loro produzioni.
Le industrie dell’Intesa
Aziende già impegnate in differenti settori della chimica cominciarono a guardare
con maggiore attenzione alla produzione di farmaci: fu questo il caso, per esempio nello
schieramento dell’Intesa, della francese Poulenc, collegata al Comptoir des Textiles
Artificielles (CTA) che, oltre alle fibre artificiali, produceva anche materiali fotografici.
Nel 1914 il lavoro divenne imponente anche per le forniture di guerra di bendaggi
chirurgici a ospedali militari. La Robert et Carrière mise a punto la “Trousse du
fantassin”, una borsetta da consegnare a ogni soldato, che conteneva fiale di iodio,
piccole bombole di ossigeno per la rianimazione, ovatta canforata, compresse per la
disinfezione dell’acqua.
Oltre alle forniture belliche non mancavano comunque nelle aziende anche attività
collegate al normale processo produttivo. Si può citare, sempre in Francia nel 1917,
l’apertura da parte di Dausse di una nuova fabbrica con vetreria integrata, dove si
producevano i flaconi per gli estratti delle piante medicinali coltivate nelle proprietà
agricole dell’azienda a Morigny, a sud di Parigi.
Sotto la guida di Boulanger, nel 1918, quando la guerra stava per finire, la stessa
Dausse, ormai divenuta uno dei più importanti laboratori farmaceutici francesi, tanto
da essere indicata come “sanctuaire de la galénique”, avanzava comunque verso la
produzione di specialità da vendere direttamente al pubblico, sovente formulate con
farmaci di sintesi, come nel caso dell’analettico cardiaco Camphodausse.
Rimanendo sul fronte dell’Intesa, anche nel Regno Unito tutte le ditte farmaceutiche
furono impegnate a produrre disinfettanti, farmaci e medicamenti per i combattenti.
Joseph Nathan diede il suo contributo continuando a produrre il latte in polvere
Glaxo per i bambini inglesi e spedendolo dalla Nuova Zelanda.
Dopo un anno dall’inizio della guerra i Governi australiano e inglese capirono che
i lontani Paesi del Commonwealth avrebbero avuto difficoltà a rifornirsi di medicine,
in particolare di sieri e vaccini, a causa dei trasporti difficili e pericolosi. Per questo
motivo vennero fondati a Melbourne nel 1916, partendo da zero, i Commonwealth
Serum Laboratories (CSL), e alla loro guida fu posto, come direttore-fondatore, il dott.
William Penfold, batteriologo dell’Istituto Lister della Medicina Preventiva Britannica, nato in Australia.
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L’INDUSTRIA DELLE MEDICINE
Farmaceutiche degli Imperi Centrali
Nello schieramento opposto all’Intesa, quello degli Imperi Centrali, già all’inizio del
conflitto fu chiesto anche ad Albert Boehringer, titolare dell’omonima azienda tedesca di
Ingelheim, di gestire la sua ditta di medicinali in funzione dell’economia e delle esigenze
di guerra. Il compito venne egregiamente assolto, sotto la direzione del nipote Robert, per
i quattro lunghi anni che lacerarono terribilmente Paesi e popoli, soprattutto d’Europa.
Anzi, proprio nel caso di Boehringer Ingelheim, l’impegno costituì addirittura un’occasione per pensare alla nascita in azienda di una Divisione di ricerca, subito realizzata
attraverso la collaborazione dello stesso nipote Robert con due eccezionali cugini della
moglie di zio Albert: il professore di chimica Heinrich Wieland, che sarà Premio Nobel nel
1927, e suo fratello Hermann, professore di farmacologia. Fra i primi risultati del lavoro di
Wieland ci fu, nel 1917, la produzione di acido biliare e il susseguente sviluppo di farmaci
basati su questa sostanza, che verranno poi introdotti in terapia all’inizio degli anni Venti
(per curare il danno cardiovascolare cronico e l’angina pectoris).
Per la mancanza di chinina, alcaloide ottenuto dalla corteccia di china peruviana, la
Bayer sintetizzò a partire dal blu di metilene, come succedanei antimalarici, dei derivati
chinolinici, superati però nel primo e secondo dopoguerra da altri medicinali.
Nel 1917, in piena guerra mondiale, la Heinrich Byk che aveva lanciato la teofillina, si
fuse con la Leipziger Farbwerke Paul Gulden & Co. (pigmenti e tannini), fondata nel 1896,
formando la Byk-Guldenwerke Chemische Fabrik AG, che fra l’altro, nel 1929, inizierà in
uno dei suoi venti stabilimenti anche la produzione di asfalto stradale.
Riprenderemo più avanti l’interessante storia di questa azienda, a cui più tardi verrà
dato il nome di Altana.
In Ungheria, a Budapest, la Gedeon Richter, continuò durante la guerra la sua ordinata
crescita, dopo i brevetti ottenuti negli anni precedenti. Nel 1918, mentre si avvicinava la
sconfitta degli Imperi tedesco e austro-ungarico, Richter, per i suoi meriti, fece in tempo a
ottenere dall’imperatore d’Austria e Ungheria Carlo I una medaglia commemorativa.
L’Italia e la Grande Guerra
Nel 1914, anno dello scoppio della guerra, mentre l’Italia era ancora neutrale, vennero
fondati a Pisa, come si è visto, i Laboratori Guidotti.
L’Italia entrò nel conflitto, a fianco degli Alleati dell’Intesa, il 24 maggio 1915. E fu
proprio in quell’anno che l’attività dei Menarini, iniziata nel 1886 nella Farmacia Internazionale di Napoli, si trasferì a Firenze.
Un ruolo importante nell’economia di guerra venne assunto dallo stabilimento di
Garessio, costruito dai Lepetit con Dollfuss e Gansser per produrre inchiostri e concianti
delle pelli e definito “ausiliario” dal Governo italiano perché fornitore di materiali che non
si potevano più importare dalla nemica Germania. Per la produzione di questi materiali la
ditta Ledoga, creata dai tre soci nel 1890, dovette addirittura comprare nuovi impianti a
Darfo e a Oneglia. Nel 1915 la stessa Ledoga diveniva Società Anonima.
Durante il periodo bellico si ebbe anche una ristrutturazione dell’Istituto Sieroterapico
Vaccinogeno Toscano (Sclavo) con ampliamento della produzione di sieri e vaccini, specialmente per il tifo e il colera. Per quanto riguardava i combattenti, l’impegno dell’Istituto era
particolarmente rivolto ai vaccini contro il vaiolo, il tetano e il tifo. Si intensificò anche la
ricerca che si focalizzò sulla medicina preventiva e sulle esigenze della popolazione italiana.
La carenza di medicinali, fra il 1915 e il 1918, fu paurosa e soprattutto legata al taglio
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dei rifornimenti di materie prime dalle fonti tradizionali. L’impegno generale era volto a
produrre tutti i farmaci possibili. La Sanità Militare affidava anche a laboratori di farmacie
certe produzioni, come per esempio quella dei fialoni da ipodermoclisi. Si distinse in quel
periodo la Farmacia Centrale Militare, fondata nel 1853 a Torino, che diverrà più tardi, fra
le due guerre, nel 1935, l’Istituto Chimico Farmaceutico Militare con sede a Firenze.
In piena guerra nacquero in Italia aziende farmaceutiche nuove, per esempio l’Istituto
Galenico, fondato a Pisa nel 1917, assieme ad alcuni amici, da Alfredo Gentili, un giornalista e commediografo trentottenne, protagonista della vita intellettuale della sua città,
che mostrò poi grandi capacità imprenditoriali nella conduzione dell’azienda, chiamata dal
1933 Istituto Galenico Chimico-Biologico A. Gentili.
Da giornalista firmava sovente, come gli aveva suggerito un suo professore al liceo, con
lo pseudonimo di “voltolino”, un uccello acquatico, timido ma sveglio, rapido e intelligente, che fa arrabbiare i cacciatori perché non riescono mai a colpirlo.
Del 1918 è la fondazione, a Milano, dell’Istituto Biochimico Giovanni Lorenzini, a opera
dell’omonimo professore. L’azienda fu orientata alla ricerca e alla produzione farmaceutica, con particolare riferimento al settore delle vitamine, che proprio allora si scoprivano e
di cui si iniziavano a comprendere le funzioni.
In Giappone il dott. Katsuzaemon Keimatsu, per lanciare l’antisifilitico Arsemin corrispondente al Salvarsan di Hoechst, fondò nel 1915, assieme a cinque soci, la ditta Arsemin
Shokai. Questa diverrà nel 1918, dopo l’avvenuto lancio anche del Neo Arsemin, la Daiichi
Pharmaceutical.
Arrivano gli Stati Uniti
Quando gli Stati Uniti erano ancora neutrali, nel 1915, Abbott adottò il nome di “Abbott
Laboratories”, a sottolineare il suo sempre maggior interesse per la ricerca.
L’anno seguente il dirigente e ricercatore dott. Alfred Burdick convinse i proprietari
Abbott a orientarsi verso i farmaci sintetici. Fu così che l’azienda acquisì la prima medicina
di origine non naturale, il Chlorazene, molto usato come antisettico per la disinfezione
delle ferite nella guerra che si combatteva in Europa ormai da due anni.
Il blocco navale alla Germania impedì l’arrivo di prodotti tedeschi negli Stati Uniti
anche negli anni della loro neutralità. Per assicurarsi le materie prime la ditta Neuralgyline,
divenuta nel 1917 Sterling Products con l’acquisizione di Sterling Remedy & Co., fece
nascere la Sterling-Winthrop attraverso la fusione con Winthrop-Stearns.
Si arrivò al 1917 e anche gli Stati Uniti, il 6 aprile, si trovarono in armi contro gli Imperi
Centrali. Il Governo americano autorizzò le aziende nazionali a produrre e vendere farmaci
fino ad allora di proprietà tedesca, e Abbott mise subito in commercio sia medicinali formulati con l’anestetico locale procaina, che sostituivano la specialità Novocaina di Hoechst, sia
altri farmaci contenenti l’ipnotico barbital, per rimpiazzare l’introvabile Veronal di Bayer.
Durante tutto il periodo bellico (1917-18) grande fu l’impegno delle ditte farmaceutiche americane nella produzione di medicinali e prodotti ausiliari da inviare al fronte.
Si distinse in particolare il Gruppo Smith Kline & French. Comunque tutta l’industria
statunitense ricevette positivi impulsi dal Governo per l’incremento e la razionalizzazione della Ricerca e Sviluppo, che si amplierà nel dopoguerra con la collaborazione fra
Industria e Università, come già accadeva in Germania da qualche decennio.
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Diverse aziende tedesche, anche a causa della sconfitta finale del novembre 1918,
persero il mercato internazionale. Per esempio il fatturato di Bayer, nel 1919, valeva due
terzi di quello del 1913.
Inoltre queste ditte subirono, nei Paesi nemici, la confisca di brevetti e, laddove esistevano, di intere aziende affiliate, installate all’estero in tempo di pace.
La Merck & Co., tedesca negli Stati Uniti, venne espropriata, anche se George Merck,
che aveva trascorso in America il periodo bellico alla guida della filiale d’oltreoceano da
lui stesso fondata, ricevette dopo la guerra addirittura un premio dal Governo americano
per la correttezza del suo comportamento. La parte di proprietà che apparteneva alla casa
madre venne messa sul mercato per il miglior offerente.
La Bayer fu un’altra ditta a cui vennero confiscate le proprietà americane, compreso il
diritto di usare il marchio “Aspirina” (Figura 8). Tali proprietà vennero poi cedute all’asta
per 5,3 milioni di dollari, nel dicembre 1918, a Sterling-Winthrop, che rivendette per 1,5
milioni di dollari la Divisione Coloranti a Grasselli Chemicals.
Solo dopo qualche anno ripresero i contatti e gli accordi commerciali fra ditte di Paesi
ex nemici, come fu nel caso della germanica Bayer e dell’americana Sterling-Winthrop, che
nel 1922 cedette alla Bayer proprio il 50% della Winthrop.
Figura 8 Veicolo promozionale per l’Aspirina di una agenzia olandese.
(Per gentile concessione di Bayer S.p.A., Milano)
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Anche l’attività della filiale americana di Schering fu bloccata durante la Prima Guerra
Mondiale e potè riprendere solo nel 1928. Vedremo allora, grazie al percorso scientifico
frattanto imboccato dalla casa madre tedesca, che la sede statunitense accentrerà molto la
sua attenzione sullo studio degli ormoni.
Bausch & Lomb, fondata da tedeschi emigrati in America nel 1853, diveniva invece, con
la guerra, il principale fornitore di strumenti di precisione in vetro delle forze armate degli
Stati Uniti. Ci fu al contempo, ed era ovvio, una battuta d’arresto nei rapporti fra questa
azienda americana e la tedesca Zeiss, che le aveva concesso la licenza di produzione proprio
per un telemetro militare. Normali relazioni vennero riprese solo nel 1921.
Neutrali: affari tra due fuochi
La Prima Guerra portò conseguenze anche a ditte appartenenti a Paesi neutrali come
la Svizzera.
È questo il caso della Roche di Basilea, il cui principale stabilimento, anche se situato
nella vicina Grenzach, si trovava oltre il confine tedesco, cioè nel territorio di un Paese
impegnato nel conflitto. Le frontiere, allo scoppio della guerra, vennero sbarrate e cominciarono le difficoltà di comunicazione e di rifornimento di materie prime. Ma non solo.
I tedeschi accusavano Roche di rifornire di farmaci la Francia, mentre i medici francesi consideravano l’azienda elvetica legata alla Germania. Il chimico e dirigente svizzero
Barrell, che operava in quello stabilimento, venne accusato dalle autorità tedesche di favorire gli Alleati dell’Intesa e internato sino alla fine della guerra.
Ci fu inoltre il boicottaggio inglese dei farmaci Roche, provocato dalla voce corrente che
la ditta di Basilea fornisse gas tossici all’esercito tedesco. E infine arrivò la rivoluzione del
1917 in Russia, con il conseguente isolamento di quel Paese, che fece perdere a Roche il suo
principale mercato d’esportazione e un milione di franchi svizzeri di mancati pagamenti.
Per tutti questi motivi, nel 1919, Hoffmann-La Roche dovette prendere la decisione di
trasformarsi in società per azioni. Fritz Hoffmann morì nel 1920 e cominciò in Roche l’era
di Barrell, tornato in attività dopo la detenzione in Germania.
Sempre in Svizzera, frattanto, Sandoz aveva cominciato nel 1917 a produrre medicinali
con formulazioni basate su sostanze naturali, sotto la direzione scientifica di Arthur Stoll,
che fra l’altro, un anno più tardi, isolava l’ergotamina, alcaloide della segale cornuta, poi
messa in commercio nella specialità Gynergen per il trattamento dell’emicrania.
Nella neutrale Danimarca la regolazione economica statale, abbinata all’occasione di
incassare moneta dai Paesi in guerra, fece fiorire gli affari un po’ in tutti i settori. Da questo
trasse vantaggio anche una piccola ditta, che trattava allora saccarina, macchine per fare i
biscotti, materiale per fotografia e fogli di alluminio, ma era destinata a divenire una farmaceutica negli anni susseguenti al conflitto: la Lundbeck, fondata nel 1915 dal trentenne
Hans Lundbeck, tornato in patria tre anni prima dopo una lunga permanenza all’estero.
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