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Giustificazione per Fede - visione protestante
Parrocchia Santo Spirito, Parma – 20.01.2014 LA DICHIARAZIONE CONGIUNTA DI CATTOLICI E LUTERANI SU LA GIUSTIFICAZIONE PER GRAZIA MEDIANTE LA FEDE Una riflessione critica da parte protestante “Ero stato afferrato da un desiderio, certo singolare, di conoscere Paolo nella Lettera ai Romani, ma quello che fino a quel momento aveva costituito un ostacolo non era il sangue freddo intorno al cuore [Virgilio, Georgiche 2,484: l’espressione indica un ostacolo paralizzante, come quando «si gela il sangue» per lo spavento o, alla lettera, perché si muore], ma una sola parola, che si trova nel capitolo primo: «la giustizia di Dio è rivelata in esso (cioè nell’Evangelo)». Odiavo infatti quest’espressione, «giustizia di Dio», perché l’uso e la consuetudine di tutti i dottori (in teologia) mi avevano insegnato a intenderla filosoficamente, come giustizia formale o attiva (così la chiamano), per la quale Dio è giusto e punisce i peccatori ingiusti. Io però, che mi sentivo davanti a Dio peccatore con la coscienza molto inquieta, benché vivessi come un monaco irreprensibile, né potevo confidare di trovar pace mediante le mie opere riparatrici, non amavo, anzi odiavo questo Dio giusto che punisce i peccatori e mi indignavo contro Dio, pronunciando contro di lui se non proprio una silenziosa bestemmia, quanto meno una forte protesta, dicendo: «Come se non bastasse che dei poveri peccatori eternamente perduti a motivo del peccato originale siano oppressi da ogni male per mezzo della legge del Decalogo, ecco che Dio aggiunge dolore a dolore dirigendo contro di noi la sua giustizia e la sua ira anche per mezzo dell’Evangelo». Così ero fuori di me, con l’animo infuriato e sconvolto. E tuttavia continuavo a sollecitare Paolo a proposito di quel passo, senza dargli tregua, desiderando ardentemente sapere che cosa egli volesse dire Finché, avendo Dio compassione di me, mentre meditavo giorno e notte ed esaminavo il concatenamento delle parole seguenti: «La giustizia di Dio è rivelata in esso [cioè nell’Evangelo] come e scritto: Il giusto vivrà per fede», cominciai a comprendere che la giustizia di Dio è quella grazie alla quale il giusto vive per il dono di Dio, cioè per la fede, e che la frase: «la giustizia di Dio è rivelata mediante l’Evangelo» va intesa nel senso della giustizia passiva, grazie alla quale Dio misericordioso ci giustifica per mezzo della fede, come è scritto: «il giusto vivrà per fede». A questo punto mi sentii letteralmente rinascere e mi sembrò di entrare direttamente in paradiso, le li cui porte si erano spalancate. (…) Orbene, quanto grande era stato l’odio con il quale avevo prima odiato l’espressione «giustizia di Dio», tanto grande era l’amore con il quale ora esaltavo quella dolcissima parola. Quel passo di Paolo divenne davvero per me la porta del paradiso.” In questo scritto del 1545, a quasi 30 anni dall’affissione delle 95 tesi sul portone della cattedrale di Wittemberg, il monaco agostiniano Martin Lutero, poi divenuto padre della Riforma Protestante, esprime quali fossero i sentimenti che lo attanagliavano e scuotevano nel leggere la lettera ai Romani dell’apostolo Paolo e come la sua comprensione della Scrittura, nonché della sua fede, cambiarono con la ri-scoperta del concetto di giustificazione per grazia mediante la fede. Questo brano attesta sotto quale spinta egli si mosse per iniziare ad indagare il significato teologico della giustificazione. Centrale è il concetto di “giustizia di Dio”. Se fino a quel momento il “di Dio” veniva inteso come un genitivo soggettivo, Lutero lo interpreta come oggettivo. Ma quali le differenze? Quali conseguenze apporta questa diversa comprensione? Nel primo caso si fa riferimento alla giustizia propria di Dio in base alla quale giudicherebbe gli individui decidendo chi è giusto e chi no relativamente al comportamento di ciascuno e determinandone la salvezza oppure no. Si parla, insomma, di “giustizia retributiva”. 1 Nel secondo caso, invece, la giustizia sarebbe quella che Dio attribuisce all’essere umano peccatore ma per grazia dichiarato “giusto” attraverso la morte e la resurrezione di Gesù Cristo. Dio è giusto perché accogliendo il peccatore perduto rimane conforme al proprio essere; cogliendo questo aspetto, Lutero è riuscito a collocare il discorso paolino nella sfera dell’evangelo, ossia della buona notizia di salvezza che Dio rivolge agli esseri umani. Nella dottrina cattolica la giustizia forense di Dio (il peccatore è dichiarato giusto) non è bastevole per la salvezza, essa deve produrre dei frutti nell’amore riversato sugli altri che diventa costatazione pratica dell’avvenuta giustificazione (giustificazione reale), in fondo molto simile alla concezione dei cristiani rinati. La sua forza risiede nella concretezza e visibilità della vita nuova, la sua debolezza invece a considerare la conversione avvenuta come un dato di fatto del quale farsi forti rispetto agli altri. Inoltre, tale dottrina presupporrebbe che la Parola di Dio è un flatus vocis, ossia priva di reale forza trasformatrice: solo comunicazione di contenuti, un semplice appello. In realtà, in tutta la Scrittura la Parola di Dio ha potere performativo in quanto come dice Isaia non torna indietro a vuoto, ma fa quel che dice (Is. 55,10-11). La dichiarazione di Dio, la sua giustificazione del peccatore, non lascia la realtà come’è, ma la trasforma. Nell’ambito di questa visione come possiamo definire la fede? Se si parla di “giustificazione per grazia mediante la fede” non si finisce per fare di quest’ultima un’opera? Nella concezione riformata la fede è il si dell’essere umano alla parola di Dio reso possibile dalla Parola stessa per la potenza dello Spirito Santo. La fede è il luogo esistenziale nel quale la grazia viene accolta. In questo – afferma l’apostolo Paolo - non può esservi vanto. Un’altra obiezione critica che viene fatta alla visione luterana è qual è il valore che hanno le opere in tale concezione? In passato la sottolineatura di Lutero sulla giustificazione per grazia ha ingenerato dei fraintendimenti per cui vi è chi ha ritenuto che tale concezione rendesse superflua l’obbedienza a Dio, alla sua volontà per il mondo. In tal senso il teologo luterano, D. Bonhoeffer, nel suo scritto “Sequela” definì tale comprensione della dottrina luterana come “grazia a buon mercato”. In realtà, fin dall’inizio della Riforma, ad esempio nella Confessione Augustana del 1530, si afferma che le buone opere sono frutto della giustificazione, non quale obbligo di legge, ma come conseguenza stessa della giustificazione compresa grazie alla fede suscitata in noi dallo Spirito Santo. La Riforma ritiene che solo la parola accolta nella fede identifichi buone opere in quanto frutti della giustificazione stessa (Ef. 2,8-10; I Gv.4,7-8). L’uomo adulto e maturo accetta il dono della giustificazione e si comporta liberamente nel senso che non ha da corrispondere nulla in cambio, ma responsabilmente nel senso di testimoniare del piano di Dio in Cristo come ha spiegato Lutero nella “libertà del cristiano”. Lapidariamente, parlando della nuova vita, il teologo Conzelmann asserisce che la libertà è la conseguenza della giustificazione, “nel senso di dedicarsi gioiosamente e senza regole alla propria santificazione”, ossia porsi al servizio del piano di Dio per l’umanità nella consapevolezza che nulla possiamo portare in dote ad esso, ma che la potenza di Dio si “mostra perfetta nella debolezza” (II Co. 12,9) e che lo Spirito Santo viene in soccorso della nostra debolezza. Dal punto di vista luterano è importante sottolineare che la dichiarazione congiunta sottoscritta dovrebbe avere delle ricadute sulle questioni ecclesiali ed ecumeniche in generale perché, secondo quanto espresso al num. 5 della stessa dichiarazione, essa “… comprende un consenso sulle verità di fondo della giustificazione e mostra che le diverse spiegazioni che ancora rimangono non giustificano più le condanne dottrinali”. A tal proposito, inoltre, nella risoluzione del Consiglio della FLM si afferma che “…essa comprende l’impegno di proseguire il dialogo sulla base dei consensi raggiunti.” In particolare, in riferimento alla relazione fra la parola di Dio e il magistero ecclesiale, la dottrina della chiesa e l’autorità al suo 2 interno, del ministero e dei sacramenti, infine alla relazione fra la giustificazione e l’etica sociale o santificazione. La dichiarazione congiunta, sottolinea la risoluzione del Consiglio della FLM, ha suscitato la speranza che possa avere delle conseguenze “… nei futuri rapporti fra luterani e cattolici anche su piano pastorale, innanzitutto per quanto riguarda la preghiera e il culto comuni. Anche se la dichiarazione congiunta stessa non abolisce le differenze che riguardano il ministero e i sacramenti, permane la speranza che essa costituisca una base importante per un progresso anche in questo campo.” Non sono stati dello stesso parere 139 professori in teologia evangelica tedeschi e svizzeri firmatari di un documento dal quale si evince che per costoro la dichiarazione congiunta non ha raggiunto un consenso sulla tesi che il peccatore è giustificato solo mediante la Parola di Dio e i sacramenti amministrati secondo tale parola e che il peccatore è dichiarato giusto solo mediante la fede. Inoltre, non ha portato a nessuna conseguenza ecclesiologica o pratica. La Federazione evangelica svizzera in una sua presa di posizione ufficiale ha dichiarato che, sebbene la dichiarazione congiunta non potrà avere conseguenze pratiche rilevanti e il modello di lavoro ecumenico è utilizzabile solo per problemi teologici del passato, può essere accolto “… come un passo incoraggiante verso ulteriori collaborazioni ecumeniche.” Un simile apprezzamento è stato espresso dal documento sulla dichiarazione del Sinodo metodista e valdese del 1998 che però rileva come questa abbia “… trattato la giustificazione come una dottrina fra le altre e non come il centro della fede e della teologia della chiesa. Infatti un consenso di questo genere dovrebbe necessariamente comportare ... del resto, la recente presa di posizione cattolico-romana richiederà … una approfondita rianalisi del testo, nella speranza che si aprano nuove prospettive … e che si possa pervenire ad un pieno accordo su questo punto essenziale per una vera comunione ecclesiale.” Infine, da molte parti è stato contestato il fatto che si sia giunti a questa dichiarazione senza un confronto con le chiese anglicane e a quelle evangeliche aderenti alla “Concordia di Leuenberg” di cui fanno parte anche le chiese metodiste dal 1994. La Concordia di Leuenberg è un testo di accordo teologico ecumenico accettato il 16 marzo 1973 dalle principali Chiese europee Luterane e Riformate a Leuenberg, in Svizzera. Nel documento, le chiese constatano l'esistenza di una comune comprensione dell'Evangelo, compresi alcuni accordi elementari su importanti dottrine come la cristologia (vengono riaffermate le posizioni emerse nel Concilio di Calcedonia), la predestinazione (con il superamento della doppia predestinazione sostenuta soprattutto dal calvinismo), l'Eucaristia - si parla della validità delle due specie e della impossibilità di separare la comunione con Gesù Cristo nel suo corpo e nel suo sangue dall'atto di mangiare e bere - e la Giustificazione per fede. Ci si dichiara in reciproca comunione ecclesiale “Kirchengemeinschaft”. Contestualmente all'accoglimento del documento le confessioni coinvolte fondarono una comunità di chiese chiamata "Leuenberg Church Fellowship" o "Comunione ecclésiale di Leuenberg". Nel 2003 l’organizzazione ha preso il nome di "Comunione delle Chiese Protestanti in Europa" (GEKE in tedesco, CPCE in inglese, CEPE in francese). Per fortuna, la dichiarazione non ha avuto effetti negativi nei rapporti ecumenici tra le chiese luterane e quelle riformate, ma è stato spunto di nuove riflessioni e un confronto su questioni teologiche ed ecclesiologiche che va avanti nella consapevolezza che è Dio stesso a spingere le varie confessioni cristiane al dialogo e alla piena comunione. Past. Mirella Manocchio 3